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  • Tradizioni italiane

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  • Prima edizione: ottobre 2010© 2010 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-2251-2

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, RomaStampato nell’ottobre 2010 da Puntoweb s.r.l., Ariccia (Roma)

  • Fabrizio Falconi

    I fantasmi di RomaLa storia della città eterna attraverso i suoi misteri,le sue inquietanti presenze, le sue figure spettrali

    Newton Compton editori

  • Nella sua ormai plurimillenaria storia, Roma si è conquistata moltititoli, tra i quali come è noto quello di città che possiede al mondo lapiù alta percentuale di beni artistico-architettonici. Una parte consi-derevole di questi reperti – esposti nei musei, nelle grandi chiese ba-rocche, o semplicemente esistenti come monumenti all’aperto – hada raccontare al visitatore, al turista, ma anche al distratto cittadinodi oggi, una lunga storia, molto spesso dimenticata. E queste mille storie di Roma, nel fiume della grande storia di Ro-

    ma, convivono spesso, quasi sempre anzi, con la leggenda. Moltestorie tramandate a Roma, infatti, sono state affidate, e si affidano, alracconto popolare più che al riscontro sistematico degli archivi o deidocumenti ufficiali. È lo spirito di una città che nel corso dei secoliha saputo sempre rinascere e rinnovarsi proprio a partire dal terrenofertile e indistruttibile della propria tradizione. È per questo motivo che, pur non essendo per definizione una città

    esoterica (come in Italia potrebbe essere ad esempio Torino), Romapossiede nel suo stesso patrimonio genetico – che è quello dei gran-di culti pagani, misterici, importati dall’Oriente, prima che l’imperoromano, dopo Costantino, a partire dal 313 d.C. aderisse al cristia-nesimo, dichiarandolo religione ufficiale – l’impronta di città magi-ca, dove ogni prodigio è possibile, o quanto meno immaginabile,dove ogni leggenda confina con la verità storica, e in essa trova unlimite ma anche una implicita conferma. Così, la lunga storia di Roma è disseminata di fantasmi. E, anzi,

    per certi versi potremmo perfino dire che la storia di Roma è unastoria di fantasmi. Basti pensare all’influenza che alcuni grandi per-sonaggi della storia cittadina – Cesare, Nerone, tanto per citare solo

    Introduzione

  • i primi che vengono alla mente – hanno esercitato non tanto e sol-tanto con le loro gesta, ma anche e soprattutto con la memoria dellaloro presenza, perpetratasi attraverso un uso leggendario di questamemoria, che ha tenuto vivi questi personaggi fino ai giorni nostri,nel tessuto della vita cittadina. Ma la storia di Roma non è popolata soltanto di fantasmi nobili,

    appartenenti alle figure della storiografia dell’Urbe. No, Roma haconosciuto, nel corso dei secoli, e la cosa succede anche ai giorninostri, la proliferazione di racconti fantastici o misteriosi che riguar-dano figure minori, protagoniste di incredibili vicende ritenute vere,o del tutto inspiegabili. Una vera e propria galleria di personaggi che come è successo per

    la Pimpaccia, o per Costanza de Cupis, sono diventati patrimoniostesso della storia e della cultura cittadina. I fantasmi di Roma fannoparte della tradizione di antichi quartieri o di zone intere della città. Iloro nomi, sussurrati dai vecchi, oggi sembrano caduti nell’oblio, ep-pure, sotto la polvere depositata dal tempo, sono ancora ben vivi, eincarnati negli stessi luoghi che quei personaggi un tempo abitarono. Il che può apparire singolare per una città, come Roma, che ha alle

    spalle quasi duemila anni di storia cristiana, come centro del cattoli-cesimo nel mondo. In effetti il lungo dominio papalino nell’Urbe hatenacemente contrastato il sorgere e il culto di leggende esoteriche –liquidate come pagane, se non come diaboliche, empie o blasfeme –senza riuscire però ad arrestarne la proliferazione: si può anzi affer-mare che lo spirito popolare, le credenze millenarie e ancestrali co-me quelle che attribuiscono verità e visibilità ai fantasmi hanno pre-valso su ogni credo confessionale. del resto è ben noto che contemporaneamente all’uso canonico

    dell’esercizio ecclesiastico, Roma è stata campo di sperimentazioneper alchimisti, stregoni, esoteristi vari, alcuni dei quali sono anche iprotagonisti di questo libro. Forse non poteva essere diversamente, visti i presupposti magici

    di una città unica al mondo, la cui gloria fu edificata oltre che sulleconquiste militari, sulle religioni e sui culti misterici del passato,sulla tradizione etrusca, assorbita dalla Roma dei re, fino ai cultianatolici, egizi e mitraici orientali.Il linguaggio del mistero – e i suoi innumerevoli rivoli, ancestrali e

    8 INTROdUzIONE

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    moderni – ha trovato dunque, in Roma, un perfetto humus di cresci-ta. E questo libro, destinato ai curiosi e agli appassionati degli aspet-ti più insoliti delle vicende umane, ne rende testimonianza, attraver-so un excursus (che non si pretende esaustivo) dei fantasmi romani.da quelli che si dice infestino i teatri della Roma antica e imperiale,fino a quelli scaturiti quasi naturalmente dalle storie di vite infelici omaledette, fino ad alcune presenze più vicine a noi.

  • Nei giardini di Colle Oppio, nel cuore della Roma archeologica piùnobile, tra le rovine della domus Aurea e le vestigia solenni del Co-losseo, mentre i romani dormono, sembra si aggiri ancora oggi unodei fantasmi più celebri, quello che appartiene alla dissoluta Messa-lina. E questa testimonianza sembra non sia dovuta soltanto all’ef-fetto dei fumi dell’alcool sui clochard della zona, che trascorronod’estate e d’inverno le loro notti all’addiaccio sulle panchine dei ce-lebri giardini, oggi adibite anche a improvvisato ricovero per moltisenzatetto. No, il mito del fantasma della potente e disperata Messa-lina, che fece della sua vita un inno all’autodistruzione, è alimentatoda secoli, e ricorre nei racconti e nelle cronache di epoche differentidella storia capitolina.Non può essere un caso, del resto, che tra i molti celebri personaggi

    femminili che hanno animato la millenaria storia di Roma sia stataproprio Messalina, che poteva sembrare destinata a un rapido oblio, adiventare invece la preferita in senso assoluto delle grandi opere difinzione cinematografica. Forse soltanto a Messalina è stato riservatol’onore, ad esempio, di almeno diciassette grandi film che la vedonoprotagonista, e che ne raccontano le gesta nel caratteristico stile pe-plum che ha nutrito l’immaginario di intere schiere di spettatori. Il perché è presto spiegato: Messalina è, con la sua bellezza, il suo

    gusto sfrenato per l’edonismo, il piacere carnale, la trasgressione,un personaggio molto moderno, come moderno è il suo destino“maledetto” che la portò ai massimi vertici della gloria e del potereterreno, e in pochissimo tempo al suo esatto contrario, cioè all’odioda parte dei suoi molti nemici che le prepararono dapprima una fineorribile e poi le riservarono anche una specie di damnatio memo-

    I. Il fantasma di Messalina, dissoluta moglie I. dell’imperatore Claudio

  • riae, consegnando ai posteri l’immagine di una donna spietata e pri-va di ogni morale, che forse non corrisponde pienamente alla realtà.Nata da una famiglia patrizia che vantava stretti legami di parente-

    la con la dinastia giulio-claudia (suo padre, Valerio Messalla Barba-to, era il nipote della sorella dell’imperatore Augusto) Valeria Mes-salina era nata nel 25 d.C. ed era stata costretta a sposare, a soli quin-dici anni, il console Tiberio Claudio druso, più grande di lei di tren-tacinque anni! L’idea delle nozze era stata dell’imperatore Caligolain persona, il quale non poteva non aver notato l’incredibile bellezzadi quella fanciulla, che già aveva fatto parlare di sé tutta Roma, eche sembrava un regalo ideale per il console, cugino di sua madre.Per lei, l’anziano Claudio, destinato poi di lì a breve a diventare asua volte imperatore, lasciò su due piedi Elia Petina, la sorella diseiano che già gli aveva dato un figlio: troppo forte la tentazione dicogliere quel giovane fiore che prometteva di diventare la donna piùbella di Roma. Claudio consumava con Messalina il suo terzo matrimonio, ma so-

    prattutto si assicurava una linea ancora più stretta di affinità conl’imperatore che infatti diede i suoi frutti: due anni dopo il matrimo-nio, il 24 gennaio del 41 d.C. l’imperatore cadde vittima della con-giura di pretoriani che volevano liberare Roma dal suo tiranno, resofolle dai suoi abusi di alcool e di depravazioni. Caligola fu assassi-nato insieme alla sua intera famiglia, e Claudio – che si era messo insalvo fortunosamente, pensando che toccasse anche a lui la lama deipretoriani – si ritrovò nella invidiabile situazione di essere l’unicosuperstite della famiglia giulio-claudia a cui si potesse ricorrere pergarantire la continuità del potere. Claudio non era certo l’imperatoreideale: claudicante, piuttosto incerto nel carattere, possedeva peròun requisito che lo rendeva prezioso per la potente aristocrazia ro-mana: era ormai anziano e il suo regno non sarebbe durato a lungo. Gli strateghi non avevano fatto i conti però con la rampante moglie

    di Claudio, Messalina appunto, che in breve tempo conquistò la sce-na: soprattutto quella dei pettegolezzi di corte che in un batter d’oc-chi arrivarono alle orecchie di tutto il popolo di Roma. Messalina, sidiceva, compì al meglio e in fretta il dovere regale di garantire glieredi al marito imperatore (nacquero due figli, Ottavia e Cesare), masubito dopo cominciò la sua personale discesa nel gorgo dei vizi più

    12 I FANTAsMI dI ROMA

  • I. IL FANTAsMA dI MEssALINA, dIssOLUTA MOGLIE dELL’IMPERATORE CLAUdIO 13

    Valeria Messalina. Incisione tratta dall’Illustrium imagines.

  • sfrenati. Non amando la corte e i suoi intrighi (ciò nonostante se lacavò benissimo, dirigendo insieme al marito le operazioni per trovarei responsabili della morte di Caligola e consegnarli ai sicari imperiali,ed ispirando l’esilio dello scomodo seneca fino nella lontana Corsi-ca), si diede alla trasgressione più selvaggia, tramutandosi, secondoil racconto dei cronisti dell’epoca, in una specie di Erinni del sesso,giungendo fino a frequentare un lupanare per godere fino in fondodelle sue insaziabili perversioni, sotto il falso nome di Licisca. In breve tempo tutta Roma imparò a conoscere la leggenda che la

    circondava, e che la voleva spietata macchina dedita al piacere perso-nale, al soddisfacimento erotico sfrenato, ottenuto con ogni mezzo. L’aneddotica riguardante Messalina è vastissima, e ha alimentato

    per lunghi secoli la morbosa curiosità dei cronachisti, degli illustra-tori, degli artisti, degli scultori: dalla sua passione per la depilazionee i tatuaggi dorati, all’ordine impartito perché nessun legionario,nessuna guardia, nessun gladiatore potesse sottrarsi al suo ordine dicederle, nella calda alcova del suo appartamento imperiale, al cele-bre episodio citato da Plinio il Vecchio e da Giovenale, riguardanteuna maratona di sesso ingaggiata con una famosa prostituta dell’e-poca, e vinta dalla sovrana al prezzo di 25 rapporti, con uomini di-versi, in 24 ore. Tutto ciò mentre continuava la sua doppia attivitànei panni di Licisca, nei postriboli più frequentati di Roma. E probabilmente tutto sarebbe proseguito così a lungo, in questo

    lento cupio dissolvi di depravazione, se ancora una volta – comespesso accade – l’amore non ci avesse messo lo zampino: a Messali-na capitò infatti di innamorarsi di uno dei suoi più focosi amanti,quel Gaio silio, che era marito della bella Giulia silana. Gaio era unuomo talmente affascinante da essere appellato con l’attributo di iu-ventutis romanae pulcherrimus. Anche Messalina, dunque, trovò, inmezzo alla confusione di mille e stranianti rapporti, l’uomo destina-to a fare breccia, e a cambiare la sua vita. L’amore e la passionescoppiati tra i due indussero la sovrana a commettere qualche erroreimperdonabile: si era addirittura messa in testa di sposare Gaio silioe di abitare con lui la splendida villa del Pincio.Per un progetto così ardito c’era però da superare la presenza stessa

    del legale marito di Messalina, nonché imperatore in carica, Clau-dio. Messalina pensò di fare ricorso alla superstizione, da cui il suo

    14 I FANTAsMI dI ROMA

  • I. IL FANTAsMA dI MEssALINA, dIssOLUTA MOGLIE dELL’IMPERATORE CLAUdIO 15

    Silio e Messalina. Incisione ottocentesca di N. Sanesi.

  • consorte sembrava soggiogato: una mattina, sconvolta e scarmiglia-ta, gli si presentò incontro, con un pianto dirotto tra le sue braccia,confidandogli di aver sognato di essere rimasta vedova dopo chesuo marito era stato ucciso. Claudio fu, come previsto, preso dal pa-nico: cominciò a disperarsi e a vedersi assassinato da qualche oscuracongiura di palazzo. Messalina, a questo punto, gli sottopose la ge-niale via di uscita che lo avrebbe salvato, e gli propose il divorzio.Claudio, tentennando, pensava a come sarebbe stato possibile an-nunciare questa decisione, senza far trapelare nulla di chi o cosa nefosse stato la causa. Ma Messalina, non controllando il suo istinto eapprofittando dell’assenza del marito che si trovava a Ostia a pre-senziare ai lavori per la costruzione del porto, ebbe la sfacciatagginenel 48 d.C. di organizzare una solenne cerimonia in cui si celebrava-no le sue nozze con silio. Una volta terminata, ordinò perfino il tra-sferimento dei preziosi mobili intarsiati di madreperla dal suo pa-lazzo a quello del suo amante, sul Pincio.Finalmente qualcuno appartenente alla numerosissima corte del-

    l’imperatore, un semplice liberto passato alla storia con il nome diNarciso, si prese la briga di fargli conoscere ciò che stava accadendoa palazzo in sua assenza, e di cosa era stata capace l’ambiziosissimasovrana. Claudio si convinse che, più che un matrimonio, quello che era sta-

    to celebrato tra la sua irrefrenabile moglie e il bel silio era un pattoper raggiungere al più presto, e con ogni mezzo, il potere, sbaraz-zandosi dell’imperatore e attendendo che il legittimo erede, Britan-nio, diventasse adulto. La messinscena del finto matrimonio – quanto mai imprudente – fu

    fatale a Messalina: ancora una volta cercò di giocare d’astuzia, no-leggiando un carro, mettendovi sopra i figli e correndo piangente in-contro al marito, che tornava furibondo da Ostia. Claudio questa volta dimostrò di aver imparato la lezione. si rivelò

    più furbo di lei: assecondò la scena del perdono, fece finta di nulla, eintanto preparò una feroce vendetta. dapprima uccise Caio silio,che era pur sempre un console – lo era diventato, naturalmente, gra-zie all’intercessione della potente amante –, poi aspettò la mogliementre passeggiava tra i viali degli Horti Luculliani, e la strangolòcon le sue mani.

    16 I FANTAsMI dI ROMA

  • I. IL FANTAsMA dI MEssALINA, dIssOLUTA MOGLIE dELL’IMPERATORE CLAUdIO 17

    La morte di Messalina, uccisa davanti alla madre negli Orti luculliani.

  • 18 I FANTAsMI dI ROMA

    1 A. spinosa, La grande storia di Roma, Mondadori, Milano 1998, p. 349.

    Così almeno racconta una delle versioni ufficiali1, mentre secondoaltre fonti la fine di Messalina fu materialmente operata da un tribu-no, fedelissimo dell’imperatore che, mentre la donna moriva tra lebraccia di sua madre, così la derideva: «se la tua morte sarà piantada tutti i tuoi amanti, allora a piangere sarà tutta Roma!». C’è anche da dire che l’uscita di scena di Messalina non sortì gli ef-

    fetti sperati per i destini dell’Impero: Claudio, infatti, sposò in quintenozze la nipote, ottenendo un apposito lasciapassare dalle autoritàimperiali per infrangere l’incesto. si trattava di quella Agrippina Mi-nore che aveva già avuto due mariti, e dal primo un figlio chiamatoNerone, destinato a lasciare una impronta indelebile nella storia diRoma, e per favorire il quale pensò bene di servire un piatto di funghiavvelenati al suo neo-marito. Forse, alle prese con la diabolica Agrippina, nei sei anni del suo

    quinto matrimonio, Claudio provò anche la nemesi di rimpiangere lalussuriosa Messalina. Agrippina fu tanto ipocrita da far costruire e de-dicare al marito, ormai divinizzato, il sontuoso Tempio del divo Clau-dio, i cui resti sono ancora oggi osservabili sulla collina del Celio, apoca distanza dal Colle Oppio. È proprio in questo luogo che Messali-na continua ad apparire ancora oggi, indomita, e forse non ancora pa-cificata, con l’aspetto di uno spaventoso fantasma dalle bianche vesti.

  • È piuttosto facile immaginare che, nella sua millenaria storia, ilColosseo – forse il monumento più celebrato e più famoso al mondo– abbia attratto e scatenato la fantasia di ogni visitatore. Lo fa ancheoggi. Per le antichissime scale che si inerpicano lungo le gradinate,che raggiungono l’altezza di 48 metri, è naturale e ovvio concedersil’agio di immaginare le scene maestose e terribili dei giochi che vi sisvolgevano.Il Colosseo custodisce molti misteri, a partire dall’etimologia del

    suo nome. se è vera l’ipotesi secondo la quale esso deriverebbe dal-la località dove l’anfiteatro venne edificato, e cioè Collis Isei, daltempio di Iside che sorgeva nei pressi1, si potrebbe anche postulareun diretto collegamento con i culti misterici egizi e orientali, cheforse hanno impregnato l’anima di questo luogo. Ma è possibile che una certa fama maledetta del luogo sia giustifi-

    cata dall’immane strage che accompagnò la sua stessa inaugurazio-ne, nell’80 d.C., quando l’imperatore Tito lo aprì ai romani, dandoloro in pasto cento giorni continuati di feste. In quell’occasione ebbeluogo una spaventosa carneficina di uomini e di animali, centinaiadi leoni e tigri e quasi tremila gladiatori mandati al macello, al puntotale che il rosso del sangue divenne il colore dominante dell’edificioappena costruito. di fronte a un tale massacro, è fin troppo semplice immaginare, e

    così è stato per secoli, che qualcosa di queste sofferenze sia rimastoimprigionato nelle stesse fondamenta del luogo. Non è del resto uncaso che proprio il Colosseo, una prima volta nell’anno santo del

    II. Il Colosseo, il consesso dei Demoni di Cellini II. e le belve fantasma

    1 Cfr. W. Pocino, Le curiosità di Roma, Newton Compton Editori, Roma 2005, p. 106.

  • 1750, e poi in tempi moderni a partire dal pontificato di GiovannixxIII, fu utilizzato come scenario naturale per la Via Crucis, che ri-corda in tutto il mondo il sacrificio del Cristo attraverso quello deimolti cristiani che persero la vita nell’arena dell’anfiteatro. Forse questa fama lugubre è ciò che spiega il fiorire – attraverso i

    secoli – di molte voci e leggende a proposito di apparizioni di miste-riose presenze notturne, che si diffondono e arrivano fino ai giorninostri. Per molto tempo si è creduto che il Colosseo fosse abitato dadiavoli. Ed è piuttosto famoso l’episodio che riguarda BenvenutoCellini, il grande scultore fiorentino che una notte si recò in visitapresso il celebre monumento in compagnia di due amici, VincenzoRomoli e Agnolino Gaddi. A quel tempo nessun cancello o inferriatadelimitava l’accesso al celebre monumento, e chiunque poteva en-trarvi con il rischio di essere investito da uno dei grandi massi cheprecipitavano di tanto in tanto dall’anello più alto dell’anfiteatro. Ilresoconto di quella notte terrificante fu redatto dallo stesso Cellininella sua celebre autobiografia, intitolata Vita di Benvenuto di Mae-stro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firen-ze, nota più semplicemente con il titolo di Vita2. scrive dunque Cel-lini:

    Mi accadde per certe diverse stravaganze, che io presi amicizia di un certoprete siciliano, il quale era di elevatissimo ingegno ed aveva assai buone lette-re latine e grecie. Venuto una volta in un proposito d’un ragionamento, in nelquale s’intervenne a parlare d’arte della negromanzia, alla qualcosa io dissi:grandissimo desiderio ho avuto tutto il tempo della vita mia di vedere o sentirequalche cosa di quest’arte. Allora rispose il prete: se di cotesto ti basta la vista,di tutto il resto io te ne satollerò. Così fummo d’accordo di dar principio a taleimpresa.

    Il prete gli chiede a quel punto di trovarsi un paio di compagni e luili recluta nelle persone di Vincenzo Romoli, un suo grande e vecchioamico, e di un anonimo pistoiese, amico di costui, appassionato an-ch’egli di negromanzia. I tre compagni, per cominciare l’avventura,vanno al Colosseo, e qui gli si para di fronte proprio il prete, vestitocome un negromante, cioè un mago, che comincia a tracciare miste-

    20 I FANTAsMI dI ROMA

    2 La Vita di Benvenuto Cellini è disponibile in Italia in diverse edizioni, tra cui quella curata daL. Bellotto per Guanda Editore, Milano 1996. Il racconto dei demoni al Colosseo è contenuto nelLibro Primo, Capitolo LxIV.

  • II. IL COLOssEO, IL CONsEssO dEI dEMONI dI CELLINI 21

    riosi segni circolari in terra con la punta del suo bastone. Lo spettaco-lo doveva essere molto suggestivo. Bisogna infatti ricordare che nelperiodo in cui il Colosseo ospitò la bravata di Benvenuto Cellini edei suoi amici, l’Anfiteatro versava in uno stato di abbandono quasitotale, che lo rendeva un luogo davvero spettrale, come si evince dal-le testimonianze dell’epoca: gli spalti e le murature dell’antico mo-numento erano diventati nientemeno che una cava di travertino,asportato in blocchi per essere poi utilizzato per l’edificazione di pa-lazzi, chiese e fabbricati in ogni parte di Roma. Finito di segnare il circolo in terra – continua a raccontare Cellini –

    il prete prende i tre amici per la mano e uno per volta li fa entrare nelcerchio recitando formule magiche. Trascorsa più di un’ora e mezzaecco che, di fronte allo sguardo sconcertato dei tre, cominciano adapparire diverse legioni di diavoli, che riempiono tutto il Colosseo.

    Parte superiore del Colosseo, in un disegno di Harold B. Warren.

  • Quando il prete vede che sono così numerosi, chiede a Cellini: «Ben-venuto, dimanda lor qualcosa!». Lo scultore è talmente sconcertato e non crede ai propri occhi, ma

    la prima cosa che gli viene in mente è chiedere di poter incontrareuna lontana amata, di nome Angelica, la siciliana.Per quella notte, spiega Cellini, non arrivò nessuna risposta; ma

    l’artista è ormai talmente intrigato dallo spettacolo che è andato inscena davanti ai suoi occhi che, terminato l’esperimento, chiede su-bito al prete di ripeterlo il prima possibile. Il prete-mago acconsente,ma specifica che la prossima volta dovrà portare con sé un fanciul-letto vergine. Cellini recluta stavolta un suo fattorino dodicenne, einsieme a Vincenzo Romoli e a un altro compagno – stavolta èAgnolino Gaddi – torna nello stesso luogo del misfatto. E qui ha inizio il racconto della seconda notte, che si colora, nell’e-

    loquio di Cellini, di connotati perfino grotteschi. Il prete infatti ripe-te la stessa misteriosa cerimonia della prima volta, recitando formu-le in ebraico, greco e latino.Ecco che dopo un po’ si ripresentano legioni di diavoli, ancora più

    numerosi di quelli manifestati la prima volta, e Cellini formula lostesso desiderio, cioè quello di poter riabbracciare la sua Angelica. Questa volta i diavoli rispondono: l’amata tornerà tra le sue braccia

    nell’arco di trenta giorni. Lo stesso prete-mago è terrorizzato dal numero di presenze che si

    sono manifestate e ancor di più lo è il fanciullo, che si nasconde die-tro un pinnacolo gridando di voler morire: quei demoni, insieme aquattro figure di giganti, li circondano e li minacciano. È lo stessoCellini che deve esortare gli amici a gran voce perché restino calmi,anche se egli stesso è spaventatissimo per il terrore che vede impres-so sulla faccia del prete. Questi, imprecando, dice che per tenerelontani i diavoli bisogna subito mettere mano ai profumi, ovvero alleessenze di zolfo, terribilmente puzzolenti, che tutti hanno avuto l’or-dine di portare con sé, in appositi recipienti. Cellini impartisce il comando a Vincenzo e ad Agnolo il quale, tal-

    mente spaventato e paralizzato, anziché agitare i recipienti con lozolfo prorompe in una istrombazzata di coregge con tanta abundan-zia di merda, la quale potette molto più che la zaffetica.Rinfrancato da questo episodio esilarante, Cellini rassicura gli ami-

    22 I FANTAsMI dI ROMA

  • II. IL COLOssEO, IL CONsEssO dEI dEMONI dI CELLINI 23

    ci che assistono al lento dileguarsi delle demoniache presenze nel-l’oscurità, mentre sonano i mattutini, le campane dell’alba. superata la paura, lo stesso negromante si compiace dell’esperi-

    mento, confessando all’artista scultore che mai nella sua vita gli ècapitato di assistere a una tale massiccia e prodigiosa manifestazio-ne di presenze in quel luogo che pur frequenta da tanti anni. Con questi ragionamenti, si conclude il racconto nella biografia

    dello scultore, noi arrivammo alle case nostre, e ciascuno di noi tut-ta quella notte sognammo diavoli.

    Il racconto di Cellini, testimone sicuramente autorevole, ma pro-penso spesso a esercitare il gusto per l’eccesso, ci propone dunque

    Ricostruzione della Metasudans (da Canina,«L’architettura romana»).

  • 24 I FANTAsMI dI ROMA

    una smisurata apparizione di creature evocate nel cuore della notte,capaci di terrorizzare gli astanti, ma a quanto pare non particolar-mente minacciose. I quattro avventurieri poterono infatti lasciare illuogo magico, senza riportare danni e senza rischiare la propria vita. Quel che è sicuro è che anche il racconto di Cellini dovette contri-

    buire non poco ad accrescere la fama del Colosseo come luogo idealeper la manifestazione di fantasmi e apparizioni poco gradevoli. Così non manca chi, anche recentemente, giura di aver visto aggi-

    rarsi, tra le rovine dell’Anfiteatro, spiriti con le sembianze di gla-diatori, togati romani, e perfino l’imperatore Giulio Cesare avvoltoda un luminoso mantello bianco. Non mancano infine le segnalazioni di chi assicura di aver ricono-

    sciuto nell’oscurità che avvolge il recinto con i resti della Meta Su-dans, la via sacra e i Giardini del Palatino, le belve fantasma, presun-te reincarnazioni di quelle fiere che erano protagoniste dei sanguinarispettacoli del Colosseo, e che nelle segrete dell’Anfiteatro erano in-gabbiate e affamate, prima di essere aizzate contro i gladiatori. d’altronde, gli appassionati di storie di fantasmi sanno bene che il

    fenomeno può riguardare e riguarda spesso anche gli animali. I fanta-smi di animali si dividerebbero, secondo gli esperti, tra quelli che simaterializzano, trasformandosi in entità qualche secondo prima diessere uccisi, e quelli che si presentano, dopo la morte, in forme mo-struose. Entrambe le tipologie sembrano comunque strettamente le-gate ai luoghi che ospitarono gli animali in vita. Ragione per cui c’èchi ritiene che non esista luogo al mondo più di questo – dove si cal-cola che furono trucidate almeno cinquemila fiere, provenienti daiterritori imperiali dell’Africa – che possa raccogliere e offrire dimoraimmateriale alle anime inquiete e insoddisfatte di così tanti animali.

  • È forse il fantasma romano più famoso nel mondo. E in un certosenso precede tutti gli altri, in fatto di notorietà. La leggenda del fan-tasma di Giulio Cesare affonda nelle origini stesse della Roma im-periale, e nei luoghi che di quella città, invidiata in tutto il mondo,decretarono la fama imperitura. Il ricordo di Caio Giulio Cesare, ilpiù celebre tra i sovrani di Roma, è legato anche a un luogo inso-spettabile, e cioè quello dove oggi sorge piazza san Pietro.Come è noto, ben prima che il colle Vaticano diventasse il simbolo

    della cristianità nel mondo, esso ospitava un circo: il celebre circo diNerone, una specie di parco di divertimenti privato (ma aperto incerte occasioni al pubblico) dove si disputavano i classici giochi chetanto appassionavano i romani di allora, a base di gladiatori, com-battimento con animali, e naumachie. In realtà non fu Nerone a co-struire questo circo: esso era stato ideato da Caligola circa venti anniprima, e poi abbellito dal suo successore Claudio, prima che Neronea sua volta lo completasse e lo eleggesse a luogo simbolo del suopotere. Il circo era di dimensioni colossali e al centro della spina Caligola

    aveva posto un gigantesco obelisco egizio, originariamente eretto aEliopoli – l’odierna città del Cairo – dal faraone Nencoreo (il nomeesatto è Nebkaure Amenemhet II), figlio di sesotide (nato verso il1992/1985 a.C.). L’imponente monolito, incredibilmente alto (ben 52 metri e mez-

    zo), si era rotto in due tronconi, come ricorda Plinio, durante i lavoridi allestimento del forum Iulium ad Alessandria compiuti da Corne-lio Gallo. Il fatto che un obelisco si rompesse era considerato dagliegizi, ma anche dai romani, una specie di catastrofe. L’oggetto, in

    III. Le ceneri dell’imperatore, l’obelisco egizianoIII. di piazza San Pietro e il fantasma di Cesare

  • casi come questi, veniva abbandonato al suo destino, spesso ancheper molto tempo, cosa che avvenne appunto con la stele di Nenco-reo. I romani invece non erano facilmente disposti a dimenticare unobelisco dalle dimensioni così eccezionali: presero dunque la partesuperiore, superstite dopo la frattura – alta comunque la bellezza di25 metri e 36 centimetri – e, intorno al 30 d.C., la trasportarono, conuna imponente nave costruita ad hoc, fino a Roma, per volontà dellostesso imperatore Caligola, il quale desiderava un ornamento conso-no alla maestosità del suo nuovo circo privato. E la storia di questo obelisco è da allora degna di nota, perché esso

    ebbe il destino di essere l’unico a restare sempre in piedi. L’unico,dei dodici che Roma aveva e ha, che non fu mai abbattuto. Le crona-che infatti raccontano che i Goti, quando invasero Roma nel 547d.C. al seguito di re Totila, distrussero tutti i grandi obelischi, uno auno. Essi erano infatti il simbolo insopportabile del potere di Roma,e come tali dovevano essere distrutti, per rappresentare la fine del-l’odiosa tirannia romana. Tutti, tranne uno: quello di Caligola, ap-punto. Ma la ragione per cui gli implacabili Goti risparmiarono pro-prio quello ci porta direttamente al nostro Giulio Cesare: il raccontoleggendario infatti spiega che la clemenza del re Totila di fronte aquell’obelisco fu dovuta proprio alla notizia – conosciuta anche daibarbari – che nel globo dorato, posto sulla cima del monolito, eranoconservate le ceneri di Cesare. solo di fronte alla grandezza di quel sovrano, e forse temendo l’ira

    del suo spirito, il furore dei barbari si placò. Lo stesso sacro timore preservò l’obelisco anche nei secoli seguen-

    ti fino al terribile sacco di Roma operato dai lanzichenecchi al soldodell’imperatore Carlo V, nel maggio del 1527. I nuovi barbari, purfacendo tabula rasa di Roma, risparmiarono l’obelisco in questione,e si limitarono a usare il globo dorato sulla cima come bersaglio peri loro archibugi. I segni dei colpi dei lanzichenecchi sono ancora oggi visibili, se

    solo si osserva il grande globo, che rappresenta uno dei reperti me-morabili delle collezioni dei Musei Capitolini. Esso restò infatti alsuo posto soltanto fino al 1585, quando il papa sisto V commissionòall’architetto domenico Fontana l’improba impresa di spostare l’o-belisco di circa 200 metri, fino al luogo dove sorge ora (in origine

    26 I FANTAsMI dI ROMA

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  • III. LE CENERI dELL’IMPERATORE, L’OBELIsCO EGIzIANO 27

    Piazza San Pietro con le due fontane, l’obelisco e il Palazzo Apostolico in una stampadi fine Ottocento.

  • 28 I FANTAsMI dI ROMA

    era eretto sul lato sinistro della basilica Vaticana, a fianco dell’at-tuale sagrestia, dove una lapide sul pavimento lo ricorda). In quell’occasione, al momento di smontare il globo, si poté soddi-

    sfare l’enorme curiosità cittadina e verificare se davvero il globocontenesse il prezioso tesoro. Con un rispettoso tremore e con una conseguente delusione, si sco-

    prì invece che la grande sfera bronzea era piena, non cava, e che laleggenda era dunque falsa e all’interno del globo non v’era nulla1.Ma, come spesso è accaduto nella storia di Roma, al disvelarsi di

    un mistero un altro se ne creò. Vi fu infatti subito chi disse che conquel foro praticato dai fabbri del papa, lo spirito di Cesare era final-mente divenuto libero di andarsene in giro per il mondo. Uno spirito, quello di Giulio Cesare, che, a giudicare dalle fonti lette-

    rarie, era già piuttosto vigile e attivo subito dopo l’orrendo assassinio. Ce lo racconta shakespeare nel suo dramma dedicato all’imperato-

    re romano, quando, in una delle scene chiave, descrive l’apparizionedello spettro di Giulio Cesare a Bruto, che ne rimane terrorizzato,prima della battaglia finale di Filippi. In realtà shakespeare non fece altro che riferirsi a fonti ufficiali

    storiche molto autorevoli che nell’età antica descrissero con doviziadi particolari l’apparizione del fantasma di Cesare. sia svetonio chePlutarco, infatti, raccontano come Bruto fosse ossessionato dai so-gni di Cesare e da altri presagi che annunciavano la sua sconfitta.«Ci vediamo a Filippi», fu il saluto del fantasma dell’imperatore da-to a Bruto la notte prima della battaglia. In particolare è proprio Plu-tarco a raccontarci i dettagli di ciò che avvenne: Bruto, secondo ilracconto di Plutarco, stava esaminando i piani della battaglia nellasua tenda, a notte fonda, quando avvertì una presenza alle sue spalle,e alzato lo sguardo vide troneggiare su di sé una figura minacciosa einquietante. Bruto, quasi senza fiato, chiese all’entità che era appar-sa: «Chi sei tu, uomo o dio, perché sei venuto qui da me?». E quel

    1 Così racconta l’episodio il grande romanista C. d’Onofrio, in Gli obelischi di Roma, Romanasocietà Editrice, Roma 1992, p. 161: «Prima di imbragare completamente l’obelisco, una vivaemozione dovette provare il Fontana allorché tolse la famosa palla di bronzo che ne decorava lacima ed in cui da tempi immemorabili si riteneva fossero rinchiuse le ceneri di Cesare. « Fu con-siderata da me con gran diligentia, e vidi essere gettata tutta d’un pezzo senza commisura alcu-na; che stando questo, non vi si poteva mettere dentro cosa alcuna... Il che fu mostrato da me àmolti». E così l’antica leggenda veniva sepolta.

  • III. LE CENERI dELL’IMPERATORE, L’OBELIsCO EGIzIANO 29

    fantasma rispose: «sono il tuo cattivo genio, Bruto, e ci rivedremo aFilippi!»2. sempre secondo Plutarco, un’altra apparizione dello stes-so genere fece visita al traditore la notte prima della battaglia. svetonio, invece, il più grande biografo della Roma antica, raccon-

    ta come, prima della battaglia, un tessalo si fosse presentato spaven-tatissimo a udienza da Ottaviano, dicendo di aver incontrato proprioil fantasma di Giulio Cesare, in una via di Larissa, che gli aveva datoincarico di riferire al nipote la sua sicura vittoria contro il vile Bruto. Il fantasma dell’imperatore aveva anche raccomandato a Ottaviano

    di indossare un oggetto appartenente a Cesare, e Ottaviano aveva ob-bedito infilando al dito l’anello imperiale posseduto dall’imperatore.dopo l’esito fortunato della battaglia decise di non toglierlo più. da questi “nobili” precedenti, testimoniati dalle fonti storiche, il

    fantasma di Giulio Cesare ha continuato a essere “avvistato” innu-merevoli volte, come si evince dai racconti della tradizione romana,dalle cronache medievali, dai resoconti di viaggio dei nobili europeiche venivano a visitare Roma durante il loro Grand Tour. Compilarequesto elenco sarebbe impossibile, possiamo soltanto constatare chela tradizione relativa al fantasma dell’imperatore continua fino a og-gi. Pare che di recente, l’apparizione della veste candida di GiulioCesare, ancora macchiata di sangue, sia stata segnalata all’internodel Colosseo, nelle notti di agosto.

    2 I retroscena della Battaglia di Filippi, compresa l’apparizione del fantasma di Cesare a Brutosono in Plutarco, Vita di Cesare, paragrafo 69.

  • Un altro fantasma romano molto popolare è quello di Berenice. Il suo luogo di elezione sembra essere il Portico d’Ottavia, in quel-

    lo stretto dedalo di vicoli e strade che si snodano tra il quartiere delvecchio Ghetto ebraico, il più antico d’Europa, e la via del TeatroMarcello. In particolare, il fantasma di Berenice pare scelga di ma-nifestarsi proprio tra i ruderi romani sparsi nello spazio antistante ilteatro, che fu dedicato nel 13 a.C. al generale Marco Claudio Mar-cello, nipote di Augusto (era infatti il figlio della sorella, Ottavia).Ma chi era Berenice?La fortuna letteraria di questo personaggio è legata soprattutto alla

    storia del teatro, e in specie al testo che a lei dedicò, nel 1670, JeanRacine, uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi. di Berenice, della vera Berenice, sappiamo che nacque nel 28 d.C.

    in Asia Minore, e che era la figlia di Erode Agrippa, detto il Grande.Egli fu il membro della dinastia dei re di Giudea che più ebbe con-tatti con il mondo romano, visto che fin da giovanissimo fu inviatonella capitale dell’impero e divenne intimo dello stesso imperatoreTiberio. Berenice doveva essere davvero bellissima se è vero che a vent’an-

    ni era già stata sposata due volte. Alla morte del secondo marito,nientemeno che lo zio paterno, si trasferì in Grecia, alla corte delfratello Agrippa II. Ma anche in questo nuovo ambiente, decisamen-te più sofisticato del precedente, Berenice trovò il modo di essere alcentro di un nuovo scandalo, e per mettere fine alle voci di un ince-sto con il fratello accettò di sposare il re di Cilicia Polemone, moltopiù anziano di lei, che la condusse nuovamente in Asia Minore. Ma il temperamento irrequieto di Berenice la portò ben presto a stan-

    IV. Il fantasma di Berenice, l’amante IV. dell’imperatore Tito

  • IV. IL FANTAsMA dI BERENICE, L’AMANTE dELL’IMPERATORE TITO 31

    carsi di Polemone e della sua noiosa corte: riuscì a fuggire e tornònuovamente dal fratello.È a questo punto della storia che nel cuore di quella che già era de-

    finita una meretrice si fece largo il nuovo imperatore di Roma, Tito,salito al potere nel 79 d.C. alla morte del predecessore, il padre Ve-spasiano.In realtà la tresca amorosa tra Tito e Berenice era cominciata ben

    prima della morte di Vespasiano, allorquando l’imperatore avevamandato proprio il suo prediletto figlio, Tito, in Palestina, per sedarele rivolte che erano scoppiate. Tito diede alle fiamme Gerusalem-me, dove si erano asserragliati gli ebrei, distruggendo completamen-te il Tempio, e ottenne una vittoria completa. Quando tornò in patria, trovò che suo padre gli aveva preparato un

    tributo eccezionale (con l’erezione del celebre Arco che ancora famostra di sé nel Foro romano), ma l’anziano genitore rimase inter-detto quando si accorse che il valoroso figlio attraversava l’Arco, trale grida osannanti del popolo romano, portando al braccio una preda

    Il Teatro di Marcello, iniziato da Giulio Cesare e completato sotto Augusto, in un’inci-sione cinquecentesca di E. Dupérac.

  • bellica imprevista, e cioè proprio quella bellissima principessa ebrea,Berenice, che già numerosi cuori aveva infranto dall’altro lato delMediterraneo, ma che aveva ben ventuno anni più di suo figlio!Uno scandalo in realtà non v’era, perché presentare le proprie con-

    quiste amorose – specie se di rango regale – non era inconsueto perun comandante militare. Il problema sorse però quando Tito comu-nicò al padre che non intendeva semplicemente inserire la nuovafiamma nell’elenco delle concubine, ma voleva sposarla, e quindiintrodurre un’estranea nella linea di successione imperiale. La vi-cenda divenne esemplare quando Vespasiano – ripetendo il copioneconsueto dei padri – cercò in ogni modo di convincere il figlio, ad-ducendo anche la propria esperienza personale: anche lui, rimastovedovo, aveva ceduto alle grazie di una concubina, ma s’era benguardato dall’idea di sposarla. In questo caso poi, si trattava di un’e-brea e la faccenda era ancora più grave. I dubbi e le insinuazioni paterne si unirono alle malelingue di corte,

    alle calunnie interessate, ma per qualche tempo non ottennero risul-tati e Berenice rimase al suo posto. soltanto, però, fino alla mortedell’imperatore Vespasiano: forse in un rigurgito di riconoscenza fi-liale, Tito, divenuto imperatore, trovò la forza di sottrarsi alla schia-vitù amorosa impostagli dalla bella e appassionata Berenice, e lacacciò da Roma in omaggio alla ragion di stato. L’infelice, a quantopare, stremata dai suoi tiramolla per sposarla, aveva finito anch’essaper disamorarsi del suo compagno e, come sintetizza eloquentemen-te svetonio, Berenice statim ab urbe dimisit, invitus, invitam. Tito,diventato imperatore, controvoglia allontanò da Roma Berenice, an-che lei rammaricata. La vicenda di questo amore contrastato, che ripercorre l’antico te-

    ma del conflitto tra sentimento e doveri, trovò in Racine un cantorememorabile. Il drammaturgo francese rovesciò completamente glistereotipi su Berenice, omettendo del tutto i suoi trascorsi scandalosie incestuosi, trasformandola in un personaggio totalmente virtuoso,inventando un triangolo amoroso con il principe Antioco, re di Co-magene (regione meridionale dell’Anatolia), e facendone una vitti-ma della bruta ragion di stato. Nelle memorabili scene finali deldramma scritto da Racine, le reciproche minacce di suicidio di Tito,di Antioco e di Berenice finiscono in un nulla di fatto e i tre decido-

    32 I FANTAsMI dI ROMA

  • IV. IL FANTAsMA dI BERENICE, L’AMANTE dELL’IMPERATORE TITO 33

    Il Portico d’Ottavia (incisione di Lancelot).

  • 34 I FANTAsMI dI ROMA

    no di accettare la volontà superiore e di separarsi, sacrificando total-mente l’amore, o quel che ne resta. È senza alcun dubbio questo elemento romantico ante litteram ad

    aver alimentato la leggenda dell’esistenza del fantasma di Bereniceche ancora aleggerebbe sulla città di Roma: perché se quella doloro-sa separazione fu accettata obtorto collo in vita, essa brucerebbe an-cora nell’intreccio delle anime. E questo spiega perché il fantasmadi Berenice si manifesti nella zona del Portico d’Ottavia: non è uncaso che la tradizione popolare abbia scelto questa zona, ricordandole origini ebree della principessa. Qui lo spirito cerca di incontrarenuovamente il suo amante, l’imperatore Tito, e ottenere un tardivorisarcimento a quella inopinata cacciata. Il Portico d’Ottavia, però, è legato strettamente anche al simbolo

    del potere esercitato da Tito, e quindi è davvero lo scenario perfettoper le ansie notturne del fantasma di Berenice: è proprio in questoluogo infatti, come raccontano le cronache dell’epoca, che nel 71d.C. Tito e suo padre si presentarono indossando i tradizionali esgargianti vestiti di seta color porpora, e con la corona d’alloro sulcapo, circondati dai membri del senato e dai più alti magistrati, perricevere l’omaggio delle truppe prima di iniziare il sacrificio e laprocessione trionfale davanti a tutto il popolo di Roma festante. «Per questo», sembra dica triste e sconsolato il fantasma di Bereni-

    ce, rivolto a un altro invisibile fantasma che deve essere quello del-l’imperatore, «per questo potere, oggi divenuto rovina, tu mi hai sa-crificato».

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  • p. 7 Introduzione

    11 I. Il fantasma di Messalina, dissoluta moglie dell’im-peratore Claudio

    19 II. Il Colosseo, il consesso dei demoni di Cellini e le bel-ve fantasma

    25 III. Le ceneri dell’imperatore, l’obelisco egiziano dipiazza san Pietro e il fantasma di Cesare

    30 IV. Il fantasma di Berenice, l’amante dell’imperatoreTito

    35 V. Il Pantheon e i suoi abitanti misteriosi

    41 VI. Le catacombe romane, la via Appia Antica e un po-polo di fantasmi

    48 VII. La notte delle streghe e i fantasmi di Erodiade e disalomè al Laterano

    54 VIII. La storia di Beatrice Cenci, il più famoso fantasmadi Roma

    64 Ix. La Colonna degli spiritati in san Pietro

    69 x. Il corpo sparito di Athanasius Kircher e il suo spa-ventoso museo nel Collegio Romano

    77 xI. Il fantasma della Pimpaccia: donna Olimpia Mai-dalchini, la donna più temuta di Roma

    87 xII. La storia della Papessa Giovanna e il mistero di uninvisibile uomo/donna

    Indice

  • p. 94 xIII. Piazza Vittorio e la porta magica verso l’inferno

    101 xIV. I sepolcri profanati. Maria e Termanzia

    107 xV. Le follie di Borromini, e un suicidio assurdo: fu unfantasma a convincerlo?

    111 xVI. Un papa fantasma: Alessandro VI, la maledizionedei Borgia e una macabra inumazione

    117 xVII. Costanza de Cupis, la nobildonna dalle mani mozze

    122 xVIII. Il terribile fantasma di Lorenza, la moglie del contedi Cagliostro

    129 xIx. storia del marchese Luca de Marchettis, l’aristo-cratico che ancora terrorizza un quartiere intero

    133 xx. I carbonari Targhini e Montanari, fantasmi del-l’Anno del Signore, e il cimitero sconsacrato di Vil-la Borghese

    142 xxI. Il fantasma dei Cappuccini e il romanzo gotico dihawthorne

    151 xxII. shelley e Keats, fantasmi a Roma

    156 xxIII. dario Argento e il fantasmagorico quartiere Cop-pedè, i fantasmi di Villa Brasini, la Villa del Pianto

    163 xxIV. Il Museo delle Anime del Purgatorio

    169 xxV. I fantasmi di Emmeline e l’incredibile storia di Vil-la stuart

    172 xxVI. Gli ultimi fantasmi nella Roma contemporanea

    INdICE 183