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Lena Valenti

IL LIBRO DI JADEromanzo

Traduzione dallo spagnolodi Laura Miccoli

FANUCCI EDITORE

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Prima edizione: giugno 2012Titolo originale: El libro de Jade© 2010 by Lena Valenti© 2012 by Fanucci Editorevia delle Fornaci, 66 – 00165 Romatel. 06.39366384 – email: [email protected] internet: www.fanucci.itProprietà letteraria e artistica riservataStampato in Italia – Printed in ItalyTutti i diritti riservatiProgetto grafico: Grafica Effe

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Lena Valenti

IL LIBRO DI JADEromanzo

Traduzione dallo spagnolodi Laura Miccoli

FANUCCI EDITORE

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Non le piacevano i giorni nuvolosi; li detestava. Ormai dauna settimana il cielo minacciava l’arrivo di un tremendo ura-gano. Mancavano sette giorni alla luna piena, la notte del sol-stizio d’estate si stava avvicinando e in Catalogna, secondo latradizione, chiunque credesse nelle storie di magia e di stre-ghe si riversava nelle strade, accendeva dei falò e inventavaogni genere di sortilegio e di incantesimo per propiziarsi unavita di prosperità e di felicità.

Eileen si affacciò alla finestra della sua stanza, dalla quale sigodeva di una splendida vista di Barcellona, e alzò lo sguardoal cielo. Il suo husky bianco di tre mesi le si avvicinò e le raspòla gamba con la zampina. Eileen lo guardò, lo prese in braccioe sorrise mentre massaggiava con le dita la testa di Brave e tor-nava a fissare le nuvole maestose. Santo cielo, erano quasi inpiena estate e il tempo era minaccioso come in inverno. Allafaccia del cambiamento climatico! Tutti ne parlavano come seniente fosse, ma nessuno ne comprendeva davvero le conse-guenze.

Il 23 giugno si sarebbero svolti i festeggiamenti in occasio-ne di San Giovanni, la sua festa preferita, e se il clima avessecontinuato a peggiorare l’evento sarebbe stato celebrato sottol’acqua. Fin da piccola adorava quella festa, per lei davverospeciale, e non sapeva nemmeno spiegare come mai ne fossecosì affascinata. In quell’occasione la gente comprava la tradi-zionale coca di San Giovanni, un dolce ripieno di pinoli, o di

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crema oppure di capelli d’angelo; la volta celeste si illumina-va di fuochi artificiali, c’era musica da ogni parte e la notte piùcorta dell’anno si trasformava nella notte più lunga per moltigiovani e meno giovani alla ricerca di svago, di musica e diqualcuno con cui rotolarsi sulla sabbia delle spiagge del Me-diterraneo, per poi attendere insieme l’alba felici e confusi,spesso a causa dell’alcol.

Era più emozionata per l’arrivo di quella festa che per ilproprio compleanno. Ancora due giorni e avrebbe compiutoventidue anni. Ventidue. Un brivido le corse lungo la schiena,facendole venire la pelle d’oca sulla nuca e cancellando quelsorriso divertito che poco prima le era apparso sulle labbra. Sistrinse nelle spalle, strofinandosi le braccia per riscaldarsi.

Si voltò per dirigersi verso il letto, fermandosi prima difronte alla specchiera per ispezionarsi il corpo e il volto. La-sciò a terra Brave, che andò subito a mordere un topo di pelu-che, il suo giocattolo personale.

Eileen indossava un pigiama bianco composto di calzonci-ni e canottiera con le spalline sottili. La sua pelle abbronzatametteva in risalto un corpo semplicemente perfetto: snello,senza un briciolo di grasso, con due gambe lunghe e scolpite.Eppure non era il corpo ad attirare di più l’attenzione, ma ilsuo viso.

Il viso riflesso nello specchio era l’incarnazione del fascino edella seduzione. Una lunga chioma di capelli lisci e neri comeil giavazzo le ricadeva sulle spalle aggraziate. Le sopracciglia,nere come i capelli, disegnavano un arco perfetto e sensuale. Isuoi occhi erano di un azzurro-grigio talvolta impossibile dadefinire, incorniciati da ciglia nere e folte, talmente lunghe e in-curvate da sfiorare quasi gli zigomi, alti e ravvivati da un lieverosa pallido. Il naso era sottile ed elegante, e le labbra carnose,con i loro contorni precisi, facevano impazzire di desideriomolti suoi compagni di università: più d’uno aveva cercato diassaggiarle, ma senza successo. Il labbro inferiore, un po’ piùpieno dell’altro, sembrava chiedere a gran voce che qualcunolo mordesse e lo succhiasse fino allo sfinimento.

Al ricordo degli amici che, ubriachi persi, più di una voltale avevano chiesto un bacio per compassione, sollevò il men-

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to divertita e si passò l’indice sulla piccola e graziosa fossettache lo divideva in due. La sua amica Ruth le aveva detto cheavere una fossetta sul mento era segno di bellezza e armoniafisica; non sapeva se fosse vero, ma senza dubbio gli spasi-manti non le mancavano.

Accarezzandosi quel tratto che la caratterizzava, pensò asua madre. Chissà se ce l’aveva anche lei. Non avendola maiconosciuta, non poteva saperlo.

Doveva essere splendida, perché era certa di non assomi-gliare affatto a suo padre. Forse non riusciva a trovare nessu-na somiglianza perché Mikhail era sempre di cattivo umore,con la fronte accigliata e lo sguardo torvo. Magari se si fosserilassato un po’quando era con lei... Impossibile; scartò l’ideaall’istante. Era inutile prendersi in giro: lei doveva essere lafotocopia della madre. Non avere nessuna foto né un ricordodi lei le rendeva difficile giungere a una conclusione, ma l’in-tuito le diceva che doveva essere così.

Sua madre... Quanto le era mancata in quei quasi ventidueanni che stava per compiere. Mikhail le aveva raccontato cheElena era morta dandola alla luce. Aveva avuto delle compli-cazioni durante il parto e aveva perso molto sangue a causadelle ferite. ‘L’emorragia l’ha letteralmente prosciugata’le ave-va detto il padre senza un briciolo di tatto. Eileen impiegò unpo’ di tempo per scoprire il significato della parola ‘emorra-gia’. Acinque anni aveva già imparato a leggere alla perfezio-ne, così prese un dizionario e con le sue manine delicate cercòsotto la lettera E. Quando capì che, alla sua nascita, la madreaveva perso così tanto sangue che nessuno era riuscito a fer-marlo, scoppiò a piangere disperata e sprofondò nella tristez-za per molti mesi. Si sarebbe sentita in colpa per tutta la vita e,in ogni caso, ci avrebbe pensato suo padre a ricordarglielo.

L’hai uccisa tu. La colpa è tua.Eileen si rabbuiò al ricordo delle parole che più di una vol-

ta il padre le aveva rivolto. Respirò a fondo.«Sarai anche mio padre» sussurrò guardandosi allo spec-

chio «ma sei un grandissimo stronzo.»Dopo la morte della madre, Mikhail aveva bruciato ed eli-

minato ogni fotografia, video o immagine che potesse ricor-

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dargli la moglie, del tutto indifferente al fatto che la figlia po-tesse un giorno desiderare un ricordo di lei.

Era ovvio che avrebbe voluto non solo uno, ma migliaia diricordi della donna che l’aveva data alla luce. Ma lui glieliaveva negati, così come molte altre cose altrettanto importan-ti, l’affetto, l’amore e il calore di una famiglia. Anche se eranosoltanto in due.

Non le aveva mai dimostrato che la stimava, non gli sentìmai pronunciare un ‘ti voglio bene, tesoro’anche se dal pun-to di vista materiale non le mancava nulla e aveva tutto ciòche desiderava: lavorava nella ditta del padre come respon-sabile delle relazioni estere; aveva un buono stipendio che lepermetteva di soddisfare i propri capricci e le proprie neces-sità senza chiedere niente a nessuno. Si era pagata l’universi-tà da sola, così come l’auto, una BMW Z4 decappottabile bluelettrica che le piaceva da morire.

Sapeva parlare diverse lingue, tra cui lo spagnolo, il catala-no, l’inglese, il russo, il cinese e il francese. Il padre aveva unaditta di materiali e prodotti per sale operatorie e ospedali, per-ciò aveva bisogno di qualcuno che potesse gestire le comuni-cazioni commerciali a livello mondiale. Mikhail creava e ven-deva ogni genere di prodotti innovativi e all’avanguardia,dalle attrezzature chirurgiche alle formule per nuovi vaccini,e lei era responsabile, tramite i suoi contatti, di ricevere e di-stribuire le sostanze e la strumentazione.

Sul lavoro si rivolgevano appena la parola. Trascorreva lamattina all’impresa di famiglia e il pomeriggio all’università:la sua vita andava avanti così da cinque anni.

A casa non aveva quasi alcun vincolo affettivo, così nonaveva potuto fare altro che imparare, fin da bambina, a con-vivere con quel vuoto e creare quel tipo di legame al di fuoridelle pareti domestiche.

Ascuola e all’università si era fatta molti amici, ma curavae coccolava le amicizie di sempre, Ruth e Gabriel. Erano lorodue le sue colonne portanti. No, non colonne, di più: eranofratelli per lei. Si conoscevano dai tempi della scuola ed eranoinseparabili.

E poi c’era il suo medico, Víctor che, ormai da cinque anni,

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dopo la morte del suo precedente dottore, il signor Francesc,le monitorava ogni giorno il diabete. Veniva ogni sera, le con-trollava il livello di zucchero nel sangue e le somministraval’insulina. Lei odiava gli aghi e suo padre evitava qualunquecontatto intimo con lei, perciò aveva un medico personale chela curava, le praticava le iniezioni e poi se ne andava. L’intimi-tà che condividevano in quella stanza, mentre lui la visitava,aveva fatto nascere tra loro una bella amicizia.

La canzone Unwritten iniziò a suonare, distogliendola daquei pensieri. Si voltò e andò a frugare nella borsa Tous cheaveva lasciato sulla sedia. Prese il cellulare Motorola Dol-ce&Gabbana dorato, in serie limitata, e rispose, dopo aver let-to sullo schermo CHIAMATA DI RUTH. Andava matta per tuttequelle fighetterie.

«Hello» disse una voce all’altro capo del telefono. EraRuth.

«Ciao, pazza.»«Ho delle notizie da darti.»Eileen si sedette e indossò le pantofole a forma di coniglio.«Spara.»«Io e Gabriel abbiamo deciso che non ci mollerai qui tutta

l’estate mentre te ne vai a cazzeggiare a Londra.»Eileen sorrise.«Sai bene che non cazzeggio» ribatté accarezzando le orec-

chie del coniglio.«Può darsi che non sia tua intenzione, ma lo farai se non ti

accompagniamo noi due.»«Verrete con me quest’estate?» Sgranò gli occhi e inarcò le

sopracciglia, emozionata.«Tu cosa credi? Qualcuno dovrà pur toglierti di dosso tut-

ti i marpioni che ti ronzeranno attorno. Saresti come un cer-biatto circondato dai lupi. Ma non preoccuparti, noi ti perver-tiremo, ehm... volevo dire: proteggeremo.»

Eileen scoppiò a ridere. Come le piacevano i suoi amici.Ruth era meravigliosa e riusciva sempre a strapparle un sor-riso.

«Be’? Non dici niente?» la rimproverò Ruth. «Tipo... ti vo-glio bene, Ruth, sei geniale, Ruth, sei un amore...»

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«Sei fantastica. E sì, ti voglio tanto bene, strega.»«Così va meglio. È lì con te il dottor Živago?»«No, non è ancora arrivato.»«Dagli il mio numero di telefono, santo dio. Te lo dico io se

è gay o no.»«Sei incorreggibile.»«Per questo mi adori. Ti lascio, sto entrando in un parcheg-

gio e non c’è campo. Ti chiamo domani.»«Okay. Bacio.»«Bacio.»Con un sorriso riagganciò, lasciò il telefono sul letto, si pre-

se tra le mani i capelli di seta e li raccolse in uno chignon sgan-gherato per la notte. Era una grande notizia sapere che i suoidue migliori amici avrebbero trascorso con lei alcuni giorni inInghilterra. Guardò l’orologio digitale da uomo della Breil:non le erano mai piaciuti gli orologi da donna.

Il dottor Živago, come lo chiamava Ruth, sarebbe arrivatoa momenti.

Sbadigliò e si sedette in attesa di Víctor. Accidenti, avevauna voglia matta di festeggiare alla grande la sua laurea anti-cipata in pedagogia; era stata la migliore del corso e aveva bi-sogno di fare qualche bella pazzia: Eileen aveva un master inCalamità.

Come quel giorno in cui aveva preparato con le proprie ma-ni delle torte alla marijuana per i suoi diciotto anni e le avevadistribuite a tutta la classe, compreso il professore. Quel gior-no si trovava a uno dei sei incontri di Educazione sessuale e dicerto la lezione assunse toni molto espliciti quando la vicedi-rettrice Martínez, entrata solo per scroccare, si mise in boccadue pezzi di torta per poi ritrovarsi, poco più tardi, a leccarel’orecchio del dottor Jiménez, il responsabile del corso. A lec-cargli l’orecchio, in pubblico! Eileen non avrebbe mai immagi-nato che l’erba potesse essere afrodisiaca. E invece lo era, e an-che molto, a quanto vide quella volta.

O come il giorno in cui, due anni prima, il bellissimo mastupidissimo Gorka aveva cercato di palparla nella stanza deigessetti e dei cancellini. Senza dubbio, il suo caro amico Ga-briel si era preso gioco di quel povero ragazzo, dicendogli che

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lei voleva vederlo nella stanza delle pomiciate, meglio cono-sciuta come stanza dei gessetti. Gorka era entrato super emo-zionato: finalmente avrebbe potuto toccare quel corpo da ur-lo che aveva incantato mezza università. Ebbene, lei gli diedeuna bella lezione: lo afferrò per i testicoli, li strinse quasi finoa toccare con le dita il palmo della propria mano e poi lo sca-gliò contro la porta, facendolo precipitare fuori e cadere dispalle nel corridoio più affollato della facoltà.

Quel giorno discusse con Gabriel sulla differenza tra unoscherzo di buon gusto e uno di cattivo gusto. E quello non erastato affatto di buon gusto: Gorka non ebbe più il coraggio diguardarla in faccia.

Oppure quel giorno in cui... Toc toc.Eileen si alzò dalla sedia e aprì la porta della stanza. Un ra-

gazzo sulla trentina, leggermente più alto di lei, biondo, congli occhi neri e grandi, le sorrideva dalla soglia. La guardavacon dolcezza, in attesa che gli desse il permesso di entrare.

«Buonasera, Eileen» la salutò in tono garbato.«Ciao, Víctor» rispose. «Entra.»Si fece da parte per lasciarlo passare.«Oggi sei arrivato presto» commentò.«Sì» disse lui appoggiando la valigetta nera su uno dei co-

modini. «Oggi per fortuna ho evitato il traffico» rispose sorri-dendo.

ABarcellona, nelle ore di punta, era impossibile attraversa-re la città in auto senza restare imbottigliati per almeno trequarti d’ora.

Eileen si sedette sul letto e gli porse il braccio sinistro. Face-va quel gesto tutte le sere da quando aveva sette anni e ormaiera diventato meccanico; lo faceva con estrema naturalezza eormai non si sentiva più in imbarazzo. E neppure Víctor.

«Come sei stata oggi?» le domandò tirando fuori dalla vali-getta un misuratore di pressione sanguigna, mentre la osser-vava in attesa di una risposta.

«Come sempre: benissimo.»«Non hai avuto nausea, o sudori freddi, o formicolii?»«Niente» negò con la testa, facendo scivolare alcune cioc-

che di capelli neri sulle tempie.

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Víctor seguì con lo sguardo i suoi capelli ribelli, con il desi-derio irrefrenabile di rimetterglieli dietro le orecchie, così de-licate. Si schiarì la voce e tornò a concentrarsi sul lavoro.

«Meglio così» disse con voce un po’rauca.Eileen sollevò un sopracciglio e lo guardò di sbieco. Non era

stupida: sapeva bene cosa provocava negli uomini e Víctor, perquanto si sforzasse di essere discreto, non era immune al suofascino. Lei non aveva certo intenzione di attirare la sua atten-zione, non l’aveva mai voluto, ma sapeva che era inevitabile.

«È sempre stato così» gli disse cercando di farlo rilassare.«Grazie a te ho il diabete perfettamente sotto controllo. La miadieta è equilibrata e povera di grassi. Faccio sport tutti i giornie ogni sera mi inietti l’insulina. Non potrei essere più control-lata di così, non credi?» concluse sorridendo. «Ogni sera lestesse domande e le stesse risposte.»

«Non si sa mai, Eileen» commentò legandole attorno albraccio la fascia azzurra e premendo il pulsante. Guardò ilmisuratore e sorrise. «Centoventi su ottanta. Stai...»

«Sto bene. Ti ho già detto ‘come sempre’?» Inarcò le soprac-ciglia.

Víctor scosse la testa mentre si sforzava di non darle ragione.«Il diabete è capriccioso a volte.»«Ma non con me, per fortuna. Dubito che esista qualcuno

più controllato di me.»La fissò dritto negli occhi e rimase in silenzio.Eileen lo osservò imbarazzata e subito cercò di distogliere

l’attenzione, poi l’uomo si rese conto di essersi incantato e af-ferrò la valigetta con il misuratore per il diabete.

«Dammi l’indice» disse prendendole la mano.«No, forami un altro dito» rispose porgendogli l’anulare.

«Questo mi fa già abbastanza male.»Ogni due settimane cambiava dito della mano. La macchi-

na per controllare gli zuccheri nel sangue la sforacchiava sen-za pietà.

Víctor raccolse la goccia di sangue rosso e denso che usci-va dal polpastrello e la ripose su una fascetta bianca, inseritain un apparecchio digitale.

«Il tuo livello di glucosio è normale» affermò guardando il

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display del misuratore. «Molto bene» commentò, poi riposegli strumenti nella valigetta e tirò fuori una fialetta e una pic-cola siringa. La infilò nella boccetta e ne estrasse il liquido.Con una leggera pressione del pollice e dei colpetti sull’estre-mità della siringa fece uscire l’aria.

Eileen si pizzicò la gamba destra e attese che Víctor le infi-lasse l’ago in quel poco di carne che riusciva a trattenere tra ledita: aveva le gambe così toniche che non c’era carne flaccidada nessuna parte. I corsi di nuoto, difesa personale e spinningle avevano regalato un tono muscolare pressoché perfetto.

Lui le passò sulla pelle un pezzetto di cotone idrofilo e poile fece l’iniezione.

Eileen sibilò arricciando il naso.«Oggi ti ha fatto male» disse Víctor estraendo velocemen-

te l’ago.«Non è niente.» Sorrise, mentre si massaggiava piano il

muscolo.Dopo aver riposto tutto nella valigetta, Víctor si rilassò.«Allora?» La guardò con gli occhi sgranati. «Congratulazio-

ni per la laurea...»«Grazie» rispose lei. Si alzò e camminò verso un enorme

frigorifero a muro, all’altro lato dell’immensa stanza. «Il soli-to?» chiese guardandolo da sopra lo sportello del frigo.

«Sì, grazie.»Eileen prese una birra per lui e una bottiglietta d’acqua

frizzante per sé, poi si sedette al suo fianco.«Come festeggerai? Hai già pensato a qualcosa?» Inarcò le

sopracciglia ripetutamente. «Il 21 giugno è il tuo compleanno,no?»

Lei annuì con un sorriso: Víctor si ricordava sempre.«Credo che festeggerò tutto durante la festa di San Giovan-

ni» rispose bevendo dalla bottiglia di Vichy.«Ricorda che non puoi ubriacarti» si raccomandò mentre

beveva mezza birra in un solo sorso.«Non ho bisogno di ubriacarmi per divertirmi» ribatté, ag-

grottando la fronte.«Lo so. Volevo solo avvertirti. Tuo padre mi ha incaricato

di badare a te.»

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«Sei il mio dottore, non la mia bambinaia, Víctor.»«Sono il tuo dottore e devi darmi retta, Eileen» replicò usan-

do lo stesso tono della ragazza. «La tua salute e la mia vita sa-rebbero in pericolo se mai decidessi di combinare una delletue pazzie. Tuo padre è...»

«Mio padre può mettersi le sue raccomandazioni e le sueminacce dove preferisce» lo interruppe lei bevendo un altrosorso.

Minacce?, pensò Víctor. Mikhail non minacciava: passavadirettamente all’azione. Era un uomo senza scrupoli.

«Be’, si preoccupa per te, no?» commentò, guardandola ditraverso.

«Non essere cinico.» Scoppiò a ridere. «Confesso di non ca-pire la sua ossessione per la mia integrità fisica, ma io, comepersona, non gli sono mai interessata. L’unica cosa di cui loringrazio è di avermi dato la possibilità di studiare e di lasciar-mi vivere sotto lo stesso tetto. Più come un’inquilina che comeuna figlia, ovvio. Non mi ha mai abbracciata, lo sai?» La suavoce si velò di risentimento. «Nemmeno una volta» aggiunsedispiaciuta. «Ma tra qualche settimana la mia vita migliorerà»disse con determinazione, chiudendo le labbra, mentre unaluce di speranza balenava nel suo sguardo.

Víctor irrigidì la schiena e la guardò negli occhi.«Cosa vuoi dire?»«Me ne vado da Barcellona» rispose, sistemandosi una

ciocca di capelli che le ricadeva sul viso. «Mi allontano da quie dal suo controllo.»

«Come?»«In aereo.»«No, non intendevo questo... Insomma, perché?»«Il preside della facoltà si è messo in contatto con me per of-

frirmi di portare avanti un progetto in Inghilterra insieme adaltre future promesse nel campo della pedagogia. Si tratta diun progetto ambizioso e all’avanguardia in Europa: cercheròdi creare, insieme a un gruppo di pedagogisti, basi e metodi diinsegnamento per un nuovo sistema di istruzione primaria.Potremmo rivoluzionare un sistema educativo ormai obsole-to» spiegò con gli occhi pieni di speranza. «È fantastico.»

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Víctor si rabbuiò e contrasse la mandibola.«E Mikhail lo sa?»«Cambierebbe qualcosa se lo sapesse?» Sollevò un soprac-

ciglio. «No, non lo sa» rispose cupa, con lo sguardo fisso da-vanti a sé, reprimendo l’allegria che suscitava in lei il progetto.

«Non puoi tenerlo all’oscuro» obiettò lui, severo. «È tuopadre.»

«Sai cosa accadrebbe se glielo dicessi.» Ma certo che lo sa-peva: non l’avrebbe lasciata andare.

«Senti, sai bene che non sono d’accordo con il modo in cui titratta. Ma comunque...»

«Ormai ho deciso. Ho già comprato il biglietto: mi aspetta-no per settembre, ma vorrei arrivare a Londra con un po’di an-ticipo. Mi piace molto quella città e non mi farebbe male am-bientarmi prima di iniziare. Il mio aereo parte il venticinquegiugno.»

«Dovresti dirglielo» si raccomandò Víctor, alzandosi infretta e prendendo la valigetta. «Sono il tuo medico. Chi ti con-trollerà lì? Hai paura degli aghi, il sangue ti dà fastidio e...»

«Ci saranno dei medici anche lì» rispose Eileen, alzandosicon lui. Buttò la bottiglietta di vetro nel raccoglitore della dif-ferenziata e gli puntò un dito contro. «Se gli dici qualcosa, nonti parlerò più» minacciò. Poi lo squadrò dall’alto in basso e ag-giunse: «E comunque... dove vai vestito così?»

«Oggi non posso restare molto. Ho delle cose da fare» far-fugliò, abbottonandosi le maniche della camicia.

Eileen trattenne un sorriso malizioso.«Hai un appuntamento?» Il suo sorriso si allargò. «Gioche-

rai al dottore con una dottoressa?»«Santo cielo, Eileen...» sbuffò ridendole in faccia. «Quando

la smetterai di cercare di sistemarmi?»«Sei mio amico, hai trentadue anni e non hai mai avuto

una fidanzata da quando ti conosco.» Lo guardò divertita.«Mi preoccupo per te e per la tua discendenza.»

«Anch’io potrei dire lo stesso di te» replicò. «Non ti ho maivista con nessun ragazzo in particolare» precisò. «E non par-lo di quei cagnolini che ti stanno attaccati alla gonna e ti se-guono con la bava alla bocca, umiliandosi di fronte a tutti. Ga-

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briel è l’unico ragazzo che frequenti, ma lui sa bene che tra voic’è solo un rapporto platonico. Allora, cosa mi dici? Quandohai intenzione di buttarti?»

«Non ci sono uomini che mi interessino» tagliò corto, cor-rucciando le labbra nel tentativo di apparire arrabbiata.

«Donne?»«Non sono lesbica. Ma di questo passo... Ormai non scarto

più nessuna idea» rispose con una fragorosa risata.Alei piacevano gli uomini. Lo sapeva da quando aveva vi-

sto Keanu Reeves in Speed o Adam García, il bello di Le ragaz-ze del Coyote Ugly. Le piacevano mori, ne era sicura. Era veroche non si era mai sentita attratta da nessuno e, non appenaun ragazzo ci provava, lei lo respingeva. Senza contare il fat-to che non le piaceva che la toccassero. Ovviamente era ver-gine ma non le importava, perché credeva che offrirsi a qual-cuno fosse una cosa seria e se avesse deciso di farlo si sarebbeprima assicurata che si trattasse di una persona speciale. Ac-cidenti, doveva smettere di leggere Lisa Kleypas.

«A ogni modo» continuò a punzecchiarlo Eileen «io sononel fiore degli anni.» Poi incrociò le braccia e lo ispezionò dacapo a piedi. «Tu...»

«Oh» esclamò irritato. «Chiudi subito quella bocca, va be-ne, ragazzina?»

«Stavo solo scherzando» si giustificò, poi sollevò le bracciae sospirò. «Sei un uomo di bell’aspetto.»

Víctor scoppiò a ridere e diede per persa la discussione. Labaciò sulla guancia e si affrettò ad aprire la porta e a usciredalla stanza.

«Víctor» lo chiamò lei, facendosi più seria. «Mi sono fidatadi te. Lo sapete solo tu, Ruth e Gabriel. Non lo dirai a nessu-no, vero?»

«Non lo dirò. Fidati di me. Anche se avresti potuto parlar-mene prima» le rinfacciò. «Se sono tuo amico e mi vuoi cosìtanto bene...» La buttò sul drammatico.

«Non lo sapevo nemmeno io. Me l’hanno proposto e ho ac-cettato senza pensarci troppo. Mi riguarderò, promesso» lo ras-sicurò, incrociando le dita. «Non dovrai preoccuparti per me ecomunque rimarremo in contatto.»

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«Eileen, sei mia amica. Mi preoccuperò per te ovunque tusia. Ma stai attenta: se tuo padre lo scopre, farà chiudere l’ae-roporto di Barcellona per non farti partire» commentò pas-sandosi una mano tra i capelli dorati. «Lui non è un tipo chepuoi prendere in giro come vuoi.»

«Ma non lo verrà a sapere, vero?» Desiderava una confer-ma da parte sua.

«No, tesoro. Non da me.»Eileen gli sorrise.«Grazie.»«Grazie a te per la birra. Ci vediamo domani» concluse get-

tando la lattina nel bidone. Le fece l’occhiolino e se ne andò.No, lui non l’avrebbe tradita, ma c’era un’altra cosa che la

preoccupava: in fondo sapeva che Víctor aveva ragione.Mikhail non le voleva bene, eppure la trattava come se fos-

se di sua proprietà. Aveva incaricato degli uomini di tenerlad’occhio costantemente e lei era abbastanza sveglia da accor-gersi di questa sorveglianza. Controllava ogni suo passo, te-neva d’occhio ogni chiamata sul suo cellulare, i suoi accountemail... E per di più lo faceva senza il minimo ritegno.

No, suo padre non le voleva bene come a una figlia, ma se-condo lei nemmeno quel comportamento da maniaco ossessi-vo era normale. Avrebbe fatto il possibile per scappare da lui.Qualunque cosa. Dopo San Giovanni se ne sarebbe andata.

Con quel pensiero, osservando la pioggia che iniziava a ba-gnare le finestre, si infilò a letto e premette il pulsante dell’in-terfono sul muro.

«Daniel?» chiamò nel microfono.«Sì, signorina?» rispose la voce dall’altra parte.Daniel era la guardia di sicurezza all’ingresso.«È andato via il signor Víctor?»«Sì, è uscito proprio ora dal cancello, signorina.»«Bene, grazie.»Lasciò andare il pulsante dell’interfono e interruppe la co-

municazione. Si sistemò il cuscino e fissò il soffitto. Un sonnoimprovviso, dolce e intenso, minacciava già di chiuderle gliocchi. Un gradevole formicolio le scorreva nelle gambe e nel-le braccia che, tutt’a un tratto, erano diventate pesanti. Con un

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sospiro, sopraggiunse quel sonno profondo che sfiorava l’in-coscienza. Come ogni notte, si addormentò all’istante.

La villa era quasi al buio. Solo alcune luci erano ancora ac-cese e lui poteva vedere, grazie al bagliore che usciva dalle fi-nestre, di quali stanze si trattasse. Stava iniziando a piovereforte, ma a Caleb non importava di bagnarsi.

Non riusciva a credere che, finalmente, dopo diciassette an-ni, avrebbe vendicato la morte del suo migliore amico, Thor. Etrovava ancora più incredibile che ogni passo avanti nella ri-cerca dell’assassino l’avesse portato alla zona del Tibidabo, lamontagna di Collserola di Barcellona.

Barcellona non era un luogo molto frequentato dalla suagente. Era una splendida città, affascinante, cosmopolita e al-l’insegna della cultura, dello svago e del divertimento. Ma perquanto ne sapesse lui non era un territorio vanir: la luce e la vi-ta diurna della città non avrebbero potuto essere più scomodiper la sua gente.

Probabilmente, era questa la ragione per cui quel figlio diputtana di Mikhail aveva stabilito lì la propria dimora: nonavrebbero potuto dargli la caccia in quell’ambiente, o almenonon per molto tempo. Ma lui non sarebbe rimasto a lungo: sa-rebbe entrato, l’avrebbe interrogato e mutilato in un batter d’oc-chio; l’avrebbe fatto soffrire, colpendolo nei suoi affetti più cari.

La villa che aveva di fronte era un palazzo avvolto da unapineta e circondato da uno spettacolare giardino. La facciatadi pietra era ricoperta di fregi molto originali e colorati, manon troppo ridondanti.

Notò che sulla facciata ovest c’erano due torri. Una di esseera la stanza della sua prossima vittima.

Lei era lì, fredda e distante, terribilmente bella. Come pote-va una creatura così avvenente racchiudere tanta malvagità?Non l’aveva mai vista da vicino, tuttavia quella posa, quellapelle dolce e delicata e il suo profilo slanciato non lasciavanoalcun dubbio: era appetitosa come un cioccolatino. Un cioc-colatino ripieno di acido.

Quando lei si allontanò dalla finestra, Caleb osservò la ca-sa con i suoi occhi color verde elettrico e pensò a quanto

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avrebbe potuto essere spettacolare senza quei fari azzurro-gnoli e giallastri che la illuminavano. Agiudicare dalla dimo-ra, Mikhail doveva aver guadagnato una fortuna grazie allecarneficine e agli esperimenti sulla razza vanir.

Lui e sua figlia erano diventati ricchi. La figlia Eileen era laresponsabile delle relazioni pubbliche della ditta; era in con-tatto con tutti i fornitori e si occupava di richiedere le appa-recchiature, le droghe e gli strumenti necessari a procederesui corpi dei membri del suo clan. Proprio come era accadu-to al suo amico.

In realtà, Eileen se ne lavava le mani, perché non aveva ache fare direttamente con le vittime; a questo pensava suo pa-dre. Bastarda... Non sapeva chi odiare di più, tra la principes-sina di ghiaccio che tirava il sasso e nascondeva la mano e l’as-sassino senza scrupoli.

Gli tornarono in mente le immagini di Thor mutilato: suuna delle braccia squartate che ritrovarono in quel containeravevano visto un marchio con su scritto NEWSCIENTISTS, unaditta che si occupava di ricerche scientifiche. Avevano segui-to quella traccia per anni e non era stato affatto facile, a causadel gran numero di imprese e società di copertura che impe-divano di scoprire la vera natura della fondazione.

Ora sapeva, lì impalato sotto la pioggia, zuppo dalla testaai piedi, che uno degli azionisti maggioritari di quella societàera l’uomo che viveva nella villa di fronte ai suoi occhi.

Mikhail Ernepo. Uno dei colpevoli dell’assassinio di Thor,uno dei tanti che dovevano pagare per la persecuzione a cuiavevano sottoposto i Vanir.

Si sarebbe divertito alla grande con lui e con la figlia, pensòmentre si passava la lingua sulle labbra. Quando avevano sco-perto che la figlia di Mikhail lavorava con lui non potevanoimmaginare che fosse così appetitosa. Senza dubbio avrebbeassaporato quel bocconcino finché lei non l’avesse supplicatodi fermarsi, e lui sapeva benissimo che non sarebbe stato négentile né educato con lei.

I fari di un’auto che si avvicinava illuminarono per qualchedecimo di secondo la zona di bosco dove era nascosto, in ag-guato. Si coprì gli occhi con la mano.

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Dall’Honda Civic nera uscì un ragazzo biondo, alto quan-to lui, con una valigetta nera.

«Secondo le nostre indagini» disse una voce penetrante al-le sue spalle «il suo nome è Víctor e lavora per Mikhail. Fa vi-sita alla ragazza ogni sera.»

Caleb guardò indietro e salutò Samael con un cenno delmento. Era alto uno e novanta, come lui. Aveva i capelli lunghi,castani scuri, con una ciocca bianca sul lato sinistro. I suoi occhierano di un colore grigio pallido e il suo volto freddo e duro co-me il granito incuteva rispetto in chi lo conosceva e timore inchi lo incontrava per la prima volta.

«Stanno insieme?» domandò Caleb fissando Samael con ilgelo negli occhi.

«Può darsi. Lui le fa visita tutti i giorni. Ogni sera.»«Tra tutti quelli che sono in casa» proseguì Caleb, con lo

sguardo carico di determinazione fisso di fronte a sé «oltre asua figlia, chi altro è al corrente dei suoi esperimenti?»

«Non saprei» rispose con una smorfia sulle labbra. «Non cre-do che i domestici sappiano quanto è sadico il loro principale.»

«Ci occuperemo di Mikhail e di sua figlia Eileen. Solo di lo-ro» lo avvertì. «Lui ci svelerà quali tecniche usano per le ricer-che su di noi» aggiunse, serrando la mandibola. «E lei ci con-durrà a tutti i contatti e i fornitori implicati.»

«Ricerche? Mi sembra un eufemismo per descrivere ciòche fanno con noi, non credi? Ci sventrano, ci tolgono le inte-riora e ci uccidono come animali. Siamo esseri immortali, Ca-leb, ma ci pensano loro a rubarci l’immortalità, sgozzandocie strappandoci il cuore.»

Caleb strinse i pugni con rabbia, ma doveva rilassarsi senon voleva perdere il controllo prima del tempo. Una voltacatturato Mikhail, gli avrebbe strappato il cuore, le unghie, gliocchi, dopo averlo scotennato vivo e... No. No, gli occhi sareb-bero stati l’ultima cosa: Mikhail doveva prima vedere cosaavevano in serbo per la sua cara bambina. L’avrebbe legata a...La sua mente si bloccò, i muscoli si contrassero e gli venne l’ac-quolina in bocca. All’improvviso non riusciva a pensare, masolo a sentire. Da dove veniva quell’improvviso odore che gliannebbiava il cervello?

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Samael si irrigidì e perlustrò la zona. Lo sentiva anche lui.Caleb fiutò l’aria e chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare

da quell’estasi inaspettata. Era un odore particolare, un pro-fumo che gli dava alla testa come una droga e risvegliava tut-ti i suoi sensi.

Profumava di cheesecake ai lamponi appena sfornata.«Per gli dèi...» fu tutto ciò che riuscì a dire. «Chi ha questo

odore?»Sentì che i canini fremevano per allungarsi e le pupille si di-

latavano come non mai. Doveva controllare i suoi istinti. Siguardò in mezzo alle gambe. Oh, no: aveva un’erezione da re-cord; la coprì con le mani, premendoci sopra per rilassare quel-l’organo senza cervello, così impetuoso, caldo e difficile da con-trollare.

«Viene dalla casa?» domandò Samael con i canini comple-tamente sviluppati e gli occhi neri.

«È il profumo di una donna» rispose Caleb, inspirando dinuovo. «Chi ha questo odore?» ripeté.

«Una donna molto appetitosa.» Samael si leccò i baffi.«Concentrati, Samael» gli ordinò. «Sono tutti ai loro posti?»

Doveva togliersi quell’aroma dalle narici. L’inguine gli facevaun gran male e i jeans scuri, sebbene fossero larghi, non aiuta-vano a placare il dolore. Avrebbe cercato l’origine di quel pro-fumo inebriante in un altro momento.

«Sono tutti pronti a ricevere un nuovo ordine.»«Bene. Aspettiamo» sentenziò, grato di sentire che l’odore

era scomparso.C’era forse una domestica in quella casa in grado di anneb-

biare così i suoi sensi? Non aveva mai provato nulla di simile,mai sentito un profumo del genere. Scosse il capo, nel tentati-vo di cancellare quella strana sensazione.

Attesero ancora un po’ in silenzio, fermi, nascosti, eccitaticome due tigri in agguato. Venti minuti dopo uscì di nuovo ilragazzo biondo. Sembrava andasse di fretta, mentre si liscia-va i capelli con le mani.

«Accidenti... Le ha aperto le gambe, se l’è scopata e può giàandarsene a casa» commentò Samael in un sussurro. «È statomolto veloce, non credi, Caleb?»

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Caleb lo guardò di sbieco e sorrise.«Dimmi, quale vendetta hai in serbo per lei, Cal?» gli do-

mandò Samael sollevando un sopracciglio.«Qualunque essa sia» rispose, volgendo di nuovo lo sguar-

do di fronte a sé e seguendo Víctor con gli occhi «ti assicuroche non sarò così veloce. Sarà molto lunga» ringhiò sommes-samente.

«Qualunque cosa tu voglia fare, lasciaci guardare. Anchenoi vogliamo darle ciò che si merita.»

«No» tagliò corto Caleb.«La vuoi tutta per te?»«Voglio umiliarla e castigarla tanto quanto te, ma eravamo

d’accordo che tu ti saresti occupato di Mikhail. Non è nella no-stra natura maltrattare in questo modo una donna. Però faròciò che devo per ottenere le informazioni.»

«Non è nella nostra natura, eh? Nemmeno nei confronti diuna che sta contribuendo al nostro sterminio?» Lo fissò furen-te. «Quella sgualdrina ha anche collaborato all’assassinio dimio fratello, Caleb. Thor era la mia famiglia. Anch’io voglio lamia parte.»

«Va bene. Prima andrai da Mikhail, mentre io andrò da Ei-leen» sentenziò, scrutando in direzione della finestra dellagiovane. «Quando mi sarò sfogato con lei, faremo cambio.»

Naturalmente non aveva intenzione di farlo, ma se questobastava a placare Samael... La punizione che aveva in menteper la ragazza sarebbe stata più che sufficiente e, sebbenel’odio verso di lei e verso il padre fosse incontenibile, nonavrebbe comunque permesso che fosse sottoposta agli stessimetodi di tortura che Newscientists utilizzava sui membridel suo clan.

Samael prese fiato e inspirò a fondo, rilassando la schienae il volto teso.

«Bene. Questo mi piace già di più.»Un’altra auto si stava avvicinando al cancello: una BMW ne-

ra. L’autista uscì e andò ad aprire la portiera a un uomo alto ecorpulento, con i capelli brizzolati, il naso aquilino e la barbafatta di recente.

Caleb e Samael si misero sull’attenti: era Mikhail.

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L’aria divenne così densa che era difficile respirare. Era pal-pabile l’odio smisurato che sprigionavano i due corpi nasco-sti tra i pini.

Víctor gli andò incontro. Si scambiarono una forte strettadi mano, seguita da alcune parole.

«Cosa ne facciamo di quello?» domandò Samael guardan-do Víctor. «Facciamo fuori anche lui?»

«Vedremo...» rispose. «Per ora abbiamo due pezzi moltoimportanti che possono portarci in molti posti. Ma può darsiche più avanti ne avremo bisogno.»

Caleb, che si trovava a quasi trecento metri di distanza, te-se l’orecchio e ascoltò la conversazione.

«...Sta bene, è nella sua stanza» disse Víctor.«Tutto normale?» domandò Mikhail interessato.«Come sempre» confermò l’altro, guardando l’orologio da

polso. «Ho fretta, Mikhail, a domani.»Mikhail lo seguì con lo sguardo finché l’Honda Civic non

se ne fu andata.Caleb li studiò entrambi: a quanto diceva il loro linguaggio

non verbale, non avevano un buon rapporto. Sembrava cheMikhail lo forzasse in qualche modo e si percepiva una man-canza di fiducia tra loro.

Mikhail spostò lo sguardo sulla pineta circostante e con isuoi occhi neri ispezionò il perimetro. Subito dopo entrò incasa zoppicando.

«Samael» chiamò Caleb, senza perdere di vista lo zoppo.«Avvisa tutti di stare pronti. Appena Mikhail sarà dentro, entre-remo anche noi. Di’ loro di venire tra mezz’ora con le auto da-vanti all’uscita.»

Samael annuì e si allontanò per chiamare gli altri con la tra-smittente che aveva attaccata all’orecchio.

Caleb inspirò a fondo mentre lasciava che la propria natu-ra scorresse nelle vene come un fiume di lava ardente: gli oc-chi divennero scuri come la notte, i canini bianchi e brillanti siallungarono fino a sfiorare il labbro inferiore. Sebbene fosseancora bellissimo in un modo selvaggio, chiunque l’avessevisto si sarebbe dato alla fuga.

Non si sentiva orgoglioso di quanto stava per fare. La sua

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missione era quella di proteggere gli umani, non di dar lorola caccia. Tuttavia, né Eileen né Mikhail potevano essere defi-niti umani, a suo parere: si erano resi responsabili dell’omici-dio del suo migliore amico. Loro, insieme alle altre societàche catturavano persone con strane mutazioni genetiche, co-me i Vanir, al solo scopo di studiarne e sfruttarne le facoltà,stavano sterminando la sua razza. Non potevano restare im-puniti, non l’avrebbe mai permesso. Soprattutto perché an-che l’umanità doveva liberarsi di individui come loro, e lui eil suo clan erano stati scelti per proteggere quell’umanità.

Lanciò un grido all’aria. Calma. Aveva bisogno di calmarsio non si sarebbe goduto la tortura. Proprio come avevano im-maginato, c’erano una guardia all’ingresso, altre due guardiedel corpo all’interno della casa e tre pastori tedeschi slegati ingiardino.

Caleb poteva comunicare con gli animali, poiché quello erail dono che gli era stato concesso, così i cani erano sotto con-trollo. Restavano solo da sottomettere la guardia e i due arma-di che vegliavano sulla sicurezza di padre e figlia all’internodella villa.

Sorrise malizioso: sarebbe stato facile. Con un’espressioneserena, si diede una spinta sulle gambe, flettendo i muscoli, espiccò un salto al di sopra dei pini. I suoi capelli neri ondeg-giavano al vento, incorniciando un volto felino e determina-to. Si preparò per atterrare sulla cabina della guardia di sicu-rezza.

Mikhail ordinò alla domestica di aiutarlo a togliersi il so-prabito fradicio di pioggia e di portargli un bourbon. Ogni se-ra più del solito.

Ogni volta tornava a casa dai laboratori, dopo aver esami-nato decine e decine di campioni di sangue che per lui eranocome libri chiusi, poi si sedeva sul divano e si faceva un bic-chiere.

Cosa, scientificamente parlando, rendeva il DNA di queimostri così dannatamente complesso? Non riusciva a trovarela soluzione e non avere il controllo sulle cose lo mandava sututte le furie.

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Si buttò sul divano in pelle marrone dell’ampio salone. Ilpavimento della sala era di parquet scuro. Un enorme tappe-to con motivi arabi decorava il salotto. Quattro figure di pie-tra erano strategicamente poste in ogni angolo della stanza:figure di guerrieri di terracotta, condannati a stare perenne-mente all’erta.

La domestica, tracagnotta, bionda e dalle guance rosee, gliservì il bourbon in un elegante bicchiere di cristallo, posando-lo sul tavolo di avorio bianco. Con un timido inchino, se ne an-dò e lo lasciò solo.

Mikhail prese il bicchiere tra le dita e osservò il liquido am-brato ondeggiare piano, mentre lo muoveva disegnando pic-coli cerchi con la mano. Stava per scoprire qualcosa. Gli annipassavano e la lunga attesa doveva giungere al termine: do-veva trovare l’anello mancante, quella differenza tra loro e gliumani.

Stava bevendo il primo sorso quando sentì degli strani ru-mori provenire dal giardino. Si alzò dal divano con sguardodiffidente e azionò la ricetrasmittente argentata che si trovavasul tavolo.

«Daniel?» domandò, aspettando una risposta. «Va tuttobene?»

Silenzio. Nessuno rispose.Mikhail spostò lo sguardo in direzione dell’ampia vetrata

che dava sul giardino. Sembrava non ci fosse nessuno. E i ca-ni... perché diavolo non latravano?

«Jorge, Louise» gridò ai due gorilla per richiamarli al suofianco.

Immediatamente due energumeni, di taglia XXXL, si posi-zionarono alle spalle di Mikhail. Erano gemelli: calvi, dallapelle bruna e di pessimo umore.

«Cosa succede, signore?» domandò uno di essi.«Non riesco a contattare Daniel. Uno di voi vada a vedere

se la sua ricetrasmittente funziona.»Jorge, leggermente più alto dell’altro, uscì dalla sala in cer-

ca di Daniel. Giunto in giardino vide tre corpi distesi a terra,inanimati. Aggrottando la fronte si avvicinò: erano i tre pasto-ri tedeschi.

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Si accovacciò per esaminarli. Non sembravano feriti, ma so-lo... addormentati. Com’era possibile? Alzò lo sguardo per lo-calizzare la guardiola, ma ciò che vide lo spaventò: all’internonon c’era nessuno e non c’era traccia di Daniel.

All’improvviso udì dei passi alle sue spalle: una presenzaenorme e possente. Si voltò con cautela, timoroso di fare mo-vimenti bruschi, e si trovò di fronte un uomo dalle spalle lar-ghe, alto quanto lui, ma più corpulento e con più capelli, chelo guardava con aria gelida e divertita.

«Cercavi questo?» domandò Caleb gettando ai suoi piediil corpo esanime di Daniel.

Jorge sgranò gli occhi, sgomento, mentre Caleb incrociavale braccia e gli sorrideva. Daniel aveva una brutta ferita allatesta.

La guardia del corpo fissò Caleb, gli guardò la bocca e vide,con sua grande sorpresa, che dalle labbra scendeva un sottilefilo di sangue. Caleb si era tagliato da solo coi canini, ma l’uma-no immaginò che avesse morso il collega.

I suoi denti erano lunghi e affilati e le sue pupille nere, cer-chiate da un’aureola verde più chiara che nessun umano ave-va mai visto, davano l’impressione di appartenere a un essereletale, responsabile dello stato letargico della guardia di sicu-rezza. Un vampiro?

Nervoso, cercò di tornare sui propri passi per avvisare Mi-khail dell’accaduto, ma Caleb lo prese per il petto e lo sollevòa mezzo metro da terra.

«Dove credi di andare?»«Ti... ti prego... Lasciami andare...»Caleb squadrò l’uomo, tremante e pallido, che si aggrap-

pava saldamente ai suoi polsi.«Benissimo» commentò con un sorriso, schioccando la lin-

gua. «Se è questo che vuoi...»Con una forza sovrumana lo scagliò a più di venti metri di

distanza, al di sopra degli alberi. Si udì un colpo secco, un os-so rotto, seguito da un ruggito di dolore. Caleb guardò dovel’aveva lanciato.

Si servì della sua vista notturna per osservare il modo in cuiil corpo di Jorge, a poco a poco, perdeva calore. Era svenuto.

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Fece un cenno con la testa a Samael per dirgli di entrare acercare Mikhail. Dal folto degli alberi, correndo alla velocitàdel vento, Samael si diresse all’interno della casa, affamato.Mentre lui si occupava di Mikhail, Caleb avrebbe pensato allaprincipessina.

Un attimo dopo, guardò in direzione della torre in cui sitrovava la stanza di Eileen. Si diede di nuovo una spinta suitalloni e volò verso il balcone, dove ricadde a quattro zampee andò ad aprire la finestra. Lei era lì, addormentata.

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Eileen cercava di uscire dallo stato di trance in cui si trova-va. Il suo sonno era così profondo da non permetterle di apri-re gli occhi, anche se stava lottando per farlo. C’era qualcosache non andava: sentiva che qualcuno la stava osservando,chiamandola e incitandola a uscire dal letto.

Caleb stava tentando di svegliarla con il potere della men-te. Provava a infilarsi nei suoi sogni e a farla uscire da lì. Do-veva convincerla, attirarla verso di sé, tuttavia non era facileentrare nella sua testa.

Eileen percepì una minaccia, una fitta al cuore. Doveva sve-gliarsi, ma perché non ci riusciva? Si concentrò con tutte le sueforze e cercò di muovere le palpebre. Immagini sfocate dellastanza le si materializzarono di fronte come ombre fantasti-che. Iniziò a riprendere coscienza del suono della pioggia, delvento che le accarezzava il viso. Vento? Tentò di aprire un po’di più gli occhi e spostò lo sguardo sulla finestra: era aperta.

Si schiarì la vista a fatica e le prese un sudore freddo alle ma-ni. Come mai la finestra era aperta? Prima che si addormen-tasse era chiusa. Si sentiva stordita.

Erano anni che non si svegliava di notte. Il suo sonno dura-va ininterrottamente dal momento in cui si coricava fino aquando suonava la sveglia. Non si era mai svegliata prima.

Si alzò e posò i piedi sul parquet. Lo tastò in cerca dellepantofole a forma di coniglio, guardò l’orologio e azionò ilpulsante della lucina per vedere l’ora. Erano passati appena

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venti minuti da quando si era stesa sul letto. Aprì gli occhi, fi-nalmente del tutto sveglia.

Si alzò e allora vide qualcosa che la lasciò impietrita: c’eraun uomo nascosto tra le ombre della stanza. Un uomo con legambe e le braccia aperte la spiava come un animale in cercadella preda e, ai suoi piedi, Brave, il suo amato cane, era diste-so supino con le zampe all’aria e dormiva placidamente. Sta-va dormendo, vero? Spaventata guardò di nuovo l’uomo.Quel tipo gocciolava dalla testa ai piedi. Il cuore le batteva al-l’impazzata nel petto e la respirazione si fece agitata.

Lui fece un passo avanti, lasciandosi illuminare dalla luceche filtrava dalla finestra. Quell’uomo, completamente vesti-to di nero, che si era infilato nella sua stanza, era avvolto dal-l’aura più potente che lei avesse mai percepito in tutta la suavita.

Ma perché stava parlando di aura? Che ne sapeva lei di que-ste cose? Scosse piano il capo, aspettando che l’immagine del-l’uomo sparisse, sperando invano che si trattasse di un sogno.Eppure, erano anni che non sognava, da quando le avevanodiagnosticato il diabete.

Ancora più nervosa realizzò che lui si stava avvicinando.Era enorme: quel corpo occupava tutto e divorava il suo

spazio vitale senza alcun ritegno. Lo guardò in faccia: santocielo, era la creatura più bella che avesse mai visto in vita sua.Aveva i capelli lunghi, neri come il giavazzo, leggermente on-dulati, che gli ricadevano sul viso. Le ciocche grondavano ac-qua e le gocce gli scivolavano sulla faccia, seguendo i suoitratti ben definiti.

Il suo viso... Gesù: quel viso era pura sensualità, una pro-messa di dolce virilità nascosta nella sua espressione, sebbe-ne non avesse mai immaginato che le parole dolce e virile po-tessero coesistere. Gli occhi verdi più incredibili del mondo, ilnaso perfetto, le labbra carnose e una fossetta sul mento. Co-me la sua, ma quella di lui era molto più pronunciata.

Un calore inaspettato iniziò a invaderle lo stomaco.Deglutì e Caleb la squadrò dalla testa ai piedi. Gli aveva ri-

sposto: aveva risposto alla sua chiamata. Eccola di fronte a lui,con i capelli che le ricadevano sul viso e dietro la nuca. Il petto

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le si sollevava in modo agitato come se avesse corso la marato-na. Il suo delizioso petto, tonico e sodo. Mmm... Che vogliaaveva di morderlo e succhiarlo. La fissò negli occhi. Era dolcee, sebbene gli dispiacesse ammetterlo, era bellissima. Eccitato,le ammirò la bocca.

Eileen si inumidì le labbra sapendo che lui le stava guardan-do la bocca. Cosa stava facendo? Perché non scappava di corsadalla stanza gridando e chiedendo aiuto? C’era un uomo, undio pagano della bellezza. Era sola con lui nella sua stanza...Perché non riusciva a muoversi?

Cercò di inviare degli ordini alle proprie estremità, maqueste non le obbedivano. Come aveva fatto a entrare e a elu-dere i sistemi di sicurezza che quel paranoico di suo padreaveva fatto installare tutt’attorno alla casa?

Caleb seguì con lo sguardo la lingua della ragazza e soffo-cò un ringhio. Era dolce, sì. E anche sfacciata.

«Vieni» le disse Caleb senza distogliere lo sguardo dalla suabocca.

Eileen rimase immobile. Cosa sarebbe successo se si fossemossa? Aveva la sensazione che quell’estraneo dal fascinodevastante avrebbe potuto farle qualunque cosa. Be’, a lei e achiunque altro.

Caleb le diede un altro spintone mentale. Perché non gli ri-spondeva? Di certo era colpa di Mikhail: doveva averle inse-gnato a proteggersi da loro e a erigere delle barriere mentaliaffinché le onde non potessero arrivarle. Mentre pensavaqueste cose, contrasse un muscolo del mento.

Eileen riuscì a fare un passo avanti. Stava iniziando a tre-mare.

«Vieni» ripeté lui.La sua voce era delicata e accattivante, ma non poteva an-

dargli incontro. Lui era un estraneo e, nonostante riuscisse aleggere nei suoi incredibili occhi quanto fosse eccitato, c’eraqualcosa di vendicativo nel suo sguardo, qualcosa che la spa-ventava, sebbene anche lei si sentisse a sua volta eccitata. Co-m’era assurdo sentirsi attratta da un uomo che non conoscevae che per di più sembrava non avere buone intenzioni. Che dia-mine, si era addirittura introdotto furtivamente in casa sua!

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«No» sussurrò coprendosi il collo con un gesto inconsape-vole. «Chi sei? Esci dalla mia...»

In un batter d’occhio, Caleb si scagliò su di lei, l’afferrò per lespalle e la bloccò contro la parete. Il colpo fu duro e lei gemettedi dolore. Le faceva male la schiena, ma non era questo il pro-blema. Le avrebbe fatto del male davvero? L’avrebbe uccisa?

«Cosa vuoi?» domandò con voce tremante.Caleb la prese per i capelli e con uno strattone violento la

obbligò a piegare la testa all’indietro. Eileen gridò. Un dolorelancinante le saliva lungo il collo, di certo dovuto a uno strap-po muscolare. Era un selvaggio ed erano soli.

«Sssh...» sussurrò Caleb a un centimetro dalla sua bocca,senza lasciarle i capelli.

Com’era bella. E com’era perfida. Chinò la testa sul suo col-lo, poi inspirò a fondo mentre percepiva i fremiti di Eileen. Sì,sentiva l’odore della paura e del panico.

Le mani di Eileen cercarono di respingerlo.«Non mi toccare» disse lui abbassando lo sguardo sulle

mani di lei e scostandole con uno schiaffo. Le tirò di nuovo icapelli.

Eileen lo colpì con forza sul petto.«Lasciami, figlio di puttana! Brave, Brave, svegliati» urlò nel-

la speranza che l’husky venisse in suo soccorso. Finalmente riu-sciva a reagire. Sentì le lacrime accumularsi in gola.

«Sta’zitta» le intimò appoggiando tutto il corpo contro il suo,poi con una mano sola le afferrò i polsi e li spinse contro la pare-te, sopra la sua testa. «Hai paura?» le domandò fissandola negliocchi. «Non puoi gridare, non puoi chiedere aiuto. Nessunoverrà ad aiutarti, sgualdrina, quindi non sprecare tempo.»

Sgualdrina? Sgualdrina?!«Hai ucciso il mio cane?» gli chiese soffocando un singhiozzo.«Il tuo cagnolino sta dormendo.» Inalò di nuovo il suo pro-

fumo e, studiando con attenzione ogni parte del suo corposnello, le sfregò con il naso la carotide che si intravedeva sottola pelle del collo. Perché mai le stava dando delle spiegazioni?Sentì il pene diventare più duro di una roccia e premette l’in-guine contro quello di Eileen.

«Chi sei? Cosa vuoi da me?» Lo guardò con aria di sfida,

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mentre cercava di evitare quel contatto intimo. Voleva allonta-narsi dal fuoco che sembrava scaturire dal corpo dell’uomo.

Però! La ragazza aveva del fegato, pensò Caleb. Dovevafarle abbassare la cresta.

«Cosa voglio da te? Fammi pensare...» ribatté mentre con lamano libera le accarezzava la gola, la clavicola e la fessura tra iseni.

Eileen strinse le labbra e si accorse che gli occhi le si inumidi-vano. Scostò il volto per prendere aria e per non dargli la sod-disfazione di vederla piangere. Com’era possibile che le stessecapitando questo?

Caleb si sentì vittorioso di fronte a quella vulnerabilità.«Accidenti» esclamò, poi senza pudore le afferrò la canot-

tiera e la strappò fino a scoprirle il seno. «Questi vestiti da put-tana non valgono nulla: si rompono facilmente» aggiunse ti-rando la canottiera con un sorriso cinico.

«L’unica puttana che indossa quel genere di cose è tua ma-dre» lo insultò Eileen cercando di lottare. Voleva liberare i pol-si, ma lui la stringeva così forte che di certo le avrebbe spezza-to le ossa o, come minimo, le avrebbe lasciato dei lividi.

Caleb la guardò dalla testa ai piedi con un sorriso malizio-so. Perfino seminuda era ancora fiera e orgogliosa.

«Qualcuno deve insegnarti le buone maniere, Eileen. Manon preoccuparti, ci penserò io a sottometterti.»

Eileen impallidì nel sentirsi chiamare per nome.«Come fai a sapere chi sono? Vuoi dei soldi? Vuoi...?»«Tu non puoi offrirmi niente» le sussurrò all’orecchio. «Non

voglio niente da te.»Eileen comprese che era stato tutto premeditato. Suo pa-

dre era un uomo ricco e potente e poteva essere vittima diuna simile atrocità: sequestro, estorsione, raggiri, furti...

«Dov’è mio pa... padre?» domandò, senza più riuscire atrattenere le lacrime.

«È di sotto, in ottime mani. Non piangere» le disse fingen-do di provare pena per lei. «Poverina...»

Le strusciò di nuovo l’inguine addosso; un irrefrenabile ca-lore gli percorreva tutto il corpo, mentre la rimirava nei mini-mi particolari.

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Eileen si sentiva ardere sotto quello sguardo. Si sentiva as-sediata, umiliata, spaventata... Ma quegli occhi che la fissava-no le lasciavano sulla pelle una scia di fuoco. Cosa le stava fa-cendo? Si dimenò e infilò una gamba tra le sue, poi alzò ilginocchio e gli sferrò un colpo secco e violento.

Caleb gemette e cadde a terra in ginocchio, con le mani sul-l’inguine. Lei corse via a quattro zampe per soccorrere Brave,mentre le lacrime le scendevano sulle guance senza control-lo; sembrava che il cagnolino fosse morto ed era preoccupatache non si svegliasse più.

«Brave, piccolo» sussurrò stringendoselo al petto. Avevabisogno del calore del suo amico per sentirsi forte. «Piccolomio, apri gli occhi per me. Non lasciarmi...»

Caleb si alzò, alle sue spalle, e la vide dondolarsi con inbraccio il cane. Avrebbe potuto fuggire, tuttavia aveva prefe-rito proteggere Brave. Scacciò dalla mente quei pensieri, cheper un attimo gli avevano fatto credere che la ragazza potes-se dimostrare lealtà e devozione nei confronti di un cane. Ca-leb ruggì come un animale selvatico e lasciò che i canini gli siallungassero come le zanne di un predatore.

«Eileen.»Lei smise di dondolarsi. Aveva paura, molta paura per

quanto poteva accaderle. Non capiva nulla: non sapeva se sitrattasse di un semplice ladro o di qualcuno che li spiava damolto tempo per pianificare un colpo. E se fosse stato soltan-to uno psicopatico violentatore? Eppure non poteva esseresolo questo: la guardava con odio e risentimento, come se leigli avesse fatto qualcosa di orribile, ma era impossibile. Nonaveva mai litigato con nessuno, né aveva mai fatto del male aqualcuno di proposito.

Sentì che una mano forte le si appoggiava sulla testa e l’af-ferrava per i capelli. L’uomo la tirò fino a farla alzare. Lei cer-cò di conficcargli le unghie nei polsi, ma il mostro non prova-va alcun dolore.

La scagliò di nuovo contro la parete, stavolta più forte. Ei-leen rimase senza respiro per l’impatto e si sforzò di ripren-dere fiato per riempire i polmoni.

Caleb osservò il suo seno ondeggiare. La prese per il men-

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to prima che cadesse a terra e la obbligò a guardarlo, sebbenelei si sforzasse di evitarlo.

«Guardami» le ordinò.Lei avvertì un calore improvviso che la invitava a ubbidi-

re. Quella voce era sexy, suadente. Di certo se le avesse chie-sto di suonare il flauto mentre dipingeva un quadro con i pie-di, l’avrebbe fatto a occhi chiusi. Tremando, ubbidì e desideròall’istante di non averlo mai fatto.

Il suo volto non era cambiato molto, ma dalla sua boccaspuntavano dei canini più appuntiti e più lunghi di quelli diBrave e il suo sguardo non era più bello e dannato, ma si era tra-sformato in una smorfia crudele e minacciosa: era la bocca di unpredatore. Eppure, anche così, le sembrava sempre meraviglio-so. Cosa diavolo stava succedendo? Chi era quell’uomo?

«Sai già chi sono» rispose, leggendole quasi nella mente.«Tu e tuo padre ci date la caccia, quindi non fare tanto l’inno-cente.»

Eileen non riusciva a chiudere gli occhi: doveva continuarea guardare quello spettacolo per assicurarsi che fosse reale.

«Non so di cosa tu stia parlando» sussurrò con gli occhiinondati di lacrime.

«E così non solo sei complice di assassinio, ma sei ancheuna bugiarda.»

«Non so di cosa tu stia parlando» gli gridò di nuovo a uncentimetro dalla faccia. Osservò bene i denti e gli occhi. «Noncredo ai... vampiri. E qualunque cosa tu sia, schifoso psicopati-co, non so cosa vuoi da me. E se anche tu vo... volessi qualcosa,non otterresti nulla tra... trattandomi così.»

Lo stava sfidando? Caleb le afferrò di nuovo i polsi e glieliappoggiò contro la parete, sopra la testa.

«Non mi importa quanto resisterai. Alla fine sarò così durocon te che sarai tu a chiedermi pietà e a confessare tutto.» Lasua voce era tagliente come una spada. «Avete ucciso e perse-guitato la mia gente senza tregua. Li sottoponete a esperimen-ti di ogni genere, li squartate, li tenete in vita per poi torturarlie vedere come rispondono agli stimoli.»

«Credo che tu... stia sbagliando persona.» Le ginocchia lecedevano, le battevano i denti e stava per svenire. «Senti, per-

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ché non te ne vai e facciamo fin... finta che non sia successonulla? Io non... non di... dirò niente.»

«Sei una puttana, una codarda» la insultò con disprezzo.«Ti dico io cosa farò con te. Prima ti caricheremo sull’auto checi sta aspettando, poi ti porteremo a Londra su un aereo pri-vato. Lì ti condurrò in una stanza con le pareti di vetro.» Die-de un’occhiata ai suoi morbidi seni e ai capezzoli scuri: avevaun corpo fantastico. Senza poterlo evitare, le aprì le gambecon le sue e si insinuò tra di esse. Premette la propria erezio-ne tra le cosce della ragazza, sollevandola da terra di un cen-timetro mentre, con la mano libera, le agguantava un seno inmodo brutale. Era così delicato e turgido...

«No... per... per favore... Fermati» singhiozzò lei cercandodi richiudere le gambe.

Caleb la fissò in volto. Il calore delle sue cosce era invitante.Voleva strapparle via i pantaloncini e fare con il suo corpo co-se proibite in alcuni Paesi. Lei era arrossita, aveva le guanceumide di pianto e un lieve sudore le imperlava il collo facen-dolo brillare: brillava per lui. Il suo sguardo gli toglieva il fiato,sebbene avesse gli occhi gonfi di lacrime. E quella bocca...

L’animale in lui era sul punto di scattare e di divorarla, inogni senso, ma doveva aspettare. Non era ancora il momento.

Con l’indice e il pollice, afferrò un capezzolo e lo strofinò,stavolta con più delicatezza. Un attimo prima le aveva afferra-to il seno con violenza e ora voleva farla eccitare.

«Guardati, Eileen» le sussurrò mentre le leccava il lobo del-l’orecchio.

Lei ansimava. Era forse una specie di carezza?«Ascoltami» proseguì mentre le accarezzava il petto, cer-

cando di placare la sua ansia di – perché negarlo? – posseder-la lì e subito. «Ti rinchiuderò con me in quella stanza di vetroe tuo padre sarà lì a guardare. Anche la mia gente sarà lì aguardare. Ti legherò al letto, ti spoglierò e giocherò con te neimodi più inverosimili che tu possa immaginare, fino a farti ri-velare tutto quello che sai. E la cosa più umiliante sarà che tuopadre sarà presente per vedere la sua bambina eccitarsi conme ogni volta che vorrò. Vedrà come lo tradisci provando pia-cere con uno come me: una creatura che odiate.»

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Eileen non riusciva a credere alle proprie orecchie. Rivela-re cosa? Voleva possederla in pubblico?

«Sei un mostro.» Lo guardò in faccia senza scoraggiarsi.«Uccidimi ora. Uccidimi, ti prego» lo supplicò in tono ango-sciato.

Ben lontana dal sembrare una ragazza stupida e spaventa-ta, Eileen stava dimostrando molto coraggio in quell’assurdasituazione. Caleb negò col capo.

«No» rispose soppesando un seno con la mano. «Devi pa-gare, Eileen. Voi mostrate pietà per noi quando siamo indife-si nelle vostre sale operatorie?» Le rivolse uno sguardo caricodi disprezzo. «No.»

«Dev’esserci un errore» disse lei con un filo di voce. Quellamano la stava marchiando a fuoco. «Smettila di toccarmi!»urlò furiosa.

Caleb alzò un sopracciglio e, con aria di sfida, aprì la bocca.Cosa voleva fare?

Lo capì subito quando le posò la bocca sul capezzolo destro.Eileen fu scossa da un fremito. Si sentì umiliata e mortificata

da quanto le stava facendo, ma provò ancora più vergognaquando un calore umido e palpitante le si concentrò nell’ingui-ne. Contrariata, crollò e scoppiò a piangere senza controllo. Lalingua di Caleb giocherellava con l’areola scura e indurita dal-le sue carezze. La leccava, disegnando piccoli cerchi, e la suc-chiava come se fosse un neonato. Soffiava sul capezzolo e loraffreddava per poi rimetterselo in bocca con la stessa foga.

Caleb sapeva che la ragazza era al limite: ne percepiva la pau-ra. Lei credeva che le avrebbe morso e squarciato il seno. Inter-ruppe la tortura quando si rese conto di essere davvero sul pun-to di farlo: sapeva benissimo che stava per conficcarle i dentinella pelle, così allontanò la bocca dal capezzolo e alzò la testa.

Era più alto di lei di una spanna. Eileen non voleva piùguardarlo. Non voleva, non poteva.

«Ci sarà tempo per questo... Il tuo corpo risponde al miocontatto» la schernì in tono vittorioso. «E no, non ti sfigurerò.»

Eileen si irrigidì sentendogli pronunciare ad alta voce ipropri pensieri.

«Anche se te lo meriteresti» continuò lui.

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«Cosa sei?» domandò con un filo di voce e con gli occhibassi.

«Secondo te, qualcosa che non merita di vivere.»Questo era un altro dei suoi pensieri.«Esatto, e mi stai dando ragione. Sei un mostro che... che

abusa delle donne» lo accusò con disprezzo. «Un essere sen-z’anima né cuore che gode nel sottomettere gli altri al propriovolere. E se la tua gente è così, se... se è questa la vostra natura,allora... spe... spero che continuino a torturarvi co... come haidetto che... che fanno.»

Era l’ultima cosa che si aspettava di sentir dire da una don-na apparentemente intimorita da lui, da un’assassina.

Una vena iniziò a palpitargli sulla tempia, mentre un mu-scolo del mento si muoveva senza controllo. Aggrottò la fron-te e le strinse i polsi finché non udì un rumore secco.

Eileen piegò il capo all’indietro e gridò fino a non avere piùaria nei polmoni, certa che le avesse rotto il polso. Scossa daspasmi incontrollabili cercò di non piangere ad alta voce: nonvoleva dargli nessuna soddisfazione. Si morse forte il labbronel tentativo di dimenticare il dolore al polso destro, ancorastretto nella morsa insieme al sinistro.

«Credi che io stia giocando, Eileen? Credi che mi piacciatutto questo? Diversamente da voi, no. Mi hai sentito?» Lastrattonò.

Gli dèi sapevano bene che non era così; odiava trattare unadonna a quel modo, ma lei si stava prendendo gioco di lui. Eraconsumato dall’ira e ogni suo gesto sembrava guidato dallasete di vendetta. Non aveva mai fatto del male a una donna enemmeno ora era sicuro di averlo fatto apposta: non era suaintenzione romperle il braccio. Doveva dosare meglio la forza,perché lei era più fragile di lui. Ma sentirle proferire quelle pa-role sui Vanir gli aveva fatto perdere il controllo.

«Non ti ucciderò. Ti incatenerò a me per l’eternità, così an-ch’io pagherò per i miei peccati, anch’io mi punirò per ciò chesto per farti» sussurrò sollevandole di nuovo il mento con lastessa violenza. «Non mi credi? Ti trasformerò in una di noi enon potremo mai più liberarci l’uno dell’altra. Sarai la miaputtana per l’eternità. Per sempre» enfatizzò con odio.

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Lei sentì una stretta alla bocca dello stomaco.«Non voglio essere come te» replicò. «Mi ucciderò prima

che ciò accada o troverò il modo di uccidere anche te. Mai!Meglio morta» ripeté scuotendo la testa da una parte all’altra.«Non so cosa ti ho fatto perché tu mi tratti così, ma ti giuro cheti stai sbagliando» gli disse cercando di non perdere la pro-pria dignità. «Mi punirai senza conoscermi, senza ragione. Iosono innocente.»

«Innocente?» Inarcò le sopracciglia rivolgendole unosguardo libidinoso. «Questo lo deciderò io.»

Con uno strattone la staccò dalla parete e la obbligò a cam-minare davanti a sé. Lei inciampò e con la mano destra si ap-poggiò allo stipite della porta per non cadere. Un dolore la at-traversò dalla punta delle dita fino alla spalla e la fronte le siimperlò di sudore; non aveva mai sudato così tanto in vitasua. Si sentì le gambe deboli e il pavimento iniziò a girare.

Caleb la afferrò per la vita prima che potesse cadere a terra.Cosa stava facendo? Cosa gli importava se fosse caduta

male? Come se le mani gli bruciassero, la spinse di nuovo a-vanti.

«Cammina» le ordinò.Eileen trattenne un conato e si bloccò bruscamente di fron-

te alle scale.«Non ti dirò niente finché non mi darai qualcosa con cui

coprirmi.»Era impazzita? Perché aveva detto così? Ora lui avrebbe

creduto che avesse davvero a che fare con la follia di cui le ave-va parlato. Ma davvero quel mostro le avrebbe creduto? No.

Attese una risposta.Silenzio.«Puoi leggermi nella mente?» gli domandò di fronte a quel

silenzio. «Leggila e controlla se ti sto mentendo.»«Non riesco a entrare nella tua mente e sai bene perché: tuo

padre ti ha insegnato a proteggerti. Finora non sono entratonella tua testa, ho solo indovinato a cosa stavi pensando. Iltuo sguardo è molto espressivo quando sei spaventata, quin-di smetti di fare finta di non sapere di cosa parlo. Non sei in-nocente.»

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«Ti prego» lo supplicò ancora, senza voltarsi.Strinse il pugno della mano sinistra, mentre la destra stava

iniziando a gonfiarsi e il polso assumeva un colore tra il vio-laceo e il nero. «Mio padre non mi ha insegnato nulla.»

«Menti.»«No... Io... Lascia che mi copra» lo implorò. «Non lasciare

che altri mi vedano.»Oh, sì. Era davvero una gran brava attrice.«Sono l’ultima persona a cui tu possa chiedere un favore,

Eileen. Non appartieni più a te stessa: ora sei dei Vanir e tiguarderanno e ti toccheranno ogni volta che io vorrò. Sarai lamia concubina. Preparati a perdere la dignità.» Eileen non po-teva vederlo sorridere, ma raddrizzò le spalle quando percepìil piacere che lui provava nel pronunciare quelle parole. Laspintonò di nuovo. «Ora, cammina. Di sotto ti stanno aspet-tando.»

La sua vita era finita. Era indifesa, sola e mezza nuda, nel-le mani di individui non umani che assomigliavano a queivampiri che lei credeva potessero esistere solo in un mondoinventato.

Meno di un’ora prima aveva un futuro, una vita davanti a sé,ed era la sola a essere padrona di sé stessa. Cinquanta minutiprima avrebbe potuto scegliere con chi fare l’amore, quanti fi-gli avere, quali progetti realizzare... Adesso quell’uomo se lastava portando via come una schiava.

Chinò il capo e, trascinando i piedi scalzi, iniziò a scenderele scale: stava scendendo all’inferno.

Arrivata nella sala, Eileen vide il corpo di Louise a terra.Aprì la bocca per strillare, ma subito soffocò il grido con la ma-no, negando con la testa. Non poteva succedere davvero, nonpoteva essere vero.

Louise aveva gli occhi all’indietro, la bocca aperta e il collospezzato. Era morto.

Caleb aggrottò la fronte alla vista del cadavere. Non aveva-no detto che avrebbero preso solo Mikhail ed Eileen? Solo lo-ro. Non c’era bisogno di uccidere nessuno.

«Samael!» ruggì Caleb notevolmente irritato.Samael non rispose.

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Caleb obbligò Eileen a continuare a camminare. Era pietri-ficata, quasi sotto shock; si copriva il seno con gli avambracci,cercando di abbracciarsi, scossa dai tremori e da un sudorefreddo.

«Samael!» chiamò di nuovo Caleb, mentre osservava la ra-gazza che non riusciva a controllare i brividi.

Arrivati nel salotto, vide che Samael teneva Mikhail per ilcollo. L’aveva alzato da terra e stava bevendo il sangue dallasua gola squartata.

Eileen strinse forte gli occhi, nel tentativo di riprendere ilcontrollo del respiro; stava iperventilando.

Il corpo del padre penzolava senza vita dalle mani di quel-l’uomo. Il sangue gli sgorgava dal collo, macchiando la cami-cia bianca, i pantaloni e le scarpe. I piedi erano ancora scossida alcuni spasmi e, dalla punta della suola, il liquido rossogocciolava fino a formare un’enorme pozza sul pavimento.

«Samael, no!» gridò Caleb, correndo verso di lui.Samael lasciò cadere il corpo senza vita del padre di Eileen,

facendogli sbattere forte la testa sul parquet. Poi, il Vanir pie-gò la testa all’indietro, strinse i pugni e ruggì come un leone.

Eileen ebbe l’impulso di tapparsi le orecchie, ma se l’aves-se fatto avrebbe lasciato scoperto il seno. Ma che importanzaaveva ormai? Avevano ucciso Louise e suo padre, e il suo ca-ne Brave giaceva immobile in camera sua. Cosa le importavase le avessero visto il seno? Eppure non lo scoprì. Con il visopallido e lo sguardo assente, si lasciò cadere in ginocchio.

Caleb la vide cedere e fu combattuto tra il desiderio di aiu-tarla ad alzarsi e quello di agguantare Samael e strattonarlo.

«I ragazzi stanno arrivando, Caleb.» Lo sguardo affamatodi Samael squadrò Eileen dalla testa ai piedi. Con l’avambrac-cio si pulì il sangue che gli colava dall’angolo della bocca. «Maguarda quant’è sexy la...»

Caleb lo afferrò per il colletto della camicia e lo sollevò daterra, strattonandolo.

«Sei diventato pazzo, Samael?» lo rimproverò, mostrandoi denti. «Perché l’hai ammazzato?»

«Ora sì che ho vendicato mio fratello.»«Non vendicherai nessuno se non potremo usarli per cat-

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turare tutti gli altri. Credi che potrà condurci ai capi dell’orga-nizzazione, ora che l’hai ucciso? Cosa credi che avranno daperdere adesso? Eh?» Lo scosse con rabbia. «Stupido! Hai fat-to fuori il loro migliore scienziato.»

«Abbiamo ancora lei» replicò Samael, prendendolo per ipolsi e fissando la ragazza.

Quando Eileen si accorse che quell’assassino la stava guar-dando, si alzò all’improvviso e si rintanò in un angolo della sala.

«Hai rovinato tutto» sussurrò Caleb lasciandolo a terra.«Non preoccuparti, Caleb. Lei ci porterà dagli altri» ag-

giunse Samael.Altri due uomini, vestiti di nero e con lunghi capelli bion-

di e lisci, entrarono nel salone.Eileen osservò i quattro individui di fronte a lei: le loro

schiene erano il doppio della sua. Erano incredibilmente for-ti e imponenti.

Uno dei due biondi appena entrati aveva i capelli raccolti inuna coda alta, gli occhi di un azzurro chiarissimo, il mento o-stinato, un sopracciglio tagliato e labbra seducenti.

L’altro aveva i capelli raccolti in un cordino nero, indossatoa mo’di diadema. Le ciocche lunghe gli ricadevano sulla nu-ca fino a sfiorare le spalle. Le ciglia ondulate e lunghe incorni-ciavano due occhi blu scuri e le sue labbra carnose disegnava-no un sorriso storto.

Quest’ultimo guardò Eileen, che stava ancora appoggiataalla parete e scuoteva la testa.

«Avete iniziato la festa senza avvisarci» insinuò in un tonosensuale. La squadrò da cima a fondo ignorando il corpo diMikhail. «Gnam, gnam...»

Eileen si strinse tra le braccia con forza.«Caleb» disse l’altro biondo. «Chi si è mangiato Mikhail?»«Sono stato io» ribatté Samael indicando sé stesso. «Voi non

capite cosa provo. Questo bastardo ha ucciso mio fratello, miofra-tel-lo» scandì con enfasi. «Quando ce l’ho avuto di fronte,non... non ho saputo controllarmi.» Diede un calcio al cadave-re disteso a terra.

«Thor era anche il mio migliore amico» lo interruppe Caleb.«Sei stato indisciplinato, Samael. Hai disubbidito agli ordini.

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Cahal, Menw,» chiamò rivolgendosi ai due biondi «è tuttopronto?»

Cahal, quello con la coda di cavallo, annuì mentre passavadi fianco a Caleb e si dirigeva verso Eileen. Lei cercò di indie-treggiare, ma alle sue spalle c’era solo la fredda e dura parete.

«Le auto sono davanti alla guardiola» rispose Cahal mentrele guardava le mani che le coprivano il seno. Era a un passo dalei. La guardò in faccia. «Gli aerei ci stanno aspettando. E tunon dovresti coprirti, se non vuoi che ci arrabbiamo» le sussur-rò a un soffio dal viso.

Samael si allontanò da Caleb e a passo rapido raggiunseEileen.

«Cahal» disse Samael, mettendo un braccio intorno al col-lo del compagno. «La assaggiamo?»

Eileen si lasciò cadere a terra scivolando con la schiena giùper il muro. Voleva morire.

«Insieme?» domandò Samael soffocando una risata. «Cre-di che potrà sopportare tutti e due?»

«Non so tu,» rispose Cahal alzando un sopracciglio «ma ioce l’ho enorme.»

«Allora tu davanti e io dietro.» Schioccò la lingua con sdegno.«Io ce l’ho più grosso di te.»

«Figli di puttana...» sussurrò Eileen alzando lo sguardo sudi loro con gli occhi umidi. «Non so chi fosse tuo fratello, mase era come te» disse a Samael «spero che prima di squartar-lo gli abbiano sfondato il culo con un bastone.»

Cahal sibilò e inarcò le sopracciglia.«Wow, che lingua lunga.»Samael osservò l’espressione divertita dell’amico e poi

guardò la ragazza.L’afferrò per il polso rotto e la sollevò di peso. Eileen vide le

stelle e fu sul punto di perdere i sensi, poi lui la scagliò controla parete e le sferrò un pugno in faccia. La giovane vide tuttonero: sentì un retrogusto di ferro in bocca e un dolore allo zi-gomo, freddo e ardente allo stesso tempo. Le mani violente diSamael la spinsero con la faccia contro il muro, le immobiliz-zarono i polsi dietro la schiena e le separarono le gambe men-tre l’uomo le si appoggiava addosso.

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«Allora, mi dirai tu se a mio fratello è piaciuto o no, quan-do avrò messo il mio bastone nel tuo.»

«Lasciala.»La voce di Caleb risuonò per tutta la casa e Samael si voltò

per guardarlo da sopra la spalla. Eileen continuava a sin-ghiozzare e a tremare come un animale indifeso.

Ecco cos’era: un animaletto indifeso nelle mani di quattro lu-pi affamati.

«Perché?» domandò Samael mentre appoggiava con forzail corpo alle natiche della ragazza.

«Se non la lasci, io e te finiremo per litigare» lo avvertì Caleb,collerico. «Noi eravamo i più vicini a Thor, perciò il clan ci haconcesso di decidere come portare a termine la nostra vendet-ta. Non è così?» ruggì minaccioso.

Samael fissò la nuca di Eileen e poi guardò lui. Infine annuì.«Bene, Samael. Tu ti sei occupato del padre senza condivi-

derlo né con me, né con altri. Cahal e Menw sono qui per te-stimoniarlo. Non è vero?»

I due biondi fecero un cenno affermativo.«Dunque credo sia mio diritto divertirmi con Eileen da solo»

continuò Caleb. «Soltanto io. Non ho motivo di condividerlacon te e, se le torci un solo capello, ti assicuro che ti sfiderò a mor-te. Tu o chiunque altro» concluse, lanciando uno sguardo di av-vertimento a Menw e a Cahal. «È chiaro?»

Eileen fu sorpresa dalla freddezza e dalla determinazionecon cui Caleb cercava di proteggerla. Samael la lasciò andaree ritrasse i canini.

«È chiaro, Caleb.»«È chiaro?» urlò rivolto agli altri due.«Chiarissimo» risposero intimiditi.«Voglio la mia vendetta tanto quanto te, Samael» aggiunse

più calmo. «Ma ci sono cose che non approvo, per esempio latua condotta di oggi. Quando arriveremo in Inghilterra, do-vrò ricordarti qual è il codice di comportamento dei Vanir. Ei-leen sarà mia: non voglio che la usiate e che me la restituiate incattivo stato. Oggi non la toccherete.»

Caleb posò lo sguardo sulla leggiadra curva della schienadi Eileen e sorrise di sbieco.

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«E domani?» domandò Cahal.«Chi lo sa? Dipende da come si comporta a letto.»Eileen desiderò ucciderlo.Samael lo guardava fisso senza rispondere.«Ora pulite tutto e cancellate le prove, mentre noi vi aspet-

tiamo in auto» ordinò Caleb.Ubbidirono senza fiatare. Alla velocità del vento, sfode-

rando un sacco di poteri incredibili, ripulirono il parquet, ri-costruirono gli oggetti rotti e sotterrarono i corpi.

Caleb osservò la ragazza: aveva ancora la faccia contro ilmuro e non osava muoversi né aprire gli occhi. Camminò ver-so di lei e le appoggiò una mano forte e possessiva su una spal-la, obbligandola a voltarsi.

Eileen se lo scrollò di dosso, facendogli capire che non vo-leva essere toccata, ma Caleb le afferrò le mani e con violenzala girò verso di sé.

«Ora ascoltami be...» Si zittì quando vide ciò che le avevafatto al volto quel bruto di Samael e impallidì ancora di piùquando fiutò il sangue che sgorgava dal taglio sullo zigomo:cheesecake ai lamponi appena sfornata.

«Tu?» sussurrò inorridito.Eileen si coprì di nuovo il seno e si voltò di lato. Caleb ave-

va fame. Una gran fame: sessuale e fisica. Lei era il dolce.«Non mi importa cosa mi farai, ma che ne sarà di Brave?»

gli domandò senza poter controllare il tremore nella voce.Era più preoccupata per il cane che per la morte del padre.

Perché? Era forse colpa dello shock?Caleb vedeva solo le sue labbra muoversi, senza sentirne la

voce. Erano labbra sensuali, leggermente arrossate dal colpoe dal sangue.

«Ucciderai anche lui?» Lo fissò più tranquilla, notando chesul volto dell’uomo c’erano di nuovo una bocca meravigliosa,senza canini sporgenti, e due occhi dolci e pericolosi del colo-re del mare di un’isola caraibica.

Anche? Chi aveva ucciso lui? Era stato Samael, non lui. Lasua ingiusta accusa lo fece infuriare.

«Ti ho detto che sta dormendo e si sveglierà non appenaglielo ordinerò io. Non ora.»

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«Non mi permetti nemmeno di salutarlo?» Aveva la golasecca e infiammata dal sale delle lacrime.

Caleb provò per quella donna qualcosa di simile alla tene-rezza, ma il sentimento svanì all’istante.

«No, non te lo permetto.» La prese per un braccio e la tra-scinò in malo modo fuori dalla casa.

Una pioggia torrenziale cadeva su Barcellona; la notte erabuia e il cielo era illuminato soltanto dai lampi. Eileen tremavadal freddo, ma accolse di buon grado la sensazione di freschez-za dell’acqua, che la riscosse dal torpore. Due Porsche Cayen-ne nere, con i vetri oscurati, attendevano accanto alla guardio-la. Erano vuote. Adue metri da lì c’era un altro corpo a terra: eraDaniel e aveva gli occhi chiusi e un taglio sanguinante sullafronte. Era svenuto?

«Non è morto» disse Caleb. Si accovacciò e gli appoggiò lamano sulla testa per sussurrargli qualcosa. «Quando ti sveglie-rai, ricorderai che Mikhail ed Eileen sono dovuti partire all’im-provviso per lavoro. Non saprai quando torneranno. Tuttoprocederà normalmente. Non mi hai mai visto. Sei inciampatoe hai battuto la testa.»

Lei rimase a bocca aperta. Era sbalordita. Poteva fare questo?Poteva dare un ordine a qualcuno usando quel tono di voce?

Caleb aprì la portiera dell’auto e la obbligò a salire. I sedilidi pelle beige si stavano inzuppando. Lui non entrò subito;andò ad aprire il bagagliaio e ne estrasse un sacchetto di pla-stica richiudibile con dentro qualcosa di rosso e spugnoso,poi salì in macchina.

«Prendi.» Le lanciò la borsa, che la colpì proprio sullo zigo-mo ferito.

Eileen gemette di dolore, ma fu stupita di trovare nella bu-sta un asciugamano. Non aveva intenzione di ringraziarlo,ma ne fu sorpresa. Di certo gliel’aveva tirato perché non ba-gnasse la pelle dei sedili. Cercò di aprire il sacchetto con unamano sola, giacché l’altra non rispondeva ai comandi. Avevagli arti intorpiditi.

«Non ti hanno insegnato ad aprire una busta di plastica,sgualdrina?»

Eileen desistette.

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«La aprirei se potessi usare entrambe le mani. Ma mi hairotto il polso, sono mezza nuda, ho freddo e mi si sta gonfian-do la faccia» aggiunse con sarcasmo. «No, credo che nessunomi abbia mai insegnato ad aprire una busta in queste condi-zioni, mostro.»

Caleb borbottò, le strappò bruscamente di mano il sacchet-to, lo aprì e le restituì l’asciugamano tirandoglielo in faccia.Con movimenti lenti e silenziosi, Eileen afferrò il telo con cosìtanta forza che le nocche della mano buona sbiancarono. Luimise in moto, guardandola di sbieco, soddisfatto per averlafatta arrabbiare. D’un tratto la giovane aprì il finestrino e tiròl’asciugamano in strada con un grido di rabbia.

«Cosa credi di fare?» le domandò lui, meravigliato.«Non voglio nulla da te. Preferisco prendermi una polmo-

nite o morire di freddo piuttosto che accettare qualcosa da unassassino come te» lo accusò, puntandogli un dito contro.

Caleb la fissò, impassibile.«Vuoi che parliamo di assassini? Non ho ancora cominciato

con te, Eileen. Non provocarmi» la avvisò in tono pacato ma ge-lido.

«Be’, quando comincerai ti converrà anche finire con me»gli suggerì con gli occhi rossi e irritati. «Perché altrimentismuoverò cielo e terra per ritrovarti e distruggerti. Assicuratidi lasciarmi del tutto inerme! Perché, per quante poche forzemi saranno rimaste, ti cercherò e ti ucciderò. Lo giuro.» Stavatremando non solo per il freddo, ma anche per la rabbia.

Lui ammirò il suo valore: era debole, ammaccata, ferita nel-l’orgoglio e tuttavia stava ancora lottando. Se non fosse stataquella che era, forse...

«Mostro. Vi chiamate Vanir, vero?» Lo squadrò dalla testaai piedi contenendo l’ira che la corrodeva. «Meritate tutto ciòche vi fanno.»

Non aveva paura di lui? Non ne aveva avuto abbastanza?Perché non lo temeva?

«Non mi fai paura» aggiunse la giovane con sdegno e di-sprezzo.

Ma si sbagliava: se c’era qualcuno che doveva avere pauradi lui, era proprio lei. Caleb sorrise malizioso.

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«Quindi credi che sia giusto quello che ci fate» commentòallungando di nuovo i canini. «Bene. Non ti coprire, sgualdri-na» le ordinò.

«Vai al diavolo.»«Ti ho dato l’asciugamano e l’hai rifiutato. Ora non coprirti.»Con le labbra tremanti, continuava ad abbracciarsi il petto

per nasconderlo, così Caleb frenò di colpo e fermò l’auto albordo della strada. Afferrò la leva del sedile di Eileen e lo ri-baltò all’indietro, stendendola. Si slacciò la cintura di sicurez-za e con uno scatto si portò sopra di lei.

«Avete ucciso donne e bambini» le sussurrò tirandole dinuovo i capelli e costringendola a guardarlo in faccia. «Aveteviolentato le donne, asportando gli organi e perfino i feti daquelle incinte. Strappate i bambini ai loro genitori e li obbliga-te a guardare mentre li mutilate. Fate esperimenti su di loroper vedere come reagisce la loro pelle al sole e poi ripetete laprocedura per studiarne i tempi di recupero. Uccidete e tortu-rate.» Le diede uno strattone ai capelli. «Ti meriti tutto quelloche ti farò a partire da ora.»

Chi era capace di fare qualcosa del genere?, si domandavaEileen mentre fissava quegli occhi verdi. Davvero esisteva gen-te così selvaggia? Ma cosa c’entravano lei e suo padre in tuttoquesto?

«Ma... ma... io non... non ho nulla a che fare con... con que-sto» gli sussurrò in tono supplichevole. «De... devi credermi,Caleb.»

Caleb irrigidì la schiena quando la udì pronunciare il suonome per la prima volta. Le lasciò andare i capelli e le appog-giò le mani ai lati della testa, poi la osservò con attenzione.Era smarrita, sottomessa, ferita da lui e dai suoi amici e giace-va inerme sotto di lui, con le braccia piegate sul petto e le ma-ni livide. Avevano appena ucciso suo padre e lei voleva lotta-re per la propria libertà, per la propria vita, ma non potevaingannarlo: lei era quella che firmava e dava l’autorizzazionea trasportare e spostare da una sede all’altra la merce, gli stru-menti e i farmaci. Era la figlia di Mikhail e tra loro doveva es-serci abbastanza confidenza da collaborare a un progetto delgenere. Non poteva essere all’oscuro di tutto.

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«Lasciami entrare nella tua mente e allora, solo allora, puòdarsi che ti crederò» la sfidò.

«Co... cosa devo fare per farti entrare?» domandò insicura.«Rilassati.»Eileen diede un’occhiata alla posizione dei loro corpi. Sì,

certo, rilassarsi: più facile a dirsi che a farsi.«Mi stai schiacciando, così non ci riesco...»«Zitta» gridò lui. Non potevano avere una conversazione

cordiale: Eileen era sua nemica. «Fammi il favore di chiuderegli occhi.» Utilizzò il suo tono carezzevole per attirarla e in-durla a calmarsi.

Eileen chiuse gli occhi, abbandonandosi a lui, e iniziò adaprire le gambe. No, santo cielo. Che stava facendo? Quellavoce... Caleb strinse i denti di fronte all’invito. Osservò le suegambe, abbronzate e snelle, aprirsi sotto di lui e si sistemò tradi esse fino ad appoggiare e premere il proprio sesso controquello di lei. Si adattavano alla perfezione e, se fossero statinudi, l’avrebbe già fatta sua. Si concentrò su di lei. Cercò di ac-cedere alla sua mente, ai suoi ricordi: non c’erano muri, ma aogni passo si imbatteva in una nebbia fitta e bianca. Non eradifficile entrare, ma se l’avesse fatto si sarebbe perso in quellaconfusione e lei non l’avrebbe più lasciato uscire; non glie-l’avrebbe permesso.

«Cerchi di confondermi? Vuoi che mi perda?» le domandòborbottando.

«Perderti? Confonderti?»«Basta! Non riuscirai a prendermi in giro. Stai alzando del-

le barriere: non vuoi che io scopra la verità.»Eileen chiuse gli occhi con forza, deglutì e si voltò di lato,

mostrandogli la giugulare. Ormai lui l’aveva già condannata.«Se non mi credi, è meglio che la facciamo finita. Io... non

sopporterò ancora a lungo. Avanti, mordimi» disse offrendo-si a lui.

«Ti farei un favore se lo facessi, sgualdrina.»Ed ecco che la insultava di nuovo. Per un momento, quan-

do l’aveva chiamato per nome, aveva scorto un barlume dicompassione nel suo sguardo, come se volesse crederle, madoveva esserselo immaginato perché ora era tornato a essere

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il mostro di prima. Un mostro infilato tra le sue cosce comenessun uomo aveva mai fatto prima di allora.

«Per favore, Caleb.» Avrebbe provato di nuovo. «Dev’es-serci un modo in cui possiamo...»

«Primo, io per te non sono Caleb» la interruppe irritato.«D’ora in poi mi chiamerai padrone.» La sua voce era freddae distante. «Secondo, ti ho detto di non toccarmi.» Le afferròla mano che gli aveva appoggiato sul torace marmoreo perallontanarlo e gliela portò di nuovo sopra la testa. Poi prese lamano destra, quella ferita, e con delicatezza la collocò soprala sinistra, trattenendo entrambi i polsi con una sola mano.«Terzo,» continuò guardandole la bocca «non parlerai più fi-no a quando non ti darò il permesso. È finita, non ti credo enon ti crederò. Non vuoi che ti legga la mente, ma esistonomolti modi per entrare nella testa di qualcuno.»

«Mi vuoi torturare?» domandò angosciata.«Più di uno vorrà farlo, sgualdrina» rispose lui annuendo.

«Vedrai che, dove ti porterò, non sarai la benvenuta. Comun-que no, non ti picchierò.»

«Allora...?»«Vedrai.»«Cosa sei?» chiese, con il mento tremante.«Da quando avete iniziato a darci la caccia, non vi siete pre-

si la briga di chiedercelo. Cosa te ne importa ora?»«Mi importa perché voglio sapere chi sono i miei nemici.

Siete vampiri, vero? Devo essere impazzita...» sussurrò ren-dendosi conto di ciò che aveva detto a voce alta. «Cosa mi fa-rete?» Non sapeva se fosse o meno un vampiro, ma acciden-ti: era identico a quegli esseri affascinanti e con i denti a puntache si vedevano nei film ispirati ai libri di Anne Rice.

Caleb abbassò lo sguardo sui suoi splendidi seni nudi e leiricominciò a respirare affannosamente; quell’intimità con luiera più di quanto potesse sopportare. Lui le coprì un seno conla mano libera e la guardò negli occhi.

«Ti lascerò andare i polsi. Se proverai a toccarmi, ti giuroche ti morderò e ti farò molto male.»

«Non mi rispondi?» La sua voce risuonò profonda. O erapiuttosto rauca?

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«Ti farò male, se apri ancora la bocca.»Eileen sollevò il mento in un gesto pieno di orgoglio, pur

sapendo di doversi rassegnare. Apoco a poco, Caleb le liberòi polsi, mentre con i polpastrelli le accarezzava le braccia, ledelicate ascelle, il collo, la clavicola e, alla fine, l’altro seno,freddo e umido a causa della pioggia. Eileen si mosse inquie-ta sotto il corpo del ragazzo, sopportando con tutto l’autocon-trollo possibile l’ispezione a cui Caleb la stava sottoponendo.Lui continuò ad accarezzarle il seno fino a che le si drizzò ilcapezzolo; allora lo coprì con la mano e iniziò a massaggiar-lo. Il calore delle sue mani grandi e virili la faceva andare afuoco. Lei mosse le dita sul poggiatesta: voleva afferrarlo peri capelli, neri come il carbone, e stringerlo a sé, ma non pote-va toccarlo, così si aggrappò disperata al sedile.

Caleb lasciò andare uno dei seni e lo osservò, affamato,mentre inclinava la testa per portarselo alla bocca. I suoi occhierano di un verde che arrivava quasi al giallo. Eileen soffocòun lieve mugolio, mentre la bocca di Caleb, umida e calda, simuoveva senza pietà sulla sua carne morbida. La sua linguale torturò il capezzolo fino a renderlo turgido e dritto; strinsela protuberanza scura tra i denti e la tirò mentre dava piccolicolpi leggeri e delicati con la lingua. Lei serrò la mandibolamentre cercava di controllare il tremore delle gambe. Sentivatutta la virilità di Caleb premere contro di lei, percepiva il suocalore corporeo attraverso i jeans neri dell’uomo. Lei avevaindosso solo quei ridicoli pantaloncini bianchi, così sottili chele permettevano di sentire tutto. Tutto.

Caleb abbandonò i seni eccitati, alzando lo sguardo all’al-tezza dei suoi occhi. La fissò: la ragazza sudava e aveva anco-ra degli schizzi di sangue che le scendevano dal viso fino alcollo; le sue labbra, gonfie a causa della brutalità di Samael,erano socchiuse. Aveva un odore così buono... Era un boccon-cino appetitoso, specialmente per lui. Quello era il suo profu-mo preferito, il suo sapore preferito. Perché doveva essereproprio lei a profumare così? Di umido, di lamponi e di dol-ce... Abbassò le mani sulla vita stretta e sulle ossa sporgentidel bacino, poi proseguì accarezzandole l’addome piatto e la-sciò le mani aperte su di esso. Infilò i pollici nei pantaloncini,

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al solo scopo di renderla nervosa con le sue carezze circolariproprio dove si intravedevano i riccioli della sua intimità.

Osservò la sua espressione. Sì, era tesa e aveva paura, nondi lui ma di quanto immaginava – e a ragione – che lui potes-se farle. Non era più sicuro di voler aspettare di arrivare in In-ghilterra per scoparsela, e lei lo sapeva. Era impossibile nonimmaginare ciò che le avrebbe fatto: la sua erezione era cosìgrossa che stava per forargli i pantaloni. La ragazza non eravergine; il suo ragazzo le faceva visita tutte le sere, quindi sa-peva benissimo cosa poteva succedere... cosa lui moriva dal-la voglia di farle.

Con quel corpo, piccolo rispetto al suo, schiacciato sotto dilui, così tenero, delicato e incantevole... Come sarebbe statostare dentro di lei? Estrasse i pollici dal pantaloncino e fecescivolare le mani fino alle natiche della ragazza. Le strinse, lepalpò, le massaggiò e sorrise.

«Bene, bene. Sei in forma, eh?» Le afferrò con foga.Era umiliante. Lui era vestito dalla testa ai piedi, mentre lei

aveva indosso solo dei calzoncini, era vulnerabile e in balia diogni suo desiderio.

Eppure c’era qualcosa in lui – ma non sapeva cosa – che leimpediva di essere del tutto impaurita. Riusciva a vedere del-le differenze tra Caleb e quell’animale di Samael: Caleb pote-va essere crudele e brutale, ma sembrava avere un lato nasco-sto che invece l’assassino di suo padre non possedeva; la stavatoccando quasi con devozione, guardandola con desiderio, sì,ma era convinta che non l’avrebbe trattata male, che nonl’avrebbe picchiata né le avrebbe fatto del male tanto per fare.

Caleb iniziò a premere l’erezione contro di lei, a strusciarladisegnando dei cerchi sempre più ritmati sulle sue parti inti-me. Le strusciate erano sempre più forti e potenti ed Eileensentiva l’inguine inondato da un calore umido e palpitante.Senza perdere il ritmo, il Vanir portò la bocca al collo della gio-vane. Eileen rabbrividì pensando che l’avrebbe morsa, ma consua grande sorpresa Caleb leccò soltanto il sangue presente inquella zona: una linguata prolungata, come di raso, poi richiu-se la bocca all’altezza della giugulare e la succhiò, sfiorandolaappena coi canini, senza conficcarglieli nella pelle.

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Eileen chiuse gli occhi quando sentì quel contatto pieno dicalore. Era gustosa, inebriante come nessun’altra che avessemai assaggiato. Quando le pulì il collo con la lingua e con labocca, le passò le labbra sul mento, quasi accarezzandola, poirisalì fino alla guancia. Eileen emise un lamento: lo zigomo lefaceva male da morire.

«Fermati.»Caleb si strinse ancora di più a lei e le sussurrò all’orecchio:

«Ti ho detto di non parlare, sgualdrina.»«Smettila di insultarmi.»Caleb le mise una mano enorme sulla bocca, ma Eileen

scuoteva la testa per liberarsi. Grandi lacrime le scendevanodagli angoli degli occhi, scivolandole sulle tempie e scompa-rendo tra i capelli, ormai non più raccolti nello chignon, masparsi a ventaglio sul sedile dell’auto.

Caleb si vergognò di essere la causa delle lacrime di unadonna, ma lei non era una donna perbene, né una personaperbene; era un’assassina, o perlomeno era complice di omi-cidio. C’era forse differenza?

Caleb le si strofinò ancora più forte contro l’inguine, senzapietà. Senza fermare il movimento, avvicinò la bocca alla fe-rita sulla guancia e la leccò, socchiudendo gli occhi per il pia-cere di provare il suo sangue, così gustoso. Non riusciva a leg-gere nulla in quel sangue, perché si era mescolato alla pioggiae, inoltre, non era una quantità sufficiente a carpire i segretidella ragazza. Nonostante ciò, era delizioso oltre ogni imma-ginazione.

Eileen si sentì bruciare la faccia. La stava leccando?«La saliva è curativa e cicatrizzante» le spiegò sfiorandole

la tempia con le labbra.Di seguito, fece scivolare la bocca fino alla propria mano,

ancora appoggiata sulla bocca di Eileen. Con uno sguardominaccioso la avvertì di non parlare.

A Eileen iniziò ad annebbiarsi la vista. Aveva il corpo con-tratto e sentiva che le bruciava addirittura la pelle, ma Calebnon smetteva di muoversi, di stringerla e di strusciarsi controdi lei, e lei... Lei iniziava a impazzire: un piacere palpitante, unformicolio, e i muscoli dell’interno coscia iniziavano a muo-

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versi in maniera convulsa... No, che vergogna... Non potevaeccitarsi con lui. No, con lui no. Non così. No. Ma il suo corponon le ubbidiva più. Ora Caleb era il suo padrone; il ragazzosorrise quando la vide lottare con sé stessa e contrarre la man-dibola, con disperazione. Era sul punto di scoppiare.

Le tolse la mano dalla bocca e le passò la lingua sugli ango-li delle labbra, leccandola come un gatto. Un gatto selvatico.Leccò il labbro inferiore e poi quello superiore. Lei ormai nonaveva quasi più la forza di tenere le labbra chiuse. Non gliavrebbe permesso di baciarla. Aveva bisogno di aria, di unabella boccata d’aria. Socchiuse la bocca e iniziò a respirare a unritmo irregolare come se la sua vita dipendesse da quel gesto.

Caleb gemette di piacere e le portò di nuovo le mani suifianchi, accarezzandola per poi afferrarle brutalmente le nati-che. Le sollevò, tirandole verso di sé, e iniziò a muoversi inmaniera ancora più violenta e più rapida. Eileen si lasciòsfuggire un suono gutturale. No, santo cielo. No, per favore!

Caleb aveva la bocca aperta e i canini allungati. Desidera-va ficcarglieli in gola mentre lei raggiungeva l’orgasmo: final-mente sarebbe riuscito a entrarle nella mente e ad abbattere lesue barriere. Aveva gli occhi fissi sulla bocca di lei, e lei scostòil capo e lo nascose sotto un braccio, mostrandogli involonta-riamente il collo. Aveva ancora le mani sul poggiatesta.

Caleb ruggì alla vista della pelle che le palpitava sul collo enel cuore della sua femminilità, poi le aprì ancora di più legambe per stringersi a lei e strusciarsi su e giù. Più veloce, piùforte, più... Eileen chiuse gli occhi con forza. No.

E all’improvviso, un’esplosione di piacere. Fuochi artificia-li. Spasmi del corpo. Una sensazione liquida tra le gambe e ilmondo che finiva. Stava venendo grazie a lui e lui lo sapeva.Rabbrividì violentemente tra le sue braccia, tra le braccia delmostro. Non era riuscita a controllare il proprio corpo ine-sperto; aveva tentato, ma Caleb ne era uscito vincitore. L’ave-va provocata, stimolata fino a farle raggiungere il climax.

Lui le lasciò andare le natiche a malincuore e appoggiò lemani sul sedile, ai lati del suo viso. Mormorò qualcosa di in-decifrabile. Entrambi avevano il respiro affannato.

Il ragazzo aveva ancora gli incisivi allungati, ma il colore

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dei suoi occhi non era cambiato. Quando lei lo guardò, com-prese quanto fosse orgoglioso di averla umiliata così: lui ave-va vinto e lei era stata sconfitta.

«Così mi piace.» La fissò con determinazione e con qualco-s’altro che lei non riuscì a decifrare. «Che tu ubbidisca al tuo pa-drone.»

Era orgoglio? Era forse orgoglioso di lei? No, non potevaessere. Oh, per favore. Ci mancava solo questo per calpestarecompletamente il suo amor proprio. Caleb lanciò un’occhiataai seni, al collo e alle guance di Eileen. Erano arrossati: che fos-se rosso passione o rosso vergogna non gli importava.

«Se tu potessi vederti... Ora sì che sembri una puttana.»Eileen gli giurò con lo sguardo che l’avrebbe ucciso. Si na-

scose di nuovo la faccia sotto il braccio e scoppiò a piangere co-me una pazza. Caleb cercò di comprendere la situazione in cuisi trovava. Era ovvio che doveva sentirsi sconfitta, ma se lo me-ritava.

Abbassò lo sguardo e vide che era ancora appoggiato con-tro il suo sesso. Era ancora duro come la roccia, perché per luinon c’era stato nessun sollievo. Si sollevò un po’appoggiando-si sulle braccia e vide che il pelo pubico nero della ragazza siintravedeva sotto i pantaloncini bianchi e bagnati. Le afferrò icalzoncini e tirò. Non poteva più resistere. Doveva affondaredentro di lei.

«No, ti prego!» gridò Eileen, bloccandogli il polso con lamano buona.

Caleb tirava l’indumento con le dita. Entrambi sapevanoche sarebbe bastato un altro strattone per strapparlo e lasciar-la nuda, come lui voleva vederla.

«No, cosa?» Alzò un sopracciglio con aria divertita.Eppure non c’era nulla di divertente in quella situazione.

Eileen non credeva di poter odiare tanto qualcuno come odia-va Caleb in quel momento. Lui era in attesa di sentire le paro-line magiche. D’accordo. Eileen deglutì e mandò giù la pro-pria dignità: era un sapore amaro. Molto, molto amaro.

«No, per favore... padrone.»Caleb alzò il mento, respirò a fondo dal naso, gonfiando il

petto, e poi le sollevò il viso con le dita.

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«Vedo che impari. Andremo d’accordo.»Riportò in posizione verticale il sedile e con un balzo tornò

al posto del guidatore. Eileen, ancora tremante, lo guardò disbieco con aria incerta. Almeno non ce l’aveva più sopra, manon era ancora sicura di potersi rilassare. Rilassarsi? Non cisarebbe più riuscita per il resto della vita, perché ormai nonaveva più nessuno di cui fidarsi. Non nel mondo di Caleb.

«Caleb, ti abbiamo appena sorpassato» disse la voce diMenw, che risuonò per tutto l’abitacolo dalla trasmittente di ul-tima generazione installata nell’auto. «Non hai potuto aspetta-re, eh, furbacchione? Dovevi scopartela subito, vero?»

Caleb fissò Eileen, che si era di nuovo coperta il viso con lebraccia e si era raggomitolata dandogli le spalle. Le tremavala schiena.

«Ciò che facciamo io e lei non ti riguarda.»«Ce l’ha piccolo ed è frocio... come tutti voi...» gridò Eileen,

rossa di rabbia. «Violentatori di merda...» aggiunse, stavoltacon un filo di voce che le si strozzò in gola.

Aprì la portiera dell’auto, scivolò giù dal sedile, ricadde aquattro zampe sull’asfalto e iniziò a vomitare. Dovette evita-re di appoggiarsi sul polso rotto, quindi rimase su tre zampe,costretta a sentire, attraverso il vivavoce, che gli altri tre se laridevano di gusto.

Caleb la guardò con sguardo severo. Un muscolo della man-dibola gli tremava senza controllo: nessuno poteva umiliarlo inquel modo. Nessuno.

«Quindi ce l’hai piccolo...» commentò Menw soffocandouna risata.

Lui continuava a non rispondere, impassibile, con il visoduro come il granito e senza riuscire a distogliere lo sguardoda Eileen.

«Avete localizzato l’altra guardia del corpo nella pineta?»Continuava a fissarla. Mentre la ragazza vomitava, lui osser-vava i muscoli della sua schiena contrarsi e muoversi senzatregua. «L’ho lanciato lì.»

«Sì, era il gemello di quello che ha fatto fuori Samael. Gliabbiamo indotto l’immagine mentale che suo fratello si siainnamorato di un’asiatica e sia partito per sposarsi a Las Ve-

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gas stanotte stessa; lui vestito da John Travolta, e lei da OliviaNewton-John. Aveva una frattura alla gamba: ricorderà di es-sersela fatta in un incidente stradale. E abbiamo pensato an-che ai domestici; domani quando si sveglieranno ricorderan-no chiaramente che la signorina Eileen e il signor Mikhailsono dovuti partire per un inaspettato viaggio di lavoro e cheprobabilmente trascorreranno un lungo periodo all’esteroper accaparrarsi nuovi clienti, ma loro dovranno continuarela propria vita come hanno sempre fatto.»

«Benissimo. Cosa ne è stato del corpo di Mikhail e di quel-lo del gorilla?»

«Li abbiamo sotterrati sotto la casa. Tutto sotto controllo,Caleb. Ora non ci resta che sapere se sei in grado di domarequella piccola fiera che è con te. Non fa bene alla tua reputa-zione di rubacuori che una ragazza ti prenda in giro in questomodo.»

«Tranquillo. È solo provata da ciò che le ho fatto.»Ricominciarono a ridere a crepapelle.«Ci vediamo in aereo.»Spense il vivavoce e scese dalla macchina con sguardo de-

terminato e piuttosto minaccioso. Sembrava assurdo che la ra-gazza avesse ancora la forza di affrontarlo in quelle condizioni.

Eileen aveva smesso di vomitare, ma era ancora appoggia-ta sulle ginocchia e sulla mano sinistra. Aveva il respiro affan-nato, era pallida e abbattuta.

Caleb l’afferrò di nuovo per i capelli e la sollevò. Eileenpensò che di quel passo sarebbe diventata calva.

Lui aprì la portiera del passeggero e la spinse dentro.Eileen seguì con lo sguardo Caleb, finché non salì in auto

anche lui.«Quando arriveremo in Inghilterra, ti dimostrerò quanto

ce l’ho piccolo in ogni modo possibile, sgualdrina» sussurròtra i denti mentre inseriva la prima e metteva in moto.

Eileen non sapeva cosa rispondere. Era così esausta e le fa-ceva male tutto il corpo. L’unica speranza a cui poteva ag-grapparsi per uscire da quell’incubo era il fatto che nessunodi loro sapesse che era diabetica. Era il suo asso nella manica:con un po’di fortuna, interrompendo le iniezioni di insulina

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e la vita regolare e controllata che aveva condotto finora, si sa-rebbe ammalata in un modo o nell’altro e senza cure sarebbemorta. I reni avrebbero subìto dei danni, i vasi sanguigni del-le gambe si sarebbero bloccati, avrebbe iniziato a perderesensibilità alle ferite e magari avrebbero perfino dovuto am-putarle le gambe. Avrebbe potuto diventare cieca e in quellostato non sarebbe servita nemmeno a loro, no?

Pensare a quelle cose le dava la nausea ancora di più, se erapossibile. Ma preferiva morire piuttosto che diventare la put-tana di qualcuno, men che meno del mostro che le stava difianco.

Il mondo scomparve dalla sua vista e aspettò che soprag-giungesse l’oscurità.

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