LEGGERE (O RILEGGERE?) CRONACA FAMILIARE (1947) DI...

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LEGGERE (O RILEGGERE?) CRONACA FAMILIARE (1947) DI VASCO PRATOLINI OGGI IN UNGHERIA Questo articolo nasce da un corso su Vasco Pratolini tenuto agli studenti dell'Università „Attila József’ di Szeged durante il primo semestre dell Anno Accademico 1993-94. Ma non solo da questa occasione. Infatti, Pratolini, scomparso nel 1990, è stato oggetto, nell'aprile 1992, di un convegno internazionale di studi tenutosi a Firenze che ha avuto il grande merito di rendere giustizia allo scrittore, distruggendo le critiche faziose, ingiuste e del tutto ingiustificate fatte da un certo tipo di critica militante ai romanzi pratoliniani quando essi uscirono (1). Nel corso del convegno si é parlato, anche, delle traduzioni in lingua straniera dei romanzi di Pratolini (2). Va però rilevato che, in questo quadro generale, manca completamente il prospetto delle traduzioni in ungherese. Per quanto ho potuto accertare, l'unico libro dello scrittore tradotto in questa lingua è Metello (1955) (3). Si tratta perciò, di un romanzo impegnato in senso politico-sociale, che costituisce la prima parte della trilogia Una storia italiana (le altre due parti sono Lo scialo ) (1960) e Allegoria e derisione (1966), ultimo libro di Pratolini) e che forse fu scelto, al tempo del regime comunista, proprio per questo motivo, trascurando del tutto la rappresentazione del tutto antieroica e soprattutto umana (1) Mi dispiace non poter citare le relazioni del convegno perché non ancora pubblicate a causa di problemi interni al Comune di Firenze. Avendo però assistito ai lavori del detto convegno, posso citare, fra gli interventi demolitori di certa critica militante , quelli di Enrico Ghidetti, di Francesco Paolo Memmo e di Antoine Ottavi. (2) Anche in questo caso mi auguro che vengano presto pubblicate le relazioni del convegno fiorentino, molto utili allo studioso. (3) Cfr. V. Pratòlini, Metello , trad. di Èva Szabolcsi, Budapest, Tàncsics Kònyvkiadó, 1961. -39-

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  • LEGGERE (O RILEGGERE?) CRONACA FAMILIARE (1947) DI VASCO PRATOLINI OGGI IN UNGHERIA

    Questo articolo nasce da un corso su Vasco Pratolini tenuto agli studenti dell'Università „Attila József’ di Szeged durante il primo semestre dell Anno Accademico 1993-94. Ma non solo da questa occasione. Infatti, Pratolini, scomparso nel 1990, è stato oggetto, nell'aprile 1992, di un convegno internazionale di studi tenutosi a Firenze che ha avuto il grande merito di rendere giustizia allo scrittore, distruggendo le critiche faziose, ingiuste e del tutto ingiustificate fatte da un certo tipo di critica militante ai romanzi pratoliniani quando essi uscirono (1). Nel corso del convegno si é parlato, anche, delle traduzioni in lingua straniera dei romanzi di Pratolini (2). Va però rilevato che, in questo quadro generale, manca completamente il prospetto delle traduzioni in ungherese. Per quanto ho potuto accertare, l'unico libro dello scrittore tradotto in questa lingua è Metello (1955) (3). Si tratta perciò, di un romanzo impegnato in senso politico-sociale, che costituisce la prima parte della trilogia Una storia italiana (le altre due parti sono Lo scialo ) (1960) e Allegoria e derisione (1966), ultimo libro di Pratolini) e che forse fu scelto, al tempo del regime comunista, proprio per questo motivo, trascurando del tutto la rappresentazione del tutto antieroica e soprattutto umana

    (1) Mi dispiace non poter citare le relazioni del convegno perché non ancora pubblicate a causa di problemi interni al Comune di Firenze. Avendo però assistito ai lavori del detto convegno, posso citare, fra gli interventi demolitori di certa critica militante, quelli di Enrico Ghidetti, di Francesco Paolo Memmo e di Antoine Ottavi.(2) Anche in questo caso mi auguro che vengano presto pubblicate le relazioni del convegno fiorentino, molto utili allo studioso.(3) Cfr. V. Pratòlini, Metello , trad. di Èva Szabolcsi, Budapest, Tàncsics Kònyvkiadó, 1961.

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  • che Pratolini fa del suo protagonista (4). Il resto dell'opera pratoliniana, per lo meno a quanto mi è dato di sapere, è molto poco noto in Ungheria. Proprio per questo motivo, avendo deciso di tenere ai miei studenti un corso sullo scrittore toscano, dopo aver fatto leggere e commentare alcuni racconti e brani scelti da II quartiere, ho proseguito il lavoro con Cronaca familiare. Ero ben conscio dei rischi che questa operazione poteva comportare. Infatti, questo romanzo occupa un posto a parte nel corpus dell' opera di Pratolini e, quindi, può piacere oppure non piacere affatto, senza alcuna possibilità di mediazione. Non a caso, Cronaca familiare è il libro più lirico dello scrittore, quello in cui la distanza fra lo scrivente e la materia scritta non esiste poiché appunto l'autore lo scrive come un vero e proprio scarico di coscienza per avere appena intuita - questa è la materia del libro - „la spiritualità del fratello, e troppo tardi”. (5) Il libro nasce dal rimorso, presente nell'autore, di non aver capito, se non in ritardo, il fratello minore dal quale egli era stato separato da circonstanze, prima familiari e poi sociali. E comprensibile perciò che, a chi conosce il Pratolini sociale, un libro come questo possa apparire patetico se non addirittura strappalacrime. Troppa è infatti la distanza fra quest' opera e le altre dell'autore fiorentino. Lo stesso Pratolini dovette rendersene conto visto che il romanzo, scritto a Napoli di getto nel dicembre 1945(6) fu pubblicato solo due anni sopo, nel 1947, assieme a Cronache di poveri amanti. E questo è anche il motivo per il quale lo scrittore esitò per molto tempo a permettere la riduzione cinematografica del

    (4) Come è noto, Metello fu scritto nel 1952 e rimase nel cassetto dell'autore per tre anni. Fu pubblicato solo nel 1955 perché Pratolini, già da tempo residente a Roma, chiedeva al vecchio amico Alessandro Parronchi notizie sulla Firenze fascista nella quale è ambientato „Lo scialo”, che già aveva iniziato a scrivere e che verrà pubblicato nel I960. Desumo queste notizie dalla relazione di Alessandro Parronchi al già citato convegno fiorentino. Quanto a Metello, esso fu subito attaccato da certa critica militante che accusò lo scrittore di ave:; effettuato, nel romanzo, una perfetta equazione tra „camera del lavoro e camera da letto” . Nè sorte migliore ebbe poi Lo scialo , definito da Carlo Salinari „Brutto, noioso e sporco!” - Questa accoglienza spinse Pratolini a scrivere negli anni '70, una nuova versione del romanzo. Cfr. Vasco Pratolini, Lo scialo, nuova edizione a cura di Francesco Paolo Memrno, Milano, Mondadori, 1976. Una distruzione totale delle affermazioni di certa critica militante si trova nella relazione di Antoine Ottavi al già citato convegno fiorentino.(5) Questa definizione è dello stesso Pratolini. Cfr. V. Pratolini, Al lettore, in Cronaca familiare, Milano, Mondadori, 1980, p. 129.(6) Questa data si trova nell'ultima pagina del romazo. Cfr. V. Pratolini, Cronaca familiare, cit., p. 155.

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  • romanzo (7). Oltre a questi motivi di carattere personale, va anche detto che il romanzo fu letteramente schiacciato, quando usci, dalla critica, in particolare da quella marxista, che gli preferì indubbiamentelo spessore sociale (o sedicente tale) di Cronache di poveri amanti. Il libro fu definito, in maniera liquidatoria, „poco più di un piagnisteo” (8). Ma, a parte queste considerazioni di ordine generale e polemico, c'era il rischio che un pubblico ungherese, magari più abituato all 'altro Pratolini, quello più socialmente impegnato, non capisse e, allo stesso tempo, non gradisse, quel vero e proprio tuffo nel lirismo che è Cronaca familare. Poiché, appunto, con questo libro lo scrittore porta al massimo grado quella componente di umanità che, seppure sempre presente nelle altre sue opere, mai ne diventa la protagonista come in questa. Qui lo scrittore si sdoppia e diventa quasi altra persona, (9) proprio perché utilizza una materia che gli è fin troppo vicina e, per questo, ancora più bruciante: quella del rimorso. Per fortuna, nonostante tutte queste motivazioni che potevano renderne difficile - oppure irritante - la lettura, Cronaca familiare non solo è stato apprezzato, ma soprattutto capito, dagli studenti ungheresi, che hanno saputo ben coglierne non solo il lirismo ma anche la fondamentale umanità.__________________________________________(7) La versione cinematografica di Cronaca familiare fu girata nel 1962 da Valerio Zurlini, che già nel 1954 aveva diretto Le ragazze di San Frediano. Sul film cfr. AA.VV., Vasco Pratolini e il cinema, Firenze, Edizioni La Bottega del Cinema, 1987. p. 135.(8) Il giudizio liquidatorio a cui mi riferisco è quello di Dario Puccini, in „L 'Italia che scrive” , aprile 1947. Dato con quale competenza non si sa, visto che Puccini è di regola un ispanista. Ma non è un caso isolato. In Italia, spesso e volentieri, il critico letterario é uno scrittore fallito, che ama scrivere la „bella pagina” rinunciando con ciò a spiegare l’opera al lettore. Oppure, peggio ancora, è un „tuttologo” cioè qualcuno che scrive su tutto o dà giudizi su tutto, magari anche su ciò che non conosce. In Italia l'esempio più eclatante è quello di Guido Piovene che, riferendosi a La conscienza di Zeno ebbe ad affermare che l ’autore era „un pessimo scrittore presentato da un altro pessimo scrittore”.[(Il primo era Italo Svevo; il secondo era James Joyce (sic!))]. Ma la galleria potrebbe continuare: si pensi a figure come Carlo Bo o Oreste Macrì, quest’ultimo peraltro - e misteriosamente - amico di Pratolini. Va addebiteto invece a Giorgio Luti il grande merito di aver fatto giustizia di tutte queste pseudo-interpretazioni liquidatone con la sua bella e pregnante introduzione a V. Pratolini, Cronaca familiare, cit., pp. 5- 25. Nel senso di una rivalutazione dell’opera va anche la densa relazione di Enrico Ghidetti per il già citato convegno fiorentino.(9) Se Pirandello forse vissuto tanto da poter leggere Cronaca familiare e cronache di poveri amanti vrebbe sicuramente detto: ”11 signor Pratolini, uno e due” . Cosi come forse averebbe approvato un altro esempio di sdoppiamento in uno scrittore, quello di Romain Gray-Emile Aja.

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  • Ma veniamo al libro. Esso si presenta, come dice il titolo, come una cronaca, quella di una lunga incomprensione, fra due fratelli. Questa incomprensione è dovuta a circonstanze personali ma anche sociali. Infatti Yio narrante (cioè lo stesso Pratolini) da un lato rimprovera al fratello minore il fatto di aver fatto morire la loro madre nascendo; dall'altro, gli contesta la circostanza di far parte, ormai, di una classe sociale superiore poiché, dopo la morte della mamma, essendo malato il padre in conseguenza della sua partecipazione alla guerra mondiale, egli è stato adottato da una famiglia che, se non è ricca, perlomeno è agiata. L'estraniazione fra i due fratelli tocca poi il culmine quando, nel corso della narrazione, scopriamo che la nuova famiglia ha cambiato il nome al fratello minore (che, battezzato come Dante, ora si chiama Ferruccio) quasi volesse sollevarlo di peso dall'ambiente originario. Questa nuova realtà, poi, viene amplificata dal fatto che Ferruccio, grazie ai soldi che ha a causa della sua mutata situazione sociale, è viziato. A questo punto Yio narrante fratello maggiore non riesce più a comprendere l'altro e passa, ma solo per un momento, dall'estraniazione più totale all'odio più completo. Solo per un momento, però. Infatti, anche quando il narratore sente di odiare il fratello, allo stesso tempo vorrebbe riawicinarglisi poiché sente che l'altro è solo. Il muro che, apparentemente, li separa, diventa sempre più fragile. Ma tornerà a diventare più solido, e più duro che mai, quando il narratore dovrà assentarsi, per un periodo non meglio precisato, per andare in un sanatorio a curarsi la tubercolosi. Ma, anche quando sarà guarito, prima la guerra e poi la lotta partigiana lo separeranno di nuovo dal fratello poiché la storia esige i suoi diritti. L'unico punto di congiunzione fra i due esseri umani era stata la nonna: ma, dopo la sua morte, altre circostanze, e non solo personali, sono destinate a separarli. I due si ritroveranno solo a guerra finita - o quasi - in una Roma da poco liberata ma nella quale tutto è difficile da trovare se non ai prezzi esorbitanti della borsa nera. E il fratello maggiore non potrà fare altro che assistere, impotente, alla lenta ma inesorabile agonia del fratello minore, malato di un male incurabile. Questa situazione irreversibile porta, inevitabilmente, l'io narrante a mettersi in discussione, a chiedersi se non avrebbe potuto, in passato, essere più vicino al morente e, in definitiva, capirlo di più, capire meglio le ragioni dell'altro. Infatti è proprio questo il motivo che spinge il fratello maggiore a scrivere la storia del fratello minore subito dopo la morte di costui. Lo scrivere questa storia diventa a sua volta un viaggio lirico nella memoria e un tentativo di recupero della

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  • figura del morto, che lo scrittore si rende benissimo conto di aver abbandonato a se stesso per troppo tempo. Perciò egli traduce nelle parole del libro la materia bruciante della disperazione e del rimorso, ma non certo con l'intenzione di autoassolversi. Infatti Pratolini stesso dice che «Queste pagine si offrono quindi come una sterile espiazione” (10) Elegia dell'amore fraterno prima perduto e poi ritrovato solo nella morte (11) Cronaca familiare si presenta come uno dei libri più lirici dello scrittore fiorentino, forse quello dove la sua umanità si manifesta in modo più diretto e senza mediazioni. E seppure ho accennato, per quest'opera, ad un possibile sdoppiamento di Pratolini, si deve pure riconoscere che questo modo umano di considerare e di descrivere cose, fatti, personaggi, e situazioni, è presente anche in tutte le sue altre opere. Basti pensare a come Pratolini descriva la miseria umana in opere come Metello (1955), Lo scialo (1960) Allegoria e derisione (1966) (12), tutte e tre opere successive a Cronace familiare. Ma la grande umanità dello scrittore, che pure non lo abbandonerà mai fino agli ultimi giorni della vita (13), era già presente fin da questo libro, il terzo romanzo nella sua opera narrativa. Per concludere, accennerò alle discussioni sulla rottura di Pratolini con il neorealismo che sarebbe avvenuta con Metello (1955). Ma se essa è veramente accaduta, essa era già preannunciata dalle pagine, intense e liriche, anomale e stupende, difficili e facili al tempo stesso, di Cronaca familiare.

    Università degli Studi ”József Attila” di Szeged

    ALESSANDRO ROSSELLI

    (10) Cfr. V. Pratolini, Ai tetterò, in Cronace familiare, cit., p.28.(11) La definizione é del critico cinematografico Georges Sadoul, date per il film di Valerio Zurlini, ma mi pare perfettamente adatta anche per il libro. Cfr. G. Sadoul, Cronaca familiare, in, Il cinema. Il film , I. Firenze, Sansoni, 1968, p.56.(12) Basti pensare el porsonaggio di Idina in Metello, a quelli di Giovanni, Nella e Nini ne lo scialo o a quallo di Francesca in Allegoria e dezisione.(13) Si veda, in questo senso, a l'ultimo incontro col leone, in „L ’Altra Europa”, No 9-1991/1-2, p.22. Quasto numero contiene anche altri contributi su Pratolini: Stefano Ventisettem La Firenze di Pratolini. p. 15; Pierfranco Bruni, Scheda critica, pp. 15-21; Giuseppe Neri, Un neorealista d ’eccezione, pp. 16-17; Giorgio Bàrberi Squarotti, / / mondo popolare di Pratolini, pp. 18-19; Giorgio Luti, L ’addio allo Scrittore a Palazzo Vecchio, pp. 20-22 (si tratta della commemorazione funebre tanuta il 4 gennaio 1991);Cente Maffio, L ’antimondanità del saggio, p. 24; Piergiovanni Pelinoli, I due tompi di Vasco Prato/ini, p.80. Tutti questi interventi costituiscono uno Speciale Pratolini all’ interno della rivista a cui rimando il lettore e lo studioso.

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