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LEGGE REGIONALE 27 MARZO 1998, N. 22 Norme per la programmazione e l'organizzazione dei servizi di assistenza sociale - Piano Sociale Regionale 1998/2000 B.U.R.A. N.7 BIS del 28.4.1998 Art.1 (Finalità ed oggetto) 1. La Regione Abruzzo, nell’ambito delle proprie attribuzioni e in attuazione dei principi enunciati nell’articolo 3 dello Statuto regionale, con la presente legge intende realizzare un sistema organico di servizi e interventi di assistenza sociale in grado di assicurare risposte unitarie e globali ai bisogni delle persone, partendo dal livello territoriale e funzionale più vicino ai cittadini interessati. 2. A tale scopo, in attuazione dell’articolo 3 della legge 8 giugno 1990, n. 142, la presente legge detta norme per la programmazione, l’organizzazione e la gestione dei servizi e interventi di assistenza sociale, nonchè per la loro integrazione con il sistema dei servizi sanitari. Art. 2 (Principi) 1. L’ordinamento regionale dei servizi sociali si informa ai seguenti principi fondamentali: a. la valorizzazione del ruolo degli enti locali territoriali e delle comunità locali nella costruzione e attuazione del nuovo sistema regionale dei servizi alla persona; b. lo sviluppo delle collaborazioni istituzionali e operative finalizzate a garantire l’integrazione socio-sanitaria in tutte le situazioni in cui essa è necessaria; c. il superamento del concetto di assistenza sociale come assistenza economica e inserimento delle prestazioni alla persona in un quadro di servizi finalizzati alla promozione e alla integrazione sociale delle persone in difficoltà; d. la valorizzazione del ruolo svolto dai soggetti sociali, in modo particolare di quelli no-profit; e. il coordinamento dei servizi e degli interventi socio-assistenziali con quelli sanitari, culturali, educativi. Art. 3 (Programmazione) 1. Il sistema dei servizi di assistenza sociale è organizzato con la metodologia del lavoro per progetti ed è caratterizzato dalla verifica sistematica dei risultati raggiunti in termini di efficienza e di efficacia. 2. piani e programmi finalizzati ad evitare la sovrapposizione delle competenze, la frammentazione delle risposte e la settorializzazione delle prestazioni. 3. Anche gli interventi a favore dei soggetti in stato di bisogno sono inseriti negli strumenti di programmazione assistenziale, comprendenti le eventuali erogazioni economiche, e tendenti alla soluzione dei problemi causativi del bisogno, nonchè al potenziamento e lo sviluppo delle risorse individuali necessarie per il superamento delle dipendenza assistenziale.

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LEGGE REGIONALE 27 MARZO 1998, N. 22

Norme per la programmazione e l'organizzazione dei servizi di assistenza sociale - Piano

Sociale Regionale 1998/2000

B.U.R.A. N.7 BIS del 28.4.1998

Art.1

(Finalità ed oggetto)

1. La Regione Abruzzo, nell’ambito delle proprie attribuzioni e in attuazione dei principi enunciati nell’articolo 3 dello Statuto regionale, con la presente legge intende realizzare un sistema organico di servizi e interventi di assistenza sociale in grado di assicurare risposte unitarie e globali ai bisogni delle persone, partendo dal livello territoriale e funzionale più vicino ai cittadini interessati.

2. A tale scopo, in attuazione dell’articolo 3 della legge 8 giugno 1990, n. 142, la presente legge detta norme per la programmazione, l’organizzazione e la gestione dei servizi e interventi di assistenza sociale, nonchè per la loro integrazione con il sistema dei servizi sanitari.

Art. 2

(Principi)

1. L’ordinamento regionale dei servizi sociali si informa ai seguenti principi fondamentali:

a. la valorizzazione del ruolo degli enti locali territoriali e delle comunità locali nella costruzione e attuazione del nuovo sistema regionale dei servizi alla persona;

b. lo sviluppo delle collaborazioni istituzionali e operative finalizzate a garantire l’integrazione socio-sanitaria in tutte le situazioni in cui essa è necessaria;

c. il superamento del concetto di assistenza sociale come assistenza economica e inserimento delle prestazioni alla persona in un quadro di servizi finalizzati alla promozione e alla integrazione sociale delle persone in difficoltà;

d. la valorizzazione del ruolo svolto dai soggetti sociali, in modo particolare di quelli no-profit; e. il coordinamento dei servizi e degli interventi socio-assistenziali con quelli sanitari,

culturali, educativi.

Art. 3

(Programmazione)

1. Il sistema dei servizi di assistenza sociale è organizzato con la metodologia del lavoro per progetti ed è caratterizzato dalla verifica sistematica dei risultati raggiunti in termini di efficienza e di efficacia.

2. piani e programmi finalizzati ad evitare la sovrapposizione delle competenze, la frammentazione delle risposte e la settorializzazione delle prestazioni.

3. Anche gli interventi a favore dei soggetti in stato di bisogno sono inseriti negli strumenti di programmazione assistenziale, comprendenti le eventuali erogazioni economiche, e tendenti alla soluzione dei problemi causativi del bisogno, nonchè al potenziamento e lo sviluppo delle risorse individuali necessarie per il superamento delle dipendenza assistenziale.

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Art. 4

(Piano sociale regionale)

1. Il Piano sociale regionale, di durata triennale, è lo strumento di governo del sistema dei servizi e degli interventi di assistenza sociale, mediante il quale la Regione stabilisce le priorità di intervento per il periodo di riferimento ed individua le responsabilità e le collaborazioni istituzionali e sociali necessarie per realizzare un sistema organico dei servizi sociali.

2. La Regione uniforma la propria attività normativa e amministrativa alle previsioni del Piano sociale, oltre che la propria azione di indirizzo, di coordinamento e di controllo nei confronti degli enti locali e delle aziende unità sanitarie locali.

3. Il Piano sociale definisce, in particolare:

a. gli ambiti territoriali per la gestione unitaria dei servizi sociali, con la promozione di forme di cooperazione tra i comuni interessati;

b. le condizioni per il governo del sistema locale dei servizi, con particolare riferimento ai Piani di zona di cui al successivo articolo 6;

c. gli indirizzi e i criteri per l’approvazione degli standard strutturali, organizzativi e funzionali dei servizi e delle strutture;

d. gli indirizzi e i criteri generali per la formazione e l’aggiornamento del personale; e. le modalità di verifica dell’andamento dei servizi e della qualità degli interventi.

4. Per il triennio 1998 - 2000 è approvato il Piano sociale regionale nel testo allegato alla presente legge.

Art. 5

(Esercizio delle funzioni a livello locale)

1. Con riferimento agli Ambiti territoriali individuati nella Parte II del Piano sociale, i comuni esercitano le funzioni amministrative di cui sono titolari in materia socio-assistenziale, mediante:

a) gestione associata, attraverso una delle forme di cooperazione previste dal Piano sociale, negli Ambiti formati da più comuni;

b) gestione autonoma, direttamente ovvero attraverso una delle forme gestionali previste dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, negli Ambiti costituiti da un unico comune.

2. In adesione e attuazione di quanto stabilito dal Piano sociale, fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 517/1993, i comuni deliberano la forma gestionale di cui al primo comma, individuando contestualmente l’ente gestore dei servizi socio-assistenziali, il quale, in caso di organismo di nuova costituzione, assume la denominazione di "Azienda sociale".

3. Della deliberazione adottata ai sensi del comma precedente, i comuni danno formale notizia alla Regione Abruzzo mediante l’invio dei relativi provvedimenti, esecutivi ai sensi di legge.

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Art. 6

(Piano di zona)

1. Il Piano di zona dei servizi sociali è lo strumento di programmazione e collaborazione mediante il quale, in ciascun Ambito territoriale vengono specificate le previsioni del Piano sociale regionale e vengono stabilite le modalità di attuazione degli obiettivi e di funzionamento dei servizi.

2. Nell’ambito della programmazione regionale, il Piano di zona ha la stessa durata del Piano sociale di riferimento e individua, in particolare:

a) il personale e le risorse strutturali e finanziarie da utilizzare;

b) i criteri di ripartizione della spesa a carico di ciascun comune negli Ambiti a gestione associata;

c) le modalità di integrazione e coordinamento delle attività socio-assistenziali con quelle sanitarie ed educative;

d) le modalità di realizzazione del coordinamento con le pubbliche istituzioni e con gli enti interessati;

e) le forme di collaborazione dei servizi territoriali con i soggetti della solidarietà sociale a livello locale e con le altre risorse della comunità.

3. I comuni predispongono e approvano il Piano di zona nel rispetto dei principi e del procedimento formativo stabiliti dal Piano sociale regionale.

4. La Giunta regionale, con il provvedimento di adozione delle Linee-guida previste dal Piano sociale, stabilisce il termine entro il quale devono essere approvati i Piani di zona.

Art. 7

(Ruolo delle province)

1. Le province concorrono al conseguimento degli obiettivi del Piano sociale agevolando i processi di cooperazione e di collaborazione fra i soggetti istituzionali e sociali, anche al fine di rendere omogenei gli interventi sul territorio.

2. In particolare le province promuovono la formazione e la realizzazione dei servizi socio-assistenziali attraverso:

a) la raccolta delle conoscenze sui bisogni e sulle risorse acquisite dai comuni e da altri soggetti istituzionali presenti in ambito provinciale;

b) forme di verifica e valutazione degli interventi e dei servizi, con analisi mirate su fenomeni rilevanti su scala provinciale;

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c) la realizzazione di opere e la messa a disposizione di beni per i servizi di interesse sovracomunale;

d) l’assistenza tecnico-amministrativa per iniziative di formazione, con particolare riguardo alla formazione professionale di base.

3.Con riferimento al disposto degli articoli 3 e 15 della legge 142/1990, le province partecipano, per quanto di competenza, alla definizione e realizzazione dei Piani di zona dei servizi sociali, anche sottoscrivendo, se necessario, gli accordi di programma stipulati in attuazione dei Piano medesimi.

4. Per quanto previsto dal presente articolo, nel rispetto delle disposizioni contenute nel successivo articolo 15, alla province sono erogati contributi finanziari mediante utilizzazione delle risorse disponibili per le "gestioni speciali" previste tra i criteri di scelta fissati dal Piano sociale in materia di Politica della spesa.

Art. 8

(Attuazione del Piano sociale)

1. La Regione, sulla base degli indirizzi e degli obiettivi del Piano sociale, emana le relative disposizioni di attuazione.

2. Il Consiglio regionale, acquisito il parere della Commissione di cui all’articolo 9, comma 2, adotta tutti i provvedimenti concernenti le Azioni per l’integrazione socio-sanitaria previste nel Piano sociale, nel rispetto delle modalità e dei termini in esso stabiliti, decorrenti dalla data di insediamento della Commissione medesima.

3. All’adozione di tutti gli altri provvedimenti necessari per l’attuazione del Piano sociale, anche se non espressamente previsti, provvede la Giunta Regionale, sentita la Commissione consiliare competente per materia.

4. In particolare, la Giunta Regionale provvede:

a) a definire gli standard strutturali, organizzativi e funzionali relativi ai servizi, nonchè le funzioni di controllo e vigilanza in materia;

b) ad approvare i requisiti e le modalità di funzionamento del sistema informativo;

c) a definire il regime di autorizzazione e controllo dei servizi alla persona;

d) a disciplinare il funzionamento dell’Osservatorio regionale previsto dal successivo articolo 13.

Art. 9

(Integrazione socio-sanitaria)

1. In attuazione del Piano sociale, la Regione promuove e incentiva l’integrazione delle attività socio-assistenziali con quelle sanitarie di competenza delle Aziende

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USL, in tutte le situazioni in cui ciò è necessario e in particolare nelle aree materno-infantile, degli anziani non autossuficienti e della disabilità.

2. Il Consiglio regionale adotta i provvedimenti relativi alle Azioni per l’integrazione socio-sanitaria di cui all’articolo 8 su parere di apposita Commissione tecnico-consultiva, nominata con deliberazione della Giunta regionale e composta da cinque dirigenti e funzionari del Settore sanità, igiene e sicurezza sociale, da un rappresentante di ciascuna Azienda USL, da un rappresentante dell’ANCI e da uno dell’UNCEM, delegazioni abruzzesi, e da un rappresentante dell’UPA.

3. La Commissione di cui al comma precedente resta in funzione solo per il periodo di tempo necessario all’adozione da parte del Consiglio Regionale dei provvedimenti previsti dall’articolo 8, comma 2.

Art. 10

(Sistema informativo)

1. Al fine di definire i requisiti e le modalità di funzionamento del Servizio informativo previsto dal Piano sociale, il Presidente della Giunta Regionale nomina con proprio decreto una Commissione tecnica composta da un dirigente del Servizio informatica per le funzioni, da un dirigente del Servizio informatica per i Sistemi e da un dirigente del Servizio sicurezza sociale, con il compito di predisporre gli atti tecnici preordinati all’adozione da parte della Giunta Regionale del provvedimento di cui all’articolo 8, comma 4, lettera b).

Art. 11

(Interventi per la formazione)

1. Per il conseguimento degli obiettivi fissati dal Piano sociale in materia di formazione dei dirigenti e degli operatori del sistema dei servizi socio-assistenziali, la Regione Abruzzo interviene, oltre che con progetti formativi gestiti direttamente, anche mediante supporti tecnici e contributi finanziari in favore dei soggetti attuatori degli interventi formativi.

2. A tale scopo, nel rispetto di quanto stabilito dal successivo articolo 15, possono essere utilizzati i fondi destinati al finanziamento delle "gestioni speciali" previste tra i criteri di scelta stabiliti dal Piano sociale in materia di Politica della spesa.

3. Al progetto regionale di formazione dei responsabili dei servizi, previsto tra le Azioni strategiche per l’attuazione del Piano sociale, possono essere ammessi anche gli amministratori degli enti gestori di cui all’articolo 5, nel rispetto dei criteri e modalità di ammissione stabiliti per i dirigenti.

Art. 12

(Relazione annuale)

1. La Giunta Regionale presenta annualmente al Consiglio Regionale, entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello di riferimento, una relazione di verifica sullo

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stato di attuazione del Piano sociale, contenente elementi di valutazione in ordine al conseguimento degli obiettivi di Piano.

2. La relazione contiene anche la sintesi delle diverse azioni di verifica realizzate negli ambiti territoriali, con particolare riferimento allo stato di attuazione dei Piani di zona.

Art. 13

(Organizzazione regionale)

1. La Regione, al fine assicurare risultati di efficienza ed efficacia nell’esercizio delle funzioni socio-assistenziali e nell’attuazione del Piano sociale, in sede di revisione dell’ordinamento del personale e degli uffici, provvede ad articolare la struttura competente in materia di servizi sociali nelle unità organizzative di seguito specificate, sulla base dei principi e dei criteri stabiliti dalla legge regionale 13 gennaio 1997, n. 3:

a) applicazione leggi d’intervento e servizi di supporto all’attività degli enti e dei soggetti sociali;

b) programmazione, verifica e controllo;

c) tenuta dei registri e albi regionali ed assistenza alla Consulta sociale regionale;

d) Osservatorio regionale sul sistema dei servizi socio-assistenziali.

2. La Consulta di cui alla lettera c) del comma 1, è istituita con successivo provvedimento legislativo al fine di valorizzare e razionalizzare l’apporto consultivo, propositivo e di ricerca fornito dagli organismi di consultazione in materia di assistenza sociale attualmente previsti dalle leggi regionali di settore.

3. L’attivazione della struttura organizzativa prevista al comma 1 è condizione per il raggiungimento degli obiettivi specifici previsti nel Piano sociale.

4. In sede di prima applicazione della presente legge, in attesa della revisione organizzativa prevista dal comma 1, per assicurare al Servizio Sicurezza Sociale la necessaria dotazione di personale, può farsi ricorso a forme di assegnazione temporanea e a nuove assunzioni mediante contratti di lavoro a termine.

Art. 14

(Politica della spesa)

1. I contributi erogati dalla Regione Abruzzo a sostegno e promozione delle politiche sociali, devono tendere alla graduale realizzazione di un sistema organico di interventi finanziari, preordinati al raggiungimento di obiettivi di riequilibrio territoriale dei servizi e al loro miglioramento qualitativo.

2. A tale scopo, nel primo triennio di attuazione della presente legge, l’importo delle risorse finanziarie del Fondo sociale istituito con la legge regionale 17 dicembre

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1996, n. 135, da destinare al finanziamento dei programmi annuali d’intervento che i comuni presentano ai sensi della medesima L.R. 135/1996, è progressivamente ridotto, a vantaggio della dotazione da utilizzare per l’assegnazione dei fondi previsti dall’articolo 15, comma 1, lettera a).

3. La determinazione delle risorse finanziarie da impiegare per le due finalità previste dal comma 2, nel limite massimo delle disponibilità ricomprese nel pertinente capitolo di spesa del bilancio regionale, è effettuata tenendo conto anche della popolazione residente nei comuni destinatari dei contributi.

4. Decorso il termine stabilito dal comma 2, le disponibilità finanziarie del Fondo sociale sono interamente ripartite e assegnate secondo quanto disposto dal comma 3 dell’articolo 15. Da tale data cessano di avere efficacia le disposizioni contenute nella l.r. 135/1996, relative all’assegnazione di contributi sulle spese di attuazione dei Programmi annuali dei comuni.

Art. 15

(Destinazione del Fondo sociale regionale)

1. A decorrere dall’esercizio 1998 e fino alla scadenza del primo triennio di attuazione della presente legge, per le finalità previste nel precedente articolo 14, il Fondo sociale regionale istituito con legge regionale n. 135 del 1996, è annualmente suddiviso in due distinte voci di spesa destinate all’erogazione di contributi, non cumulabili, in favore:

a) dei comuni che hanno adottato la deliberazione prevista dall’articolo 5, comma 2 della presente legge;

b) dei comuni che presentano il Programma delle attività sociali e socio-assistenziali di cui all’articolo 3 della l.r. n. 135/1996.

2. La Giunta Regionale, nel termine di trenta giorni dall’approvazione del bilancio regionale, in attuazione di quanto stabilito dai commi 2 e 3 dell’articolo14, delibera l’ammontare delle voci di spesa di cui al precedente comma, determinando annualmente l’importo della voce a) in misura progressivamente crescente rispetto a quello della voce b).

3. I fondi di cui alla lettera a) del comma 1 sono annualmente ripartiti e assegnati dalla Giunta regionale nel rispetto e in attuazione dei criteri di scelta stabiliti dal Piano sociale in materia di Politica della spesa. Essi possono essere utilizzati anche per il finanziamento delle gestioni speciali e degli interventi per settori specifici, in conformità a quanto previsto dal Piano sociale.

4. Per il riparto e l’assegnazione dei fondi di cui alla lettera b) del comma 1, fino allo scadere del termine stabilito dal comma 2 dell’articolo 14, continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nella l.r. 135/1996.

Art. 16

(Modifiche alla legge regionale n. 135 del 1996)

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1. Alla legge regionale n. 135 del 1996 sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 2 dell’articolo 2, le parole: <<Il Fondo è suddiviso>> sono sostituite dalle seguenti: <<La parte del Fondo destinata ai Programmi di cui all’articolo 3 è suddivisa>>;

b) al comma 1 dell’articolo 3, le parole; <<Il Fondo di cui al precedente art. 2 viene ripartito>> sono sostituite dalle seguenti: <<La parte del Fondo di cui al precedente articolo 2 viene ripartita>>.

Art. 17

(Disposizione transitoria)

1. In sede di prima applicazione della presente legge, per il solo anno 1998, è consentito ai comuni di accedere ai fondi previsti sia alla lettera a) che alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 15, a condizione che il relativo Programma annuale delle attività sociali e socio-assistenziali di cui alla l.r.135/1996 venga attuato senza far in alcun modo ricorso ai contributi assegnati ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 15.

Art. 18

(Norma finanziaria)

1. All’attuazione della presente legge si provvede con le risorse annualmente stanziate dalla legge regionale di bilancio al capitolo n. 71520, denominato: "Fondo sociale regionale per l’espletamento di servizi ed interventi in materia sociale e socio-assistenziale".

Art. 19

(Entrata in vigore)

1. La presente legge è dichiarata urgente ed entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Abruzzo.

PIANO SOCIALE REGIONALE

1998 - 2000

Indice

PARTE Ia

1. Obiettivi di sistema per l’esigibilità dei diritti sociali p. 4

1.1. Solidarietà, cioè incontro tra diritti e doveri sociali

1.2. Servizi sociali

1.3. Problemi da superare

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1.4. A partire dal livello locale

2. Il sistema delle responsabilità " 8

2.1. Responsabilità istituzionali e sociali

2.2. I soggetti istituzionali

2.3. I soggetti sociali

2.4. I supporti legislativi al sistema delle responsabilità

3. Condizioni per la collaborazione " 15

3.1. Strumenti formali per la realizzazione dei piani di zona

3.2. Risorse

3.3. Partecipazione dei soggetti sociali

3.4. Accordi per la realizzazione dei programmi

3.5. Zonizzazione dei servizi

3.6. I Piani di zona

4. Aree ad elevata integrazione " 23

4.1. La strategia dell’integrazione

4.2. Le azioni del Piano sociale per l’integrazione

4.3. Il sistema dei servizi

4.4. L’integrazione

4.5. Caratteri dell’integrazione nei servizi territoriali

4.6. La presa in carico

5. Obiettivi caratterizzati su problemi specifici " 26

5.1. Caratteristiche dell’attuale sistema dei servizi nell’area dell’età

evolutiva e obiettivi di Piano regionale

5.2. Caratteristiche dell’attuale sistema dei servizi nell’area anziani

e obiettivi di Piano regionale

5.3. Caratteristiche dell’attuale sistema dei servizi nell’area handicap

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e obiettivi di Piano regionale

4. Servizi da garantire in ogni ambito territoriale entro il triennio

6. La politica della spesa " 32

6.1. Questioni generali

6.2. Criteri di scelta

6.3. Governo del cambiamento

7. Sistema informativo " 35

7.1. Struttura e caratteri

7.2. Livello regionale

7.3. Livello di ente gestore

7.4. Fasi di implementazione

7.5. Sistema informativo e spesa sociale

7.6. Assetto organizzativo e forme di controllo

8. Azioni strategiche " 39

8.1 La famiglia, soggetto di politica sociale

8.2. Formazione dei dirigenti e degli operatori

8.3. Valutazione di efficienza e di efficacia

9. Quadro di sintesi degli obiettivi specifici e

degli indicatori previsti nelle diverse sezioni del piano " 45

PARTE IIa

Ambiti territoriali " 50

PARTE Ia

1. Obiettivi di sistema per l’esigibilità dei diritti sociali

1.1. Solidarietà, cioè incontro tra diritti e doveri sociali

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I diritti sociali rappresentano una base efficace per promuovere lo sviluppo di ogni persona, famiglia, comunità locale. Sono stati riconosciuti a livello interno, dalla Costituzione e da altre norme successive e, a livello internazionale, dal Patto sui diritti economici, sociali e culturali, come pure dalla Convezione ONU sui diritti dell’infanzia. Sono riconducibili ad alcune categorie generali: il lavoro, l’assistenza sociale e sanitaria, la casa, l’educazione, l’istruzione, la formazione professionale, la socializzazione.

Per loro natura i diritti sociali sono diritti condizionati. Diventano esigibili nella misura in cui siano predisposte condizioni necessarie per renderli operanti, chiamando in gioco responsabilità diverse: istituzionali, gestionali, professionali e comunitarie.

A questo scopo la Regione Abruzzo con il Piano sociale intende avviare un percorso realizzativo di un sistema di interventi e servizi distribuito su tutto il territorio regionale, in grado di dare risposte efficaci ai bisogni fondamentali delle persone e delle famiglie, a partire dal livello locale. Gli obiettivi del Piano sono definiti e attuati a due livelli:

a. quello delle responsabilità e delle collaborazioni (istituzionali e sociali) necessarie per rendere operanti i servizi alle persone;

b. quello dei bisogni e diritti fondamentali a cui dare risposte, sulla base delle priorità e delle risorse disponibili.

In questo modo sarà possibile evidenziare le responsabilizzazioni necessarie perché i servizi alle persone diano risposte efficaci, senza assecondare passività che producono assistenzialismo, superando la frammentazione degli interventi e il conseguente spreco di risorse.

Un obiettivo qualificante del Piano sociale è quello di garantire livelli minimi di assistenza sociale su tutto il territorio. A questo scopo, il Piano individua le collaborazioni istituzionali necessarie per costruire un sistema omogeneo di servizi sociali, valorizzando la sussidiarietà, gli investimenti zonali e la capacità delle comunità locali di promuovere il proprio sviluppo.

Tutto questo potrà contribuire in modo sistematico a "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona" (art. 3 Cost.) e l'effettiva partecipazione di tutti all'organizzazione politica, economica e sociale della Regione.

2. Servizi sociali

Il Piano sociale intende fornire risposte globali e unitarie ai bisogni delle persone, evitando la sovrapposizione delle competenze e la settorializzazione delle prestazioni.

I servizi di assistenza sociale non vanno confusi e assimilati agli interventi di assistenza economica. È anzi necessario superare una visione residuale delle politiche sociali, collocando le prestazioni (a favore di singole persone, delle famiglie, del loro lavoro di cura) in un più ampio quadro di servizi finalizzati alla promozione, al trattamento e alla integrazione sociale di chi è in difficoltà, favorendo la sua autonoma capacità di affrontare i problemi.

A questo scopo le eventuali erogazioni economiche, dovranno essere definite nel quadro di un più ampio progetto di sostegno e di servizio, contrastando la dipendenza assistenziale ed evitando le erogazioni meccanicamente collegate a meri accertamenti formali.

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Pertanto i servizi e gli operatori sociali, a fronte delle domande loro rivolte, dovranno analizzare in modo globale il bisogno, individuare i problemi da affrontare e, tenendo conto delle priorità stabilite in sede politica e delle risorse disponibili, intervenire con la metodologia di lavoro per progetti.

1.3. Problemi da superare

In ragione degli obiettivi generali sopra delineati, il Piano individua le condizioni per facilitare le collaborazioni istituzionali e operative, finalizzate a garantire una elevata integrazione socio-sanitaria, in tutte quelle situazioni in cui la natura dei problemi lo richiede, in particolare nell’area materno infantile, degli anziani non autosufficienti e della disabilità.

La mancanza di integrazione socio-sanitaria a fronte di questi bisogni configura di per sé stessa un indicatore di inefficienza oltre che di mancata risposta ai bisogni. I problemi nascono dalla separazione di titolarità che è stata introdotta nell'esercizio delle funzioni istituzionali di assistenza sanitaria e di assistenza sociale: la prima (quella sanitaria) attribuita alla Regione e la seconda ai Comuni.

Le conseguenze maggiori sono meglio riconoscibili quando è richiesto un esercizio unitario o quantomeno integrato di queste due titolarità, in tutti i casi in cui la natura dei bisogni lo richiede, in particolare nelle aree ad elevata integrazione socio-sanitaria.

Molte domande presenti nell'operatività quotidiana dei servizi investono le sfere di competenza gestionale, dei comuni e delle aziende sanitarie. Si tratta pertanto di evitare che si creino vuoti di assistenza e vuoti di tutela, in particolare nei confronti dei soggetti più deboli, per la mancanza di collaborazione e di integrazione fra responsabilità istituzionali.

La soluzione di questi problemi ha conseguenze nella scelta delle modalità gestionali dei servizi. Fra le due alternative della gestione diretta e di quella delegata, si possono prevedere formule collaborative intermedie, senza perdere di vista la differenza tra titolarità politica e soluzioni gestionali possibili, come pure la differenza tra responsabilità di tipo politico e di tipo gestionale, come meglio specificato nel successivo capitolo 2.

Le conseguenze sono di varia natura, nella sfera pubblica e nella sfera privata. Quando soggetti privati concorrono al funzionamento dei servizi alle persone di fatto entrano nel campo di responsabilità di chi promuove e produce beni pubblici e servizi di pubblica utilità, che per loro natura sono soggetti alla rappresentanza politica degli interessi, ai controlli come pure alle garanzie previste a tutela delle persone e dei loro diritti.

In tutti questi casi non si tratta cioè di operare in termini di passaggio dalla sfera pubblica a quella privata della titolarità del servizio, ma di riconoscere i significati propri di soluzioni gestionali che, pur diversificando le responsabilità in ordine alla produzione dei servizi, li organizzano sul territorio, all’interno di centri unitari di responsabilità. Non è quindi solo il soggetto erogatore a qualificare un servizio in termini pubblici o privati ma è la natura del servizio che più propriamente va a definire se esso deve essere gestito sotto una sfera di responsabilità propria del pubblico interesse.

Questa logica è in particolare necessaria quando si tratta di operare per produrre servizi ad elevata integrazione socio-sanitaria. Si tratta infatti di servizi che non possono essere realizzati in modo autonomo da un singolo soggetto erogatore di assistenza sanitaria o sociale, ma nella forma dell’incontro, della collaborazione e della verifica sistematica dei processi e dei loro risultati.

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1.4. A partire dal livello locale

Le comunità locali e i Comuni che, ai sensi della L. 142/1990, ne rappresentano gli interessi sono la condizione fondamentale per costruire il sistema regionale dei servizi alle persone.

Il quadro giuridico delineato dalla riforma delle autonomie locali costituisce elemento di completamento e sistematizzazione di un processo evolutivo che trae origine dal D.P.R. n. 616/1977 (con particolare riferimento all’articolo 25) e che traccia all’articolo 3 un sistema organico della programmazione locale. Su questa base è necessario individuare:

a. gli ambiti territoriali per la gestione unitaria dei servizi; b. le condizioni gestionali necessarie per il loro funzionamento; c. gli standard minimi di servizio e le forme di erogazione; d. la dotazione di risorse da destinare ad ogni ambito territoriale; e. le condizioni per il governo del sistema locale dei servizi, con particolare riferimento alla

elaborazione dei piani di zona.

In questa prospettiva gli enti locali interessati, coinvolgendo gli altri soggetti istituzionali, solidaristici e imprenditoriali presenti nel territorio, realizzano un monitoraggio sistematico dei bisogni della popolazione, in modo da definire le priorità e organizzare le risorse necessarie per gli interventi.

Le Province favoriscono i processi collaborativi fra enti pubblici, fornendo supporti di natura organizzativa e amministrativa, anche al fine di equilibrare e rendere omogenei gli interventi nel territorio, salvaguardando le diverse specificità.

La nuova capacità di incontro e di collaborazione richiesta ai soggetti istituzionali titolari di funzioni sociali non è tuttavia sufficiente per costruire un adeguato sistema di sicurezza sociale se nel contempo le comunità locali non sanno esprimere al meglio i loro doveri di solidarietà. Per questo è necessario investire sulla educazione alla solidarietà al fine di rendere più efficace l’incontro fra diritti e doveri sociali.

I diversi soggetti presenti al loro interno (di impegno gratuito come nel caso del volontariato, di azione senza fini di lucro come nel caso di soggetti no-profit, di reciproca solidarietà come nel caso dell’associazionismo...) sono chiamati a collaborare con le istituzioni e i servizi nelle diverse fasi realizzative del Piano sociale: quella di analisi dei bisogni, di collaborazione alla programmazione, di concorso ai momenti di verifica, oltre che di attuazione dei diversi interventi.

In questo modo le comunità locali possono costruire il loro sviluppo, aggregando le risorse necessarie per incrementare e qualificare gli investimenti di promozione, prevenzione, cura e riabilitazione sociale, a partire da standard stabiliti su scala regionale.

Con riferimento agli ambiti territoriali (in seguito descritti nella Parte II) per la gestione dei servizi sociali, possono presentarsi i seguenti tipi di situazioni:

1. ambiti nei quali è presente un solo grande comune;

1. ambiti nei quali sono presenti un comune di notevoli dimensioni e piccoli comuni;

1. ambiti nei quali sono presenti diversi comuni tutti di piccole dimensioni;

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1. ambiti nei quali è presente una comunità montana;

1. ambiti nei quali sono presenti diverse comunità montane.

Nel primo caso, la gestione dei servizi sarà svolta dal comune direttamente, ovvero avvalendosi delle possibilità gestionali previste dalla legge n. 142/1990.

Nel secondo caso, attraverso la convenzione di cui all’articolo 24 della legge n. 142/1990, i comuni valuteranno l’opportunità di affidare al comune dotato di maggiori potenzialità strutturali la gestione dei servizi, ovvero di gestirli in forma consortile.

Nel terzo caso, i piccoli comuni valuteranno l’opportunità di gestire i servizi in forma consortile, ovvero di procedere come nella situazione n. 2 nel caso in cui uno di essi si senta in grado di potenziare il proprio apparato in funzione della gestione unitaria dei servizi.

Nel quarto caso, la gestione verrà curata dalla comunità montana; nell’eventualità in cui la comunità copra solo una parte del territorio, per le zone non comprese, sarà stipulata apposita convenzione per la gestione unitaria dei servizi.

Nel quinto caso, i Comuni valuteranno l’opportunità di gestire i servizi in forma di consorzio tra le Comunità Montane, ovvero di affidarne la gestione ad una di esse mediante la convenzione di cui all’art. 24 L. 142/1990.

In tutti i casi, ove la gestione dei servizi sociali venga affidata ad un’organizzazione dotata di personalità giuridica o almeno di autonomia gestionale, questa assumerà la denominazione di "azienda sociale".

Per quanto concerne la dotazione di personale sarà sempre possibile ricorrere al comando o alla mobilità al fine di concentrare in capo al gestore unitario risorse precedentemente frammentate.

Nelle diverse fasi attuative del Piano, si dovrà perseguire una chiara distinzione tra titolarità politiche e responsabilità gestionali, in modo da garantire al sistema dei servizi chiarezza nelle responsabilizzazioni e maggiori possibilità di verifica dei risultati, selezionando e preparando adeguatamente la dirigenza.

Si dovrà inoltre procedere ad una analisi sistematica delle ricadute economiche delle decisioni e del loro impatto sociale. A questo scopo la Regione fornisce criteri e supporti per favorire processi di verifica e di valutazione sistematica dei servizi e dei benefici prodotti a vantaggio delle persone, delle famiglie, delle comunità locali.

2. Il sistema delle responsabilità

2.1. Responsabilità istituzionali e sociali

Il Piano sociale, che muove dalla precisazione dei valori politico-culturali su cui si fondano le finalità da raggiungere, è lo strumento per la concreta realizzazione delle politiche locali dei servizi di assistenza sociale e dei servizi ad elevata integrazione socio-sanitaria. Tutto ciò sulla base di un’organica ricognizione dello scenario nel quale il Piano si colloca, che comprende:

- le linee evolutive e le politiche socio-economiche nazionali di medio-lungo termine;

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- la normativa nazionale di settore e le sue probabili evoluzioni (da considerarsi quale dato di sistema);

- le risorse proprie disponibili;

- le risorse effettive e potenziali coinvolgibili;

- le caratteristiche culturali dei soggetti responsabili;

- la presa d’atto della necessità di un significativo intervento della Regione nella revisione della propria normativa socio-sanitaria, proiettata nella realizzazione delle riforme strutturali necessarie, nell’ambito delle proprie competenze e dei poteri attribuitile dall’ordinamento.

È cioè possibile tracciare un nuovo quadro delle responsabilità, tale da costituire il motore reale del processo di cambiamento che il Piano si prefigge di realizzare, coerentemente con la scelta di garantire un rilevante impegno istituzionale nelle politiche sociali per l’evoluzione del sistema verso un assetto che, liberando risorse esistenti e promuovendo la disponibilità di risorse aggiuntive, possa garantire alla collettività risposte migliori e più eque ai bisogni.

Tutto ciò non è certo irrilevante rispetto ai contenuti del Piano ed in particolare alla definizione del nuovo sistema delle responsabilità sul quale il Piano deve fondarsi, tenendo conto che negli ultimi anni, si sono avuti profondi cambiamenti: nell’ordinamento giuridico, nella prassi amministrativa, nella cultura dei singoli e delle loro formazioni sociali, che hanno profondamente inciso sull’assetto istituzionale e sociale del nostro Paese.

Sul versante istituzionale (e nel solco del processo di realizzazione dei principi costituzionali iniziato con il Dpr n. 616/1977) il fatto di maggiore rilievo è costituito dalla riforma delle autonomie locali tracciata dalla legge n. 142/1990.

La legge di riforma delle autonomie locali riconosce e formalizza una situazione che già da tempo si era venuta consolidando nella prassi amministrativa, nella cultura politica e nella stessa giurisprudenza: il Comune si configura come l’Istituzione pubblica alla quale è attribuita la funzione di rappresentare gli interessi della comunità locale e di garantirne e promuoverne la soddisfazione.

Nel complesso sistema delle responsabilità viene attribuito all’Ente locale un ruolo che si differenzia sia per livello sia per intensità da quello di tutti gli altri soggetti.

Sotto il primo profilo, il Comune è il soggetto al quale l’ordinamento attribuisce la responsabilità istituzionale di rilevare ed interpretare i bisogni della comunità locale e di garantire il livello di soddisfazione degli stessi.

Sotto il secondo profilo, il Comune è - con la Regione e con la Provincia - titolare di potestà pubbliche che conferiscono ai propri atti una particolare forza attuativa, che si differenzia rispetto a quella di tutti gli altri soggetti privati che possono condividere responsabilità pubbliche nella definizione e nell’attuazione del Piano.

Se, da un lato, la legge n. 142/1990 definisce la funzione dell’Ente locale, altre importanti leggi di riforma (in particolare, le leggi n. 266/1991 sul volontariato e n. 381/1991 sulla cooperazione sociale) compiono un analogo riconoscimento, formalizzando situazioni e ruoli che già si erano venuti consolidando nella realtà amministrativa e nella cultura politico-sociale ed economica.

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Accanto ai tradizionali soggetti pubblici istituzionali si affermano cioè anche altri soggetti, che si contraddistinguono essenzialmente per una peculiarità: quella di perseguire interessi che si collocano al di fuori della propria compagine (si tratta di soggetti di tipo collettivo) per proiettarsi nella società civile, partecipando in tal modo al ruolo di promozione degli interessi pubblici, dei quali sono tradizionalmente portatori gli enti istituzionali.

Si assiste, in sostanza, al superamento del vecchio assetto delle responsabilità (più o meno sistematizzato) che vedeva una netta separazione fra la posizione dei soggetti istituzionali e quella degli altri, alla quale conseguiva l’identificazione del concetto di pubblico con il concetto di istituzionale, ed al configurarsi di un assetto più complesso nel quale soggetti non istituzionali si trovano a condividere (sia pure a livello diverso) con quelli istituzionali responsabilità pubbliche; ciò, naturalmente, in piena libertà ed autonomia, come previsto dalla Costituzione.

Nel novero di tali soggetti non istituzionali (che possono essere chiamati soggetti sociali) vanno innanzitutto comprese le organizzazioni di volontariato e le organizzazioni no-profit, senza peraltro escludere quante, fra quelle for-profit, per libera scelta intendano coinvolgersi a vario titolo e con varia intensità nel sistema delle responsabilità, nei momenti della definizione del Piano e dell’attuazione dello stesso.

Fermo restando che - come già visto - il ruolo dei soggetti istituzionali si differenzia per livello e per intensità rispetto a quello degli altri, ne discende (proprio in funzione di tale differenziazione) la necessità di comporre a sistema un assetto che, per la propria complessità, sarebbe altrimenti di difficile gestione.

2.2. I soggetti istituzionali

Ai soggetti istituzionali locali l’ordinamento attribuisce il ruolo fondamentale di rappresentare la collettività locale e di garantire la soddisfazione dei bisogni della stessa. Per individuare, in un chiaro sistema, le responsabilità che fanno necessariamente capo ai soggetti istituzionali, è necessario distinguere i servizi nei diversi momenti nei quali essi articolano la loro azione:

- la lettura dei bisogni e l’identificazione delle risorse;

- la definizione delle priorità e dei piani di intervento;

- la progettazione delle azioni;

- la gestione dei servizi;

- il finanziamento della spesa;

- la vigilanza sui servizi;

- il controllo e la valutazione.

È evidente che la scelta politica di rinnovare e qualificare il sistema di welfare rende irrinunciabile l’assunzione di responsabilità istituzionali relativamente ai momenti concernenti la lettura dei bisogni, l’identificazione delle risorse, la pianificazione, la vigilanza-controllo, la valutazione, per garantire l’esistenza, la qualità e l’accessibilità dei servizi.

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Per quanto concerne, invece, i momenti della progettazione e della gestione, gli enti pubblici istituzionali possono valutare l’opportunità di un loro impegno diretto o, in alternativa, di affidare l’esercizio della funzione gestionale alla responsabilità di soggetti non istituzionali, tenendo conto che questo è compatibile con la scelta di uno stato sociale inteso, non nel senso della difesa di posizioni di privilegio, ma in quello della promozione sociale e della più equa ed efficace tutela sostanziale di tutti i soggetti, a partire da quelli più deboli.

Anche per quanto riguarda il sistema di finanziamento dei servizi, va sempre più consolidandosi il convincimento che in una società più matura e con un livello di benessere abbastanza diffuso, esso possa in molti casi essere sostenuto anche dalla responsabilità comunitaria delle famiglie e delle formazioni sociali, oltre che da quella dei singoli utenti.

A tale proposito e in armonia con i principi costituzionali, la responsabilità istituzionale relativa al finanziamento dei servizi va riaffermata nel momento in cui ciò sia indispensabile, o in relazione alle capacità economiche degli utenti o in relazione alle opportunità pubbliche di promozione dell’utilizzo di determinati servizi per favorire la concreta esigibilità dei diritti o per incentivare l’utilizzo dei servizi ad elevato valore preventivo.

Non va, infine, dimenticato o sottovalutato il fatto che i soggetti pubblici istituzionali adempiono alle loro responsabilità nei confronti dello stato sociale non solo garantendo servizi, ma anche svolgendo un ruolo fondamentale di mediatore di processi, promovendo interazioni fra responsabilità interessate alla prevenzione del bisogno, alla disponibilità di risposte, alla creazione di risorse aggiuntive, in un sistema che coinvolga in un disegno organico soggetti istituzionali e sociali.

Tutto ciò va, naturalmente, rapportato con la specifica condizione della realtà del territorio e della popolazione della Regione Abruzzo, alla luce, in particolare, dei dati emersi dalle rilevazioni che hanno preceduto la predisposizione del Piano e che sono fondamentalmente costituiti da:

- presenza di Comuni aventi dimensioni demografiche molto piccole, tali da rendere impossibile non solo l’economica gestione dei servizi ma, a volte, lo stesso corretto svolgimento delle funzioni pubbliche istituzionali;

- territorio in gran parte montano, nel quale gli aspetti morfologici e culturali assumono un valore particolare, caratterizzante gli aspetti economici e sociali, soprattutto per la prevalenza delle fasce anziane;

- elevato tasso di disoccupazione e sviluppo economico disomogeneo;

- scarsa diffusione di una cultura del sociale nelle Amministrazioni pubbliche e nel tessuto sociale;

- consolidato di spesa negli interventi sociali che lascia scarsi spazi di manovra per nuove iniziative;

- presenza di soggetti sociali (quali ad esempio cooperative sociali, organizzazioni di volontariato, sindacati) portatori di cultura solidaristica e di risorse originali;

- presenza di Ipab caratterizzate da situazioni problematiche, ma anche di altre portatrici di notevoli risorse e disponibili al coinvolgimento.

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OBIETTIVI SPECIFICI INDICATORI

1. assunzione di responsabilità da parte dei soggetti istituzionali

• rilevazione annuale dei bisogni della popolazione

• definizione nei piani di zona di standard di risposta ai bisogni

1. definizione delle priorità in relazione all'importanza dei bisogni

• valutazione esplicita del rapporto fra risorse disponibili ed obiettivi da realizzare

1. svolgimento del ruolo di "mediatori di processi" da parte degli enti locali

• numero progetti di intervento nei quali la risposta ai bisogni proviene da soggetti sociali, tale per cui le risorse finanziarie pubbliche coprono meno di un terzo del valore economico dei servizi

• numero di interventi formativi sul tema "lavoro per progetti" effettuati per ambito nel triennio

1. coinvolgimento delle Ipab nel sistema delle responsabilità istituzionali

• partecipazione di singole Ipab all'accordo di programma relativo ai piani di zona,

• specificazione delle risorse messe a disposizione dalle Ipab nel piano di zona

2.3. I soggetti sociali

Quanto sopra porta inevitabilmente ad affermare che nella realtà abruzzese è particolarmente evidente la necessità di un Piano sociale che superi il mero obiettivo della razionalizzazione dell’esistente per perseguire quello della realizzazione di un nuovo sistema di servizi, che primariamente valorizzi, oltre alle collaborazioni inter-istituzionali, quelle con (e fra) soggetti sociali, in particolar modo quelli solidaristici.

Solo attraverso tali collaborazioni sarà possibile superare il circolo chiuso costituito dalla insufficienza delle risorse regionali disponibili, in quanto non impegnate nella spesa storica, e promuovere il graduale passaggio da una politica sociale basata sulla conservazione ad una fondata sulla progettualità, sull’equità e sulla qualità delle risposte.

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Sul piano gestionale sarà quindi necessario superare (laddove possibile e conveniente) il ruolo meramente esecutivo dei soggetti sociali (appalto di servizi) per coinvolgerli in un sistema di offerta nel quale possano svolgere un ruolo attivo, inserito in un quadro programmatorio unitario.

È però necessario che sul versante istituzionale i soggetti no-profit trovino nei loro interlocutori pubblici i presupposti organizzativi e professionali necessari affinché le teoriche previsioni normative e le indicazioni di Piano possano tradursi in pratica.

Per promuovere la presenza di tale presupposto, il percorso di realizzazione del Piano dovrà essere accompagnato da significativi interventi sugli organici degli enti locali, sia sul piano strutturale (nel senso della loro revisione) sia su quello della formazione e della riqualificazione.

È evidente, infatti, che l’ente che si proponga di svolgere un ruolo effettivo nel governo locale, con particolare riferimento alla programmazione, alle azioni di mediazione di processi per promuovere interazioni fra diversi soggetti, al controllo ed alla valutazione delle risposte al bisogno non può ipotizzare di farlo utilizzando vecchi modelli organizzativi.

E’ quindi, condizione essenziale per la realizzazione del Piano, accompagnare ad esso un incisivo programma di promozione e di rinnovamento degli apparati tecnico-burocratici degli enti locali, Regione compresa.

Tale programma deve coprire un arco temporale uguale a quello del Piano ed essere ad esso funzionalmente collegato, proponendo obiettivi realistici e verificabili, accompagnati da concreti strumenti di indirizzo, promozione e sostegno.

OBIETTIVI SPECIFICI INDICATORI

1. coinvolgimento dei soggetti sociali nel sistema programmatorio locale

• percentuale di soggetti sociali partecipanti alla definizione dei piani di zona rispetto al totale dei soggetti locali iscritti in albi o registri pubblici

2. iniziative dei soggetti sociali nel sistema di offerta di servizi

• realizzazione nei diversi ambiti territoriali di modalità di erogazione di servizi attraverso accreditamento

• numero di convenzioni che hanno per oggetto l'appalto di servizi

• numero di convenzioni che hanno per oggetto la concessione di servizi

2.4. I supporti legislativi al sistema delle responsabilità

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Le modalità attraverso le quali il Piano sociale persegue gli obiettivi sopra indicati sono:

a. la previsione, nell'ambito dei servizi di assistenza sociale, di quelli che necessitano di una dimensione territoriale adeguata al fine di garantirne la disponibilità, l'economicità e la qualità della gestione;

b. la previsione dei servizi di assistenza sociale che non richiedono una particolare dimensione territoriale e per i quali, può anzi essere preferibile un legame diretto con l'azione dell'ente locale, ancorché di piccole dimensioni.

c. la definizione di uno strumento unitario di programmazione locale - il Piano di zona - che prevede la partecipazione di tutti i soggetti, istituzionali e non istituzionali, che sono parte attiva del sistema locale delle responsabilità;

d. l'utilizzo dello strumento di programmazione "accordo di programma" quale momento di formalizzazione istituzionale del Piano di zona e di ogni altro accordo fra i soggetti pubblici interessati;

e. l'evidenziazione, nell'ambito dei servizi sanitari, che per natura appartengono alla competenza delle Aziende Usl, della componente sociale degli stessi, al fine di riconoscerla e di valorizzarla, garantendone l'originale espressione e l'integrazione con quella sanitaria.

Questa configurazione istituzionale ed operativa del Piano è supportata, in particolare, dalle seguenti norme di legge:

a. articolo 25, II comma, Dpr n. 616/1977, "La Regione determina con legge, sentiti i comuni interessati, gli ambiti territoriali adeguati alla gestione dei servizi sociali e sanitari, promovendo forme di cooperazione fra gli enti locali territoriali, e, se necessario, promovendo ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 117 della Costituzione forme anche obbligatorie di associazione fra gli stessi";

b. articolo 25, III comma, Dpr n. 616/1977 "Gli ambiti territoriali di cui sopra devono concernere contestualmente la gestione dei servizi sociali e sanitari";

c. articolo 3, comma I, comma II, comma III e comma IV L. 142/1990 "Ai sensi dell'articolo 117, primo e secondo comma della Costituzione, ferme restando le funzioni che attengano ad esigenze di carattere unitario nei rispettivi territori, le Regioni organizzano l'esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i Comuni e le Province"; "Ai fini di cui al comma 1, le leggi regionali si conformano ai principi stabiliti dalla presente legge in ordine alle funzioni del Comune e della Provincia, identificando nelle materie nei casi previsti dall'articolo 117 della Costituzione gli interessi comunali e provinciali in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del territorio"; "La legge regionale disciplina la cooperazione dei Comuni e delle Province tra loro e con la Regione, al fine di realizzare un efficiente sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo economico, sociale e civile"; "La Regione determina gli obiettivi generali della programmazione economico-sociale e territoriale e su questa base ripartisce le risorse destinate al finanziamento del programma di investimenti degli enti locali";

d. articolo 3, comma VII e comma VIII, L. n. 142/1990 "La legge regionale fissa i criteri e le procedure per la formazione e attuazione degli atti e degli strumenti della programmazione socio-economica e della pianificazione territoriale dei Comuni e delle Province rilevanti ai

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fini dell'attuazione dei programmi regionali"; "La legge regionale disciplina altresì, con norme di carattere generale, modi e procedimenti per la verifica della compatibilità fra gli strumenti di cui al comma 7 e i programmi regionali, ove esistenti";

e. articolo 24 comma III L. n. 142/1990 "Per la gestione a tempo determinato di uno specifico servizio (...) lo Stato e la Regione, nelle materie di propria competenza, possono prevedere forme di convenzione obbligatoria fra i Comuni e le Province, previa statuizione di un disciplinare tipo"

f. articolo 3, commi V e VI L. n. 142/1990, "Comuni e Province concorrono alla determinazione degli obiettivi contenuti nei piani e programmi dello Stato e delle regioni e provvedono, per quanto di propria competenza, alla loro specificazione ed attuazione"; "La legge regionale stabilisce forme e modi della partecipazione degli enti locali alla formazione dei piani e programmi regionali e degli altri provvedimenti della regione".

OBIETTIVI SPECIFICI INDICATORI

1. realizzazione di un sistema normativo regionale dei servizi sociali organico

• approvazione di un testo unico della normativa sociale da parte del Consiglio Regionale

1. zonizzazione dell’esercizio delle titolarità istituzionali

• numero di convenzioni tra Comuni nel primo anno per l’avvio della gestione unitaria di ambito

3. Condizioni per la collaborazione

3.1. Strumenti formali per la realizzazione dei piani di zona

Sotto il profilo giuridico, il Piano di zona può essere definito come un provvedimento amministrativo concordato avente contenuto programmatorio.

Il Piano di zona è uno strumento che ha essenzialmente natura tecnica e finalità di programmazione, tali per cui mal si presterebbe a disciplinare direttamente i rapporti giuridici fra i soggetti coinvolti. Di qui l’opportunità di prevedere l’utilizzo di ulteriori strumenti giuridici al fine di creare le condizioni per l’attuazione del Piano, disciplinando efficacemente i rapporti e le situazioni giuridiche in genere. Tali strumenti sono costituiti da:

- convenzione fra Comuni e Provincia ex art. 24 L. 142/1990, per quanto concerne la definizione delle caratteristiche della gestione unitaria dei servizi negli ambiti territoriali adeguati ove questi comprendano più di un Comune o più di una Comunità montana;

- accordo di programma ex art. 27 L. 142/1990 fra tutti i soggetti pubblici coinvolti nel Piano;

- accordi ex art. 15 L. 241/1990 fra le pubbliche amministrazioni coinvolte;

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- conferenza di servizi (L. 241/1990) quale modalità procedimentale favorente il raggiungimento degli accordi fra i soggetti istituzionali;

- accordi di diverso tipo con i soggetti non istituzionali, anche sotto forma di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo, limitatamente agli aspetti attuativi (art. 11 - L. 241/1990).

L’impiego degli strumenti sopra indicati sarà adeguatamente disciplinato con direttive regionali da emanare entro sei mesi dalla approvazione del Piano, non solo al fine di meglio esplicitarne i contenuti, ma anche e soprattutto al fine di definirne le procedure e di renderne necessitata l’effettiva utilizzazione. In particolare la Regione definisce:

- per quanto concerne le convenzioni, modalità procedurali e aspetti strutturali;

- per quanto riguarda gli accordi di programma, le disposizioni contenute nell’art. 27 della legge n. 142/1990 sono significativamente dettagliate sul piano dei contenuti, anche se passibili di ulteriori specificazioni sul piano procedurale;

Con riferimento, infine, agli accordi con i soggetti non istituzionali, essi rappresentano l’aspetto più problematico e, nello stesso tempo, denso di potenzialità. Infatti, a proposito di questi ultimi, se da un lato occorre evitare la genericità che spesso affligge la qualificazione degli accordi di questo tipo, dall’altro occorre tener presente che l’ordinamento offre strumenti diversificati e funzionali al bisogno, fra i quali va, in particolare, ricordato quello costituito dagli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo (ex art. 11 - L. n. 241/1990), sino ad ora scarsamente utilizzato, nonostante le potenzialità pratiche.

OBIETTIVI SPECIFICI INDICATORI

1. valorizzazione delle risorse non finanziarie degli enti pubblici e di quelli locali in particolare

• numero di progetti contenuti nei piani di zona nei quali sono previsti interventi che comportano la messa a disposizione di almeno il 10% di risorse non finanziarie da parte di enti pubblici

1. valorizzazione delle risorse comunitarie

• numero di progetti nei quali è prevista la realizzazione di interventi nei quali il sostegno economico-finanziario pubblico diretto o indiretto non supera i due terzi del valore economico degli interventi

3. ruolo attivo delle amministrazioni

• numero delle amministrazioni provinciali che assumono responsabilità dirette nei processi di

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provinciali costruzione e realizzazione dei piani di zona, sotto forma di monitoraggio e messa a disposizione di supporti informativi e formativi sul totale delle amministrazioni provinciali.

1. coinvolgimento dei soggetti istituzionali nell'elaborazione del piano

numero di soggetti istituzionali partecipanti alla definizione dei piani di zona rispetto ai soggetti istituzionali presenti nel territorio

livello qualitativo dei piani di zona

• numero delle approvazioni regionali dei singoli piani di zona in sede di prima presentazione sul totale dei piani presentati

1. approvazione delle convenzioni

• numero di convenzioni stipulate rispetto al numero complessivo degli ambiti territoriali nel primo anno

1. approvazione degli accordi di programma relativi ai piani di zona

• numero di accordi di programma stipulati in rapporto al numero complessivo degli ambiti territoriali

1. utilizzazione della conferenza di servizi nelle procedure per la definizione dei piani di zona e degli accordi interistituzionali conseguenti

• numero di conferenze di servizi utilizzate quale modalità procedurale per arrivare alla stipula di convenzioni e di accordi di programma in rapporto al numero degli ambiti

1. stipula di contratti di programma con soggetti comunitari

• numero di contratti di programma stipulati rispetto al numero di soggetti comunitari coinvolti

• numero di contratti di programma rispetto al numero degli ambiti territoriali

3.2. Risorse

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Nel processo di realizzazione di un Piano caratterizzato dal perseguimento di un ampio sistema di responsabilità, una posizione strategica è svolta dalla ricerca di ogni possibile modalità di collaborazione con quanti, fra i soggetti non istituzionali radicati sul territorio (e fra essi prioritariamente quelli senza finalità di lucro) possano essere disponibili a collaborare con i soggetti istituzionali nella realizzazione degli obiettivi.

A tale proposito, va ricordato che le pubbliche amministrazioni, accanto alle risorse meramente finanziarie presenti, o comunque, allocabili nel bilancio, non possono sottrarsi alla necessità di valorizzarne altre, costituite da:

- risorse di carattere non finanziario, delle quali le Amministrazioni dispongono (immobili, altri beni, informazioni sulla popolazione e sul territorio, professionalità dei propri dipendenti, uffici e servizi esistenti);

- risorse che altri soggetti diversi dagli enti locali territoriali, ma aventi sede nel territorio comunale e in esso radicati, possono mettere a disposizione della comunità locale in un comune impegno di sviluppo e di miglioramento.

Si tratta, dunque, di individuare bisogni e risorse, anche non finanziarie, e di programmare le risposte ai primi, ricercando ogni possibile collaborazione con i soggetti esterni che fanno parte del nuovo sistema delle responsabilità pubbliche locali: ciò con priorità rispetto alle tradizionali forme di gestione unilaterale dei servizi pubblici (gestione in economia, appalti e concessioni), da riservare solo ai casi nei quali tali modalità si rivelino necessarie, sia per ragioni di oggettiva impraticabilità di soluzioni diverse, sia per specifiche scelte di ordine politico.

3.3. Partecipazione dei soggetti sociali

La partecipazione al procedimento amministrativo è un istituto giuridico introdotto nell’ordinamento dagli articoli 7 e seguenti della legge n. 241/1990. In particolare, l’articolo 11 prevede che il contenuto discrezionale di un provvedimento amministrativo possa essere determinato dall’amministrazione anche in conformità ad accordi fra la stessa pubblica amministrazione ed i soggetti privati interessati. Anzi, il provvedimento amministrativo può addirittura essere sostituito dall’accordo, spostando in tal modo l’azione amministrativa dall’esercizio di poteri autoritativi ad attività di tipo consensuale, in una posizione di parità con i privati.

L’articolo 13 precisa che le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.

Per tale ragione, va favorita la più ampia partecipazione sostanziale anche se informale al processo di definizione del Piano di zona. Nel contempo - sul piano formale - la partecipazione dei soggetti sociali va limitata al momento realizzativo del programma (successivo all’approvazione, la quale resta, quindi, atto unilaterale adottato dai soggetti istituzionali in quanto pubbliche autorità); in tale fase realizzativa, gli accordi sostitutivi di cui all’articolo 11 della legge n. 241/90 possono costituire un nuovo strumento per incentivare, facilitare e supportare una estensione di responsabilità a quei soggetti, quali ad esempio cooperative sociali e associazioni di volontariato, ai quali l’ordinamento giuridico e la realtà amministrativa locale riconoscono un ruolo significativo nel nuovo e più ampio sistema di responsabilità pubbliche nei servizi alle persone.

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3.4. Accordi per la realizzazione dei programmi

Anche se la partecipazione al procedimento è stata solo di recente elevata al rango di istituto giuridico, sin dagli anni sessanta più volte la pubblica amministrazione si è trovata di fronte alla necessità di collaborare con soggetti privati nel perseguimento di obiettivi pubblici, definiti in atti di programmazione (programmi di sviluppo, interventi straordinari a favore di aree depresse, interventi di riforma di servizi pubblici).

Nella L. 19 dicembre 1992, n. 488, e nel Dlgs 3 aprile 1993, n. 96, è stata utilizzata l’espressione contratto di programma, per indicare un accordo attraverso il quale una pubblica amministrazione ed un soggetto privato assumono reciproci impegni nel quadro di un programma di interventi pubblici e dei relativi piani di attuazione.

Successivamente, altre leggi statali hanno previsto i contratti di programma quali strumenti per la realizzazione di obiettivi, di progetti, piani e programmi, in modo tale da rendere operante una prassi amministrativa consolidata, anche se di applicazione non generalizzata.

È possibile utilizzare il modello costituito dai "contratti di programma" nei rapporti di collaborazione relativi alla realizzazione dei piani di zona. Ciò avverrà rigorosamente al di fuori dei casi nei quali si configuri oggettivamente un rapporto di tipo contrattuale, ricadente nelle fattispecie di cui al Dlgs n. 157 del 17 marzo 1995 (appalti di pubblici servizi) e, comunque, in quelle previste dalla vigente normativa nazionale in tema di contratti della pubblica amministrazione.

Sul piano della pratica procedurale, dopo l’esecutività dei provvedimenti che approvano i piani di zona, i soggetti istituzionali competenti ricevono, anche sollecitandole, le proposte che tutti i soggetti sociali senza finalità di lucro, aventi sede nei territori interessati, intendono proporre sotto forma di intervento nel procedimento amministrativo e concludono con essi gli accordi opportuni per la realizzazione del programma, nel rispetto dei principi della par condicio e della legalità dell’azione amministrativa, in applicazione ed in piena osservanza dei regolamenti per la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici in genere, di cui all’articolo 12 della legge n. 241/1990. Detti regolamenti potranno essere opportunamente modificati al fine di renderli idonei ad un più funzionale raggiungimento degli obiettivi del Piano.

Dopo la conclusione di tali accordi, gli organi istituzionali competenti procedono alla ricognizione degli interventi previsti nei piani di zona per i quali non sarà stato possibile concludere gli accordi di cui sopra e per i quali sarà conseguentemente necessario procedere, attraverso specifici provvedimenti amministrativi, a diverse soluzioni gestionali, ed in particolare all’appalto o alla concessione a terzi, naturalmente attraverso le procedure di gara previste dalla legge.

La disciplina da parte della Regione delle funzioni programmatorie di livello infraregionale, da lungo tempo consolidata per quanto attiene all’utilizzo del territorio sotto il profilo urbanistico, non è ancora entrata nella cultura e tanto meno nella prassi operativa delle Regioni per ciò che riguarda la programmazione socio-economica locale, con specifico riferimento all’area dei servizi alle persone.

L’approvazione del Piano sociale può, dunque, essere l’occasione per dare attuazione alle funzioni regionali di cui al citato art. 3 della legge di riforma delle autonomie locali, che discendono dalla stessa Carta costituzionale.

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3.5. Zonizzazione dei servizi

La configurazione delle zone, individuate come ambiti per la gestione dei servizi sociali, scaturisce dall'esigenza di conciliare, da un lato, le scelte già effettuate dalla Regione (è il caso delle indicazioni contenute nel Programma Regionale di Sviluppo, per quanto attiene alle aree urbane integrate) e, dall'altro, favorire il raggiungimento dell'obiettivo di promuovere le collaborazioni tra le diverse istituzioni coinvolte e cointeressate al sistema dei servizi alla persona.

Per questi motivi, i criteri adottati sono funzionali alla realizzazione di una zonizzazione su scala sub-provinciale per ambiti omogenei finalizzata alla gestione dei servizi. L'omogeneità territoriale è stata definita sulla base degli elementi idrografici e geomorfologici incidenti sui flussi di traffico, sui tempi di spostamento, sulla base della distribuzione della rete viaria. Si è posta anche attenzione alle caratteristiche socio-culturali particolari di alcune zone della Regione.

Gli ambiti sub-provinciali trovano legittimazione nel ruolo che la legge 142/90, agli artt. 14 e 15, attribuisce alle amministrazioni provinciali, come soggetto che può attivare e facilitare forme di collaborazione fra i Comuni, tenendo conto della distribuzione delle aziende sanitarie e definendo pertanto ambiti che risultano sottomultipli delle stesse.

Una significativa attenzione è dedicata all'attuale articolazione delle comunità montane. Esse rappresentano un riferimento istituzionale e gestionale consolidato che può, quando presente, rappresentare la soluzione utilizzabile per la gestione associata dei servizi alla persona, in modo da garantire i servizi secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità.

L'utilizzo dei criteri, così specificati, ha portato a definire ambiti in media di 40.000 abitanti, ad esclusione di alcune realtà montane a causa della natura accidentata del territorio e della scarsa densità di popolazione, dei caratteri propri delle zone ad alta urbanizzazione e di alcune zone della fascia costiera al confine nord e sud, data la loro particolare connotazione urbanistica.

Le tabelle di cui alla Parte II descrivono i 35 ambiti entro cui è prevista la gestione associata dei servizi, suddivisi per territori provinciali.

3.6. I Piani di zona

Il sistema delle responsabilità e le specifiche attribuzioni di competenza, ripartite tra i diversi livelli istituzionali, comportano la necessità di coniugare il livello programmatorio regionale con un livello che risulti adeguato e funzionale alla rappresentanza, promozione e protezione degli interessi specifici della popolazione, nelle singole comunità locali, adeguate per territorio e popolazione.

3.6.1. Cos'è il Piano di zona

Il Piano di zona è l'occasione offerta alle comunità locali per leggere, valutare, programmare e guidare il proprio sviluppo e va visto e realizzato come piano regolatore del funzionamento dei servizi alle persone. In particolare, il Piano di zona è lo strumento promosso dai diversi soggetti istituzionali e comunitari per:

• analizzare i bisogni e i problemi della popolazione sotto il profilo qualitativo e quantitativo; • riconoscere e mobilitare le risorse professionali, personali, strutturali, economiche,

pubbliche, private (profit e non profit) e del volontariato; • definire obiettivi e priorità, nel triennio di durata del Piano attorno a cui finalizzare le

risorse;

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• individuare le unità d'offerta e le forme organizzative congrue, nel rispetto dei vincoli normativi e delle specificità e caratteristiche proprie delle singole comunità locali;

• stabilire forme e modalità gestionali atte a garantire approcci integrati e interventi connotati in termini di efficacia, efficienza ed economicità;

• prevedere sistemi, modalità, responsabilità e tempi per la verifica e la valutazione dei programmi e dei servizi.

3.6.2. Perché il Piano di zona

I bisogni, vecchi e nuovi, impongono una revisione critica dell'attuale sistema di unità di offerta, non sempre adeguata sotto il profilo qualitativo e quantitativo, spesso non idoneo a garantire le opportunità necessarie perché i diritti sanciti risultino esigibili. A questo scopo va promossa e consolidata la logica del lavorare per progetti, con il potenziamento di iniziative di concertazione interistituzionale, per garantire approcci integrati all'interno di circuiti e procedure programmatiche propri del livello regionale e di quello locale, nel rispetto degli obiettivi e delle priorità definite dalla Regione, fatte salve le specifiche esigenze delle comunità locali.

Il Piano di zona è lo strumento e l'occasione nelle mani del programmatore locale per garantire la concordanza tra i programmi, gli obiettivi e i risultati attesi, da un lato, e le previsioni finanziarie annuali e pluriennali dei Comuni e degli altri soggetti che concorrono alla realizzazione degli obiettivi, dall’altro.

La maggior interazione tra soggetti, nel rispetto dei ruoli e delle specifiche funzioni, può essere garanzia di maggior tutela delle persone, in particolare di quelle più deboli che, spesso, oltre a non essere in grado di soddisfare autonomamente i propri bisogni, non sempre riescono a formulare domande pertinenti ai servizi.

Lo strumento Piano di zona può risultare la risposta strategica all'esigenza di passare da una cultura assistenziale di erogazione di prestazioni alla persona bisognosa ad una politica positiva di servizi, fra loro integrati, a favore dell'intera comunità locale.

Il Piano di zona, infine, contestualizza le finalità e gli obiettivi definiti nel Piano Sociale Regionale in alcune aree ritenute strategiche, con riferimento alle esigenze e ai bisogni locali. Questi obiettivi comportano a livello locale l’adozione di atti, l’effettuazione di scelte, la predisposizione di strumenti, l’avvio di rapporti interistituzionali, che, puntualmente, nelle forme, nelle modalità e nei tempi definiti dalla Regione, si configureranno come specifici del Piano di Zona.

3.6.3. Le aree di competenza del Piano di zona

I piani di zona devono dare priorità agli anziani, ai disabili e all’età evolutiva. La famiglia, verso la quale si sono sviluppate aspettative notevoli ed alla quale sono state spesso delegate funzioni gravose, deve essere soggetto attivo e destinatario delle politiche sociali locali contribuendo a realizzare gli inderogabili doveri di solidarietà nello specifico contesto e con le modalità tipiche dei rapporti familiari. In tal senso, gli eventuali contributi economici a favore di nuclei familiari in difficoltà, erogati dall'ente gestore locale, devono essere motivati nel quadro di progetti individualizzati di aiuto e sostegno alla persona e alla sua famiglia.

3.6.4. Come si articola il Piano di zona

La predisposizione del Piano di zona comporta tre fasi di lavoro:

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• una prima, propedeutica, di analisi dei problemi e dei bisogni, di lettura delle risorse, di individuazione dei soggetti che, a diverso titolo, sono interessati al processo programmatorio;

• una seconda, in cui vengono messi a punto i contenuti del Piano e si procede alla sua approvazione ed alla stipula dell’accordo di programma ove necessario;

• una terza, in cui si avvia e sperimenta la sua gestione unitaria ed integrata (anche con i soggetti comunitari), all'interno degli ambiti per la gestione dei servizi sociali.

La Giunta Regionale, entro sei mesi dall’approvazione del Piano, fornisce orientamenti per il lavoro del programmatore locale, nella fase conoscitiva ed in quella di predisposizione del Piano di zona, con linee guida per l'ente gestore in funzione del monitoraggio e della valutazione dei risultati conseguiti.

3.6.5. Chi predispone il Piano di zona

I Sindaci, da soli, ovvero riuniti nella Conferenza dei Sindaci negli ambiti pluricomunali, sono i soggetti che promuovono e curano la predisposizione del Piano di zona. Essi coinvolgono, nelle diverse fasi e nel rispetto delle specifiche competenze di ognuno, tutte le istituzioni pubbliche, le istituzioni private, le famiglie e tutti i soggetti della solidarietà organizzata presenti nell’ambito territoriale e disponibili ad entrare in una logica programmatoria locale.

In caso di gestione tramite consorzio intercomunale, le funzioni della Conferenza dei Sindaci sono svolte dall’Assemblea consortile.

6. Procedure metodologiche per la predisposizione del Piano di zona

È opportuno che il Sindaco o la Conferenza dei Sindaci costituiscano un "gruppo di piano" formato da politici, tecnici e rappresentanti dei soggetti istituzionali o della solidarietà organizzata, ivi comprese le "associazioni storiche" operanti nel settore della disabilità, presenti nello specifico ambito territoriale. Questo gruppo è lo "strumento operativo" del programmatore locale nella predisposizione del Piano.

Le fasi principali in cui può articolarsi il lavoro sono le seguenti:

a. predisposizione degli strumenti di rilevazione dei soggetti presenti sul territorio e dei dati relativi ai bisogni, alle risorse, ai servizi;

b. analisi dei dati, individuazione degli obiettivi e delle priorità, con diretto coinvolgimento del Sindaco o della Conferenza dei Sindaci e altri soggetti istituzionali e sociali;

c. stesura del Piano di zona con obiettivi, sotto-obiettivi, risultati attesi, indicatori, azioni da compiere, interventi e servizi da garantire, soggetti responsabili, oneri necessari, tempi di realizzazione dei servizi, rapportati alla durata triennale del Piano, momenti di verifica e valutazione;

d. individuazione delle modalità gestionali per garantire approcci integrati con il distretto sanitario.

3.6.7. L'approvazione del Piano di zona

Una volta predisposto, il Piano di zona viene sottoposto all’approvazione dei Consigli Comunali dei Comuni facenti parte dell’ambito territoriale e, quindi, trasmesso alla Regione a cura del Sindaco o della Conferenza dei Sindaci.

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La Giunta Regionale, nel termine di 60 giorni dal ricevimento del Piano, ne verifica la compatibilità con gli obiettivi di sistema e con gli obiettivi caratterizzati su problemi specifici, definiti nelle direttive del Piano Sociale Regionale e, in assenza di rilievi, ne delibera l’approvazione.

In caso di non compatibilità tra livello regionale e scelte locali, il Piano viene rinviato al programmatore locale per l’adeguamento e le modifiche necessarie.

Il Piano di Zona entra in vigore con la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo della deliberazione di approvazione da parte della Giunta Regionale.

Il programmatore locale informa dell’avvenuta pubblicazione tutti i soggetti pubblici e privati che hanno titolo alla gestione dei servizi. I servizi previsti nel Piano di Zona possono fruire dei contributi regionali sia di parte corrente che per gli investimenti, nel rispetto dei criteri di cui al successivo Capitolo 6.

Dopo l’approvazione da parte della Regione possono essere formalizzati gli accordi e i contratti di programma e quant’altro necessario per la gestione integrata del Piano di Zona. Il piano approvato, in particolare, costituisce il necessario presupposto per la stipula dell’accordo di programma tra i Comuni, singoli o associati, e l’Azienda U.S.L. di riferimento per quanto attiene alle competenze gestionali relative ai servizi ad elevata integrazione socio-sanitaria.

OBIETTIVI INDICATORI

1. predisposizione del Piano di zona da parte del Sindaco o della Conferenza dei Sindaci di ambito

• predisposizione del Piano di Zona in ogni ambito rispetto ai tempi stabiliti sul totale degli ambiti

1. i Piani di zona devono essere frutto di processi partecipati

• numero Piani predisposti con l’apporto di istituzioni pubbliche sul totale dei Piani

• numero Piani predisposti con l’apporto di soggetti della solidarietà organizzata sul totale dei Piani

1. coinvolgimento e informazione della comunità locale sui Piani di zona

• numero ambiti in cui è stato attuato il coinvolgimento dei soggetti della solidarietà organizzata

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4. Aree ad elevata integrazione

La distinzione delle responsabilità istituzionali e gestionali in ordine al funzionamento dei servizi sanitari e sociali rende oggi più necessaria che in passato la realizzazione di interventi capaci di integrare professionalità e risorse sociali e sanitarie.

Il Piano sociale guarda all’integrazione istituzionale e operativa come ad un obiettivo strategico a cui tendere, avvalendosi degli strumenti già previsti dalla normativa e promovendone di nuovi. L’azione integrata, oltre a favorire l'efficacia degli interventi a garanzia dell'unitarietà e globalità della persona, consente di razionalizzare la spesa, non solo nella gestione dei servizi e nell'erogazione delle prestazioni, ma anche nell'opera di ristrutturazione e riqualificazione della rete di strutture residenziali e diurne.

4.1. La strategia dell'integrazione socio-sanitaria

Questa strategia si realizza attraverso due condizioni, già descritte in precedenza:

• a livello istituzionale, con l’accordo di programma tra l'ente gestore dei servizi assistenziali e l'azienda sanitaria locale, in cui vengono specificati, oltre agli obiettivi da raggiungere nella singola area, anche le competenze di ogni soggetto istituzionale, le risorse messe a disposizione, le modalità per la gestione integrata, tutti gli altri strumenti di monitoraggio, verifica e valutazione partecipata;

• a livello programmatorio, attraverso la predisposizione del Piano di zona che dovrà prevedere, per i servizi ad elevata integrazione, l'adozione di progetti-obiettivo formulati ai sensi dell'art. 2 della L. 595/85, quantomeno con riferimento ai problemi degli anziani non autosufficienti, dei minori e dei disabili.

La realizzazione di progetti-obiettivo, cioè interistituzionali, presuppone che i soggetti titolari delle due competenze, socio-assistenziale e sanitaria, si assumano, per le rispettive competenze, la responsabilità di realizzare quanto previsto. In tal senso l’integrazione istituzionale e operativa si specifica:

• a livello organizzativo, attraverso la valorizzazione del lavoro territoriale di ambito e di distretto, come luogo in cui realizzare i processi di presa in carico integrati, a cura di professionalità dipendenti da istituzioni diverse;

• a livello finanziario, mediante la corretta imputazione ai fondi dei due comparti (sanitario e sociale), rispettivamente per le attività e prestazioni sanitarie e quelle assistenziali a rilievo sanitario. La corretta imputazione è possibile a condizione che nell'accordo di programma siano definite chiaramente le quote di responsabilità di ogni ente rispetto all'attività da garantire.

4.2. Le azioni per l'integrazione

In attuazione del Piano Sociale, la Regione favorisce l'integrazione attraverso:

• l'individuazione della dotazione minima di strutture e servizi, atti a garantire risposte integrate negli ambiti territoriali per la gestione dei servizi sociali;

• la definizione di standard gestionali e strutturali nell’arco del triennio, prevedendo i tempi di adeguamento da parte degli enti gestori;

• l'individuazione di procedure per la concessione dell'idoneità al funzionamento per le nuove strutture, con direttiva regionale;

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• la riclassificazione dell'attuale sistema delle unità di offerta, anche per rendere possibile il loro inserimento nella rete delle strutture convenzionate, se appartenenti ad enti privati;

• la regolazione del sistema di finanziamento delle strutture per la quota-parte gravante sul bilancio regionale;

• la formazione per gli operatori dei servizi e strutture ad elevata integrazione; • l’individuazione delle azioni programmate utili ad affrontare questi problemi, con

particolare riferimento al lavoro territoriale e domiciliare.

OBIETTIVI INDICATORI

1. i Piani di zona devono garantire l’integrazione nelle aree dell’età evolutiva e della famiglia, degli anziani e dei disabili

• piani che contengono progetti di area formulati nei termini di progetti-obiettivo

• numero Piani contenenti il P.O. Anziani sul totale dei Piani

• numero Piani contenenti il P.O. Handicap sul totale dei Piani

• numero Piani contenenti il P.O. Età evolutiva sul totale dei Piani

1. standard gestionali e strutturali nei servizi ad elevata integrazione

• definizione regionale degli standard entro il primo triennio

1. riclassificazione dell’attuale sistema delle unità di offerta di servizi, d’intesa tra sanità e sicurezza sociale

• riclassificazione congiunta entro il primo anno

1. regolazione del sistema di finanziamento dei servizi (definizione quota fondo sanitario e quota fondo assistenziale)

• le direttive regionali entro 6 mesi concernenti le percentuali di costo sanitario e sociale degli interventi integrati

5. formazione congiunta per gli operatori dei servizi ad elevata integrazione

• numero corsi di formazione integrati attivati sul totale dei corsi per anno

• incidenza percentuale di operatori sociali e sanitari nelle diverse iniziative nel triennio

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4.3. Il sistema dei servizi

Il sistema dei servizi di una comunità locale richiede alcune condizioni essenziali per la sua realizzazione:

• la necessità di una definizione chiara del servizio sotto il profilo della sua natura, delle funzioni, degli obiettivi, della struttura organizzativa, degli standard di funzionamento, dei destinatari;

• la chiarezza dei riferimenti istituzionali del servizio, in rapporto al titolare delle funzioni che tale servizio può gestire direttamente o attraverso forme convenzionali;

• la chiarezza sulla fisionomia budgetaria del medesimo sotto il profilo delle entrate e delle uscite, delle risorse, dei prescrittori di spesa e dei finanziatori;

• la necessità che il servizio abbia una sua specifica identità operativa, amministrativa, istituzionale;

• la necessità di precisare procedure per forme di presa in carico specifiche.

4.4. L’integrazione

Il superamento di servizi settoriali e l’alternativa introduzione di servizi integrati si fonda sulla necessità di considerare la globalità della persona in tutte le sue dimensioni, soprattutto in rapporto a disturbi, problemi o patologie correlati alla componente psicologica, sociale, familiare, relazionale e lavorativa, agli stili di vita e ai fattori ambientali. In tali servizi è fondamentale che si guardi sistematicamente al rapporto tra la persona e i propri contesti di vita, agendo sui fattori che ne favoriscono lo sviluppo.

Tutto ciò richiede cooperazione e integrazione al fine di contrastare la multifattorialità del disagio, chiamando in causa una nuova cultura della salute e nuove metodologie di intervento capaci di collocare in un processo unitario i diversi apporti di natura sociale, sanitaria, educativa.

4.5. Caratteri dell’integrazione nei servizi territoriali

L’integrazione avviene a diversi livelli:

• istituzionale quando il servizio dipende, nella sua ideologia, impostazione ed operatività, dagli specifici indirizzi di politica sociale emanati dall’istituzione che lo gestisce;

• interistituzionale quando una struttura, per specifiche funzioni, fa capo ad altrettanto diversificati livelli istituzionali, che non possono non mettersi in sinergia fra loro;

• interorganizzativa quando, all’interno di una stessa unità operativa, agiscono professionalità afferenti amministrativamente a strutture diverse, come nel caso di operatori dell’ente pubblico e delle cooperative sociali all’interno della medesima struttura di servizio;

• interprofessionale quando le figure presenti nel servizio sono diverse e nello stesso tempo convergenti su bisogni unitari, all’insegna della complementarietà e della condivisione di responsabilità in ordine alla soluzione dei problemi.

4.6. La presa in carico

La presa in carico dei problemi e dei programmi di intervento nei servizi ad elevata integrazione non è solo una forma di intervento o una modalità di gestione, ma un requisito fondamentale per l’identità del servizio e per la messa a punto di setting operativi e organizzativi, utili al consolidamento dell’identità interna ed esterna del servizio medesimo.

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La presa in carico non riguarda soltanto i servizi che stabiliscono un rapporto con la persona o la sua famiglia, ma coinvolge anche la comunità locale nelle sue diverse espressioni e in primo luogo le realtà solidaristiche.

Su questo terreno l’integrazione diventa una metodologia fondamentale che richiede l’incontro e l’individuazione di diverse responsabilità:

• professionale, da parte del singolo operatore; • interprofessionale, da parte di professionalità diverse che agiscono sulla base di un progetto

comune; • di servizio, a garanzia di continuità tecnica e istituzionale dell’intervento; • fra servizi, quando la complessità del problema lo richiede, individuando volta per volta il

servizio primario di riferimento; • istituzionale, a garanzia della esigibilità del diritto considerato; • comunitaria, nella misura in cui soggetti diversi, professionali, istituzionali e solidaristici

esercitano una comune responsabilità in ordine alla soluzione del problema.

5. Obiettivi caratterizzati su problemi specifici

L’analisi sul sistema delle unità d’offerta, nelle tre aree specifiche prese in esame dal Piano regionale, porta a formulare due opzioni strategiche:

• la prima è quella di potenziare le risposte nei singoli ambiti territoriali, riportando nelle comunità locali le persone oggi ricoverate in strutture situate fuori della provincia di provenienza, attivando contestualmente forme di progettazione individuale per superare la logica del lavoro per prestazioni, poco efficace e soprattutto poco rispettosa della globalità della persona;

• la seconda è conseguenza della prima e consiste nel realizzare una dotazione minimale di servizi per ogni ambito territoriale. La Regione incentiva tali strategie, prevedendo l’erogazione di contributi aggiuntivi a favore degli enti gestori di ambito che si dotino di tali servizi.

5.1. Caratteristiche dell’attuale sistema dei servizi nell’area dell’età evolutiva e obiettivi di Piano regionale

Uno sguardo sul sistema delle unità d’offerta e una analisi sugli attuali soggetti in età evolutiva seguiti dai servizi, permette di rilevare che, relativamente al 1995:

a. l’affido familiare è praticato in 36 casi; b. sul territorio regionale esiste un’unica comunità alloggio; c. sono attivati interventi di centro diurno che seguono circa 400 minori, di cui più della metà

in provincia di Teramo; d. negli istituti educativo-assistenziali sono ricoverati 327 soggetti in età evolutiva. Per il 33%

dei casi si tratta di ragazzi provenienti da famiglie che vivono in un territorio provinciale diverso da quello in cui è ubicata la struttura; dai dati emerge inoltre che per il 30% dei casi il ricovero è avvenuto su richiesta dei familiari;

e. sono state realizzate iniziative aggreganti e informative a favore di adolescenti e giovani, per il 50% dei casi, nelle province di Pescara e Teramo.

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I servizi e le prestazioni attivate in quest’area attualmente si configurano come offerte che "separano" i soggetti in età evolutiva dalla famiglia (è il caso degli istituti).Sono pochissimi i minori seguiti da strutture di tipo familiare quali comunità alloggio, o con la formula dell’affido familiare.

Più in generale gli interventi non si configurano come sostegno alla famiglia in funzione del far rimanere il minore in famiglia e sono ancora scarsamente sviluppate iniziative sul versante della promozione e della prevenzione.

L’attuale sistema di servizi è infine concentrato in alcune zone, con il rischio di innescare nelle altre processi di isolamento e di emarginazione. A fronte di tale situazione, il Piano regionale definisce i seguenti obiettivi:

Obiettivo1 Potenziare la metodologia del lavoro per progetti integrati, finalizzata ad una presa in carico dei problemi che si evidenziano nei nuclei familiari e che condizionano i processi di crescita dei soggetti in età evolutiva. L’aiuto alla famiglia d’origine, il supporto perché le relazioni all’interno del nucleo non penalizzino i minori, l’attivazione di forme di sostegno domiciliare e diurno, il supporto per la riunificazione (da prevedere già nella fase dell’allontanamento) sono fasi da gestire unitariamente e nell’ottica del lavoro di rete, favorendo l’apporto di ogni soggetto istituzionale e comunitario disponibile ed attivabile.

Obiettivo 2 Potenziare i "Centri aperti" a favore di preadolescenti ed adolescenti, in modo di attivare forme di aiuto diffuso, finalizzato alla promozione e prevenzione, in ogni ambito territoriale.

Obiettivo 3 Attivare i "Centri diurni" a favore di nuclei limitati di soggetti in età evolutiva (10-15 unità) che necessitano di aiuto intensivo perché definiti a "rischio", soggetti in età evolutiva già istituzionalizzati o che comunque necessitano di supporti psico-educativi e assistenziali personalizzati. Tali centri possono essere di ambito ovvero servire due o più ambiti confinanti, convenzionati tra loro.

Obiettivo 4 Avviare sperimentalmente interventi di assistenza educativa domiciliare e territoriale per soggetti in età evolutiva con gravi problemi personali e familiari.

Obiettivo 5 Potenziare forme di affido familiare in collaborazione con gruppi, associazioni di volontariato e altri soggetti della solidarietà organizzata.

Obiettivo 6 Attivare servizi comunitari di tipo familiare a livello di ambito o di più ambiti territoriali confinanti tra loro.

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2. Caratteristiche dell’attuale sistema dei servizi nell’area anziani e obiettivi di Piano regionale

I dati relativi alle unità d’offerta e alle persone anziane in carico sono i seguenti:

• sono presenti e distribuiti sul territorio regionale 56 strutture intermedie, definite "Centri sociali diurni" che vedono coinvolti circa 4.750 persone anziane;

• sono state attivate 10 "Comunità alloggio" che ospitano circa 300 persone anziane, autosufficienti e non;

• equamente distribuiti nelle province, sono presenti 59 istituti con 2.727 posti-letto e 2.406 ospiti, di cui il 48,3% autosufficienti e il 51,7% non autosufficienti;

• risultano infine seguiti a domicilio, attraverso l’assistenza domiciliare, circa 130 persone anziane.

Il programmatore locale è chiamato ad investire per superare lo scarso sviluppo del sostegno e dell’aiuto all’anziano e alla sua famiglia con servizi domiciliari e diurni, a fronte dell’alto numero di persone autosufficienti (48,3%) sul totale delle persone anziane ricoverate in istituto.

Questo può avvenire con approcci integrati ai bisogni degli anziani, sia nella fase della lettura dei bisogni che nella definizione dei progetti ed erogazione delle conseguenti prestazioni. A partire da ciò, il Piano regionale definisce i seguenti obiettivi di area:

Obiettivo 1 Attivare le unità di valutazione geriatrica nei singoli ambiti territoriali, con la collaborazione tra personale sociale dell’ambito e personale sanitario del distretto.

Obiettivo 2 Avviare i servizi di assistenza domiciliare integrata in ogni ambito territoriale, anche questo servizio con l’apporto delle figure sanitarie dell’Azienda sanitaria locale.

Obiettivo 3 Sperimentazione di "Centri socio-riabilitativi diurni" a favore delle persone anziane che necessitano di aiuto intensivo, a livello assistenziale e riabilitativo. Tali centri possono essere di ambito o servire una utenza di più ambiti territoriali confinanti.

Obiettivo 4 Sperimentare piccole strutture comunitarie (4-6 posti letto) che si configurino come "strutture di convivenza facilitata" per persone anziane autosufficienti che impropriamente vivono negli istituti.

Obiettivo 5 Riconvertire, parzialmente, i posti letto per autosufficienti in posti per non autosufficienti.

Obiettivo 6 Riconvertire parti delle strutture esistenti da istituto in centri socio-riabilitativi diurni.

5.3. Caratteristiche dell’attuale sistema dei servizi nell’area handicap e obiettivi di Piano regionale

La classificazione delle strutture e dei servizi di quest’area non è sempre omogenea, per la sovrapposizione di prestazioni diverse sulla stessa persona e per la confluenza in quest’area di competenze articolate e diverse.

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È questo il settore in cui diventa evidente il limite insito nel non disporre di un efficace e concentrato sistema informativo in grado di convogliare dati e informazioni sui servizi e sull’utenza, al di là dell’ente gestore che eroga le prestazioni. I dati per macro-aggregazioni (1995) risultano essere i seguenti:

a. sul territorio sono presenti 9 strutture residenziali (istituti) con un totale di 654 ospiti, di cui l’84,7% non autosufficienti. Una particolare concentrazione è in Provincia di Chieti; un’alta percentuale di persone ospitate proviene da altre regioni;

b. sono operanti 41 strutture intermedie, di cui 32 convenzionate. Si tratta di centri riabilitativi, centri sociali diurni, istituti medico-psico-pedagogici. In totale, gli utenti seguiti sono circa 9.000, dei quali un terzo minori. Anche questi servizi sono concentrati prevalentemente in grossi centri;

c. risulta difficile monitorare l’esatta dimensione degli interventi posti in essere per favorire l’integrazione sociale, scolastica e lavorativa.

L’area dell’handicap è quella dove maggiormente la Regione è chiamata ad effettuare uno sforzo congiunto, tra settori, per:

• verificare e classificare le strutture esistenti; • avviare il superamento delle grandi strutture di accoglienza; • potenziare interventi domiciliari e diurni; • prevedere forme di incentivazione per decentrare servizi e prestazioni; • definire quote e modalità di finanziamento a carico del bilancio sanitario; • favorire risposte globali prevedendo uno sviluppo sul versante dell’integrazione sociale,

scolastica e lavorativa.

Obiettivo 1 Sperimentare nuclei valutativi integrati, d’intesa tra ambito territoriale e Azienda sanitaria locale.

Obiettivo 2 Attivare forme di assistenza domiciliare integrata e potenziare le esperienze già operanti.

Obiettivo 3 Sperimentare Centri diurni socio-riabilitativi per persone con handicap che necessitano di "aiuto intensivo".

Obiettivo 4 Realizzare alternative ai grandi istituti prevedendo, dove possibile, la riconversione in micro strutture comunitarie diffuse sul territorio regionale in modo omogeneo e con un massimo di 30 posti letto.

Obiettivo 5 Avviare la riconversione degli attuali istituti in Centri socio-riabilitativi diurni.

5.4. Servizi da garantire in ogni ambito territoriale entro il triennio

La scelta della Regione di individuare ambiti territoriali per la gestione dei servizi sociali è la prima condizione per poter rendere esigibili i diritti sociali che le diverse leggi operanti e la cultura diffusa oggi esistente, riconoscono alle persone.

In ogni ambito territoriale devono essere garantiti alcuni servizi e prestazioni fondamentali. Ciò richiede maggiori attenzioni e sforzi, sia a livello regionale che di singoli enti gestori di ambito. La

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dotazione minima, specificamente delineata nel Piano di zona, per qualificare le risposte che l’ambito è chiamato a garantire, riguarda:

a. il segretariato sociale (è una funzione professionale); b. il servizio socio-psico-educativo per l’infanzia e l’adolescenza (integrando prestazioni

professionali); c. il servizio di assistenza domiciliare integrata (è un servizio da attivare d’intesa con

l’Azienda sanitaria locale); d. l’unità di valutazione geriatrica (è un nucleo da attivare d’intesa con l’Azienda sanitaria

locale); e. la disponibilità di posti letto, attraverso forme di convenzione, presso strutture residenziali

per persone anziane, disabili e in età evolutiva.

A questo primo gruppo di prestazioni e servizi si aggiungono altre due tipologie di servizi che potrebbero essere definiti di ambito, per le realtà territoriali più ampie, o servizi cogestiti tra più ambiti nelle realtà a bassa densità abitativa. Ci si riferisce a:

f. "centri diurni" per soggetti in età evolutiva; "centri socio-riabilitativi diurni" per persone anziane; "centri socio-riabilitativi diurni" per persone con handicap;

g. "micro strutture comunitarie" per persone anziane, con handicap o in età evolutiva.

Il soggetto gestore dei servizi di ambito attiverà i servizi e le prestazioni di competenza con risorse dei Comuni dell’ambito, con risorse messe a disposizione da altri soggetti pubblici, privati e comunitari presenti sul territorio, con risorse regionali assegnate storicamente ed eventuali quote aggiuntive.

In sede di programmazione locale e di predisposizione del Piano di zona, si dovrà prevedere come obiettivo del primo anno la realizzazione dei servizi di cui al punto a. e come obiettivo del secondo anno la realizzazione della tipologia di servizi di cui al punto b.

Infine, per ogni ambito territoriale dovrà essere prevista la presenza di un dirigente che a tutti gli effetti sarà il responsabile tecnico e gestionale dell’ente gestore.

OBIETTIVI INDICATORI

A. Area età evolutiva

1. lavoro per progetti integrati

• nel 30 % dei casi entro il primo anno

• nel 50% dei casi entro il secondo anno

• nel 90% dei casi entro il terzo anno

• numero ambiti territoriali che hanno lavorato per progetti integrati per anno sul totale degli ambiti territoriali

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2. attivazione "Centri aperti" • numero ambiti territoriali che hanno attivato il centro aperto nel triennio, sul totale degli ambiti territoriali

3. attivazione "Centri diurni" • numero centri attivati sul totale delle Province

4. sperimentazione interventi di assistenza educativa domiciliare e territoriale

• nel 10% degli ambiti entro il primo anno

• nel 20% degli ambiti entro il secondo anno

• nel 30% degli ambiti entro il terzo anno

5. potenziamento affidi • nel 50% dei casi ove necessario entro il 1° anno

• nel 60% dei casi ove necessario entro il 2° anno

• nel 70% dei casi ove necessario dopo il 3° anno

rapportati alle percentuali degli indicatori di cui al punto 1

6. attivazione servizi comunitari (gestione diretta o convenzionata)

• uno per capoluogo di provincia

• in convenzione tra ambiti confinanti

B. Area anziani

1. attivazione Uvg in ogni ambito in collaborazione con Asl

• numero Uvg attivate rispetto al numero degli ambiti territoriali entro il terzo anno

1. attivazione Adi in ogni ambito in collaborazione con Asl

• numero Adi attivate rispetto al numero degli ambiti territoriali entro il terzo anno

1. sperimentazione centri socio-riabilitativi diurni

• Uno per capoluogo di provincia entro 2 anni

• in convenzione tra ambiti confinanti

• nel 20% degli ambiti - entro il 1° anno

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• nel 30% degli ambiti - entro il 2° anno

• nel 40% degli ambiti - entro il 3° anno

1. riconversione posti letto da autosufficienti a non autosufficienti

• 10% posti letto entro terzo anno

1. riconversione parziale da istituti a centro socio-riabilitativo diurno

• 10% del totale degli istituti entro fine triennio (almeno con progetto esecutivo)

C. Area handicap

1. sperimentazione nuclei valutativi integrati in ogni ambito in collaborazione con Asl

• numero nuclei valutativi sperimentati con esito positivo

1. attivazione Adi in ogni ambito in collaborazione con Asl

• numero Adi attivate rispetto al numero degli ambiti territoriali entro il terzo anno

• numero collaborazioni con Asl attivate rispetto al numero degli ambiti territoriali entro il terzo anno

1. sperimentazione centri socio-riabilitativi diurni

• Uno per capoluogo di provincia

• in convenzione tra ambiti confinanti

• numero centri attivati sul totale degli ambiti territoriali

1. attivazione micro strutture (max 30 p.l.)

• almeno 1 per territorio provinciale entro 3 anni

• numero micro strutture attivate nel triennio sul totale degli ambiti

1. riconversioni parziali da istituto a centro socio-

• in 3 strutture sulle 9 operanti (almeno con progetto esecutivo entro la

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riabilitativo diurno fine del 3° anno) • numero strutture

riconvertite in rapporto alle nove strutture operanti entro il 3° anno

6. La politica della spesa

6.1. Questioni generali

Nel quadro degli strumenti della Regione per la realizzazione delle politiche sociali, quello finanziario occupa un posto di primaria importanza. Le caratteristiche territoriali e socio-economiche della Regione Abruzzo, tenuto conto anche della prassi amministrativa consolidata, ne enfatizzano in modo particolare la rilevanza, ma anche la problematicità.

Le numerose leggi regionali che prevedono interventi finanziari di sostegno e di promozione risultano spesso scarsamente collegate fra loro e perseguono obiettivi di tipo settoriale, senza tener conto di un disegno unitario, riferito al territorio.

Il Piano sociale, quindi, nel tracciare le caratteristiche del nuovo sistema dei finanziamenti regionali, tiene conto delle finalità della politica della spesa, di seguito indicate:

- riequilibro territoriale dei servizi, particolarmente importante in considerazione delle peculiari caratteristiche territoriali della Regione Abruzzo e dei notevoli squilibri esistenti;

- passaggio da un regime prevalentemente rivolto alla gestione corrente ad uno finalizzato alla progettualità e alla promozione;

- organicità della politica della spesa, in funzione di obiettivi espressi in termini di soddisfacimento dei bisogni;

- determinazione dei possibili finanziamenti al duplice fine di rendere operative le affermazioni di principio concernenti i livelli di soddisfazione dei bisogni (ed il riequilibrio territoriale dei servizi) e di prefigurare un sistema di controllo/valutazione dell’utilizzo delle risorse;

- inquadramento della politica della spesa nell’ambito dei diversi strumenti delle politiche sociali regionali e del nuovo sistema delle responsabilità, per la massima valorizzazione delle risorse locali e per la crescita della solidarietà nell’ambito della società civile.

6.2. Criteri di scelta

Tenendo conto della necessità di far confluire il complesso degli stanziamenti storici (previsti dalle varie leggi di settore) in un unico fondo sociale regionale, i finanziamenti regionali saranno gradualmente riordinati nel modo seguente:

- per le attività consolidate: va assicurato il graduale superamento dei finanziamenti "storici" per giungere al conseguimento degli obiettivi di Piano;

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- per i livelli minimi di servizio: una quota del totale degli stanziamenti regionali destinati al finanziamento dei servizi sociali erogati dagli enti locali è riservata quale incentivazione per la realizzazione dei servizi definiti quali minimali dalla Regione secondo quanto previsto al capitolo 5;

- per i piani di zona: sotto questo profilo, la politica della spesa costituisce non solo strumento per promuovere un elevato livello qualitativo dei piani di zona in se’ considerati, ma anche per sostenerne l’operatività. A questo fine non sarà corrisposto alcun finanziamento regionale a quei comuni che non avranno approvato il piano di zona; agli altri comuni appartenenti al medesimo ambito viene garantito il finanziamento regionale purché essi siano in numero tale da rappresentare almeno il 50% del numero dei comuni appartenenti all’ambito, ovvero ricomprendano almeno il 70% della popolazione residente nell’ambito stesso;

- per le gestioni speciali regionali: pur nel rispetto del principio generale che attribuisce alla Regione funzioni di programmazione, coordinamento e controllo e che riserva agli enti locali il compito di organizzare ed erogare i servizi, possono essere finanziate direttamente azioni di supporto e di promozione degli enti locali (formazione, sistema informativo, ricerca, sperimentazione), ovvero iniziative e servizi che, in quanto strumentali rispetto alle funzioni caratteristiche della Regione, possono costituire supporto per gli stessi enti;

- per settori specifici: caratterizzati dall’eccezionalità, in considerazione dell’opportunità di perseguire obiettivi ritenuti prioritari o rispetto ai quali un diretto coinvolgimento della Regione si riveli necessario; ovvero dalla straordinarietà oggettiva degli eventi e delle problematiche di riferimento.

L’entità finanziaria della manovra attraverso la quale il Piano può perseguire i propri obiettivi è determinata non solo da quote aggiuntive messe a disposizione agli enti locali dall’amministrazione regionale in relazione alle disponibilità di bilancio, ma anche da risorse finanziarie liberate attraverso la razionalizzazione della spesa storica e il ridimensionamento di alcuni flussi tradizionali di finanziamento.

6.3. Governo del cambiamento

La misura delle risorse liberate attraverso la razionalizzazione dell’esistente ed il ridimensionamento di alcuni flussi di finanziamento dipende da tre variabili:

1. il livello di gradualità del processo di cambiamento che la Regione intende promuovere;

2. la effettiva capacità di incidere concretamente sull’azione amministrativa delle amministrazioni locali;

3. la capacità di liberare ulteriori risorse finanziarie pubbliche, con l’esercizio, da parte delle amministrazioni locali delle funzioni di promozione e sostegno delle iniziative dei soggetti sociali, senza le quali i margini di manovra per la politica della spesa sono modesti, tenuto conto delle problematiche di bilancio e delle esigenze della popolazione difficilmente comprimibili.

Una delle ragioni fondamentali del Piano è costituita dal riequilibrio dei servizi sul territorio e dal loro miglioramento qualitativo: obiettivi che sarebbe illusorio pensare di perseguire solo attraverso la messa a disposizione di risorse aggiuntive a carico del bilancio regionale. Rispetto a tali obiettivi

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sarà necessario procedere, in alcuni casi, anche a riduzioni di attuali linee di finanziamento, agendo prioritariamente su quelle per le quali sia mancato un effettivo ed appropriato utilizzo da parte dei destinatari, su quelle rispetto alle quali i destinatari non siano disponibili a fornire riscontri valutativi adeguati e su quelle rivolte alla soddisfazione di bisogni non considerati prioritari dal Piano.

Va ricordato anche che la determinazione e la realizzazione delle politiche di spesa del Piano sono agevolate dall’entrata in vigore della legge regionale 17 dicembre 1996 n. 135, avente ad oggetto il Fondo sociale regionale per l’espletamento dei servizi e interventi in materia sociale e socio-assistenziale, che può essere considerata un intervento ponte, preparatorio rispetto alle definitive ed organiche politiche di spesa del Piano.

Deve, infine, essere precisato che la Giunta Regionale con propria direttiva darà indicazioni anche sotto il profilo finanziario, a precisazione dei rapporti intercorrenti fra le Unità sanitarie locali ed i Comuni, per quanto riguarda l’assunzione delle spese per i servizi sanitari più strettamente connessi con quelli di assistenza sociale e per lo stanziamento della quota sanitaria di quelli socio-sanitari ad elevata integrazione, nel rispetto della normativa nazionale e con la massima attenzione per la qualità delle risposte al bisogno.

BIETTIVI SPECIFICIINDICATORI

1. politica della spesa finalizzata ad un aumento dell'impegno degli enti locali nella messa a disposizione di risorse proprie

• definizione legislativa di un sistema unitario di finanziamenti regionali delle politiche sociali locali entro il primo anno di vigenza del piano

• numero degli ambiti sul totale che, entro il secondo anno, di vigenza del piano, hanno fissato uno standard minimo di spesa pro-capite

• numero degli enti locali sul totale che coprono con risorse proprie almeno il 50% della propria spesa sociale

1. politica della spesa finalizzata al raggiungimento di obiettivi di riequilibrio nella risposta ai bisogni

• numero dei Comuni sul totale che, entro 12 mesi dall'entrata in vigore del piano regionale, hanno approvato piani di zona;

• raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio definiti nel piano di zona nel triennio

1. politica della spesa collegata alla verifica del corretto utilizzo dei

• realizzazione di un sistema di monitoraggio regionale del corretto utilizzo dei finanziamenti regionali nel triennio

• numero di Comuni sul totale che

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finanziamenti hanno fatto un utilizzo irregolare dei finanziamenti ricevuti dalla regione

4. politica della spesa tesa ad incentivare la liberazione di risorse aggiuntive e l'assunzione di un ruolo di mediatore di processi da parte delle amministrazioni locali

• riserva, a partire dal secondo anno di vigenza del piano, di una quota di finanziamenti regionali, destinati ai finanziamenti dei piani di zona, da erogarsi in rapporto agli indici risultanti da:

• prodotto fra il numero di contratti di programma stipulati per il numero di soggetti comunitari coinvolti diviso per il numero complessivo degli ambiti territoriali

• numero di progetti obiettivo nei quali è prevista la realizzazione di interventi il cui sostegno finanziario pubblico diretto o indiretto è inferiore alla metà del valore economico degli interventi

Sistema informativo

7.1. Struttura e caratteri

Il sistema informativo è una condizione per conoscere, monitorare e governare i servizi. Si sviluppa a partire dalla documentazione prodotta nelle diverse aree di intervento. Dalle stesse trae alimentazione per il suo sviluppo nel tempo. Ha come parametro di riferimento gli obiettivi, le dotazioni di risorse, i processi di erogazione definiti ai livelli regionale, zonale e, al suo interno, l’attività dei servizi e delle professioni sociali.

Il sistema informativo nella sua impostazione privilegia il monitoraggio dei bisogni sociali e delle problematiche evidenziate dai cittadini insieme con la rilevazione del volume delle prestazioni erogate. L'efficienza del sistema informativo viene garantita tramite collaborazione continuativa tra i soggetti coinvolti, prevedendo itinerari organici di comunicazione, con l'obiettivo di rendere disponibili a tutti i livelli organizzativi le informazioni necessarie.

In una prima fase diventa prioritario impostare i due livelli fondamentali del sistema informativo: quello regionale e quello di ente gestore dei servizi sociali, con i relativi raccordi.

7.2. Livello regionale

La fase preparatoria del Piano sociale ha consentito di reperire una base organica di dati, organizzandoli in modo da garantire una conoscenza documentata del sistema di offerta, delle professionalità presenti al suo interno, delle caratteristiche fondamentali dell’utenza, dei costi di alcuni servizi, della spesa sociale dei comuni. Si tratta di:

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• consolidare questa base informativa, verificando e stabilizzando i relativi strumenti di rilevazione;

• definire la periodicità di raccolta delle informazioni; • selezionare indicatori di verifica coerenti con gli obiettivi di Piano; • individuare le responsabilità in ordine alla raccolta e alla elaborazione delle informazioni; • definire le modalità di restituzione delle stesse ai soggetti interessati.

Tenendo conto della complessità dell’evoluzione sociale, la Regione, in forma complementare a quanto di seguito previsto, potrà allargare la propria base informativa predisponendo indagini specifiche e ricerche-intervento, mirate a verificare l'impatto dei nuovi modelli di azione, facilitanti lo sviluppo e la equa distribuzione dei servizi nel territorio.

7.3. Livello di ente gestore

Il sistema informativo di ente gestore ha come base fisiologica la documentazione professionale prodotta dagli operatori e dai servizi. E’ quindi fondamentale che questa documentazione risponda in primo luogo alle esigenze proprie dell’intervento professionale e di servizio. Da questa base possono essere ricavate le informazioni necessarie per il governo dell’ente gestore nelle sue diverse aree di attività.

A questo scopo la documentazione professionale e di servizio deve contenere: lo stato personale e familiare, la natura della domanda rivolta al servizio, la natura del problema-bisogno rilevato dal servizio, la natura dell’intervento (progettuale o prestazionale), la quantità di risorse utilizzate correlate agli obiettivi, i tempi previsti, le responsabilità in ordine alla soluzione del problema, gli indicatori quantitativi di risultato, i risultati della verifica, indicazioni sulla soddisfazione dell’utenza.

Per raggiungere questo obiettivo nel triennio, si tratta di definire la dotazione minima di strumenti da utilizzare per raccogliere, organizzare e gestire le informazioni (di intervento e servizio). Gli strumenti potranno avere la forma di schede professionali e di servizio, elaborate sulla base di standard minimi definiti su scala regionale, a cui tutto il sistema deve attenersi.

La erogazione dei fondi regionali viene subordinata anche al rispetto degli standard definiti per la produzione delle informazioni e alla loro effettiva disponibilità.

A questo scopo ogni ente gestore elabora ed organizza i dati, strutturandoli per archivi da cui poter rilevare:

• il contesto in cui opera il servizio (bisogni, natura della domanda, caratteri generali dell'utenza);

• le risorse impegnate; • le attività svolte (con riferimento a tipologie di prestazione e di utenza); • i risultati conseguiti, sulla base di indicatori di efficacia ed efficienza; • la natura delle collaborazioni attivate, di rilievo istituzionale, professionale e comunitario.

7.4. Fasi di implementazione

7.4.1. La prima esigenza del sistema informativo attiene alla conoscenza dei fenomeni sociali. Esso, sotto questa luce, deve fornire un quadro dell’epidemiologia sociale nelle sue manifestazioni e nei suoi possibili sviluppi. Questa conoscenza mette in grado la Regione e gli enti gestori di formulare programmi mirati sulle condizioni di bisogno, attivando, quando necessario progetti specifici.

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7.4.2. Sul versante delle risorse, il sistema informativo deve fornire un quadro aggiornato delle risorse disponibili, per facilitare i processi decisionali, con particolare riferimento all’impatto economico delle decisioni. Le risorse vanno pertanto definite e monitorate sulla base della loro consistenza e titolarità. A questo scopo sarà opportuno distinguere tra risorse istituzionali (riferite ai diversi livelli di pertinenza e alle relative dotazioni strutturali e professionali), risorse di rilievo comunitario (volontariato organizzato, associazionismo di impegno sociale...) e risorse che la stessa utenza dei servizi può mettere a disposizione, con riferimento al proprio reddito, con l’obiettivo di aggregare risorse aggiuntive da investire per la realizzazione qualitativa dei piani di zona.

7.4.3. Un terzo ambito di interesse del sistema informativo è quello che riguarda i processi operativi dei servizi, attraverso rapporti informativi periodici sulla dinamica dell’offerta, facendone motivo di verifiche intermedie e realizzando momenti di confronto tra livello regionale e livello di ente gestore. In questo modo sarà possibile conoscere e tenere sotto controllo:

a. il rapporto tra domanda di assistenza sociale e offerta di servizi (pubblici e privati non profit e profit), con particolare attenzione alle situazioni critiche;

b. il rapporto esistente tra offerta dei servizi e risorse necessarie per produrli, con particolare riguardo a quanto previsto nei piani di zona.

La scelta dei supporti informatici è successiva alla progettazione del sistema informativo e deve risultare idonea a svolgere in modo economico ed efficace le diverse funzioni previste. Agli effetti della omogeneità e confrontabilità dei dati, il riferimento è costituito da un nomenclatore delle prestazioni, dei servizi e dei profili professionali che le erogano.

7.5. Sistema informativo e spesa sociale

Il funzionamento del sistema informativo può diventare nel tempo un fattore determinante per la distribuzione delle risorse e monitorare il loro utilizzo, tenendo conto che il graduale passaggio ad un sistema di finanziamento per quota pro-capite, ponderata sulla base di indici di carico sociale, esplicitati nei piani di zona, dipende strutturalmente dalla capacità del sistema di rilevare l’evoluzione dei bisogni e della domanda, superando la prevalente attenzione a contabilizzare i centri di offerta, la quantità di prestazioni e loro tipologia.

Il sistema informativo deve cioè far propria la logica dell’efficacia degli interventi sintetizzabile in quattro centri di interesse, a cui devono corrispondere quattro sezioni dello stesso:

• l’area della domanda, finalizzata a capire il flusso e l’orientamento delle richieste rivolte ai servizi;

• l’area dei problemi, rilevati a seguito dell’analisi della domanda; • l’area degli interventi e della presa in carico dei problemi, con riferimento ai diversi centri di

offerta; • l’area delle verifiche, riguardanti le condizioni di efficienza e di efficacia del sistema ai

diversi livelli di responsabilità.

Oltre ad operare avendo presenti questi centri di osservazione e di produttività, il sistema informativo deve saper interagire con altri soggetti produttivi di informazioni: altre fonti informative regionali e altri sistemi afferenti a responsabilità diverse di natura istituzionale, imprenditoriale, solidaristica.

7.6. Assetto organizzativo e forme di controllo

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Nel suo ambito di competenza la Regione esercita funzioni di orientamento tali da indicare comportamenti organizzativi e gestionali congruenti con gli obiettivi e con le strategie del sistema informativo, suggerendo azioni e processi decisionali efficaci, nel rispetto dell'autonomia dell'istituzione interessata, attribuendo i finanziamenti agli enti locali in relazione ai risultati raggiunti e alla qualità della loro documentazione.

A livello di ente gestore, vengono predisposte forme di controllo sui processi e sulla gestione del sistema informativo a cura del Sindaco o della Conferenza dei Sindaci, ponendo attenzione ai fattori di processo e verificando i benefici di salute prodotti su scala comunitaria. La qualificazione delle funzioni di controllo richiede una cultura organizzativa-gestionale orientata ai risultati, fatta propria dalla dirigenza, che promuova negli operatori maggiore consapevolezza sugli effetti delle loro decisioni in termini di efficienza e di efficacia del sistema. È quindi necessario agire sulla variabile strategica della formazione del personale, in particolare i responsabili. Va inoltre prevista una funzione di valutazione e controllo a livello regionale, collocata in posizione di staff dei dirigenti.

A livello locale gli strumenti utilizzabili sono le verifiche sul Piano di zona dei servizi, i budget di spesa previsti in rapporto a gruppi omogenei di obiettivi, anche al fine di responsabilizzare i dirigenti sulle conseguenze economiche delle loro decisioni.

OBIETTIVI INDICATORI

1. definire e avviare il sistema informativo regionale

• impostazione sistema informativo regionale entro il primo anno di attuazione del Piano Sociale Regionale

• utilizzo di strumenti di documentazione, riferiti a

• - domanda • - bisogno • - prestazione • - progetto • - centro di offerta • - risultato • - esito • - soddisfazione • individuazione del responsabile nel

primo anno • definizione nomenclatore prestazioni

entro il primo anno • selezione e utilizzo di supporti

informatici idonei entro il primo anno di attuazione del Piano Sociale Regionale

2. definire e avviare il sistema informativo degli enti gestori

• impostazione sistema informativo di ente gestore entro 18 mesi;

• monitoraggio risorse impiegate, con riferimento a:

• - prestazioni per ambito • - progetti per ambito • - servizi per ambito

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• monitoraggio rapporto % fra risorse; • - istituzionali, interne ed esterne • - sociali, comunitarie e familiari • utilizzo supporti informatici a livello

di ente gestore entro secondo anno per ambito

8. Azioni strategiche

Le azioni strategiche per la realizzazione degli obiettivi del Piano sociale possono essere ricondotte all’impegno di sviluppare collaborazioni istituzionali entro ambiti territoriali unitari, all’impegno di far convergere responsabilità diverse (istituzionali e sociali) nell’area dei servizi alle persone, all’impegno di riqualificare la spesa sociale e, ad esso correlato, all’azione di sviluppo di un sistema di servizi equamente distribuito nel territorio, definendo standard strutturali e di funzionamento. A questo scopo il Piano individua tre aspetti strategici che, per la loro rilevanza, possono essere determinanti nel complessivo conseguimento degli obiettivi del Piano.

8.1. La famiglia, soggetto di politica sociale

La famiglia sta attraversando profonde trasformazioni che riguardano la natura e la stabilità dei legami interni e la sua capacità di sviluppare accoglienza e tutela nei confronti dei suoi membri più deboli, in particolare nella fase iniziale e finale della vita, quando la dipendenza chiama in causa maggiori capacità di cura, educazione, dedizione, cioè di concreta solidarietà tra generazioni.

In questo quadro la famiglia è a pieno titolo soggetto di politica sociale, in quanto rappresenta una condizione costitutiva di esigibilità dei diritti sociali. Questo è particolarmente evidente quando la mancanza di famiglia o il suo disimpegno rende necessario il ricovero di minori, l’istituzionalizzazione di anziani..., cioè la privazione delle condizioni di vita necessarie per realizzare le potenzialità personali.

Il Piano guarda alla famiglia con un’attenzione particolare, per promuovere le sue funzioni sociali e per valorizzare il suo lavoro di cura, tramite forme di sostegno psicosociale, domiciliare, economico, che vedano i servizi impegnati nella realizzazione di progetti di aiuto, privilegiando le famiglie con gravi carichi assistenziali.

Oltre che soggetto, la famiglia è anche destinataria di interventi per i problemi presenti al suo interno. Ad esempio la diffusione di crisi familiari comporta un crescente bisogno di tutela dei minori, per evitare il rischio che la conflittualità fra coniugi faccia perdere di vista gli interessi prioritari dei loro figli.

La multiproblematicità presente in un numero considerevole di famiglie deve inoltre diventare oggetto di esplicita attenzione nei piani di zona, per realizzare in ogni ambito interventi progettuali, che vedano la famiglia soggetto, risorsa e destinataria del lavoro dei servizi e delle politiche sociali a livello locale.

A questo scopo, nella predisposizione dei Piani di zona, le famiglie vanno coinvolte nella fase progettuale, in quella gestionale e in quella di verifica degli interventi. Per facilitare questa prospettiva, la Regione fornisce sostegno tecnico e incentivi agli investimenti progettuali per la famiglia, sulla base di un progetto obiettivo regionale, avvalendosi anche della Commissione

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regionale per la famiglia, di cui alla L.R. 2.5.1995, n. 95 e predisponendo rapporti periodici su questa materia, riferiti ai diversi ambiti di gestione dei servizi.

OBIETTIVI INDICATORI

1. costruire condizioni per valorizzare la famiglia nelle politiche sociali della Regione

• predisposizione entro 12 mesi e a cura della Regione di un progetto "famiglia", con interventi di:

• - sostegno alle funzioni di cura • - promozione funzioni sociali • istituzione osservatorio regionale

sulla famiglia • definizione rapporti fra osservatorio

e enti gestori

1. La famiglia: soggetto e destinataria delle politiche sociali locali

• previsione nel piano di zona di una sezione "famiglia"

• entità % su totale risorse destinate per sostegno alle funzioni di cura della famiglia

• entità % su totale risorse destinate per funzioni sociali della famiglia

• verifiche partecipate con numero di famiglie per ambito, in rapporto al numero di famiglie destinatarie di interventi

8.2. Formazione dei dirigenti e degli operatori

È prioritario qualificare le risorse umane chiamate ad operare nel sistema dei servizi. In particolare la priorità va data alla formazione della dirigenza dei servizi, tenendo conto che solo predisponendo centri di responsabilità e di governo sul funzionamento dei servizi, e della spesa ad essi correlata, è possibile realizzare condizioni positive per la esigibilità dei diritti sociali delle persone.

A questo scopo si tratta di investire per selezionare la dirigenza e renderla idonea ad esercitare le funzioni di programmazione, controllo, verifica dei risultati prodotti, monitorando la spesa.

Tenendo conto di questo, la formazione deve mettere in grado la dirigenza di operare per il conseguimento dei risultati indicati nel Piano regionale e nei piani di zona, valorizzando le collaborazioni nel territorio, promovendo la crescita delle risorse umane e professionali presenti nel sistema locale dei servizi.

In una prima fase, verrà realizzata una formazione specifica rivolta ai dirigenti, caratterizzata sulle competenze di rilievo gestionale, per facilitare processi di cambiamento. Le competenze gestionali dovranno essere affrontate in stretto rapporto con le abilità per:

• programmare, realizzare e valutare gli interventi;

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• integrare professionalità diverse; • operare sulla base delle metodologia di lavoro per progetti; • raccordare fra loro attività domiciliari, territoriali, residenziali.

In particolare la formazione per le funzioni direzionali deve concentrarsi sui nodi dell’integrazione istituzionale e operativa, con riferimento alla programmazione zonale (piani di zona), avvalendosi degli strumenti necessari per governare l’integrazione: convenzioni, protocolli, accordi di programma, contratti di programma.

Operativamente si tratterà di realizzare un progetto regionale di formazione dei responsabili dei servizi comprensivo di attività di assistenza tecnica e di supporto al lavoro della dirigenza da realizzare in un arco temporale adeguato per consolidare le competenze proposte. Al progetto "formazione dei dirigenti" possono accedere assistenti sociali, psicologi, sociologi, laureati in giurisprudenza o equipollenti con almeno 5 anni di coordinamento nei servizi o nei settori operativi considerati dal Piano.

La verifica di efficacia della formazione andrà ricondotta alla effettiva realizzazione nei servizi di quanto proposto, tenendo conto di parametri di efficienza e di efficacia.

Un secondo livello di intervento formativo è da prevedere a vantaggio delle diverse professionalità presenti nei servizi, con riferimento agli obiettivi delle aree ad elevata integrazione sociosanitaria. In particolare su quest’ultimo aspetto andranno previste iniziative formative congiunte rivolte ad operatori sociali e sanitari, in modo da affrontare unitariamente i problemi e le condizioni per superarli, anche attuando azioni sperimentali. Gli interventi formativi dovranno considerare quantomeno:

• l'area comune di professionalità, nelle sue componenti di rilievo relazionale e gestionale, per facilitare il lavoro integrato;

• i processi di presa in carico dei problemi e le conseguenti assunzioni di responsabilità: professionale, interprofessionale, istituzionale, comunitaria;

• l’integrazione operativa, con particolare riferimento alla metodologia del lavoro per progetti; • i rapporti fra documentazione e valutazione, per garantire un armonico sviluppo del sistema

informativo e introdurre forme sistematiche di verifica e valutazione dei risultati.

Per le attività di formazione promosse dagli ambiti territoriali, la Regione interviene con supporto tecnico e con contributi finanziari, nella misura in cui essi risultino finalizzati alle priorità indicate nei piani di zona.

OBIETTIVI INDICATORI

1. preparare le professionalità necessarie per realizzare obiettivi di Piano

• realizzazione progetto formativo regionale per dirigenti di ambito entro 12 mesi dalla approvazione del Piano Sociale regionale

• numero di abilitati a svolgere funzioni direzionali su numero di partecipanti

8.3. Valutazione di efficienza e di efficacia

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La terza azione strategica riguarda le condizioni di monitoraggio e controllo del sistema ed è specificamente caratterizzata sulle domande di verifica e valutazione poste dai diversi livelli di responsabilità: il livello politico, gestionale, professionale.

In una prima fase devono essere definite le dotazioni conoscitive fondamentali, tali da alimentare il sistema informativo e consentire la produzione di una base documentativa utile per verificare e valutare il conseguimento degli obiettivi stabiliti dai diversi livelli. Pertanto i processi di valutazione saranno strutturati con riferimento a quattro aree.

La prima area riguarda la valutazione di intervento. Essa è tale per cui, soprattutto a livello professionale, viene richiesto un impegno di verifica e di valutazione sul conseguimento degli obiettivi fissati nei progetti assistenziali e sulle condizioni di efficienza che hanno reso possibile il loro conseguimento. La valutazione dei progetti assistenziali deve veder coinvolti anche gli utenti e le loro famiglie, in modo da coniugare l’ottica dei produttori del servizio con l’ottica di quanti ne sono beneficiari.

La seconda area di valutazione è quella di ambito. Si specifica in termini di verifica e di valutazione del conseguimento degli obiettivi del Piano di zona e diventa una base fondamentale per documentare in sede interna (Conferenza dei sindaci) e in sede esterna (Regione) il rispetto degli standard stabiliti, anche al fine di accedere alle incentivazioni economiche previste per l’integrazione sociosanitaria. Nella valutazione di servizio intervengono fattori di sistema (organizzativi e gestionali), fattori di processo (incidenti nel lavoro professionale e interprofessionale) e fattori di risultato (inerenti i benefici prodotti dal servizio), con riferimento ai relativi centri di costo.

Una terza area di verifica è quella di pertinenza regionale. La regione fa sintesi sulle diverse azioni di verifica realizzate negli ambiti, con particolare riferimento alla effettiva attuazione dei piani di zona. Sempre a livello regionale si tratta di utilizzare le indicazioni emergenti dal sistema informativo e dagli indicatori selezionati a questo scopo. In modo complementare a quanto ricavabile dal sistema informativo, la Regione realizza, quando necessario, indagini valutative mirate, con riferimento ad aspetti qualificanti la realizzazione e il funzionamento del sistema dei servizi, ad esempio considerando l’incidenza degli interventi domiciliari su quelli residenziali, i fattori che consentono di ridurre la spesa sociale e la distribuzione dei servizi rispetto agli standard previsti dal Piano di zona.

La quarta area riguarda la valutazione del Piano sociale. Si tratta in particolare di realizzare un monitoraggio sistematico del conseguimento degli obiettivi di Piano regionale, anche per intervenire quando necessario per garantire il conseguimento dei risultati attesi e, soprattutto, per trarre indicazioni di governo utili ad orientare le successive scelte programmatorie.

OBIETTIVI INDICATORI

monitorare l’attuazione del Piano e realizzare un sistema corrente di valutazione dei risultati

• predisposizione di un sistema di verifica dei servizi entro 12 mesi a livello di:

• regione • ente gestore • intervento • verifiche di efficienza sui progetti

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realizzati per anno e per ambito • verifiche di efficacia sulle

prestazioni realizzate per anno e per ambito

• elaborazione rapporti annuali di verifica di Piano sociale

9. Quadro di sintesi degli obiettivi specifici e degli indicatori previsti nelle diverse sezioni del piano

2. Il sistema delle responsabilità

2.2. I soggetti istituzionali

OBIETTIVI SPECIFICI INDICATORI

1. assunzione di responsabilità da parte dei soggetti istituzionali

• rilevazione annuale dei bisogni della popolazione

• definizione nei piani di zona di standard di risposta ai bisogni

1. definizione delle priorità in relazione all'importanza dei bisogni

• valutazione esplicita del rapporto fra risorse disponibili ed obiettivi da realizzare

1. svolgimento del ruolo di "mediatori di processi" da parte degli enti locali

• numero progetti di intervento nei quali la risposta ai bisogni proviene da soggetti sociali, tale per cui le risorse finanziarie pubbliche coprono meno di un terzo del valore economico dei servizi

• numero di interventi formativi sul tema "lavoro per progetti" effettuati per ambito nel triennio

1. coinvolgimento delle IPAB nel sistema delle responsabilità istituzionali

• partecipazione di singole IPAB all'accordo di programma relativo ai piani di zona,

• specificazione delle risorse messe a disposizione dalle IPAB nel piano di zona

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2.3. I soggetti sociali

OBIETTIVI SPECIFICI INDICATORI

1. coinvolgimento dei soggetti sociali nel sistema programmatorio locale

• percentuale di soggetti sociali partecipanti alla definizione dei piani di zona rispetto al totale dei soggetti locali iscritti in albi o registri pubblici

1. iniziative dei soggetti sociali nel sistema di offerta di servizi

• realizzazione nei diversi ambiti territoriali di modalità di erogazione di servizi attraverso accreditamento

• numero di convenzioni che hanno per oggetto l'appalto di servizi

• numero di convenzioni che hanno per oggetto la concessione di servizi

2.4. I supporti legislativi al sistema delle responsabilità

OBIETTIVI SPECIFICI INDICATORI

1. realizzazione di un sistema normativo regionale dei servizi sociali organico

• approvazione di un testo unico della normativa sociale da parte del Consiglio Regionale

1. zonizzazione dell’esercizio delle titolarità istituzionali

• numero di convenzioni tra Comuni nel primo anno per l’avvio della gestione unitaria di ambito

3. Condizioni per la collaborazione

3.1. Strumenti formali per la realizzazione dei piani di zona

OBIETTIVI SPECIFICI INDICATORI

1. valorizzazione delle risorse non finanziarie degli enti pubblici e di quelli locali in

• numero di progetti contenuti nei piani di zona nei quali sono previsti interventi che comportano la messa a disposizione di almeno il 10% di risorse non finanziarie da parte di

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particolare enti pubblici

1. valorizzazione delle risorse comunitarie

• numero di progetti nei quali è prevista la realizzazione di interventi nei quali il sostegno economico-finanziario pubblico diretto o indiretto non supera i due terzi del valore economico degli interventi

1. ruolo attivo delle amministrazioni provinciali

• numero delle amministrazioni provinciali che assumono responsabilità dirette nei processi di costruzione e realizzazione dei piani di zona, sotto forma di monitoraggio e messa a disposizione di supporti informativi e formativi sul totale delle amministrazioni provinciali.

1. coinvolgimento dei soggetti istituzionali nell'elaborazione del piano

numero di soggetti istituzionali partecipanti alla definizione dei piani di zona rispetto ai soggetti istituzionali presenti nel territorio

livello qualitativo dei piani di zona

• numero delle approvazioni regionali dei singoli piani di zona in sede di prima presentazione sul totale dei piani presentati

1. approvazione delle convenzioni

• numero di convenzioni stipulate rispetto al numero complessivo degli ambiti territoriali nel primo anno

1. approvazione degli accordi di programma relativi ai piani di zona

• numero di accordi di programma stipulati in rapporto al numero complessivo degli ambiti territoriali

1. utilizzazione della conferenza di servizi nelle procedure per la definizione dei piani di zona e

• numero di conferenze di servizi utilizzate quale modalità procedurale per arrivare alla stipula di convenzioni e di accordi di programma in rapporto al numero

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degli accordi interistituzionali conseguenti

degli ambiti

1. stipula di contratti di programma con soggetti comunitari

• numero di contratti di programma stipulati rispetto al numero di soggetti comunitari coinvolti

• numero di contratti di programma rispetto al numero degli ambiti territoriali

3.6. I piani di zona

OBIETTIVI INDICATORI

1. predisposizione del Piano di zona da parte del Sindaco o della Conferenza dei Sindaci di ambito

• predisposizione del Piano di Zona in ogni ambito rispetto ai tempi stabiliti sul totale degli ambiti

1. i Piani di zona devono essere frutto di processi partecipati

• numero Piani predisposti con l’apporto di istituzioni pubbliche sul totale dei Piani

• numero Piani predisposti con l’apporto di soggetti della solidarietà organizzata sul totale dei Piani

1. coinvolgimento e informazione della comunità locale sui Piani di zona

• numero ambiti in cui è stato attuato il coinvolgimento dei soggetti della solidarietà organizzata

4. Aree ad elevata integrazione

4.2 Le azioni del Piano sociale per l’integrazione

OBIETTIVI INDICATORI

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1. i Piani di zona devono garantire l’integrazione nelle aree dell’età evolutiva e della famiglia, degli anziani e dei disabili

• piani che contengono progetti di area formulati nei termini di progetti-obiettivo

• numero Piani contenenti il P.O. Anziani sul totale dei Piani

• numero Piani contenenti il P.O. Handicap sul totale dei Piani

• numero Piani contenenti il P.O. Età evolutiva sul totale dei Piani

1. standard gestionali e strutturali nei servizi ad elevata integrazione

• definizione regionale degli standard entro il primo triennio

1. riclassificazione dell’attuale sistema delle unità di offerta di servizi, d’intesa tra sanità e sicurezza sociale

• riclassificazione congiunta entro il primo anno

1. regolazione del sistema di finanziamento dei servizi (definizione quota fondo sanitario e quota fondo assistenziale)

• le direttive regionali entro 6 mesi concernenti le percentuali di costo sanitario e sociale degli interventi integrati

1. formazione congiunta per gli operatori dei servizi ad elevata integrazione

• numero corsi di formazione integrati attivati sul totale dei corsi per anno

• incidenza percentuale di operatori sociali e sanitari nelle diverse iniziative nel triennio

5. Obiettivi caratterizzati su problemi specifici

4. Servizi da garantire in ogni ambito territoriale entro il triennio

OBIETTIVI INDICATORI

A. Area età evolutiva

1. lavoro per progetti • nel 30 % dei casi entro il

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integrati primo anno • nel 50% dei casi entro il

secondo anno • nel 90% dei casi entro il

terzo anno • numero ambiti territoriali

che hanno lavorato per progetti integrati per anno sul totale degli ambiti territoriali

2. attivazione "Centri aperti" • numero ambiti territoriali che hanno attivato il centro aperto nel triennio, sul totale degli ambiti territoriali

3. attivazione "Centri diurni" • numero centri attivati sul totale delle Province

4. sperimentazione interventi di assistenza educativa domiciliare e territoriale

• nel 10% degli ambiti entro il primo anno

• nel 20% degli ambiti entro il secondo anno

• nel 30% degli ambiti entro il terzo anno

OBIETTIVI INDICATORI

5. potenziamento affidi • nel 50% dei casi ove necessario entro il 1° anno

• nel 60% dei casi ove necessario entro il 2° anno

• nel 70% dei casi ove necessario dopo il 3° anno

rapportati alle percentuali degli indicatori di cui al punto 1

6. attivazione servizi comunitari (gestione diretta o convenzionata)

• uno per capoluogo di provincia

• in convenzione tra ambiti confinanti

B. Area anziani

1. attivazione UVG in ogni ambito in collaborazione

• numero UVG attivate rispetto al numero degli ambiti territoriali entro il

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con Asl terzo anno

1. attivazione ADI in ogni ambito in collaborazione con Asl

• numero ADI attivate rispetto al numero degli ambiti territoriali entro il terzo anno

1. sperimentazione centri socio-riabilitativi diurni

• Uno per capoluogo di provincia entro 2 anni

• in convenzione tra ambiti confinanti

• nel 20% degli ambiti - entro il 1° anno

• nel 30% degli ambiti - entro il 2° anno

• nel 40% dei casi - entro il 3° anno

1. ricoversione posti letto da autosufficienti a non autosufficienti

• 10% posti letto entro terzo anno

1. riconversione parziale da istituti a centro socio-riabilitativo diurno

• 10% del totale degli istituti entro fine triennio (almeno con progetto esecutivo)

C. Area handicap

1. sperimentazione nuclei valutativi integrati in ogni ambito in collaborazione con Asl

• numero nuclei valutativi sperimentati con esito positivo

1. attivazione ADI in ogni ambito in collaborazione con Asl

• numero ADI attivate rispetto al numero degli ambiti territoriali entro il terzo anno

• numero collaborazioni con Asl attivate rispetto al numero degli ambiti territoriali entro il terzo anno

3. sperimentazione centri socio-riabilitativi diurni

• Uno per capoluogo di provincia

• in convenzione tra ambiti confinanti

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• numero centri attivati sul totale degli ambiti territoriali

3. attivazione micro strutture (max 30 p.l.)

• almeno 1 per territorio provinciale entro 3 anni

• numero micro strutture attivate nel triennio sul totale degli ambiti

3. riconversioni parziali da istituto a centro socio-riabilitativo diurno

• in 3 strutture sulle 9 operanti (almeno con progetto esecutivo entro la fine del 3° anno)

• numero strutture riconvertite in rapporto alle nove strutture operanti entro il 3° anno

6. La politica della spesa

OBIETTIVI SPECIFICI INDICATORI

1. politica della spesa finalizzata ad un aumento dell'impegno degli enti locali nella messa a disposizione di risorse proprie

• definizione legislativa di un sistema unitario di finanziamenti regionali delle politiche sociali locali entro il primo anno di vigenza del piano

• numero degli ambiti sul totale che, entro il secondo anno, di vigenza del piano, hanno fissato uno standard minimo di spesa pro-capite

• numero degli enti locali sul totale che coprono con risorse proprie almeno il 50% della propria spesa sociale

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1. politica della spesa finalizzata al raggiungimento di obiettivi di riequilibrio nella risposta ai bisogni

• numero dei Comuni sul totale che, entro 12 mesi dall'entrata in vigore del piano regionale, hanno approvato piani di zona;

• raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio definiti nel piano di zona

1. politica della spesa collegata alla verifica del corretto utilizzo dei finanziamenti

• realizzazione di un sistema di monitoraggio regionale del corretto utilizzo dei finanziamenti regionali nel triennio

• numero di Comuni sul totale che hanno fatto un utilizzo irregolare dei finanziamenti ricevuti dalla regione

4. politica della spesa tesa ad incentivare la liberazione di risorse aggiuntive e l'assunzione di un ruolo di mediatore di processi da parte delle amministrazioni locali

• riserva, a partire dal secondo anno di vigenza del piano, di una quota di finanziamenti regionali, destinati ai finanziamenti dei piani di zona, da erogarsi in rapporto agli indici risultanti da:

• prodotto fra il numero di contratti di programma stipulati per il numero di soggetti comunitari coinvolti diviso per il numero complessivo degli ambiti territoriali

• numero di progetti obiettivo nei quali è prevista la realizzazione di interventi il cui sostegno finanziario pubblico diretto o indiretto è inferiore ad un terzo del valore economico degli interventi

7. Sistema informativo

OBIETTIVI INDICATORI

1. definire e avviare il sistema informativo regionale

• impostazione sistema informativo regionale entro il primo anno di attuazione del Piano Sociale Regionale

• utilizzo di strumenti di documentazione, riferiti a

• - domanda • - bisogno • - prestazione • - progetto

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• - centro di offerta • - risultato • - esito • - soddisfazione • individuazione del responsabile nel

primo anno • definizione nomenclatore prestazioni

entro il primo anno • selezione e utilizzo di supporti

informatici idonei entro il primo anno di attuazione del Piano Sociale Regionale

OBIETTIVI INDICATORI

2. definire e avviare il sistema informativo degli enti gestori

• impostazione sistema informativo di ente gestore entro 18 mesi dall’approvazione del Piano di Zona;

• monitoraggio risorse impiegate, con riferimento a:

• - prestazioni per ambito • - progetti per ambito • - servizi per ambito • monitoraggio rapporto % fra risorse; • - istituzionali, interne ed esterne • - sociali, comunitarie e familiari • utilizzo supporti informatici a livello

di ente gestore entro secondo anno per ambito dalla data di approvazione del Piano di Zona

8. Azioni strategiche

8.1. La famiglia, soggetto di politica sociale

OBIETTIVI INDICATORI

1. costruire condizioni per valorizzare la famiglia nelle politiche sociali della Regione

• predisposizione entro 12 mesi e a cura della Regione di un progetto "famiglia", con interventi di:

• - sostegno alle funzioni di cura • - promozione funzioni sociali • istituzione osservatorio regionale

sulla famiglia • definizione rapporti fra osservatorio

e enti gestori

1. La famiglia: soggetto e

• previsione nel piano di zona di una sezione "famiglia"

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destinataria delle politiche sociali locali

• entità % su totale risorse destinate per sostegno alle funzioni di cura della famiglia

• entità % su totale risorse destinate per funzioni sociali della famiglia

• verifiche partecipate con numero di famiglie per ambito, in rapporto al numero di famiglie destinatarie di interventi

8.2. Formazione dei dirigenti e degli operatori

OBIETTIVI INDICATORI

1. preparare le professionalità necessarie per realizzare obiettivi di Piano

• realizzazione progetto formativo regionale per dirigenti di ambito entro 12 mesi dalla approvazione del Piano Sociale Regionale

• numero di abilitati a svolgere funzioni direzionali su numero di partecipanti

8.3. Valutazione di efficienza e di efficacia

OBIETTIVI INDICATORI

1. monitorare l’attuazione del Piano e realizzare un sistema corrente di valutazione dei risultati

• predisposizione di un sistema di verifica dei servizi entro 12 mesi a livello di:

• regione • ente gestore • intervento • verifiche di efficienza sui progetti

realizzati per anno e per ambito • verifiche di efficacia sulle

prestazioni realizzate per anno e per ambito

• elaborazione rapporti annuali di verifica di Piano sociale

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PARTE II

AMBITI TERRITORIALI

Il Piano Sanitario Regionale, approvato con Legge Regionale 25 ottobre 1994, n. 72 per gli anni 1994-1996 ha definito gli ambiti territoriali delle Unità Sanitarie Locali sulla base della normativa inerente il Decreto L.vo n. 502/1992 e successivo Decreto correttivo n. 517/1993.

La configurazione delle USL abruzzesi coincide essenzialmente con gli ambiti provinciali insistenti nella Regione Abruzzo salvaguardando la particolarità orografica e demografica propria dei territori corrispondenti ad Avezzano, Castel di Sangro e Sulmona da un lato e a Lanciano e Vasto dall’altro.

Pertanto le USL previste risultano sei rispondendo a motivazioni più ampie di ordine istituzionale e territoriale derivante dalla natura montana delle aree e dalla densità e distribuzione demografica sul territorio ed economico-finanziario.

E’ da premettere che sotto il profilo territoriale, quando è stato redatto il Piano, erano totalmente assenti da un lato gli strumenti di pianificazione già definiti a livello regionale (Quadro di Riferimento Regionale -QRR; Piani di Settore) e dall’altro "la normativa di attuazione della riforma dell’ordinamento delle Autonomie Locali" di cui alla Legge 8 giugno 1990, n. 142. Tutto ciò ha quindi reso difficoltosa "la ricerca e l’introduzione di modelli alternativi fondati su ipotesi di assetto territoriale così incerto".

L’ipotesi territoriale delle ULS individuate è stata tesa, pertanto, a semplificare il problema, identificando le ULS stesse quali "centri di direzione" e la distribuzione territoriale delle strutture e dei servizi sanitari ha tenuto in debito conto le esigenze del cittadino-utente.

L’approvazione del Quadro di Riferimento Regionale (QRR), previsto dalla Legge Regionale 27 aprile 1995, n. 70 testo coordinato, "Norme per la conservazione, tutela, trasformazione del territorio della Regione Abruzzo" che all’art. 3 ne elenca i contenuti e all’art. 4 ne descrive il procedimento formativo, da parte della Giunta Regionale ha permesso l’eliminazione di alcune lacune di profilo territoriale.

L’art. 3 della L.R. 70/1995 stabilisce che "Il Q.R.R. costituisce la proiezione territoriale del Programma di Sviluppo Regionale ...... definisce indirizzi e direttive di politica regionale per la pianificazione e la salvaguardia del territorio ...... costituisce inoltre il fondamentale strumento di indirizzo e di coordinamento della pianificazione di livello intermedio e locale".

Il Q.R.R. prevede una ipotesi di regionalizzazione che, partendo dall’analisi socio-economica del Programma di Sviluppo Regionale, con il supporto di studi recentemente svolti nell’ambito della Regione quali: a livello di armatura terziaria urbana quello prodotto da Regione Abruzzo - SOMEA Abruzzo. Atlante economico e commerciale; a livello di distretti industriali", intesi come sistemi locali di specializzazione e integrazione, quelli derivati dallo studio ISTAT-IRPET (Istituto Regionale per la Programmazione Economica della Toscana) che individuano 24 sistemi locali; gli studi prodotti dallo IARES (Istituto Abruzzese di Ricerche Economiche e Sviluppo) sul turismo e sui trasporti; il lavoro del CRESA "Polarità e mobilità territoriale per studio e lavoro in Abruzzo" definito peraltro come base di partenza per la ipotesi di regionalizzazione della Regione

In attesa che venga resa attuativa la revisione imposta dalla Legge 142/1990, gli ambiti subregionali individuati risultano i seguenti:

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L’Aquila, Avezzano, Sulmona, Teramo, Chieti-Pescara, Lanciano, Vasto.

Alla luce di quanto sopra detto, sono stati identificati gli ambiti sociali, secondo i criteri di seguito specificati.

• NELLE ZONE MONTANE, laddove si è potuto, è stato fatto coincidere l’ambito sociale con una o più Comunità Montane. Ciò anche in considerazione di quanto previsto dall’art. 11 della Legge 97/1994, concernente "Nuove disposizioni per le zone montane".

Tale articolo va nella direzione degli artt. 28 e 29 della Legge 142/90, in relazione all’esercizio associato di funzioni e servizi pubblici da parte delle Comunità Montane in favore dei Comuni.

Nel Piano le Comunità Montane vengono privilegiate in quanto rappresentano un riferimento istituzionale e gestionale consolidato che può, quando presente, rappresentare la soluzione utilizzabile per la gestione associata dei servizi alla persona, in modo da garantire i servizi secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità.

E’ il caso degli ambiti sociali denominati SANGRO - ALTO VASTESE -

FINO VOMANO - LAGA - GRAN SASSO - ALTO ATERNO -

MARSICA - VALLE ROVETO - VALLE DEL GIOVENCO - SANGRO

AQUILANO - MONTAGNA AQUILANA - VALLE PELIGNA - VESTINA - MAIELLA MORRONE.

• Non è stato possibile attuare quanto sopra detto, nel caso in cui i Comuni facenti parte della Comunità Montane, appartengono a ULS diverse: è il caso dei Comuni ricadenti nelle Comunità Montane SIRENTINA e MAIELLETTA.

• In alcuni casi, COMUNI NON MONTANI sono stati inseriti in ambiti sociali coincidenti con la Comunità Montana più vicina territorialmente, in considerazione delle caratteristiche socio-culturali similari e del Distretto Sanitario di Base di appartenenza.

E’ il caso dei Comuni di : (Altino, Perano, Catignano, Collecorvino,

Loreto Aprutino, Picciano, Alanno, Torre dei Passeri, San Salvo).

Il medesimo criterio ha ispirato soluzioni inverse, laddove Comuni, pur appartenendo alla Comunità Montana, sono stati inseriti nell’ambito identificato dal Distretto Sanitario di Base.

E’ il caso dei Comuni di: Scerni, Cupello, Fresagrandinaria, Lentella,

Monteodorisio.

• PER I COMUNI RICADENTI NELLA FASCIA COLLINARE-LITORANEA, si è scelto di far coincidere l’ambito sociale con uno o più Distretti Sanitari di Base.

Alcune eccezioni trovano motivazione in considerazione dell’aspetto socio-economico territoriale loro peculiare.

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E’ il caso dei Comuni di: Sant’Eusanio del Sangro, Paglieta, Torino di

Sangro, Fara Filiorum Petri, Casacanditella, San Martino Sulla Marucina, Cugnoli, Catignano, Cappelle sul Tavo.

A.S.L. COMUNITA'

MONTANA D.S.B.

L.R.72/94

Mod.L.R.24/96

N^ DENOMINAZIONE ABITANTI

PROV. TERAMO 8

POPOLAZIONE

PROV. 279.852

A.S.L. COMUNITA'

MONTANA D.S.B.

L.R.72/94

Mod.L.R.24/96

N^ DENOMINAZIONE ABITANTI

1 TORDINO

TE NON MONTANO

4.13 BELLANTE 6.296

TE NON MONTANO

4.11 GIULIANOVA 21.865

TE NON MONTANO

4.13 MOSCIANO S. ANGELO

7.545

TOTALE 35.706

2 VIBRATA

TE NON MONTANO

4.05 ALBA ADRIATICA 9.365

TE NON MONTANO

4.02 ANCARANO 1.753

TE NON MONTANO

4.05 COLONNELLA 3.098

TE NON MONTANO

4.10 CONTROGUERRA 2.494

TE NON MONTANO

4.10 CORROPOLI 3.691

TE NON MONTANO

4.05 MARTINSICURO 12.078

TE NON MONTANO

4.10 NERETO 4.428

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TE NON MONTANO

4.02 SANT'EGIDIO ALLA V.

8.004

TE NON MONTANO

4.10 SANT'OMERO 5.119

TE NON MONTANO

4.10 TORANO NUOVO 1.712

TE NON MONTANO

4.05 TORTORETO 7.040

TOTALE 58.782

3 FINO-VOMANO

TE N 4.08 ARSITA 1.061

TE N 4.01 BASCIANO 2.228

TE N 4.08 BISENTI 2.511

TE N 4.01 CANZANO 1.802

TE N 4.01 CASTELLALTO 5.866

TE N 4.08 CASTIGLIONE 2.590

TE N 4.07 CASTILENTI 1.635

TE N 4.06 CELLINO 2.936

TE N 4.06 CERMIGNANO 2.196

TE N 4.08 MONTEFINO 1.259

TE N 4.06 PENNA S. ANDREA 1.673

TOTALE 25.757

4 LAGA

TE M 4.01 CAMPLI 7.356

TE M 4.02 CIVITELLA DEL TRONTO

5.421

TE M 4.01 CORTINO 1.026

TE M 4.01 ROCCA S. MARIA 849

TE M 4.01 TORRICELLA SICURA 2.645

TE M 4.01 VALLE CASTELLANA 1.574

TOTALE 18.871

5 TERAMO

TE NON MONTANO

4.01 TERAMO 51.756

TOTALE 51.756

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A.S.L. COMUNITA'

MONTANA D.S.B.

L.R.72/94

Mod.L.R.24/96

N^ DENOMINAZIONE ABITANTI

6 GRAN SASSO

TE O 4.04 CASTEL CASTAGNA 609

TE O 4.04 CASTELLI 1.600

TE O 4.04 COLLEDARA 2.155

TE O 4.03 CROGNALETO 1.778

TE O 4.03 FANO ADRIANO 432

TE O 4.04 ISOLA DEL GRAN SASSO

4.952

TE O 4.03 MONTORIO AL VOMANO

8.918

TE O 4.03 PIETRACAMELA 350

TE O 4.04 TOSSICIA 1.456

TOTALE 22.250

7 COSTA SUD 1

TE N 4.07 ATRI 11.378

TE NON MONTANO

4.09 PINETO 11.980

TE NON MONTANO

4.09 SILVI 12.754

TOTALE 36.112

8 COSTA SUD 2

TE NON MONTANO

4.12 MORRO D'ORO 3.015

TE N 4.12 NOTARESCO 6.502

TE NON MONTANO

4.12 ROSETO 21.101

TOTALE 30.618

PROV. L'AQUILA 11

POPOLAZIONE

PROV. 297.838

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A.S.L. COMUNITA'

MONTANA D.S.B.

L.R.72/94

Mod.L.R.24/96

N^ DENOMINAZIONE ABITANTI

9 ALTO ATERNO

AQ A 2.06 BARETE 635

AQ A 2.06 CAGNANO AMITERNO

1.685

AQ A 2.06 CAMPOTOSTO 865

AQ A 2.06 CAPITIGNANO 742

AQ A 2.05 FOSSA 630

AQ A 2.02 LUCOLI 1.046

AQ A 2.06 MONTEREALE 3.114

AQ A 2.04 OCRE 984

AQ A 2.02 PIZZOLI 2.598

AQ A 2.05 S. EUSANIO FORCONESE

462

AQ A 2.02 SCOPPITO 2.251

AQ A 2.02 TORNIMPARTE 3.016

AQ A 2.05 VILLA S. ANGELO 480

TOTALE 18.508

10 L'AQUILA

AQ NON MONTANO

2.01 L'AQUILA 66.813

TOTALE 66.813

11 MONTAGNA

AQUILANA

AQ C 2.05 ACCIANO 538

AQ B 2.03 BARISCIANO 1.768

AQ B 2.03 CALASCIO 224

AQ B 2.03 CAPESTRANO 1.141

AQ B 2.03 CAPORCIANO 324

AQ B 2.03 CARAPELLE CALVISIO

125

AQ B 2.03 CASTEL DEL MONTE 707

AQ B 2.03 CASTELVECCHIO CALVISIO

246

AQ B 2.03 COLLEPIETRO 364

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AQ C 2.05 FAGNANO ALTO 499

AQ C 2.05 FONTECCHIO 469

AQ B 2.03 NAVELLI 700

AQ B 2.03 OFENA 757

AQ B 2.03 POGGIO PICENZE 917

AQ B 2.05 PRATA D'ANSIDONIA 616

AQ C 2.04 ROCCA DI CAMBIO 447

AQ C 2.04 ROCCA DI MEZZO 1.531

AQ B 2.03 S. BENEDETTO IN PER.

175

AQ B 2.05 S. DEMETRIO NE' VESTINI

1.553

AQ B 2.03 S. PIO DELLE CAMERE

554

AQ B 2.03 S. STEFANO DI SESSANIO

142

AQ C 2.05 TIONE DEGLI ABRUZZI

485

AQ B 2.03 VILLA S. LUCIA 305

TOTALE 14.587

A.S.L. COMUNITA'

MONTANA D.S.B.

L.R.72/94

Mod.L.R.24/96

N^ DENOMINAZIONE ABITANTI

12 MARSICA 1

AZ-SU

E 2.12 CELANO 10.893

AZ-SU

E 2.14 COLLELONGO 1.596

AZ-SU

E 2.14 LUCO NEI MARSI 5.347

AZ-SU

C 2.12 OVINDOLI 1.204

AZ-SU

E 2.14 TRASACCO 5.956

AZ-SU

E 2.14 VILLAVALLELONGA 1.070

TOTALE 26.066

13 MARSICA 2

AZ- E 2.08 CAPPADOCIA 660

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SU

AZ-SU

E 2.10 CARSOLI 5.068

AZ-SU

E 2.09 CASTELLAFIUME 987

AZ-SU

E 2.08 MAGLIANO DE' MARSI

3.497

AZ-SU

E 2.08 MASSA D'ALBE 1.291

AZ-SU

E 2.10 ORICOLA 897

AZ-SU

E 2.10 PERETO 637

AZ-SU

E 2.10 ROCCA DI BOTTE 449

AZ-SU

E 2.08 SANTE MARIE 1.497

AZ-SU

E 2.08 SCURCOLA MARSICANA

2.332

AZ-SU

E 2.08 TAGLIACOZZO 6.452

TOTALE 23.767

14 VALLE ROVETO

AZ-SU

G 2.09 BALSORANO 3.643

AZ-SU

G 2.09 CANISTRO 1.018

AZ-SU

G 2.09 CAPISTRELLO 5.597

AZ-SU

G 2.09 CIVITA D'ANTINO 1.065

AZ-SU

G 2.09 CIVITELLA ROVETO 3.260

AZ-SU

G 2.09 MORINO 1.603

AZ-SU

G 2.09 S. VINCENZO VALLE ROVETO

2.757

TOTALE 18.943

15 VALLE DEL

GIOVENCO

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AZ-SU

D 2.12 AIELLI 1.473

AZ-SU

D 2.11 BISEGNA 467

AZ-SU

D 2.12 CERCHIO 1.735

AZ-SU

D 2.13 COLLARMELE 1.051

AZ-SU

D 2.11 GIOIA DEI MARSI 2.275

AZ-SU

D 2.11 LECCE DEI MARSI 1.699

AZ-SU

D 2.13 ORTONA DEI MARSI 988

AZ-SU

D 2.11 ORTUCCHIO 1.931

AZ-SU

D 2.13 PESCINA 4.699

AZ-SU

D 2.13 SAN BENEDETTO DEI MARSI

3.916

TOTALE 20.234

16 AVEZZANO

AZ-SU

E 2.07 AVEZZANO 37.179

TOTALE 37.179

A.S.L. COMUNITA'

MONTANA D.S.B.

L.R.72/94

Mod.L.R.24/96

N^ DENOMINAZIONE ABITANTI

17 VALLE PELIGNA

AZ-SU

F 2.17 ANVERSA 439

AZ-SU

F 2.17 BUGNARA 1.161

AZ-SU

F 2.15 CAMPO DI GIOVE 926

AZ-SU

F 2.15 CANSANO 357

AZ-SU

C 2.18 CASTEL DI IERI 437

AZ-SU

C 2.18 CASTELVECCHIO SUBEQUO

1.448

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AZ-SU

F 2.17 COCULLO 416

AZ-SU

F 2.16 CORFINIO 968

AZ-SU

C 2.18 GAGLIANO ATERNO 396

AZ-SU

C 2.18 GORIANO SICOLI 685

AZ-SU

F 2.15 INTRODACQUA 1.675

AZ-SU

C 2.18 MOLINA ATERNO 554

AZ-SU

F 2.15 PACENTRO 1.405

AZ-SU

F 2.15 PETTORANO SUL GIZIO

1.293

AZ-SU

F 2.16 PRATOLA PELIGNA 7.939

AZ-SU

F 2.16 PREZZA 1.231

AZ-SU

F 2.16 RAIANO 2.726

AZ-SU

F 2.16 ROCCACASALE 768

AZ-SU

F 2.17 SCANNO 2.352

AZ-SU

C 2.18 SECINARO 558

AZ-SU

F 2.17 VILLALAGO 738

AZ-SU

F 2.16 VITTORITO 1.142

TOTALE 29.614

18 SULMONA

AZ-SU

NON MONTANO

2.15 SULMONA 25.454

TOTALE 25.454

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19 SANGRO AQUILANO

AZ-SU

H 2.19 ALFEDENA 741

AZ-SU

H 2.19 ATELETA 1.371

AZ-SU

H 2.21 BARREA 864

AZ-SU

H 2.19 CASTEL DI SANGRO 5.475

AZ-SU

H 2.21 CIVITELLA ALFEDENA

299

AZ-SU

H 2.21 OPI 534

AZ-SU

H 2.21 PESCASSEROLI 2.207

AZ-SU

H 2.20 PESCOCOSTANZO 1.285

AZ-SU

H 2.20 RIVISONDOLI 792

AZ-SU

H 2.15 ROCCA PIA 253

AZ-SU

H 2.20 ROCCARASO 1.668

AZ-SU

H 2.19 SCONTRONE 561

AZ-SU

H 2.21 VILLETTA BARREA 623

TOTALE 16.673

PROV.CHIETI 11

POPOLAZIONE

PROV. 381.830

20 AVENTINO

LA-VA

NON MONTANO

1.11 ALTINO 2.492

LA-VA

Q 1.11 CASOLI 6.116

LA-VA

Q 1.13 CIVITELLA M.R. 1.111

LA- Q 1.14 COLLEDIMACINE 370

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VA

LA-VA

P 1.13 FARA SAN MARTINO 1.758

LA-VA

Q 1.14 GESSOPALENA 1.915

LA-VA

Q 1.13 LAMA DEI PELIGNI 1.515

LA-VA

Q 1.13 LETTOPALENA 449

LA-VA

Q 1.13 PALENA 1.567

LA-VA

P 1.11 PALOMBARO 1.233

LA-VA

Q 1.16 PENNADOMO 415

LA-VA

Q 1.14 ROCCASCALEGNA 1.557

LA-VA

Q 1.13 TARANTA P. 632

LA-VA

Q 1.14 TORRICELLA P. 1.833

TOTALE 22.963

21 SANGRO

LA-VA

S 1.12 ARCHI 2.392

LA-VA

S 1.12 ATESSA 10.215

LA-VA

S 1.16 BOMBA 1.097

LA-VA

R 1.15 BORRELLO 520

LA-VA

R 1.15 CIVITALUPARELLA 472

LA-VA

S 1.16 COLLEDIMEZZO 628

LA-VA

R 1.15 FALLO 217

LA-VA

R 1.15 GAMBERALE 486

LA-VA

S 1.16 MONTEBELLO SUL SANGRO

169

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LA-VA

S 1.16 MONTEFERRANTE 216

LA-VA

S 1.16 MONTELAPIANO 164

LA-VA

R 1.14 MONTENERODOMO 1.020

LA-VA

NON MONTANO

1.12 PERANO 1.679

LA-VA

S 1.16 PIETRAFERRAZZANA 164

LA-VA

R 1.15 PIZZOFERRATO 1.307

LA-VA

R 1.15 QUADRI 1.040

LA-VA

R 1.15 ROIO DEL SANGRO 245

LA-VA

R 1.15 ROSELLO 431

LA-VA

S 1.12 TORNARECCIO 2.052

LA-VA

S 1.16 VILLA S. MARIA 1.532

TOTALE 26.046

A.S.L. COMUNITA'

MONTANA D.S.B.

L.R.72/94

Mod.L.R.24/96

N^ DENOMINAZIONE ABITANTI

22 LANCIANO

LA-VA

NON MONTANO

1.09 LANCIANO 34.006

TOTALE 34.006

23 BASSO SANGRO

LA-VA

NON MONTANO

1.09 CASTELFRENTANO 3.917

LA-VA

NON MONTANO

1.10 FOSSACESIA 4.843

LA-VA

NON MONTANO

1.10 FRISA 2.041

LA-VA

NON MONTANO

1.10 MOZZAGROGNA 1.975

LA-VA

NON MONTANO

1.12 PAGLIETA 4.394

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LA-VA

NON MONTANO

1.10 ROCCA S. GIOVANNI 2.364

LA-VA

NON MONTANO

1.11 S. EUSANIO DEL SANGRO

2.543

LA-VA

NON MONTANO

1.10 S. MARIA IMBARO 1.495

LA-VA

NON MONTANO

1.10 S. VITO CHIETINO 5.046

LA-VA

NON MONTANO

1.12 TORINO DI SANGRO 3.109

LA-VA

NON MONTANO

1.10 TREGLIO 1.133

TOTALE 32.860

24 VASTESE

LA-VA

NON MONTANO

1.19 CASALBORDINO 6.477

LA-VA

NON MONTANO

1.19 POLLUTRI 2.473

LA-VA

NON MONTANO

1.17 VASTO 32.880

LA-VA

NON MONTANO

1.19 VILLALFONSINA 1.126

TOTALE 42.956

25 ALTO VASTESE

LA-VA

U 1.20 CARUNCHIO 876

LA-VA

T 1.20 CARPINETO SINELLO 818

LA-VA

T 1.20 CASALANGUIDA 1.197

LA-VA

U 1.21 CASTELGUIDONE 551

LA-VA

U 1.21 CASTIGLIONE M.M. 2.600

LA-VA

U 1.18 CELENZA 1.246

LA-VA

T 1.20 DOGLIOLA 451

LA-VA

U 1.21 FRAINE 527

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LA-VA

T 1.20 FURCI 1.410

LA-VA

T 1.20 GISSI 3.314

LA-VA

T 1.20 GUILMI 660

LA-VA

T 1.20 LISCIA 887

LA-VA

U 1.16 MONTAZZOLI 1.233

LA-VA

T 1.20 PALMOLI 1.292

LA-VA

T 1.21 ROCCASPINALVETI 1.916

LA-VA

T 1.20 S. BUONO 1.333

LA-VA

U 1.21 S. GIOVANNI LIPIONI 422

LA-VA

T 1.19 SCERNI 3.848

LA-VA

U 1.21 SCHIAVI D'ABRUZZO 1.965

LA-VA

U 1.21 TORREBRUNA 1.387

LA-VA

T 1.20 TUFILLO 641

TOTALE 28.574

A.S.L. COMUNITA'

MONTANA D.S.B.

L.R.72/94

Mod.L.R.24/96

N^ DENOMINAZIONE ABITANTI

26 COSTA SUD

LA-VA

T 1.18 CUPELLO 4.169

LA-VA

T 1.18 FRESAGRANDINARIA 1.350

LA-VA

T 1.18 LENTELLA 773

LA-VA

T 1.18 MONTEODORISIO 2.259

LA-VA

NON MONTANO

1.18 SAN SALVO 15.527

TOTALE 24.078

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A.S.L. COMUNITA'

MONTANA D.S.B.

L.R.72/94

Mod.L.R.24/96

N^ DENOMINAZIONE ABITANTI

27 MAIELLETTA

CH P 1.04 GUARDIAGRELE 10.120

CH P 1.04 PENNAPIEDIMONTE 669

CH P 1.04 PRETORO 1.113

CH P 1.04 RAPINO 1.569

CH P 1.04 ROCCAMONTEPIANO 1.986

TOTALE 15.457

28 ORTONESE

CH NON MONTANO

1.07 ARI 1.413

CH NON MONTANO

1.07 ARIELLI 1.265

CH NON MONTANO

1.08 CANOSA SANNITA 1.586

CH NON MONTANO

1.08 CRECCHIO 3.184

CH NON MONTANO

1.07 FILETTO 1.224

CH NON MONTANO

1.08 GIULIANO TEATINO 1.367

CH NON MONTANO

1.07 ORSOGNA 4.111

CH NON MONTANO

1.06 ORTONA 22.601

CH NON MONTANO

1.07 POGGIOFIORITO 1.028

CH NON MONTANO

1.08 TOLLO 4.130

TOTALE 41.909

29 FORO-ALENTO

CH NON MONTANO

1.01 BUCCHIANICO 4.805

CH NON MONTANO

1.04 CASACANDITELLA 1.415

CH NON MONTANO

1.01 CASALINCONTRADA 2.726

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CH NON MONTANO

1.04 FARA F.P. 1.884

CH NON MONTANO

1.03 FRANCAVILLA 21.675

CH NON MONTANO

1.05 MIGLIANICO 4.356

CH NON MONTANO

1.05 RIPA TEATINA 3.587

CH NON MONTANO

1.02 S. GIOVANNI TEATINO

8.449

CH NON MONTANO

1.04 S. MARTINO S.M. 920

CH NON MONTANO

1.03 TORREVECCHIA T. 3.170

CH NON MONTANO

1.05 VACRI 1.703

CH NON MONTANO

1.05 VILLAMAGNA 2.415

TOTALE 57.105

30 CHIETI

CH NON MONTANO

1.01/1.02 CHIETI 55.876

TOTALE 55.876

PROV. PESCARA 5

POPOLAZIONE

PROV. 289.534

A.S.L. COMUNITA'

MONTANA D.S.B.

L.R.72/94

Mod.L.R.24/96

N^ DENOMINAZIONE ABITANTI

31 PESCARA

PE NON MONTANO

3.01/3.02 PESCARA 122.236

TOTALE 122.236

32 MONTESILVANO

PE NON MONTANO

3.13 MONTESILVANO 35.153

TOTALE 35.153

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33 AREA METROPOLITANA

PESCARESE

PE NON MONTANO

3.13 CAPPELLE 2.985

PE NON MONTANO

3.04 CEPAGATTI 7.870

PE NON MONTANO

3.12 CITTÀ' S. ANGELO 10.164

PE NON MONTANO

3.06 CUGNOLI 1.752

PE NON MONTANO

3.12 ELICE 1.751

PE NON MONTANO

3.03 MOSCUFO 2.845

PE NON MONTANO

3.04 NOCCIANO 1.565

PE NON MONTANO

3.03 PIANELLA 7.117

PE NON MONTANO

3.04 ROSCIANO 3.030

PE NON MONTANO

3.03 SPOLTORE 12.930

TOTALE 52.009

34 VESTINA

PE I 3.11 BRITTOLI 470

PE I 3.11 CARPINETO DELLA NORA

758

PE I 3.07 CASTIGLIONE A CASAURIA

902

PE NON MONTANO

3.11 CATIGNANO 1.595

PE I 3.11 CIVITAQUANA 1.377

PE I 3.11 CIVITELLA CASANOVA

2.156

PE NON MONTANO

3.10 COLLECORVINO 4.823

PE I 3.07 CORVARA 333

PE I 3.09 FARINDOLA 2.083

PE NON MONTANO

3.10 LORETO APRUTINO 7.228

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PE I 3.09 MONTEBELLO DI B. 1.183

PE I 3.09 PENNE 12.214

PE I 3.07 PESCOSANSONESCO 574

PE NON MONTANO

3.09 PICCIANO 1.403

PE I 3.07 PIETRANICO 691

PE I 3.11 VICOLI 453

PE I 3.11 VILLA CELIERA 987

TOTALE 39.230

A.S.L. COMUNITA'

MONTANA D.S.B.

L.R.72/94

Mod.L.R.24/96

N^ DENOMINAZIONE ABITANTI

35 MAIELLA-

MORRONE

PE L 3.08 ABBATEGGIO 403

PE NON MONTANO

3.06 ALANNO 3.746

PE L 3.07 BOLOGNANO 1.339

PE I 3.05 BUSSI SUL TIRINO 3.236

PE L 3.08 CARAMANICO TERME

2.213

PE L 3.06 LETTOMANOPPELLO 3.046

PE L 3.06 MANOPPELLO 5.566

PE L 3.05 POPOLI 5.755

PE L 3.08 ROCCAMORICE 1.046

PE L 3.08 SALLE 414

PE L 3.08 SAN VALENTINO IN A.C.

1.911

PE L 3.08 SANT'EUFEMIA A MAIELLA

406

PE L 3.06 SCAFA 3.863

PE L 3.06 SERRAMONACESCA 717

PE L 3.05 TOCCO DA CASAURIA

3.044

PE NON MONTANO

3.07 TORRE DEI PASSERI 3.299

PE L 3.06 TURRIVALIGNANI 902

TOTALE 40.906

Page 81: LEGGE REGIONALE 27 MARZO 1998, N. 22 Norme per la ...leggi.regione.abruzzo.it/asp/redirectApprofondimen... · a. gli ambiti territoriali per la gestione unitaria dei servizi sociali,

N.B.: I dati relativi alla Popolazione sono stati desunti

dall'ISTAT

Censimento

1991