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Legge di Stabilità 2016 Le proposte di Confindustria

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Legge di Stabilità 2016

Le proposte di Confindustria

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Legge di Stabilità 2016 – Le proposte di Confindustria

Premessa

L’economia italiana può imboccare una strada di cambiamento. Si è aperta, infatti, una finestra di opportunità da cogliere per rafforzare la debole crescita, sostenendo le componenti strategiche della domanda interna, e completare il percorso di modernizzazione delle regole economiche del Paese.

Spinto da stimoli esterni e dalla reazione positiva del sistema produttivo alla riforma del mercato del lavoro e agli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato, nella prima metà del 2015 il PIL italiano è cresciuto dello 0,7%. L’occupazione sta aumentando in presa diretta (+1,4% in ragione d’anno tra febbraio e luglio).

Sono dati positivi e incoraggianti. Tuttavia, non possono essere considerati soddisfacenti perché beneficiano di fattori contingenti irripetibili e perché non bastano a rispondere ai bisogni del Paese. Vanno rafforzati rapidamente, in modo da portare il tasso di crescita italiano stabilmente sopra il 2%. Un obiettivo raggiungibile e necessario per tornare in un arco di tempo ragionevole ai livelli pre-crisi di produzione, occupazione e reddito.

Per far ciò occorre operare lungo le seguenti direttrici:

rafforzare il sostegno agli investimenti pubblici e privati;

consolidare la riduzione del costo del lavoro e il sostegno dell’occupazione;

affrontare la fragile condizione di liquidità finanziaria delle imprese;

sostenere l’internazionalizzazione delle imprese.

È importante dare continuità all’azione già intrapresa dal Governo, innestando su di essa le nuove iniziative e le proposte. Sarebbe controproducente abbandonare o non rifinanziare alcune misure, considerando terminata un’ipotetica fase uno di quell’azione, per inaugurare una fase due per puro amore della novità. Occorre stabilità del quadro di riferimento in cui si inseriscono le decisioni degli operatori, per infondere fiducia e migliorare le aspettative.

Nell’avanzare le proposte Confindustria deve tener conto del disegno di riduzione delle imposte delineato dal Governo, del potenziale impatto delle diverse misure in termini di crescita e delle regole e raccomandazioni europee.

Il Governo ha annunciato un piano di diminuzione delle imposte dirette da 35 miliardi che verrà inserito nella Legge di stabilità e che, in base alle prime anticipazioni, sembra che si articolerà in: abolizione dal 2016 della TASI e dell’IMU sulla prima casa (3,5 miliardi) e di altre imposte immobiliari (2 miliardi); diminuzione al 23% dell’aliquota IRES dal 2017; diminuzione dell’IRPEF dal 2018 (15 miliardi).

A prescindere dalle valutazioni che si possono avanzare sulle singole voci che lo compongono, questo piano va preso come un dato di fatto politico.

Sul piano dell’efficacia per la crescita, secondo le elaborazioni effettuate con il modello econometrico del CSC, il massimo impatto di uno stesso ammontare di

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risorse messe in campo (15 miliardi) si ha attraverso la riduzione dei contributi sociali (+1,2% il PIL), seguita dall’aumento degli investimenti pubblici (+0,9%), dalla diminuzione dell’IRAP (+0,8%), dal taglio dell’IRES (+0,4%), dalla diminuzione dell’IMU-TASI a carico delle famiglie (un po’ meno di 0,4%, sempre con 15 miliardi di risorse) e delle imprese (quasi identico risultato) e dal calo dell’IRPEF (+0,3%; ma molto dipende dalle fasce di reddito su cui verrà concentrato).

Ogni proposta riguardante la Legge di Stabilità deve considerare i vincoli europei. La Legge, infatti, deve essere inviata alla Commissione entro il 15 di ottobre ed entro il 15 novembre vanno apportate le modifiche concordate con Bruxelles.

Le recenti raccomandazioni della Commissione indicano all’Italia di conseguire un aggiustamento verso l’obiettivo di bilancio a medio termine pari ad almeno lo 0,25% del PIL nel 2015 e allo 0,1% del PIL nel 2016, adottando le necessarie misure strutturali sia nel 2015 che nel 2016, tenuto conto dello scostamento consentito per l’attuazione di importanti riforme strutturali; assicurare che la revisione della spesa costituisca parte integrante del processo di rilancio; attuare in modo rapido e accurato il programma di privatizzazioni e ricorrere alle entrate straordinarie per compiere ulteriori progressi al fine di assicurare un percorso adeguato di riduzione del rapporto debito pubblico/PIL; attuare la legge delega di riforma fiscale entro settembre 2015, con particolare riguardo alla revisione delle agevolazioni fiscali e dei valori catastali e alle misure per migliorare il rispetto della normativa tributaria.

Nello stesso documento la Commissione apprezza la riduzione del cuneo fiscale, che viene però ancora giudicato troppo alto. In generale, da anni raccomanda di spostare il carico fiscale dalle persone e dalle imprese alle cose. Mentre, secondo i principi di flessibilità di bilancio, che sono stati un’importante conquista della Presidenza italiana dell’Unione europea, gli spazi di finanziamento della manovra in deficit sono molto limitati e concentrati essenzialmente sulla spesa in investimenti attraverso il cofinanziamento di progetti sostenuti dai fondi europei.

Per finanziare queste misure occorre, da un lato, mantenere la fiducia nella sostenibilità del debito pubblico italiano e, dall’altro, utilizzare tutti gli spazi di flessibilità concessi sia dalle regole europee sia, non meno importante, dalla credibilità conquistata sui mercati finanziari. Una rigorosa spending review aiuta non solo a reperire risorse per coprire i tagli di imposta ma anche ad accrescere quella credibilità.

C’è, dunque, una convergenza, non casuale, tra efficacia per la crescita e raccomandazioni europee verso la conferma dell’alleggerimento del cuneo fiscale-contributivo che grava sul lavoro e verso la spinta agli investimenti, pubblici e privati.

Sugli investimenti pubblici grava, in Italia, l’incertezza dovuta ai tempi lunghi e variabili della realizzazione e delle opere e al loro costo effettivo. Ciò ne rende comprensibilmente meno desiderato l’impiego come strumento congiunturale. Tuttavia, va ricordato il ritardo infrastrutturale, materiale e immateriale, che penalizza la competitività del Paese, soprattutto nelle sue regioni meridionali. Inoltre, sarebbe imperdonabile lasciarsi sfuggire il consistente ammontare di risorse comunitarie che, secondo le nuove regole sui fondi di coesione, possono in parte

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essere utilizzate anche nelle regioni non in ritardo. Infine, l’Italia non ha ancora fatto ricorso alla clausola di flessibilità per i saldi di bilancio pubblico relativi proprio alla spesa per investimenti finanziati con i fondi strutturali.

Riguardo agli investimenti privati, è superfluo ricordarne la strategicità per la crescita, sia come parte della domanda aggregata sia come rafforzamento della capacità produttiva. Solo attraverso gli investimenti si crea occupazione e si introduce il progresso tecnologico nei beni e nei processi produttivi.

Gli investimenti in Italia sono bassi e faticano a ripartire a causa della bassa domanda effettiva ed attesa e della redditività ai minimi storici. La propensione a investire delle imprese italiane è superiore a quella che si osserva in tutti gli altri maggiori paesi avanzati ed è quasi doppia di quelle tedesca e francese. La capacità di innovare delle imprese italiane è seconda, in Europa, solo a quella della Germania, come dimostrano dati elaborati dal CSC.

A fronte di questo quadro, spicca il vuoto in Italia di politica per la ricerca e l’innovazione, in termini di ammontare e certezza di risorse e di orizzonte lungo cui si dispiega il sostegno pubblico. Si tratta di una leva strategica per lo sviluppo il cui mancato uso, oltre a penalizzare competitivamente le imprese italiane, schiaccia all’ingiù il potenziale di crescita del Paese.

In generale, per gli investimenti privati la proposta annunciata dal Governo di riduzione al 23% dell’aliquota IRES a partire dal 2017 è molto positiva e va effettivamente realizzata. Non ha, però, effetti congiunturali immediati e va, quindi, accompagnata con misure di sostegno simili a quelle da poco scadute.

Nell’ambito di una operazione di rilancio degli investimenti, non può essere tralasciata la strategicità del patrimonio immobiliare, con l’obiettivo di valorizzare quello inutilizzato a causa della grave crisi economica.

Nel Mezzogiorno il rilancio degli investimenti pubblici e privati è ancor più necessario e promette straordinari ritorni per lo sviluppo dell’intero Paese. Al Sud sono concentrati i maggiori ritardi nella qualità e nella quantità dei servizi pubblici, nella dotazione infrastrutturale, nei livelli di partecipazione al lavoro, nel grado di innovazione. Al tempo stesso, ci sono straordinarie opportunità di crescita, grazie a un tessuto imprenditoriale diffuso che, pur provato e ridotto di numero dai violenti colpi della crisi, mostra dinamismo e capacità di ripartire.

I segnali di vitalità dell’economia meridionale vengono dal saldo tra natalità e mortalità delle imprese, dall’export di alcuni settori, dalla propensione a fare impresa dei giovani, dalle presenze e dalla spesa dei turisti stranieri, dall’impresa culturale. Confindustria li ha costantemente messi in evidenza, staccandosi dal coro della lamentazione di maniera, senza negare le carenze e le mancanze strutturali. Le quali, se iniziassero a essere colmate, farebbero del Meridione uno straordinario volano di crescita per l’intero Paese, grazie proprio alle risorse imprenditoriali che lo animano.

Perciò l’azione combinata di aumento degli investimenti pubblici, attraverso l’utilizzo pieno delle risorse nazionali e comunitarie per la coesione, e di sostegno di quelli privati, con misure semplici e automatiche e con un più facile accesso al credito,

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assume nelle regioni meridionali una valenza doppia: di chiusura del divario con il resto dell’Italia e di motore per lo sviluppo nazionale.

Strettamente connesso agli investimenti e, in generale, alla ripartenza dell’attività delle imprese c’è la questione della liquidità e del credito. Le condizioni dei prestiti bancari sono migliorate ma rimangono strette. Occorre proseguire con le politiche che aiutino ad allentarle e che, in generale, migliorino la liquidità delle aziende.

Le misure varate dal Governo sul pagamento dei debiti della PA hanno dato importanti risultati. Al 20 luglio 2015 sono stati saldati debiti scaduti, inclusi i rimborsi fiscali, per 38,6 miliardi. Alla stessa data, le risorse erogate alle PA ammontavano a 44,6 miliardi, pari al 79% dei 56,3 miliardi complessivamente resi disponibili. È essenziale che non si allenti l’attenzione e che il processo sia completato.

Per questo occorre, innanzitutto, accertare l’esatto ammontare dei debiti scaduti, con particolare riguardo a quelli di parte capitale e a quelli fuori bilancio, che non è ancora noto. Desta preoccupazione la recente sentenza della Corte Costituzionale sul bilancio di assestamento 2013 della Regione Piemonte, che potrebbe avere implicazioni sulla piena realizzazione del piano dei pagamenti. Dagli accertamenti contabili di quella o di altre regioni non devono derivare nuove penalizzazioni a danno dei fornitori e oneri a carico della fiscalità generale. Resta inoltre aperta la questione che attiene alle società partecipate, per le quali non trovano applicazione molte delle norme relative ai ritardati pagamenti delle PA.

Per i nuovi debiti commerciali della PA, occorre assicurare che si adeguino i tempi di pagamento previsti dalla Direttiva Late Payments. Il recente avvio della fatturazione elettronica e delle altre misure per monitorare la spesa delle amministrazioni e la tempestività dei pagamenti assume importanza centrale. Il Governo deve garantire il pieno utilizzo di tali strumenti e la rigorosa applicazione delle sanzioni previste.

Infine, ma non per importanza, dal punto di vista metodologico occorre completare l’attuazione di importanti misure di rilancio dell’economia contenute in diversi provvedimenti (tra i quali le ultime due Leggi di Stabilità) varati nel corso degli ultimi anni.

1. Rilancio degli investimenti pubblici e privati

Dopo aver avviato le riforme del lavoro, l’unica vera strada per favorire l’occupazione e rilanciare la competitività delle imprese è investire.

Il capitolo degli strumenti da azionare in questo campo è ampio:

interventi per sostenere il rinnovo e il rafforzamento tecnologico dei beni strumentali di impresa;

interventi a favore della riqualificazione immobiliare e a sostegno degli investimenti in efficienza energetica;

interventi a sostegno degli investimenti in R&S;

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riduzione del carico fiscale sugli immobili di impresa, a partire dai c.d. macchinari imbullonati.

Accanto ai provvedimenti per rilanciare gli investimenti privati è indispensabile prevedere misure (legate soprattutto al patto di stabilità interno e alla effettiva disponibilità finanziaria) volte a favorire l’incremento della spesa pubblica in conto capitale per investimenti, a partire da quella cofinanziata da fondi strutturali europei, nel Mezzogiorno e sull’intero territorio nazionale.

Investimenti pubblici

Il rilancio delle infrastrutture come volano della crescita richiede un maggior impegno del Governo sul piano delle risorse. Tra il 2008 e il 2013 si è registrato un crollo degli investimenti pubblici, che nel 2014 sono scesi al 2,2% del PIL, il livello più basso nella storia della Repubblica Italiana.

Il DEF 2015, presentato dal Governo lo scorso maggio, ha sostenuto una certa ripresa del profilo di spesa per investimenti in valori correnti e bloccato la tendenza ad un’ulteriore riduzione in rapporto al PIL, stabilizzando fino al 2018 la soglia del 2,2%, ma si tratta di un valore ben lontano dall’obiettivo del 3% che Confindustria ha indicato nel suo Progetto per l’Italia come necessario a ridurre il gap infrastrutturale rispetto agli altri paesi europei.

Confindustria chiede pertanto che con la prossima Legge di Stabilità venga quantomeno confermata la previsione del DEF e se possibile innalzato il profilo della spesa dal 2016 a partire dalla dotazione del principale contenitore finanziario per il sostegno agli investimenti, in particolare nel Mezzogiorno, il Fondo per lo Sviluppo e la Coesione.

In tale ambito ci aspettiamo che l’aggiornamento del DEF per la parte infrastrutture sviluppi maggiormente il profilo logistico delle priorità di investimento. In particolare, vanno recepiti in tale ambito interventi che da un lato garantiscano l’integrazioni delle grandi reti di comunicazione con porti ed aeroporti e dall’altro la massimizzazione dell’efficienza logistica del sistema infrastrutturale nel suo complesso.

Le recenti iniziative europee in materia di investimenti pubblici e politiche di bilancio potrebbero contribuire a questo obiettivo. La Commissione europea, ben consapevole della necessità di promuovere il rilancio degli investimenti, ha dato chiari segnali di apertura con i nuovi “Orientamenti sulla flessibilità dei conti pubblici” e con il Piano Juncker per gli investimenti, che dovrebbe essere avviato entro settembre 2015. Sarà dunque fondamentale in questa ottica utilizzare appieno tutti gli spazi derivanti dall’applicazione della clausola per gli investimenti a partire dallo scorporo di quelli cofinanziati con i fondi strutturali europei.

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Investimenti privati e liquidità

Rinnovamento tecnologico e beni strumentali

Il mancato rinnovamento tecnologico dei macchinari e degli impianti determina inevitabilmente una perdita di competitività nei confronti delle imprese estere che, approfittando delle misure agevolative adottate nei propri Paesi per rilanciare gli investimenti in beni strumentali, hanno innovato e modernizzato i processi di progettazione, di produzione e di controllo garantendosi così un sensibile vantaggio competitivo. Per evitare che questo gap concorrenziale si accentui nel tempo e diventi poi difficilmente recuperabile è necessario intervenire con misure di sostegno al rinnovo degli apparati produttivi, potenziate per gli investimenti innovativi nel Mezzogiorno calati di oltre il 35% durante la crisi.

In tale ambito, è necessaria una misura a sostegno degli ammortamenti che consenta di dedurre un maggior costo figurativo rispetto a quello sostenuto per l’acquisto dei beni, incrementando le quote di ammortamento deducibili. In alternativa, si potrebbe ipotizzare la riapertura della c.d. Guidi-Padoan, eliminando i vincoli che ne hanno reso difficile l’accesso oppure, ancora, il ripristino degli ammortamenti anticipati. In ogni caso, la misura deve avere una durata in linea con i piani ed i tempi di investimento delle imprese, e di facile applicazione.

Infine, per sostenere le imprese colpite da eventi calamitosi nell’opera di ripristino della funzionalità delle strutture produttive danneggiate, sarebbe opportuno consentire l’immediata ed integrale deducibilità delle spese di ristrutturazione sostenute per riparare i danni subiti.

Nel dettaglio:

Ammortamento figurativo beni materiali: la realizzazione di investimenti in beni strumentali può essere incentivata attraverso il riconoscimento di un costo figurativo aggiuntivo al costo di acquisto sostenuto, deducibile secondo le ordinarie regole di ammortamento fiscale. Ad esempio, se il prezzo di acquisto del bene fosse pari a 100, ammortizzabile in 5 anni, e la misura prevedesse un costo figurativo aggiuntivo del 40%, l’impresa dedurrebbe ogni anno non già una quota di ammortamento pari a 20, ma un importo di 28. Una misura di questo tipo, sotto il profilo oggettivo, avrebbe portata generale e non sarebbe quindi selettiva. A differenza del credito di imposta c.d. Guidi-Padoan, spendibile in compensazione anche con altre imposte o contributi, questa agevolazione sarebbe fruibile per le imprese in perdita solo al momento della realizzazione di reddito imponibile.

Costo della misura: da determinare in funzione della maggiorazione riconosciuta.

Credito di imposta per acquisto di beni strumentali nuovi (c.d. Guidi-Padoan): si tratta di un credito di imposta, fruibile in compensazione di tributi e contributi, per l’acquisto di beni strumentali nuovi appartenenti alla divisione 28, tabella ATECO 2007. La misura - introdotta a giugno 2014 e

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valevole fino al 30 giugno 2015 - ha suscitato molto interesse tra le imprese, specie dopo la pubblicazione della circolare esplicativa dell’Agenzia delle entrate intervenuta, però, solo il 19 febbraio 2015, a 8 mesi dall’entrata in vigore della misura e a pochi mesi dalla sua scadenza.

Va ricordato che il meccanismo della misura – per quanto presenti complessità operative - è ormai noto alle imprese e sviscerato nei suoi dettagli interpretativi. L’agevolazione favorisce solo alcuni beni, che tuttavia sono quelli prevalentemente impiegati (e prodotti) dalle imprese manifatturiere.

Costo della misura: 408 mln euro, ove i termini fossero riaperti per un anno, fino al 30 giugno 2016.

Investimenti nel Mezzogiorno. Al fine di favorire la ripresa degli investimenti fissi lordi nelle regioni meridionali si propone l’adozione di uno strumento agevolativo nella forma del “credito di imposta” per l’acquisizione di beni strumentali nuovi, connessi ad un progetto di investimento iniziale, destinati a strutture produttive ubicate nelle regioni del Mezzogiorno.

Destinatari della misura agevolativa sono tutti i soggetti titolari di reddito d’impresa, indipendentemente dalla natura giuridica assunta, con esclusione delle imprese in difficoltà finanziaria. Sono escluse le imprese appartenenti ai settori individuati dal regolamento di esenzione come non ammissibili.

L’agevolazione spetta per l’acquisizione di beni destinati a strutture produttive ubicate nelle aree ammissibili delle Regioni Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Basilicata, Sardegna, Abruzzo e Molise, in cui operano le deroghe previste dall’art. 107, par. 3, lettere a) e c), del TFUE.

Potranno essere agevolabili gli investimenti facenti parte di un progetto di investimento iniziale, relativi all’acquisto, anche mediante contratti di locazione finanziaria, di beni strumentali nuovi, materiali e immateriali di cui all’art. 102 – 103, TUIR (macchinari, impianti, attrezzature, programmi informatici, brevetti, diritti di concessione).

La struttura dell’agevolazione, potrà essere, all’occorrenza, opportunamente modulata per adattarne l’ambito di applicazione, le imprese beneficiarie, i beni agevolabili: la copertura della misura potrà venire dalle risorse nazionali della politica di coesione destinate alle regioni meridionali.

Costo della misura: 2 mld di euro nell’ipotesi di massima estensione dell’ambito oggettivo di applicazione dello strumento.

Deducibilità spese di ricostruzione a causa di eventi calamitosi: tenuto conto delle condizioni di pesante disagio che devono affrontare le imprese

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danneggiate da eventi calamitosi, considerata la necessità di assicurare al più presto la riattivazione delle attività produttive danneggiate, nonché di tutelare il patrimonio economico-produttivo locale e i redditi delle famiglie dei lavoratori coinvolti direttamente o per indotto, si propone una modifica normativa delle attuali regole di deducibilità fiscale delle spese di riparazione e ristrutturazione volta a consentire l’integrale e immediata deducibilità di tali spese nell’esercizio di sostenimento.

Investimenti in R&S

Nel seguito, accanto ad interventi di portata più ampia - quali quelli di sostegno agli investimenti in ricerca e sviluppo - si propongono anche misure più selettive.

Credito di imposta R&S: la misura introdotta con la Legge di Stabilità 2015, sebbene abbia rappresentato un segnale positivo di attenzione al tema dell’innovazione, presenta alcune criticità:

il carattere incrementale della misura rischia di tradursi in una penalizzazione per le imprese che, nonostante il periodo di recessione, hanno continuato, in questi anni, ad investire ingenti risorse in attività di ricerca e sviluppo;

il meccanismo di calcolo esclude alcune voci fondamentali per le attività di R&I delle imprese quali i tecnici della ricerca e i materiali;

la misura non ha carattere strutturale, bensì un ambito di applicazione temporalmente limitato a soli cinque periodi di imposta.

Con riguardo agli oneri che derivano dalla misura in esame, si ricorda che la Relazione tecnica alla Legge di Stabilità 2015 ha stimato una perdita di gettito massima per il 2015 di circa 365 mln di Euro, che diventano 456 mln di Euro per il 2016 e 547 mln di Euro per il 2017.

Ciò premesso, la Legge di Stabilità 2016 potrebbe superare queste criticità, prevedendo, in particolare, misure di incentivo alla ricerca di carattere stabile, così da favorire gli investimenti delle imprese nazionali ed attrarre nuovi soggetti non residenti ad investire nel nostro Paese. È pertanto indispensabile:

eliminare il meccanismo incrementale;

sulla base del monitoraggio continuo previsto dal Mef, assicurare continuità di risorse e disponibilità aggiuntive per coprire tutte le richieste (assicurando inoltre che qualora la dotazione annuale non dovesse essere completamente fruita - ad esempio per effetto di rinunce o di revoche- le risorse non utilizzate vadano ad incrementare la dotazione dell’anno successivo) e per prevedere l’applicabilità del credito di imposta non solo sugli incrementi di spesa;

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prevedere l’ammissibilità dei costi relativi a tutto il personale addetto alla R&I, includendo quindi anche i tecnici della ricerca; ai materiali e alle apparecchiature utilizzate per le attività di R&I (quindi non solo “di laboratorio”). Si renderebbe così la misura più rispondente alle attività di R&I condotte dalle imprese che prevedono ad esempio l’ampio contributo nell’ambito del personale della R&I di tecnici, così come l’utilizzo di apparecchiature non solo di laboratorio;

che la misura sia strutturale, per permettere una pianificazione degli investimenti a lungo termine.

Costo della misura: da determinare.

Allocazione di nuove risorse nazionali per i progetti di ricerca e innovazione promossi dal Miur e dal Mise: al fine di rendere efficaci e credibili i programmi nazionali a supporto della R&I in fase di elaborazione da parte del Governo (Strategia nazionale R&I e Programma Nazionale della Ricerca) è indispensabile assicurare nuove allocazioni di risorse nazionali per rifinanziare i principali fondi del Miur (First) e del Mise (Fondo per la crescita sostenibile).

La disponibilità di queste risorse aggiuntive è necessaria per potenziare gli interventi a livello nazionale (colmando la lacuna di risorse disponibili come contributo alla spesa per gli investimenti realizzati nelle aree del Centro – Nord , in cui si ricorda viene realizzata la maggior parte degli investimenti in R&I) e per assicurare adeguate risorse per la partecipazione delle imprese ai programmi di R&I congiunti realizzati a livello europeo (Joint Programming).

Costo della misura: 400 milioni all’anno per i prossimi 5 anni.

Deducibilità spese di sviluppo capitalizzate: al fine di favorire il processo di innovazione del sistema produttivo italiano e rafforzare la patrimonializzazione delle imprese, specie le PMI, sarebbe utile modificare le attuali regole fiscali di ammortamento delle spese di Sviluppo capitalizzate nell’attivo patrimoniale, riconoscendo la possibilità di dedurre dal reddito imponibile una quota superiore all’ammortamento imputato a conto economico (attraverso una deduzione extracontabile in dichiarazione dei redditi), con la possibilità di elevare la deduzione fino al 100% della spesa sostenuta nell’anno1.

Costo della misura: è plausibile ritenere che gli effetti della misura non siano significativi, tenuto conto che le PMI già oggi (per prassi)

1 Si rammenta che per effetto delle modifiche recate all’art. 2424, n. 2) del Codice civile, ad opera del decreto

legislativo di attuazione della direttiva 2013/34/UE relativa ai bilanci di esercizio, i costi di “ricerca” non potranno più essere capitalizzati a partire dai bilanci chiusi al 31.12.2016.

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imputano a conto economico le spese di R&S e le deducono integralmente nell’esercizio di sostenimento. L’intervento, pertanto, sarebbe in linea con il trattamento fiscale costantemente e diffusamente seguito.

Reti di impresa: i contratti di rete sono stati accompagnati da un regime di agevolazione fiscale, prevista dall’art. 42, co. 2-quater e ss., DL n. 78/2010. La misura, che si è chiusa nel 2012, è consistita in una sospensione di imposta sugli utili che le imprese, partecipanti al contratto di rete, destinavano alla realizzazione delle attività oggetto del programma comune di rete. Questa agevolazione si è rivelata di grande interesse, poiché ha stimolato le imprese ad impiegare i propri utili nella realizzazione di investimenti funzionali all’innovazione e all’accrescimento della competitività. Il risparmio di imposta veniva riconosciuto a condizione che si verificasse l’effettivo investimento degli utili da parte delle imprese, secondo quanto programmato con il contratto di rete.

Tenuto conto che nel triennio 2010/2012 - quando le imprese aggregate in rete erano qualche centinaio - sono stati messi a disposizione 48 milioni di euro per la misura agevolativa, si valuti l’opportunità di rinnovare l’agevolazione con la messa a disposizione di un plafond di 200 milioni (come previsto dal DEF 2015), tenuto conto che oggi le imprese che hanno stipulato un contratto di rete sono oltre 11.000. Si valuti altresì la possibilità di innalzare il limite massimo di utile accantonabile da parte di ciascuna impresa da 1 a 2 milioni di euro.

Costo della misura: 200 mln euro.

Riqualificazione immobiliare e investimenti in efficienza energetica

La riqualificazione del patrimonio edilizio italiano è un intervento non più procrastinabile: la forte riduzione dei valori immobiliari ha comportato un impoverimento delle famiglie. La politica fiscale sugli immobili, negli ultimi anni, ha puntato al massimo prelievo possibile, ma ora serve una vera e propria strategia fiscale che incentivi il mercato immobiliare e gli investimenti in efficienza energetica, poiché sostenere una produzione edilizia ad alto contenuto tecnologico ha effetti positivi per la filiera delle costruzioni ma, soprattutto, è in grado di innescare una vera e propria “crescita industriale”.

Si propongono le seguenti misure:

Incentivi al mercato residenziale e alla riqualificazione urbana. Si propone di introdurre forme di parziale detassazione degli acquisti di abitazioni nuove in classe energetica elevata effettuati fino al 2018, anche in un’ottica di equiparazione fiscale dell’acquisto del «nuovo» (soggetto ad IVA applicata sull’effettivo prezzo di vendita) all’acquisto dell’«usato» (che, invece, sconta l’imposta registro, ad aliquote inferiori applicate sul valore

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catastale). A tal fine, si potrebbe riconoscere all’acquirente un credito d’imposta pari al 50% dell’IVA pagata sull’acquisto. Contestualmente, sempre per gli acquisti effettuati sino al 2018, dovrebbe prevedersi l’esenzione triennale dall’IMU, dalla TASI e dalla futura “local tax”.

Nell’ottica, poi, di incentivare la “rottamazione dei vecchi fabbricati” e la loro sostituzione con edifici di “nuova generazione”, si propone l’applicazione, a carico delle imprese acquirenti, delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa (pari a 200 euro ciascuna, per un totale di 600 euro, anziché la misura ordinaria del registro pari al 9% del valore dichiarato nel rogito più 100 euro di ipotecaria e catastale), a condizione che le imprese acquirenti si impegnino alla riqualificazione energetica degli stessi e alla conseguente reimmisione sul mercato entro 5 anni.

Costo della misura: l’istituzione della detrazione commisurata al 50% dell’IVA e l’introduzione dell’esenzione IMU e TASI comporterebbero una perdita di gettito pari complessivamente a 104,9 mln euro2.

La previsione di applicare le imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa di 200 euro per ogni tipo di prelievo, in luogo dell’attuale regime, alle cessioni di “vecchi fabbricati” comporta una perdita di gettito pari a 16,4 mld euro.3

Costo complessivo: 104,9 mln + 16,4 mln = 121,3 mln euro.

Bonus ristrutturazioni ed efficienza energetica: è essenziale estendere anche per il 2016 il bonus del 65% per la riqualificazione energetica degli edifici e stabilizzare il potenziamento del bonus per le ristrutturazioni edilizie. Si tratta di misure che hanno sorretto il settore dell’edilizia negli anni di crisi, favorendo l’emersione del sommerso.

Effetti della misura: nelle stime del Governo operate con la Legge di Stabilità 2015, gli effetti finanziari complessivi delle proroghe agli incentivi per interventi edilizi e di efficientamento producevano un recupero di gettito pari a 19 mln di euro4.

2 Dati ANCE. La medesima associazione stima, tuttavia, che la proposta possa generare ricavi per 4 mld di euro e

nuova liquidità per le imprese. In tal caso, ANCE ritiene che, ipotizzando prudenzialmente che almeno 1 mld di euro di tali maggiori ricavi venga utilizzato per nuove iniziative residenziali con prestazioni energetiche elevate, si avrebbero effetti positivi sul gettito per 733 mld di euro. In tale scenario, quindi, l’intervento avrebbe un saldo netto positivo pari a circa 628 mln di euro (733 mln – 104,9 mln). 3

Dati ANCE. Anche in relazione a tale ipotesi, l’associazione ritiene che il provvedimento di modifica dell’imposizione sui trasferimenti immobiliari in esame possa stimolare la permuta di 2.000 abitazioni con effetti positivi per l’erario sul gettito pari a 18,4 mln di euro. In tale scenario, quindi, l’intervento avrebbe un saldo netto positivo pari a 2 mln di euro (18,4 mln – 16,4 mln). 4 L’effetto positivo nel primo anno è dovuto al fatto che il costo dei vari interventi è ripartito su diverse annualità (gli

incentivi in parola solo generalmente fruibili dai contribuenti in 10 anni) e viene sovracompensato dai recuperi erariali dovuti dall’extra-gettito IVA e dalla maggiore IRPEF/IRES dovuta in relazione all’incremento di attività

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Legge di Stabilità 2016 – Le proposte di Confindustria

Sostegno degli investimenti in efficienza energetica di imprese e pubbliche amministrazioni: gli obiettivi assunti dall’Italia in materia di cambiamenti climatici e di riduzione delle emissioni di CO2 possono essere favoriti da un meccanismo che promuova gli investimenti in nuove tecnologie da parte di imprese e pubbliche amministrazioni.

A tale fine Confindustria propone di specializzare il meccanismo di leva finanziaria già collaudato con la nuova Sabatini sull’adozione di tali nuovi tecnologie attraverso l’opportuno adattamento delle norme che regolano l’incentivo, sia dal punto di vista dei beni agevolabili che del meccanismo di funzionamento. In particolare per quel che riguarda l’accelerazione delle spesa finalizzata all’efficientamento energetico del patrimonio pubblico, il nuovo meccanismo dovrebbe prevedere la possibilità di accesso da parte delle ESCO, ovvero dei soggetti specializzati nella realizzazione di progetti complessi di efficientamento energetico degli edifici.

Costo della misura: da determinare

Rent to buy: le misure adottate per agevolare le formule contrattuali del “rent to buy”, quali valide modalità alternative all’acquisto immediato della proprietà, sono oggi limitate agli alloggi sociali (DL 47/2014, cd. “decreto casa”, convertito con modifiche nella legge 80/2014). Risulta quanto mai opportuno estenderne l’ambito applicativo a tutte le formule miste di locazione/vendita, quale la locazione con “patto di futura vendita vincolante per entrambe le parti”, che, al pari del “rent to buy” (che si differenzia da tale formula in virtù del fatto che, generalmente, l’utilizzatore ha solo la facoltà d’acquisto e non un vero e proprio vincolo), permettono al conduttore/futuro acquirente di entrare nel possesso dell’abitazione, pagando un canone che, al termine del periodo pattuito, si tramuta (in tutto o in parte) in conto prezzo d’acquisto dell’abitazione.

Si tratta, in altre parole, di strumenti che favoriscono, soprattutto nell’attuale congiuntura economica, l’acquisto della prima casa e, al contempo, incrementano la domanda nel mercato immobiliare con positivi effetti sul gettito erariale e sull’occupazione. Per incentivare tali formule contrattuali occorre superare l’attuale trattamento fiscale che, invece, tende ad ostacolarne l’utilizzo, in quanto il momento impositivo (sia ai fini IVA che delle imposte sul reddito) è anticipato rispetto al momento di effettivo trasferimento della proprietà. Infatti la locazione con patto reciproco di futura vendita costituisce una cessione di beni come previsto dall’art. 2, comma 2, n. 2), del DPR 633/1972 e quindi rientra nel campo di applicazione dell’IVA. Il momento impositivo, pertanto, coincide con la data

produttiva. La relazione tecnica stima negli anni successivi al primo un costo per l’erario pari a 318 mln di euro nell’anno n+1; 580 mln di euro nell’anno n+2; e 425 mln di euro nell’anno n+3.

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di stipulazione della locazione come previsto dall’art.6, comma 1, del DPR 633/72, nonostante gli effetti traslativi si producano successivamente. Anche ai fini delle imposte sui redditi trova applicazione il medesimo principio (art.109, comma 2, lett. a, DPR 917/1986). Occorrerebbe, quindi, differire il momento impositivo all’effettivo trasferimento della proprietà dell’immobile, anche per le operazioni di “locazione con patto di futura vendita vincolante per entrambe le parti”, dove è previsto un obbligo bilaterale al trasferimento dell’abitazione (sia per l’impresa cedente che per l’utilizzatore, futuro acquirente).

Infine, poiché l’articolo 23 del DL133/14 prevede quale presupposto alla stipula del contratto di locazione il frazionamento del mutuo e la cancellazione dell’ipoteca ai sensi del D. lgs. N. 122/05, è necessario consentire che il costruttore-promotore-locatore possa, d’intesa con la banca, definire un accordo affinché il mutuo tramite accollo parziale o totale possa essere direttamente pagato dal conduttore e sia computato ai fini del pagamento del futuro prezzo di cessione.

Costo della misura: 16 mln euro

Immobili di impresa

Il rilancio degli investimenti privati non può prescindere da un alleggerimento e da una razionalizzazione del prelievo sugli immobili utilizzati nell’attività di impresa, oggi gravati dalla confusa sovrapposizione di IMU, TASI e TARI e da una tassazione in continuo aumento per far fronte alle esigenze di gettito degli enti locali.

Nel 2014 il prelievo IMU e TASI sugli immobili delle imprese industriali (inclusi nel gruppo catastale D) è stimabile tra 5,3 mld di euro a 5,5 mld di euro5.

Il trend in aumento della tassazione immobiliare è legato anche a fenomeni patologici - più volte denunciati da Confindustria - quali l’inclusione del valore dei c.d. “macchinari imbullonati” nella determinazione della rendita catastale degli immobili produttivi, che ha comportato una tassazione patrimoniale surrettizia dei macchinari di impresa6.

Gli immobili di impresa non dovrebbero essere colpiti da tassazione patrimoniale perché non sono patrimonio, ma fattori della produzione che contribuiscono alla realizzazione di redditi già assoggettati a tassazione. La doppia imposizione che ne deriva è stata solo minimamente eliminata attraverso il riconoscimento della deducibilità del 20% dell’IMU dalle imposte sui redditi.

5 Il gettito IMU nel 2014 derivante dagli immobili del gruppo D è stato pari a circa 4,844 mld di euro (di cui 3,824 mld di

euro riservati all’Erario). Con riferimento al gettito TASI ascrivibile agli immobili del gruppo D mancano dati precisi (poiché non esiste un codice tributo specifico per il versamento). Tuttavia considerato che la base imponibile IMU e TASI è la medesima, proporzionando il gettito IMU del gruppo D con l’aliquota massima applicabile ai fini TASI (per il 2014 ed il 2105 l’aliquota massima IMU e TASI non può superare l’11,4 per mille), è possibile stimare il gettito TASI nel 2014 sugli immobili del gruppo D tra 500 e 700 milioni di euro. 6 Nella rendita catastale degli immobili di impresa vengono valorizzate componenti mobiliari quali macchine e

attrezzature di lavoro che hanno vita utile breve (4, 6, 7 anni) che sono funzionali all’attività produttiva esercitata nell’immobile, ma del tutto privi del requisito di immobiliarità.

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Sarebbero, pertanto, auspicabili quantomeno i seguenti interventi:

Macchinari imbullonati: modificare la disciplina catastale (articolo 1-quinquies del DL n. 44/2005), per definire regole più chiare per la determinazione della rendita catastale degli immobili produttivi speciali appartenenti ai gruppi catastali D ed E, mediante stima diretta.

La misura sarebbe volta a specificare che sono esclusi dalla rendita catastale i macchinari, i congegni, le attrezzature e gli altri impianti funzionali allo specifico processo produttivo.

Le nuove regole dovrebbero applicarsi alle variazioni catastali successive alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, ciò al fine di non impattare sui bilanci pubblici.

Costo della misura: 0- 0,2 mld di euro7.

Deducibilità dell’IMU dalle imposte sui redditi e dall’IRAP: la limitata deducibilità dell’IMU (per il 20%) dalle sole imposte sui redditi e la sua totale indeducibilità dall’IRAP pone problemi di incostituzionalità per contrarietà al principio di capacità contributiva. Secondo tale principio, infatti, tutti i costi compresi quelli fiscali che gravano sull’impiego dei fattori produttivi e che sono necessari per la produzione del reddito o del valore aggiunto, devono essere considerati rilevanti in sede di determinazione dell’effettiva ricchezza o valore aggiunto prodotti dall’impresa.

Costo della misura relativa a tutti gli immobili utilizzati da imprese e lavoratori autonomi: circa 1,3 mld euro (1 mld IRES/IRPEF + 300 mln IRAP)8.

Costo della misura relativa ai soli immobili “D”: circa 920 mln euro (720 mln IRES/IRPEF + 200 mln IRAP).

Esenzione TASI sugli “immobili merce” invenduti dalle imprese di costruzione.

Esenzione IMU e TASI delle aree fabbricabili a disposizione delle imprese costruttrici e classificate in bilancio nell’attivo circolante.

7 Secondo prime simulazioni di impatto, è stato stimato che, nell’ipotesi in cui sia attribuita a tutti gli immobili d’impresa

una nuova rendita catastale sulla base delle regole che erano state previste nella bozza di schema di decreto sulla riforma del catasto, il costo dell’intervento potrebbe attestarsi, in via prudenziale e per eccesso, in circa 0,2 mld di euro. 8 Si tratta di una stima basata sui dati della Relazione Tecnica alla norma della Legge di Stabilità 2014 che ha

introdotto la deducibilità del 20% dell’IMU sugli immobili strumentali dal reddito di impresa e dei professionisti e che stimava una perdita di gettito per l’Erario pari a circa 274 milioni di euro. La stessa relazione tecnica indicava il costo di copertura della deducibilità dalle imposte sui redditi del 20% dell’IMU relativa ai soli immobili inclusi nel gruppo catastale D, in circa 182 milioni di euro. La simulazione effettuata nel 2013, tuttavia, non aveva ad oggetto la deducibilità dell’IMU anche ai fini IRAP. Ciò nonostante, applicando un’aliquota media IRAP del 3,9% all’IMU relativa agli immobili strumentali utilizzati dalle imprese e dai lavoratori autonomi per l’anno 2013 (pari a circa 7,2 miliardi di euro) si può stimare un costo per l’Erario per la deducibilità integrale dell’IMU ai fini IRAP pari a circa 300 milioni di euro.

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Costo delle due misure precedenti: 244,2 mln di euro (dato da esenzione IMU su aree fabbricabili pari 215,2 mln + esenzione TASI su immobili merce e aree fabbricabili pari a 29 mln di euro).

Incentivi fiscali per il recupero a fini produttivi di immobili dismessi: in seguito alla crisi è enormemente cresciuto il patrimonio immobiliare delle imprese inutilizzato stimabile in circa 100 mila capannoni non impiegati nell’attività produttiva. Al fine di favorire il riutilizzo del capitale immobiliare inutilizzato, anche in relazione agli obiettivi di riduzione del consumo del suolo, Confindustria propone un abbattimento totale dell’IMU sugli immobili industriali acquistati o affittati per uso produttivo perla fase di avviamento (ad esempio 3 anni dalla data di acquisto). In alternativa è riconosciuto al soggetto acquirente o locatario di un immobile dismesso un credito di imposta a valere sull'IRES e sull'IRAP generate sul reddito prodotto dall'impresa acquirente.

Liquidità delle imprese

È necessario superare la fragile condizione di liquidità finanziaria delle imprese, poiché per investire occorrono mezzi finanziari.

Recupero IVA crediti non riscossi: occorre rendere possibile: (i) il recupero dell’IVA già dal momento di avvio di una procedura concorsuale, senza attenderne la sua infruttuosa ultimazione; (ii) prevedere specifici criteri per il recupero dell’IVA relativa a crediti non riscossi di modesta entità; (iii) chiarire il momento a decorrere dal quale può essere emessa una nota di credito in presenza di contratti di durata che prevedono una clausola risolutiva espressa.

Costo della misura: 320 mln euro

Aumento soglia compensazioni: al fine di alleviare il problema di smobilizzo dei crediti IVA e ridurre l’aggravio finanziario cui le imprese sono soggette anche a causa dello split payment e dei meccanismi di inversione contabile introdotti con la Legge di Stabilità 2015, si propone di innalzare da 700 mila euro ad 1 mln di euro la soglia entro cui i crediti fiscali e contributivi possono essere utilizzati in compensazione nel modello F24, con altri debiti di natura tributaria.

Costo della misura: 1,3 mld euro per l’anno 2016, 407 mln euro per l’anno 2017, 268 mln euro per l’anno 2018.

Fondo di Garanzia per le PMI: è essenziale rifinanziare il Fondo, al fine di assicurare continuità a uno strumento che negli ultimi anni è stato determinante nel sostenere l’accesso al credito delle PMI: nel 2014 il Fondo

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ha garantito oltre 86 mila operazioni (con un incremento rispetto al 2013 dell'11,7%), per quasi 13 miliardi (+19,7%), mentre nel primo semestre del 2015 il Fondo ha già garantito circa 50mila operazioni, per oltre 7 miliardi registrando un forte incremento rispetto allo stesso periodo del 2014 (rispettivamente del 17,1% e del 22,8%).

In proposito, si sottolinea che i 700 milioni già stanziati per il 2016 non appaiono sufficienti - alla luce degli attuali livelli di accantonamento per i rischi e anche considerando i rientri dagli impegni in garanzia in essere - a coprire il flusso di nuovi finanziamenti garantiti che per il 2016 è stimato in circa 16 miliardi.

Inoltre, non vi sono stanziamenti per il 2017 e il 2018, ma considerate le prospettive di una lenta ripresa del credito è necessario che il Fondo prosegua la sua azione per tutto il prossimo triennio.

Il fabbisogno derivante dall’esigenza di rifinanziamento del Fondo potrebbe essere contenuto intervenendo sulle percentuali di accantonamento a fronte dei rischi.

Costo stimato della misura: 400 mln euro per il 2016 e 1,1 miliardi per ciascuno degli anni 2017 e 2018.

Nuova moratoria sui finanziamenti per progetti R&I In analogia con quanto stabilito dall’ ”Accordo per il credito 2015”, firmato a marzo scorso da Confindustria, ABI e le altre Associazioni imprenditoriali, che prevede - in continuità con le intese firmate fin dal 2009 - la sospensione per 12 mesi del pagamento della quota capitale delle rate di mutui e leasing (cosiddetta “moratoria”), si propone di rinnovare la misura già adottata nel 2012 (con l’art. 26 del DL n. 83/2012 - misure urgenti per la crescita del Paese). introducendo una nuova moratoria delle rate di finanziamento dovute dalle imprese concessionarie di agevolazioni in relazione ai finanziamenti agevolati già concessi dal Ministero dello sviluppo economico a valere sul Fondo di cui all’articolo 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46, e dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca a valere sul Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR) di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297. La sospensione determina la traslazione del piano di ammortamento per un periodo di dodici mesi. Gli interessi relativi alla rata sospesa sono corrisposti alle scadenze originarie ovvero, ove le rate risultino già scadute alla data di concessione del beneficio, entro sessanta giorni dalla predetta data, maggiorati degli interessi di mora.

Costo della misura: non vi è un costo per la finanza pubblica

2. Costo del lavoro, produttività e politiche attive del lavoro

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Riduzione del cuneo fiscale e contributivo

Eliminazione degli oneri contributivi impropri. Va completato il processo di azzeramento degli oneri impropri di malattia, che sono oneri di natura assistenziale da porre a carico della fiscalità generale e non del solo mondo produttivo. In questi anni i contributi a carico delle imprese per l’indennità di maternità e per gli assegni familiari – sono stati parzialmente alleggeriti, ma non del tutto eliminati (attualmente nel settore industria la contribuzione di maternità è dello 0,46% e per gli assegni familiari è dell’0,68%). Va completata la distinzione tra assistenza e previdenza con la completa eliminazione del residuo onere assistenziale ancora gravante sulle imprese.

Completamento degli interventi sull’IRAP. Per perfezionare l’intervento di deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile IRAP, sarebbe opportuno includere alcune tipologie di contratti che, pur non rientrando tecnicamente nella categoria del contratto a tempo indeterminato, hanno l’effetto di produrre una analoga stabilità lavorativa e, al contempo, adattarsi alla tipicità di alcuni settori (es. stagionalità nel settore del turismo e/o della trasformazione alimentare).

Costo della misura: 20 mln euro

Rafforzare il legame tra salari e produttività

Detassazione e decontribuzione dei premi aziendali di produttività. Per rafforzare il legame tra retribuzioni e produttività andrebbe prevista, in via sperimentale per tre anni dal 2016 al 2018, la decontribuzione e la contemporanea detassazione delle erogazioni previste da contratti collettivi aziendali o territoriali delle quali siano incerti la corresponsione o l’ammontare e la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di incrementi di produttivita', innovazione od efficienza organizzativa o altri elementi di competitivita' e redditivita' collegati all'andamento economico dell'impresa. Beneficiari dovrebbero essere solo i titolari di reddito da lavoro dipendente del settore privato non superiore a soglie da definire.

Ai fini della detassazione tali somme dovrebbero essere soggette a una imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari fino al 10 per cento, entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro annui lordi.

Ai fini della decontribuzione le medesime somme dovrebbero beneficiare di uno sgravio dei contributi previdenziali complessivamente dovuti dai datori di lavoro fino al 10% delle somme medesime.

Costo della misura: circa 2 miliardi per ciascuno degli anni dal 2016 al 2018

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Misure a favore delle nuove assunzioni

Abbattimento dei contributi sociali per nuovi assunti. Prorogare al 2016 anno nella misura ridotta di fino 4.000 euro annui per tre anni l’abbattimento dei contributi sociali per i nuovi assunti a tempo indeterminato, attualmente previsto per il solo 2015. La riduzione del costo del lavoro incentiva la nuova occupazione e, quindi, beneficia soprattutto i giovani.

Costo della misura: circa 800 milioni di euro il primo anno.

Rendere più chiara e certa la possibilità di utilizzare l'apprendistato a prescindere dall'età per assumere persone in disoccupazione. Il combinato disposto dei commi 4 e 7 dell'art. 47 del d. lgs. n. 81/ 2015 lascerebbe intendere che i lavoratori beneficiari di un trattamento di disoccupazione possono essere assunti con contratto di apprendistato professionalizzante, a prescindere dal limite di età, e fruire dei relativi benefici contributivi in materia di previdenza e assistenza (ma solo per un triennio e non per l'anno successivo alla prosecuzione/"stabilizzazione" del rapporto).

Andrebbe detto espressamente, magari con un inciso da inserire nel comma 4, che, appunto, i lavoratori beneficiari di un trattamento di disoccupazione possono essere assunti con contratto di apprendistato professionalizzante, a prescindere dal limite di età, fruendo dei relativi benefici contributivi in materia di previdenza e assistenza.

Rafforzare le politiche attive del lavoro

Offerta conciliativa. I recenti interventi legislativi su età di pensionamento e sugli istituti di sostegno del reddito e di sussidio dei disoccupati comportano conseguenze significative nelle procedure di gestione sindacale delle crisi e delle ristrutturazioni. Va trovato un migliore assetto per la soluzione delle crisi aziendali, al fine di massimizzare le possibilità dei lavoratori di ricollocarsi, consentire alle imprese di ristrutturarsi nei tempi necessari, evitare di disperdere risorse in casse integrazioni che in realtà rinviano i problemi, contribuendo così a una razionalizzazione della spesa per ammortizzatori ulteriore rispetto a quella stimata nel decreto attuativo del jobs Act sul riordino della cassa integrazione (circa 450 milioni per minori prestazioni a regime).

Occorre cercare soluzioni che favoriscano l'affermarsi di efficaci azioni di politica attiva.

Si deve considerare la possibilità di anticipare misure di politiche attive (per l'occupabilità) anche durante l'utilizzo degli ammortizzatori sociali straordinari (Cigs e solidarietà), introducendo un vincolo di condizionalità più forte.

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Andrebbe inoltre prevista una offerta conciliativa per tutti i licenziamenti per motivi economici e, in particolare, per i licenziamenti collettivi. Ferma restando la possibilità per le parti di utilizzare ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro potrebbe offrire al lavoratore nei termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all'articolo 2113, co. 4, c.c., un'offerta conciliativa unitamente all’offerta della sottoscrizione di un contratto di ricollocazione.

Agevolare l’accesso dei giovani al lavoro. Lo strumento dei fondi bilaterali di solidarietà, introdotto dalla legge Fornero consente di orientare le iniziative di incentivo all’esodo ai lavoratori a prescindere dall’età.

Al fine di rendere più snello e meno oneroso il ricorso a strumenti che incentivino il ricambio generazionale, appare necessario un intervento normativo che consenta direttamente alle imprese, attraverso accordi aziendali, di utilizzare uno strumento idoneo a conseguire quell’obiettivo.

In particolare, occorre:

in caso di ricorso alla solidarietà espansiva, al fine di rendere efficace lo strumento in chiave di ampliamento delle opportunità di effettuare nuove assunzioni, consentire alle imprese di integrare la contribuzione mediante versamenti volontari per evitare un danno pensionistico ai lavoratori che accedono al contratto di solidarietà;

nelle ipotesi in cui i percorsi di esodo – eventualmente comprensivi anche di periodi di disoccupazione indennizzata e di mobilità - accompagnino i lavoratori sino al raggiungimento dei requisiti per il diritto a pensione, rimuovere i vincoli attualmente esistenti all’effettuazione di nuove assunzioni.

Età flessibile di pensionamento. In questa logica occorre anche prevedere la reintroduzione dell’età flessibile di pensionamento, consentendo alle lavoratrici e ai lavoratori di poter decidere, all’interno di un range variabile, ad esempio tra i 60 e i 70 anni di età, il momento della cessazione dell’attività lavorativa. Tale possibilità dovrebbe essere disegnata in modo che nell’arco di vita del singolo pensionato l’ammontare cumulato della prestazione sia invariante rispetto all’età di pensionamento.

Welfare aziendale

Piani di welfare aziendale: al fine di incentivare la diffusione dei c.d. piani di welfare aziendale, l’aspetto assolutamente essenziale e prioritario è una ridefinizione del loro trattamento fiscale. Solo attraverso un serio aggiornamento delle disposizioni fiscali che regolano le politiche di sostegno dei lavoratori, sarà possibile potenziare la fidelizzazione delle

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risorse umane, migliorare quelle forme di sostegno al potere di acquisto erogate dai datori di lavoro sotto forma di servizi (favorendo in tal modo anche l’emersione del nero), sostenere le politiche di conciliazione lavoro-famiglia. La normativa fiscale è ormai vetusta, non tiene conto delle politiche retributive operate dalle aziende e rischia di essere penalizzante anche per i lavoratori dipendenti. In questo ambito, anche al fine di qualificare e modernizzare la contrattazione di secondo livello, sarebbe opportuno operare i seguenti interventi:

eliminare il vincolo della “volontarietà” nell’erogazione delle opere e servizi di utilità sociale erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti, al fine di consentire l’esclusione dal reddito di lavoro dipendente anche dei servizi o delle opere di welfare aziendale oggetto di contrattazione;

istituire i c.d. “voucher universali” per i servizi alla persona e alla famiglia, disciplinando l’ipotesi di erogazione, da parte del datore di lavoro, di servizi di welfare attraverso titoli di legittimazione che attribuiscano al possessore il diritto ad ottenere dei servizi specifici alla persona o alla famiglia;

aggiornare la casistica delle somme erogate o dei servizi prestati dal datore di lavoro che non concorrono alla formazione del reddito del lavoratore dipendente, al fine di tener conto delle attuali e più diffuse tipologie dei servizi di welfare aziendale erogati dalle imprese ai propri dipendenti;

rivedere le soglie di deducibilità fissate in valori assoluti e non toccate da ormai molti anni.

Sostenibilità del sistema salute italiano: occorre ripensare il sistema di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale. Il sistema, infatti, ormai da alcuni anni non risulta più essere sostenibile. Ciò è dimostrato da una serie di elementi:

tagli lineari ai settori privati operanti nella sanità, ovvero a beni e servizi, dispositivi medici, ospedalità privata, farmaceutica. Settori che, dal 2012, hanno già subito tagli per oltre 10 mld;

innalzamento, in molte Regioni, delle addizionali Irpef e Irap con conseguente penalizzazione di cittadini e imprese;

mancato pagamento dei fornitori.

Tale situazione ha fortemente penalizzato la filiera della salute, che è composta da settori che, oltre a concorrere al miglioramento delle condizioni di salute della popolazione, sono tra i comparti più dinamici e innovativi della nostra economia, capaci di contribuire alla ripresa economica del Paese.

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Altro effetto prodotto dalla mancanza di sostenibilità del sistema sanitario è la creazione di un deficit assistenziale sui cittadini. Basti pensare alle liste di attesa, alla creazione all’interno della sanità pubblica dell’intramoenia, alle profonde disparità fra territori nei livelli di servizio ed ai ticket elevati. Tutto ciò ha fortemente contribuito a rendere i principi dell’universalismo e dell’equità per lo più nominali ed esigibili solo sulla carta.

In questo scenario, occorre quindi ragionare sul lungo termine su un ridisegno complessivo del settore sanitario al fine di proseguire alla messa in efficienza del sistema sanitario pubblico mediante:

la trasformazione della natura giuridica degli enti sanitari in soggetti in soggetti sottoposti alla disciplina giuridica stabilita dal codice civile;

l’obbligo di pubblicazione e di certificazione dei bilanci di tutti gli enti del SSN;

la realizzazione di un sistema di accreditamento e di finanziamento per gli erogatori pubblici e per quelli privati basato su standard di qualità e di appropriatezza ed improntato alla pari dignità e responsabilità;

una maggiore diffusione di strumenti digitali, indispensabili per l’integrazione di dati e informazioni provenienti da fonti diverse.

Accanto alla messa in efficienza del sistema, occorre un ripensamento dei principi dell’universalismo e dell’equità. Partendo dall’art. 32 della Costituzione - che riconosce la tutela della salute quale diritto fondamentale dell’individuo e della collettività e che garantisce cure gratuite agli indigenti – andrebbe definito un nuovo principio di universalismo sostenibile e selettivo. In altri termini, nessuno deve essere escluso dalla copertura sanitaria del SSN, ma l’accesso deve essere regolato secondo modalità che tengano conto delle effettive disponibilità economiche dei cittadini/pazienti, mantenendo comunque la gratuità per quelle tipologie di cure di particolare gravità e complicazione oltre che naturalmente per gli indigenti.

La sostenibilità della spesa sanitaria passa anche attraverso una riflessione su come rendere più efficiente la spesa privata (oltre 30 miliardi di euro e sostanzialmente cash - l’83% circa della spesa privata totale).

In tal senso, nel breve termine, si potrebbe ipotizzare un rafforzamento dello sviluppo del secondo pilastro integrativo della sanità, che:

1. valorizzi i fondi chiusi di natura negoziale;

2. introduca sgravi fiscali per le imprese che, mediante la contrattazione collettiva rappresentano i principali finanziatori dei fondi e delle casse negoziali;

3. favorisca, in una seconda fase, un ampliamento della sanità integrativa a tutti i cittadini.

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Legge di Stabilità 2016 – Le proposte di Confindustria

Tale operazione permetterebbe l’emersione del sommerso e, allo stesso tempo, comporterebbe una spinta sugli erogatori ad una maggior efficienza mediante la negoziazione dei prezzi delle prestazioni sanitarie da parte dei fondi e delle casse.

3. Internazionalizzazione delle imprese

Internazionalizzazione. Il Governo nel 2015, attraverso l’azione intrapresa con il Piano Straordinario per il Made in Italy, ha stanziato risorse importanti per il sostegno di azioni promozionali innovative nei contenuti e incisive negli obiettivi.

Sono state avviate iniziative per finanziare lo sviluppo delle principali manifestazioni espositive internazionali; progetti con la grande distribuzione negli Stati Uniti; sono state realizzate missioni imprenditoriali in oltre 15 paesi che hanno visto una presenza significativa anche di imprese di piccola e media dimensione; sono stati organizzati Roadshow per l’internazionalizzazione a cui hanno partecipato oltre 5.100 imprese in 21 incontri su territorio italiano.

La recente misura a favore delle PMI, di poter beneficiare dei voucher per l’inserimento di un Temporary Export Manager, darà uno stimolo ulteriore al processo di internazionalizzazione di molte piccole imprese che potranno affacciarsi verso nuovi mercati in modo più strutturato.

Anche l’azione avviata per l’attrazione degli investimenti è sicuramente importante per far conoscere le opportunità che il nostro Paese può offrire alle imprese multinazionali, che, investendo in Italia, potranno contribuire alla crescita e all’occupazione nel nostro paese.

Tutto ciò richiede che le azioni intraprese nel 2015 possano essere sostenute in modo continuativo, e che il Piano Straordinario per il Made in Italy possa disporre nel 2016 delle stesse risorse allocate quest’anno.

Pertanto è necessario prevedere uno stanziamento aggiuntivo di 60 milioni di euro nel 2016 per permettere alle iniziative intraprese di consolidarsi e per individuare attività promozionali in paesi nuovi che possano consentire alle nostre imprese di cogliere appieno le opportunità che la globalizzazione può loro offrire.

Costo della misura: 60 mln di euro per il 2016.