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LE SFIDE DI BABELE L’educazione linguistica è l’azione che mira a far emergere la facoltà di linguaggio, cioè la capacità spontanea di acquisire non solo la lingua nativa, ma anche altre lingue nel corso della vita. La glottodidattica è una scienza teorico/pratica che trae le sue conoscenze da varie aree scientifiche. Secondo il modello di organizzazione proposto negli anni settanta da Anthony, individuiamo l’approccio e il metodo. Approccio: è la filosofia di fondo, l’idea che si ha di lingua, di cultura, di studente, di insegnante, di insegnamento ecc… fondato o infondato su delle teorie. Metodo: è la traduzione dell’approccio in procedure operative, per mezzo delle quali organizzare e realizzare le indicazioni dell’approccio stesso. Il metodo si occupa quindi di strumenti di organizzazione dell’educazione linguistica. Può essere adeguato o inadeguato, coerente o incoerente. Nel trasformare il metodo in azione, il compito degli insegnanti sarà quindi di selezionare delle tecniche didattiche adeguate al metodo e coerenti all’approccio. Parametri per descrivere approcci e metodi: Teorie di riferimento: esse rimandano a quattro ambiti essenziali: le scienze del linguaggio e della comunicazione, quelle della società e della cultura (che cosa si insegna), quelle neuropsicologiche (chi impara) e quelle dell’educazione (il come). Percorso: il movimento glottodidattica è prevalentemente deduttivo, cioè si danno delle regole e se ne dedurranno i comportamenti linguistici, o induttivo, cioè si danno dei materiali e lo studente ‘scopre’ da se i vari meccanismi di funzionamento della lingua. Studente: è una tabula rasa su cui incidere, una personalità da plasmare, oppure può essere visto come protagonista del suo apprendimento. Docente: è una fonte di informazione, un modello da seguire oppure può essere considerato come un regista, facilitatore dell’apprendimento. Lingua: è vista come un insieme di regole da usare con la massima correttezza, come uno strumento di comunicazione che deve anche essere efficace. Cultura: è quella letteraria, classica, oppure quella quotidiana, valori di fondo della civiltà. Strumenti operativi. Tecniche didattiche: la metodologia didattica è ricca di tecniche, intese come attività (risolvere problemi o elaborare temi) o come esercizi. Materiali e strumenti tecnologici: libri, audio, video, computer, internet. APPROCCI E METODI Approccio formalistico, metodo grammatico-traduttivo: tale approccio focalizza l’attenzione sulla morfologia e sintassi, con la fonologia concepita come “regole di pronuncia” e il lessico appreso con liste tematiche. Percorso: deduttivo. Studente: tabula rasa. Docente: fonte di informazioni. Tecniche didattiche: traduzioni, dettato, esercizi ecc… Materiali: manuali a stampa.

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LE SFIDE DI BABELE

L’educazione linguistica è l’azione che mira a far emergere la facoltà di linguaggio, cioè la capacità

spontanea di acquisire non solo la lingua nativa, ma anche altre lingue nel corso della vita. La

glottodidattica è una scienza teorico/pratica che trae le sue conoscenze da varie aree scientifiche. Secondo

il modello di organizzazione proposto negli anni settanta da Anthony, individuiamo l’approccio e il metodo.

Approccio: è la filosofia di fondo, l’idea che si ha di lingua, di cultura, di studente, di insegnante, di

insegnamento ecc… fondato o infondato su delle teorie.

Metodo: è la traduzione dell’approccio in procedure operative, per mezzo delle quali organizzare e

realizzare le indicazioni dell’approccio stesso. Il metodo si occupa quindi di strumenti di

organizzazione dell’educazione linguistica. Può essere adeguato o inadeguato, coerente o

incoerente.

Nel trasformare il metodo in azione, il compito degli insegnanti sarà quindi di selezionare delle tecniche

didattiche adeguate al metodo e coerenti all’approccio.

Parametri per descrivere approcci e metodi:

Teorie di riferimento: esse rimandano a quattro ambiti essenziali: le scienze del linguaggio e della

comunicazione, quelle della società e della cultura (che cosa si insegna), quelle neuropsicologiche

(chi impara) e quelle dell’educazione (il come).

Percorso: il movimento glottodidattica è prevalentemente deduttivo, cioè si danno delle regole e se

ne dedurranno i comportamenti linguistici, o induttivo, cioè si danno dei materiali e lo studente

‘scopre’ da se i vari meccanismi di funzionamento della lingua.

Studente: è una tabula rasa su cui incidere, una personalità da plasmare, oppure può essere visto

come protagonista del suo apprendimento.

Docente: è una fonte di informazione, un modello da seguire oppure può essere considerato come

un regista, facilitatore dell’apprendimento.

Lingua: è vista come un insieme di regole da usare con la massima correttezza, come uno

strumento di comunicazione che deve anche essere efficace.

Cultura: è quella letteraria, classica, oppure quella quotidiana, valori di fondo della civiltà.

Strumenti operativi.

Tecniche didattiche: la metodologia didattica è ricca di tecniche, intese come attività (risolvere

problemi o elaborare temi) o come esercizi.

Materiali e strumenti tecnologici: libri, audio, video, computer, internet.

APPROCCI E METODI

Approccio formalistico, metodo grammatico-traduttivo: tale approccio focalizza l’attenzione sulla

morfologia e sintassi, con la fonologia concepita come “regole di pronuncia” e il lessico appreso con liste

tematiche.

Percorso: deduttivo.

Studente: tabula rasa.

Docente: fonte di informazioni.

Tecniche didattiche: traduzioni, dettato, esercizi ecc…

Materiali: manuali a stampa.

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Approccio naturale, metodo Berlitz: la caratteristica di un approccio naturale, è la presenza di un docende

madrelingua, l’aumento delle capacità orali e delle abilità nel leggere e comprendere testi scritti seppur

non parola per parola.

Percorso: prevalentemente induttivo.

Studente: deve essere motivato e considerato in base all’età e alla personalità.

Docente: di madre lingua e usa pochissimo la lingua originaria degli studenti.

Tecniche didattiche: conversazioni e lezioni di carattere tematico.

Materiali: eserciziari, ma l’imput viene dato dalla conversazione.

Reading Method: è un approccio che ha una particolare filosofia che lo rende unico, esclude lo sviluppo

delle competenze orali, modifica radicalmente la figura del docente che diventa un facilitatore dello scarso

ruolo formativo, fungendo, durante le lezioni, da dizionario vivente.

Percorso: induttivo.

Studente: autonomo.

Docente: facilitatore.

Materiali: materiali graduati all’inizio, ma poi letture da manuali autentici.

Rivoluzione Copernicana degli anni sessanta: il mondo dopo la prima guerra mondiale vede nascere la

supremazia americana nella politica, nell’economia, nei mezzi di comunicazione di massa e in campo

militare. Questi eventi portarono a fare dell’inglese la lingua della globalizzazione, quindi l’insegnamento

delle lingue straniere si divise in due parti: insegnamento dell’inglese e insegnamento di lingua “altre”. Gli

stati uniti mettono quindi subito in azione quattro risorse:

a. Una psicologia dell’apprendimento, behaviorismo o comportamentismo, secondo la quale

l’apprendimento è il risultato di una serie intensiva e ripetitiva di stimoli e risposte (Skinner) seguite

da conferma e correzione.

b. Una teoria linguistica (quella di Bloomfield) detta ‘tassonomica’, in quanto tende ad una analisi

delle componenti minime della lingua, che quindi si adatta perfettamente ad essere inserita, in

microstrutture, nelle sequenze stimolo/risposta di Skinner.

c. Una notevole quantità di immigrati capaci di inserire campioni di lingua autentica.

d. Una risorsa tecnologica che viene impiegata in maniera innovativa, il giradischi, dove spezzoni

definiti dai linguisti vengono registrati e riascoltati. Pochi anni dopo nasce l’altra macchina

tecnologica di riproduzione, il registratore, che porterò poi alla creazione dei primi laboratori

linguistici.

Approccio strutturalistico: prende il suo nome dalla microstrutture linguistiche bloomfieldiane. La sua

stagione di gloria si conclude alla fine degli anni cinquanta, per un violento attacco di Chomsky al modello

Skinneriano, dall’altro per l’evoluzione del pensiero di Lado ad opera della sociolinguistica (fondatore della

Faculty of linguages and linguistics) secondo cui le microstrutture linguistiche non hanno significato se non

in un contesto sociale perché quello è il requisito minimo della comunicazione. Gli esercizi strutturali sono

costituiti da una serie di sequenze, stimolo/risposta/conferma, presentate con ritmo incalzante al fine di

impedire una riflessione consapevole e di privilegiare la memorizzazione spontanea. Essi sono di tre tipi:

a. Sintagmatici: modificano la struttura del sintagma, (io bevo, io ho bevuto).

b. Paradigmatici: legano nella memoria un verbo ad un oggetto, ad esempio ‘io mangio una mela’.

c. Combinati: si presentano in sequenze sempre più complesse ( io mangio, mela, ieri -> Ieri ho

mangiato una mela)

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Percorso: memorizzazione “forzata”.

Studente: tabula rasa, apprende per automatizzazione.

Docente: gestore di esercizi grammaticali.

Strumenti operativi: programmazione di tipo progressivo.

Tecniche didattiche: esercizi strutturali.

Materiali: dischi, registratori, laboratorio linguistico.

Approccio Comunicativo: l’attenzione non è più incentrata su “com’è fatta la lingua” ma su “che cosa fa la

lingua”, a che cosa serve. La lingua serve per compiere atti sociali e pragmatici, serve per comunicare. Fino

al 1960, gli elementi linguistici venivano classificati in base alla loro forma e funzione linguistica, dal 1960 al

1970 invece, si afferma la possibilità di classificare gli scopi degli elementi linguistici: dire l’età, capire l’ora,

salutare, congedarsi e così via… Viene costruito dunque un progetto dalla duplice natura:

a. Creare un repertorio di funzioni comunicative con una pretesa universale (ad es. in tutte le lingua ci

si saluta) e vedere quali esponenti la realizzano (ciao/buongiorno, hi/hello). In una lingua però non

tutto ha una funzione pragmatica, vi sono anche elementi che qualificano, modificano, connettono

e allora si ricorre alla categoria delle “notion” (quantità, colore, temporalità ecc).

b. Stabilire dei livelli di competenza comunicativa omogenei tra varie lingue, il più famoso è il livello

soglia, il livello B1.

La competenza comunicativa è una realtà mentale che si realizza come esecuzione nel mondo, in eventi

comunicativi, realizzati in contesti sociali dove chi usa la lingua compie un’azione. Nella mente vi sono tre

nuclei di competenze che costituiscono il sapere della lingua:

Competenza linguistica: la capacità di comprendere e produrre enunciati ben formati dal punto di

vista fonologico, morfologico, sintattico e lessicale.

Competenza extralinguistica: la capacità di comprendere e produrre espressioni e gesti del corpo,

di valutare l’impatto comunicativo della distanza interpersonale, di usare e riconoscere il valore

comunicativo degli oggetti e del vestiario.

Competenze socio pragmatiche: competenze contestuali relative alla lingua in uso.

Le competenze mentali si traducono in azione comunicativa, nel saper fare lingua, quando vengono

utilizzate per produrre, manipolare testi (riassumere), prendere appunti ecc… questo meccanismo di messa

in atto della competenza prende il nome di padronanza.

Percorso: induttivo.

Studente: è al centro, con i suoi bisogni e interessi.

Docente: gestisce gli imput e guida lo studente come un regista.

Strumenti operativi: livelli di soglia.

Tecniche didattiche: roleplay, interazione simulata.

Materiali: dischi, registratori, skype, smartphone.

Approccio proto comunicativo, metodo situazionale: le situazioni vengono definiti sulla base delle

coordinate spazio temporale (una serata al bar), del ruolo e dei partecipanti (amici) e dei loro scopi (offrire

da bere). Il tipico manuale situazionale si basa su unità didattiche in cui lo studente si trova:

a. Immagini, titoletti e didascalie in tema.

b. I dialoghi registrati.

c. Una versione segmentata, con spazi fra una battuta e l’altra che offre agli studenti la possibilità di

ripetere una frase così da fissare intonazione e pronuncia.

d. Tradizione strutturalistica, esercizi sulla struttura, morfosintattici, fonetici e lessicali.

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e. Tradizione formalistica, esercizi formali, grammatica, coniugazioni o inserire la preposizione giusta.

f. Tradizione del Reading Method, letture di civiltà, di solito basate su notizie spesso di scarso

interesse, con qualche domanda di comprensione, la richiesta di riassumere o di scrivere una

composizione a riguardo.

Percorso: induttivo nei manuali, in realtà deduttivo.

Studente: tabula rasa, viene valorizzata la sua conoscenza del mondo.

Docente: fulcro dell’attività didattica, ma si affida ai manuali.

Strumenti operativi: programmazione di tipo progressivo.

Tecniche didattiche: ascolto, comprensione, esercizi strutturali.

Materiali: dischi, registratori, laboratori.

Approccio comunicativo, metodo nazionale-funzionale: nel momento in cui l’inglese assume il ruolo

nell’insegnamento che era stato del francese, l’insegnamento linguistico europeo si trova a disporre di:

a. Strumenti concettuali teorici: approccio comunicativo proposto attraverso le collane

glottodidattiche anche a supporto dei nuovi materiali didattici.

b. Strumenti di programmazione curricolare (A1,A2,B1,B2,C1,C2)

c. Il metodo nazionale – funzionale che offre una base metodologica.

d. Manuali didattici prodotti da editori internazionali.

e. Progetto speciale di lingua straniera che in pochi anni produce circa trecento insegnanti utilizzati

come formatori dei loro colleghi con corsi di cento ore.

Questo modern language project sconvolge l’insegnamento linguistico: da un lato l’approccio

grammaticale viene condannato e gli insegnanti vi ricorrono solo per sopperire a manuali troppo drastici

che presentano una eccessiva non presenza di grammatica, dall’altro rimangono gli esercizi strutturali. La

cultura è ridotta alla cultura quotidiana e tendono a scomparire le riflessioni sulle civiltà dei popoli di cui si

studia la lingua. La traduzione viene abbandonata, non solo nelle fasi iniziali, ma anche nei livelli più

avanzati dove invece costituisce uno straordinario strumento di riflessione linguistica e interculturale.

Percorso: prevalentemente deduttivo.

Studente: non viene valorizzata la sua conoscenza del mondo.

Docente: fulcro dell’attività didattica, ma si affida ai test per gli imput.

Strumenti operativi: le unità didattiche sono basate sulle 3P, presentation, practice, production.

Tecniche didattiche: ascolto, comprensione.

Approccio comunicativo, metodo tradizionale di Krashen: partendo dall’ipotesi di Chomsky sull’esistenza

di un Language Acquisition Device, Krashen elabora la SLAT, second language acquisition theory e in

particolare l’apposizione tra acquisizione e apprendimento. L’acquisizione è un processo che sfrutta le

strategie globali dell’emisfero destro del cervello assieme a quelle analitiche dell’emisfero sinistro. Quando

viene acquisito un termine, esso entra nella memoria a lungo termine dell’individuo. L’apprendimento è un

processo razionale governato dall’emisfero sinistro e di per sé non produce acquisizione stabile: la

competenza appresa è provvisoria. Alla base della SLAT sta l’idea che l’insegnante debba lavorare in

funzione dell’acquisizione, tale acquisizione avviene quando lo studente focalizza la sua attenzione sul

significato dell’input e non sulla sua forma. Se ad un individuo viene fornito un input reso comprensibile,

allora il language acquisition device si mette in moto e procede all’acquisizione. La prima delle condizioni

perché l’input venga acquisito è che esso sia collocato al gradino immediatamente successivo all’input

acquisito fino a quel momento, si tratta di una applicazione Krasheniana di una nozione psicologica

chiamata “Area di Sviluppo Potenziale” che sarebbe la distanza tra la parte di un compito che un individuo è

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già in grado di fare e il livello potenziale che può raggiungere nel tentativo di compiere la parte restante del

compito, da solo o sotto la supervisione di un esperto.

Percorso: fortemente induttivo.

Studente: protagonista del suo apprendere.

Docente: guida, punto di riferimento.

Lingua: strumento pragmatico di comunicazione.

Strumenti operativi: curricolo basato sull’ordine di acquisizione della lingua.

Tecniche didattiche: comprensione dei testi e interazione.

Approccio comunicativo, metodi clinici: negli anni sessanta e settanta una serie di proposte ebbero una

certa diffusione, caratterizzate da una forte componente psicologica, tant’è che qualcuno li definisce

metodi “clinici”, in quanto molte volte riprendono il modello del rapporto tra psicologo e paziente nella

psicoterapia: l’insegnante infatti parla poco, incoraggia lo studente con sorrisi, lo corregge tenendo una

mano protettiva sulla sua spalla, e così via. I quattro metodi sono:

a. Total Physical Response: proposto da Asher, dove l’insegnante da ordini e indicazioni sempre più

complessi finché induce gli studenti a usare spontaneamente la lingua per eseguire un ordine.

Metodo molto usato nella scuola primaria e nell’insegnamento dell’italiano agli emmigrati.

b. Community Language Learning: proposto da Curran che ha trasposto direttamente in didattica i

modelli della seduto psicoterapeutica dove l’insegnante è un consigliere che resta fuori dal lavoro

di apprendimento e cerca di individuare il ritmo e lo stile di apprendimento dello studente.

L’affettività diventa la componente più rilevante, anche se poi le tecniche rimandano all’approccio

formalistico.

c. Silent Way: proposto da Gattegno, l’insegnante dà un modello, poi tace, e gli studenti lo ripetono e

lo riutilizzano in situazioni differenti.

d. Suggestopedia: nasce in Bulgaria, a opera di Lozanov. E’ il metodo clinico per eccellenza simile ad

una seduta di psicoterapia di gruppo, con musica barocca di sottofondo che facilita

l’apprendimento e i testi vanno ripresi prima di dormire e appena alzati.

Per quanto bizzarri, questi approcci si sono rivelati abbastanza efficaci e hanno, soprattutto, offerto

preziose indicazioni sul ruolo dell’affettività.

Percorso: fortemente induttivo.

Studente: fulcro emotivo del processo.

Docente: fulcro guida, punto di riferimento, psicoterapeuta.

Strumenti operativi: testi graduati secondo le difficoltà.

Lingua: strumento pragmatico di comunicazione.

La Glottodidattica Umanistica: negli anni settanta e ottanta, la situazione psicologica viene considerata

sempre più importante in glottodidattica. I testi canonici della psicologia umanistica sono Toward a Theory

of Istruction di Bruner e Freedom to Learn di Rogers. La filosofia di fondo a questa corrente psicologica

stigmatizza la tradizione logica, razionale e intellettuale dell’insegnamento a scapito della dimensione

emozionale della persona che apprende. Il contributo della psicologia umanistica sta nell’aver ricordato

all’insegnamento che:

a. La dimensione emozionale non è solo una componente essenziale ma diventa spesso prevalente,

soprattutto nei bambini e negli adolescenti. L’atteggiamento verso una lingua può dipendere dal

rapporto con l’insegnante, con i compagni o addirittura dal layout grafico del manuale.

b. Il cervello umano è diviso in due emisferi in continua interazione. Non si potrà dunque insegnare ad

uno studente tenendo conto solo della sua razionalità e non, ad esempio, della sua sfera emotiva.

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c. La mente umana funziona secondo sue procedure, che vanno rispettate per ottenere un buon

risultato.

d. Per essere interiorizzato, l’apprendimento deve essere “significativo” portando a chi imparare a

rendersi conto dell’effettiva necessità di apprendere una determinata materia (una motivazione).

e. L’idea che la conoscenza venga costruita dallo studente nella sua mente e che tale costruzione sia

più rapida, complessa e solida se avviene attraverso il lavoro in gruppo sotto la guida

dell’insegnante (approcci e metodologie a mediazione sociale).

E’ vero che in gruppo si sbaglia di più e gli errori non vengono corretti, ma secondo la Rule of Forgetting di

Krashen, si impara meglio una lingua quando si dimentica che si sta usando la lingua.

La linguistica acquisizionale e l’interlingua: la linguistica acquisizionale studia una realtà chiamata

“interlingua”, cioè la lingua usata da una persona che sta apprendendo una lingua. E’ una parte della

piramide della quale non si può acquisire una sezione centrale ma si deve per forza partire da zero,

costruendo la propria competenza secondo sequenze d’acquisizione dette “implicazionali” perché ciascun

elemento implica la presenza di altri elementi già acquisiti (secondo la logica della “zona di sviluppo

prossimale” di Krashen). La nozione fondamentale, secondo Selinker (il creatore del termine “interlingua”)

è che l’interlingua è un sistema a sé, non strutturato a caso, prodotto dall’input dell’insegnante nella lingua

straniera o nell’ambiente dell’acquisizione spontanea (ad esempio gli immigrati che apprendono una lingua

vivendo il quotidiano). E’ un sistema che ha le sue basi nella grammatica universale, oltre che nella lingua

materna. L’interlingua non è quindi una competenza “sbagliata”, è una competenza ridotta, ha una sua

struttura e i suoi meccanismi sufficienti a comunicare, per quanto con mezzi ridotti che producono “errori”,

che si verificano perché la grammatica mentale dello studente, non ne prevede la esecuzione corretta che

invece arriverà una volta raggiunto un livello adeguato. L’acquisizione di una lingua straniera segue percorsi

e meccanismi simili a quelli dell’apprendimento della lingua materna, secondo gli studiosi di matrice

Chomskyniana. Ma l’apprendimento della lingua materna è spontanea, mentre quello della lingua straniera

è consapevole e questo porta ad esempio a confrontare la lingua che stanno apprendendo con quella già

acquisita, generando spesso errori di interferenza che possono, però, essere corretti con l’aiuto

dell’insegnante. Accanto all’ordine naturale di acquisizione, c’è una variabile cognitiva, studiata dalla Teoria

della Processabilità di Pienemann, secondo la quale la mente è predisposta dapprima ad imparare le cose

che richiedono meno sforzo cognitivo, quindi ciò che è più facile da osservare nell’input. L’insegnante puà

migliorare la propria qualità studiando la dimensione acquisizionale della lingua che insegna, cercando di

applicare il parametro “giusti/sbagliato” in relazione all’interlingua che si suppone il suo allievo possieda o

dovrebbe possedere in un determinato momento e chiedendosi, di fronte a incapacità o rallentamento di

acquisire qualcosa, se quel qualcosa sia processabile, cioè se quel qualcosa spinga la mente ad acquisire o

se invece lo studente non ne abbia ancora individuato l’importanza e la “facilità” da non permettergli

l’acquisizione.

Portfolio europeo delle lingue: da degli indicatori adottati dai cinquantuno paesi del consiglio d’europa (e

non solo) per indicare la competenza comunicativa di una persona secondo i sei livelli che vanno da A1 a

C2, in cui il livello B1 corrisponde al livello soglia.

Quadro comune europeo: mentre i livelli soglia erano strumenti per autori di materiali didattici e per gli

insegnanti, il Quadro è un testo politico e ribadisce che il problema della conoscenza delle lingue

comunitarie non riguarda solo la scuola ma tutti, dai ministri ai genitori, e che la società della conoscenza si

costruisce non solo sapendo una lingua franca, l’inglese, ma conoscendo altre lingue comunitarie, anche se

a livelli diversificati, dall’intercomprensione alla piena padronanza.

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CERTEZZE CRESCENTI

a. Clil: la metodologia “content and language integrated learning”. Si tratta dell’uso veicolare di una

lingua straniera per insegnare un’altra disciplina, è una metodologia sostenuta dal consiglio

d’Europa (matematica in inglese).

b. Intercomprensione tra lingue vicine: appare come una ‘certezza crescente’ anche se è ancora rara

nelle scuole e nelle università. Il principio è molto semplice: un italiano e uno spagnolo che parlano

la propria lingua fra loro lentamente, potranno capire a grandi linee cosa l’uno voglia dire all’altro

anche se non perfettamente. Insegnare l’intercomprensione: sulla base di questa esperienza si

sono realizzati corsi per migliorare la qualità dell’intercomprensione, a livello di strategie cognitive

(ad esempio far capire che “comprendere” non significa capire ogni singola parola), evidenziando

alcuni elementi linguistici che possono avere una funzione chiave (ad es. il pas francese indica la

negazione) o con alcune riflessioni di storia delle lingue.

c. La tendenza ad una Glottodidattica d’Arlecchino: l’esperienza scolastica personale degli insegnanti

risale in media a un quarto di secolo prima, ed è avvenuta con insegnanti formati dal progetto

speciale lingue straniere del 1980 circa. Quindi gli insegnanti possiedono valori, metodologie e

procedure che è difficile abbandonare affiancandosi al “nuovo”. Gli editori sono ben consapevoli di

questo atteggiamento psicologico e sanno che gli insegnanti sono convinti che non tutto il

“vecchio” sia da buttare visto che loro la lingua l’hanno imparata anche con quei metodi:

producono quindi dei manuali che sembrano vestiti da Arlecchino, che aggiunge al suo vestito le

pezze multicolori costituite delle convinzioni medo logiche personali dell’insegnante. Lo scopo di

questo manuale è anche quello di contribuire a ridurre il ruolo di Arlecchino attraverso la creazione

di un insegnante consapevole della natura di una glottodidattica “o tutto o niente”.

IL PARADIGMA DELLA COMPLESSITA’

Una società complessa richiede un pensiero complesso. In questa società le lingue sono uno strumento

essenziale. La glottodidattica che ne deriva deve essere fondata quindi sui processi di comprensione,

produzione e interazione e deve fornire strumenti per un lifelong language learning che è la chiave di volta

perché ogni persona possa realizzare al meglio il progetto di sé, la sua intenzione di vita. Per questa ragione

deve essere una glottodidattica fortemente transdisciplinare: è un’entità autonoma rispetto a tutte le aree

da cui trae conoscenze e che trasforma queste conoscenze in un sistema compatto, coerente avendo come

scopo la formazione di persone che padroneggiano in vari modi e livelli lingua non native per vivere al

meglio la loro chance di vita.

UNA GLOTTODIDATTICA TRANSDISCIPLINARE

Per poter agire e vivere in una società complessa serva una glottodidattica complessa che porta dal

presupposto che le persone con cui opera:

a. Devono usare la lingua per comunicare, per cui ci sarà una componente di scienze del linguaggio e

della comunicazione.

b. Devono comunicare all’interno di culture oppure tra culture, per cui ci sarà una componente

antropologica e sociologica.

c. Vogliono fare entrare una lingua non nativa nella loro mente, per cui ci sarà una componente

neuro-psicolinguistica.

d. Apprendono perlopiù in ambienti finalizzati alla formazione (scuole, università) e quindi in

situazioni di educazione formale.

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SCIENZE HARD E SOFT

Scienze Hard: sono scienze che portano a conoscerne certe altre, come la fisica, la chimica, la matematica,

anche la linguistica acquisizionale, neuroscienze e le scienze cognitive.

Scienze Soft: la maggioranza di quelle scienze che corrono alla conoscenza glottodidattica. Moles le

definisce scienze dell’impreciso, che vanno dalla psicologia all’antropologia alle scienze dell’educazione.

Una scienza che studia l’educazione linguistica in generale è chiaramente una scienza umana. Lo studioso e

l’insegnante devono munirsi di strumenti di riferimento, ovvero di strutture concettuali che potenzialmente

sono ere sempre e che quindi offrono un appoggio hard anche in situazioni dove regna l’imprecisione.

ETICA E INSEGNAMENTO/APPRENDIMENTO LINGUISTICO

La riflessione etica coinvolge varie figure impegnate nell’insegnamento linguistico.

a. L’etica dello studioso che scrive un manuale: lo studioso predispone di materiali per la formazione

dei docenti. Deve saper discutere non con dei colleghi, ma con degli studenti o con docenti che

vogliono perfezionarsi: il loro linguaggio deve essere, dunque, chiaro e semplice, perché lo scopo e

formare chi non sa, non pavoneggiarsi a scapito della comprensione. E’ un dovere etico.

b. L’etica del progettista di manuali finalizzati all’insegnamento della lingua straniera: chi progetta

un corso deve porsi il problema delle finalità ultime del suo corso, non solo degli obiettivi

strumentali (es. saper dire il proprio nome, chiedere la strada…)

c. L’etica del progettista di manuali in ordine agli obiettivi e ai contenuti dell’insegnamento della

lingua straniera: l’obiettivo è lo sviluppo e il perfezionamento della competenza comunicativa in

una lingua straniera. Il modello dice che la realizzazione della comunicazione avviene all’interno di

eventi comunicativi.

d. L’etica dell’insegnante di lingua come educatrice: la funzione educatrice del docente viene

studiata e formata dalle scienze dell’educazione. L’insegnante sente come dovere etico la necessità

di provvedere a colmare le mancanze integrando curricolo e materiali. Un aspetto particolare in cui

le responsabilità di insegnante e studente si intersecano è quello della facilitazione. L’atto di

facilitare infatti può essere svolto in maniera da: 19 rafforzare lo studente, cioè da renderlo più

efficiente nell’apprendimento attraverso la scelta di sollevarlo da alcune difficoltà, evitando

eventuali blocchi. 2) viziare lo studente, dandogli l’illusione che imparare non richieda impegno. 3)

illudere lo studente di stare imparando o dargli l’illusione che quella che sta imparando è la lingua

autentica e non una versione facilitata.

LO STUDENTE

Il cervello: la neurolinguistica, che descrive il funzionamento del cervello, e la psicolinguistica, che studia il

funzionamento del language acquisition device, ci indicano come correnti glottodidattiche, come il

Neurolinguistic Programming, siano i modelli canonici di didattica.

La neurologia descrive il fenomeno della lateralizzazione, cioè il fatto che i due emisferi del cervello

lavorano in maniera differente, specializzata.

La psicologia descrive la natura di tale specializzazione, cioè:

Emisfero sinistro: compiti di natura analitica, sequenziale, logica.

Emisfero destro: compiti di natura globalistica, simultanea, analogica.

La psicologia studia anche i meccanismi della memoria, cioè del collocamento di nozioni nel cervello e del

loro successivo recupero, quando esse sono necessarie.

La neurolinguistica individua nell’emisfero sinistro le due aree in cui avviene l’elaborazione del linguaggio e

si arricchisce delle ricerche neuro semiotiche, che indicano come i diversi tipi di messaggio vengono

elaborati in realtà attraverso una sequenza di operazioni interrelate tra i due emisferi. Marrel Danesi ha

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studiato questi fenomeni traendone le implicazioni glottodidattiche che sono contenute in due termini

fondamentali: bi modalità e direzionalità.

Bimodalità: il termine suggerisce che entrambe le modalità del cervello sono coinvolte nella comunicazione

linguistica e esse devono essere integrate affinché l’intera mente dell’allievo venga coinvolta nel processo

di acquisizione linguistica.

Direzionalità: il principio della direzionalità stabilisce che l’uso bimodale del cervello avviene secondo una

direzione ben precisa: dell’emisfero destro a quello sinistro. Quindi, durante le prime fasi si motiva

all’acquisizione coinvolgendo in maniera bimodale la dimensione affettiva (piacere di comunicare in

un’altra lingua: modalità destra) e quella logica (bisogni linguistici o professionali: modalità sinistra). Poi si

presenta del materiale contestualizzato, sensoriale (modalità destra) per passare a formalizzare l’analisi con

tecniche associate alla modalità sinistra (esercizi, la riflessione sulla lingua ecc…).

LAD e LASS: lo studente di una lingua straniera non è una tabula rasa su cui incidere, non è un vaso vuoto

da riempire di lessico, morfosintassi ecc… lo studente è un soggetto attivo, predisposto all’acquisizione

linguistica che va supportato, guidato, facilitato e reso più efficiente nei tempi di acquisizione.

Language acquisition device (LAD): è un dispositivo di acquisizione della lingua, un ipotetico meccanismo

del cervello che Noam Chomsky postula per spiegare l'acquisizione umana della struttura sintattica del

linguaggio. Questo meccanismo conferisce ai bambini la capacità di ricavare la struttura sintattica e le

regole della loro lingua nativa rapidamente e con precisione da input impoverito fornito da utenti di lingua

per adulti.

Language Acquisition Support System (LASS): ipotizzato da Bruner, il quale ritiene che il LAD sia

insufficiente a spiegare l’acquisizione se non si considera anche il LASS, costituito dall’aiuto che il bambino

riceve dagli adulti e anche da altri bambini più grandi. Nell’insegnamento linguistico il principale ruolo del

docente sarebbe quello di gestire il LASS costituito dalla sua azione didattica e dall’uso che fa egli dei

materiali didattici.

Il processo di acquisizione si divide in cinque fasi:

a. Osservazione dell’input linguistico – comunicativo che ci circonda individuando correlazioni

concrete (il bambino piange e dice acqua -> viene dissetato) e formali (il bambino rileva la

correlazioni tra io e desinenze verbali).

b. Creazioni di ipotesi sul funzionamento di quel dato meccanismo (i bambini ipotizano che le

desinenze verbali in –o indichino la prima persona singolare, quindi generano “io ando” oppure al

posti di went, goed).

c. Verifica dell’ipotesi attraverso la conferma o la correzione da parte degli adulti o dall’insegnante.

d. Fissazione attraverso attività di ripetizione. Nell’insegnamento delle lingue questa fase è condotta

attraverso attività di natura comportamentistica e per mezzo di giochi.

e. Riflessione, guidata dall’adulto in rare occasioni nell’acquisizione pre-scolare e poi dagli insegnanti

in maniera via via più esplicita e complessa.

Va ricordata la teoria di Krashen, secondo il quale l’acquisizione richiede una situazione in cui non ci sia

paura, ansia da prestazione, cioè un filtro affettivo, altrimenti la memorizzazione risulta temporanea e non

stabile.

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LA ATTITUDINE ALLA LINGUA

Skehan afferma che l’attitudine alla lingua è un talento specifico per l’apprendimento linguistico,

indipendentemente dalla capacità in altri campi e piuttosto stabile nel suo operare, cioè è relativamente

non insegnabile. Probabilmente è vero, ma è comunque migliorabile. In una classe potrebbero esserci degli

studenti “analitici”, che hanno un attitudine verso la riflessione sulla lingua e vogliono comprendere tutto,

e gli studenti “olistici” che hanno un’attitudine maggiore all’uso della lingua anche segnato da imperfezioni

grammaticali o se la comprensione ha delle lacune. Queste due voci non sono componenti dell’attitudine

ma lo diventano in quanto l’insegnamento o i materiali possono privilegiare un tipo rispetto all’altro. Quindi

le azioni didattiche dovrebbero essere equamente distribuite.

Possibili azioni di attitudine:

Le intelligenze multiple: uno dei capisaldi della glottodidattica è la teoria delle intelligenze multiple di

Gardner, psicologo di Harvard, che individua sette tipi di intelligenza, presenti in ogni persona ma in

combinazioni e dominanze diverse.

a. Intelligenza linguistica: è la capacità di cogliere sfumature di significato, di scegliere le parole

opportune; è la abilità di usare la lingua per esprimere emozioni e pensieri e per capire le altre

persone. Attività che la sfruttano meglio: dibattiti, discussioni e lettura – traduzione dei testi

letterari.

b. Intelligenza logico – matematica: elabora il pensiero analitico e complesso. A questo tipo di

intelligenza è legata una forte attitudine all’apprendimento linguistico. Attività che la sfruttano

meglio: attività di “incastro”, attività di analisi e giochi grammaticali.

c. Intelligenza spaziale: riguarda l’abilità di ricostruire o modificare mentalmente la disposizione degli

oggetti nello spazio: utilissima per la memorizzazione del lessico legato ad ambienti (la stazione, il

bagno ecc..) Viene sfruttata al meglio nei dizionari illustrati.

d. Intelligenza musicale: sono sostenute da questa intelligenza le attività di memorizzazione

linguistica condotte con canzoni o filastrocche.

e. Intelligenza intra- e interpersonale: la prima si realizza nella capacità di autoanalisi, quindi nella

scoperta dei propri punti forti e di quelli critici; la seconda porta a sapersi mettere facilmente nei

panni altrui, quindi ad aiutare nella comunicazione l’interlocutore in difficoltà.

Ci sono poi altri tipi di intelligenza (corporea, naturalistica, esistenziale) che non hanno però nessun suolo

nella acquisizione linguistica in più rispetto all’apprendimento in generale. L’intelligenza linguistica secondo

Gardner, riguarda l’uso sociale e relazionale della lingua, mentre l’intelligenza logico – matematica gestisce

l’aspetto formale, grammaticale.

STILI COGNITIVI E D’APPRENDIMENTO

E’ importante non confondere i tipi di intelligenza con gli stili di apprendimento, che riguardano il modo di

affrontare un compito in maniera globale invece che riflessiva, ad esempio, e con i tratti della personalità

dell’allievo.

Stile cognitivo: riguarda i processi di acquisizione di nuove informazioni.

Stile d’apprendimento: riguarda i processi di accomodamento delle informazioni nella nostra mente.

Tra gli stili individuali ricordiamo:

a. Stile analitico/globale: uno studente può avere uno stile d’apprendimento sistematico e riflessivo

oppure induttivo. La tendenza di ciascuno è quello di seguire il proprio stile rifiutando le attività che

privilegiano uno stile diverso dal proprio.

b. Stile ideativo/esecutivo: lo studente ideativo si appoggia alla teoria, lavora sull’idea dei possibili

percorsi mentali per giungere a possedere e ad analizzare la lingua, mentre lo studente esecutivo

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ha bisogno di imparare dagli errori dai quali non si lascia scoraggiare. Spesso però lo studente

esecutivo ha difficoltà metalinguistiche (cioè di comprensioni dei discorsi grammaticali) in quanto

punta più all’efficacia pragmatica che alla coerenza formale della sua idea d’apprendimento.

c. In/tolleranza per l’ambiguità: ci sono alcuni studenti che tendono ad accontentarsi di una

comprensione o di una produzione globale senza sentirsi a disagio dinanzi a dettagli ambigui,

imprecisi; altri sono a disagio di fronte a queste ambiguità.

d. In/dipendenza dal campo: è la capacità di non lasciarsi distrarre o guidare da stimoli irrilevanti solo

perché compaiono in quel punto del testo.

e. Capacità/difficoltà di prevedere i contenuti del testo sulla base del contesto: è la grammatica

dell’anticipazione. Essere “forti” in questo campo significa prevedere ciò che verrà detto,

sfruttando sia la conoscenza del mondo, sia il complesso di informazioni data dal contesto e dal

resto del testo. Lavorare su frasi staccate, estrapolate dal contesto, facilita chi è debole nella

capacità di prevedere.

f. Tendenza/difficoltà ad apprendere dai propri errori: questa caratteristica dello studente ha una

componente personale (ottimismo/pessimismo) ma anche un’origine scolastica che rimanda

all’aver avuto insegnanti che consideravano l’errore un orrore da punire oppure insegnanti che

studiavano l’errore assieme allo studente.

g. Autonomia/dipendenza nei processi di studio: nella prospettiva di un apprendimento linguistico

che dura tutta la vita, creare l’autonomia nell’apprendimento è una finalità importante.

TRATTI DELLA PERSONALITA’

Con questa espressione si intendono quelle caratteristiche personali che comunemente chiamiamo

“carattere”. Sono tratti non legati molto all’attività di apprendimento, ma che comunque intervengono nel

disegnare il profilo dello studente.

a. Cooperazione/competizione: ci sono studenti che mirano ad emergere e studenti che mirano ad

integrarsi, a giocare di squadra. In un’attività sociale, come l’apprendimento linguistico, il

competitivo rischia di venire escluso a poco a poco.

b. Introversione/estroversione: ha un ruolo essenziale nel facilitare o complicare tutte le attività in

cui si deve parlare in lingua straniera con i compagni o con l’insegnante.

c. Ottimismo/pessimismo: hanno un’applicazione immediata nel processo di apprendimento di una

lingua straniera, dove pensare “non ce la farò mai” o “ce la posso fare” cambia molto

l’atteggiamento globale.

LA STRUTTURA DELLA MEMORIA

Le informazioni vengono elaborate dalla memoria di lavoro, che ha una persistenza molto limitata, sia nel

tempo (un paio di secondi) sia nella quantità (circa sette elementi). Da questo deriva la necessità di

organizzare l’input in frammenti che contano come unità di significato e non come numero di singole

parole. Quanto elaborato dalla memoria di lavoro passa alla memoria a breve termine, che elabora la

struttura di superficie. Ma la memoria a breve termine ha due problemi, cioè: dimentica facilmente e

accomoda le nuove informazioni sulla base di quelle già possedute creando così interferenze. Il terzo livello

è costituito dalla memoria a lungo termine, che include sia la nostra conoscenza del mondo sia la memoria

semantica, che interpreta e memorizza la lingua.

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IL FUNZIONAMENTO DELLA MEMORIA

Aristotele teorizzava il meccanismo di memoria che oggi chiamiamo “associazionismo”: si ricorda per

somiglianza o per contrasto. Le associazioni possono essere utili, ma solo se le crea lo studente: il ricordare

prevede un ruolo attivo che richiede un obiettivo, una strategia per raggiungerlo. Si immette in memoria

ciò che si vuole immettere in memoria, per cui ci sono vari modelli che indicano che:

a. A una maggiore riflessione corrisponde una maggiore memorizzazione.

b. La codifica profonda è a un livello semantico più che sintattico, lessicale piuttosto che

grammaticale, ma il testo ha significato solo se considerato all’interno di un testo o di un contesto.

c. L’immagine visiva è meno efficace di quella sonora: si ricorda il 10% del visto, il 20% dell’ascoltato e

il 50% del visto e ascoltato.

Altrettanto complesso è il processo di recupero del lessico della mente; si ipotizza che il lessico sia

organizzato in una serie di reti semantiche, di schemi e di copioni comportamentali che consentono di

prevedere ciò che può essere detto in quel contesto.

IL FILTRO AFFETTIVO

Quella del filtro è una metafora psicodidattica che serve a capire la realtà scientifica dal quale dipende la

memorizzazione. Nelle situazioni di piacevole sfida l’organismo rilascia neurotrasmettitori (come la

noradrenalina) fondamentali per assimilare e poi ricordare l’input recepito. In caso di stress negativo, di

ansia, di paura di non riuscire, invece, l’organismo rilascia uno steroide che lo prepara a fronteggiare il

pericolo: l’amigdala, una ghiandola posta al centro del cervello rileva il pericolo e richiede lo steroide, ma

allo stesso tempo, l’ippocampo comprende che un testo non è un pericolo reale e quindi cerca di bloccare

lo steroide e per fare ciò smette di occuparsi di indirizzare le nuove informazioni o di recuperare quelle

esistenti nella memoria a lungo termine. Ne consegue che le attività didattiche stressanti non si traducono

in acquisizione e che questa “lotta ghiandolare” rallenta l’attività dell’area neo-frontale del cervello, che

ospita la memoria di lavoro e lo studente va definitivamente in “tilt” giungendo alla scena muta. La

glottodidattica quindi, non può ignorare l’intelligenza emotiva dello studente.

LA MOTIVAZIONE

Acquisire è uno sforzo: la mente deve accomodare in memoria le nuove informazioni e acquisirle. Ciò

comporta anche un ridisegno delle sinapsi, cioè dei collegamenti chimico-elettrici tra i neuroni del cervello.

L’energia per fare questo è costituita dalla motivazione. Ci baseremo quindi su due modelli:

Modello Egodinamico: secondo Titone, uno dei padri della glottodidattica, ogni persona, cioè il suo ego, ha

un progetto di sé più o meno esplicito. Se questo progetto richiede la conoscenza di una lingua, la persona

individua una strategia (si scrive ad un corso e compra un CD in edicola). A questo punto, subentra il

momento tattico, quello del contatto reale col suddetto corso, ad esempio. Se si ottengono risultati non

troppo distanti da quelli sperati senza troppi sforzi, si rinforza la strategia e questo invia una reazione

positiva all’ego e quindi continua a motivare il lavoro. Nel caso la reazione fosse negativa, il filtro affettivo si

inserisce e il progetto di apprendere una lingua cade. E’ il risultato che induce lo studente a ritenersi

soddisfatto della sua scelta di studiare la lingua. Secondo il modello egodinamico, non c’è possibilità di

motivare uno studente adolescente a studiare una lingua se nei suoi progetti di vita non c’è un contatto

sistematico con la lingua stessa.

Modello Tripolare: questo modello individua le tre cause che governano l’agire umano:

Dovere: regna sovrano nelle situazioni didattiche tradizionali. Questa motivazione non porta

all’acquisizione perché inserisce un filtro affettivo che fa restare le informazioni apprese nella memoria a

medio termine. Tuttavia è possibile che il dovere si trasformi in “senso del dovere”, per cui si produce

comunque una motivazione.

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Bisogno: è una motivazione legata primariamente all’emisfero sinistro del cervello, quello razionale e

consapevole, ed è una motivazione che funziona ma presenta due limiti: 1) è necessario che il bisogno sia

percepito. 2) funziona fin quando lo studente realizza di aver soddisfatto il suo bisogno, punto che si colloca

di solito ben al di sotto del livello soglia.

Piacere: motivazione legata all’emisfero destro ma può anche coinvolgere l’emisfero sinistro, diventando

cosi potentissima. Ci possono essere anche emozioni piacevoli legate alla tattica quotidiana:

a. Il piacere della varietà: il corso, il materiale, il modo di guidare la comprensione, il modo di

chiedere produzione linguistica devono essere vari. Fare ogni giorno gli stessi esercizi e le stesse

attività toglie piacere e da noia.

b. Il piacere della novità: Schumann lo pone come fattore importante nella valutazione dell’input da

parte di una mente.

c. Il piacere della sfida: a tutti piace mettersi alla prova e lo si può fare anche con prove di lingua

(puzzle, incastri o dettati).

d. Il piacere della sistematizzazione: capire come funzione il mondo o un meccanismo è un piacere

molto forte, tale da coinvolgere anche l’emisfero sinistro. Far scoprire la grammatica anziché

insegnarla con schemi già fatti è un modo per fornire questo piacere.

e. Il piacere di rispondere al senso del dovere: porta alla disponibilità ad impegnarsi anche in attività

che di per sé non danno piacere.

Secondo gli studi di Shumann, il cervello coglie gli stimoli (quelli che Krashen chiama Input) e procede ad

una valutazione in base alla quale decide se accettare l’input e acquisire tale nuova informazione. Il cervello

selezione ciò che vuole selezionare sulla base di cinque motivazioni:

1. Novità.

2. Attrattiva: dovuta alla piacevolezza dello stimolo.

3. Funzionalità: nel rispondere al bisogno che lo studente percepisce.

4. Realizzabilità: un compito possibile, abbordabile, viene percepito come motivante e innesca il LAD,

mentre un compito ritenuto troppo arduo chiude la mente.

5. Sicurezza psicologica e sociale: ciò che si deve imparare e la risposta che si deve dare allo stimolo

non mettono a rischio l’autostima e l’immagine sociale.

LO STUDENTE BAMBINO

Ai bambini non si insegna una lingua straniera, ma li si guida nella scoperta del fenomeno linguistico

attraverso il contatto con varie lingue. Bisogna far capire loro che:

a. La lingua materna è solo una tra le tante lingue possibili.

b. Le lingue straniere si possono imparare.

c. Imparare può essere un gioco.

Secondo il trattato di Maastricht non basta equilibrare i fondamentali parametri economici, ma è anche

necessario promuovere l’intercomprensione tra i cittadini dell’UE, per cui a ciascuno di essi dovrebbe

essere garantita la conoscenza di due lingua europee. Il progetto politico di fondo può essere sintetizzato

nel passaggio da bilinguismo a bilinguità:

Bilinguismo: dato sociale.

Bilinguità: condizione personale, descrive coloro che sono riusciti a sviluppare una personalità bilingue.

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Il periodo critico: come nota Danesi, la presenza di due lingua nel cervello porta ad un arricchimento

cerebrale. Secondo l’ipotesi dei periodi critici, studiata da Lenneberg, durante i primi anni di vita il

meccanismo di acquisizione linguistica sarebbe al suo massimo e decadrebbe alla soglia della pubertà. Altri

studi hanno precisato che non proprio decade ma piuttosto decade la capacità di una perfetta acquisizione

fonetica. Tale periodo in realtà è articolato in:

a. Periodo critico: in cui è potenzialmente possibile acquisire una o più lingue raggiungendo una

competenza anche pari a quella di una madrelingua.

b. Periodo sensibile: tra gli 8 e i 22 anni la persona ha ancora forti potenzialità neurologiche che le

consentono di sviluppare una buona competenza linguistica, ma la sua performance non passa più

per quella di un madrelingua.

Principio di interdipendenza linguistica: questo principio proposto da Cummins, afferma che lo studio di

una lingua si riflette positivamente sull’intero repertorio linguistico della persona. Ricorre alla memoria

dell’iceberg… ciò che compare “in superficie” nella comunicazione linguistica è solo una parte del processo

di concettualizzazione e verbalizzazione che avviene nella mente. La capacità di elaborare una lingua (la

parte sommersa dell’iceberg) cresce quando studiamo una lingua straniera.

L’insegnamento ai bambini: i capisaldi didattici per la glottodidattica precoce sono:

a. Integrazione tra la lingua straniera e il resto del curricolo, che si realizza sul piano della

progettazione quindi della definizione degli obiettivi e della scelta dei contenuti. E’ una sorta di CLIL

diffuso.

b. La flessibilità di approccio, metodo, tecniche: ogni bambino ha il suo stile cognitivo, per cui

struttura la propria conoscenza in maniera originale, e un suo stile di apprendimento, per cui

raggiunge la comprensione dell’oggetto da acquisire e poi accomoda le nuove conoscenze secondo

le sue procedure.

c. Sensorialità: implica quell’uso di tutte le facoltà sensoriali dell’uomo, udito, olfatto, vista, tatto,

gusto. L’insegnamento della lingua non può quindi basarsi su astrazioni, schemi, regole, ma deve

partire dal nominare ciò che si tocca, si vede ecc… es. un dialogo non avverrà tra due ipotetici

interlocutori ma tra due bambolotti.

d. Motricità: si sposa alla natura pragmatica e funzionale della lingua usata per giocare, per fare, per

dare istruzioni…

e. Lucidità: non significa riempire la didattica di giochi, ma di giochi fini a se stessi, in cui chi fallisce

non vive una tragedia e dove sbagliare non comporta nessuna conseguenza.

La mente del bambino è aperta all’apprendimento continuo, l’età in cui si creano più sinapsi al giono è

intorno agli otto anni. Il bambino è un macchina d’apprendimento e l’importante è fornire Lass al suo Lad.

LO STUDENTE ADOLESCENTE

Aspetto relazionale: a differenza del bambino, adolescente non accetta più come “naturale” il fatto di

sbagliare e di essere corretto dall’adulto. Si sviluppa quindi un accordo tacito tra pari che porta a

privilegiare l’aurea mediocritas: la meta non è più l’eccellenza (i secchioni) ma quello di mantenersi intorno

al minimo necessario. Lo studente adolescente si ritiene adulto, quindi, non si possono utilizzare attività

didattiche che egli percepisce come infantili.

Aspetto cognitivo: la capacità di analisi e di definizioni metalinguistiche maturano e rendono possibile una

riflessione sulla lingua via via sempre più profonda. Le conoscenze dichiarative, affermazioni di dati di

fatto, maturano in conoscenze procedurali (es. se è così… allora…). La conseguenza glottodidattica di tutto

ciò è nel passaggio da un approccio comunicativo fondato sulle intuizioni ad uno che include sempre più

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riflessione. Alla competenza dell’uso della lingua si affianca, come sostegno, la competenza sull’uso della

lingua,cioè la competenza metalinguistica.

Introduzione della seconda lingua straniera: nel momento in cui entra nella scuola media, lo studente

inizia lo studio di una seconda lingua straniera. L’educazione linguistica vuole aiutare la persona nella

autopromozione, il che presuppone capacità di socializzare, che a sua volta presuppone l’accettazione dei

modelli culturali della comunità straniera. Sul piano glottodidattico:

a. Lo studente di undici o dodici anni ha già una storia personale di apprendimento della prima lingua

che non può essere ignorata, è necessario quindi che l’insegnante di italiano e di lingua straniera si

coordino tra di loro sui metodi da seguire.

b. Le lingue da apprendere sono due ma lo studente è uno quindi è necessario non adottare delle

metodologie di insegnamento scoordinate.

c. Proprio perché si tratta di due lingue molti dei “problemi” sono comuni, quindi è inutile ripetere

sempre gli stessi concetti.

d. Un aspetto particolare è costituito dall’uso delle glottotecnologie, non solo l’aula multimediale ,a

anche il lavoro autonomo in rete o con altri multimedia.

Per queste ragioni l’insegnamento di due lingue deve essere coordinato e integrato.

IL GIOVANE ADULTO

Lo studente giovane adulto (anche universitario) si avvicina alla lingua straniera per bisogno professionale e

con l’atteggiamento della persona autonoma e responsabile delle proprie scelte. Ma la grande differenza

fra l’apprendimento linguistico delle università e quello per ragioni professionali sta nell’atteggiamento

dello studente nei confronti del docente: l’adulto già inserito nel mondo del lavoro ed è padrone di sé, per

cui l’impianto è androgogico e la prospettiva è lifelong learning; invece nelle università lo studente si pone

ancora in posizione di inferiorità verso l’insegnante, per cui l’impianto è pedagogico.

LO STUDENTE ADULTO

L’essere adulto rimanda sia all’età, sia alla conseguente maturazione psicologica e relazionale. Da queste

peculiarità discendono alcune caratteristiche dell’adulto che studia una lingua straniera.

a. L’adulto è fuori dal percorso formativo di base, è maggiorenne e quindi vuole decidere

autonomamente ed è una caratteristica fondamentale perché incide sul rapporto studente-

insegnante.

b. Il rapporto studente- insegnante, non è più educativo ma prevalentemente istruttivo: l’insegnante

è un tecnico che conosce la lingua e la glottodidattica.

c. Lo studente paga il corso, quindi viene applicato il principio value for money: non si segue il corso

per piacere.

d. I risultati perseguiti devono essere raggiunti nel minor tempo possibile perché spesso la società

detta i tempi.

e. La storia dello studente mette a rischio l’apprendimento in quanto egli è convinto di sapere come si

impara una lingua, avendone imparata almeno una in passato, ma spesso si tratta di ricordi basati

su metodologie obsolete che potrebbero entrare in conflitto con quelle moderne: quindi i principi

metodologici gli vanno spiegati esplicitamente.

f. La capacità di apprendere una lingua in un adulto non viene mai meno, l’unico “problema” è la

rapidità di apprendimento che in una bambino è più veloce, ma alla fine l’adulto riesce a

raggiungere lo scopo anche se lentamente, questo va spiegato per non rischiare la demotivazione.

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g. Una fondamentale caratteristica psicologica dell’adulto è la sua capacità metalinguistica che deriva

dalla superiore capacità astrattiva e sistematizzante della mente adulta, nonché dal desiderio di

“regole” stabili a cui far riferimento: quindi l’insegnante deve integrare i materiali sulla base delle

necessità metalinguistiche dei suoi studenti.

Tecniche didattiche adatte all’adulto: le tecniche glottodidattiche pongono l’allievo di fronte alla sua

competenza considerandolo autonomo nel decide di affrontare i vari compiti richiesti. Tra le tecniche che

affidano all’allievo il compito della realizzazione e della valutazione troviamo il dettato auto-corretto, la

procedura cloze (accoppiamento parole-immagini e tutte le forme di incastro). Queste sono tecniche

ottimali per l’adulto, mentre non lo sono le attività che portano lo studente ad interagire con i compagni, in

quanto possono essere percepite dall’adulto come un rischio l’immagine che da di se. Assolutamente

improponibili sono le attività che pongono l’allievo in un confronto diretto con l’insegnante perché

rompono il patto psicologico tra adulti che sta alla base dell’andragogia.

Andragogia: è il corrispondente della pedagogia, che riguarda l’apprendimento e l’insegnamento a bambini

e adolescenti, mentre l’andragogia si occupa degli adulti. Secondo Rogers l’apprendimento dell’adulto si

caratterizza per il fatto che l’adulto, a differenza del bambino, è restio a mettere in discussione

l’architettura delle sue conoscenze, quindi l’insegnamento può avere successo solo se è stato lo studente a

decidere di modificare le sue conoscenze e se viene rispettata la sua autonomia nei processi di decision

making. L’insegnante quindi deve permettere continuamente allo studente di misurare il percorso fatto,

guidare il processo di modificazione guidando lo studente con strumenti cognitivi per adulti, garantire e

sostenere l’autonomia dello studente nell’apprendimento e passare dal ruolo di insegnante a quello di

facilitatore dell’apprendimento.

Lifelong Making: non è una scelta volontaria ma una necessità per adeguarsi alla globalizzazione. Ci si scrive

ad un corso non per fare carriera ma per sopravvivenza professionale.

Educazione Permanente: offerta educativa legata alla volontà di chi ne fruisce. Es. una persona che vuole

scalare la gerarchia aziendale si iscrive ad un corso di lingue.

La differenza fra le due sta quindi nella natura della motivazione.

Il gruppo di studenti: l’apprendimento avviene assieme ad altri compagni. Sono stati evidenziati alcuni

problemi: lavorando in gruppo e non essendo ancora esperti con la lingua uno studente potrebbe acquisire

un elemento sbagliato, ma questo è un rischio che può essere corso di fronte al vantaggio dell’attività

cooperativa. Infatti si tratta di più menti che, esplorando insieme la lingua e i significati dei testi hanno

maggiore probabilità di riuscire nell’impresa (il che sostiene il piacere dell’apprendimento).

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L’INSEGNANTE

I tre elementi della didattica della lingua sono: lingua, studente e docente. Lingua (intesa come competenza

comunicativa e riflessioni sulla civiltà e sulla cultura del popolo) e studente sono posti in equilibrio

paritetico. L’interazione principale si realizza tra questi due poli e deve portare all’acquisizione della lingua

allo studente. L’insegnante sta sul fondo e aiuta gli altri due poli a mettersi in relazione, ma lo fa svolgendo

una funzione di regista. L’insegnante regge il tutto, lo mantiene in equilibrio accentuando e restringendo il

ruolo dei due protagonisti. L’insegnante può essere percepito come:

a. Facilitatore.

b. Consigliere: quello che usa i metodi clinici e la sua immagine spesso ricorda quella di uno

psicoterapeuta.

c. Maieuta: colui che con poche domande semplici stimola lo studente ad esplorare la lingua, farsi

ipotesi e darsi egli stesso le risposte, se possibile.

d. Tutore: secondo la logica del tutor, l’insegnante garantisce sostegno e protezione nel processo di

acquisizione linguistica e l’esplorazione di una cultura straniera.

e. Regista: sta dietro le quinte e guida gli studenti che diventano attori.

Tutte queste denominazioni hanno in comune il fatto che l’insegnante non è più visto come maestro

onnisciente ma come un professionista che funge da punto di riferimento. Per svolgere la sua funzione il

docente parla. La comunicazione didattica è importante per un insegnamento di qualità, ma ci sono alcuni

punti critici:

a. Foreigner’s talk: sono i tentativi di un madre lingua di farsi capire da un forestiero simili a quelli

usati per farsi capire dai bambini: sintassi elementare, coordinazione invece che subordinazione,

gesti enfatizzati ecc…

b. Teacher’s talk: è il forestierese; lessico ridotto scelto su base latina (intelligent/clever), sintassi

paratattica, cioè basata su coordinazione, fonetica molto facilitata dal professore. La teacher’s talk

è una procedura che va limitata ai primissimi passi dello studente in difficoltà.

c. TTT, Teacher’s talking time: la percentuale di tempo usata dal docente sul tempo totale della

lezione è una variabile utile per osservarne lo stile didattico. Un TTT eccessivo non facilita per

niente l’apprendimento, anzi!

Che lingua usare in classe? E’ necessario usare la lingua straniera. Tranne nei momenti di correzione dei

compiti e nei momenti di carattere emozionale e relazionale. La tradizione ci da due generi comunicativi

consacrati nei secoli:

a. La conversazione maieutica: aveva senso sotto i portici di Atene e Roma, quando un saggio

(filosofo, maestro) si sforzava di far maturare l’autonomia cognitiva e critica del suo allievo. Oggi

questo modello funziona solo per i dottorati di ricerca e, in glottodidattica, per l’insegnamento

dell’italiano agli immigrati.

b. La lezione ex cathedra: la lectio è tipica della istruzione religiosa. L’obiettivo viene messo al centro

dell’attenzione e viene comunicato in maniera frontale e diretta agli allievi da un sacerdote-

maestro che ha diritto di interpretazione incontestabile.

PROGETTISTI DEL CURRICULO E AUTORI DI MATERIALI DIDATTICI

Il progettista di un corso di lingue deve svolgere alcune funzioni essenziali:

a. Definire il ruolo del corso di lingua straniera all’interno del percorso formativo dello studente.

b. Analizzare i bisogno degli studenti per definire gli scopi del corso, specialmente per aziende o centri

linguistici.

c. Definire quali risorse sono necessarie per soddisfare quei bisogni e quali siano disponibili stabilendo

un ordine di priorità.

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d. Definire quale tipo di insegnante serva per quel corso ed eventualmente indicare i percorsi

formativi per i docenti.

e. Definire il curricolo di lingua straniera secondo uno dei tanti modelli disponibili.

f. Indicare il tipo di materiale didattico adeguato.

Materiale didattico adeguato:

a. Manuale base che presenta un percorso programmato, graduato che deve guidare ll studente a

raggiungere uno dei livelli del Quadro di riferimento comune europeo.

b. Materiali per il rinforzo e il recupero specifici per i vari livelli.

c. Materiali audio con monologhi e dialoghi.

d. Ampliamento in rete, per cui a ogni unità didattica corrisponde una serie di navigazioni guidate.

e. Sezione di adattamento del materiale alle necessità dello studente a seconda del paese di

provenienza.

f. Video, soprattutto per favorire una contestualizzazione soprattutto culturale.

g. Guida didattica, che illustri all’insegnante il percorso glottodidattica e il senso di ogni attività e

testo.

h. Prove di verifica graduate per ogni unità.

i. Un sito che offre ulteriori materiali o percorsi di recupero.

Quello che spetta al singolo insegnante è l’integrazione del materiale didattico con materiale

originariamente non pensato per la didattica: questo materiale è essenziale per offrire esempi autentici di

lingua, per motivare e per coltivare l’eccellenza degli alunni. Es. canzoni, film, pubblicità, giornali ecc…

LA LINGUA E I LINGUAGGI NON VERBALI

La Comunicazione: insegnare a comunicare significa insegnare a scambiare messaggi efficaci.

Scambiare: la comunicazione non è mai monodirezionale, lo studente deve rendersi conto che

impara una lingua per uno scambio di significati e che la dimensione interrelazionale è necessaria.

Messaggi: includono un testo verbale e una componente non verbale, lo studente deve

comprendere che imparerà a creare messaggi, non frasi o parole.

Efficaci: si comunica per convincere, ottenere o vietare qualcosa e l’efficacia della comunicazione si

valuta sul risultato, cioè sull’essere riusciti ad ottenere quello che si voleva.

La comunicazione non avviene nel vuoto ma essa si situa in un evento comunicativo. Ciascuno dei fattori

dell’evento influisce sulla qualità della comunicazione quindi sarà utile portare gli studenti alla

consapevolezza esplicita di questi fattori. Il modello canonico per l’analisi di un evento comunicativo è

quello di Hymes, rappresentato dall’acronimo SPEAKING:

S: come setting, cioè luogo fisico: nell’interazione viso a viso è possibile usare gesti, indicare oggetti

ecc…

P: come partecipanti, il rapporto di ruolo sociale fra i partecipanti è fondamentale per cogliere il

senso profondo di un evento comunicativo.

E: come ends, gli scopi per cui si comunica, comprendere un testo significa cogliere gli scopi,

dichiarati e non, di chi ha prodotto quel testo. Lo studente deve capire che in lingua straniera si

realizzano intenzioni comunicative e non si traducono delle parole o delle frasi.

A: come atti, sono delle azioni degli atti comunicativi, unità minime quali salutare, chiedere la

strada, salutarsi ecc… Lo studente deve imparare a non focalizzarsi sulle singole parole, ma a

cogliere lo scopo delle espressioni.

K: come Key, chiave psicologica, è la relazione tra i partecipanti all’evento comunicativo, la

dimensione psicologica.

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I: come istruments, strumenti verbali e non , ma anche strumenti fisici di trasmissione dei linguaggi

(dall’aria a internet). La lingua varia a seconda degli strumenti usati per la comunicazione.

N: come norme (di interazione e interpretazione dei messaggi) vanno osservate più di quelle

linguistiche. Per es. in Italia è possibile interrompere qualcuno mentre non lo è assolutamente in

Scandinavia.

G: come genere comunicativo, conferenze, conversazioni, barzellette, testi letterari ecc… sono

generi comunicativi con una struttura profonda universale e una struttura superficiale che varia da

cultura a cultura.

Riflettere sulla comunicazione in generale e sulle peculiarità della comunicazione in una data lingua è un

investimento necessario a una precondizione per il successo nell’acquisizione della lingua straniera.

Lingua straniera: l’aggettivo “straniera” indica una lingua che viene studiata in una zona in cui essa non è

presente se non nelle scuole. L’input in lingua straniera è fornito dall’insegnante direttamente o con

tecnologia.

Lingua etnica: si definisce etnica la lingua della comunità di origine di una persona quando essa non è la sua

lingua materna, ma è comunque presente nell’ambiente degli immigrati: ad es. un bambino italofono che

può sentire queste lingue parlate a casa da parenti e amici.

Lingua franca: lo fu il latino, lo è l’inglese oggi. Si tratta di una lingua molto usata in maniera semplificata

per facilitare la comunicazione internazionale.

LA COMPETENZA LINGUISTICA

La lingua è il contenuto per eccellenza dell’insegnamento linguistico. Esistono vari modi di considerare la

lingua:

a. Mezzo per raggiungere scopi: è la dimensione studiata dalla pragmalinguistica ed è alla base del

metodo nazionale-funzionale.

b. Espressione di un rapporto sociale e mezzo per modificare questo rapporto: è l’ambito della

sociolinguistica.

c. Indicatore di appartenenza a un gruppo, che spesso si riconosce proprio per l’uso della lingua.

(gruppo geografico, sociale, professionale ecc). E’ oggetto di studio sociolinguistico.

d. Forma: la lingua ha vari livelli formali, forma sonora (fonetica), scritta (grafemica), morfologica,

sintassi, lessico e linguistica testuale. Nella percezione diffusa tra i non specialisti sapere una lingua

vuol dire conoscere queste forme, la grammatica e le parole della lingua.

e. Espressione di una cultura e strumento per tramandarla di generazione in generazione. Questa

dimensione è studiata dall’etnolinguistica.

f. Strumento del pensiero, della concettualizzazione. Insegnando lingue straniere dobbiamo

insegnare diverse forme di concettualizzazione: es. un americano va dritto al punto mentre un

orientale ci gira attorno per poi arrivare al punto, un po’ come l’italiano che usa digressioni,

premesse, commenti e così via.

g. Strumento di espressione: l’espressione in questo caso diviene una comunicazione fine a se stessa.

La lingua pensata per scopi estetici non può essere il principale modello linguistico presentato agli

studenti, ma non può nemmeno essere ignorato come se fosse inutile.

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LA COMPENTENZA EXTRALINGUISTICA

Accanto alla competenza linguistica per comunicare è necessario possedere la competenza extralinguistica,

cioè quel complesso di codici che vengono usati assieme alla lingua per modificare o sottolineare alcuni

significati o, in alcuni casi, in sostituzione della lingua verbale. Le principali competenze extralinguistiche

sono:

a. La competenza cinetica: riguarda la capacità di comprendere e utilizzare gesti, espressioni del viso e

movimenti del corpo, il problema è che alcuni gesti sono diversi a seconda del paese.

b. La competenza prossemica, relativa alla vicinanza e al contatto con l’interlocutore cui sono spesso

legate le scelte di registro di lingua.

c. La competenza vestemica: la capacità di padroneggiare il sistema della moda, divise, uniformi, abiti

più o meno formali ecc…

d. La competenza oggettuale, rimanda all’uso di oggetti come strumenti per comunicare uno status

sociale, una funzione ecc... es. l’arredamento dello studio o un auto aziendale.

LA COMPETENZA SOCIOPRAGMATICA

Per descrivere la competenza socio pragmatica possiamo citare il modello antropologico secondo il quale

ogni persona è in contatto con se stesso, con gli altri e con il mondo. La lingua serve a stabilire e mantenere

queste relazioni, infatti:

a. A “io” corrisponde una funzione personale.

b. A “io e te” corrisponde una funzione interpersonale e una regolativa.

c. A “io e il mondo” una funzione referenziale, che riguarda il mondo reale, poetico-immaginativa che

riguarda il mondo fantastico e metalinguistica che riguarda il mondo della lingua.

Possedere la competenza socio-pragmatica significa saper realizzare le sei funzioni, attraverso atti ed

espressioni appropriate.

Funzione personale: si realizza quando lo studente rivela la propria soggettività, personalità,

quando manifesta sentimenti, emozioni, pensieri. Questa funzione si realizza, oltre che nei

dialoghi, anche in generi come la lettera, il diario, l’intervista ecc. Atti comunicativi: chiedere/dire

nome, età, provenienza; parlare dello stato fisico; parlare dello stato psichico; esprimere i propri

gusti. Molti materiali didattici hanno un peso poco rilevante a questa funzione che è invece

fondamentale sul piano della motivazione.

Funzione interpersonale: si realizza quando la lingua serve a stabilire, mantenere o chiudere un

rapporto di interazione orale o scritta. Atti comunicativi: salutare/congedarsi; offrire, accettare o

rifiutare qualcosa; ringraziare, scusarsi. I rapporti interpersonali rimandano a regole

sociolinguistiche da tenere in considerazione per un uso appropriato della lingua.

Funzione regolativo strumentale: consiste nell’usare la lingua per agire sugli altri per regolare il

loro comportamento, per ottenere qualcosa. I generi di questa funzione sono le istruzioni orali,

scritte, regolamenti e leggi. Atti comunicativi: dare/ricevere istruzioni; dare/ricevere consigli;

chiedere/obbligare/impedire di fare qualcosa. Questa funzione rimanda a regole socioculturali da

tenere in considerazione al fine di una scelta appropriata delle espressioni da usare. La scelta

errata può bloccare lo scambio comunicativo.

Funzione referenziale: si manifesta quando la lingua viene usata per descrivere o spiegare la realtà

(con relazioni, descrizioni di una situazione, testo scientifico ecc). Atti comunicativi: descrivere

cose, azioni, persone, eventi; chiedere/ dare informazioni; chiedere/dare spiegazioni. I messaggi

che realizzano questa funzione sono caratterizzati da oggettività e lessico denotativo molto preciso

ed è qui che gli studenti incontrano le maggiori difficoltà.

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Funzione metalinguistica: si realizza quando ci si serve della lingua per parlare della lingua o per

riflettere sulla lingua stessa o per risolvere problemi comunicativi tipici dell’interazione. Atti

comunicativi: chiedere come si chiama un oggetto; creare perifrasi per sostituire parole ignote;

comprendere o fornire spiegazioni sulla lingua e sulla comunicazione.

Funzione poetico immaginativa: si realizza quando si usa la lingua per produrre particolari effetti

ritmici, suggestioni musicali, associazioni metaforiche oppure creare situazioni e mondi

immaginari. Propri di questa funzione sono tutti i generi letterari, dalla fiaba al poema epico.

Le abilità linguistiche: sono abilità dalla duplice dimensione, una cognitiva, costituita dai processi di

comprensione, produzione, selezione delle informazioni per fare un riassunto o prendere appunti. Sono

processi che si sviluppano nella lingua materna. E una dimensione semiotica, questi processi si realizzano

attraverso la lingua, in gesti, grafici e così via. Sono codici che variano da cultura a cultura. Le abilità di base

sono quattro: l’ascolto, il monologo, le lettura e la scrittura, ma anche se coinvolte due attività si aggiunge

il dialogo. Queste abilità possono essere accorpate sulla base del ruolo assunto da chi usa la lingua oppure

dalla modalità orale o scritta. Esiste poi un gruppo di abilità di trasformazione linguistica che sono al centro,

tra ricezione e produzione e tra orale e scritto, cioè il dettato, la traduzione, il riassunto, stesura di appunti

e parafrasi.

Le micro lingue disciplinari: per guidare un processo, per regolare i comportamenti, un manuale di

istruzioni o un codice devono avere una lingua perfetta: chiusa, immutabile, precisa e ben delineata. I testi

microlinguistici realizzano solo le funzioni referenziale (spiegano, descrivono), regolativa (danno istruzioni),

e, qualche volta, metalinguistica (spiegano il significato di un termine) ed hanno due principali finalità:

a. Dal punti di vista pragmatico, vogliono evitare le ambiguità per cui usano termini monosemici,

limitano l’uso dei pronomi, evitano i sinonimi ecc…

b. Dal punto di vista sociale, servono come strumento di riconoscimento tra professionisti di un dato

settore.

I testi sono strutturati in paragrafi brevi, con titoli e sottotitoli, hanno riquadri con dati e annotazioni,

grafici, appendici ecc. Troviamo una elusione di articoli e preposizioni, eliminazione di frasi relative,

spersonalizzazione e passivazione. A livello lessicale si cerca di evitare le ambiguità, la parola diventa un

termine cioè una unità lessicale puramente denotativa, priva di connotazioni culturali.

LA DIMENSIONE INTERCULTURALE

La prospettiva antropologica e sociolinguistica: Negli anni cinquanta e sessanta si effettua un passo

importante per la glottodidattica, la cultura è descritta come problema sia situazionale sia comunicativo in

quanto essa caratterizza e modifica la natura e la forma della comunicazione. L’insegnante può dare

strumenti, aprire gli occhi, ma poi è l’osservazione che garantisce quella culturizzazione senza la quale non

ci sono né socializzazione né autopromozione.

La prospettiva interculturale: nella seconda parte degli anni ottanta emerge una nuova prospettiva,

seconda la metafora di Hofstede, ogni persona ha un software of the mind che include tra i vari file anche

quelli che costituiscono la competenza comunicativa. Essi funzionano quando siamo all’interno della nostra

cultura, ma quando si comunica con membri di altre culture è necessario “salvare” i dati in formati

interscambiabili. Non si può insegnare una competenza interculturale, ma si può insegnare ad osservarla

(creando una banca di dati da aggiornare man mano che si incontrano stranieri, si guardano film ecc). Per

osservare occorre un modello:

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a. Il software of the mind: cioè tutti quei fattori culturali che influenzano la comunicazione, non tutti i

fattori ma solo quei fattori che influenzano lo scambio di messaggi tra due o più persone.

b. Il software di comunicazione: tutti i codici che usiamo sia verbali che non. Ma spesso l’attenzione è

rivolta maggiormente verso i codici verbali dando poca importanza a quelli non verbali: linguaggio

del corpo, dei gioielli, dei vestiti ecc…

c. Il software di contesto: ovvero il software socio pragmatico che nella comunicazione regola l’inizio,

per percorso e la conclusione di un evento comunicativo.

I primi due software, culturale e comunicativo, costituiscono la competence, mentre il software

contestuale interviene nel momento in cui si traduce la competenza in performance. Tra i software of the

mind di cui si è di solito inconsapevoli e che possono creare problemi troviamo i seguenti aspetti:

Il concetto di tempo: crea molti problemi relazionali, quindi comunicativi, anche se non sempre

linguistici; il concetto di puntualità, time is money, orrore del tempo vuoto, il tempo strutturato.

Gerarchia, status, rispetto: la gerarchia è la concretizzazione di un’idea del potere. Alla base della

gerarchia c’è il concetto di status che può essere attribuito automaticamente o guadagnato sul

campo con la propria preparazione. A queste persone si comunica in maniera formale, rispettosa.

Codici non verbali: le neuroscienze dicono che siamo prima visti e poi ascoltati. Siamo poco

consapevoli della natura convenzionale, grammaticale dei linguaggi non verbali. Tuttavia le parti del

corpo e i loro linguaggi non coincidono con quelli dei paesi stranieri e questo sicuramente

compromette la comunicazione. Il corpo parla anche con i vestiti che indossa e ha bisogno di una

distanza di sicurezza che se oltrepassata inibisce la conversazione.

Lingua e comunicazione interculturale:

Costruzione testuale anglosassone: straight to the point.

Costruzione testuale italiana: premesse, digressioni, precisazioni, commenti.

Costruzione testuale orientale: si avvicinano al fulcro del discorso lentamente e ritengono volgare,

violento e offensivo andare dritto al punto.

Aspetti socio – pragmatici: ci basta ricordare, sul piano pragmatico, due fatti:

a. Alcuni atti comunicativi rimandano a differenti valutazioni dei rapporti interpersonali (un cinese

ringrazia qualcuno che ha fatto qualcosa per lui).

b. Alcune mosse comunicative sono permesse in certe culture e non in altre (l’interruzione è concessa

in area latina, vitatissima in Inghilterra).

L’insegnante di lingua straniera che voglia contribuire a creare una competenza comunicativa

interculturale, può insegnare ad “osservarla”, che significa rendere consapevoli le persone dei problemi

della comunicazione interculturale, offrire alle persone degli strumenti concettuali, semplici e chiari, per

osservare la comunicazione e far notale che nelle società complesse la realtà muta ogni giorno, per cui le

varie culture si modificano, si contagiano ecc… lo scopo di queste attività non è quello di istruire sui

contenuti ma piuttosto di far apprendere un metodo di osservazione.

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L’ORGANIZZAZIONE DEL MATERIALE DIDATTICO

La psicologia della Gestalt descrive la percezione come una sequenza di tre fasi, una globale, una analitica e

una conclusiva in cui si attiva una sintesi che trasforma ciò che è percepito, se presenti le condizioni, in

elementi acquisiti. Innanzi tutto c’è una percezione globale dell’evento comunicativo o del testo. Essa

coinvolge l’emisfero destro del cervello e si basa su strategie quali:

a. Sfruttamento della ridondanza di informazioni contestuali (luogo, momento, percezioni) e co-

testuali (l’articolo che indica un nome femminile plurale).

b. Formazione di ipotesi socio-pragmatiche su quanto potrà avvenire in quel contesto secondo le

nostre conoscenze del mondo.

c. Formazioni di ipotesi linguistiche sulla base delle conoscenze grammaticali che possediamo.

d. Elaborazione delle metafore.

e. Verifica globale e approssimativa delle ipotesi (skimming) o la verifica di singoli elementi

(scanning).

f. Ricerca di analogie con eventi noti.

Focalizzazione modale: l’allievo penetra nel testo prima con un approccio globale, successivamente si

addentra sempre più nel dettaglio, coinvolgendo l’emisfero sinistro del cervello.

A questo punto si apre una serie di sequenze, analisi -> sintesi spontanea -> riflessione guidata relativa a:

Ciascun atto comunicativo che si vuole far acquisire alla classe.

Gli aspetti linguististici, cioè fonologici, morfosintattici, lessicale e testuali.

I temi culturali impliciti o espliciti nel testo.

I linguaggi non verbali, sul testo di partenza è un video.

Questa “molecola matematica” è il nucleo dell’attività di acquisizione della lingua straniera: ogni testo,

canzone, video, poesia ecc, va esplorato attraverso le tre fasi della percezione gestaltica: prima in maniera

globale, poi in maniera analitica, infine realizzando autonomamente una sintesi e una riflessione che

permette all’apprendimento di trasformarsi in acquisizione.

L’unità didattica come rete di unità d’acquisizione: un’unità d’acquisizione è l’unità di misura secondo la

quale lo studente percepisce il suo apprendimento. Può durare pochi minuti o un ora e più. Un’unità

didattica è una tranche linguistico comunicativa realizzata mettendo insieme eventi, atti, espressioni, e

strutture linguistiche legati da un contesto situazionale. Può durare dalle sei alle dieci ore e oltre.

A seconda del tipo di lingua che si sta insegnando, abbiamo questi esempi:

a. Unità di lingua in generale: se ad esempio il tema è quello dei trasporti pubblici, le varie unità di

apprendimento riguarderanno le prenotazioni di biglietti, i nomi dei mezzi di trasporto ecc…

b. Unità didattica di letteratura: può durare settimane, si analizzano i vari testi di un autore per

giungere ad una sintesi conclusiva su quell’autore o sul movimento culturale al quale aderisce.

c. Unità di micro lingua: basata su eventi complessi come ad esempio un’intera transazione

commericiale.

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MOTIVAZIONE -> SEQUENZA/RETEDI ACQUISIZIONE -> VERIFICA/VALUTAZIONE -> ATTIVITA’ SUPPLEM.

Motivazione: non c’è acquisizione senza motivazione. La fase della motivazione è una fase in cui ci sono

attività di esercitazione, volte a far emergere quello che già conoscono e quello che immaginano del tema

dell’unità, rapide presentazioni di video, pubblicità, canzoni e un eventuale racconto di aneddoti personali

che riguardano il docente che può offrire una contestualizzazione “umana”. In questa fase il TTT è ridotto e

si realizza come domande, stimoli, oltre che come narrazione in lingua italiana.

Sequenza/rete di unità d’acquisizione: i materiali didattici offrono una sequenza ed è il modo più semplice

di svolgere un’attività didattica. L’insegnante può scegliere se saltare qualche punto ritenuto complesso o

integrare l’unità con altro materiale, se ritenuta insufficiente.

Verifica e valutazione: la verifica è riferita al raggiungimento degli obiettivi, il classico test. La valutazione è

il giudizio che l’insegnante da sulla performance di ogni singolo allievo sulla base di considerazioni quali il

percorso di miglioramento. La verifica riguarda specificatamente gli obiettivi linguistici, pragmatici, culturali

dell’unità conclusa, ma rileva e valuta quegli elementi che dovrebbero già essere stati acquisiti.

Attività supplementari: finita l’unità didattica, prima di procedere alla successiva, può essere utile inserire

una o due lezioni di decondizionamento dalla logica. Si tratta di una fase essenziale sul piano del sostegno

della motivazione generale.

Il modulo: si è venuta diffondendo la necessità di accreditare delle competenze parziali: pertanto si è

imposto il modulo, cioè una sezione, una porzione, un sottoinsieme del corpus dei contenuti del curricolo.

Un modulo deve essere autosufficiente, conclusivo in se stesso, alla fine del modulo lo studente deve

essere in grado di operare autonomamente nel contesto che viene affrontato nel modulo. Il modulo deve

essere valutabile nel suo complesso, in modo da poter essere accreditato nel CV dello studente. Possiamo

quindi concludere dicendo che un modulo è un blocco tematico concluso in sé, autosufficiente, significativo

e si articola in una serie di unità didattiche basate su unità di acquisizione.

LO SVILUPPO DELLE ABILITA’

Abilità ricettive: ascolto e lettura.

La comprensione è il processo che sottostà all’attività di ascolto e di lettura. La differenza tra queste due

abilità è a livello percettivo. Goodman, uno psicolinguista degli anni sessanta, definì la comprensione come

un psycholinguistic guessing game: essa non procede dagli stimoli che riceviamo dall’esterno ma dai

processi cognitivi che costituiscono la grammatica dell’anticipazione.

Processo di comprensione:

Fase uno) La conoscenza del mondo (enciclopedia):

Essa è organizzata in schemi che ci consentono di ordinare la nostra esperienza di vita, di studio ecc… Ci

sono modelli particolari di schemi: A) la frame system theory, una cornice, una rete di relazioni tra gli

oggetti, le loro proprietà, ecc… che costituiscono i “reparti” del magazzino mnemonico (colori, quantità

ecc). B) la teoria degli Script di Shank e Abelson, copioni o scenari in cui le situazioni tipiche della vita

vengono viste come il frutto di grammatiche pragmatico-comportamentali.

Fase due) Processi logici:

Si tratta di processi che contribuiscono a “costruire” la comprensione. Tali processi legano la fonte esterna

di informazioni con la realtà psichica di chi comprende. Il principale di questi meccanismi è quello

proposizionale dove la proposizione deve contenere il predicato e gli argomenti, i due elementi cardine

che la mente va a ricercare al fine di capire. Altri processi logici che intervengono a costituire la grammatica

dell’anticipazione possono avere una base:

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a. Sintattica, l’articolo “le” fa prevedere nomi, aggettivi, pronomi femminili plurali e il verbo al

plurale.

b. Di coerenza e coesione testuale: per es. un testo dove appare un meta comunicatore come

“anzitutto” o “in secondo luogo” fa prevedere la presenta di un “inoltre”.

c. Di natura inferenziale: processi di natura semantica e testuale che possono differire a causa di

culture diverse.

d. Di genere testuale: la conoscenza della retorica e della logica del genere costituisce l’impalcatura

della comprensione.

Fase tre) Processi analogici:

Facoltà analogica della mente, gestita dall’emisfero destro, ci permette di decodificare metafore anche

meno trasparenti. La comprensione quindi non attiva solo le operazioni logico-linguistiche, ma anche quelle

analogiche. Insegnare a comprendere una lingua straniera significa affinare le strategie di comprensione,

soprattutto i processi cognitivi che governano la grammatica dell’anticipazione.

TECNICHE PER LO SVILUPPO DELLE ABILITA’ DI COMPRENSIONE

Cloze: la procedura cloze consiste nell’inserire le parole mancanti in un testo. Si lasciano le prime righe

intere per fornire un contesto e poi si toglie ogni settima parola. Si possono avere diverse varianti:

a. Cloze “a crescere”: si inizia eliminando ogni settima parola e poi la sesta e la quinta.

b. Cloze facilitato: che presenta sopra le parole da inserire, magari mettendo fra quelle un intruso.

c. Cloze orali: inserendo una pausa lo studente cerca di immaginare la parola o la frase che seguirà,

correzione immediata.

d. Cloze relazionati con strumenti statistici ad esempio una fotocopia da cui scompare un centimetro

di testo da dover riempire o immaginare.

Questa tecnica non inserisce un filtro affettivo.

Attività di incastro: si tratta di puzzle che chiedono di ricomporre un testo frantumato. Per fare questo

esercizio è necessario osservare prima tutti i segmenti e dopo, costruita la comprensione globale, si

procede ad analizzare i singolo segmenti per ricondurre tutto alla sintesi finale. (percorso gestaltico per

eccellenza). In tutti i casi si tratta di tecniche che non attivano il filtro affettivo, in quanto viste come gioco

enigmistico. Alcuni tipi di attività ad incastro sono:

a. Incastro tra battute di un dialogo: mettere in ordine le battute.

b. Incastro tra fumetti: mettere in ordine le vignette.

c. Incastro tra paragrafi: mettere in ordine i paragrafetti.

d. Incastro tra testi correlati tra loro: mettere in relazione i diversi testi.

e. Incastro tra frasi: date in disordine, si deve ricostruire il periodo.

f. Incastro tra spezzoni di frase: si devono unire con una linea degli spezzoni collocati in due colonne

diverse. Su base lessicale ( il motore ha due ruote/ha quattro ruote) o su base morfosintattica (la

moto è brutto/brutta)

g. Incastro tra parole di una frase: mettere in ordine le parole per formare una frase.

Sono tecniche che contribuiscono allo sviluppo delle abilità di comprensione indipendentemente dalla

lingua usata. Inoltre aiutano gli studenti a dominanza cerebrale sinistra con uno stile di apprendimento

analitico che si bloccano davanti ad una parola sconosciuta riducendo il ruolo della grammatica

dell’anticipazione.

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TECNICHE PER GUIDARE E VERIFICARE L’ABILITA’ DI COMPRENSIONE

Domanda aperta: è la tecnica più nota e più diretta, ma pone dei problemi in quanto la domanda accentua

il ruolo gerarchico tra studente/insegnante inserendo filtri affettivi. Inoltre la domanda verifica la

comprensione per mezzo della produzione e questo aggiunge altri problemi. Quindi la domanda dovrebbe

essere riservata a stimolare riflessioni complesse.

Griglia: si basa su una griglia, una tabella, uno schema creato come un piano cartesiano su cui si pongono

pochi elementi essenziali: in verticale, ad esempio, una tipologia di locali e in orizzontale una serie di azioni

e si segna con una crocetta dove si può fare quell’azione.

Scelta multipla: si hanno più formati di scelta multipla, risposta si/no, vero/falso, domande che hanno un

tronco comune e si deve scegliere il proseguimento giusto. La scelta multipla è una tecnica estremamente

precisa: essa consente infatti di concentrare l’attenzione sull’elemento desiderato.

Transcodificazione: la forma più tipica di transcodificazione (cioè passaggio da un codice ad un altro) si ha

con l’ascolto o con la lettura di un testo e la esecuzione di disegni basati sulle informazioni del testo. In

termini valutativi questa tecnica ha il pregio di garantire un identificazione pragmatica chiara (ha/non ha

capito) ma hanno il difetto di non consentire un’analisi sottile, cioè non permette di individuare

chiaramente dove si colloca il problema nel caso di qualche lacuna.

Accoppiamento termine – definizione: verifica in maniera puntuale la comprensione di una parola.

CONTRIBUTO DELLE GLOTTOTECNOLOGIE

Registratore audio: si basa su una tecnologia affidabile e semplice. Il registratore può essere usato per

ascoltare, riascoltare, registrare le prestazioni degli alunni e riascoltarle.

Registratore video: più completo e motivante in classe. I video didattici sono messaggi audiovisivi e lo

studente assocerà l’udito alla vista facilitando la comprensione.

ABILITA’ PRODUTTIVE: MONOLOGO E SCRITTURA

La produzione orale e scritta si sviluppa secondo un percorso lineare: concettualizzazione, progettazione,

realizzazione. La concettualizzazione è il reperimento delle idee, si può procedere individualmente o in

gruppo attraverso tecniche come il diagramma a ragno oppure il brainstorming. Nella fase di progettazione

si procede alla trasformazione delle idee in una scaletta, una struttura concettuale che fornirà la coerenza,

cioè il cosiddetto filo del discorso. La realizzazione può essere orale ( monologo libero) o scritta

(composizione).

TECNICHE PER SVILUPPARE LA PRODUZIONE ORALE

Il monologo in lingua straniera è una (breve) produzione su un tema precedentemente assegnato, in modo

che il problema del “che cosa dire” non interferisca con la produzione dal punto di vista linguistico. Il

monologo presenta un notevole problema operativo: lo si può usare solo in gruppi poco numerosi se si

vuole mantenere la motivazione e l’attenzione. Se si è in gruppi numerosi è necessario che il monologo

diventi un attività di ascolto per tutti, creando monologhi:

a. Creando un detective story collettivo: ogni studente deve ascoltare i compagni per non contraddirli

e diventare sospetto (ma che cazz…)

b. Facendo descrivere un fumetto in successione: l’insegnante passa la parola ad un compagno e così

via.

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TECNICHE PER SVILUPPAREL A PRODUZIONE SCRITTA

Nella versione più tradizionale della composizione, lo studente scrive un testo in base ad una sintetica

indicazione dell’argomento, il cosiddetto tema. Ma ci sono altri tipi di composizione:

a. Descrizioni che richiedono particolare attenzione alla precisione lessicale e alle nozioni.

b. Relazioni su eventi che accentuano la funzione dei verbi e della struttura temporale.

c. Narrazioni.

d. Lettere, formali e non.

e. Testi regolativi, come istruzioni di un gioco o il regolamento di classe.

f. Definizioni sintetiche che accentuano la riflessione lessicale.

Per fornire un contributo allo sviluppo linguistico, l’allievo deve conoscere in anticipo l’argomento e lo

scopo della composizione. La correzione di una composizione richiede la separazione del giudizio tra qualità

e quantità. Quindi si deve decidere se valutare il “cosa” o il “come” è scritto, per cui la composizione ai fini

di testing è una procedure inutile.

ABILITA’ DI INTERAZIONE: IL DIALOGO.

L’abilità di interazione orale è quella più rilevante, insieme alla lettura, nel mondo contemporaneo. E’ su

questa abilità che fa perno l’approccio comunicativo. Essa è inoltre la più difficile da padroneggiare, in

quanto presenti abilità di comprensione e produzione orale. Per dialogare è necessario:

a. Conoscere i copioni situazionali, cioè delle sequenze prevedibili e abbastanza fisse di atti e mosse

comunicative.

b. Saper definire il proprio ruolo all’interno della situazione sociale in cui avviene il dialogo, perché da

esso dipende la scelta del registro.

c. Competenza strategica che cerca di organizzare il discorso in modo da raggiungere lo scopo

prefissato.

d. Cercare di interpretare la strategia degli interculturali che vogliono raggiungere i propri scopi.

e. Negoziare i significati quando questi non sono chiari.

Il tutto avviene in termini brevissimi all’interno del modello SPEAKING.

ATTIVITA’ PER LO SVILUPPO DELL’ABILITA’ DI DIALOGO

Drammatizzazione: si tratta di una forma di simulazione che non concede libertà in quanto si tratta di

recitare un testo. Il suo scopo è quello di fissare le espressioni che realizzano i principali atti comunicativi.

Tra i vantaggi di questa tecnica emerge la quantità di lessico che viene memorizzata.

Dialogo a catena: uno studente inizia un dialogo e l’altro risponde facendo a sua volta un’altra domanda e

cosi via. Questa tecnica è adatta ad esercitare e fissare atti comunicativi, nonché strutture grammaticali con

cui essi si realizzano.

Dialogo aperto: si presentano le battute di un personaggio e lo studente deve dire quelle dell’altro

personaggio, tenendo conto della coerenza globale del testo. Questa tecnica è molto difficile se svolta

oralmente senza preparazione e quindi può generare ansia.

Role taking, role making, role play: si tratta di attività che consiste in una simulazione guidata in cui

l’allievo è presente in maniera più decisa. Un problema rilevante è dato dalla formazione delle coppie che

potrebbero essere impari. Il ruolo dell’insegnante è delicato: gli studenti lo considerano un dizionario

ambulante e gli chiedono ogni parola invece di ricorrere all’avadance strategy, cioè quella di aggirare

l’ostacolo con un giro di parole. L’insegnante, mentre gira tra i banchi, deve saper cogliere la qualità

dell’esecuzione degli studenti.

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Interviste impossibili: si tratta di discussioni tra personaggi della storia letteraria o di interviste tra uno

studente e Leopardi, ad esempio. Questa attività richiede una forte preparazione preventiva e viene

ascoltata da tutti per la curiosità del tema.

Scenario e talk show: adatto a gruppi di studenti avanzati.

Talk show: temi di rilevanza psicologica, o interviste impossibili, o si può chiacchierare di qualcosa di

specifico.

Scenario: prevede un evento comunicativo più complesso, ad esempio una causa di divorzio.

L’aspetto caratteriale di queste tecniche è il fatto che la performance arriva dopo una lunga preparazione

ed è inoltre un punto d’arrivo che va registrato per analizzare sia le argomentazioni sia la lingua che le ha

espresse.

Dialogo su chatline: rispetto ad un dialogo in presenza, si aggiunge la difficoltà di un dialogo con l’uso della

scrittura. Tuttavia glia errori sono tollerati dalla “netiquette”, cioè delle regole di buona educazione su

internet.

ABILITA’ DI TRASFORMAZIONE DI TESTI

Queste abilità vengono sviluppate in italiano, ma la lingua straniera può dare un contributo. E’ un’abilità

con una forte componente cognitiva.

a. Dettato: il dettato non è una tecnica di comprensione ma di trasformazione di un testo orale in un

testo scritto. Affinchè il dettato produca acquisizione è necessario che non crei ansia, per evitare

che sorga il filtro affettivo: l’autocorrezione è dunque la modalità migliore.

b. Stesura di appunti: si tratta di una forma molto personalizzata di riassunto basata su un testo orale

o scritto, in cui vengono utilizzate parole chiave per esprimere e ricordare un concetto.

c. Riassunto: dato un testo di partenza, l’allievo deve produrre un altro testo che ne riprenda i nuclei

formativi essenziali. Questa tecnica richiede la comprensione, gerarchizzazione, individuazione dei

nuclei formativi, ecco perché il riassunto è una delle tecniche più complesse che va applicata alle

lingue straniere quando l’abilità cognitiva è consolidata.

d. Parafrasi: si realizza producendo un testo in prosa con lo stesso significato di un testo di partenza

(spesso una poesia). Lo sviluppo di questa abilità consente di parafrasare piuttosto che tradurre il

proprio pensiero permettendo di creare perifrasi per le parole che non si conoscono.

e. Traduzione: dato un testo in lingua straniera, l’allievo deve produrre un testo orale o scritto

equivalente in italiano con o senza l’aiuto di dizionari. E’ la tecnica preferita dagli approcci

formalistici. La traduzione rappresenta uno dei momenti più complessi della attività glottodidattica:

è un punto d’arrivo e non una tecnica per apprendere una lingua. La traduzione serve (a studenti

avanzati da B2 in poi) come strumento sia di meta competenza linguistica sia di riflessione

interculturale. La traduzione non può essere considerata un test affidabili data la complessità dei

processi implicata e la variabilità e soggettività dei parametri di valutazione.

SCOPERTA, FISSAZIONE, RIUTILIZZO DELLE REGOLE E DEL LESSICO

Grammatica implicita ed esplicita: uno dei temi cardinali della grammatica pedagogica riguarda il modo in

cui conosciamo le regole: si tratta della dicotomia chomskyniana tra Know e Cognize, che in glottodidattica

diventa conoscenza linguistica implicita vs esplicita e acquisizione vs apprendimento nell’accezione di

Krashen. La riflessione sulla lingua rimanda alla inventional grammar di Jespersen: scoprire e trovare

rappresentano un piacere primario mentre dare forma, collocare le proprie scoperte in uno schema, in un

contesto che permette di farle proprie sono una forma di piacere ancora più sofisticato. In questo caso,

l’acquisizione grammaticale può sostenere la motivazione basata sul piacere.

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METODOLOGIE PER FAVORIRE L’ACQUISIZIONE DELLE REGOLE

a. Tecniche di inclusione in due insiemi: questa tecnica rimanda ad un processo cognitivo

fondamentale per la acquisizione della lingua materna, cioè la categorizzazione e quello di

analogia.

b. Tecniche di esclusione da un insieme: è una tecnica molto diffusa nella glottodidattica britannica

con il nome di add man out. Esempio: trova l’intruso.

c. Seriazione: consiste nel riordino di un insieme caotico in base a un parametro ad es. ordinare

secondo la quantità (poco, molto, moltissimo, troppo ecc)

d. Tecniche di manipolazione: tipiche dell’approccio formalistico, mirano ad applicare delle regole

piuttosto che indurre una riflessione. Di solito sono introdotte da consegne come “volgi al…”

e. Tecniche di esplicitazione: riguardano sia la sintassi sia il lessico, si può lavorare sui sinonimi,

iperonimi (fiore, margherita), e iponimi (rosa, fiore) con una freccia.

f. Esercizi strutturali: si hanno i pattern drill, dove l’allievo deve fornire risposte a stimoli, che poi

vengono confermate o corrette dal docente, e altre forme elaborare in ambito comunicativo, che

evitano di concentrarsi su sintagmi morfosintattici o su paradigmi lessicali ma includono atti

comunicativi.

g. La correzione fonetica: si usano coppie minime, cioè coppie di parole che si differenziano per un

solo fonema. Si fa ascoltare prima la prima colonna e poi la seconda. E’ una tecnica potenzialmente

ansiogena, se gestita male, ma può essere divertente se la si accompagna per esempio alla scoperta

del proprio apparato fonatorio.

h. Intonazione: la tecnica più semplice per questa grammatica sdurasegmentale è la ripetizione

progressiva. (con me? Al cinema con me? Vieni al cinema con me?)

i. Aspetto grafemico: la copiatura rimane la principale tecnica per l’interiorizzazione della

grammatica, ma non si tratta di copiatura meccanica ma si legge e poi si ricopia a memoria. La

copiatura serve a concentrare l’attenzione dell’allievo sull’ortografia con i suoi tempi (mentre nel

dettato i tempi sono quelli dell’insegnante).

j. Attività ludiche per l’esercitazione grammaticale: è un’attività fine a se stessa in cui si sfrutta lo

spirito agonistico dei giocatori. I giochi sono raramente utilizzati in classe a causa di tre pregiudizi,

condivisi tra docenti e studenti: il gioco distrae dalla lingua, eliminando il filtro affettivo, è tempo

investito in quando crea una situazione ideale per l’acquisizione.

ACQUISIZIONE DEL LESSICO:

In termini psicolinguistici si tratta di percepire una parola, accomodarla nella nostra memoria semantica per

poi poterli recuperare in pochi millisecondi all’occorrenza. Oltre alla memoria, è utile la grammatica della

formazione lessicale (ad esempio –ante, -ore, indicano mestieri ecc). Per quanto lessico si possieda, può

capitare di non trovare la parola necessaria, il problema si risolve usando la perifrasi. Cioè girandogli

attorno, per cui: ladro = una persona che ruba.

Tecniche per facilitare l’acquisizione del lessico:

a. Accoppiare la memoria verbale con quella visiva: si tratta di combinare la parola e l’immagine del

suo significato.

b. Accoppiare la memoria verbale e quella cinestetica: si lega il lessico ai movimenti, come

filastrocche (fai la riverenza).

c. Accoppiare la memoria verbale a quella musicale: questo è quanto succede quando si memorizza

una canzone e quindi il patrimonio lessicale in essa contenuto.

d. Creare delle reti semantiche: è necessario lavorare su campi lessicali visto che non si memorizzano

le singole parole ma complessi di parole collegate ad un significato chiave.

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LA METODOLOGIA CLIL

Clil è l’acronimo di content and language integrated learning che consiste nelle lezioni obbligatorie di altre

discipline in lingua straniera nella scuola (es. matematica in inglese). Tra gli undici e diciotto anni che il clil

può avere un ruolo essenziale, legato alla crescente padronanza linguistica degli studenti.

Vantaggi del clil:

a. Incremento di esposizione alla lingua straniera.

b. Maggiore autenticità della lingua visto che la si usa in svariati contesti: arte, filosofia, matematica.

c. Una maggiore autenticità delle attività: non si usa la lingua a scopo manipolativo ma la si usa per

scopi extra linguistici.

d. Il fatto che sono le conoscenze extralinguistiche a rendere comprensibile l’input: nell’insegnamento

normale l’input viene reso attraverso la lingua, mentre in lingua straniera l’input è fornito dalle

cartine e dai grafici e cosi via.

e. Lo spostamento dell’attenzione dalla forma linguistica ai contenuti che essa veicola: è la rule of

forgetting di krashen (si acquisisce una lingua quando ci si dimentica che la si sta imparando perché

il filtro affettivo non interviene a inibire il lad di fronte agli errori).

Durante l’uso veicolare delle lingue straniere l’insegnante diventa “significativo”: non si apprende uno

strumento che forse si userà in futuro ma uno strumento che servirà nell’ora successiva per lavorare su

concetti veri, non simulati.

Organizzazione di esperienze di uso veicolare della lingua: per organizzare esperienze di uso veicolare

della lingua è necessario tener conto che non tutte le attività di lingue relative ad una disciplina e non tutto

l’insegnamento di una disciplina in lingua straniera è CLIL:

a. Laddove la prevalenza va alla disciplina, l’insegnante di lingua straniera deve limitarsi a creare delle

condizioni per cui i contenuti della disciplina vengono acquisiti senza che la lingua sia un ostacolo.

b. Laddove prevale la lingua, i contenuti della disciplina sono noti e il lavoro è basato su un evento o

un esperimento condotto in lingua straniera. Quindi per la disciplina si tratta di un ripasso o una

esercitazione in lingua straniera.

Metodologia per l’uso veicolare della lingua: sia se gli insegnanti lavorino da soli o in compresenza o in

programmazione congiunta, bisogna tenere presente che:

a. L’attività deve portare all’acquisizione dei contenuti disciplinari e al miglioramento dell’acquisizione

linguistica, altrimenti non è un integrating learning.

b. Il grande ostacolo che rende difficoltoso perseguire i due obiettivi è la limitata competenza degli

studenti nella lingua straniera nelle scuole elementari e medie.

c. Se si vuole raggiungere A malgrado B, l’attività va accuratamente preparata in modo che

l’insegnante possa fornire gli strumenti necessari e che il docente della disciplina sia chiaro nel

fornire gli input.

BISOGNA:

a. Fare a vere agli studenti la scaletta della lezione.

b. Leggere insieme lo schema in modo di affinare il suono allo scritto.

c. Fornire l’input in maniera ridondante, con forte supporto di elementi non linguistici: simboli, frecce,

gesti, uso di acronimi.

d. Fornire l’input avendo cura di illustrare gli elementi astratti con esempio o riferimenti concreti.

e. Evidenziare i marcatori di ordine logico, di sequenza, di tempo, di causa effetto e cosi via.

f. Far lavorare gli studenti in coppie o gruppi, interrompendo le sequenze frontali.

g. Far proprie le attenzioni glottodidattiche tipiche di un insegnante di lingua: chiedere se hanno

capito, ripetere anche in italiano un punto, prima di andare avanti ecc…

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h. Chiedere agli studenti di fare una sintesi, una tabella o un glossario al termine di ogni lezione.

i. Intervenire sugli errori solo quando sono tali da impedire la comprensione.

j. Nelle ore di lingua chiedere agli studenti di riferire oralmente quando appreso e solo allora

correggere l’impostazione.

LA VALUTAZIONE E IL RECUPERO

La verifica: la verifica è una raccolta di dati per verificare il raggiungimento di alcuni obiettivi o di un dato

livello. Essa presenta alcuni problemi, cioè: processo/prodotto e competenza/esecuzione; l’insegnante può

conoscere prodotti linguistici ed esecuzioni comunicative, ma non può entrare nella mente dello studente e

individuare i lineamenti della sua competenza comunicativa e tutti i processi che sottostanno alle abilità

linguistiche. Il docente quindi non conosce i dati, ma li ipotizza. Non possiamo sapere se ciò che l’allievo

produce è frutto di acquisizione o apprendimento.

Punti fermi della verifica:

Oggetto: si verificano:

- Il sapere la lingua -> acquisizione delle regole.

- Il saper fare lingua ->padronanza delle abilità.

- Il saper fare con la lingua -> padronanza degli atti comunicativi.

Viene verificato quel che si presume dovrebbe essere acquisito in quel momento di quel percorso.

Strumenti: le tecniche usate per la verifica sono le stesse usate per l’insegnamento: uno studente che non

ha mai fatto un cloze non può essere testato con un cloze.

Parametri: le diverse abilità vengono verificate secondo parametri specifici: nelle abilità ricettive ci si può

limitare alla comprensione del testo o si possono testare anche significati implicati. I parametri di solito

sono tre: comprensione facilitata, parziale e completa. Nelle abilità produttive il punteggio dipende dalla

capacità di veicolare i significati, la precisione lessicale, l’accuratezza formale. I parametri sono poco,

sufficiente, buono.

Modalità: si hanno due modalità di base:

- Feedback o testing diffuso: in cui i dati vengono registrati (agenda, registro) durante le attività

didattiche.

- Testing formale: fase in cui gli studenti sanno di essere sottoposti a verifica con tutti i problemi di

stress e filtro affettivo.

La valutazione: ottenuti i dati, attraverso la verifica, bisogna valutare essi, secondo alcuni parametri,

dall’insegnante o dagli studenti stessi. La valutazione si realizza appieno quando l’insegnante e lo studente

riflettono sulle ragioni per cui si sono avuti quei risultati sulla natura degli errori. Sul piano dell’acquisizione

la valutazione è utile solo se viene discussa con l’allievo.

Il recupero: la maggioranza degli studenti si colloca nella media fra il 5 e il 7, mentre minoranze si colloca

verso l’eccellenza o verso il fallimento. Nel caso dell’eccellenza si proporrà un rinforzo, facendo rifare

esercizi e si tornerà su alcuni punti per consolidare le conoscenze. Nel secondo caso si procede al recupero

che deve coinvolgere lo studente in un progetto adatto a lui, percependo cos’ il lavoro supplementare

come un contratto psicologico con l’insegnante e non come una punizione. Il recupero si presenta secondo

due modalità:

Modalità 1) Recupero continuo:

In uno studente con molte lacune si può solo fornire un input supplementare, reso comprensibile, nella

speranza che l’elemento linguistico, collocato nel grado +1 della sequenza acquisizionale sia presente e che,

incontrandolo e comprendendolo, il LAD se ne appropri. Abbiamo quindi attività estemporanee (una

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canzone, un filmato per scoprire che il proprio apprendimento procede) e attività domestiche parallele

(ricopiatura, dettato, riassunti). Lo studente deve lavorare più degli altri e rischia di ergere un forte filtro

affettivo se pensa che l’insegnante lo voglia punire. E’ quindi indispensabile che gli scopi del suo lavoro gli

vengano spiegati chiaramente.

Modalità2) Recupero intensivo: è dedicato ad alcuni studenti che hanno alcune lacune specifiche e mira a

garantire la riflessione e l’esercizio su alcune specifiche strutture morfosintattiche, testuali o lessicali.

Riflessione: identificato il punto in cui ci si vuole soffermare si tratterà di costringere lo studente a riflettere,

solo o con l’aiuto dei compagni, su quello che ricorda. In questo modo si attiva il meccanismo di

acquisizione linguistica procedendo attraverso l’apprendimento consapevole. Esercizio: il fatto di essere

pochi è una delle chiavi vincenti di un ora di recupero, perché l’insegnante può dedicarsi a tutti.

L’eccellenza: si presta molta attenzione a colo il cui rendimento è più basso e quelli con un eccellente

rendimento vengono lasciati a se stessi. Questo impoverisce la classe e demotiva lo studente eccellente che

si annoia a stare al passo con gli altri. L’attività per valorizzare l’eccellenza si compone di molte possibilità:

mentre l’insegnante aiuta i più deboli, i migliori possono lavorare al pc, approfondire gli argomenti,

interessi, curiosità che possono essere fatte autonomamente o sotto la guida e con l’aiuto linguistico

dell’insegnante.

La certificazione: la funzione della certificazione non è formativa e non ha scopi pedagogici, ma deriva

dall’attribuzione di valore economico o professionale alla conoscenza di una lingua. La certificazione non fa

riferimenti specifici ai programmi svolti in classe, ma rimanda ad un proprio curricolo implicito.

A1: comprende e usa espressioni di uso quotidiano tese a soddisfare bisogni di tipo concreto. Capisce se si

parla piano.

A2: comprende frasi ed espressioni usate frequentemente relative ad ambiti di immediata rilevanza.

B1: livello soglia. Comprende i punti chiave di argomenti che riguardano scuola, tempo libero ecc. Sa

muoversi liberamente nel paese dove si parla la lingua. E’ in grado di descrivere esperienze, avvenimenti,

sogni, ambizioni e spiegare brevemente le sue opzioni.

B2: comprende le idee principali di testi complessi su argomenti sia concreti che astratti. E’ in grado di

interagire con una certa scioltezza e spontaneità che rendono possibile una conversazione senza sforzi. Sa

produrre un testo chiaro e dettagliato portando varie argomentazioni.

C1: comprende un’ampia gamma di testi complessi e lunghi. Si esprime con scioltezza e naturalezza e usa la

lingua in maniera flessibile ed efficace. Riesce a produrre testi chiari e ben costruiti anche su argomenti

complessi.

C2: comprendere con facilità tutto ciò che sente e legge. Sa esprimersi spontaneamente, in modo molto

scorrevole e preciso, individua le più sottili sfumature di significato in situazioni molto complesse.

BETTONI

PRIMO CAPITOLO: IL CAMPO

1.1 UN’ALTRA LINGUA

Per L1( lingua prima) intendiamo la lingua madre, quella lingua che apprendiamo sin da piccoli nel contesto

in cui si cresce.

Per L2 (lingua seconda) è quella lingua che l’individuo impara dopo che si è stabilizzata la sua prima lingua.

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La L2 può rappresentare la lingua seconda (lingua appresa presso la comunità che la parla) o la lingua

straniera (lingua appresa in un contesto che non la usa, per es. l’università).

L1 e L2 si differenziano per 3 criteri:

Cronologia (la L2 si impara dopo la L1)

Competenza (la L2 la si conosce meno bene)

Uso (la L2 la si usa meno spesso)

Questi parametri possono essere sfumati in base alle diverse situazioni della vita reale, per esempio nei casi

di bilinguismo precoce, dove i bambini si trovano davanti a due genitori parlanti lingue diverse e quindi la

distinzione netta tra L1 e L2 si appanna. Un altro caso è quello dell’emigrazione, dove la lingua imparata per

prima può arrugginirsi col passare del tempo rispetto a quella appresa in un secondo momento; oppure in

un lungo soggiorno all’estero dove si deve usare di più la lingua che si conosce meno.

In base ai 3 criteri vengono fatte alcune considerazioni: il processo di apprendimento della L2 è

sicuramente diverso da quello della L1 perché nel momento in cui si decide di imparare la L2 si è già adulti e

quindi si scegli consapevolmente e si conosce già la L1. La presenza della L1 però frena il processo di

apprendimento della L2.

PROTOTICIPITA’ : concetto legato alla metodologia della ricerca in varie discipline. Un prototipo combina le

caratteristiche più rappresentative di una determinata categoria. È il miglior esemplare tra i membri di una

categoria e serve come punto di riferimento cognitivo rispetto al quale gli altri membri possono venire

categorizzati. La metodologia della ricerca si occupa perciò dei fenomeni che sono prototipici nelle varie

discipline. Una distinzione tra i metodi di ricerca è tra qualitativo e quantitativo; nell’estremo qualitativo c’è

l’introspezione(utilizzata in psicologia) che consiste nell'osservazione attenta del proprio comportamento.

Nell’estremo quantitativo c’è l’esperimento, metodologia usata in tutte le scienze, che traduce i fenomeni

osservati in variabili numeriche.

Le metodologie orientate qualitativamente osservano i fenomeni, li descrivono, formulano delle ipotesi, si

concentrano sul processo, privilegiano l’osservazione naturalistica e le loro scoperte sono poco

generalizzabili. Le metodologie quantitative invece sono deduttive, puntano sulla verifica delle ipotesi e

portano risultati generalizzabili.

Per quanto riguarda gli studi linguistici, essi metodologicamente più vari rispetto agli studi psicolinguistici

che invece privilegiano modelli formali (statistiche).

1.2 IMPARARE

Il termine “imparare” viene spesso utilizzato insieme al suo corrispondente “apprendimento”; per poterlo

ben identificare è necessario prendere in considerazione altri due termini “sviluppo” e “insegnamento”.

Alcune dimensioni lungo le quali si contrappongono questi 3 termini sono:

intenzionalità : non è presente nella L1 poiché non sappiamo effettivamente che stiamo

apprendendo una lingua; potrebbe esserci invece nella L2

controllo: non c’è nella L1 o può esserci raramente; invece c’è nella L2 solo se è guidato

consapevolezza: non c’è nella L1 dato che il bambino non è consapevole di apprendere una lingua,

ma nonostante ciò cerca di elaborare la regola attraverso la sua intelligenza; mentre è presente

nella L2 solo se è guidata.

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Il processo di apprendimento della L2 può essere inteso come sviluppo, e cioè come un processo di

maturazione biologica e come processo di crescita sociale dovuta principalmente all’esperienza e

all’ambiente. L’apprendimento può essere SPONTANEO (inconsapevole,inconscio …) o GUIDATO (più

consapevole, intenzionale …)

1.3 CONOSCERE UNA LINGUA

Conoscere una lingua vuol dire avere una competenza complessa. Questa competenza può essere

linguistica o comunicativa. Competenza linguistica: conoscere le regole che governano la propria lingua e

saperle applicare senza prestarvi attenzione; competenza comunicativa: usare la propria lingua

spontaneamente per comunicare (scherzare, promettere …).

La piena competenza linguistica e comunicativa permette al parlante L! di prestare minima attenzione alla

forma e massima attenzione al contenuto della comunicazione. Il contrario avviene per l’apprendente L2.

Sapere usare una lingua significa saper essere sia nel ruolo di emittente che ricevente

EMITTENTE MESSAGGIO RICEVENTE

Chi parla sonoro chi ascolta

Chi scrive scritto chi legge

1.4 USARE UNA LINGUA

Conoscere una lingua porta all’attività del parlare e dell’ascoltare. Infatti se una lingua non la si conosce, il

proprio suono per chi non la conosce è simile ad un rumore e non ad una stringa fonetica. Essere

competenti cognitivamente significa che un parlante nativo è in grado di articolare 3 o 4 parole al secondo

e può ascoltarle alla stessa velocità. Linguisticamente invece, un parlante nativo adulto conosce circa

45.000 parole che è in grado di sistemare all’infinito nelle strutture della propria lingua. Socialmente il

parlante valuta il tono della voce. L’appropriatezza delle parole, gli argomenti, le circostanze dell’incontro, i

motivi del parlare…

1.5 L’INTERLINGUA

L’interlingua è la lingua degli apprendenti (ciò che sanno-langue e come la usano-parole). Caratteristiche

dell’interlingua:

sistema dinamico, variabile, coerente

lingua naturale

lingua in continua evoluzione verso la L2

Il punto di partenza però non è rappresentato solo dalla L1 ma anche da tutto l’insieme delle conoscenze

linguistiche generali che abbiamo già come parlanti di almeno una lingua. Gli apprendenti non imparano le

proprietà della L2 tutte insieme ma procedendo per gradi di approssimazione verso la L2. Il percorso verso

la L2 è uguale a tutti gli apprendenti, cambiano invece la velocità e l’esito finale.

1.6 LA MODULARITA’

Il processo di apprendimento della L2 va considerato come un insieme di processi separati che obbediscono

a principi diversi. Ognuno di questi processi rappresenta il modulo. Il concetto di modularità è usato per far

riferimento al rapporto tra la lingua e la mente.

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Esistono due teorie: una MODULARE, di stampo razionalista,deduttiva,innatista, poiché ritiene che la lingua

sia una facoltà specifica diversa da tutte le altre. La seconda teoria, NON MODULARE, di stampo

empirista,induttivo, ritiene che la lingua non sia che una delle facoltà della mente umana.

Una teoria dell’apprendimento deve essere multidisciplinare e interdisciplinare, poiché è necessario che ci

siano delle connessioni fra i moduli. Tra le diverse discipline, le 3 fondamentali sono: la linguistica, la

psicolinguistica, la sociolinguistica. La linguistica si occupa della creazione di una teoria del linguaggio. Nello

spiegare i meccanismi che portano all’apprendimento della L2, i linguisti tendono a parlare di principi

linguistici, regole linguistiche, universali linguistici, ecc. La psicolinguistica spiega i meccanismi mentali

dell’apprendimento linguistico in particolare. Cosi i psicolinguisti tendono a parlare di processi, di strategie,

di operazioni,ecc. La sociolinguistica cerca di individuare e spiegare i fattori sociali e situazionali che

influenzano l’uso linguistico.

La modularità del processo di apprendimento interessa anche i LIVELLI di ANALISI LINGUISTICA. Partendo

dal livello inferiore, sino a quello superiore troviamo prima la FONETICA e FONOLOGIA (studio dei suoni-

pronuncia); poi la LESSICOLOGIA (studia il vocabolario) e la MORFOLOGIA (le parole dal punto di vista della

loro struttura interna); la SINTASSI (studia come le parole si combinano in frasi); ANALISI DEL DISCORSO

(come si combinano le frasi che a loro volta formano testi); PRAGMATICA (studia il testo nel suo contesto

d’uso facendo riferimento alla realtà sociale); la SEMANTICA (studia il significato delle parole). Questo è il

percorso che compie il ricercatore-analista. Il percorso compiuto dal parlante-apprendente invece è il

contrario.

La modularità interessa anche le ABILITA’ LINGUISTICHE: ascoltare, parlare, leggere e scrivere. Due sono

orali e due scritte, inoltre due sono di recezione ( capire e leggere) e due di produzione (parlare e scrivere).

A queste abilità se ne può aggiungere una quinta, l’ABILITA’ METALINGUISTICA: permette all’apprendente,

non solo di produrre enunciati corretti, ma anche di parlare della L2, di riconoscere gli errori, di distinguere

tra gradi diversi di appropriatezza, formale e funzionale = capacità di avere intuizioni sulla propria lingua

SECONDO CAPITOLO: PRIMA CAPIRE

Per imparare la L2 è assolutamente fondamentale che l’apprendente abbia a disposizione degli esempi

tipici di una L2 (conversazioni con parlanti nativi, film, giornali, frasi-modello, ecc.), che vengono chiamati

INPUT. Affinché l’input diventi produttivo deve essere capito, l’input deve diventare INTAKE. L’input è

comprensibile perché è: CONTESTUALIZZATO,STRUTTURATO,MODIFICABILE e NEGOZIABILE. L’ascoltatore

funge sia da elaboratore di informazione sia come interlocutore che interagisce con il parlante.

2.1 L’INPUT

L’input è comprensibile perché è: CONTESTUALIZZATO,STRUTTURATO,MODIFICABILE e NEGOZIABILE.

CONTESTUALIZZAZIONE: è data dalle coordinate sociolinguistiche dell’interazione: l’ambiente culturale, i

partecipanti(parlante-emittente e ascoltatore-destinatario), lo scopo e l’argomento dello scambio

comunicativo). Se per sua natura l’input è sempre contestualizzato, la rilevanza del contesto non è costante

per la decifrazione linguistica da parte di un apprendente di una L2. Per un apprendente che ha problemi di

comprensione linguistica, l’input più facile da decifrare è quello in cui l’equilibrio tra l’informazione

extralinguistica e linguistica è sbilanciato a favore del contesto. Esistono, dunque, una comprensione

massima e una minima. La prima si ha quando c’è una ricca informazione linguistica e una ricca

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informazione contestuale, mentre la seconda si ha quando c’è scarsità nell’informazione linguistica e

contestuale. Esiste però una forma di compensazione, secondo cui tanto più povera risulta l’informazione

di un tipo, tanto più ricca deve essere quella dell’altro.

L’INPUT E’ STRUTTURATO: l’input può essere decifrato poiché esso è organizzato in strutture, alcune

comuni a tutte le lingue (PRINCIPI UNIVERSALI), ed altre specifiche di determinate lingue (PARAMENTRI). Lo

scopo dell’apprendente di una L2 è quello di scoprire le strutture di una data lingua, facendo leva, oltre che

sulle conoscenze extralinguistiche generali, anche su conoscenze che possiede già:

le conoscenze generali del linguaggio, in quanto parlante di almeno una lingua

le conoscenze specifiche della propria L1

le conoscenze parziali della L2

le eventuali conoscenze, parziali o meno, di altre L2

Gli UNIVERSALI LINGUISTICI sono tutte quelle proprietà ricorrenti nelle lingue del mondo. Non tutti sono

effettivamente riscontrabili tali e quali in tutte le lingue ma l’importante per essere un universale linguistico

è che non sia contraddetto da nessuna lingua. Per capire quanto un apprendente L2 sappia già qualcosa

prima di entrare in stretto contatto con una lingua, si possono esaminare 3 universali linguistici: a LIVELLO

FONOLOGICO in ogni lingua naturale, le parole sono composte da sillabe; a LIVELLO SINTATTICO la struttura

gerarchica determina la segmentazione degli enunciati in costituenti; a LIVELLO SEMANTICO, per esempio,

la denominazione degli utensili non fa riferimento alle loro qualità fisiche ma all’attività umana che

permettono di compiere (ita macina).

Tra i numerosi universali linguistici utili alla decifrazione dell’input, Klein(1986) ne elenca alcuni:

- un enunciato è scomponibile in parole, le parole in sillabe e le sillabe in fonemi

- i fonemi sono divisi in consonanti e vocali

- le sillabe tendono ad avere un nucleo vocalico affiancato da consonanti

- vocali e consonanti tendono ad alternarsi nella sillaba

- una pausa di solito ricorre al confine di parola

- ci sono parole che hanno un significato prevalentemente grammaticale e parole che hanno un

significato prevalentemente lessicale

- le parole di funzione tendono a essere più corte e ricorrono con maggiore frequenza

- la regola generale è:una parola, un significato

Klein afferma, inoltre, che ci sono altre proprietà che possono aiutare a decifrare l’input, come:

la frequenza con cui alcune parole ricorrono nell’enunciato

la posizione che occupano nell’enunciato

la struttura prosodica dell’enunciato

Infatti, si ritiene che le parole che ricorrono più frequentemente, quelle che si trovano in prima e in ultima

posizione nell’enunciato e quelle che sono più accentate si notano prima delle altre.

Queste proprietà universali non permettono da sole di decifrare l’input, a cui contribuiscono maggiormente

le PROPRIETA’ SPECIFICHE DELLA L1, soprattutto se questa è tipo logicamente simile o imparentata alla L2.

La vicinanza di L1 e L2 non solo è di aiuto per gli elementi simili nelle due lingue, ma ha delle ripercussioni

positive anche su altri elementi.

Per decifrare l’input in L2, l’apprendente può fare affidamento anche sulle CONOSCENZE PARZIALI DELLA

L2. Ma se questo da una parte è positivo, dall’altra potrebbe avere delle conseguenze negative, in quanto

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l’apprendente potrebbe essere portato a fare degli errori ( es. se conosce già la parola ‘luna’ e ‘lana’, può in

un primo momento identificare erroneamente luva nell’input, anziché “l’uva”). Questo è il cosiddetto

problema della segmentazione. Per quanto riguarda la comprensione a livello sintattico, un esempio di

errore, dovuto alla parziale conoscenza della L2 può avvenire con i verbi psicologici richiedono due

argomenti: un essere animato che prova il sentimento e una cosa o persona che lo causa (Piera ama i fiori,

Maria preferisce le rose). La maggior parte di essi vuole che il nome animato sia il soggetto e il nome

inanimato sia l’oggetto, ma ci sono anche casi contrari ( la lezione annoia Vera). Il problema di

comprensione diventa grave, per l’apprendente, nel momento in cui sia la causa che colui che prova il

sentimento siano animati ( Franco deprime Gina/ Gina deprime Franco).

Infine, per la decifrazione dell’input sono molto utili anche le CONOSCENZE DI ALTRE L2 (più lingue si sanno

più è facile decifrarne una nuova).

L’INPUT E’ MODIFICABILE: un aiuto alla comprensione dell’input viene anche dall’interlocutore nativo,

attraverso il FOREIGNER TALK ( si ha nel momento in cui la lingua indirizzata agli apprendenti dai parlanti

nativi viene in qualche modo modificata con l’intenzione di renderla più comprensibile).

Le MODIFICHE FORMALI DEL FOREIGNER TALK interessano tutti i livelli di analisi (fonologico, lessicale,

morfosintattico, pragmatico), risultano da strategie diverse e variano moltissimo. A LIVELLO FONOLOGICO il

parlante nativo si rivolge all’apprendente con un tono di voce più alto e più lentamente. Il maggiore volume

della voce serve soprattutto per sottolineare le parole chiave, mentre la lentezza è dovuta a pause più

frequenti e lunghe. A LIVELLO LESSICALE, il FOREIGNER TALK sceglie parole più comuni, preferendo gli

iperonimi agli iponimi ( “rain” piuttosto che “drizzle”- pioggerella) ed evitando espressioni idiomatiche o

figurative. A LIVELLO MORFO-SINTATTICO gli enunciati del foreigner talk tendono a essere più corti e meno

complessi. A LIVELLO PRAGMATICO si preferiscono forme più dirette ( uso frequente dell’imperativo – tu

vieni!).

I PROCESSI FORMALI DEL FOREIGNER TALK: il foreigner talk può essere formato con strategie sia di

semplificazione delle forme sia di elaborazione. La sola semplificazione formale potrebbe offrire

all’apprendente un input senz’altro più facile da capire ma poco adatto all’apprendimento perché forse

corrispondente a quello che sa già. L’elaborazione formale, invece, può offrire un input più ricco di elementi

ancora da imparare.

Anche la MISURA DELLE MODIFICHE del foreigner talk contribuisce alla grande variabilità. I fattori che

determinano la variabilità del foreigner talk sono molto e includono lo stile comunicativo, la sensibilità,

l’esperienza precedente con apprendenti e soprattutto la valutazione del livello della competenza

linguistica dell’ascoltatore-apprendete.

Per i casi estremi di foreigner talk, le condizioni necessarie perché si verificano le sgrammaticature

includono la percezione da parte del parlante nativo che l’apprendente abbia insieme una competenza

linguistica minima, uno status sociale inferiore e che si tratti di conversazione spontanea.

UTILITA’ DELLE MODIFICHE: la misura dell’aiuto che viene dato all’apprendente dal parlante nativo varia

secondo la misura delle modifiche. Oltre al foreigner talk vi è il TEACHER TALK( il modo di parlare degli

insegnanti in classe) che ha 2 caratteristiche che lo differenziano: non è mai sgrammaticato e risulta meno

calibrato sui bisogni degli allievi di quanto non lo sia il foreigner talk da parte dei parlanti nativi.

L’INPUT è NEGOZIABILE: Se ci sono ancora problemi di comprensione tra il parlante nativo e l’apprendente

(nonostante la contestualizzazione, le conoscenze linguistiche precedenti, le modifiche formali del foreigner

talk), possono ricorrere alla negoziazione dell’input. Questa può avvenire in vari modi. A una minima

segnalazione di incomprensione, possono abbondare ripetizioni e riformulazioni. Molto utili sono anche le

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scomposizioni, con cui il parlante segmenta enunciati troppo lunghi o troppo densi.

Non sempre però la negoziazione ha successo. I risultati degli studi confermano che l’input negoziato

conversazionalmente è più facile da comprendere dell’input modificato solo dal parlante nativo.

2.2 L’ASCOLTO

L’ascolto è un’attività complessa che coinvolge tutti i livelli di analisi. Se adottiamo il MODELLO

PSICOLINGUISTICO che Levelt(1989) ha elaborato per la produzione del parlato in L1 all’ascolto in L2,

possiamo notare come si articola il processo di comprensione. Secondo questo modello, il processo di

comprensione del messaggio, sia parlato che ascoltato, si basa su una gerarchia universale di conoscenze

procedurali che operano sulle conoscenze dichiarative dell’ascoltatore. Queste ultime sono di 2 tipi:

lessicali e generali. Le conoscenze procedurali, invece, sono raccolte in 3 principali componenti di

elaborazione: l’UDITORE, il DECODIFICATORE e l’INTERPRETE. Il decodificatore è in relazione con le

conoscenze lessicali, l’interprete con le conoscenze generali. Ogni elaboratore riceve un input e produce un

output, che a sua volta diventerà l’input dell’elaboratore successivo.

Per questi motivi, l’apprendente di

una L2 nel momento in cui sente un

messaggio acustico, idealmente attiva

le procedure di un primo elaboratore,

l’UDITORE, che trasformano il suono

in stringa fonetica, consegnandola al

2° elaboratore, il DECODIFICATORE,

che a sua volta la trasforma prima in

struttura superficiale, grazie

all’elaborazione fonologica. E’

importante dire che il decodificatore è

in relazione con il lessico, cioè con un

magazzino di conoscenze lessicali, nel

quale le parole sono rappresentate sia

come FORME con le loro specificazioni

fonologiche e morfologiche, sia come

LEMMI, con le loro specificazioni

semantiche e grammaticali. La

componente di elaborazione fonologica del decodificatore è in relazione con la parte formale del lessico, e

ciò permette all’ascoltatore di riconoscere i fonemi e le sillabe udite e di mettere in corrispondenza con le

parole che si trovano nel suo magazzino. Dopo di che il decodificatore da inizio alla seconda fase di

elaborazione, consegnando la struttura superficiale, fono logicamente e morfologicamente analizzata alla

componente grammaticale. Essa perciò la decodifica semanticamente e grammaticalmente permettendo

all’ascoltatore di capirne il significato. La struttura superficiale, dunque diviene un vero e proprio

ENUNCIATO ANALIZZATO. Le parole devono essere ancora interpretate dall’ascoltatore, ed è in questo

momento che entra in gioco l’INTERPRETE. Le procedure di elaborazione di quest’ultimo sono in relazione

con un secondo magazzino, quello delle CONOSCENZE GENERALI, che includono: le conoscenze

enciclopediche, il contesto extralinguistico, linguistico,ecc. Nel momento in cui l’apprendente L2 stabilisce

una corrispondenza tra l’enunciato analizzato e le conoscenze generali si può realmente affermare che il

messaggio sia stato compreso.

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AUTONOMIA(ogni componente dell’elaborazione lavora in modo specializzato e specifico),

INCREMENTALITA’(una componente può incominciare a lavorare sull’output ancora incompleto della

procedura precedente) e AUTOMATICITA’(nel parlante nativo il processo dell’ascolto è velocissimo e non

richiede molta attenzione) sono le 3 caratteristiche delle procedure di elaborazione dell’ascolto.

TERZO CAPITOLO: POI PARLARE

3.1 I PRIMI PASSI

La prima produzione del parlato spontaneo è costituita di solito da formule fisse e da alcune parole. Le

FORMULE sono pezzi di lingua memorizzati tali e quali senza che vengono scomposti nelle parti che li

compongono. L’apprendente deve solo memorizzare. Le formule fisse, però, non sono produttive, perché

nessuna delle singole parole che le compongono viene ancora usata in altre combinazioni. Ma può esserci

presto un’evoluzione e un’analisi graduale può fornire informazioni utili alla costruzione dell’interlingua.

Le PAROLE della prima produzione del parlato:

1. non sono sempre facilmente assegnabili a una classe morfologica

2. presentano minima o nulla flessione morfologica

3. sono prevalentemente di contenuto, non tanto di funzione

4. seguono un ordine pragmatico-discorsivo più che sintattico

Date queste caratteristiche, più che parole le chiamiamo LESSEMI.

1. INCERTA ASSEGNABILITA’ DELLE PAROLE A UNA CLASSE MORFOLOGICA: quando si è di fronte a un

breve testo analizzato come “non hai lavora”, grammaticalmente scorretto in italiano, si può

fornire un’interpretazione, dato che non si sa realmente se quel “lavora” ha un valore sostantivale

o verbale, e quindi non è possibile assegnare una specifica classe morfologica.

2. RIDUZIONE MORFOLOGICA: nel caso inglese la questione è semplice poiché la lingua ha pochissima

o nulla flessione morfologica, ma più complicato diventa in lingue ricche di morfologia, dove

diventa difficile distinguere le due parole.

LA FORMA BASICA è tra le diverse forme flesse di un lessema presenti nell’input, quella scelta

dall’apprendente, poiché è quella che rappresenta meglio le altre. I criteri della scelta sono:

- La frequenza con cui una forma ricorre nell’input

- La facilità articolatoria

- La lunghezza

- La specificità

Es. : la forma basica dell’articolo italiano è “la” ricorre frequentemente ed è facile da articolare.

3. PREVALENZA PAROLE DI CONTENUTO: la semplificazione formale elimina gli elementi

comunicativamente meno importanti, tra cui articoli, copule, ausiliari, pronomi atoni, preposizioni.

Ma la semplificazione oltre a essere strutturale può essere anche semantica, omettendo alcune

parole di contenuto.

4. ORDINE DEI LESSEMI: tende a seguire criteri pragmatici e semantici piuttosto che sintattici. La

lingua esige che le parole siano presentate in ordine sequenziale e secondo l’ordine dei costituenti:

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pragmatico,semantico,sintattico. Nella fase iniziale dell’apprendimento, quando i 3 principi

dell’ordine dei costituenti non sono in armonia tra loro, secondo Rutherford l’apprendente ha 3

possibilità: 1) può partire dal tema e poi giustapporre il resto senza alcun legame grammaticale

2) può partire dal tema e provare a grammaticalizzare come riesce

3) può rinunciare a partire con il tema più appropriato, a scapito dell’organizzazione

discorsiva, e scegliere il soggetto che permette di grammaticalizzare più facilmente

3.2 IL LESSICO

Quando si apprende una L2, il LESSICO ha un’importanza notevole. Mentre, infatti, una serie di parole non

grammaticalizzate possono essere efficaci nella comunicazione, una struttura sintattica senza parole è

inutile. Il lessico rappresenta un sistema molto più aperto rispetto alla grammatica e quindi è molto più

difficile stabilire delle regole per le numerosissime unità di base del lessico, nonché le parole.

LESSICO dal punto di vista QUANTITATIVO di quante parole è composta una lingua? Bisogna

semplicemente guardare quante parole vengono elencate all’interno del vocabolario (circa 450.000 parole,

raggruppate in 54,000 famiglie di parole). Un parlante nativo adulto conosce circa 20.000 famiglie di parole,

di queste il bambino che inizia la scuola ne conosce da 4.000 a 5.000. Quante siano le parole necessarie è

possibile saperlo tenendo conto della frequenza in base alla quale esse ricorrono nell’uso generale. Per

quanto riguarda l’italiano, De Mauro propone un vocabolario base di circa 7.000 parole che si suppongono

conosciute da chiunque abbia concluso la scuola media. Questo vocabolario è diviso in 3 categorie: la prima

detta VOCABOLARIO FONDAMENTALE che comprende le 2.000 parole più frequenti della lingua italiana; la

seconda VOCABOLARIO DI ALTO USO e il terzo vocabolario comprende PAROLE DI ALTA DISPONIBILITA’.

Il nome, il verbo e l’aggettivo corrispondono al 97,6% dei lemmi del vocabolario di base.

L’apprendente L2 deve imparare almeno dalle 3.000 parole circa più frequenti della lingua che si studia.

LESSICO dal punto di vista QUALITATIVO che cosa vuol dire conoscere una parola? Ogni parola ha una

serie di proprietà, tra cui le seguenti:

- Una forma (di pronuncia se orale e di ortografia se scritta)

- Una struttura morfologica (il morfema di base e gli eventuali morfemi flessivi e derivazionali)

- Un PATTERN SINTATTICO nel sintagma e nella frase (per esempio il verbo “spostare” richiede 3

argomenti: “qualcuno” che sposti “qualcosa” “da un posto all’altro”)

- Un significato referenziale, affettivo,pragmatico (ad esempio la parola “perla” può designare sia un

oggetto ma anche metaforicamente una persona preziosa)

- Delle relazioni lessicali (sinonimia,antinomia,iponimia,ecc.)

- Delle collocazioni

Conoscere una parola vuol dire poterla usare sia nell’ascoltare sia nel parlare. Bisogna fare 3 distinzioni:

CONOSCENZA POTENZIALE vs. CONOSCENZA REALE del lessico: il vocabolario potenziale consiste nelle

parole che un’apprendente L2 riconosce anche senza averle mai viste e sentite nella L2 studiata. Il

vocabolario reale, invece, è costituito da parole che l’apprendente conosce solo dopo averle incontrate

nell’input.

LESSICO ATTIVO vs. LESSICO PASSIVO : il primo è quello che l’apprendente L2 può produrre, il secondo è

quello che riconosce soltanto.

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CONOSCENZA vs. CONTROLLO: la conoscenza è la rappresentazione del lessico nella mente, mentre il

controllo è la capacità di elaborarlo durante l’effettiva esecuzione.

Le SEQUENZE di apprendimento del lessico: l’apprendente di una L2 impara le parole e alcune proprietà di

queste ultime, secondo alcuni criteri che ne guidano l’apprendimento si dividono in CRITERI ESTERNI e

CRITERI INTERNI al lessico. Dei CRITERI ESTERNI fanno parte: L’UTILITA’, LA DISPONIBILITA’ delle parole

imparate, LA PREFERENZA PERSONALE.

UTILITA’: Alcuni apprendenti sono più portati a scegliere in un primo tempo un maggior numero di formule

caratteristiche dell’interazione sociale; altri invece un maggiore numero di parole riferite agli oggetti e alle

attività che li circondano (es. i lavoratori immigrati imparano prima il lessico connesso con il proprio lavoro,

gli studenti quello con le attività scolastiche, e così via).

DISPONIBILITA’: criterio che dipende da alcuni fattori come la frequenza con cui la parola ricorre nell’input,

la variabilità dei contesti in cui ricorre, l’aiuto fornito dal contesto situazionale e dal co-testo linguistico per

la sua comprensione.

PREFERENZA PERSONALE: criterio che riguarda non tanto le parole quanto gli apprendenti, i quali tendono

ad imparare presto determinate parole trascurandone altre.

Dei CRITERI INTERNI possiamo fare una distinzione tra criteri formali e semantici. Dei criteri formali fanno

parte:

PRONUNCIABILITA’: l’apprendente L2 è facilitato se deve imparare una lingua che ha le parole con accento

fisso, mentre è più difficoltoso imparare lingue con accento mobile (es. italiano, inglese, ecc.). Inoltre

vengono preferite lingue con parole formate da fonemi o combinazioni di fonemi facili da pronunciare.

Affine al criterio di pronunci abilità vi è quello della similarità sonora con altre parole che rende più difficile

da parte dell’apprendente di distinguere e pronunciare le diverse parole (es. bit –beat – bet – bat – but)

CORRISPONDENZA TRA SUONO E GRAFIA: più la corrispondenza è chiara più l’apprendimento è facilitato

LUNGHEZZA DELLE PAROLE: alcuni studi affermano che è più facile apprendere parole più corte, ma non è

sempre così. Può avere un’importanza anche la L1 di partenza, infatti se l’apprendente è italiano, le parole

latine più lunghe e rare potrebbero essere imparate più facilmente rispetto alle monosillabiche.

MORFOLOGIA: lingue con grande complessità flessionale sono più difficili da apprendere. La complessità

derivazionale di una parola composta non costituisce ostacolo se le parti che la compongono sono

trasparenti.

Degli aspetti semantici delle parole, due fattori fondamentali sono:

POLISEMIA: quando un’unica parola ha vari significati che hanno tra loro qualche affinità.

OMONIMIA: quando un’unica parola ha vari significati che però hanno significati completamente diversi.

Se l’apprendente L2 conosce la parola in un significato è più difficile accettarla in un altro significato molto

diverso.

Un altro fattore che rende difficile una parola è l’OPACITA’ per esempio se prendiamo “libro”, questo

risulta più chiaro di “volume”, che oltre ad essere polisemico e una parola più rara e specifica. Dunque

anche la SPECIFICITA’ del significato rende più difficile l’apprendimento. L’IDIOMATICITA’ è un altro criterio

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che ostacola sia la comprensione sia la produzione per gli apprendenti L2.

Tra i criteri che influenzano maggiormente quali parole l’apprendente L2 imparerà per prime, vi è anche la

contrastività con la l1: una parola risulta più facile da imparare quanto più forma e significato si

assomigliano nelle due lingue.

DIFFERENZA TRA SIGNIFICATO DI UNA PAROLA E CONCETTO

(SCHEMA DI APPEL)

Il significato di una parola, insieme alla sua forma, fa

parte del lessico mentale, il concetto invece fa parte

dell’enciclopedia mentale. Si hanno infatti molti concetti

che non sono lessicalizzati.

Kroll e Groot riprendono due possibili modelli di abbinamento delle parole in L1 e L2 ai concetti e ne

presentano un terzo proprio.

Modello Dell’ Associazione Lessicale Modello della Mediazione Concettuale

Le parole in L2 accedono ai concetti Le parole in L2 accedono direttamente

indirettamente attraverso le parole in L1 ai concetti, come fanno le parole in L1

L’associazione lessicale è caratteristica dei primi stadi di

apprendimento della L2, mentre la mediazione è caratteristica degli

stadi più avanzati. Con il progredire della competenza, si avrebbe un

processo di sviluppo dall’elaborazione lessicale all’elaborazione

concettuale. Così Kroll e Groot propongono un terzo modello:

Modello dell’Associazione e Mediazione Concettuale

In questo modello sono sempre attivi sia i legami concettuali che

lessicali, ma la loro forza si manifesta diversamente in funzione della

competenza linguistica.

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COME VENGONO IMAPARATE LE PAROLE? Una volta scelte le parole in base a questi criteri, vengono

imparate secondo alcune proprietà: FONOLOGIA, GRAMMATICA, SEMANTICA e PRAGMATICA.

1. Per quanto riguarda la FONOLOGIA, le parole vengono imparate gradualmente secondo le regole di

apprendimento fonologico della L2. A questo livello di analisi, l’interferenza della L1 agisce più

profondamente che ad altri livelli.

2. GRAMMATICA :ogni parola ha una sua grammatica, se questa è complessa, sarà imparata per gradi.

3. Per quanto riguarda la SEMANTICA, l’apprendente L2 non impara subito i vari significati che una

parola può avere, ma impara un’unità lessicale per volta. Inoltre per ogni parola si tende ad

apprendere per primo il significato non metaforico.

4. PRAGMATICA : l’apprendente all’inizio rischia sempre di usare una parola in un contesto

situazionale sbagliato. Perciò conoscere completamente una parola vuol dire anche conoscerne gli

ambiti di uso appropriati.

3.3 LA GRAMMATICA

Con il tempo, ma soprattutto con più input, il lessico viene grammaticalizzato e qui vien fuori la

GRAMMATICA.

Alcuni studi hanno mostrato che quando i bambini imparano a parlare l’inglese come L1, alcuni morfemi

grammaticali compaiono con un ordine fisso. Subito si è cercato di scoprire se ci fosse un ordine anche per

gli adulti che lo imparano come L2 e se fosse simile a quello dei bambini; si è arrivati a confermare questa

tesi per almeno una decina di morfemi (-ing, -s plurale, be copula, be ausiliare, ecc.). Ma la ricerca di simili

sequenze in altre lingue è stata minima, anche perché mancava una spiegazione convincente per l’ordine

scoperto e poi perché questi studi misuravano solo l’accuratezza formale del prodotto finale. Si è passati

cosi ad una nuova ricerca basata sulla sequenza degli stadi in cui emergono le singole strutture. La

gradualità del percorso è chiara dall’esempio dei pronomi personali; l’apprendente L2 infatti impara prima

a distinguere la persona, poi il numero e infine il genere. La distinzione del caso è l’ultima a comparire.

Un esempio di percorso comune, è quello dell’apprendimento del GENERE IN ITALIANO L2, secondo cui

prevalgono prima criteri fonologici (secondo cui le desinenze nominali non sono degli indizi per risalire al

genere dei sostantivi, ma hanno solo lo scopo di contribuire a stabilire la tipica forma fonologica della

parola italiana a finale vocalica); poi criteri semantici (che fanno capo alla relazione genere-sesso del

referente. Tendono ad essere considerate più affidabili le desinenze –o per il maschile e –a per il femminile,

mentre risultano incerte quelle in –e); infine criteri morfologici (nel momento in cui si sviluppano i suffissi

della derivazione, come –tore per il maschile e –trice per il femminile, sia per le persone che per gli oggetti:

lavoratore, lavoratrice, lavatrice).

Per quanto riguarda l’ACCORDO SINTATTICO, i primi che compaiono sono quelli con i pronomi tonici e quelli

con l’articolo, in seguito tutti gli altri.

RELATIVIZZAZIONE: fenomeno sintattico presente in tutte le lingue con caratteristiche diverse. Le relative

sono proposizioni subordinate e possono variare secondo alcuni parametri:

Il punto di attacco: le relative possono variare secondo la funzione del sintagma nominale, che

nella principale rappresenta il punto di attacco della relativa (il gatto che miagola non è mio

sogg. della principale; non vedo il gatto che miagola ogg.)

L’elemento relativizzato: il gatto che miagola il gatto soggetto viene relativizzato

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Importante è la gerarchia implicazionale universale : SOGG>OGG DIR>OGG IND>OGG

PREP>GEN>OGG COMP tutte le lingue permettono la relativizzazione del soggetto della

preposizione relativa, mentre le altre possono o meno essere relativizzate nelle altre lingue. Se una

lingua permette di relativizzare per esempio l’oggetto indiretto, necessariamente permetterà

quelle precedenti ma non è detto che permette quelle che seguono.

Ripresa pronominale: in lingue diverse le relative possono o meno richiedere la ripresa del

pronome dell’elemento relativizzato. L’italiano non richiede questa ripresa ( *il gatto che lo vedo)

La forma del pronome relativo: in italiano i pronomi principali sono 2: “che” per il soggetto e

l’oggetto diretto, “cui” per l’oggetto indiretto. In inglese, invece, ci sono più forme (who, whom,

that, which, forma ø (the cat I love)

Profondità dell’incasso

Un notevole passo avanti nello studio dell’apprendimento della L2 è costituito dall’interpretazione

psicolinguistica dei dati. A ogni stadio operano in varie combinazioni tre strategie di elaborazione del

parlato (PROGETTO ZISA):

- La strategia dell’ordine canonico (SOC), che blocca qualsiasi movimento tra gli elementi della

stringa SVO

- La strategia di inizializzazione e finalizzazione (SIF) che, data una stringa XYZ, blocca lo

spostamento di X tra Y e Z, o quello di Z tra X e Y

- La strategia delle proposizioni subordinate (SPS), che blocca qualsiasi movimento all’interno di una

proposizione subordinata

3.4 PROGRESSO E VARIABILITA’

Le sequenze di sviluppo sono comuni a tutti gli apprendenti e appartengono a diverse L2. Però nessun

apprendente passa improvvisamente da uno stadio all’altro, egli può però arrivare a trovare proprie

soluzioni. Tutto ciò fa si che ci sia una notevole VARIABILITA’. Esistono vari tipi di variazione

Una prima distinzione è tra variazione evolutiva, o diacronica che riguarda i cambiamenti avvenuti

all’interno di una lingua con il trascorrere del tempo (sequenza di stadi) e variazione sincronica in un unico

periodo di tempo (un unico stadio) questa si divide a sua volta in variazione intersoggettiva che riguarda

soprattutto la velocità dell’apprendimento, e variazione intrasoggettiva che si divide in sistematica che

può dipendere da diversi tipi di contesto (sociale,psicologico,linguistico) e libera, casuale.

La variabilità intrasoggettiva può essere spiegata SITUAZIONALMENTE, per cui l’apprendente di una L2,

come ogni parlante nativo è sensibile a fattori sociolinguistici come ad esempio l’interlocutore a cui si

rivolge, la formalità del contesto, l’argomento della conversazione. Può anche essere spiegata

PSICOLOGICAMENTE; in questo caso sono in gioco fattori quali il tempo a disposizione per la pianificazione

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e l’attenzione dedicata alla forma piuttosto che al contenuto. Un’altra variabilità può essere spiegata

LINGUISTICAMENTE : a livello fonologico, a livello morfologico e a livello sintattico.

La maggior parte della variabilità intrasoggettiva dell’interlingua è sistematica. Quando però abbiamo due o

più forme alternative che hanno la stessa funzione, nello stesso contesto linguistico situazionale e

psicologico, dobbiamo considerare che si tratta di una variazione libera.

E’ difficile, soprattutto in sistemi ricca di variabilità, determinare l’effettivo PUNTO DI APPRENDIMENTO di

un nuovo elemento. Si può distinguere tra EMERGENZA, APPRENDIMENTO e perfetta PADRONANZA di un

elemento, secondo che in un determinato stadio dell’interlingua l’elemento in questione ricorra

rispettivamente la prima volta, un certo numero di volte, ogni volta che è necessario.

3.5 LA PRODUZIONE DEL PARLATO

Secondo il Modello Psicolinguistico di

Levelt, il parlante è visto come un complesso

elaboratore che trasforma le intenzioni, i

pensieri e i sentimenti in enunciati articolati.

Le conoscenze dichiarative sono di 2 tipi: generali e lessicali. Le conoscenze procedurali sono raggruppate

in 3 principali componenti di elaborazione: CONCETTUALIZZATORE, FORMULATORE, ARTICOLATORE. Ogni

elaboratore riceve un input e produce un output, e l’output di una componente diventa l’input della

successiva. Nel concettualizzatore viene selezionata, ordinata e preparata tutta l’informazione del

magazzino delle conoscenze generali che serve per comunicare le intenzioni del parlante, per essere

convertita in lingua. L’output del concettualizzatore non è ancora il messaggio verbalizzato che lo diventa

quando passa nel formulatore. Nel formulatore viene selezionata, grammaticalizzata e fonologizzata

l’informazione lessicale pertinente al messaggio concettuale. L’attivazione delle parole avviene in due

tempi, prima semanticamente, poi formalmente: è importante quindi il fatto che gli elementi lessicali

vengono selezionati per primi, e che sono le loro proprietà che determinano l’applicazione delle regole

grammaticali e fonologiche. Nell’articolatore il piano fonico viene eseguito come una serie di istruzioni

neuromuscolari. Infine la propria produzione viene auto-monitorata nel decodificatore; qui il monitoraggio

può avvenire sia silenziosamente prima dell’articolazione, sia dopo l’articolazione.

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Altre importanti caratteristiche del modello sono: AUTONOMIA (implica che ogni componente

dell’elaborazione lavora in modo altamente specializzato e specifico), AUTOMATICITA’ (implica un’altissima

velocità) e INCREMENTALITA’(implica che tutte le componenti di elaborazione lavorino in parallelo, ma

mentre si articola il primo pezzo si può già formularne un secondo e concettualizzarne un terzo, e così via).

CONCLUSIONE: DIFFERENZA TRA APPRENDIMENTO DEL LESSICO E DELLA GRAMMATICA?

Lo sviluppo della grammatica nell’interlingua è sostanzialmente un fatto autoregolatore. Prima si imparano

parole e formule; le formule non vengono analizzate e le parole sono prevalentemente di contenuto, poco

morfologizzate. Poi si sviluppa la grammatica vera e propria, attraverso stadi obbligati. Il lessico, invece,

rispetto alla grammatica, presenta minori regolarità di sviluppo, ma nonostante ciò risulta molto

importante nella produzione del parlato poiché la formulazione grammaticale è determinata lessicalmente.

Dopo la concettualizzazione vengono selezionate le parole, e sono queste che portano con sé conseguenze

grammaticali.

QUARTO CAPITOLO: LA VARIABILITA’

Gli apprendenti della L2 sono diversi gli uni dagli altri rispetto alla L1 di partenza e al numero di lingue che

già conoscono, rispetto all’età in cui la imparano, rispetto a numerose caratteristiche personali, rispetto alla

qualità e quantità dell’input linguistico che ricevono e ad altri fattori. Quindi ognuno impara la L2

diversamente, ciò che è uguale per tutti è il percorso di sviluppo dell’interlingua, cambiano invece la

velocità con cui si impara e l’esito finale.

La L1 influenza notevolmente l’apprendimento della L2; la manifestazione più importante è costituita dal

trasferimento nell’interlingua di un suo elemento. Bisogna sempre assicurarsi che il fenomeno rilevato sia

effettivamente un transfer dalla L1 e non un errore di sviluppo che per caso coincide con una forma della

L1. Il processo del transfer può essere esaminato da due punti di vista diversi: la DESCRIZIONE SINCRONICA

e le COSTRIZIONI che lo governano.

Nella descrizione sincronica il transfer può assumere l’aspetto di una sostituzione di un suo elemento con

uno della L1, di una omissione o di una aggiunta. Questo nel caso di elementi o regole obbligatori. Nel caso

di regole discrezionali, può risultare in evitamento o uso eccessivo.

Le costrizioni che limitano il transfer sono:

Livello di analisi: quello più soggetto alla L1 è la fonologia (fonemi, allofoni, accento, ritmo,

intonazione, ecc.), poi abbondanti interferenze della L1 anche nella pragmatica e nel lessico; meno

frequenti in sintassi e rari in morfologia

Livello di competenza linguistica in L2: opera congiuntamente al livello d’analisi. Nei primi stadi la

L1 interferisce pesantemente in fonologia e pragmatica, solo negli stadi intermedi il trasferimento

di elementi grammaticali è più facile. Negli stadi avanzati l’influenza della L1 diminuisce a tutti i

livelli.

Marcatezza: nozione relativa, non assoluta: in una coppia, un elemento viene definito meno

marcato rispetto a un altro più marcato. I criteri di marcatezza che operano sono la complessità e

la lunghezza (professore – professoressa), la rarità (bambino – fanciullo), l’estendibilità ( alto-

basso: poiché alto è estendibile alle interrogative, mentre basso non lo è, infatti anche di persona

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bassa si chiede “quanto sei alta?”).

Gli elementi meno marcati sono più trasferibili di quelli marcati, specialmente se gli elementi della

L2 sono marcati.

L’ipotesi di Marcatezza Differenziale (Eckmann) sostiene che al grado di marcatezza degli elementi

corrisponde anche il grado di difficoltà nel loro apprendimento.

Prototipicità: tanto meno prototipico è il significato tanto più l’apprendente L2 resiste a trasferirlo

nell’interlingua.

Distanza tipologica tra L1 e L2: l’apprendente ricorre maggiormente alla L1 nel caso in cui la L1 e L2

abbiano strutture simili. In generale, quanto più vicine sono due lingue, più favorito sarà il transfer

positivo dalla L1 e più veloce sarà l’apprendimento.

Principi naturali dell’apprendimento della L2

Coerenza interna: opera nell’interlingua e condiziona l’influenza della L1. Un apprendente è più

restio ad abbandonare una struttura della propria L1 se non la ritrova nella L2, e quindi si ostinerà a

trasferirla.

4.2 L’AMBIENTE LINGUISTICO

Altro fattore di variazione nel processo di apprendimento è l’ambiente linguistico. Esso è rappresentato

dall’evidenza positiva (attraverso cui durante la comunicazione gli interlocutori offrono all’apprendente un

modello di ciò che egli deve imparare) e dall’evidenza negativa (attraverso la correzione degli errori o

segnalazione di incomprensione) che lo stesso apprendente ottiene sulla lingua da imparare.

Nonostante rimangono ancora alcune incertezze, gli studi più recenti confermano la relazione positiva tra

l’interazione e lo sviluppo grammaticale in L2, e sottolineano l’importanza della partecipazione attiva

all’interazione da parte dell’apprendente.

Ambiente linguistico dell’INSEGNAMENTO differenza tra apprendimento spontaneo e insegnamento

(apprendimento guidato) : l’apprendimento spontaneo avviene ponendo massima attenzione al contenuto

del messaggio; l’insegnamento prevede che: - l’attenzione sia focalizzata sulla forma

- gli errori vengano corretti

-il trattamento degli elementi ling. sia esplicito e ordinato

L’insegnamento porta l’apprendente a livelli più alti di competenza.

L’IPOTESI DI INSEGNABILITA’, predice che l’insegnamento è efficace solo se l’interlingua è allo stadio

immediatamente precedente a quello in cui la struttura insegnata è appresa naturalmente.

L’insegnamento, quindi, è in grado di accelerare l’apprendimento sia delle strutture dello stadio gerarchico

immediatamente successivo, sia quelle che esulano dalla gerarchia.

L’istruzione che pratica la produzione permette agli apprendenti di svolgere il compito che viene loro

insegnato, ma non ha effetto sullo sviluppo del sistema. L’istruzione che pratica la comprensione, invece,

ha effetto sul sistema, poiché permette agli apprendenti di svolgere anche un compito che non era stato

loro espressamente insegnato. Inoltre, l’apprendimento basato sull’elaborazione dell’input porta a risultati

migliore per la grammatica piuttosto che per il lessico, influendo sulla velocità e sull’esito finale

dell’apprendimento, purché interessi gli elementi giusti al momento giusto e nel modo giusto.

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4.3 CARATTERISTICHE INDIVIDUALI

Apprendenti diversi imparano la L2 con velocità diverse e anche l’esito finale dell’apprendimento è diverso.

I diversi fattori individuali che influenzano il successo dell’apprendimento si possono raggruppare in modo

diverso secondo i criteri che si usano. Alcuni, come l’ansia, la motivazione sono di natura affettiva; altri

come l’età o il sesso sono di natura biologica. I principali comunque sono: ETA’, MOTIVAZIONE,

INTELLIGENZA, ATTITUDINE, STILE COGNITIVO, PERSONALITA’.

- L’ETA’ dell’apprendente è il più studiato tra i fattori di variabilità dell’apprendimento della L2. È

opinione diffusa che i bambini imparino la L2 meglio degli adulti, ma ciò non vuol dire

necessariamente che siano apprendenti migliori. Il fattore età implica due diverse spiegazioni, una

di NATURA BIOLOGICA ORGANICA, l’altra di NATURA SOCIALE ESPERIENZIALE.

Rispetto agli adulti, infatti, i bambini, da una parte avrebbero una struttura neurologica adatta

all’apprendimento linguistico, e dall’altra parte avrebbero più opportunità di praticare la L2, visto la

vita sicuramente meno impegnata che hanno rispetto agli adulti.

Bisogna considerare l’effetto dell’età sul percorso, sulla velocità e sull’esito. Per quanto riguarda il

PERCORSO gli studi sostengono che, nel caso della grammatica l’età non influisce sul percorso

dell’apprendimento, forse in misura minima in fonologia. Per la VELOCITA’, pare che gli adulti

imparino la L2 più velocemente dei bambini. Per quanto riguarda l’esito finale, invece, si ritiene che

almeno per la fonologia esista un periodo critico oltre al quale è impossibile raggiungere un esito

finale perfetto.

- LA MOTIVAZIONE: può essere INTRINSECA deriva da un interesse, un piacere nell’apprendere;

RISULTATIVA tipica di chi ottiene buoni risultati ed è spronato a proseguire; INTERNA, quando

l’apprendente porta all’apprendimento una certa quantità di motivazione come data; DEL

BASTONE E DELLA CAROTA quando stimoli e incentivi esterni la possono modificare.

Un’altra distinzione vede contrapporsi una motivazione INTEGRATIVA e STRUMENTALE. La prima è

basata sul desiderio di integrarsi con il gruppo sociale della L2 e diventarne un valido membro; la

seconda, invece, è basata sull’obiettivo di ottenere un vantaggio pratico (legato ad es. al lavoro).

- L’INTELLIGENZA, può influenzare positivamente la competenza linguistica in L2. Pare, invece, che

c’entri poco quando l’istruzione è meno attenta alla forma e rivolta più al contenuto comunicativo;

e che non c’entri affatto quando l’apprendimento avviene spontaneamente in contesto di L2 fuori

della classe.

- ATTITUDINE per le lingue: abilità di codificazione fonetica, sensibilità grammaticale, abilità di

memorizzare materiali linguistici, abilità di imparare induttivamente

- STILE COGNITIVO: il modo con cui le persone elaborano l’informazione, imparano. Lo stile cognitivo

si differenzia dall’intelligenza e dall’attitudine, perché non è un’abilità che è unipolare, ma è

bipolare. Mentre i test delle abilità misurano il risultato massimo, quelli dello stile cognitivo

stabiliscono il processo normale, tipico di un individuo. Il contrasto bipolare dello stile cognitivo più

studiato nel campo dell’apprendimento della L2 è quello tra dipendenza e indipendenza dal

campo. Le persone dipendenti dal campo sono quelle che tendono a sintetizzare meglio l’intero

campo, e a perderne i particolari. Invece, le persone indipendenti dal campo non vengono distratte

dall’informazione generale circostante, e tendono ad analizzare gli elementi uno a uno isolandoli

dal loro contesto.

- Per quanto riguarda la Personalità molti sono i tratti che hanno attirato l’attenzione, come

l’estroversione, la stima di sé, l’empatia, ecc. Ad esempio, un apprendente L2 estroverso è

considerato un apprendente migliore per quanto riguarda l’ABILITA’ DI COMUNICAZIONI

INTERPERSONALI, mentre un apprendente introverso si pensa che abbia maggior successo nella

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COMPETENZA LINGUISTICA COGNITIVO-ACCADEMICA. Quest’ipotesi dell’estroversione-

introversione si basa sul fatto che le persone estroverse e socievoli sono in grado di procurarsi

maggiori occasioni per usare la lingua orale, mentre quelle più introverse riescono meglio nelle

attività accademiche.

4.4 CARATTERISTICHE CULTURALI

L’apprendimento della L2 varia secondo l’AMBIENTE CULTURALE. Sono stati fatti studi che riguardano le

variabili ambientali. Tra questi ve ne sono due, entrambi riguardanti l’apprendimento della L2 in contesti di

immigrazione: il primo propone come variabile la distanza sociale nell’ambito del MODELLO DI

ACCULTURAZIONE e il secondo l’orientamento culturale nell’ambito del MODELLO MULTIDIMENSIONALE

del progetto ZISA.

Il modello di acculturazione di Schumann nasce per spiegare l’apprendimento dell’inglese negli Usa da

parte di un costaricano. Questo modello propone come variabile la DISTANZA SOCIALE una dimensione

del gruppo e interessa la misura in cui i singoli apprendenti riescono a diventare parte del gruppo di parlanti

L2. È formata da 8 fattori: dominanza (rapporti di dominanza tra gruppo L1 e L2), integrazione, chiusura,

coesione (forza dei legami all’interno del gruppo L1), dimensione (numero di individui nel gruppo L1),

congruenza (somiglianza culturale tra L1-L2), atteggiamento (sentimenti, opinioni del gruppo L1 nei

confronti del gruppo L2), intenzione (durata prevista del soggiorno nel paese L2).

L’acculturazione può risultare importante per l’apprendimento, ma questo non è sufficiente, perché senza

l’input linguistico non serve a niente. Non è necessaria, perché l’input può essere ottenuto anche senza

acculturazione.

Il modello ZISA si chiama multidimensionale considera sia la dimensione universale, che quella variabile.

Secondo questo modello, l’interlingua di un apprendente può essere collocato tra due poli opposti costituiti

da due scopi in concorrenza l’uno con l’altro: l’efficacia comunicativa vs l’accuratezza formale. Una delle

ipotesi centrali di questo modello è che la posizione degli apprendenti su questo continuum di

orientamento dell’apprendimento della L2 sia determinata da fattori socio-psicologici dell’ambiente di

apprendimento.

4.5 STRATEGIE DI APPRENDIMENTO

Tutte le attività che portano all’apprendimento sono state chiamate strategie di apprendimento. Esse sono

in parte frutto delle caratteristiche individuali degli apprendenti e in parte frutto delle caratteristiche

ambientali in cui gli apprendenti si trovano.

Le strategie di apprendimento sono state interpretate in vari modi: da una parte si è distinto tra attività

comportamentali e mentali; in un altro verso tra strategie dirette e strategie indirette e in un altro ancora

tra strategie consapevoli e inconsapevoli.

Alle strategie di apprendimento si sovrappongono le strategie di comunicazione, che sono messe in atto

con l’intenzione di risolvere problemi di comunicazione che si riscontrano durante l’interazione.

QUINTO CAPITOLO: LE SPIEGAZIONI

Le teorie dell’apprendimento della L2 sono molte e tutte diverse. Si possono classificare in vario modo

secondo i criteri che si vogliono usare. Secondo i criteri filosofici, esse possono rientrare da una parte in

correnti di pensiero EMPIRISTE, secondo cui l’esperienza agisce sulla mente producendo un sistema di

conoscenze, che risulta in un comportamento (+ teorie ambientaliste- ruolo imp. esperienza, + teorie

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induttive- senza limiti alle possibili grammatiche da imparare) . Dall’altra parte correnti di pensiero

RAZIONALISTE, secondo cui linguisticamente l’input linguistico agisce sulle facoltà del linguaggio per

produrre il sistema di conoscenze di una particolare lingua, che risulta in una serie di enunciati specifici di

quella lingua (+ teorie innatiste- mente dotata di capacità innate, + teorie deduttive- limiti alle possibili

grammatiche da imparare).

Le teorie possono essere divise anche tra teorie delle proprietà e teorie della transizione. Le prime si

preoccupano di fornire un resoconto dei sistemi statici delle conoscenze, le seconde dei meccanismi

responsabili dei cambiamenti da un sistema al successivo.

Le teorie possono essere anche data-driver, cioè partire induttivamente da una minuta raccolta empirica

dei dati, e poi arrivare alla formulazione esplicativa globale, oppure theory-driven, cioè partire

deduttivamente dall’elaborazione di una ipotesi, e poi verificare se questa regge alla prova dei dati

empirici.

Ora vengono descritte le teorie più rappresentative:

5.1 IL CONTRASTIVISMO (anni ’50)

Ipotesi dell’analisi contrastiva stampo empirista. Nata con lo scopo di migliorare l’insegnamento della L2.

Si sviluppa con presupposti psicologici, ipotesi linguistiche e applicazioni glottodidattiche.

IN PSICOLOGIA TEORIA DEL COMPORTAMENTISMO, secondo cui tutto l’apprendimento, verbale e non,

è un processo di formazione di abitudini. Quando quello che si deve apprendere è troppo complesso, lo si

scompone in unità più semplici. È una teoria che si basa quindi su 3 principi: l’effetto, la pratica e la

scomposizione.

LINGUISTICAMENTE l’apprendente inizia da zero, riceve l’input e con l’imitazione e la ripetizione riceve il

rinforzo positivo.

LE APPLICAZIONI DIDATTICHE vengono validate da entrambi i presupposti psicologici e linguistici.

Psicologicamente si creano esercitazioni che si basano sull’insistente imitazione meccanica del modello.

Linguisticamente, vengono selezionati come modello da esercitare soprattutto le strutture che nella L2

sono diverse da quelle della L1.

L’ipotesi storica dell’analisi contrastiva viene però sconfitta come tesi esplicativa. Linguisticamente, non

regge alla prova dei dati, poiché nella realtà non tutti gli errori previsti si verificano, psicologicamente,

anche l’imitazione non è mai meccanica, poiché l’apprendente imita selettivamente in base a quello che gli

serve.

5.2 IL GENERATIVISMO (seconda metà Novecento)

Elaborata da Noam Chomsky GRAMMATICA UNIVERSALE - teoria razionalista, innatista e deduttiva.

Vuole spiegare in cosa consiste e come viene acquisita la conoscenza linguistica. È una teoria delle

proprietà non indaga tanto il percorso dell’apprendente quanto la facoltà innata che gli permette di

percorrerlo. Quindi, non è una teoria dell’apprendimento della L2, ma una teoria generale di linguaggio e

delle lingue. Comprende una serie di universali linguistici, che consistono in principi e parametri. I principi

sono proprietà molto astratte e generali che valgono per tutte le lingue del mondo. I parametri, anch’essi

uguali per tutte le lingue, ma con un valore che è fissato diversamente da lingua a lingua. Inoltre i principi

sono innati, mentre il valore dei parametri è appreso in base all’esperienza.

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Vi sono 4 posizioni principali sulla Grammatica Universale come teoria per la spiegazione

dell’apprendimento della L2:

1) INACCESSIBILITA’

Secondo questa ipotesi, la Grammatica Universale non c’entra con

l’acquisizione della L2. Gli apprendenti devono ricorrere ad altre

abilità generali di apprendimento non specificamente linguistiche

ma generalmente cognitive.

2) PIENA ACCESSIBILITA’

La Grammatica Universale c’entra come per la L1. L’apprendimento della L1

e della L2 ha un processo identico. Le differenze si riscontrano solo in base

alla diversa maturità cognitiva e ai diversi bisogni degli adulti rispetto ai

bambini.

3) ACCESIBILITA’ INDIRETTA

La Grammatica Universale non c’entra direttamente, ma vi si

accede indirettamente attraverso la L1 solo se la L2 ha i

parametri fissati come la L1.

4) ACCESIBILITA’ PARZIALE

La Grammatica universale è accessibile in alcuni aspetti ma non tutti.

Ad esempio possono rimanere accessibili i principi, ma può diventare

inaccessibile la fissazione di alcuni parametri. Qui il punto di partenza

per l’apprendimento della L2 è la Grammatica Universale, non la L1.

5.3 IL FUNZIONALISMO

Più che una teoria specifica, è un approccio teorico. Le teorie funzionaliste mirano a spiegare che le forme

linguistiche sono create, governate, apprese in funzione della funzione; vogliono spiegare il modo preciso e

la misura in cui le funzioni determinano la forma prevalgono quelle di tipo semantico e discorsivo, ma

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anche quelle di tipo cognitivo e sociale.

Nell’ indagare le relazioni tra forma e funzione, le direzioni dell’analisi possono essere due: si può partire

dalla forma e chiedersi che funzione codifichi. Nell’altra direzione, si può partire dalla funzione e chiedersi

in quali forme venga codificata.

Tra i numerosi modelli funzionalisti, importante è il MODELLO DELLA COMPETIZIONE

l’ascoltatore/parlante deve essere in grado di determinare la relazione degli elementi della frase,

servendosi di alcuni indizi formali (l’ordine delle parole, l’accordo, il caso, ecc.). l’indizio può essere più o

meno forte, e quindi utile, nella misura in cui ha le seguenti proprietà:

Affidabilità (è data dalla regolarità con cui a una forma corrisponda una funzione)

Disponibilità (è data dalla frequenza con cui un indizio ricorre nell’input)

Validità nel conflitto (è data dal rapporto tra il numero di volte in cui un indizio vince sugli altri e il

numero di volte in cui si trova in conflitto.

È quindi un modello di natura probabilistica e viene costruito in base ai dati.

5.4 L’INTERAZIONISMO

Così come il funzionalismo, anche questo è un approccio teorico, più che una teoria. Mentre il

funzionalismo mette a fuoco il rapporto forma-funzione, l’interazionismo mette a fuoco l’interazione

comunicativa. Inoltre mentre il funzionalismo è stato applicato sia come property theory (per

l’interpretazione degli stadi dell’interlingua), sia come transitino theory (per l’interpretazione del passaggio

da uno stadio all’altro), l’interazionismo verte soprattutto sul secondo aspetto. Un’altra differenza sta nel

fatto che l’interazionismo si è molto occupato delle applicazioni didattiche, mentre il funzionalismo ben

poco.

IL RUOLO DELL’AMBIENTE LINGUISTICO per la Grammatica Universale l’input non è sufficiente per

l’apprendimento della L2, mentre per l’interazionismo, l’input è sufficiente e causa l’apprendimento.

Tra le numerose variabili ambientali, l’interazionismo privilegia l’input interattivo, quello della

conversazione quando apprendente e interlocutore insieme ne negoziano i contenuti.

Ipotesi Interazionista (Long): la negoziazione del significato facilita l’apprendimento della L2, perché

connette in modo produttivo l’input, le capacità interne dell’apprendente, tra cui specialmente l’attenzione

selettiva, e l’output.

5.5 IL COGNITIVISMO

Anche questo è un approccio generale, non una teoria specifica. Sono cognitivi il Modello di Levelt , il

Modello Multidimensionale ZISA e il Modello della Competizione.

Il cognitivismo è la parte della psicologia che interessa la natura delle attività e dei processi mentali: studia i

fenomeni come l’attenzione, la consapevolezza, la memoria, la lingua. Essendo la lingua un fenomeno

mentale, in un senso molto generale, tutta la linguistica è cognitiva. Il cognitivismo studia quindi come

mente e cervello operano.

L’approccio cognitivo pone l’accento principale sull’apprendimento come transition theory (sull’aquisizione

di informazione nuova) e tende a rappresentare soprattutto l’elaborazione in tempo reale. Quindi con

cognitivismo si parla di attività, di operazioni, di regole di apprendimento, piuttosto che di regole

linguistiche.

5.6 LA PROCESSABILITA’

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Teoria formulata per spiegare le sequenze di sviluppo delle abilità procedurali che permettono le sequenze

dell’interlingua. È una teoria psicolinguistica, cognitiva e linguistica. La teoria è importante perché predice il

passaggio da uno stadio all’altro dell’interlingua.

La Teoria della processabilità ha 3 fonti principali:

Prende l’avvio dalle strategie di elaborazione del parlato del Progetto ZISA( anni ’70)

Si rifà al Modello psicolinguistico di Levelt per i processi di produzione linguistica

Usa il modello della Grammatica Lessico - funzionale

Modello di Levelt codifica grammaticale

La codifica grammaticale comprende due livelli di

elaborazione: uno funzionale e uno posizionale.

Al livello funzionale agiscono due componenti di

elaborazione:la selezione lessicale, cioè l’identificazione

dei concetti lessicali adatti per comunicare il messaggio,

e l’assegnazione funzionale, cioè l’assegnazione delle

funzioni sintattiche agli elementi lessicali scelti.

Al livello posizionale, agiscono altre due componenti:

l’assemblaggio sintattico dei costituenti in un ordine

gerarchico, e la flessione morfologica.

Nel processo di questa generazione linguistica incrementale vengono attivate le seguenti procedure di

codifica:

Accesso lessicale

Procedura categoriale

Procedura sintagmatica

Procedura frasale

Procedura della proposizione subordinata, se applicabile

La sequenza di queste procedure è implicazionale: ognuna è requisito necessario per la successiva, e non è

possibile attivarne una senza avere attivato tutte quelle precedenti. Queste procedure seguono la sequenza

con cui vengono attivate nella produzione del parlato.

La variabilità dell’interlingua è definibile a priori dalla specifica gamma di opzioni strutturali di cui

l’apprendente dispone allo stadio dell’interlingua in cui si trova. Questa gamma di opzioni viene chiamata

Spazio delle Ipotesi. Dunque la Teoria della Processabilità delinea le forme possibili a ogni stadio

dell’interlingua.

La variazione dei singoli stadi della gerarchia di processabilità può rendere conto del fenomeno della

FOSSILIZZAZIONE. Questa subentra quando un apprendente sceglie tra le variabili di cui dispone quelle che

lo portano in un vicolo cieco strutturale.

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Infine la Teoria della Processabilità offre alcune APPLICAZIONI NELL’AMBITO DELL’INSEGNAMENTO.

L’apprendente non può saltare uno stadio della sequenza, dato che ogni stadio dipende dall’acquisizione

delle strategie procedurali di quello precedente. All’ipotesi di apprendibilità, segue quindi l’Ipotesi di

Insegnabilità, secondo cui è inutile insegnare regole che richiedono procedure di elaborazione che

appartengono a stadi superiori rispetto a quello attuale in cui si trova l’apprendente.

5.7 CONCLUSIONE

Modello Integrato di Gass tenta di conciliare tanti aspetti dell’apprendimento della L2 incontrati nel

libro.

Secondo Gass nel tragitto dall’INPUT all’OUTPUT,

vengono identificati 4 momenti. Innanzitutto,

bisogna percepire il divario tra quello che si sa già e

quello che c’è da imparare. Quando l’input

percepito e capito (nella COMPRENSIONE) viene

assimilato, abbiamo la terza tappa

dell’ACCETTAZIONE, cui segue la quarta

dell’INTEGRAZIONE con le regole già esistenti nel

sistema.

Nel tragitto intervengono numerosi fattori di

mediazione – fattori di personalità, contesto, ecc.

L’output rappresenta non solo il prodotto finale

della conoscenza linguistica, ma è anche parte attiva

dell’intero processo di apprendimento.