Le scoperte di Celeste, di Catia Belacchi

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Una storia semplice per bambini che parla delle piccole cose della vita, del quotidiano minuto, affinché apprendano ad apprezzarlo e a considerarlo importante.

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Indice

Lingue di fuoco

Noci e nocciole

Gli istrici

Un’insalata di fiori

Le lucciole

Il nido di gazza

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Lingue di fuoco

“Sembrano lingue di fuoco” pensò Celeste guardando

le foglie del piccolo caco che si infiammavano al sole

autunnale del tardo mattino.

L’aria calda prolungava l’estate ma la caligine che ap-

pannava le colline denunciava chiaramente la stagione.

Col suo vecchio cesto di vimini la bimba si avviò verso

la pianta.

Voleva cogliere qualche caco prima che i passeri, ghiot-

ti, se li beccassero tutti; non che a Celeste dispiacesse

ma nel raccogliere i frutti autunnali le sembrava di es-

sere un animaletto del bosco e quella finzione le piace-

va.

Luna, il pastore maremmano che era la sua ombra, la

sentì e la seguì scodinzolando. I tondi frutti aranciati,

attaccati saldamente ai piccioli, spiccavano in mezzo al

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fogliame rossiccio. I primi rami, che si protendevano a

ombrello, le permisero di arrivare ai frutti più bassi.

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Erano lisci, tiepidi al tatto e ancora sodi. Non si face-

vano staccare facilmente ma Celeste era determinata a

non rientrare col cesto vuoto.

Ogni volta che riusciva a staccarne uno lo posava con

cura nel cesto e Luna annusava curiosa, ma non sem-

brava interessata a mangiarselo.

Il piccolo “crac” che il frutto faceva staccandosi, era se-

guito da un tenue odore amarognolo che emanava dal

picciolo.

“Anche le piante hanno il loro aroma”, pensò la bimba

“non solo i fiori! Non ci avevo mai fatto caso prima!”

Le pareva, ora, di conoscere meglio la pianta e per sug-

gellare questa scoperta pensò di ricambiare: abbracciò il

tronco e stette così per un po’ perché la pianta potesse

sentire il suo di odore e la riconoscesse tra le altre bam-

bine. E stando così abbracciata le sembrò, per un atti-

mo, di essere parte della pianta, di essere una cosa sola

con essa.

Si riscosse quando Luna, gelosa, richiese la sua atten-

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zione dandole piccole spinte col muso. Allora raccolse

il cesto e, contenta come non era mai stata prima, rien-

trò in casa.

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Noci e nocciole

“E’ ora di iniziare a fare provviste” pensò Celeste, quel-

la mattina d’inizio autunno, quando vide le prime noc-

ciole e le prime noci sparse lungo il ciglio dello strado-

ne.

Prese il cesto di vimini e si avviò al cancello che divide-

va il giardino dalla strada.

Luna, che sonnecchiava sdraiata sul prato, la vide e,

lemme lemme, la seguì.

“Ti piace ogni tanto uscire eh birba?” le disse la bambi-

na. Il cane, in risposta, si mise a scodinzolare.

Iniziarono con le nocciole: alcune erano bene in vista,

altre bisognava cercarle sotto lo strato d’erba, di foglie

ingiallite e di rametti.

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Ma era un lavoro gradevole; anche Luna aiutava, ra-

spando. Quando scopriva le nocciole si fermava e Cele-

ste le raccoglieva e le metteva nel cesto.

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A volte trovavano gusci rotti senza più nocciola.

“Guarda, qualcuno ha fatto un buon pranzo!” diceva

Celeste a Luna. “Saranno stati gli scoiattoli o i topoli-

ni?” Celeste sapeva che c’erano gli scoiattoli; sua ma-

dre, una sera, ne aveva visto uno salire in fretta lungo

una scarpata e poi scomparire. Le piaceva pensare che

non solo i topini ma anche gli scoiattoli mangiassero le

sue noci e le sarebbe piaciuto vederne uno.

Alcune nocciole, poi, erano ancora attaccate ai rami col

cappellino arricciato e il guscio pareva il viso di una

piccola bambola. “Sono buffe”, pensava la bimba, “ma

anche gustose.” Sapeva che il babbo ne era ghiotto e vo-

leva fargli una sorpresa.

Finita la raccolta delle nocciole iniziò quella delle noci.

Stavolta era più facile, ce n’erano tante sparse attorno.

Alcune avevano ancora il mallo verde che tingeva le di-

ta le quali, a forza di raspare, sapevano di marcio e di

terra. Riempito il cesto Celeste si sentì soddisfatta.

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Quel giorno aveva fatto un buon lavoro ed era contenta

di essere stata, per un po’, come un abitante del bosco

che faceva provviste per l’inverno.

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Gli istrici

Era una tiepida serata primaverile. Celeste era in giar-

dino e osservava Luna che uggiolava e scodinzolava

accanto al cancello. “Vuole uscire,” pensò la bimba

“eppure ha già fatto la sua passeggiata.” Quel compor-

tamento era insolito. Celeste decise di darle retta: le mi-

se il guinzaglio e uscirono mentre il cielo iniziava ad

imbrunire prendendo pian piano il colore della sera.

Lo stradone era silenzioso: gli uccelli, chiassosi e petu-

lanti di giorno, si erano rannicchiati tra le siepi e ripo-

savano. Si sentivano soltanto i passi felpati della bam-

bina e del cane che procedevano lentamente. Luna, in-

fatti, si fermava di frequente ad annusare lungo la riva

del fosso da un lato e lungo il bordo del campo

dall’altro. “Chissà cosa sente!”

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pensava la bimba “Chissà gli odori che sensazioni le

portano!”

Lei intanto si guardava attorno: le siepi di rovo e di ro-

sa canina, che di giorno conosceva così bene, ora le

sembravano misteriose e aveva la sensazione che qual-

cuno le abitasse. La campagna, in quel momento della

giornata, era una presenza viva e Celeste si sentiva

immersa in una magia. Le piaceva credere che le siepi e

i fossi, di notte, fossero le case di altri abitanti della na-

tura: delle fate, dei folletti, degli gnomi, come a volte

leggeva nei racconti, la sera, prima di addormentarsi.

Ad un tratto, arrivati al punto in cui la strada curvava

un po’ e si avvallava lievemente, Luna si fermò e rima-

se immobile fiutando, col muso leggermente proteso.

Celeste le si fermò accanto. Ed ecco spuntare, dal cam-

po di ulivi, due istrici. Procedevano cauti, uno dietro

l’altro, il corpo robusto e la grande cresta di aculei di-

stesa sulla schiena come una corona.

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Celeste rimase paralizzata dalla sorpresa: un oh di me-

raviglia le salì in gola ma non le uscì alcun suono.

L’istrice davanti procedeva solenne lungo lo stradone

verso di loro e la bimba poté osservarlo: aveva un mu-

setto sporgente con occhi tondi e scuri; sulla testa e sul

collo partivano ciuffi ruvidi di peli chiari e aculei ap-

puntiti che sembravano una criniera. Poi l’animale

svoltò verso il fosso superò la riva e scomparve seguito

dal compagno.

Lo stradone era di nuovo vuoto. “E’ successo davvero o

l’ho sognato?” pensò Celeste. Ma Luna, che ora si era

riscossa e pestava e raspava impaziente nel luogo in cui

i due animali si erano eclissati, le fece capire che

l’incontro era stato reale. “Su vieni, non vorrai spaven-

tarli, adesso! Lì sotto avranno la tana e forse anche i

piccoli! Ecco perché questa sera eri così eccitata, sapevi

che sarebbe successo qualcosa di magico e volevi che io

lo vedessi.”

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Allora la bimba si accovacciò e abbracciò stretto stretto

il cane.

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Un’insalata di fiori

Quel giorno Celeste non stava più in sé dall’eccitazione:

nel pomeriggio sarebbe arrivata la zia.

La bimba non la vedeva da un po’ e non le sembrava

vero poterla riabbracciare. Le voleva molto bene perché

la zia era piena di inventiva e i momenti passati con lei

si trasformavano sempre in autentiche scoperte. Inoltre,

tutte le volte che arrivava, le portava un mazzolino di

fiori e questo la faceva sentire speciale. Quel giorno la

bimba preparò un mazzetto di margherite per la zia.

Celeste si mise ad aspettarla fin dal primo pomeriggio,

impaziente; ma, come al solito, la zia tardò e quando fi-

nalmente Luna annunciò il suo arrivo abbaiando, era

ormai pomeriggio avanzato.

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“Come sta la mia nipotina?” chiese appena scesa dalla

macchina. “Vedo che è un po’ imbronciata” continuò.

“Lo so, non dire niente, ho tardato, ma per farmi per-

donare mi fermerò qualche giorno e faremo molte cose

insieme.” E, mentre si scusava, le porse un mazzo di

fiori comprato apposta per lei. Anche Celeste l’abbrac-

ciò e le porse il mazzetto di margherite.

“Sono arrivata giusto in tempo per preparare la cena”

continuò la zia che era una cuoca provetta, “e tu sarai la

mia aiutante. Stasera prepareremo solo cibi campagno-

li, sentirai che gusti!”

Dopo che la zia si fu riposata un po’ disse a Celeste:

“Ora andremo a vedere cosa ci regala l’orto, poi ci diri-

geremo lungo la strada, ho già visto qualche erbetta in-

teressante.” Presi cesto e coltellini zia e nipote si avvia-

rono.

Era una bella giornata di primavera e l’orto era ancora

inondato di luce.

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Trovarono lattuga, porcellana, ruchetta e cicoria selva-

tica. La zia, mentre raccoglievano, insegnò a Celeste

come riconoscerle.

Si portarono poi lungo la strada. Avvinte ai rami di ro-

vo e biancospino c’erano tanti viticci di vitalba.

“Vedi questa pianta rampicante?” disse la zia alla bim-

ba “I germogli che si trovano in cima ad ogni rametto

sono ottimi per fare la frittata, ne raccoglieremo un

po’”. E così Celeste si mise ad aiutare la zia, cogliendo

quelli che stavano più in basso.

“Venendo ho visto i fiori di borragine,” aggiunse la zia

“quelli, insieme alle margherite, li useremo per guarni-

re l’insalata.”

“I fiori nell’insalata?” chiese sbigottita la bimba” “Sì,”

la rassicurò la zia, “vedrai che colori e che sapori! Fida-

ti.” E Celeste si fidò, sapeva che la zia in cucina era im-

battibile.

“Per ultimo raccoglieremo le cime di senape;” disse la

zia “questa pianta la conosci perché fa tutti quei fiori

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gialli che in estate adornano i bordi delle strade di

campagna. Le useremo per un sugo veloce.” E così Ce-

leste imparò a riconoscere anche la senape.

Finita la raccolta il cesto traboccava di erbe e di odori.

Arrivate in giardino Celeste ebbe l’incarico di raccoglie-

re delle margherite.

In cucina separarono le erbe, le lavarono poi la zia pre-

se le cime di senape e le fece saltare in padella; lo stesso

fece con le cime di vitalba e mise sul fuoco l’acqua per

la pasta. Intanto Celeste sbatteva le uova per preparare

la frittata. Mentre la pasta cuoceva, le due pensarono

all’insalata. Era davvero tanta: un miscuglio di erbe, di

odori, di sapori. “Le mie insalate, però, hanno sempre

un tocco speciale” disse la zia.

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“Ora tu la guarnirai con il giallo e il bianco delle mar-

gherite e l’azzurro delle stelline di borragine.”

Alla fine, dopo quel tocco di colori, l’insalata aveva

davvero una aspetto particolare, invitante e fresco.

Quando anche la pasta fu pronta, la zia la condì con le

cime di senape.

Celeste chiamò la famiglia a tavola e fu molto orgoglio-

sa di aver collaborato a quella cena improvvisata, fatta

solo coi prodotti che offriva la terra.

La zia non l’aveva delusa.

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Le lucciole

Era arrivato giugno.

Le giornate si erano allungate e verso le colline, al tra-

monto, il cielo assumeva sfumature violacee che lenta-

mente sbiadivano per far posto all’imbrunire.

Quella sera la mamma disse a Celeste: “Dopo cena,

quando sarà calato il buio, faremo una passeggiata ver-

so i campi, ci aspetta una sorpresa.”

Quando la mamma parlava di sorprese, era inutile

chiedere, perciò Celeste, per ingannare l’attesa, andò in

giardino a tormentare Luna.

Infine il momento arrivò: il babbo e la mamma uscirono

e tutti e quattro si incamminarono verso lo stradone.

Lungo il primo tratto, le fronde alte delle siepi forma-

vano un tunnel fitto che non lasciava filtrare neanche

un po’ di chiarore.

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Procedevano in silenzio per captare i rumori e i richia-

mi della notte.

Luna li precedeva, camminando pigra.

Subito dopo il tunnel, su un lato, la siepe si apriva su

una distesa di grano.

L’oro delle spighe, che di giorno trasformava il campo

in un mare dorato, spariva inghiottito dal buio. Quella

sera Celeste, però, vide una miriade di piccoli lumi, si-

mili a minuscole stelle, che si accendevano e spegneva-

no illuminando lo spazio intorno. Conosceva le luccio-

le, ogni tanto qualcuna riluceva nel prato di casa, ma

mai ne aveva viste così tante da rischiarare la notte.

“E’ magnifico!” disse la bambina “Il cielo si è capovolto

e ha mandato giù le sue stelline.”

Intanto Luna, eccitata, cercava di acchiapparne qualcu-

na facendo piccoli balzi.

“Quando ero piccola” si mise a raccontare la mamma

“noi bambine andavamo per le strade di campagna per

cercare di catturarle.

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Recitavamo una filastrocca che doveva aiutarci ad ac-

chiapparle, come per magia.

Diceva così:

Lucciola lucciola vien da me,

ti darò il pan del re,

il pan del re e della regina,

lucciola lucciola cappuccina.

Naturalmente loro non si facevano catturare ma a noi

piaceva tanto inseguirle.”

Allora Celeste e la mamma provarono insieme a chia-

mare le lucciole ma anche quella sera non ne vollero

sapere di farsi prendere.

Poi, su uno stelo d’erba, lungo il bordo del campo, il

babbo indicò a Celeste un lumino: era una lucciola che

si era posata. Celeste la osservò da vicino: aveva le ali

aperte e lasciava vedere l’addome molle che si accen-

deva e si spegneva.

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“Adesso ho capito da dove viene la luce” disse la bam-

bina; poi il babbo scosse lo stelo e la lucciola riprese il

volo.

E, mentre le lucciole facevano compagnia al grano, la

famiglia stette ancora un po’ a guardare poi lentamente

si avviò verso casa.

Quando fu nella sua cameretta, mentre i genitori le au-

guravano la buonanotte, Celeste disse. “E’ stata davve-

ro una bella sorpresa. Adesso so cosa fare quando di

notte mi sveglio ed è buio: penserò alle lucciole così

non avrò paura.”

E con le lucciole che le danzavano davanti agli occhi si

addormentò.

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Il nido di gazza

Ogni tanto Celeste le vedeva alzarsi in volo dagli alberi

alti della siepe, compiere brevi giri con un battito lento

di ali, e poi posarsi sui campi a volo radente.

A volte, dal fosso più in basso, le giungevano i loro ri-

chiami striduli.

Per Celeste le gazze erano ormai una presenza consueta

attorno alla casa e osservarle la riempiva di piacere.

Un giorno il babbo le mostrò dove avevano i nidi.

Su due alte acacie, tra il fogliame, si intravedeva un

groviglio di rami a forma quasi di palla.

“E’ lassù che crescono i piccoli” le disse il babbo.

“Chissà come si sentiranno così in alto!” osservò Cele-

ste “E’ come se dormissero in una culla sospesa dentro

una nuvola verde!”

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“Hai proprio ragione,” le rispose il babbo “ deve essere

una bella sensazione.”

Verso la fine dell’estate, tirò un vento forte che scuote-

va gli alberi e i sibili, tra le fronde, sembravano cupi la-

trati.

Il mattino seguente il babbo uscì presto con Luna per

controllare la strada: poteva essersi spezzato un grosso

ramo che ostruiva il passaggio, oppure il fogliame ca-

duto poteva aver chiuso i fossi.

Celeste li vide tornare: Luna davanti che scodinzolava,

il babbo dietro con la carriola e gli attrezzi. Sulla carrio-

la, però, c’era qualcosa di strano.

“Guarda cosa ti ho portato!” le disse il babbo “

E’ uno dei nidi di gazza che ti ho mostrato qualche

tempo fa, ricordi? Deve essere caduto a causa del vento

di stanotte.”

Celeste, eccitata, lo prese: era grande e dovette reggerlo

tra le braccia.

“Sembra una piccola barca!” disse la bimba.

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In un angolo del giardino si sedette e lo osservò.

Era un groviglio di rametti intrecciati in cerchi sempre

più ampi e sembrava proprio una culla capiente.

“Se lo rovescio può sembrare anche un buffo cappello”

pensò la bimba.

Dentro, un po’ di muschio e qualche filo d’erba forma-

vano un cuscino assai morbido che attutiva il duro del

legno.

Il nido emanava un odore secco di terra e di fieno.

“Chissà quanti piccoli ha visto nascere questo nido!”

pensò la bimba “Lo porterò in camera e lo userò per te-

nere la mia raccolta di sassi.”

Così la stanza di Celeste si riempì di un’altra delle sue

cose preziose.

Ogni sera, prima di coricarsi, la bimba dava uno sguar-

do al nido poi, a letto, immaginava di essere un piccolo

di gazza che dormiva in una culla sospesa dentro una

nuvola verde, e si addormentava.

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e disponibili presso l’Eremo dal silenzio, San Costanzo

La meditazione nel percorso educativo

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Dove risiede il mio essere

Edizione privata, Eremo dal silenzio

Lisa e nonna Mena

Edizioni Estroverso

Biò e Favorì

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