Le Scienze 1972 marzo n. 43 I tamburi parlanti dell'Africa di John. F Carrington

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I tamburi del Congo, chiamati gong, vengono ricavati da un albero particolare. I lokele hanno un gong a forma di cilin- dro (b). Le aperture dei gong bankundo (a) e di quelli balu- ha (c) sono più complicate. I gong azande (d) hanno la forma di un animale e quelli batetela sono triangolari (e). Gli altri tre (f-h) sono delle variazioni di queste forme principali. • a»NOI ,ffill11101):1111111nm Offline,' ritowsp,AN„ o i nyolipid Nonostante siano state raccontate molte fantasie su questo argomento il linguaggio dei tamburi è una realtà. Inoltre, i suonatori africani di tamburo sono stati i primi a utilizzare il principio della ridondanza I tamburi parlanti dell'Africa C iò che si racconta sul linguaggio dei tamburi dell'Africa suscita, generalmente, o una approvazio- ne incondizionata oppure un infonda- to scetticismo. Questo ultimo si spiega con le strane teorie per le quali il lin- guaggio dei tamburi ha una velocità di trasmissione maggiore di quella del suo- no, o con altre che dichiarano l'esisten- za negli uomini a primitivi » di perce- zioni extrasensoriali, oramai atrofizzate nei popoli più civilizzati. Per poter spie- gare il linguaggio dei tamburi non vi è certo bisogno di fare appello alla te- lepatia. Il suo meccanismo può venire definito prolisso, ma nessuno che abbia vissuto nell'Africa centrale può dubita- re della sua esistenza. In molti villaggi del Congo la presenza di una o più ca- panne dove si tengono i tamburi, op- pure l'uso di questo linguaggio per tra- smettere i più comuni messaggi, basta- no a eliminare ogni incredulità. Ricordo di avere visto un giorno due uomini che mi venivano incontro in una strada di un villaggio. Uno dei due bal- zò nella capanna ove era posto il tam- buro e batté un rapido messaggio pri- ma di raggiungere l'amico. Il villaggio era situato in una zona della quale non conoscevo il linguaggio dei tamburi, ed ero curioso di scoprire cosa quell'uo- mo avesse segnalato in cosi breve tem- po, dico breve tempo perché in genere un messaggio non è più lungo di alcu- ni minuti. Egli mi disse che quella mat- tina aveva lasciato le sue sigarette a ca- sa, distante all'incirca un chilometro. Sapendo che un amico intendeva rag- giungerlo più tardi, lo aveva chiamato mediante il tamburo per pregarlo di portargli le sigarette. Messaggi non più importanti di questo possono essere uditi mattina e sera e spesso per tutto il giorno e per tutta la notte in molti villaggi della repubblica del Congo ed in altre regioni dell'Africa a sud del Sahara. di John F. Carrington Il significato del linguaggio dei tam- buri — o, come più giustamente viene chiamato nel Congo, il linguaggio gong —è rimasto circondato di mistero in parte a causa della confusione creata dal linguista tedesco Cari Meinhof che è stato uno dei primi a interessarsi al problema. Ascoltando i suonatori di gong di una comunità del Camerun, egli cercò di fare un paragone fra le note suonate e la loro lingua parlata. Per esempio, per esprimere il concetto di « cane », i suonatori di gong trasmet- tevano un segnale di sei sillabe che fo- neticamente si traduce in un kuku to- tokulo. Nella lingua parlata, il vocabo- lo che vuol dire a cane », invece, era mbo. Meinhof concluse che a non vi è alcuna rassomiglianza fra i suoni bat- tuti sul tamburo e il linguaggio parlato dalla gente », creando un ingannevole mistero che è alla base della confusio- ne che perdura ancora oggi. Meinhof, tuttavia, non era stato intenzionalmen- te ingannato dai suoi informatori; per esprimere senza ambiguità un signifi- cato che viene chiaramente trasmesso in una sillaba del linguaggio parlato, possono occorrere sei o dieci o più sil- labe del linguaggio gong. Fra i lokele, il gruppo linguistico dell'Alto Congo che mi è più familiare, la locuzione gong che significa «cane » ha 14 silla- be e la parola che esprime lo stesso con- cetto « cane » (ngwa) ne ha una sola. Tradotta, l'espressione gong ha il se- guente significato: a cane gigante, pic- colino che abbaia kpei kpei ». Certa- mente la parola a cane » appare nella frase gong, ma tutte le altre parole so- no destinate a chiarire che ciò che si vuol esprimere è un cane e non qual- cosa altro rappresentato da una paro- la di una sillaba in tono basso. Questa forma di linguaggio gong è dovuta al fenomeno della tonalità, ele- mento chiave di quasi tutti i linguaggi africani e praticamente assente dalle lingue europee. Facciamo un esempio in italiano. La frase a loro sono in ca- sa », quando viene detta con uguale ac- cento posto su ogni parola ha chiara- mente un significato diverso da un in- terrogativo « loro sono in casa? » o da un enfatico a loro sono in casa! » Nel primo caso la voce di chi parla cala di tono durante la affermazione. Nel se- condo, a casa » è detta in tono di voce più alto e nel terzo a in » è la parola accentuata. Nei linguaggi congolesi que- sto uso « semantico del tono » è evi- dente in ogni singola parola. Nella lin- gua lokele parlata, che è composta di 19 consonanti e di nove vocali, è pos- sibile comporre solo 133 suoni sillabi- ci distintamente diversi, il risultato di 19 per sette. Mediante, però, delle va- riazioni di tonalità, le parole formate da identiche sillabe possono essere di- verse l'una dall'altra. Negli esempi se- guenti le sillabe di tono acuto verran- no indicate dalla lettera maiuscola e quelle di tono basso con la lettera mi- nuscola. Prendiamo la parola che signi- fica rame: bosongo. Le stesse tre silla- be significano anche « corrente del fiu- me » e pestello ». Le tre sillabe per rame, però, sono in tono basso, mentre « corrente del fiume » è bosoNGO e « pestello » è boSONGO. Cosí come longo significa « irritazione », LOngo è « collina » e loNGO vuole dire « cra- nio ». Stranamente non esiste in lingua lokele la parola LONGO, la quarta possibile variazione di tono. Poiché abbiamo visto che in questa lingua ogni sillaba può venire detta sia in tono alto che in quello basso, vi so- no quattro modi possibili per accentua- re una parola di due sillabe, otto mo- di di accentuare una parola di tre sillabe, e cosí via. Lo straniero sprov- veduto può facilmente incontrare delle difficoltà. Per esempio, liAla significa « fidanzata » mentre fiala vuole dire a deposito di rifiuti ». Colui che dice 76 77

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Nonostante siano state raccontate molte fantasie su questo argomento il linguaggio dei tamburi è una realtà. Inoltre, i suonatori africani di tamburo sono stati i primi a utilizzare il principio della ridondanza

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I tamburi del Congo, chiamati gong, vengono ricavati da unalbero particolare. I lokele hanno un gong a forma di cilin-dro (b). Le aperture dei gong bankundo (a) e di quelli balu-

ha (c) sono più complicate. I gong azande (d) hanno la formadi un animale e quelli batetela sono triangolari (e). Gli altritre (f-h) sono delle variazioni di queste forme principali.

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Nonostante siano state raccontate molte fantasie su questo argomento illinguaggio dei tamburi è una realtà. Inoltre, i suonatori africani ditamburo sono stati i primi a utilizzare il principio della ridondanza

I tamburi parlanti dell'Africa

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iò che si racconta sul linguaggiodei tamburi dell'Africa suscita,generalmente, o una approvazio-

ne incondizionata oppure un infonda-to scetticismo. Questo ultimo si spiegacon le strane teorie per le quali il lin-guaggio dei tamburi ha una velocità ditrasmissione maggiore di quella del suo-no, o con altre che dichiarano l'esisten-za negli uomini a primitivi » di perce-zioni extrasensoriali, oramai atrofizzatenei popoli più civilizzati. Per poter spie-gare il linguaggio dei tamburi non viè certo bisogno di fare appello alla te-lepatia. Il suo meccanismo può veniredefinito prolisso, ma nessuno che abbiavissuto nell'Africa centrale può dubita-re della sua esistenza. In molti villaggidel Congo la presenza di una o più ca-panne dove si tengono i tamburi, op-pure l'uso di questo linguaggio per tra-smettere i più comuni messaggi, basta-no a eliminare ogni incredulità.

Ricordo di avere visto un giorno dueuomini che mi venivano incontro in unastrada di un villaggio. Uno dei due bal-zò nella capanna ove era posto il tam-buro e batté un rapido messaggio pri-ma di raggiungere l'amico. Il villaggioera situato in una zona della quale nonconoscevo il linguaggio dei tamburi, edero curioso di scoprire cosa quell'uo-mo avesse segnalato in cosi breve tem-po, dico breve tempo perché in genereun messaggio non è più lungo di alcu-ni minuti. Egli mi disse che quella mat-tina aveva lasciato le sue sigarette a ca-sa, distante all'incirca un chilometro.Sapendo che un amico intendeva rag-giungerlo più tardi, lo aveva chiamatomediante il tamburo per pregarlo diportargli le sigarette. Messaggi non piùimportanti di questo possono essereuditi mattina e sera e spesso per tuttoil giorno e per tutta la notte in moltivillaggi della repubblica del Congo edin altre regioni dell'Africa a sud delSahara.

di John F. Carrington

Il significato del linguaggio dei tam-buri — o, come più giustamente vienechiamato nel Congo, il linguaggio gong—è rimasto circondato di mistero inparte a causa della confusione creatadal linguista tedesco Cari Meinhof cheè stato uno dei primi a interessarsi alproblema. Ascoltando i suonatori digong di una comunità del Camerun,egli cercò di fare un paragone fra lenote suonate e la loro lingua parlata.Per esempio, per esprimere il concettodi « cane », i suonatori di gong trasmet-tevano un segnale di sei sillabe che fo-neticamente si traduce in un kuku to-tokulo. Nella lingua parlata, il vocabo-lo che vuol dire a cane », invece, erambo. Meinhof concluse che a non vi èalcuna rassomiglianza fra i suoni bat-tuti sul tamburo e il linguaggio parlatodalla gente », creando un ingannevolemistero che è alla base della confusio-ne che perdura ancora oggi. Meinhof,tuttavia, non era stato intenzionalmen-te ingannato dai suoi informatori; peresprimere senza ambiguità un signifi-cato che viene chiaramente trasmessoin una sillaba del linguaggio parlato,possono occorrere sei o dieci o più sil-labe del linguaggio gong. Fra i lokele,il gruppo linguistico dell'Alto Congoche mi è più familiare, la locuzionegong che significa «cane » ha 14 silla-be e la parola che esprime lo stesso con-cetto « cane » (ngwa) ne ha una sola.Tradotta, l'espressione gong ha il se-guente significato: a cane gigante, pic-colino che abbaia kpei kpei ». Certa-mente la parola a cane » appare nellafrase gong, ma tutte le altre parole so-no destinate a chiarire che ciò che sivuol esprimere è un cane e non qual-cosa altro rappresentato da una paro-la di una sillaba in tono basso.

Questa forma di linguaggio gong èdovuta al fenomeno della tonalità, ele-mento chiave di quasi tutti i linguaggiafricani e praticamente assente dalle

lingue europee. Facciamo un esempioin italiano. La frase a loro sono in ca-sa », quando viene detta con uguale ac-cento posto su ogni parola ha chiara-mente un significato diverso da un in-terrogativo « loro sono in casa? » o daun enfatico a loro sono in casa! » Nelprimo caso la voce di chi parla cala ditono durante la affermazione. Nel se-condo, a casa » è detta in tono di vocepiù alto e nel terzo a in » è la parolaaccentuata. Nei linguaggi congolesi que-sto uso « semantico del tono » è evi-dente in ogni singola parola. Nella lin-gua lokele parlata, che è composta di19 consonanti e di nove vocali, è pos-sibile comporre solo 133 suoni sillabi-ci distintamente diversi, il risultato di19 per sette. Mediante, però, delle va-riazioni di tonalità, le parole formateda identiche sillabe possono essere di-verse l'una dall'altra. Negli esempi se-guenti le sillabe di tono acuto verran-no indicate dalla lettera maiuscola equelle di tono basso con la lettera mi-nuscola. Prendiamo la parola che signi-fica rame: bosongo. Le stesse tre silla-be significano anche « corrente del fiu-me » e pestello ». Le tre sillabe perrame, però, sono in tono basso, mentre« corrente del fiume » è bosoNGO e« pestello » è boSONGO. Cosí comelongo significa « irritazione », LOngo è« collina » e loNGO vuole dire « cra-nio ». Stranamente non esiste in lingualokele la parola LONGO, la quartapossibile variazione di tono.

Poiché abbiamo visto che in questalingua ogni sillaba può venire detta siain tono alto che in quello basso, vi so-no quattro modi possibili per accentua-re una parola di due sillabe, otto mo-di di accentuare una parola di tresillabe, e cosí via. Lo straniero sprov-veduto può facilmente incontrare delledifficoltà. Per esempio, liAla significa« fidanzata » mentre fiala vuole direa deposito di rifiuti ». Colui che dice

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In antitesi ai gong di legno del Congo, nell'Africa occidentale sono in uso dei verie propri tamburi. Due tipi di tamburi ashanti (I e ,1) vengono mostrati nella figuraa fondo pagina. I gong del Congo (A-E) sono mostrati nella pagina precedente.

Il tamburo ashanti. a forma di clessidra, (a sinistra) cambia di tonalità mediante la pres-sione sulle cinghie che uniscono le due estremità. I due tamburi (a destra), conosciuticome « marito e moglie », hanno un tono diverso e vengono usati alternativamente.

I gong in legno del Congo sono quasisempre ricavati dal cuore del legno ros-so di un albero d'alto fusto che secer-ne anche una sostanza polverosa cheviene cosparsa sul corpo in occasionedi determinate cerimonie.

Il fabbricante di gong scava unaapertura in un tronco rotondo di que-sto legno rosso e poi incava il troncodel tutto, facendo attenzione di aspor-tare più legno da una parte della aper-tura che dall'altra. Ne risulta che quan-do un orlo della apertura viene percos-so con un bastoncino ricoperto di gom-ma, il gong emette una nota bassa, equando si percuote l'altro orlo, vieneprodotta una nota più alta. Gli africa-ni che usano i gong considerano il suo-no più basso come la voce del maritoe quello più alto come la voce dellamoglie. Questo si riferisce, inoltre, algrado di intensità più che al tono stesso.Se il suono acuto di un gong ha mag-giore portata di quello basso, sarà quel-lo che arriva più lontano ad essereconsiderato il maschio. Il suono delgong può arrivare molto lontano. Seuno strumento di grandi proporzioniviene posto sulla sponda di un fiume,lo si può udire, nelle fresche e quieteore della sera o del primo mattino, sina otto o nove chilometri di distanza. Igong più piccoli si fanno sentire pertre o quattro chilometri.

La forma più semplice di gong par-lante è quella usata dai lokele che vi-vono vicino a Kisangani (ex Stanleyvil-le), dove è conosciuto come boungu obongungu. Consiste semplicemente inun cilindro di legno rosso incavato eaperto per tutta la sua lunghezza. Imongo del Congo centrale adoperanoun gong simile a questo (che chiamanolokole), con la differenza che gli orlidell'apertura hanno delle piccole spor-genze nel tratto centrale. Il gong dellaregione del Katanga (chiamato mondo)ha delle sporgenze ancora più lunghe.La zona marginale sotto le sporgenzedel mondo è cosí spessa che l'apertu-ra sembra consistere di due cavità qua-dre unite da una stretta fessura. I gongin uso nella zona dei mayombe, vicinoalla costa dell'Atlantico, sono simili; laloro parte esterna, tuttavia, non è diforma circolare a sezioni trasversali, maquasi triangolare. Verso il nord gliazande ed i loro simili producono deigong elaborati ai quali viene data laforma di un animale, come per esem-pio l'antilope, completa di testa, coda equattro zampe; l'apertura segue la lineadella spina dorsale dell'animale.

Come possono parlare i gong? Il let-tore, probabilmente, avrà già intuitoun nesso fra gli alti e i bassi toni deilinguaggi congolesi e i due « toni di vo-

ce » dei gong, e può aver scoperto ilmotivo della necessità, da parte dei tra-smettitori del Camerun, di usare seisillabe tambureggiate per esprimere laparola di una sillaba che significa « ca-ne ». Il fatto è che i due toni delgong non vengono usati per trasmette-re vocali e consonanti ma per imitare itoni di frasi comunemente usate. Cia-scuna frase è riconosciuta dal trasmetti-tore e da chi la riceve come l'equiva-lente di una data parola del linguaggioparlato, come viene dimostrato dai se-guenti esempi. In lingua lokele la pa-rola per « banana » è likondo. L'equi-valente frase nel linguaggio gong èlikondo LlboTUmbela, che significa« un grappolo di banane sorrette ». Laparola per « manioca » è lomata; lafrase gong è lomata oTlkala KOndo, o« manioca lasciata su terreno incolto ».Ugualmente, la parola per « in alto » èlikolo e la frase gong è likolo koNDAU-SE, o « in alto nel cielo ». « Leopar-do » è ngoi ma viene trasmesso comeALONGA losambo, o « egli lacera iltetto », « capra » è MBUli e trasmessodiviene iMBUmbuli SHAoKENGE, cioè« piccola capra del villaggio », e « le-gna da ardere », toALA, è trasmessacome tokolokolo TW A toALA, o « pic-coli pezzi di legna da ardere ».

Dunque se il traismettitore mandassesemplicemente i toni delle prime treparole sopra citate — likondo, lomata elikolo — ciascuna verrebbe rappresenta-ta da tre identici colpi sulla parte « ma-schile » del gong e i suoni sarebberoinidentificabili l'uno dall'altro. Poichéinvece ogni parola viene rappresentatada una lunga frase accentuata, l'interamelodia della frase è sufficiente a iden-tificarla. Basta solo che colui che tra-smette e colui che riceve abbiano incomune una certa quantità di frasistereotipate.

La ragione per cui le frasi sono spes-so in forma gioviale o scherzosa è

probabilmente quella di facilitare il ri-tenere a memoria questo vocabolariopiuttosto ampio di frasi fatte. La for-ma gong per « cane » nel linguaggiolokele — « cane gigante, piccolino cheabbaia kpei kpei » — è un diminutivoaffettuoso dello stesso tipo di quello chein lingue europee trasforma Jack inJackie e Giovanni in Giannino. Lo stes-so dicasi per la forma gong di « capra »e di « legna da ardere » e, analizzan-dola, la forma gong di « manioca »(« ciò che rimane sul terreno incoltosono i pezzetti lasciati dopo che è av-venuto il grosso raccolto »). Dan Craw-ford, che lavorò nel Congo come mis-sionario, ha descritto con affetto que-sto aspetto del gong mondo: «Non un

noioso... rataplan ma un tamburo a cuipiacciono pure i pettegolezzi; un tam-buro che può anche raccontare una bar-zelletta. Spesso... potete udire... unoscoppio di risa. [Gli ascoltatori] stannoridendo per il piacevole senso di umo-rismo del sig. Mondo alla distanza didieci chilometri ».

Le frasi ci insegnano pure molte co-se sulla cultura della gente che le hainventate. La maniaca si conserverànell'orto per un lungo tempo sino a cheve ne sarà bisogno. Poiché i grappolidi banane divengono pesanti è necessa-rio sostenerli con delle bacchette affin-ché non pieghino il debole fusto dellapianta e non marciscano al contatto delsuolo. I leopardi sono pericolosi anchequando la stalla della capra ha delleporte resistenti; possono lacerare il tet-to di paglia per arrivare alla loro preda.

Il trasmettitore lokele da secoli stafacendo ciò che gli studiosi occidentalidi mezzi di comunicazione hanno rico-nosciuto essenziale solo alcune decinedi anni fa. Egli utilizza il principio del-la ridondanza. Nel 1928 Ralph V. L.Hartley dei Bell Telephone Laborato-ries, il quale stava studiando la intellegi-bilità delle comunicazioni per telefono,espresse il rapporto fra la quantità diinformazione contenuta in un messag-gio (H) ed il numero dei segnali impie-gati (N) sul totale disponibile (S) nellaequazione H = N log2 S. Se usiamol'equazione di Hartley per determinarequante sillabe lokele bisogna trasmet-tere, considerando che il numero tota-le delle sillabe disponibili nel linguag-gio sono 266 (133 combinazioni vocale--consonante in tono alto e 133 in tonobasso), ci sembra chiaro che per ciascu-na sillaba di una parola occorrono cir-ca otto sillabe del linguaggio gong. Seil lettore esamina le frasi da me citate,si accorgerà che i trasmettitori lokelegeneralmente non hanno sbagliato dimolto, anche se ogni tanto una frasepuò eccedere il rapporto di Hartley. Ilokele, in ogni modo, raggiungono larichiesta ridondanza semplicemente ri-petendo la stessa frase. A causa di que-sta ripetizione anche dei messaggi par-lati relativamente brevi richiedono variminuti per essere trasmessi.

La necessità di costruire una frasegong molto più lunga della parola stes-sa si riflette nei nomi gong dati sia aindividui che a villaggi. Per esempio, ilvillaggio di Yakusu, a circa 25 chilo-metri a ovest di Kisangani, ha il nomegong di afaKA kolaaLEtnbu, frase cheprobabilmente deriva dai nomi di dueantichi abitanti del villaggio. Gli abi-tanti di Yaalufi, vicino al centro agri-colo di Yangambi, si vantano a cau-sa del loro nome. gong, di essere « gli

anziani di Yaokanja » (nome geogra-fico della regione centrale lokele); gliabitanti di Yatuka, che abitano all'in-circa a 85 chilometri a nord di Yaalufi,sono fieri di usare il nome gong di« padroni del fiume ».

Talvolta i nomi gong commemora-no degli eventi storici. Per esempio, gliabitanti di Yatuka dimostrarono di es-sere i veri padroni del fiume in occa-sione di una sfida degli abitanti di unvillaggio vicino, dislocato sulla stessasponda del fiume. A quel tempo il no-me gong del villaggio sfidante era « es-si avevano il rimedio per combatterela sventura ». Dopo aver vinto la batta-glia, gli abitanti di Yatuka costrinseroil villaggio sconfitto a spostarsi sullasponda opposta, dove il suo appellati-vo cambiò in « lo spirito cattivo nonha amici o famiglia ».

Quando vengono trasmessi nomi per-sonali, l'intera versione può rispec-chiare fedelmente il nome parlato, op-pure può identificare l'individuo attra-verso dei riferimenti ai suoi genitori, op-pure ancora può essere del tutto im-maginario. Un assistente medico da meconosciuto a Kisangani era orfano, eil suo nome era Lotika, che significaorfano in lingua lokele. Il suo nomegong spiegava in termini pittoreschi co-sa sia un orfano: « il bambino non hapadre né madre, chiede il cibo in ele-mosina nella capanna della comunità ».Un altro giovane dello stesso villaggioaveva, invece, un nome puramente im-maginario: « non ridete davanti allapelle scura, perché ognuno ne ha una ».

Tra la gente dell'alto Congo l'uomoche si sposa è del luogo. Tutti i

bambini di una famiglia poligama han-no, quindi, Io stesso nome paterno. Madato che le madri raramente proven-gono dallo stesso villaggio, quando sivuole identificare un individuo attraver-so riferimenti paterni e materni, si ag-giungono al nome gong il prenome delpadre e il nome del villaggio dal qualeproviene la madre. Un altro assistentemedico di mia conoscenza di Kisanga-ni, John Litumanya, godeva di uno diquesti imponenti nomi gong suddivisoin tre parti. « Spirito malvagio con lan-cia » era il suo nome gong. « Figlio delcobra sibilante » era il nome gong disuo padre e « del villaggio di MiddleYafolo » si riferiva al luogo di originedella madre. Litumanya aveva eredita-to il suo nome gong dal nonno.

I gong stessi possono avere dei nomipersonali; colui che trasmette batteràil nome del gong all'inizio e alla finedel messaggio. Oggigiorno i villaggi delCongo stanno diminuendo perché lagente giovane si trasferisce in centri più

aSOoLAMBA bolli invece di aSO-olaMBA boili ha annunciato di « ave-re messo a bollire sua suocera » inve-ce di « stare a guardare la sponda delfiume ».

Tenendo presente che nel linguaggioparlato esiste questa precisa distin-

zione fra le due tonalità, l'una alta el'altra bassa, consideriamo ora il lin-guaggio dei tamburi e quello dei gong.

Il tamburo è un membranofono; lamembrana di pelle, che vibra quandoviene percossa, è tesa su di un risonato-re fatto di legno, terraglia o altro mate-riale. Lo strumento usato nell'alto Con-go per mandare messaggi è compostointeramente di legno e tutto lo strumen-to vibra quando viene percosso. Questoè quindi un idiofono, come i gong dimetallo e le barrette di legno e di me-tallo dello xilofono e del glockenspiel.

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Strumenti a fiato, generalmente ricavati dal corno di una antilope (in alto), ma talvoltafatti di avorio (in basso), possono produrre una nota acuta e una nota bassa. Vengonoutilizzati dai cacciatori e hanno una portata di un chilometro e mezzo o anche più.

grandi. Una conseguenza di questo fe-nomeno è che molti dei nomi dati aigong hanno un sapore amaro. Il clanyamenawendua del villaggio Yaneomuha dato questo appellativo al suo gong

gli uccelli non rubano da una per-sona sprovvista di cibo ». I due grossigong dei bakama di Bandio sono chia-e emati noi mangiamo gli ultimi bocco-ni di cibo » e « orecchie mie, non ascol-tate ciò che dice la gente » (un invitoad essere stoici quando gli altri clansi prendono gioco del loro numeroridotto).

Non tutti gli abitanti dei villaggi so-no cosi amareggiati. Il nome del gongdel clan yabita di Yalemba è « non sipuò tenere una zucca vuota sotto lasuperficie del fiume », e il gong deiyamongbanga di Bokondo dichiara laidentificazione da parte del clan con unalbero noto per la sua corteccia spino-sa: a l'albero bolongo non viene bat-tuto con la mano per paura delle suespine ». Il clan bogula dello stesso vil-laggio chiama il suo « l'elefante ma-schio agita la sua proboscide ».

Le frasi bitonali del linguaggio gongpossono venire trasmesse anche da al-tri strumenti. Per esempio, i cacciatoriportano con sé dei piccoli corni, gene-ralmente fatti di corno di antilope, matalvolta anche di avorio. I corni hannoun foro all'estremità più stretta e unsecondo foro su un lato, dal quale soffiail cacciatore. Coprendo oppure no ilforo della estremità con la mano il cac-ciatore produce i necessari toni alti ebassi. La portata di questi corni è diun chilometro e mezzo o più.

Anche la voce umana è adoperataper trasmettere delle frasi di due tonialla distanza di un chilometro e mezzocirca, particolarmente vicino ad un fiu-me nel fresco della sera quando il suo-no della voce ha una maggior portata.

I pescatori lokele che stanno rientran-do a casa annunciano il loro succes-so con grida molto prima di raggiunge-re il villaggio. Invece di usare nelle lo-— _ _ro grida i toni alti e bassi, li sostitui-scono con le sillabe ki o li per il tonoalto nel linguaggio gong e con ke o leper quello basso. I pescatori di Yalembausano lo stesso metodo, ma cambianoin ko e go le sillabe a tono alto e inku e gu per quelle a tono basso.

Sebbene sia più giusto parlare, perla sola regione dell'alto Congo, di lin-guaggi gong piuttosto che di linguaggidi tamburi, strumenti ricoperti di pellevengono spesso usati in molte altre par-ti dell'Africa per la trasmissione dimessaggi. Gli ashanti, per esempio,usano a questo fine due tamburi: unopiccolo che riproduce le note alte euno più grande per quelle basse; ven-gono chiamati marito e moglie ».Suonatori di tamburo spesso accom-pagnano nelle feste i capi ashanti, bat-tendo parole di elogio su di un picco-lo tamburo che tengono sotto il brac-cio. Il suonatore è capace di produrredue note sullo stesso tamburo perché ilrisonatore è a forma di clessidra. Au-mentando o diminuendo la pressionedel suo braccio sulle corde tese che van-no da un capo all'altro del tamburoegli può tendere o allentare la mem-brana e quindi alterare il tono dellostrumento.

Iracconti quasi incredibili delle gran-di distanze percorse dai messaggi

trovano una spiegazione nella prontez-za con la quale coloro che trasmettonosono in grado di ricevere e di trasmet-tere l'un l'altro le notizie importanti.Come Henry Morton Stanley dichiaranel suo diario, il suo passaggio lungoil Congo era annunciato dai tamburilokele. t certo che i messaggi impor-

tanti oggi viaggiano nella stessa manie-ra da un villaggio all'altro. Tuttavia,quando un messaggio arriva ad un con-fine oltre il auale inizia un'altra linquanon può più viaggiare se non viene tra-dotto. Questo non è poi cosí grave co-me si immagina. Molte famiglie chevivono in villaggi di confine hanno don-ne che provengono da tribù vicine, co-sicché i loro figli crescono parlandosia la lingua del padre che quella del-la madre. Ne risulta che generalmentevi sono molte persone bilingui in gra-do di trasmettere i messaggi tradotti.

In aggiunta ai tamburi di pelle, aicorni e alla nuda voce, qualche voltavengono usati gli zufoli. I bambini so-vente si costruiscono da sé gli zufoli etrasmettono parole di elogio davanti al-la casa di qualche personaggio impor-tante, aspettandosi poi una ricompen-sa. Il fischiare con la bocca serve a tra-smettere segretamente dei messaggi al-l'apparire di uno straniero. Coloro chehanno viaggiato in Africa avranno os-servato che arrivando in un villaggio al-l'apparenza deserto hanno udito dei fi-schi provenire dalle case vuote o dallavicina foresta. Lo straniero viene at-tentamente descritto alla comunità dagente che osserva il suo passaggio at-traverso il territorio.

Una volta non vi erano segreti sullinguaggio gong; anzi era un fenomenopubblico alla portata di tutti. Era unaparte cosí integrale della cultura triba-le che quando chiesi delle informazio-ni in materia a trasmettitori lokele,questi credevano che anche noi europeiavessimo simili strumenti. La sola vol-ta che incontrai qualche difficoltà fuquando chiesi a un pescatore lokele ilsuo nome gong. Egli rispose che me loavrebbe detto se io avessi rivelato ilmio. Quando gli dissi che non avevo unnome gong, mi rispose che ero un bu-giardo. Convinto che io mi rifiutassi dipassargli l'informazione, non mi dissemai il suo nome.

Oggigiorno, a causa degli spostamen-ti della popolazione, sempre meno so-no i giovani africani che sono praticidi questo linguaggio. In un tipico vil-laggio dell'alto Congo i gong parlanoogni mattina e ogni sera, mentre nellacittà di Kisangani i gong sono moltorari e non si sentono quasi mai. Unodei pochi trasmettitori di Kisangani, ilcui piccolo gong talvolta si può senti-re attraverso la città, mi ha confessa-to con dispiacere di non ricordarsi piùtutte le frasi che suo padre conoscevae trasmetteva. Ho il sospetto che siaarrivato il momento in cui linguisti eetnologi interessati al problema debba-no iniziare a registrare questi eccezio-nali linguaggi prima che essi sparisca-no per sempre.

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