LE RISORSE ENERGETICHE E IL CAMBIAMENTO...

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Progetto “Tetti Fotovoltaici a scuola” LE RISORSE ENERGETICHE E IL CAMBIAMENTO CLIMATICO: Ragioni e limiti dell’uso delle fonti rinnovabili Le energie rinnovabili: soluzione per tutte le stagioni La limitatezza dell’ecosfera, il nostro modello di società e le loro conseguenze su di noi e sulle altre culture sono le coordinate generali da cui guardare a molti dei problemi oggi aperti a livello mondiale. Le seguenti pagine vogliono essere uno stimolo alla riflessione e all’approfondimento di quello che a noi sembra un aspetto non secondario: il modello energetico e sulle sue implicazioni. La riflessione si concentra principalmente su due aspetti: il cambiamento climatico e la crisi energetica Da qualche tempo anche in Italia si è tornati a parlare di fonti rinnovabili di energia e in particolare di energia solare, risorsa che nella penisola notoriamente non scarseggia. Già nei decenni ‘70 e ‘80 le fonti rinnovabili di energia avevano conosciuto una certa popolarità, tuttavia i motivi dell’interesse di oggi non sono quelli di ieri, o almeno così sembra. Durante gli anni settanta e in particolare in corrispondenza dei cosiddetti shock petroliferi (1973,1979), l’energia solare ha rappresentato il miraggio dell’emancipazione dal petrolio, risorsa lontana e da molti considerata prossima all’esaurimento. Poi, seguì una fase di relativa stabilità del mercato petrolifero e, per vari motivi, le riserve stimate aumentarono, allontanando lo spettro della fine del petrolio. A causa di ciò persino l’attività di ricerca nel campo delle fonti rinnovabili subì un forte rallentamento. Ormai da quasi un decennio c’è rinnovato interesse da parte di governi e industria, ma questa volta la prima motivazione sembra essere la crescente preoccupazione sui possibili effetti che la combustione di risorse fossili può avere sul clima. Obiettivo di queste pagine è cercare di capire in che misura le fonti rinnovabili possono rispondere a quelle che sembrano due sfide piuttosto impegnative: controllare il cambiamento climatico e fornire un’alternativa ai combustibili fossili in un sistema produttivo in continua crescita. Ma il clima sta cambiando? Fra i primi a cercare una risposta a questa domanda ci furono due organismi dell’ONU: l’organizzazione meteorologica mondiale (WMO) e il programma ambientale delle nazioni unite (UNEP). Nel 1988 istituirono a questo scopo la commissione (panel) intergovernativa sul cambiamento climatico (IPCC) alla quale partecipano a tutt’oggi migliaia di ricercatori di tutto il mondo. Dalla sua fondazione l’IPCC ha pubblicato diversi rapporti fra cui tre di carattere generale rispettivamente nel 1990, 1996, 2001. I dati contenuti nei rapporti sono la sintesi dei lavori di ricerca condotti negli anni precedenti e forniscono un quadro dettagliato, attendibile e aggiornato di ciò che la scienza occidentale sa sul cambiamento climatico. Nella scheda seguente sono sintetizzati i cambiamenti climatici più rilevanti riportati nel terzo di questi rapporti reso pubblico a gennaio del 2001. Variazioni climatiche documentate I dati dell’IPCC dimostrano che sono già in atto variazioni climatiche significative. Queste modificazioni del clima sono documentate da studi condotti a diverse scale su varie grandezze di interesse climatologico. Di seguito richiamiamo le più significative. Temperatura La temperatura media globale al livello del mare è aumentata nel corso del XX secolo di circa 0,6 °C con un incertezza di ± 0,2 °C Globalmente è molto probabile 1 che la decade 1990 1999 e l’anno 1998 siano stati i più caldi da quando esistono dati di rilevazione strumentale della temperatura (1861). 1 “Molto probabile” nel linguaggio dell’IPCC significa con una probabilità compresa fra il 90 e il 99%. T.E.R.R.E. – Tecnologie ad Energia Rinnovabile e Risparmio Energetico 1

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Progetto “Tetti Fotovoltaici a scuola”

LE RISORSE ENERGETICHE E IL CAMBIAMENTO CLIMATICO:

Ragioni e limiti dell’uso delle fonti rinnovabili

Le energie rinnovabili: soluzione per tutte le stagioniLa limitatezza dell’ecosfera, il nostro modello di società e le loro conseguenze su di noi e sulle altre culture sono le coordinate generali da cui guardare a molti dei problemi oggi aperti a livello mondiale.Le seguenti pagine vogliono essere uno stimolo alla riflessione e all’approfondimento di quello che a noi sembra un aspetto non secondario: il modello energetico e sulle sue implicazioni.La riflessione si concentra principalmente su due aspetti: il cambiamento climatico e la crisi energeticaDa qualche tempo anche in Italia si è tornati a parlare di fonti rinnovabili di energia e in particolare di energia solare, risorsa che nella penisola notoriamente non scarseggia. Già nei decenni ‘70 e ‘80 le fonti rinnovabili di energia avevano conosciuto una certa popolarità, tuttavia i motivi dell’interesse di oggi non sono quelli di ieri, o almeno così sembra. Durante gli anni settanta e in particolare in corrispondenza dei cosiddetti shock petroliferi (1973,1979), l’energia solare ha rappresentato il miraggio dell’emancipazione dal petrolio, risorsa lontana e da molti considerata prossima all’esaurimento. Poi, seguì una fase di relativa stabilità del mercato petrolifero e, per vari motivi, le riserve stimate aumentarono, allontanando lo spettro della fine del petrolio. A causa di ciò persino l’attività di ricerca nel campo delle fonti rinnovabili subì un forte rallentamento. Ormai da quasi un decennio c’è rinnovato interesse da parte di governi e industria, ma questa volta la prima motivazione sembra essere la crescente preoccupazione sui possibili effetti che la combustione di risorse fossili può avere sul clima. Obiettivo di queste pagine è cercare di capire in che misura le fonti rinnovabili possono rispondere a quelle che sembrano due sfide piuttosto impegnative: controllare il cambiamento climatico e fornire un’alternativa ai combustibili fossili in un sistema produttivo in continua crescita.

Ma il clima sta cambiando? Fra i primi a cercare una risposta a questa domanda ci furono due organismi dell’ONU: l’organizzazione meteorologica mondiale (WMO) e il programma ambientale delle nazioni unite (UNEP). Nel 1988 istituirono a questo scopo la commissione (panel) intergovernativa sul cambiamento climatico (IPCC) alla quale partecipano a tutt’oggi migliaia di ricercatori di tutto il mondo. Dalla sua fondazione l’IPCC ha pubblicato diversi rapporti fra cui tre di carattere generale rispettivamente nel 1990, 1996, 2001. I dati contenuti nei rapporti sono la sintesi dei lavori di ricerca condotti negli anni precedenti e forniscono un quadro dettagliato, attendibile e aggiornato di ciò che la scienza occidentale sa sul cambiamento climatico. Nella scheda seguente sono sintetizzati i cambiamenti climatici più rilevanti riportati nel terzo di questi rapporti reso pubblico a gennaio del 2001.

Variazioni climatiche documentateI dati dell’IPCC dimostrano che sono già in atto variazioni climatiche significative. Queste modificazioni del clima sono documentate da studi condotti a diverse scale su varie grandezze di interesse climatologico. Di seguito richiamiamo le più significative.

Temperatura La temperatura media globale al livello del mare è aumentata nel corso del XX secolo di circa 0,6 °C

con un incertezza di ± 0,2 °C Globalmente è molto probabile1 che la decade 1990 1999 e l’anno 1998 siano stati i più caldi da

quando esistono dati di rilevazione strumentale della temperatura (1861).

1 “Molto probabile” nel linguaggio dell’IPCC significa con una probabilità compresa fra il 90 e il 99%.

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Per l’emisfero Nord è molto probabile che l’aumento della temperatura durante il XX secolo sia stato il più grande rispetto ai precedenti mille anni. (Dati indiretti ottenuti attraverso vari metodi in uso in paleoclimatologia.)

Il tasso attuale di riscaldamento alla superficie è pari a 0,15 gradi per decennio. Questo riscaldamento viene confermato su tutto lo spessore dei primi ottomila metri di atmosfera ed è riscontrabile a tutte le scale, dalla scala mondiale, a quella europea, fino alla scala regionale.

Figura 1: Temperatura della superficie terrestre media globale sia sulle terre emerse sia sugli oceani ottenuta con dati strumentali. La curva nera rappresenta valori mediati su 10 anni. L’incertezza sui singoli valori è indicata dalle barre nere ed è dovuta a carenze nei dati, errori strumentali e incertezze in correzioni apportate ai dati.

Figura 2: La temperatura sulla superficie terrestre nell’emisfero nord negli ultimi 1000 anni ricostruita facendo ricorso a informazioni di tipo paleoclimatico (provenienti ad esempio dallo studio dei cerchi degli alberi). La curva nera è ottenuta mediando su 50 anni. A partire dal 1860 sono riportati anche i dati strumentali. La zona grigia

chiara rappresenta l’estensione della barra di errore.

Precipitazioni Nel corso degli anni ‘90 si è osservato mediamente un aumento delle precipitazioni alle latitudini

elevate (tra lo 0,5 e l’1 % per decennio), e una loro riduzione alle medie e basse latitudini (-0,3 / -0,5 % per decennio).

Sul bacino del Mediterraneo, in particolare, sembra assai evidente e significativa la diminuzione delle precipitazioni durante tutte le stagioni a partire dalla fine degli anni 50 ad oggi. La barriera orografica costituita dalle Alpi sembra in grado di differenziare la tendenza delle precipitazioni che risulta in aumento nell’Europa continentale (a nord delle Alpi) e in diminuzione nell’Europa mediterranea.

Copertura nevosa e ghiacciai Dati da satellite mostrano che dal 1960 è molto probabile che la copertura nevosa sia diminuita di

circa il 10%

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Lo spessore estivo del ghiaccio del mare artico è probabile che sia ridotto di circa il 40% a partire dagli anni 50.

Livello del mare Il livello medio del mare risulta aumentato fra i 10 e i 20 cm nel corso del XX secolo.

Fenomeni meteorologici estremi Aumento compreso fra il 2 e il 4% della frequenza delle precipitazioni intense nella seconda metà

del XX secolo nell’emisfero settentrionale.

Questi e altri dati vanno a formare un quadro che il rapporto definisce di “un mondo in via di riscaldamento” in quanto tutti in parte correlati con l’aumento di temperatura.Non ci occuperemo delle previsioni sui futuri cambiamenti climatici che il rapporto tratta invece ampiamente: ci basta qui mostrare che un cambiamento climatico è già in atto.

Ma perché la terra si scalda?La superficie della Terra assorbe buona parte della radiazione proveniente dal Sole (il resto viene riflessa da nuvole aerosol e atmosfera o dalla superficie terrestre). Questa energia viene poi redistribuita dalla circolazione atmosferica ed oceanica e quindi reirradiata verso lo spazio.In media la quantità di energia solare che raggiunge la Terra è approssimativamente bilanciata dalla radiazione uscente (equilibrio termoradiativo).

Figura 3: Ogni metro quadro della superficie esterna dell’atmosfera riceve, in media nel corso dell’anno, 342 Watt di radiazione solare. Di questa il 31% viene immediatamente riflessa nello spazio dalle nuvole, dall’atmosfera o dalla superficie terrestre. I rimanenti 235 Wm-2

vengono in parte assorbiti dall’atmosfera ma la gran parte (168 Wm-2) riscaldano la superficie terrestre: terre emerse ed oceani. Questo calore viene restituito dalla

terra all’atmosfera sotto forma di radiazione infrarossa, come calore latente e come vapore d’acqua che, quando si condensa in atmosfera, restituisce calore. Affinché il clima sia stabile è necessario che la radiazione solare incidente e quella uscente verso lo spazio siano bilanciate. Per questo motivo il sistema climatico deve restituire in media verso lo spazio 235Wm-2.

Ogni fattore che modifica la quantità di energia incidente o riemessa verso lo spazio può avere ripercussioni sul clima. La variazione netta che si ottiene nel bilancio fra energia uscente e energia entrante è definita “forcing” o pressione radiativa. Queste variazioni possono essere positive o negative. In entrambi i casi il sistema climatico reagisce per ristabilire l’equilibrio. Se il forcing radiativo è positivo la terra tende a riscaldarsi se è negativo a raffreddarsi.

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Cosa può spingere il clima a cambiare?La presenza in atmosfera di certi gas quali biossido di carbonio (CO2), metano (CH4), perossido di azoto (N2O) o del vapore d’acqua diminuisce l’efficienza con cui l’energia viene irradiata dalla Terra verso lo spazio e causa il cosiddetto effetto serra di cui ci occuperemo nel dettaglio nel seguito e che è quindi responsabile di un forcing positivo. Oltre all’effetto serra ci sono tuttavia altri processi che si pensa possano essere responsabili di interferire nel bilancio termoradiativo del pianeta. Ad esempio la variazione della quantità di radiazione solare intercettata dalla Terra, l’immissione di grandi quantità di aerosol (particelle o gocce microscopiche) conseguenti a eruzioni vulcaniche o aerosol dovuti ad attività umane che possono avere effetti tendenti a riscaldare o, più spesso, a raffreddare a seconda che si tratti di particelle che tendono ad assorbire o a riflettere la radiazione solare. Gli aerosol modificano fra l’altro anche il meccanismo di formazione e persistenza in atmosfera delle nubi. Quando si manifestano dei forcing radiativi il sistema climatico risponde su scale di tempo molto differenti. Le più lente sono legate al cambiamento della capacità termica delle masse oceaniche e del volume complessivo dei ghiacci. Ciò significa che la risposta del clima ad una perturbazione può durare migliaia di anni e va ad interessare le complesse interazioni presenti fra atmosfera, oceani, biosfera, e ghiacci perenni. Nella figura 4 sono presentati alcuni dei meccanismi che si ritiene stiano esercitando una pressione sul sistema climatico. E’ importante notare che l’unico meccanismo del quale si ha una conoscenza scientifica adeguata è proprio l’effetto serra; per ogni meccanismo sono indicati valore stimato e relativo errore

Figura 4: i forcing radiativi medi globali sul sistema climatico per l’anno 2000 rispetto all’anno 1750. Questi forcing radiativi sono conseguenza: di cambiamenti nella composizione dell’atmosfera; dell’alterazione della riflettanza della superficie dovuta a variazioni nell’uso dei suoli; variazione nella radiazione solare incidente. Ad eccezione di quello relativo alla variazione della radiazione incidente le attività umane sono legate a ciascuno dei fattori considerati. Le colonne rettangolari rappresentano stime dei contributi di ciascuno dei forcing alcuni dei quali

negativi altri positivi. Il forcing legato ad episodiche esplosioni vulcaniche che provocano un effetto limitato ad alcuni anni non è rappresentato. Per effetti dovuti agli aerosol troposferici si intendono quelli indiretti che modificano il numero e l’estensione delle nubi. Il contributo all’effetto serra dovuto al traffico aereo è mostrato separatamente. Dove non compare la colonna ma solo una barra significa che non è possibile fare una stima del valore medio. Tutti i forcing mostrati hanno andamenti propri su scala sia temporale che spaziale. Per queste ed altri ragioni non si possono sommare algebricamente le colonne per avere una stima dell’effetto netto sul sistema climatico.

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Non scherzare con il fuoco: criticità dei cambiamenti climatici

Retroazioni e non linearitàLa risposta del clima ai forcing esterni e a cambiamenti nella ridistribuzione dell’energia fra le sue varie componenti quali ad esempio oceani ed atmosfera è fortemente complicata dalla presenza di processi di retroazione e di risposte non lineari. Un processo è detto di retroazione quando il risultato del processo

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Cos’è l’effetto serra?Cerchiamo di capire quindi che cos’è l’effetto serra, a questo scopo vengono solo richiamate alcune proprietà della radiazione elettromagnetica che per motivi di spazio non possono essere qui approfondite. La quantità della radiazione emessa da ogni corpo e la sua distribuzione in frequenza (cioè quanta radiazione è emessa per ogni frequenza) dipende dalla temperatura a cui il corpo si trova. Il flusso di energia che giunge sulla Terra proveniente dal Sole è composto di radiazione elettromagnetica a diverse frequenze. Circa la metà di questa energia ha frequenze visibili ai nostri occhi (47%), l’altra metà è per gran parte radiazione infrarossa (46%) e la piccola frazione restante è ultravioletta (7%). Più è alta la temperatura e maggiori sono le frequenze di emissione. L’energia che proviene dal Sole è caratteristica per quantità e per distribuzione delle frequenze di un corpo (completamente assorbente) la cui superficie si trova a 5600°C circa. Parte di questa energia viene intercettata dalla Terra che in condizioni di equilibrio la riemette a sua volta verso lo spazio. Secondo questo ragionamento affinché la Terra possa riemettere verso lo spazio i 235 Wm–2 ricevuti, la sua temperatura media dovrebbe essere di –19°C. Invece la temperatura media vicino alla superficie terrestre è di circa 14°C. Per comprendere come ciò possa accadere è necessario considerare l’interazione fra l’atmosfera e la radiazione infrarossa poiché sono queste le frequenze tipiche in cui la maggior parte dell’energia viene riemessa da un corpo che si trova alla temperatura della Terra.

L’effetto serra naturaleL’atmosfera terrestre è composta principalmente di azoto (N2, 78.1% in volume), ossigeno (O2, 20.9% in volume), e argon (Ar, 0.93% in volume). Questi gas interagiscono debolmente con la radiazione solare incidente, mentre non interagiscono affatto con la radiazione infrarossa riemessa dalla Terra. Tuttavia alcuni gas che sono presenti in tracce nell’atmosfera, come il biossido di carbonio (o anidride carbonica, CO2), il metano (CH4), il perossido di azoto (N2O) e l’ozono (O3), interagiscono fortemente con la radiazione infrarossa. Tali gas sono detti gas serra e pur avendo una concentrazione complessiva inferiore all’1% in volume giocano un ruolo essenziale nel bilancio energetico della Terra. Infatti, essi assorbono la radiazione infrarossa proveniente dalla Terra e la riemettono in tutte le direzioni e quindi anche verso la Terra stessa. In questo modo il calore rimane “intrappolato” e la temperatura della superficie terrestre tende a salire. Per questo motivo la temperatura negli strati bassi dell’atmosfera tende a diminuire con l’altitudine. Questo meccanismo è il cosiddetto effetto serra naturale grazie al quale il pianeta offre condizioni particolarmente adatte alla vita.

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influenza l’origine dello stesso intensificandolo (retroazione positiva) o riducendolo (retroazione negativa). Un esempio importante di retroazione positiva è quella che interessa la concentrazione del vapore d’acqua in atmosfera. Il riscaldamento della Terra infatti fa aumentare la concentrazione di vapore d’acqua, ma questo aumento amplifica il processo in quanto il vapore d’acqua è un gas che provoca l’effetto serra. Un esempio di retroazione negativa molto forte è data dal fatto che l’aumento della temperatura della superficie terrestre aumenta la quantità di radiazione riemessa verso lo spazio con la conseguenza che l’aumento di temperatura tende ad autolimitarsi.Per risposta non lineare di molti processi e interazioni nel sistema climatico si intende che non ci si può attendere una semplice relazione proporzionale fra causa ed effetto. Un sistema complesso, non lineare, può avere dei comportamenti cosiddetti “caotici”. Ciò significa che i comportamenti di questi sistemi sono molto sensibili a piccole perturbazioni delle loro condizioni. Ciò non significa che tali sistemi siano assolutamente imprevedibili, come il termine caotico lascerebbe pensare. Tuttavia la loro variabilità è molto grande. Ad esempio la dinamica che regola la variazione giornaliera delle condizioni meteorologiche è guidata da processi non lineari. Ciò non esclude la possibilità di fare delle previsioni del tempo ma tutti sappiamo che la loro validità non si può estendere oltre un paio di settimane. Allo stesso modo il sistema climatico pur essendo fortemente non lineare, consente di prevedere su grande scala gli effetti dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane,ma non permette di prevedere comportamenti e tempi specifici.

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Come cambia la composizione dell’atmosfera: l’effetto serra antropogenicoEsistono dati evidenti che, a causa di un complessivo riscaldamento del pianeta, il clima sta cambiando. La comunità scientifica ritiene ormai in modo praticamente unanime che questo riscaldamento è in parte imputabile a quelle attività umane che comportano un aumento delle concentrazioni di gas serra. Per questo motivo si parla di effetto serra antropogenico. Proviamo ora a mostrare in che misura la composizione dell’atmosfera è cambiata negli ultimi secoli.

L’aumento della CO2

Figura 5: Le variazioni naturali della CO2 e l’aumento di origine antropogenica dopo l’avvento della Rivoluzione industriale. Oltre alle curve che tracciano la migliore interpolazione sono riportate anche quelle relative ad un livello di confidenza del 99% (linee interne) e ad un livello di previsione del 99% (linee esterne). A destra ingrandimento del grafico di sinistra per il periodo 1850-2000. Fonte: IPCC (1995)

Per quanto riguarda in particolare la CO2, il terzo rapporto dell’IPCC afferma: La sua concentrazione in atmosfera è passata dalle 280 parti per milione in volume del 1750 alle 367

ppm del 1999 con un incremento quindi del 31%. La concentrazione attuale non ha precedenti negli ultimi 420.000 anni e forse negli ultimi 20 milioni

di anni. La velocità di crescita dell’ultimo secolo non ha precedenti almeno negli ultimi 20000 anni.

Il carotaggio di VostokInformazioni accurate sulla composizione dell’atmosfera nel corso degli ultimi 420.000 anni sono state ottenute dallo studio delle bolle d’aria intrappolate nei ghiacci dell’Antartide. In particolare a Vostok (una stazione dell’ex-URSS) è stato eseguito un carotaggio che ha fornito, tra le altre cose, anche i dati in figura.

Figura 6: Concentrazione della CO2 e anomalia in temperatura negli ultimi 220.000 anni; dati da Vostok.

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Al di là della difficoltà di interpretazione accurata di tutte le informazioni contenute nei grafici con cui molti studiosi si stanno confrontando, si possono fare alcune osservazioni:

Esiste una forte correlazione fra variazione della temperatura e variazione della concentrazione della CO2 in atmosfera.

Nel grafico i valori di concentrazione attuale non sono mai raggiunti Da qualche migliaio di anni la concentrazione era piuttosto stabile intorno ai 280 ppmv.

L’aumento di altri gas serra

Figura 7: Concentrazione di biossido di carbonio, metano e perossido di azoto negli ultimi 1000 anni. In ordinata sulla destra viene stimata la pressione radiativa dovuta ad effetto serra che tale livello di concentrazione comporta. La concentrazione di metano è aumentata dal 1750 di circa il 150%. Il perossido di azoto è aumentato del 16% dal 1750.

Dalla semplice analisi del grafico ci si rende conto che, al pari del biossido di carbonio anche altri gas che causano effetto serra mostrano andamenti analoghi. L’origine dell’aumento delle concentrazioni di questi gas è evidentemente da attribuirsi ai processi avviati dalla rivoluzione industriale.

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I gas serra: concentrazione, contributo al riscaldamento globale, origineLa tabella seguente riporta le variazioni di origine antropica dei principali gas serra, il loro contributo all’effetto serra e le principali fonti di produzione

Gas serra Incremento % dal 1750

Contributo % all’effetto serra Fonti antropiche

CO2 31 64 Combustione 70-90%, deforestazione, cambio d’uso dei suoli, produzione di cemento 10-30%

CH4 150 20 Produzione e uso di energia (inclusa la biomassa), animali, risaie, fognature, discariche

N2O 16 6Fertilizzanti, bonifica, produzione di acidi grassi e nitrici, combustione di biomasse e combustibili fossili

HFC,CFC,HCFCPFCSF6 -

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Refrigerazione, condizionamento, industria chimicaProduzione di alluminioDistribuzione di corrente elettrica

I composti in tabella non sono i soli gas serra. Per esempio il vapore acqueo, pur rappresentando il principale componente dell’effetto serra, indispensabile per la vita sulla terra, non è menzionato perché la sua concentrazione, molto variabile, non risente direttamente delle attività umane.Anche l’ozono troposferico contribuisce in modo sensibile al riscaldamento globale ma risulta distribuito in modo disomogeneo, concentrandosi soprattutto in corrispondenza di grandi aree urbanizzate e industrializzate, dove si genera per reazioni fotochimiche in presenza di inquinamento atmosferico.Al contrario, la diminuzione dell’ozono stratosferico, che notoriamente ci espone ad un maggiore irraggiamento ultravioletto, produce un modesto effetto di raffreddamento climatico.

L’utilizzo dei combustibili fossili e l’effetto serraI dati mostrati consentono di stimare che circa i due terzi del contributo al riscaldamento globale per effetto serra registrato negli ultimi 20 anni sono dovuti al consumo di combustibili fossili.La combustione delle fonti fossili consente di liberare energia che attualmente viene utilizzata per soddisfare oltre il 90% del fabbisogno energetico di mercato.Si tratta in sostanza di un processo di ossidazione del carbonio in cui a legami fortemente energetici fra carbonio e idrogeno e fra carbonio e carbonio si sostituiscono legami fra carbonio e ossigeno molto meno energetici “guadagnando” la differenza di energia. La produzione di CO2 è quindi un inevitabile prodotto della reazione di combustione e la sua produzione è proporzionale all’energia ricavata e funzione del combustibile fossile usato.

Figura 8: Emissioni di gas serra (misurate in grammi) per unità di energia prodotta (1kwh elettrico)

Non è difficile convincersi del fatto che questa modalità di generazione dell’energia non è né rinnovabile né sostenibile.

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Centinaia di milioni di anni fa grandi masse di clorofilla hanno cominciato a rimuovere dall’atmosfera il carbonio presente nella forma ossidata (CO2), per riporlo nei propri tessuti nella forma ridotta (C-C. C-H). In questo modo veniva immagazzinata l’energia solare, come si può vedere analizzando la reazione generica riportata di seguito (a meno dei coefficienti stechiometrici). La clorofilla agisce da catalizzatore, mentre la luce assorbita fornisce l’energia necessaria. Una frazione considerevole del manto clorofilliano, morta nel corso degli ultimi 200 milioni di anni, si è degradata parzialmente e trasformata in petrolio, gas naturale (legami C-H) e carbone (legami C-C). Per produrre energia la società industriale ha scelto di riossidare il carbonio e di conseguenza emette CO2. L’insostenibilità di questo modo di ottenere energia è data dal fatto che l’energiaè stata immagazzinata in un arco temporale dell’ordine di centinaia di milioni di anni mentre il suo consumo sta avvenendo su tempi dell’ordine delle centinaia di anni (anzi, per la gran parte, nel corso degli ultimi 60 anni). La velocità di consumo è milioni di volte superiore a quella di produzione!

Figura 9: Il ciclo del carbonio

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Combustione fonti fossili

O2+ composti (CH

2O)

n←Fotosintesi← Energia solare + H

2O+ CO

2

Combustione biomassa

Organismi consumatori

Organismi decompositori

100 milionidi anni

100 anni

O2+ composti (CH

2O)

n→Combustrone →Energia termica+ H

2O+ CO

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L’utilizzo dei combustibili fossili come motore della crescita economicaSiamo quindi in una condizione estremamente difficile. Lo sviluppo industriale si è basato sull’uso dei combustibili fossili ma oggi le conseguenze del loro uso stanno rendendo il clima instabile. Il problema è che il ritmo di crescita economica che si è avuto dall’inizio della rivoluzione industriale non sarebbe stato possibile senza il ricorso alle fonti fossili. Per questo motivo oggi ci troviamo di fronte ad un sistema economico che non avendo mai fatto i conti con l’impatto ambientale e sociale dell’utilizzo dei combustibili (e di tutti gli altri materiali) fossili ha fabbisogni energetici (e materiali) enormi e sempre crescenti.

Figura 10: Sinistra: Il prodotto industriale mondiale. L’unità di misura è un indice posto a 100 nell’anno di riferimento1963. Il tempo di raddoppio è circa 17 anni. Destra: Le emissioni di CO2 in miliardi di tonnellate/anno. Tempo di raddoppio circa 29 anni.

Che fare? Possiamo ragionare solo in termini di sostituzione delle fonti o vogliamo/dobbiamo ridiscutere modi e tempi della crescita?Le fonti energetiche rinnovabili stanno diventando sempre più strategiche come fonti sostitutive ai combustibili fossili, ma per dare una risposta effettiva ai problemi climatici è necessario che il loro uso sia inserito in un orizzonte di forte riduzione dei fabbisogni energetici.

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Siti d’interesse sul cambiamento climatico

In inglese:-www.unfcc.de sito della convenzione sul clima delle nazioni unite-www.ipcc.ch sito dell’IPCC

L’IPCC è organizzato in tre gruppi di lavoro che valutano rispettivamente i seguenti aspetti: Gruppo 1: Variazioni climatiche osservate e previste Gruppo 2: Impatto delle variazioni climatiche su ambiente, salute ed economia Gruppo 3: Interventi per ridurre l’entità delle variazioni climatiche (i “rimedi”)

-interessante anche il sito di greenpeace nella sezione clima

In italiano vedi i siti:clima.casaccia.enea.itwww.geocities.com a parte la pubblicità e il fatto che si riferisce al secondo report dell’ipcc e non al terzo dà una visione di insieme anche rispetto alle previsioni dei cambiamenti futuri.

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La negoziazione sul climaNel 1972 il Club di Roma, un gruppo internazionale di scienziati che si era costituito nel 1968, ha sconvolto il mondo con uno studio (”I limiti alla crescita”) in cui venivano illustrati i risultati di un accurato e complesso sistema di simulazioni realizzato dal General Dynamic Group del Masachussets Institute of Technology che prevedevano nell’arco di meno di un secolo, un collasso del sistema economico – industriale – agricolo, della popolazione e del sistema ambientale. Tale crisi globale era unicamente causata dal tasso di crescita esponenziale del prodotto industriale mondiale e della popolazione (rilevato sulla base dei dati storici a partire dal 1900) e , a seconda delle ipotesi di partenza, variava di forma e datazione esatta ma era sostanzialmente ineliminabile.La sensazione di una crisi imminente venne aggravata nel 1973 con la prima grande crisi petrolifera, legata alla guerra arabo-israeliana del Kippur e alla decisione dei paesi OPEC di aumentare improvvisamente il prezzo del greggio di oltre il 100 % .Pochi anni dopo, nel 1980, il primo summit internazionale sul clima cominciò a mettere a fuoco i rischi legati all’effetto serra in aumento. Le posizioni estremamente variegate del mondo scientifico portarono alla necessità di istituire un organismo autorevole di riferimento; nel 1987 l’ONU istituì la Commissione Bruntland sullo sviluppo sostenibile. Finalmente nel 1988 l’ONU affidò all’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) e al Programma Ambiente (UNEP) il compito di fondare un organismo internazionale di scienziati che desse indicazioni attendibili ai governi sulle scelte da assumere in relazione al cambiamento climatico : l’IPCC (Intergovernamental panel on climate change).Il primo rapporto dell’IPCC, pubblicato nel 1991, confermò l’allarmismo: i rappresentanti di alcuni paesi (USA, Emirati Arabi e Kuwait) si opposero alle conclusioni che richiedevano misure di intervento immediate. Il secondo rapporto del ’96 fece emergere per la prima volta una posizione unanime del mondo scientifico sull’aumento dell’effetto serra in corso. Una questione altamente critica era se la riduzione di emissioni dovesse essere a carico di tutti i paesi o solo di quelli industrializzati.Quando nel 1997 la Conferenza delle Parti approvò il protocollo di Kyoto, questa questione venne definitivamente risolta con l’impegno da parte dei soli paesi industrializzati ad una riduzione di emissioni di gas serra del 5,2 % rispetto al livello del 1990. Almeno il 55% dei paesi industrializzati (responsabili di oltre il 70 % delle emissioni mondiali di gas serra) avrebbe dovuto ratificare il protocollo negli anni successivi, perché entrasse in vigore.Gli impegni presi dai paesi industrializzati sono stati:

• - 8 % per la UE (Italia : - 6,5 %)• - 7 % per gli USA• - 6 % per il Giappone• + 10 % per l’Australia• 0 % per Russia e Ucraina

Tra i meccanismi attuativi del protocollo di Kyoto, alcuni hanno reso meno efficace il risultato: in particolare il meccanismo dei ‘sinks’ ossia della possibilità di sostituire la riduzione di emissioni con l’aumento delle foreste che assorbono anidride carbonica.Né alla Conferenza dell’Aia né a Trieste si giunse ad un accordo. Solo 30 paesi su 180 avevano ratificato l’accordo, quando la nuova amministrazione USA (G.W. Bush) ha dichiarato di non riconoscere gli impegni presi da quella precedente (W. Clinton). Il Giappone si è schierato con gli USA e diversi paesi tra cui l’Italia hanno mostrato inizialmente una posizione molto debole, che ha minato la possibilità di dare efficacia all’accordo. Tra gennaio e aprile del 2001 l’IPCC ha pubblicato il suo terzo rapporto che fornisce una visione più allarmante rispetto al secondo. La conferenza di Marrakesch conclusa a novembre del 2001 ha reso l’accordo ancora più debole; Giappone, Canada, Russia e pochi altri paesi hanno ottenuto una diminuzione dei tagli alle emissioni di CO2, aumentando la concessione di recupero delle emissioni con i ‘sinks forestali’ nazionali. Questo implicherà che il taglio globale sarà soltanto un terzo di quanto fosse stato previsto inizialmente. Alla conferenza di Milano conclusasi nel dicembre 2003 la Russia ha dichiarato di non voler ratificare il protocollo di Kyoto impedendo quindi la sua entrata in vigore.

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LA CRISI ENERGETICA

Il mondo è in crisi energetica?Negli ultimi trenta anni si è parlato diverse volte dell’imminente esaurimento delle risorse fossili: il problema ha assunto in alcuni momenti dimensioni drammatiche mentre in altri momenti si è parlato di progressi tecnologici e nuove scoperte che prospettavano un futuro sicuro dal punto di vista della fornitura dell’energia. Al di là delle notizie sensazionali, per avere un’idea realistica della dimensione del problema bisognerebbe disporre delle seguenti informazioni:• Stima dei combustibili fossili estratti annualmente• Stima delle riserve di idrocarburi accertate e della quota di queste realmente estraibile• Stima della consistenza dei giacimenti non ancora scoperti

Purtroppo, al contrario di quanto avvenuto per lo studio del cambiamento climatico, in tema di energia non esiste un organismo scientifico internazionale che si ponga al di sopra delle parti. Sono disponibili con una certa attendibilità solo i dati relativi alle estrazioni annuali. Nella nostra analisi circoscriveremo lo studio al solo petrolio e ci riferiremo ai dati dell’International Energy Agency (vedi box successivo) a quelli Eni e di alcuni centri studi statunitensi.L’International Energy Agency è un organismo composto da 26 paesi dell’OECD: viene istituito dai governi dei paesi membri nel 1974, in seguito alla crisi petrolifera legata alla guerra del Kippur e si pone come primo obiettivo quello di stabilire tra i paesi industrializzati strategie comuni per far fronte alle ‘emergenze energetiche’. Dal 1993 pubblica ogni due anni un report sulla situazione mondiale dell’energia (World Energy Outlook); il report si basa su un modello dinamico di previsione (WEM - World Energy Model) e sui dati statistici assunti da altre fonti sulla situazione mondiale delle risorse (fonti: United States Geological Survey, Cedigaz, Petroconsultants) e dell’economia (fonti: Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, ONU, ecc).

Il consumo di energia per fonti

Figura 11: 1 Toe =1 Tonnellata equivalente di petrolio =7,3 barili (1barile =159 litri) di petrolio = 11.600 KWh = 20.000 km percorsi da un’automobile

Nel 2000 il consumo energetico annuo mondiale è stato di circa 115.000 TWh

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Il peso delle energie rinnovabili nel 2000

Figura 12: Divisione per fonti dell’energia consumata con dettaglio delle fonti rinnovabili

E’ ovvio che le cose potevano, anche nello stesso anno, essere differenti: in altre parole che il consumo dovesse essere soddisfatto da queste fonti in questa percentuale non è un dato di natura ma il risultato della politica energetica a livello mondiale.

I Consumi ineguali: la fotografia al 1995.

La quantità di energia consumata nel 1995 era ripartita tra le diverse aree geografiche secondo le percentuali riportate nella figura. Risulta evidente che il consumo pro-capite nei paesi dell’OECD nel 1995 è estremamente superiore al consumo medio pro-capite nei paesi in via di sviluppo. Considerando nello stesso blocco la Cina e i paesi in via di sviluppo, si osserva che oltre il 75 % della popolazione mondiale consuma meno di un terzo dell’energia primaria disponibile. E’ interessante

notare che il PIL non corrisponde alla ripartizione dei consumi, ossia che i paesi dell’OECD hanno un livello medio di consumi più elevato degli altri paesi, anche a parità di ricchezza.

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13

ANNO 1995

4750

17826

954

1001

1300

354

905

4347

1234

1955

14917

3240

0%

1 0%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

1 00%

ENERGIA PRIMARIA (Mtep) PIL (1000 mi l iar di $) POPOLAZIONE (mil ioni )

PAESI IN VIA DISVILUPPO(esclusa Cina)

CINA

ECONOM IE INTRANSIZIONE

OCSE

Figura 13 - Consumi di energia primaria, PIL nazionale e popolazione nelle quattro aree geografiche individuate nel 1995 (IEA)

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Previsioni dei consumi al 2020 secondo i paesi OECD.Per fare delle previsioni sulla variazione nel tempo della domanda e dell’offerta di energia a livello mondiale, l’IEA propone alcune ipotesi, alla base del funzionamento del suo modello di simulazione.In particolare nel ‘World Energy Outlook 2000’ si ipotizzano:

l’aumento della popolazione mondiale dell’1,1 % annuo - quindi 7,4 miliardi di persone al 2020, di cui oltre l’80 % nei PVS;

l’aumento del PIL mondiale del 3,1 % annuo; la stabilità del prezzo del petrolio fino al 2010 (prezzo fissato a 21 $ al barile) l’assenza di una crisi nella fornitura di idrocarburi fino al 2020.

Con tali premesse si ottiene dalla simulazione un aumento della domanda di energia del 70 % dal 1995 al 2020, giungendo a 13.530 Mtep; il consumo di energia primaria fa riferimento alle diverse fonti energetiche nella proporzione illustrata in fig. 13, ossia agli idrocarburi per assolvere al 93 % della domanda mondiale di energia (valore in crescita dal 90 % cui si era assestato nel 1995). Dal punto di vista ambientale questa previsione corrisponde ad un fallimento di qualsiasi tentativo di far fronte alla crisi climatica ; dal punto di vista energetico invece potrebbe sembrare un immagine rassicurante.

L’aumento del consumo di energia non corrisponderebbe ad un avvicinarsi dello standard dei consumi dei paesi poveri al livello dei paesi ricchi: come è chiaro dalla figura 14; il consumo di energia pro-capite resterà in questo scenario fortemente squilibrato anche nei prossimi decenni.Molti studiosi del settore hanno messo in dubbio la validità delle ipotesi dell’IEA, alcune delle quali si sono rivelate infondate negli anni immediatamente successivi. Ad esempio invece della stabilità del

prezzo del petrolio, abbiamo assistito ad una crescita notevole fino ad un amento del 50 % (il barile è stato quotato oltre i 30 $ nel 2000, oltre i 40 $ nel 2004) e

assistiamo a continue fluttuazioni. Il dibattito è molto vivo soprattutto sulla correttezza dell’ipotesi sulla fornitura assicurata, tenendo conto della molteplicità di stime sulla disponibilità attuale delle risorse. Si tenga presente inoltre che tutte le previsioni sono fatte ‘Business as usual’ ossia ipotizzando che il mercato segua i trend attuali e nessuna particolare politica energetica delle nazioni intervenga a modificare l’andamento dei consumi.Per il momento assumiamo la validità di queste ipotesi e approfondiamo la lettura dei dati.

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14

37%

28%

28%

4,5%

2,2%

0,4%PETROLIO

CARBONE

GAS

NUCLEARE

HYDRO

altre E.R.

Figura 15 Consumi di energia primaria pro-capite stimati nel 2020 (IEA)

0,0

1,0

2,0

3,0

4,0

5,0

6,0

1997 2020

OCSE

ECONOM IE INTRANSIZIONE

CINA

PAESI IN VIADI SVILUPPO(esclusa Cina)

Figura 14 Previsione del consumo mondiale di energia primaria nel 2020 (IEA)

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Le risorse di combustibile liquido disponibili: previsioni al 2030.L’impressione di assenza di una crisi energetica nei prossimi decenni cade considerando in dettaglio la fornitura del petrolio: per la sua versatilità e facilità di trasporto è facile immaginare che il petrolio resterà la fonte principale anche nel prossimo futuro. Nella figura successiva è rappresentata la previsione al 2030 della domanda di energia da combustibili liquidi e l’offerta di petrolio ‘convenzionale’ e ‘non convenzionale’. Non c’è un accordo universalmente accettato su come definire il petrolio non convenzionale, generalmente si fa rientrare in questa categoria il petrolio estratto con processi più costosi dal punto di vista energetico:

Petrolio estratto dal carbone, dalle sabbie e da scisti bituminosi Olio pesante Petrolio estratto in acque profonde o in zone polari

Il petrolio convenzionale costituisce circa il 95% del petrolio che è stato prodotto fino ad oggi; l’IEA suppone che dopo il 2015 non sarà più capace di mantenere questo ruolo (fig. 16), e vi sarà un conseguente aumento ineliminabile del costo del barile per l’importanza assunta dal petrolio non convenzionale. Nel 2020 invece tutte le risorse note allo stato attuale non saranno più sufficienti ad assolvere alla domanda di combustibile liquido, al di là della questione del costo.Nonostante tutte le premesse rosee che sono state spesso criticate, lo scenario proposto dall’IEA deve introdurre dal 2020 una fornitura di petrolio non convenzionale assolutamente ipotetica che da subito dovrà rendere conto di oltre il 15 % della domanda mondiale di combustibile liquido (fig. 17). Per valutare questa ipotetica disponibilità, si deve tener presente che il nostro attuale livello di conoscenza della genesi degli idrocarburi è molto alto; la mappatura delle aree geologiche dove è presente un bacino di combustibili fossili è stata realizzata con ottimi risultati, con le conoscenze oggi disponibili. Circa il 90% del petrolio è stato individuato in soli 30 sistemi petroliferi, e il 65 % si trova in soli cinque paesi dell’area del Golfo Persico. Ciò da un idea della rarità del verificarsi di tutte le condizioni che danno luogo alla creazione di un sistema petrolifero. Se comunque fosse possibile l’individuazione di sistemi del tutto imprevisti, non è affatto probabile che l’entità delle risorse individuate risulti comparabile con ciò che abbiamo definito ‘petrolio convenzionale’. La stima delle riserve disponibili di petrolio convenzionale nel 1996 secondo l’IEA è di 2.300 miliardi di barili. Questo dato è messo in discussione da molte altre voci autorevoli che lo considerano sovrastimato (per l’ENI è di 1.000 miliardi); in ogni caso per avere un’idea dell’ordine di grandezza, se la popolazione mondiale consumasse al ritmo dei paesi OCSE (5 TEP l’anno) nel 2020 non avremmo neanche un barile di petrolio convenzionale. Lo scenario in figura 16 evidenzia un altro dato critico, che sarà ripreso più avanti; prima del 2010 si prevede che saranno i paesi dell’OPEC a detenere la maggiore quota di produzione mondiale, a fronte di un lento e inevitabile declino della produzione di greggio di tutto il resto del mondo.

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Figura 16 Previsione della fornitura di combustibili liquidi al 2030 (IEA) : in evidenza la fornitura del petrolio convenzionale e quella dei paesi OPEC e non OPEC. (2.3 miliardi di barili corrispondono alle riserve accertate di petrolio convenzionale, secondo l’IEA)

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Milioni di barili al giorno 1996 2000 2010 2020

Petrolio greggio convenzionale:

OPEC 17.2 20.1 40.9 45.2

Non OPEC 45.5 46.6 38.0 27.0

Totale 62.7 66.7 78.9 72.2

Petrolio non convenzionale da giacimenti identificati2 9.3 11.6 15.5 20.6

Fornitura di liquido senza includere il petrolio non convenzionale da giacimenti non identificati 72.0 78.3 94.5 92.8

Domanda complessiva di combustibili liquidi 72.0 78.3 94.5 110.1

Petrolio non convenzionale da giacimenti non identificati 0.0 0.0 0.0 17.3

Figura 17- Domanda di liquidi assolta dal petrolio convenzionale, da quello non convenzionale e da un ipotetico petrolio non convenzionale non identificato.

Per brevità si è parlato esclusivamente del petrolio, ma accenniamo al fatto che il gas naturale e il carbone sono anch’essi idrocarburi determinanti nella produzione di energia elettrica; dal punto di vista ambientale un utilizzo massiccio del carbone comporterebbe un impatto ambientale disastroso, come si deduce facilmente dalla tabella in figura 8. Per quanto riguarda la disponibilità della fonte, sia il carbone che il gas naturale sono soggetti al rischio del prossimo esaurimento e non possono essere visti come una soluzione su tempi lunghi alla necessità di sostituire le nostre fonti energetiche.

2 La definizione dell’IEA è:’Totale in gas naturale liquido, incrementi di lavorazione e petrolio non convenzionale da giacimenti identificati’

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Uno sguardo più asetticoAbbandonando ora la fonte intergovernativa dei paesi OECD come riferimento, facciamo alcune considerazioni generali su cosa deve essere tenuto in conto facendo delle previsioni sul futuro delle risorse. Intanto è fondamentale tenere presente, in relazione ad ogni fonte considerata, che l’estrazione deve essere preceduta dalla scoperta dei giacimenti. Il tempo che intercorre tra picco delle scoperte e picco di estrazione di una risorsa è valutabile in maniera semplice attraverso le statistiche.

Con picco della scoperta ci si riferisce alla scoperta di tutti i giacimenti più grandi e quindi più facilmente individuabili: in seguito, grazie al miglioramento delle tecniche di prospezione ed estrazione vengono scoperti i giacimenti più piccoli o difficilmente raggiungibili, con un tasso di scoperta che inevitabilmente si riduce a zero. Il tempo impiegato per raggiungere il picco in una regione dipende ovviamente dalla disponibilità esistente della risorsa e in maniera minore dalla tecnologia utilizzata. E’ attualmente assodato che la difficoltà di stabilire il numero e la rilevanza di scoperte di giacimenti nel tempo è stata creata dall’inesattezza delle dichiarazioni della scoperta di molti giacimenti, legata spesso a motivi commerciali e politici. Cercando di ristabilire a posteriori la datazione delle scoperte e la reale disponibilità di riserve, la Petrocunsultants di Ginevra (una delle tre fonti dei dati sugli idrocarburi utilizzati dall’IEA), afferma che il picco di scoperte mondiale è stato raggiunto intorno agli anni Sessanta (fig. 18).

Quando si raggiunge il picco di estrazione di una risorsa, non si tratta ancora dell’esaurimento ma dell’inizio di un declino nella possibilità di estrazione. Il tempo che intercorre tra i due picchi è stato individuato per alcune regioni del mondo che hanno già vissuto entrambi i momenti ma è difficile individuarlo in maniera univoca. Parliamo comunque di un ordine di grandezza delle decine di anni. In ogni caso il picco di estrazione viene raggiunto quando circa la metà della riserva disponibile è stata estratta. A questo punto l’estrazione non prosegue fino all’esaurimento, ma si interrompe quando l’energia necessaria ad estrarre la risorsa è superiore al contenuto energetico di ciò che si estrae. Si dice che in questa situazione, facendo un bilancio dell’energia, si ottiene una ‘energia netta’ pari a zero. Questo concetto è di semplice comprensione se immaginiamo il processo di estrazione nei pozzi petroliferi. Arriva un momento in cui il livello del liquido è molto basso e per raggiungerlo è necessario insufflare vapore, operazione che ha un notevole costo energetico. Nella fig. 19 la curva chiara rappresenta appunto l’energia netta, come differenza tra l’energia che si ottiene e l’energia necessaria all’estrazione: all’azzeramento la fonte energetica (source) diventa un ‘pozzo di energia’ (sink). Per questo motivo in un pozzo resta sempre una quantità che può arrivare fino al 30, 40 % del petrolio disponibile.

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Figura 18 Scoperte e riserve note di greggio dal 1940 ad oggi (Petroconsultants)

Figura 19 L'energia che si può ottenere da un giacimento deve essere confrontata con l’energia necessaria all’estrazione per ottenere il guadagno netto.

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Partendo da queste considerazioni, diversi geologi affermano che il quadro che abbiamo di fronte è più drammatico di quello presentato dall’IEA e si può rappresentare come è illustrato nell’immagine che segue, presentata nel 2000 da Colin G. Campbell.Tutti gli idrocarburi (petrolio convenzionale, varie forme di petrolio non convenzionale, gas naturale liquido , gas e gas non convenzionale) superano il picco di estrazione entro il 2015. Tanti altri lavori di scienziati indipendenti concordano nella stima dei tempi. E’ comprensibile che su un argomento scottante e preoccupante per l’opinione pubblica e per la sicurezza dei paesi, come è la questione della fornitura dell’energia non sia facile giungere ad una visione comune della questione. E’ meno comprensibile invece che non esista in questo settore nessun tentativo di affrontare a livello internazionale i problemi con cui ci stiamo confrontando e ci confronteremo sempre di più in un futuro prossimo.

L’assenza della negoziazione sull’energia: le crisi globali e il contesto internazionale.Delle crisi globali individuate dall’ONU e riportate in ordine di gravità, solo alcune sono oggetto di un tavolo di negoziazione a livello internazionale. Delle primi dieci, (crisi climatica, energetica, deforestazione, idrica, demografica , desertificazione, perdita delle biodiversità, crisi agricola, calo delle risorse ittiche) solo quattro hanno visto la realizzazione di una Convenzione Quadro (crisi climatica, deforestazione, desertificazione e perdita della biodiversità). Dalla Convenzione Quadro all’istituzione di un vero e proprio processo negoziale passa ancora molto: solo sulla biodiversità e sulla crisi climatica è già stata istituita la Convenzione delle Parti.La crisi energetica invece non viene ancora affrontata da un organismo che rappresenti tutti i paesi; l’IEA ad esempio è espressione dei paesi dell’OECD, mentre in relazione al petrolio esiste un tavolo di trattative che raccoglie i paesi dell’OPEC. Non sembra per ora che vi sia l’intenzione di affrontare la crisi imminente da un punto di vista complessivo, nonostante il mondo abbia già vissuto due ‘schok’ petroliferi.Per avere un’idea di quale via alternativa al dialogo sia stata scelta, è interessante confrontare una carta geografica che evidenzi i giacimenti di petrolio che costituiscono la risorsa per il futuro, le possibili vie che gli oleodotti possono percorrere per trasportare la materia prima nelle aree maggiormente industrializzate e i conflitti internazionali recenti.

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Figura 20 Previsione sulla fornitura mondiale di idrocarburi fino al 2050 (C.J. Campbell, 2000) (Gboe/a= gigabarili di olio equivalente/anno ; giga = 1 miliardo)

MACEDONIA

EX JUGOSLAVIA CECENIA

AFGHANISTANIRAQ

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Nella tabella è riportato il valore delle riserve note e del rapporto tra riserve di petrolio ed estrazione al ritmo attuale, secondo una stima dell’ENI: il dato fornisce un’idea delle regioni che forniranno la materia prima nel prossimo futuro; si noti anche che le stime ENI sulle riserve note sono molto inferiori a quelle dell’IEA.

Paese Riserve note nel 2000 (Mldb)

Rapporto riserve/produzione effettiva (anni)

Iraq 112,5 100Emirati Arabi Uniti 97,8 94

Kuwait 94 92Arabia Saudita 261 85

Iran 89,7 68Venezuela 72,6 65

Libia 29,5 50Nigeria 22,5 31Russia 48,6 22

Stati Uniti 21 10

Le fonti rinnovabili di energiaTralasciando per necessità di spazio il nucleare ed i rischi per la sicurezza che esso comporta, le possibilità alternative agli idrocarburi sono costituite oggi dall’uso delle fonti rinnovabili. Molte delle tecnologie che sfruttano le fonti rinnovabili sono costose sia in termini economici che in termini energetici. Ad esempio il fotovoltaico richiede processi industriali energivori per la generazione del materiale base, il silicio in forma cristallina. Quindi la semplice sostituzione degli idrocarburi con fonti energetiche di diversa natura non è in grado allo stato attuale di permettere il consumo energetico mondiale che abbiamo visto. E’ probabile che nel prossimo futuro tale consumo sarà ridotto: resta aperta la questione di quali paesi pagheranno lo scotto della crisi energetica.Contrariamente a quanto si pensi, non tutte le fonti che si rinnovano si definiscono rinnovabili. Per rientrare in questa categoria una fonte energetica si deve rinnovare in un tempo confrontabile con il tempo in cui viene consumata. Così gli idrocarburi costituirebbero una fonte rinnovabile dato che si possano ricostituire: bisognerebbe consumare 2000 barili l’anno a fronte di un consumo di oltre 80 milioni al giorno. Rientrano invece a pieno titolo nella definizione diverse fonti riconducibili all’energia solare: eolico, idroelettrico, onde e correnti, utilizzo diretto dell’energia solare, biomasse (purchè gli alberi tagliati vengano ripiantati) e alcune fonti indipendenti dal sole (le maree, il geotermico).La stessa fonte può essere sfruttata con diverse tecnologie: ad esempio nel caso dell’utilizzo diretto dell’energia solare esistono tecnologie che sfruttano la radiazione per generare calore (il solare termico per la generazione di aria o acqua calda, il solare passivo per il riscaldamento o il raffrescamento degli ambienti) e tecnologie che sfruttano l’energia del sole per generare energia elettrica (fotovoltaico, solare termodinamico utilizzato ad esempio nelle torri solari).

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Siti ufficiali di riferimento per la questione energetica dei paesi occidentali:• www.iea.org • www.oecd.org • www.eia.doe.org

Tra i siti indipendenti che danno un panorama sulla questione:• www.dieoff.com che contiene lavori di molti geologi e anche scritti non tecnici;• www.hubbertpeak.com , sito di un centro studi americano che contiene dati sui picchi di

scoperte e di estrazione di molti paesiSulle fonti rinnovabili di energia e sul loro utilizzo attuale vedi in italiano:

• www.isesitalia.it • www.puntoenergia.com