Le radici della Bioarchitettura · Reisen mit ihm, Städte durchstreifen, abseits der...

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Le radici della BioarchitetturaUgo Sasso

Architetto

A cura di Wittfrida Mitterer

Si ringrazianotutti coloro che hanno contribuitocon il loro pensieroe il loro lavoro.

Editrice Universitaria A. Weger, 2011

Associazione Bioarchitettura®

Tutti i Diritti Riservati

Impaginazione grafica: Bruno Stefani

www.weger.net

INDICE

Ricordi

L’ecologia è la scienza delle relazioniMaestro e docente

Due progetti

Opere pittoriche

Biografia

Pag. 3

Pag. 114

Pag. 128

Pag. 150

Pag. 174

“Animula vagula blandulahospes comesque corporisque hunc abibis in locapallidula rigida nudulanec ut soles dabis iocos”

(Piccola anima graziosa ed errabondaospite e compagna del corpoche adesso te ne andrai in luoghipallidi, aspri e spoglie più non avrai come ti era abitudine occasione di svago)

Imperatore Adriano (76 d.C.)

Non ci hai lasciato scritto la tua ultima volontà, ma ci hai indica-to e tracciato in tutti questi anni di intenso lavoro comune la giu-sta strada che noi perseguiremo con determinazione e fiducia.Le nostre lacrime salate come l’acqua del mare saranno lacrimeper la pace e un mondo migliore in cui l’architettura umana eamichevole, rispettosa della natura, metterà veramente radici.Quando ti vediamo in Tv o sentiamo la tua voce durante le inter-viste recenti alla radio, sei così vicino, quasi da toccare conmano.Sei stato come il fuoco che anche adesso non si spegnerà e con-tinuerà ad illuminarci con i tuoi insegnamenti.Perché nulla è impossibile se è giusto. Il non riuscire sarà soloun motivo per riprovarci ancora.Sei e rimani un eroe dei nostri tempi. La nostra vita è segnata daquello che tu hai ritenuto buono o cattivo, giusto o sbagliato.Tu che non ti sei mai arreso, ti sei arreso alle forze della natura.Importanti personaggi ti hanno apprezzato, ma io ho potuto toc-care il calore della tua mano, incrociare il tuo sguardo. Se fossicieca ti riconoscerei attraverso il timbro inconfondibile della tuavoce anche in mezzo a una folla di gente. Il tuo sorriso sempre solare e sapiente adesso è congelato. Ci èstata improvvisamente levata la terra sotto i piedi. Non resta altroche orientarci. Il tuo senso di profonda umiltà, di rinuncia e valu-tazione giusta della realtà ti hanno portato a guardare oltre, adessere un visionario concreto.E noi continueremo a seguirti.

Wittfrida Mitterer

Mettere radici

La mia più affettuosa memoria di Ugo Sasso è di camminare con lui per le stra-

de di Roma verso mezzanotte durante una calda notte d’estate.

Lungo il cammino della nostra passeggiata mi mostrava con grande entusia-

smo come vari frammenti di torri medioevali erano stati assorbiti nell’architettu-

ra dei palazzi seicenteschi.

“Se vuoi capire il pensiero della gente di un’altra epoca,” mi disse, con gli occhi

brillanti d’emozione, “devi studiare le loro architetture. Perché nella costruzionedi un habitat intorno a sé l’uomo, in modo consapevole o inconscio, vi esprimela propria visione del mondo.” Mi parlava del collegamento di un edificio con il

luogo e le persone; della nostra percezione intuitiva dello spazio che coinvolge

elementi emozionali, simbolici e metaforici per conseguenza delle responsabi-

lità culturali e sociali dell’architetto.

E mentre parlava con voce assai animata, le vecchie pietre di Roma sembra-

vano animarsi anche loro. “Certo”, mi confermò, “la cosa fondamentale è con-siderare l’edificio non più come un meccanismo, ma come un organismo, cioè,una cosa che è più delle sue parti.” Fu lì che mi resi conto in che misura Ugo

ed io parlassimo lo stesso linguaggio. Continuando la nostra passeggiata not-

turna parlammo della qualità che nasce dalle relazioni; del pensiero sistemico

in termini di collegamenti, di schemi e di contesto; e dell’ecologia come scien-

za delle relazioni. “Appunto”, affermò Ugo con grande emozione, “l’architetto èil professionista che sa gestire le relazioni.”

La qualità delle relazioni

Fritjof CapraFisico quantistico, Center for Ecoliteracy, University of Berkeley (California)3

Er war ein wunderbarer Mensch. Zusammensein mit ihm war einfach schön, -

intensiv bei gemeinsamer Arbeit - anregend beim Dinieren und Philosophieren

dazwischen und danach.

Wie kaum ein anderer war er in der Lage seinen Gedanken in Wort und Schrift

Ausdruck und Form zu geben, - aus dem Stand, "der Mund floss über, dessen

das Herz voll war" - deshalb war er als Lehrer und Mentor der Bioarchitettura

so überzeugend.

Reisen mit ihm, Städte durchstreifen, abseits der Touristenpfade, ganz ent-

spannt, immer zu irgend welchen Seitenwegen bereit auf der Suche nach dem

Genus Loci, den Menschen und dem Leben, das sie führen - lauter Bilder die

zu meinen schönsten Erinnerungen zählen.

Er fehlt uns, weil das alles nun vorbei ist - ein weiteres Stück Leben. Was bleibt

ist viel lebendige Gegenwart in der Erinnerung. Davon zehren wir. Bleibt uns

auch, sein Vermächtnis zu erfüllen, soweit wir können, weiter zu tragen, was

ihm am Herzen lag.

Insegnare Bioarchitettura

Christian SchallerArchitetto, Colonia (D) 4

Ugo aveva il dono della parola e della comunicazione, strumenti con cui riusci-

va a renderti pienamente partecipe delle sue idee...

Ma soprattutto Ugo aveva il dono della visione, dono riservato a pochi, dono

con cui era capace di vedere oltre il presente e il contingente, dono che gli dava

il senso di quello che stava facendo, perché vedeva chiaramente la strada giu-

sta e dove questa conduce, ancora...

Grazie a queste sue qualità uniche e straordinarie lui era capace di donarti

qualcosa che va oltre qualsiasi competenza professionale, oltre qualsiasi lin-

guaggio progettuale...

Ugo è riuscito a restituire a me, e credo a molti di noi, il senso alto del nostro

operare su questa terra, il fine ultimo, carico di responsabilità e stimoli, che dob-

biamo perseguire...

Ci ha ricordato che non esiste architettura senza etica, sostenibilità senza amore,

e che anche noi abbiamo un percorso, probabilmente ancora lungo, da fare.

Grazie Ugo

Senza amore non c’è sostenibilità

Fabio BaldoArchitetto, Prato5

Dopo i tuoi insegnamenti il mio modo di ascoltare, di vedere, di toccare, di

annusare e di assaggiare ciò che ci circonda è cambiato.

È cambiato in meglio!

Non eri uno facile, sapevi sia ascoltare che decidere. D’altra parte non si può

essere buoni navigatori se non si è in grado di tenere la barra dritta.

La coerenza impone rigore e fermezza.

Non mi scorderò di te, vecchio pioniere!

Navigare a vista

Nando BertoliniArchitetto, S. Ilario d’Enza (RE) 6

Ormai sono trascorsi oltre vent’anni

da quell’incontro in piazza Mazzini

dove è fiorita l’amicizia nostra.

Io provenivo dal brutale impatto

con la realtà peggiore della vita,

di chi ha perso il non sostituibile.

Cercavo di trovarne una ragione

e allontanarmi dall’abisso folle

di quel che non riesci più a comprendere.

Poi sei comparso. Quasi un cavaliere

che errava nelle lande d’Ideale

lottando per un vivere migliore.

Mi spiegavi quanto fosse indifesa

l’umanità nei tanti pericoli

dell’abitare insalubre e insicuro.

Mi dicevi come fosse importante

che quelli che lavorano per l’uomo

abbiano coscienza del non nuocere.

C’è stato tra di noi, da quel momento,

un solido legame per portare

Visioni concrete

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una nuova cultura tra la gente.

Considerati quasi visionari,

quel che avevamo chiaro fin d’allora

oggigiorno è patrimonio di tutti.

Ma adesso che hai pensato di partire

e andare a far progetti tra le nuvole,

immenso m’hai lasciato dentro un vuoto.

Così mi mancano il tuo ragionare,

piano e pacato, la tua capacità

di trasportarmi nel mondo dei sogni.

Però quando ripenso alla mia vita

m’accorgo che fai parte delle cose

tra le più positive che ho vissuto.

Per quello che m’hai dato ti rimanga

la mia gratitudine perenne. A me

resta il ricordo d’un amico caro.

8Luigi BarbatanoMedico, Roma

Ho conosciuto Ugo in occasione di un incontro conviviale. La passione per i

Suoi ideali e la percezione della Sua professionalità divennero subito patrimo-

nio dei commensali.

Ma non fu che l’inizio.

Ricordo il Suo stupore dinanzi agli scorci ed alle prospettive del Territorio

Nemorense.

Nessuno di noi dimenticherà la semplicità con la quale trattava gli argomenti,

anche quelli più difficili, permettendone la comprensione a tutti.

Con razionalità, pacatezza e padronanza della materia ha reso sempre tutto più

facile.

Ha perso una sola scommessa… per il profondo rammarico di tutti coloro che,

a diverso titolo, lo hanno stimato.

Semplicità razionale

Alessandro BiaggiAvvocato, Nemi (RM)9

Una frase mi ricorda in particolare Ugo.

Quando mi ammalai di linfoma nel lontano 1993, ci eravamo conosciuti da poco

più di un anno o forse due, mi ricordo che alla comunicazione della mia malat-

tia mi disse: “Non ti preoccupare! Sei forte, ce la farai… BANZAI NIPPON!!!”COSÌ È STATO!!! È grazie anche a Ugo e al suo incoraggiamento che ora sono

qui a raccontarlo.

Questo per sottolineare che il suo carattere di grande combattente ci ha dato la

possibilità di avere, oggi, un Istituto di Bioarchitettura apprezzato e stimato nel

mondo!

Banzai Nippon!

Giovanni BoniIngegnere, Puianello (RE) 10

Fotogramma su fotogramma…il ricordo di Ugo è vivido come non mai. Il dolcissi-

mo sorriso che la determinazione dei suoi occhi chiari non tradiva, la predisposi-

zione naturale all’ascolto e alla guida che oggi mi appare a tratti profetica…

Mancano i suoi consigli pratici e le sue profondità filosofiche del vivere nel rispet-

to dell’ambiente. Lo sfogliare insieme il libro sugli edifici di cemento armato abban-

donati nel deserto è stato più convincente di cento convegni, l’osservazione del

volto di una madonna di Bellini indimenticabile più di una lezione di storia dell’ar-

te, al pari di quella sulle fasi di riciclo della plastica e dell’alluminio in una notte

davanti ai cassonetti.

Non dimenticherò mai la nostra conversazione sull’estetica del kitsch quando sdo-

ganò la mia passione tutta teatrale per il velluto rosso o i lampi d’oro nell’arredo…

O quando comprese al volo la saudade che fin da bambina si insinuava nel mio

cuore al suono delle campane del vespro, sul limitare della notte, tra le montagne…

Gentiluomo d’altri tempi e affascinante conversatore, accompagnava sempre gli

amici verso le loro case nelle notti bolzanine, d’estate e d’inverno, chiacchierando

di facciate, di portoni, di illuminazione, della bellezza di vivere in borghi antichi dove

le persone sono in relazione fra loro come gli edifici, della necessità di un futuro

consapevole e non rinviabile per il bene di tutti… Sempre con questo modo antico

di stare in compagnia, fatto di passi e di parole, in cui le ore erano dense e profon-

de come l’amicizia.

Caro Ugo, l’ultimo ricordo di te è il più vivo. Mi mandasti, poco prima di morire, un

biglietto. Fu dopo la presentazione che ebbi l’onore di fare alla tua relazione di

Bioarchitettura all’Università di Innsbruck, davanti ad un pubblico di studenti affa-

scinati. Tu, famoso architetto, mi scrivesti: “Grazie, mi hai fatto sentire davveroimportante”. Una modestia talmente grande che mi commosse, senza sapere che

presto avrei pianto ben altre lacrime assieme a quanti ti volevano bene.

Stare in compagnia

Sandra BortolinGiornalista, Bolzano11

Rugiada del futuro

Gabriella CadelAntropologa, Siena 12

Giotto, Caravaggio e Tiepolo erano i suoi pittori preferiti. Per me, giovane pit-

tore dal punto di vista anagrafico, ma con esperienza già decennale, fu un

maestro. Sto parlando, anzi ricordando Ugo Sasso, l'amico, l'intellettuale, il

bioarchitetto tragicamente scomparso ormai da due anni nelle acque del mar

dei Caraibi durante una vacanza sudamericana.

Conosceva il mondo dell'arte, gli artisti, i critici, il mercato e i suoi trucchi. Io

del mercato e delle sue leggi spietate non sapevo nulla o quasi, di certo non

ne conoscevo i segreti.

Era coltissimo, ma non astratto: era profondamente concreto e realista. “Perarrivare al successo devi piazzare mille quadri in case di persone che conta-no, siano essi collezionisti, semplici amatori o mercanti”, mi disse una sera.

Ed io invece credevo che bastasse solo essere un bravo pittore, che avesse

fatto una scuola adeguata e che rispettasse i canoni dell'accademia per esse-

re apprezzato e valutato come artista.

Ma la sua sensibilità artistica era pari al suo realismo. Lavorammo insieme

più volte nel suo atelier e mi dava consigli tecnici: sulla scelta dei colori,

riguardo alle dimensioni e alla impostazione del dipinto. Mi sollecitava ad

azzardare, ad uscire da me stesso, a superare i dettami scolastici dell'acca-

demia, ad esprimere ciò che veramente volevo dire. Capiva le persone nel

profondo, gli interessava l'uomo, ciò che egli ha dentro, e per questo Sasso

era un grande ascoltatore.

Lavorava, scriveva, disegnava, progettava ed ascoltava ciò che gli dicevi. E

poi aveva una grande capacità di sintesi. Sapeva fare la valutazione precisa,

scolpita di una lunga argomentazione, oppure darti il consiglio di cui avevi

bisogno. Mi affascinava. Fu ciò che si dice una grande personalità, con lui si

parlava di tutto: di letteratura, di storia, di filosofia, di politica, di teologia.

Proporre e provocare

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Ma fu soprattutto nell'ambito della sua professione che Sasso mi aprì degli

scenari inimmaginabili. Io, figlio di un imprenditore edile, avevo sempre con-

siderato la figura dell'architetto come ancillare rispetto all'ingegnere e all'im-

prenditore. L'architetto Sasso, che nel 1991 aveva fondato l'Istituto Nazionale

di Bioarchitettura a Bolzano, mi fece invece comprendere quanto fosse cen-

trale il ruolo dell'architetto nell'edificazione del costruito.

L'architetto, che io avevo sempre visto chino sul tavolo da disegno, impegna-

to nella creazione di belle forme risultanti dal calcolo di superfici e volumi, non

era soltanto questo, mi spiegava Ugo, o meglio che non doveva essere sol-

tanto questo. Mi convinse che l'architetto è l'esperto di numerose discipline

che egli, profondo conoscitore, riesce a manipolare al servizio dell'uomo in

modo tale che il risultato sia un costruito che giovi al benessere dell'uomo.

Era molto conosciuto in Italia, all'estero fino in America per le sue convinzio-

ni a sostegno degli orientamenti che tengono conto oltre che della salute e

dello star bene degli abitanti, delle risorse ambientali e dei suoi equilibri eco-

logici, tanto quanto delle relazioni tra le persone e della loro cultura.

Per me Ugo Sasso fu una guida culturale e artistica. Un vero padre spirituale.

14Claudio CalabreseInsegnante e pittore, Merano (BZ)

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Ugo Sasso era solo di un anno maggiore di me, e compivamo gli anni più o

meno nello stesso periodo: forse per questo la notizia della sua scomparsa così

assurda mi colpì incredibilmente.

Lo conoscevo da qualche anno, dal Laboratorio progettuale cui partecipai nel

2002 a Rocca di Papa. Avevo trovato in lui un maestro, nel vero senso della

parola, uno dei pochi veri maestri che io abbia avuto la gioia di conoscere (chi

mi insegna davvero qualcosa ha la mia gratitudine per sempre).

Il suo studio, teso a ritrovare la dimensione umana dell’abitare, a riconnettere i fili

di una tradizione millenaria nell’architettura, ha dato voce, razionalizzandola, ad

una mia stessa aspirazione, che da sempre sentivo e da cui mi ero censurato.

Grazie Ugo, soprattutto per avermi aiutato a ritrovare i miei pensieri!

Riprendere le fila

Massimo CarliArchitetto, Viareggio (LU)

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Nella frescura all’imbrunire,

in una luminescenza variegata

fra il mare e il cielo,

scorgo il viso

il viso di Ugo.

Gli occhi penetranti e sicuri

il sorriso sincero

l’amore per l’arte

l’arte della vita

Il suo pensiero si dipana fra mille

il mio pensier conduce

al liceo artistico

la sua barba di sapore garibaldino

Ugo era attento sicuro

generoso nel forgiare

un nuovo artista

pittore scrittore

L’insegnante non si inventa

ma si diventa.

Trasposizione visiva del mondo fra Garibaldi e Ugo.

Il primo facendosi cosmopolita adotta l’umanità per difenderla con le armi...

Il secondo adotta lo spazio temporale fra l’uomo e la terra sulla quale vive per

instillare alle nuove generazioni l’equilibrio fra natura e umanità ovvero il bioe-

quilibrio di sapore architettonico.

Ciao Ugo

L’arte della vita

Corrado CarusoImpiegato e poeta, Bolzano

17 Sandro CassigoliArchitetto, Firenze

Condottiero

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Accade che nel corso della vita si incontrino persone con le quali inaspettatamente,

magari per occasioni di lavoro normalmente estranee alla propria attività, si crei un

rapporto di stima, fiducia e simpatia. Persone speciali con le quali senti di poter avere

un rapporto altrettanto speciale. Ugo Sasso per me era una di queste persone.

Ho conosciuto Ugo alcuni anni fa quando Wittfrida, direttrice del Curatorium per i

Beni Tecnici Culturali di Bolzano, mi propose di realizzazione assieme un impegna-

tivo racconto sulla storia delle centrali idroelettriche in Alto Adige da esporre al pub-

blico presso la bellissima centrale di Cardano. In particolare l’evento, da allestire nella

sala macchine della centrale, si poneva come punto fondamentale per valorizzare

degnamente il tema e l’imponente lavoro di ricerca storica svolto dal Curatorium.

Servivano idee e proposte adeguate. È a questo punto che la mia occasione di

incontrare Ugo si presentò.

Armonia tra il racconto storico e il luogo dove effettuarlo, piattaforme sospese, pia-

stre di luci, percorsi fotografici, concretezza e sintesi realizzativa, questi sono stati gli

aspetti attraverso i quali abbiamo iniziato a conoscerci.

Abbiamo, poi, avuto altre occasioni di vederci e discutere sui temi a lui cari: di una

nuova architettura orientata all’integrazione fra uomo e ambiente e sugli innovativi

percorsi universitari che si apprestava a realizzare.

Idee all’avanguardia, che raccontava con passione e convinzione coinvolgenti tali

che, alla fine di ogni incontro, rimanevo sempre con la piacevole sensazione di aver

potuto condividere un po’ del mio tempo con un amico di grande spessore umano

prima ancora che intellettuale.

È mancato all’improvviso, già due anni fa.

So che altri continueranno il suo percorso intellettuale, con analoga passione ed

impegno, mentre a me non rimane che il grande piacere di averlo conosciuto ed il

rammarico per le occasioni d’incontro che non potrò più avere. Ciao, Ugo.

Impegno e passione

Lorenzo CattaniIngegnere, Trento

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Ho imparato da te che occorre semplicità per parlare di temi complessi come

quelli dell'ecologia.

Semplicità di linguaggio ma soprattutto semplicità di vita e di scelte perché

anche se la tecnica ci verrà in soccorso, a risolvere saranno sempre le scelte

individuali.

Ma le scelte personali sono anche frutto di capacità di relazioni e la tua arte nel

cercare architetture e materiali che potessero favorirle mi fa pensare ancora

adesso che spesso le soluzioni sono a portata di mano.

Occorrono però persone in grado di far capire, di far pensare... e a noi privi di

te manca un maestro.

Basta volere

Alfonso CauteruccioPresidente Greenaccord, Roma

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Ho conosciuto Ugo Sasso nei primi anni ‘90, quando la parola Bioarchitettura

era, ancora di fatto, sconosciuta ai più. Durante la mia presidenza alla sede di

Lecco dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura, insieme abbiamo ideato e speri-

mentato numerose attività di formazione e corsi di tutti i livelli, fino ai primi wor-

kshop progettuali con Lucien Kroll. Ugo sapeva inevitabilmente di essere un

pioniere e tutto con lui aveva il fascino di una festa iniziatica, in cui si esplora-

vano mondi nuovi, si apprendeva l’uso di strumenti inediti, si confrontavano

saperi diversi. Questa intesa sottile ci legava, irresistibilmente.

Ricordo un corso tenuto insieme ad Agerola (definita dagli autoctoni come “la

Svizzera napoletana”…), in cui Donatella Mazzoleni, docente della facoltà di

Architettura di Napoli, fece abbracciare ai partecipanti, divertiti e sgomenti, le

grandi colonne di una cattedrale barocca per interminabili minuti, affinché nel

silenzio ne sentissero la verticalità, percependo la gravità della pietra: a piedi

nudi e nel freddo autunnale del marmo del pavimento, i candidati uscivano, poi,

sulla terrazza antistante per chiamare, con i telefonini, parenti ed amici, raccon-

tando essi stessi, increduli ed eccitati, la follia dell’esperienza appena vissuta.

Ugo, chiedendo gentilmente di passargli il cellulare, staccava loro le batterie,

dicendo ironicamente: “È inutile raccontare ad altri ciò che forse non si è noistessi ancora compreso, a meno che in questo caso specifico stiate parlandocon un cavatore di Carrara... La Bioarchitettura è anche inclusione del non visi-bile, ma solo se prima lo sapete percepire dentro voi stessi”.In quel corso, la mia esercitazione a seguire si chiamava, appunto, “Vedere l’in-

visibile” e consisteva nel descrivere con aggettivi e immagini analogiche le per-

cezioni sensoriali di uno spazio, ad esclusione della vista. Ugo era, con il suo

esempio militante al mondo dell’architettura, un agente infiltrato, ma di genere,

inevitabilmente, sempreverde.

Vedere l’invisibile

Giulio CeppiArchitetto, Milano

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Ti ringrazio per esserti fatto incontrare, per aver voluto convivere e condivide-

re, con la tua umile generosità, una visione del mondo che va ben al di là del-

l’architettura.

Spesso mi rendo conto che inconsciamente sei presente in molte delle mie

scelte, nell’ambito professionale e ancor più in quello umano, quello delle rela-

zioni che tu, meglio di chiunque altro, mi hai insegnato a comprendere metten-

dole al centro del mio vivere il presente e, soprattutto, il domani.

Per me sei stato l’ultimo ed prezioso Maestro, un dono gentile per affrontare

con sguardo lucido e sereno il Cammino che mi aspetta.

Ciao, Raffaello

Maestro prezioso

Raffaello CiabochiIngegnere, Roma

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Ho incontrato per la prima volta Ugo Sasso nel 1997. Allora ero un giovane

assessore ai lavori pubblici, ingegnere, che affrontava per la prima volta temi

quali la partecipazione alla progettazione, il costruire in bioedilizia, i materiali

ecocompatibili, un approccio “ecologico” alla realizzazione di un nuovo edificio

scolastico. Ugo Sasso venne a Faenza assieme a Lucien Kroll.

Ero abituato, fino ad allora, a pensare alla realizzazione di una scuola in termi-

ni di costi, di esigenze didattiche, di sicurezza e strutture, diciamo più da inge-

gnere. Dopo l’incontro ricordo di aver chiesto ai miei collaboratori se le perso-

ne che avevamo incontrato erano veramente dei tecnici o piuttosto due filosofi

o due sociologi.

Oggi dopo tredici anni, con la scuola da poco inaugurata, posso dire di avere

avuto la fortuna di incontrare Ugo, che ha cambiato il modo di affrontare un pro-

getto di lavori pubblici, non solo da parte mia, ma da gran parte dell’ufficio tec-

nico del Comune di Firenze, con più attenzione alle persone che fruiscono delle

opere pubbliche, a quello che pensano, a quello che si aspettano, e con più

attenzione e cura alla scelta dei materiali, al contenuto ecologico del progetto,

pensando anche al lungo periodo. Un modo moderno e responsabile di lavora-

re in una pubblica amministrazione, che ha contaminato tutti quelli che hanno

avuto la fortuna di conoscere e lavorare con Ugo e che ho la pretesa di pensa-

re abbia contribuito anche a migliorare la città.

Per questo Faenza lo ringrazia.

Contaminatore e filosofo

Luigi CiprianiIngegnere, Assessore Lavori Pubblici, Comune di Faenza

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Conobbi Ugo tanti anni fa al Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale per

la cooperazione allo sviluppo, presso cui mi trovavo in posizione di fuori ruolo

con l'incarico di seguire le iniziative delle Regioni e delle Province Autonome

italiane.

Con quell’incontro emerse spontanea una sincera condivisione della necessità

di sviluppare la solidarietà tra le genti di tutte le nazioni e di tutte le razze.

Questa spontanea reciproca condivisione di poter svolgere nella società un

ruolo attivo per migliorare le condizioni di vita delle persone in generale, mi con-

sentì di incontrarmi più volte con Ugo, insieme a mia moglie e a Wittfrida.

Ebbi modo, quindi, di seguire personalmente il suo impegno nella

Bioarchitettura, di cui ammirai anche l'intuizione di regalare un indice di cuba-

tura suppletivo purchè venissero costruite case a misura d'uomo e a salvaguar-

dia dell'ambiente.

Credo che sia, soprattutto per l'impegno di Ugo, che anche nella Regione Lazio

si parli oggi di Bioarchitettura.

Solidarietà condivisa

Vittorio CiufoliniEx funzionario del Ministero degli Affari Esteri, Roma

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Non posso dire di aver conosciuto bene Ugo, l’ho incontrato alcune volte con

Witti in occasione della nostra intervista all’interno della collana “Saper credere

in architettura”.

Mai titolo è stato più efficace per un architetto profondamente determinato a far

penetrare e divulgare le tematiche della Bioarchitettura soprattutto negli archi-

tetti italiani, ancora distanti dalla progettazione ecosostenibile che invece in

Europa era ed è in una fase molto più avanzata.

E lo faceva con una passione civile e un impegno quotidiano straordinario, che

vedevo nei suoi occhi buoni e nella sua forza dialettica. La sua tragica morte è

stata una perdita immensa per l’architettura italiana.

Credere nella Bioarchitettura

Gianni CosenzaArchitetto, Editore CLEAN, Napoli

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Penso sempre più spesso ad Ugo, ai momenti passati insieme, a quell'immen-

so bagaglio di esperienza acquisita durante il periodo in cui ho avuto la fortuna

di vivere e lavorare a stretto contatto con lui. Mentre progetto, quando discuto

con amici, se mi arrabbio e perfino mentre cucino mi scopro a ripetere o a ripe-

termi frasi di Ugo, ed inesorabilmente non posso fare a meno di sorridere. Mi

capita anche adesso, in questo momento.

Penso, anzi lo so per certo, sia un fatto comune a chiunque abbia avuto modo

di conoscerlo, anche solo superficialmente, perché Ugo conquistava le perso-

ne con la sua coerenza o, per dirla a modo suo, perché lui sapeva di avere

ragione.

Dalla parte della ragione

Andrea CostantiniIngegnere, Porto Valtravaglia (VA)

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Non sono un architetto, poco o nulla so di Bioarchitettura, se non lo stupore

entusiasta degli occhi azzurri e spalancati di quell’architetto di utopie (così, in

fondo, l’ho sempre pensato) che era Ugo Sasso. E con utopia non alludo a

qualcosa di impossibile e lontano. Anzi. Ne ho sentita giusto ieri una bellissima

definizione, non ricordo purtroppo di chi: “utopia è quella cosa che quando fac-ciamo un passo verso di lei si sposta di un passo, e se per inseguirla ne faccia-mo due, si sposta in avanti di due passi… e così via.” L’utopia, insomma, è ciò

che ci fa andare avanti.

La sua utopia Ugo Sasso la raccontava sempre così, come qualcosa appena lì

davanti, a un soffio da noi. Un sogno che era ad un attimo dal divenire presen-

te, e quasi si meravigliava che per tutti così non fosse. D’altra parte bisognava

solo essere ciechi per non leggerlo tutto, l’oggi della sua utopia, nelle linee delle

sue iridi. Forse per questo spalancava sempre gli occhi, per farcelo entrare tutto

intero il paesaggio di quel suo sogno.

Ho conosciuto Ugo Sasso proprio il giorno di un suo compleanno. Di passaggio

a Roma insieme con Wittfrida. È arrivato nascosto dietro un grandissimo mazzo

di fiori. Erano lilium, lo ricordo ancora, bellissimi. Per la padrona di casa. Me li

ha porti con gesto da signori d’altri tempi, emozionante, raro…

Utopia concreta

Francesca De CarolisGiornalista, Roma

L’incontro con Ugo Sasso fu per me una di quelle occasioni nelle quali i veli posti

davanti agli occhi, che non ti permettono di vedere la realtà delle cose, vengono

squarciati.

Non mi ero mai occupato prima di allora di architettura, tanto meno di Bioarchitettura.

Le questioni relative al bios le avevo, però, affrontate durante la lunga permanenza

quale componente del Comitato Nazionale di Bioetica. Si era trattata di una palestra

assai interessante, per sensibilizzare l’attenzione del giurista, per lo più rivolta alle

figure astratte create dal giure, con i fatti concreti della vita materiale. Per questo

motivo avevo promosso l’introduzione degli studi di bioetica e biogiuridici

nell’Università di cui sono Rettore, la Lumsa.

Il primo incontro con questo – per me – sconosciuto architetto fu per certi aspetti

sconvolgente. Nel senso che mi fece percepire immediatamente quanto il problema

bioetico fosse assai più articolato e complesso, rispetto ai paradigmi usuali che ten-

dono a ridurlo entro i pur fondamentali contesti della biomedicina. Con l’asciuttezza

e l’essenzialità tipici del suo parlare, in poche parole Ugo Sasso mi portò a cogliere

le stringenti linee d’interconnessione tra bioetica e bioarchitettura, seguendo percor-

si intellettuali che collegavano fenomeni e problematiche cognite, ma nella mia

mente non correlate: il depredamento del territorio, lo sfiguramento del paesaggio, lo

stravolgimento di equilibri naturali e di ecosistemi, l’irrazionale manipolazione della

natura, lo spreco energetico, l’espandersi di un’urbanistica non attenta alla dimensio-

ne della vivibilità umana: il tutto come risultato di una speculazione edilizia animata

solo dall’immediato interesse economico.

La calma nell’approccio, che mi parve subito un carattere saliente della sua perso-

nalità, non palesava – o almeno non palesava appieno - la forza di convincimento

che, invece, era radicata in profondi convincimenti interiori. Una sorta di “ecosistema”

personale rifletteva, attraverso le sue parole, l’equilibrio del progetto ideale di cui si

Il sogno nel cassetto

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era in qualche modo fatto missionario in un Paese, quale è il nostro, ancora molto

poco sensibile ai postulati ed alle pratiche della Bioarchitettura, così come ancora –

nonostante tutto – acerbo nei confronti delle tematiche bioetiche, in cui vede preva-

lentemente un terreno di scontro politico ed ideologico più che di incontro a favore

dell’uomo e del creato.

Da quell’incontro nacque l’interesse per un progetto comune, diretto a pensare un’ar-

chitettura per la sostenibilità, frutto non solo di impegno tecnico ma del convergere

di saperi e di esperienze. Un progetto diretto alla formazione di professionisti che,

assieme alle necessarie competenze dell’ingegneria e dell’architettura, avessero

consapevolezza della complessità dei problemi che la Bioarchitettura evoca e fosse-

ro aperti a imprescindibili forme di collaborazione interdisciplinare. Una collaborazio-

ne attenta all’organizzazione dello spazio, alla gestione delle risorse, all’ottimizzazio-

ne dei consumi energetici, alla scelta dei materiali, alla rilevazione delle necessità

dell’individuo, non presi singolarmente, ma realisticamente colti nella rete di relazio-

ni sociali in cui sono inseriti, che sono necessari al suo divenire ed alla qualità della

sua vita. Con passione crescente venimmo a disegnare un progetto ambizioso ed

innovatore, in cui i percorsi formativi dei professionisti del costruire per l’uomo fosse-

ro integrati da competenze nuove, come in materia di sociologia urbana, di bioetica

e di biogiuridica. Punto focale del progetto era in definitiva quello di riportare l’etica

della vita al centro dell’architettura, facendo riscoprire a questa le ragioni più profon-

de della sua vocazione.

La scomparsa di Ugo Sasso, cioè del motore appassionato dell’iniziativa, ha ferma-

to il progetto e lo ha riposto, come non di rado avviene, nel cassetto dei sogni. Non

so se, quando e chi potrà riprenderlo e portarlo a termine. So per certo, però, che

Ugo Sasso con la sua etica sensibilità, la sua passione per l’uomo ed il creato, in cui

si trova inserito, e la sua raffinata professionalità, non è passato invano tra noi.

Giuseppe dalla Torre del Tempio di SanguinettiRettore Università LUMSA, Roma 28

50 passi. Sono solo 50 passi quelli che dividono il mio studio da quello di Ugo.

Già, perché Ugo per me è ancora lì. Lì nella rubrica del telefonino. Lì nella mai-

ling list. Lì sul campanello al 71. Lì tra i banchi di Piazza delle Erbe. Insomma

è lì a 50 passi da me. Ancora oggi a distanza di tempo percorro quei pochi

passi. Alzo gli occhi, guardo quel portone in legno sempre aperto e rivedo Ugo.

Mi racconta di città e sostenibilità…

U.S.: L'uomo in questi anni ha concepito delle cose straordinarie. Pensa ad esem-

pio all'automobile!

C.D.: All'automobile?

U.S.: Si certo hai capito bene! L'automobile. Bella, potente, sicura, economica…ora

anche ecologica. Insomma un concentrato di scienza e tecnologia incredibile.

Ve ne sono alcune che sfiorano la perfezione. Per non parlare del design.

Pazzesco. Mi segui?

C.D.: Si… ti seguo ma non immaginavo questa passione per le automobili.

U.S.: Allora ti propongo un salto logico. Da un lato abbiamo le macchine…bellissi-

me. Dall'altro abbiamo i parcheggi. I parcheggi che ospitano le macchine. Per

la proprietà transitiva i parcheggi dovrebbero essere dei luoghi magnifici.

Contengono le macchine! Ergo sono il massimo. Se tu pensi ai parcheggi, a

quella distesa di macchine spesso infinita. Ecco, non potrai che concordare

con me che sono bruttissimi. Nove volte su dieci sono dei luoghi orrendi.

Allora cosa voglio dire con questo. Non è la somma di cose straordinarie,

posizionate con ordine, pulite e a basso consumo che rendono interessante

e bello uno spazio. Sarebbe troppo facile. L'architettura oggi la vedo un po'

così. Come un grande parcheggio. Un grande parcheggio dove si contano

tante casette con prestazioni certificate tutte uguali ma un po' diverse. Si pren-

de nota di quanti chilometri si percorre con un litro di carburante e si urla

CasaClima. CasaClima A, Oro, Platino. Si affiancano prestazioni eccellenti a

design eccellenti e si fanno le città. Ma cosa rimane poi di tutte queste eccel-

lenze? Un parcheggio. Non c'è dialogo tra le "cose". Case straordinarie si

affiancano a case straordinarie. Ma non c'è relazione. E' tutto slegato. Chiuso

nel proprio io. Ci sono Ferrari, Mercedes, Bmw e poi le imitazioni di Ferrari,

Mercedes, Bmw. I nostri colleghi vedono la città come un insieme di perfor-

mance. Case costruite seguendo l'ordine, la geometria, il design, le prestazio-

ni. Insomma quello che sto cercando di dirti è che stiamo perdendo la relazio-

ne con il territorio, con il mondo. La città è prima di tutto relazioni. Relazioni

che si sono materializzate. Via Bottai, Piazza delle Erbe. Hai mai visto Piazza

Clima? Guarda qui sotto. Potrebbe essere così questa piazza se non vendes-

sero la frutta e la verdura? Avrebbe lo stesso fascino con i prodotti di

Dolce&Gabbana, Prada o Gucci? Eppure quello è il massimo. I prodotti

Salto logico

29

avrebbero un valore pari a mille volte quella banana che si vede laggiù. Sai

cosa ti dico? Nonostante la matematica dica meglio Prada, io penso che non

sarebbe la stessa cosa. L'unicità di questa piazza è nella quotidianità dei

gesti, degli odori delle relazioni. Oggi è sabato. Un giorno speciale. Un coa-

cervo di relazioni complesse. Il territorio, il clima, le persone, gli animali. Per

molto tempo ci hanno fatto credere che l'architettura fosse un problema geo-

metrico, poi che fosse un problema sanitario. Ora ci dicono che è un proble-

ma tecnico ambientale. C'è sempre una priorità da inseguire. Magari diventa

la giustificazione per demolire. Qualcuno vorrebbe farci credere che è più

sostenibile una CasaClima Oro rispetto a una casa del '600. Pazzi! Già la

sostenibilità. Un vero pasticcio. Ormai sono anni che ne parlo. Non c'è solu-

zione. Lo sai come la penso. Il destino è segnato. Consumiamo meno, ma

consumiamo di più. Quindi boom. Oggi venendo in studio ho fatto il giro da

via Streiter. Lì c'è il negozio di giocattoli. Quello dove abiti tu.

C.D.: Chi, Gutweniger?

U.S. Esatto Gutweniger. C'erano due giocattoli interessanti. Uno era in legno. Sulla

scatola una scritta diceva circa così: “giocattolo sostenibile, zero emissioni di

CO2”. Poco più in là, c'era un giocattolo in plastica. Simile. Sulla scatola era

scritto: “giocattolo sostenibile, zero alberi tagliati”. Vedi è un pasticcio. Legno e

plastica. Tutto è sostenibile. Niente è sostenibile. Si prendono le coscienze. Già

da bambini ti confondono. Ma, hai capito quello che voglio dirti? È importante.

Lo devi raccontare ai tuoi studenti. La città non è quella roba lì che vogliono

farci credere. La città è un insieme di relazioni. È un insieme di racconti che si

stratificano nell'abitare. E l'abitare altro non è che l'azione consolidata.

Insomma volevo dirti che forse scriverò un libro su "L'abitare non è un parcheg-

gio". Ciao, salutami il piccolo. A presto.

Claudio De LucaProf. Arch. Facoltà di Design e Arti, Università di Bolzano 30

31

Nel nostro tempo sovreccitato e assordante Ugo Sasso ci ha insegnato a colti-

vare tranquille e salde speranze.

Rendere questo mondo degno e amabile, creare città e spazi di vita sani e

sostenibili; anche questo era il lavoro di tutta la suo vita. E non sono solo esem-

pi costruiti; il suo merito è soprattutto l'impegno di diffusione di questi ideali e di

questo stile di vita.

Ugo in particolare ha ispirato le persone: molti in Italia e oltre confine sono stati

contaminati dalle iniziative di Ugo.

Conferenze, seminari, viaggi, pubblicazioni quali la stessa rivista

Bioarchitettura; Ugo non li ha mai fatti da solo, ma sempre insieme. Quando

penso ad Ugo Sasso, penso anche Wittfrida Mitterer. Questo binomio sembra-

va invincibile e incrollabile.

Vedo Ugo davanti a me con il suo sorriso tranquillo, all'apparenza in disparte,

ma di discreta e forte presenza e guida esperta. In tutti gli eventi in cui ho avuto

l'occasione di partecipare Ugo sapeva tirare le fila del discorso. Anche nelle

situazioni più difficili ha saputo guidare verso la visione d'insieme in modo ami-

chevole e divertente, senza mai alterarsi, ma appunto in maniera sapiente e

curata, tutta italiana, indicando il percorso in avanti.

Il migliore modo per rendere onore ad Ugo sarà portando avanti i suoi obiettivi

e ideali con tutta la forza a nostra disposizione.

Coltivare speranze

Herbert DreiseitlArchitetto paesaggista, Überlingen (D)

32

Primo incontro con Ugo: 1976, corso di abilitazione all’insegnamento per entra-

re nei ruoli dell’amministrazione scolastica statale. Con la mia automobile, la

mitica Fiat 500, una volta alla settimana ci si recava a Trento per partecipare al

corso. Nacque l’amicizia.

L’anno 1978 ricerca della casa. Ugo mi mette a disposizione il suo alloggio, da

cui traslocava per via Rosmini, tenendo però la disponibilità di una stanza dove

erano affissi i suoi quadri più significativi. Era una bellissima compagnia per il

sottoscritto ancora scapolo.

Ottobre 1978: tentativo di smettere di fumare con il metodo della riduzione pro-

grammata. Incontro con suo padre, figura minuta ma determinata. Mi diede il

consiglio: se vuoi smettere devi smettere, non ridurre. Mai consiglio fu migliore

e risolutivo.

Anno 1989, decisione storica: uscita dalla scuola per dedicare il tempo alla libe-

ra professione, anche Ugo prende la medesima decisione.

L’incontro professionale tra noi due prende un avvio incerto, perché da parte

mia manifesto scetticismo sul tema che poneva Ugo: il mondo della

Bioarchitettura, troppo lontano, all’epoca, dalla sensibilità di un ingegnere.

Dicembre 2008: dopo quasi venti anni, durante i quali le nostre strade, pratica-

mente, non si incontrarono, ci si ritrova, si rinnova la stima reciproca ed il forte

desiderio di lavorare assieme. Nasce un piccolo ma importante e significativo

lavoro: il monumento rievocativo della storica vicenda della funivia del Colle.

Per la testa incominciarono a frullarci idee di grande interesse per la mobilità

della città di Bolzano, che purtroppo furono interrotte dalla improvvisa e tragica

vicenda.

L’amicizia ritrovata

Adriano FerroIngegnere, Bolzano

Pragmatismo ideologico. In sintesi, la locuzione che meglio rappresenterebbe la figu-

ra di Ugo Sasso se si dovesse provare a riassumere le attitudini di colui che ha segna-

to, con la sua filosofia, la vita professionale di molti colleghi come me.

Ideologico nell’accezione più vicina al significato di ideologia quale scienza delle ideee delle sensazioni. Ma anche pragmatico nel modus operandi, tutto teso all’invenzio-

ne di azioni, successioni, relazioni indirizzate al nuovo ed all’antico allo stesso tempo.

Era il Suo modo di affrontare d’istinto i fatti, di primo impatto, sia fossero convegni,

corsi, libri, progetti. Ecco quello che lo distingueva dalla maggioranza delle personali-

tà che come lui si trovano avvolte nella vita, sia per caso che per destino, a domina-

re fenomeni culturali di larga scala come quello che Sasso propagò per il Paese tra

gli ottanta e i giorni nostri. Era la prima domenica di gennaio del 2009 quando, al cel-

lulare, mi si comunicava dell’incidente che interruppe la fervida vitalità di un architetto

– giornalista che aveva fatto della Bioarchitettura la sua ragione di vita. Avevamo riflet-

tuto lungamente qualche settimana prima sul senso che avrebbe dovuto assumere

l’imminente progetto di promuovere l’istituzione del primo premio nazionale di

Bioarchitettura. Ancora nel mio cassetto sta la lettera di un importante carica dello

Stato che avallandone l’ideazione si complimenta in attesa di sviluppi. Già allora sem-

brava tautologico premiare l’architettura se, o solo se, biologica. Lo sforzo sarebbe

consistito quindi nello sviluppare la complessità esistente tra biologico e logico, utile e

superfluo, bioarchitettonico e razionale: “Bottega” diceva in quei giorni, “è arrivato ilmomento di riuscire a far crescere questo Istituto”, riferendosi al celeberrimo I.N.B.Ar.

E pensare che nel 2005 a Bologna proposi la creazione di una Commissione

Congressuale. Forse i tempi non erano ancora maturi e Ugo trasalì. Ne era passata

di acqua sotto i ponti anche da quando nel 2002 scese a Fontanarossa accompagna-

to da Lucien Kroll e io lo accolsi con il saluto militare… oltre 700 registrazioni ed un

migliaio di partecipanti al Convegno del 22 aprile di quell’anno “Habitat urbano e città

Funziona così...

33

paese” (AA.VV. a cura di Francesco Ferrara, Quaderni Bioarchitettura, A.B.TAT,

Catania, 2003). Fu uno shock per l’accademia locale, e motivo di preoccupazione

mista a curiosità per il mondo delle professioni, che per la prima volta assistevano ad

simile exploit mediatico con la partecipazione di Regione, Industriali, Costruttori,

Università. La bandiera era issata: si trattava di costituire la ciurma.

Mi sembra quindi questa l’occasione per attivare una fase rinviata ormai oltre ogni

tempo supplementare: re-inventare o ri-cominciare a pensare come negli anni Ottanta

quando Ugo coniò il suo neo-logismo Bioarchitettura. Ripartiamo così dalle sue ulti-

me, inedite affermazioni di Agrigento nel 2008, quando affermò: “L’obiettivo è unico emultiforme: noi non dobbiamo più progettare edifici, ma progettare relazioni… proget-tare edifici è standardizzabile… il lavoro dei futuri architetti sarà quello di recuperarela realtà progettando relazioni… parrebbe che negli ultimi dieci anni ci sia mossi versouna tensione ecologica… non è importate conoscere quanti soldi si possano rispar-miare con un tetto fotovoltaico [piuttosto] è fondamentale sapere cosa ne facciamo diquei soldi”. E ancora, il paradosso del parcheggio: “Se pensiamo all’oggetto che oggi rappresen-ta meglio la nostra epoca non possiamo non riferirci all’automobile: quanta ricerca tec-nologia nasconde! Design, innovazione, marketing; le automobili sono bellissime,quanto però bruttissimi i parcheggi. Tanti oggetti bellissimi riuniti insieme, danno vitaad un luogo orribile… come si migliora dunque un parcheggio? Non certo parcheg-giando una Lamborghini, ma realizzando un tessuto connettivo: per esempio, sempli-cemente, con del verde. Il compito degli architetti è sperimentare, inventare e modifi-care? O semplicemente disegnare luoghi accoglienti. Il mandato della società qual è?Quello di creare nuove forme o quello di fare in modo che un luogo sia vivibile... Qualisono gli elementi che fanno di Agrigento, Agrigento?” Poi, quando il dubbio ti assaliva

e chiedevi a Ugo: e la Bioarchitettura? Lui esordiva con il fatidico: “Funziona così…”.

Francesco FerraraArchitetto, Catania 34

35

Come non pensare ad Ugo ora che la Bioarchitettura, per la divulgazione della

quale lui ha fatto e lottato tanto, è diventata una disciplina quasi imprescindibi-

le per qualsiasi nuova costruzione o intervento di risanamento.

Come non ricordare quegli espressivi occhioni azzurri così profondi e luminosi

come i suoi pensieri ma anche come il mare che lo ha improvvisamente ed

ingiustamente inghiottito.

Come non rimpiangere l’accrescimento morale ed intellettuale che lasciavano i

suoi incontri, come non ricordare l’umanità e l’etica di quel bell’uomo colto, sim-

patico, sempre disponibile capace di mettere tutti a proprio agio. Perché, per-

ché, continuo a chiedermi, il destino si accanisce contro gli uomini migliori?

Ci ha lasciato un grande vuoto fisico ma intellettualmente è e sarà sempre con

noi. Quanto ha fatto e divulgato lo rende immortale; continua infatti a vivere nei

suoi libri nella rivista, negli allievi degli allievi…

Una cosa è certa sarà ricordato sempre con grande stima ed affetto oltre che

con il rimpianto per la sua avventura terrena durata troppo poco.

Ci accomunavano molte cose, eravamo entrambi allievi di Carlo Scarpa che

aveva fortemente inciso su entrambi.

Mi struggo pensando a quanto ancora avrebbe potuto raccontarci, insegnarci,

condividere…

Umanità ed etica

Barbara FornasirArchitetto, Trieste

36

Da bambino costruivo continuamente delle casette con il materiale edile dell’im-

presa di mio padre, però la mia passione era quella di costruirle sugli alberi e

quelle poche che realizzavo a terra erano fatte in argilla e ricoperte d’erba.

Da adulto ho sempre ricordato con limpidezza le miei costruzioni e mi sono

posto delle domande: perché le costruivo in quel modo e non utilizzavo tutti i

materiali industriali disponibili nel magazzino?

Ugo con la sua visione del mondo mi ha aiutato a dare una risposta: per me era

innata la ricerca di difendermi dalla natura con la natura.

Semplicità genuina

Uberto Fortuna DrossiLibero professionista, Gorizia

Ero un ragazzo di 14 anni, terminate le scuole medie mi iscrissi alle superiori.

Lì conobbi il mio docente Ugo Sasso. Noi studenti avevamo pensato, fino a quel

momento, che la materia di disegno tecnico fosse un passatempo, nulla di dif-

ficile e poco importante.

Ricordo la prima volta che Ugo entrò in classe, un uomo alto, giovane, asciut-

to, un viso serio e sereno, una voce forte e decisa con una voglia di fare nuova.

Ci presentò il programma annuale parlando di proiezioni ortogonali di figure

piane e solidi, arabo per le nostre orecchie, ma capimmo subito che quell’inse-

gnante, anche se giovane, era tosto e certamente non ci avrebbe permesso di

trascurare la sua materia d’insegnamento. Devo dire che di ore ne ho passate

tante attaccato al tecnigrafo, disegnando di notte, lasciando lo studio alle ore

diurne.

Allora Ugo era serio sul lavoro, comprensivo con chi non capiva, inflessibile con

i pochi alunni svogliati, ma quello che importa è che con il suo insegnamento

avevamo imparato a tenere in mano una matita, a capire i disegni e incomincia-

to a disegnare con la china a mano. Lo ebbi come insegnante per due anni e

devo dire che grazie a lui riuscii a trovare come primo impiego un posto di dise-

gnatore. Purtroppo, non lo rividi più per molto tempo.

Nel settembre del 2008, mentre ero in ufficio, ricevetti per lavoro una telefona

da un certo arch. Sasso, persona che riconobbi subito dalla voce come il mio

prof di disegno, ci dammo appuntamento nel mio ufficio per il giorno seguente.

Quel giorno, riconobbi Ugo subito, certo gli anni erano passati, qualche ruga in

più segnava il suo volto, molti i capelli in meno, il fisico sembrava quello di allo-

ra, ma quell’espressione di entusiasmo nel lavoro non gli era passata, sembra-

va essere il motore della sua vita. Ricordo che sorrisi dicendogli: “Prof, non cisarà mica un altro compito in classe di disegno, perché realmente non sono

Uno spazio speciale

37

pronto, gli anni mi hanno arrugginito”. Lui rispose al mio sorriso e mi osservò

attentamente riconoscendomi.

Ricordammo insieme molto di allora, con gioia e allo stesso tempo con nostal-

gia, non per i ruoli che rivestavamo, ma per la giovane età che non c’era più. In

quei mesi abbiamo collaborato, in gruppo con altri, alla realizzazione di alcuni

progetti, stavamo ancora lavorando insieme quando un’onda nascose per sem-

pre il suo viso, la sua voce, la sua voglia di vivere.

Lo porto nel cuore come molte altre persone, ma a lui ho lasciato uno spazio

speciale, quello riservato ad un vero amico.

Ciao prof, ciao Ugo.

38Franco ForrerTecnico del Comune di Bolzano

39

Da molti anni le ricerche e gli interessi del nostro Dipartimento (Configurazione

e Attuazione dell’Architettura di Napoli) erano già orientati verso un chiaro obiet-

tivo che, benché declinato da più parti secondo tendenze teoriche, studi scien-

tifici e approfondimenti progettuali differenziati, si identificava nella scoperta di

un modo più ecologico di affrontare i temi complessi dell’architettura e del

costruire.

Nei ricordi, sin dai primi anni di studio presso la facoltà di Architettura di Napoli,

le mie scelte formative, consentite dagli ordinamenti universitari di allora, si

erano soffermate su alcuni corsi di insegnamento che miravano proprio allo stu-

dio e alla sperimentazione nel campo dell’architettura bioclimatica e della pro-

gettazione ambientale e, ancora giovanissima e desiderosa di confrontarmi con

quanti più aspetti possibile del mondo delle costruzioni, mi lasciai guidare da

Virginia Gangemi e da Gabriella Caterina - allora giovani professoresse di

Tecnologia dell’Architettura presso l’Università “Federico II” di Napoli - verso i

nuovi confini della casa solare passiva, degli insediamenti ecologici e del rap-

porto tra costruito e natura.

Tuttavia è stato dal brillante incontro del nostro gruppo di studio - cui nel frat-

tempo avevo aderito una volta laureata - con Ugo Sasso, che si sono moltipli-

cate le potenzialità, verso il riconoscimento nazionale ed europeo, dei valori e

dei presupposti scientifici della Bioarchitettura: Ugo ci ha fornito la chiave di let-

tura di una serie di manifestazioni di sviluppo sostenibile, che pur altri seguiva-

no secondo quanto avevo potuto osservare in seguito alla mia partecipazione,

sin dal 1982, ai convegni internazionali del PLEA, del REbuild, ecc; ci ha offer-

to la possibilità di riunire sotto un unico tetto i nostri obiettivi, le nostre ormai

consolidate competenze scientifiche e teoriche, i nostri più reconditi pensieri su

come l’architettura dovesse in qualche modo fare i conti con le risorse, con la

materialità e con la spiritualità del contesto, e non soltanto con la sua forma e

geometria. E a questo tetto ha dato un nome, che pur ricordando quello tede-

sco di Bau-biologie (Biologia della costruzione), assume tuttavia in italiano con-

notati più complessi, poiché contempla anche la forte risonanza del prefisso

bio, che in greco antico indicava la vita e che dunque richiama linee di percor-

so maggiormente legate ai principi del mondo vivente, al quale non solo appar-

teniamo noi esseri umani, ma una gran parte della terra stessa. In questo modo

le teorie ambientaliste più antiche insieme ai concetti più moderni di EcologicalFootprint (l’impronta ecologica, M. Wackernagel e W. Rees), di CarryingCapacity (Carico ambientale, Hermann Daly) e di Global Warming (riscalda-

mento globale, IPCC, Intergovernamental Panel on Climate Change) rientrano

a gran voce all’interno del nostro mestiere, rendendo indispensabile, se non

impossibile da evitare, il confronto con la terra e con le sue componenti biotiche

Definire e condividere

40Dora FranceseProf. Arch. Facoltà di Architettura, Università Federico II, Napoli

e a-biotiche. Con la sua definizione di Bioarchietttura, Ugo ci ha dischiuso il

cammino verso un percorso da seguire in comune, poiché non solo ha conso-

lidato e sistematizzato una serie di concetti che prima di lui venivano in Italia

raramente affrontati, in comunione con l’Europa, da illuminati studiosi (ad esem-

pio Sergio Los a Venezia), ma soprattutto ha fondato un’Associazione, e ha

voluto condividere con tutti noi che abbiamo aderito con coraggio e grande inte-

resse intellettuale alla sua iniziativa, il piacere di diffondere e sostenere i prin-

cipi della cultura del costruire ecologico. Ancora il merito all’architetto Sasso,

quale grande maestro del nostro tempo, di aver contribuito a mettere luce sui

numerosi concetti che affiancano la produzione e la progettazione dell’habitat,

delineando in modo netto la distinzione tra ecosostenibilità e biocompatibilità,

col definire la prima come la capacità di sistemi costruiti alle varie scale di con-

trollare le questioni globali dell’ambiente naturale e culturale e nell’identificare

la seconda con la sfera di opzioni progettuali che intende favorire, proteggere

e garantire tutte le esigenze dell’utenza e della sua vivibilità.

Infine vorrei ricordare a tutti coloro che non hanno avuto la fortuna di conoscer-

lo personalmente, ma solo attraverso i suoi numerosi e illuminanti scritti, che la

sua personalità complessa, profonda, serena e disponibile al confronto e alla

condivisione, ma soprattutto piacevole e coinvolgente, ha reso il lavoro, la

discussione, la partecipazione alle attività insieme con Ugo, per me, come

momenti di estrema gioia e gradimento.

41

Ci siamo conosciuti nel 1999 con Ugo, in occasione della costituzione della

Sezione di Bioarchitettura di Firenze. Per conoscerlo meglio, ho partecipato ad

un “Viaggio”. Credo fosse il secondo, organizzato da Bioarchitettura.

Ci eravamo iscritti poco prima all’INBAR, non molto, eppure quando partimmo

da Bolzano per la Germania con il bus di Johannes era come se mi avesse

conosciuto da sempre.

Si parlò molto durante il viaggio, soprattutto la mattina presto. Mi svegliavo

all’albeggiare, gironzolando fuori dai luoghi di “posta” e a quell’ora spesso ci si

incontrava per scambiarci opinioni su molte cose: vari temi, da quelli architetto-

nici all’ambientalismo, dalla morale all’etica, convenendo sulla necessità che si

potesse formare una nuova generazione di architetti, più preparati e più consa-

pevoli dell’importanza del loro ruolo .

Ho ascoltato molto, apprezzando la pacatezza e i modi gentili del mio interlocu-

tore, la grande disponibilità a discutere e la poca attitudine a cambiare idea

facilmente doti che ho apprezzato col tempo e che mi tornano spesso in mente

come le dissertazioni mattutine in terra “todesca”. Ricordi indelebili di un perio-

do tanto piacevole quanto breve.

Di primo mattino mattino

42Piero FunisArchitetto, Firenze

Ugo Sasso durante uno dei Viaggi di Bioarchitettura, 2005.

Ho avuto la fortuna di incontrare Ugo Sasso e di lavorare per qualche tempo

con lui.

Come lo ricordo?

Era il convinto promotore di un processo formativo nell’architettura fondato

non solo sulla tecnica e sull’innovazione tecnologica ma anche sull’ecologia e

sulle scienze della vita: solo così l’architettura diventa capace di rendere più

umana la città, attraverso (innanzitutto) il recupero della sapienza della natu-ra. Pur essendo fortemente attento alla dimensione culturale del progetto, non

lo interessava l’architettura “raccontata” ma quella effettivamente “fatta/realiz-

zata”.

Persona tenace nel sostenere con convinzione le proprie idee, anche se in

modo attento ad altri punti di vista, e garbato, era più interessato all’essereche all’apparire. Rifiutava formalismi e burocrazie, perché cercava la verità

essenziale delle cose.

Instancabile promotore di una visione della qualità fondata sulle relazioni e

sulle connessioni delle singole parti con il tutto, non solo nella

architettura/città ma anche nella vita, era il promotore di una visione sistemi-

ca del progetto di architettura, che non confligge con l’ecosistema, ma con

esso co-evolve, in modo dinamico ed adattivo: una visione di architettura

come un organismo vivente e non come una meccanica sommatoria di parti.

Con la sua improvvisa scomparsa è venuto meno un caro amico, capace di pro-

porre energia e stimoli fecondi, in particolare per le più giovani generazioni.

Fare architettura

Luigi Fusco GirardProf. Arch. Facoltà di Ingegneria, Università Federico II, Napoli43

44

Ugo Sasso era Vicepresidente del Curatorium per i beni tecnici culturali sin

dalla sua fondazione.

Era una mente eccellente che con approfondita cognizione di causa sapeva

dare nuovi spunti di riflessione e di iniziative.

Ha accompagnato l’attività del Curatorium per quasi 20 anni con la sua attitudi-

ne di fare e di parlare in modo sovrano ed equilibrato.

Collaborare con lui era un piacere. Lavorava in modo intenso e stimolante.

Proprio la sua specializzazione in Bioarchitettura lo metteva in condizione di

esprimere il suo pensiero in modo convincente sia in forma parlata che per

iscritto.

Oltre alle sue precise formulazioni nella sua madrelingua riusciva spesso a dare

anche spunti determinanti per una esatta formulazione in lingua tedesca.

Era sempre in cerca di nuove vie e soluzioni, lontane da quelle tradizionali.

Ha mantenuto sempre la capacità di meravigliarsi e di rallegrarsi di fronte ad

aspetti sorprendenti ed inattesi della nostra esistenza.

Era una persona squisita, che ci mancherà per sempre.

Semplicità poliedrica

Klaus KemenaterPresidente Curatorium per i Beni Tecnici, Bolzano

Non è facile parlare al passato di Ugo Sasso, amico tenero e presente, mae-

stro instancabile e generoso.

Lo avevamo conosciuto nel settembre del 2003. Era il nostro primo vero lavo-

ro dopo la laurea: per molti mesi abbiamo lavorato fianco a fianco nella sede

bolzanina dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura, mesi durante i quali abbia-

mo imparato a conoscere umanamente e culturalmente un uomo dal fascino

non comune. Era instancabile: passava con abilità dalla progettazione alla

redazione di articoli, dalla direzione della rivista Bioarchitettura all’organizza-

zione di corsi, incontri e convegni. Era un architetto bravo e appassionato, un

bravo pittore, un oratore tenace, capace di condurti per ore attraverso le tesi e

la complessa filosofia dell’architettura che negli anni era andato elaborando.

Il momento più bello della giornata, al quale ripensiamo spesso con un sorriso

di malinconia, era la pausa caffè: Ugo trasformava quei pochi passi tra l’ufficio

e la caffetteria in una piccola lezione di architettura, scoprivamo vicoli, scorci,

simmetrie e asimmetrie degli edifici storici e poi ne discutevamo per ore. E dal-

l’architettura si passava alla storia, alla filosofia, ai pensieri e ai racconti per-

sonali. Ugo sorrideva quando gli dicevamo che dopo quella greca c’era la sua

scuola peripatetica.

Tornati a casa nell’estate del 2005, dopo l’esperienza bolzanina, abbiamo pas-

seggiato con Ugo per i vicoli di Napoli dove accompagnandolo a corsi e a con-

ferenze e di Roma dove abbiamo partecipato con orgoglio al suo primo corso

bioclimatico post laurea, ma nello scrigno dei ricordi più belli rimane un’incan-

tevole serata di fine estate a Sorrento. Quel giorno Ugo aveva avuto una serie

di appuntamenti a Napoli, noi andammo a prenderlo a via Monte di Dio e tutti

e tre assieme decidemmo di andare a Sorrento per una passeggiata e una

pizza. Gli mostrammo gli angoli più belli della nostra città delle vacanze, poi,

La pausa caffé

45

sempre a piedi, raggiungemmo la marina Grande, il porticciolo dei pescatori.

Nessuno dei tre voleva andare via: rimanemmo per tanto tempo su quelle

scale a guardare il mare e a raccontarci ricordi e pensieri.

Ugo era l’amico che aveva sempre un consiglio saggio, una parola affettuosa,

un sorriso che ti accarezzava l’anima nei momenti di tristezza e in quelli di

gioia.

Per l’Istituto Nazionale di Bioarchitettura, la sua creatura, ci auguriamo che rie-

sca a portare avanti i suoi ideali, la sua visione colta e sensibile dell’architettu-

ra, ma a noi stessi auguriamo che la patina del tempo non faccia mai sbiadire

la sua immagine e il suo sorriso.

Salvatore Gammella e Ginevra De ColibusArchitetti, Sarno (SA) 46

Ho conosciuto Ugo Sasso agli inizi degli anni ‘90, e devo questo contatto ad

una brillante laureanda in Architettura, Elvira Tortoriello, che aveva in corso una

tesi di cui ero relatore, sui temi della Bioarchitettura. Nel corso dei suoi studi, la

giovane ebbe modo di assumere informazioni in merito all’attività di Ugo Sasso.

In quella occasione Ugo venne a conoscenza delle nostre attività presso

l’Università Federico II di Napoli in tema di tutela e progettazione ambientale, e

mi invitò così a tenere una lezione in un corso da lui organizzato a Bolzano.

Il mio viaggio a Bolzano rese possibile l’incontro con Ugo e Wittfrida. Fui imme-

diatamente colpita dalla personalità carismatica di Ugo, dall’energia e vitalità di

Wittfrida e dalla loro complementarietà nello sviluppo del percorso che aveva

portato alla creazione dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura. Nacque con loro

un rapporto di profonda intesa e di condivisione che sfociò nell’attivazione, nel

1993, della sezione di Napoli dell’INBAR. Da quell’anno si rafforzò un rapporto

segnato da frequenti incontri, in occasione dei Convegni internazionali promos-

si con continuità a Napoli dalla nostra sezione con la sigla “Progetto Abitare

Verde”, nei quali la partecipazione di Ugo rappresentava un evento costante,

con l’apporto di Wittfrida che metteva in moto i meccanismi della comunicazio-

ne, per trasferire sulla stampa locale i risultati del Convegno, aiutandoci a vin-

cere le pesanti inerzie dei media, con la sua professionalità e con la sua ger-

manica determinazione.

Ugo e Wittfrida erano da noi percepiti come portatori di una cultura innovativa

che proveniva dal nord-Europa, ed aveva in quei luoghi a nostro parere una feli-

ce attuazione, dal momento che frequentemente nei nostri Convegni relaziona-

vano progettisti di quei paesi che presentavano loro opere realizzate, nelle quali

si riflettevano pienamente i principi teorici e metodologici e le strategie che

erano già presenti nei nostri scritti, ma senza purtroppo riscontri significativi nei

nostri territori. Gli interventi di apertura dei Convegni, da noi promossi, tenuti da

Ugo Sasso, avevano la capacità di suscitare entusiasmo, soprattutto nei giova-

ni, che coglievano nelle sue parole passione e competenza e comunque un

messaggio di speranza, anche per i nostri luoghi.

Le prime esperienze concrete che la nostra sezione riuscì a realizzare nei primi

anni hanno riguardato interventi di piccole dimensioni che tuttavia hanno assun-

to un significato simbolico particolarmente rilevante. Nell’area di Bagnoli, dalle

straordinarie qualità paesaggistiche e naturali, con un litorale purtroppo per

anni contaminato dagli altiforni dell’Italsider, (un complesso siderurgico sorto in

un luogo magico, deturpato dalla presenza di macrostrutture industriali e da

processi di inquinamento ambientale) ha inizio, a seguito della chiusura dello

stabilimento dovuta alla crisi del settore siderurgico, un processo di bonifica,

purtroppo a tutt’oggi ancora non definitivamente concluso.

Passione pionieristica

47

Nei litorali, liberati dagli impianti industriali, nascono i primi stabilimenti balnea-

ri, che vogliono proporre, per quei luoghi, un’immagine nuova. Nel 1994, il

gestore di uno stabilimento balneare di Bagnoli, “l’Arenile”, chiese alla nostra

associazione di predisporre per la sua struttura una planimetria di progetto in

linea con i principi della Bioarchitettura. La nostra proposta di sistemazione del-

l’area prevedeva la costruzione di una struttura realizzata in legno, canne di

bambù e canapa, che ricopriva una gradinata in mattoni di laterizio assemblati

a secco, totalmente reversibile, in modo da smontarla nei mesi invernali e

rimontarla in estate. L’installazione, denominata “Torre del vento”, aveva la fun-

zione di raffrescare la spiaggia, canalizzando con la sua particolare forma le

brezze marine. Per la realizzazione della struttura, riuscimmo ad ottenere la col-

laborazione di una ditta che costruì materialmente l’opera, accollandosene inte-

gralmente le spese. Una volta realizzato l’intervento, le fotografie della “Torre

del Vento”, segno del riscatto di un’area a forte vocazione turistica, impropria-

mente destinata a zona di sviluppo industriale, furono pubblicate da molti gior-

nali e riviste. Questo progetto fruttò al suo autore, Cherubino Gambardella, il

premio “Opera prima 1996” promosso dalla Andil-Assolaterizi ed il premio di

Architettura “39” della Academy of Architecture di Los Angeles. Ho voluto ricor-

dare in particolare questo intervento, legato alla fase della nascita della nostra

sezione, perché contrassegnato dalla stessa passione pionieristica che carat-

terizzava in quegli anni l’opera di Ugo Sasso, di cui avvertivamo pienamente la

vicinanza intellettuale.

Il nostro impegno attuale, per onorare la sua memoria, è essenzialmente rivol-

to nella direzione di non disperdere il patrimonio di idee e di risorse che ci ha

lasciato, augurandoci di poter proseguire un percorso che ci conduca a raggiun-

gere traguardi che sarebbero stati da lui condivisi ed apprezzati.

48Virginia GangemiProf. Arch. Facoltà di Architettura, Università Federico II, Napoli

Conobbi Ugo Sasso nel 2000 a Gubbio, mi ero iscritto ad un corso di

Bioarchitettura e affascinato dalla materia mi recai appunto in quella città per

iniziare quella che dentro sentivo come una grande opportunità professionale.

Quel corso era diretto da Ugo Sasso e mi ricordo, come oggi, che nel giorno

della presentazione, dalle parole che Ugo disse per presentare i temi e i colle-

ghi che avrebbero tenuto le lezioni, ebbi subito l’impressione di trovarmi davan-

ti, prima ancora che un grande architetto conoscitore come pochi della materia,

una persona aperta al dialogo, dalle componenti umane eccezionali. Prima

ancora che un grande architetto Ugo era una persona che ti metteva a tuo agio

e insieme a te voleva intraprendere un percorso di studio, di ricerca, e nono-

stante la sua straordinaria padronanza della materia aveva la straordinaria

capacità di non stare sul piedistallo dell’insegnante e lasciarti in quello dell’alun-

no. Ugo ci seguì magnificamente in quel corso, e al di là dei validi insegnamen-

ti dei docenti, le sue “interruzioni”, i suoi “suggerimenti”, le sue “riflessioni”, mi

aprirono un mondo professionale incredibile, quei concetti che Ugo Sasso con

semplicità, con chiarezza, ci aveva espresso durante i mesi del corso, segna-

rono profondamente il mio cammino professionale e non solo il mio ma credo

anche di tanti altri partecipanti al corso.

Decisi di proseguire la strada professionale che avevo iniziato a Gubbio e l’an-

no dopo mi iscrissi al laboratorio progettuale. Anche lì fu una sorpresa positiva

e continua, ascoltare Ugo che con semplicità ma con una straordinaria padro-

nanza della materia ti apriva ogni volta un mondo nuovo, ricco di opportunità,

di nuove conoscenze.

Devo dire con tutta onestà che era sempre un piacere ascoltare le lezioni di

Ugo, mai noiose, i suoi semplici ma efficaci concetti ti aprivano un poco alla

volta ad un mondo di cui avevi sempre sentito parlare ma che mai nessuno così

efficacemente riusciva a spiegarti. Aveva la capacità, la grande capacità, di ren-

dere semplice ciò che in realtà era il frutto di un grande e complesso meccani-

smo, di una grande cultura che stava alle spalle di quei semplici ed efficaci con-

cetti, un nuovo mondo dell’abitare, un corretto fra le attività umane e l’ambien-

te circostante. Ogni volta che ascoltavo le lezioni di Ugo riflettevo che dietro

quei concetti espressi cosi efficacemente e comprensibili anche ai profani della

materia non poteva esserci solo e soltanto un percorso professionale seppur

importante, ma anche una diversa visione di ciò che ti stava intorno, insomma

una grande cultura che non era fatta solo di conoscenze tecniche e soluzioni

architettoniche rispettose dell’ambiente ma andava ben oltre a ciò che in quel

momento Ugo trasmetteva con le sue lezioni.

Ho un aneddoto bellissimo di quel periodo, un giorno insieme ad un collega

ingegnere riflettevamo sui temi del corso e venne spontanea ad entrambi que-

Crescita professionale

49

Maurizio GiannottiArchitetto, Gabicce Mare (PU)

sta riflessione: “Certo che quelle cose che fino a qui abbiamo appreso, posso-

no essere poche o tante, indipendentemente dalla validità dei docenti che fino

ad ora abbiamo ascoltato, portano la firma più di tutti di Ugo Sasso”. Era una

riflessione spontanea che avevamo ascoltato anche da altri colleghi partecipan-

ti al corso.

Il rapporto con Ugo continuò anche dopo il termine del corso, cercai di coinvol-

gerlo in alcune attività della città dove operavo e nel frattempo cercai di seguir-

lo nei suoi convegni quando non erano troppo lontani da casa mia. Insieme ad

Ugo e ad altri colleghi lavorammo in particolare ad un grande progetto abitati-

vo per la mia città e ad un innovativo regolamento di bioarchitettura sempre per

la mia città.

Quando appresi della sua morte e di come accadde, fu per me un grande dolo-

re, capii che oltre ad un grande maestro era scomparso anche un amico ma un

po’ ironicamente pensai che il personaggio Ugo Sasso non poteva andarsene

come tutti e che anche nella morte come nella vita Ugo Sasso aveva lasciato

un segno indelebile della sua presenza.

Ancora oggi quando penso a Ugo, al suo lavoro, ai suoi insegnamenti fatti di

semplici e chiari concetti, alla sua umanità, alla sua amicizia, penso che quelle

tante o poche cose che so le ho apprese più di tutti da quel maestro che egli

era e questo è il ricordo più bello che ho di lui.

50

Vivere il proprio tempo

51

Il compianto architetto Ugo Sasso era un uomo che si era continuamente chie-

sto qual è il senso della vita, il senso del mondo, per quale lui come architetto

era chiamato a costruire delle case. Il mondo è grande casa della vita, per que-

sto lui come professionista aveva fondato la Bioarchitettura, un’architettura per

la vita, che si chiede prima di progettare qualche costruzione cosa favorisce la

vita, cosa è al servizio dell'uomo, creato per coltivare e custodire il grande giar-

dino della terra.

Nella lettura della Genesi ci vengono raccontate le prime quattro giornate della

Creazione. Sappiamo che non si tratta di un'esposizione scientifica, ma di un

testo didattico che ha lo scopo di approfondire il rapporto dell'uomo con Dio,

dell'uomo inserito nel contesto di tutta la Creazione, opera dell'amore divino.

Dopo ogni giornata è detto che Dio vide ed era cosa buona. Papa Giovanni

Paolo II l'aveva commentato così: ”Lo sguardo di amore di Dio riposa su tuttociò che ha creato. Dio con la Creazione ha assunto una relazione con ognicreatura”. Per cui anche l'uomo, creato ad immagine di Dio e corona di tutto il

Creato, è chiamato a vivere in relazioni.

La prima cosa che Dio ha creato è la luce, perché Dio stesso è luce. L'occhio

umano è creato per la luce, e luce è il simbolo della bellezza. L'architetto è

chiamato a fare costruzioni belle, costruzioni sulle quali posa volentieri l'occhio

umano, dove l'uomo istintivamente dice: “Qui è bello, qui conviene stare.”

Proprio così come aveva esclamato Pietro quando era testimone della trasfi-

gurazione di Cristo, quando ha visto il suo Signore e Maestro avvolto di luce.

La luce è anche l'elemento indispensabile per ogni vita, per la vita organica,

per il bios.

In aprile scorso l'architetto Ugo Sasso ed io abbiamo partecipato ad un conve-

gno promosso della Conferenza Episcopale Italiana sul tema “Costruire bene

Karl GolserVescovo della Diocesi di Bolzano-Bressanone 52

per vivere meglio. L'edilizia del culto nella prospettiva della sostenibilità”.

Avevamo preparato insieme in una commissione questo grande congresso al

quale hanno partecipato 350 persone, in maggioranza architetti. Ugo Sasso ed

io eravamo fra i relatori del convegno.

Dopo la mia relazione Ugo Sasso mi avevo dato ragione, dicendomi che non

l'estetica e le soluzioni tecniche dovevano essere in primo piano nella proget-

tazione di un edificio, ma la dimensione fondamentale dell'uomo, un essere

che vive nello spazio e nel tempo.

L'architetto deve quindi chiedersi in che modo l'uomo vive il suo spazio, in che

modo far entrare nelle sue costruzioni anche l'intero ambiente, ed in che modo

l'uomo vive il suo tempo: non un tempo accelerato come la nostra frenesia, ma

un tempo naturale in cui ci sia alternanza fra movimento e quiete, in cui si

rispettino delle stagioni. L’inserimento quindi dell'uomo nelle sue relazioni pri-

mordiali con tutto ciò che lo circonda, in cui l'essere umano possa aprirsi alla

relazione più fondamentale, quella dell'amore come risposta all'amore del

Creatore.

Il giorno della memoria è il modo dei vivi per festeggiare chi tra i vivi non è più

ed è prerogativa dei vivi il possedere la memoria. Penso che Ugo Sasso non

abbia bisogno della rievocazione che serbiamo ai defunti grazie alla viva ric-

chezza della sua ricerca dalla quale attingiamo quotidianamente. Proprio così,

la presenza di Ugo ci orienta a saper riconoscere la Bioarchitettura come arte

che ordina le relazioni tra le persone, lo spazio e il tempo nel rispetto dell’am-

biente e delle risorse rinnovabili.

Seppur di breve durata, l’amicizia con Ugo si è rivelata così intensa e pregnan-

te da farmi spesso sentire la mancanza di un confronto diretto con il suo esse-

re uomo e architetto, magari seduti in un caffè, o chiusi in una macchina di ritor-

no da un laboratorio, o al telefono in audio conferenza; Ugo aveva il dono del

racconto capace di trasformare i problemi globali in pensieri di vita quotidiana,

di scomporre asettiche teorie in validi arnesi di lavoro senza mai assumere

atteggiamenti analitici di comodo nel rispetto della complessità organica del-

l’esperienza. Come non ricordare il concetto di perfettibilità semplificato con la

stalla trasformata in un ristorante; o quello di percezione illustrato con le matto-

nelle gialle di un bagno posate a regola d’arte, o la valorizzazione della stanza

elevata ad unità semantica dello spazio la cui effettiva qualità non è riconduci-

bile alla somma dei suoi componenti ma alle relazioni tra di essi: le stanze costi-

tuiscono appartamenti, questi, condomini che formano quartieri, quindi città,

ovvero, tessuti urbani fatti di luoghi accoglienti e tra loro connessi. Per Ugo

Sasso l’accoglienza era la qualità fondante dell’architettura!

Avremmo voluto riscrivere la Storia dell’Architettura Moderna partendo dai due

principi universali della relazione e dell’accoglienza mettendo in discussione gli

stereotipi e le rigidezze ereditate dai Maestri del secolo scorso. Maestri che a

fatica Ugo assolveva anche se era pronto a riconoscerne la validità, come

accadde per quella riflessione sull’architettura integrata di Gropius che gli sot-

toposi: “[…] Ma il problema da cui in nessun modo vorrei apparire distaccato èla comune condizione, in cui viviamo, di perdere il controllo della macchina delprogresso che la nostra èra ha creato e che sta cominciando a passarci soprae a schiacciarci. Intendo dire che il cattivo uso della macchina crea una menta-lità di massa, che assimila le anime, che livella le disparità individuali distrug-gendo l’autonomia di pensiero e di azione. […]” (W. Gropius in Scope of Total

Architecture, 1955, traduzione italiana Architettura integrata, il Saggiatore, Mi

1963). “Vedi - mi dice ad un tratto - questo dimostra che abbiamo ragione e saiqual è la cosa più bella? Non aver dovuto costruire molteplici edifici sbagliati percomprenderlo”.

Provocazioni, spunti e modi differenti di pensare che oggi, più di ieri, tengono

insieme il mio essere architetto! L’affetto e la stima per Ugo Sasso si alimenta-

Anche oggi mi sei venuto in mente

53

no giorno per giorno rivivendo gli schizzi elaborati insieme, gli appunti, i libri

scambiati, quelli da lui consigliati, i testi/testamenti che ha lasciato a noi tutti e

che sistematicamente prendiamo come riferimento per il nostro lavoro nel ten-

tativo di realizzare un’architettura corretta. Scritti che sanno misurare i facili

entusiasmi ma lenire le sconfitte di chi continua in direzione ostinata e contra-

ria. Non si tratta di “fare l’architetto”, mi diceva, ma imparare ad esserlo, come

intraprendere un viaggio simile alla lenta ricerca di una vita, poco propenso alle

lusinghe dei facili abbagli e alle celebrazioni per le composizioni confezionate

al di sopra delle reali necessità della gente. Quanto densa e complicata la tua

lezione! Quanta fatica a disimparare per ricondurre le persone e il loro bagaglio

di emozioni al centro dei nostri interessi architettonici, per seguire le tradizioni

millenarie dell’architettura e dei suoi valori sorridendo alle civetterie e agli affan-

ni per emergere a qualunque costo.

Ora noi siamo in prima linea e abbiamo intrapreso questa irta strada, e Tu? Tu

come sempre ti proponi con originalità; non ci sono vuoti da colmare con la

memoria perché, come ieri, anche oggi mi sei venuto in mente senza impartire

soluzioni, con la solare leggerezza che ti connota. Pensieri critici come stru-

menti per combattere, non per resistere, con la necessaria lentezza che ci hai

insegnato atta a comprendere l’universo delle relazioni e a sostenere un cam-

mino di intenti possibili.

A domani Ugo, a domani!

Ivan Petrus IobstraibizerArchitetto, Padova 54

Caro Ugo, mon ami…

Personne n'arrive à croire à ta disparition, on s'attend à te revoir subitement là, avec

quelques mots sur ton absence. Puis, de suite au boulot... Et, avec Wittfrieda, tu

reprendrais tes quatorze heures de travail par jour (et nuit) où tu les avais laissées...

Un rapide coup d'œil en arrière sur vingt-cinq ans d'intensité calme et puissante : à

écrire, à dessiner, à calculer, à discourir, à inventer des concepts (ce n'est que ça la

philosophie d'après Félix Guattari et Gilles Deleuze, ces écologiques...). Et surtout à

réfléchir, toujours en vue d'une action et celle-ci, toujours en liaison avec toutes les

autres : c’est le contexte. Et puis, expliquer, expliquer et convaincre… Et sa passion

d’enseigner sa vérité : elle est universelle et angoissée devant le sort que se réserve

l’humanité lorqu’lle ne décide de rien de grand et de lumineux.

Puis à s'arrêter pour rediscuter en parlant et en écoutant avec intensité et à ne pren-

dre une voix forte que lorsque l’interlocuteur biaise… Et se faire une masse d’amis et

aussi quelques ennemis mais respectueux…

Et recommencer car ce n'est jamais gagné.

Depuis le Haut Adige, au sommet de la carte de l'Italie dans cette région multiculturel-

le, il a entendu l'écologie, en a saisi l'urgence tragique avant d’autres et s'est mis à la

répandre du haut en bas de la péninsule, créant des foyers amicaux. Avec Wittfrieda

Mitterer, en équipe inséparable…

Une oeuvre monumentale, impossible à cerner, toujours en chantier : que de projets

entamés et maintenant à moitié abandonnés… À la fois des philosophies et des pra-

tiques d’architecture et d’urbanisme.

Une remarque de son crû : « Certains disent habiter Florence et on les imagine dans

ce paysage somptueux, hé non ! Ils habitent une banlieue triste au-delà de toute répa-

ration, un milieu fait de mensonges, de médiocrité et de voracité, anti-écologique… ».

Et en évolution : sur tous les fronts : ils étaient partout...

Et sa sollicitude envers les « jeunes » de bonne volonté et sa lenteur de pédagogue

patient qui attend que « l’autre » comprenne spontanément, à demi-mot, complète lui-

même le raisonnement par son expérience personnelle et ne s’abandonne pas à une

obéissance passive.

La délicate attitude à adopter devant des « stagiaires » qui possèdent quelques cer-

titudes parfois approximatives et un « quant à soi » obstiné et qui imposent leurs nar-

cissismes encombrants.

Il m’avait proposé en 1996, de faire équipe avec lui à Reggio Emilia, pour conduire un

exercice postuniversitaire : « reconditionner » une petite rue quelconque mais quasi

vivante, en bon ordre, en bon désordre aussi, en la densifiant, une opération de plus

en plus fréquente pour épargner les bonnes terres des maraîchers périurbains.

D’abord, un bon exercice d’observation des comportements d’habitants à travers

leurs façons spontanées de construire leur paysage personnel. Une architecture indi-

Hommage

55

viduelle de banlieusards sans architectes : c’est la réalité sincère, de bonne foi, peu

glorieuse qui est surtout une question de communication. Mais c’était difficile entre des

habitants moyens et des architectes qui ont été entraînés à rêver de palais modernes

glacés et d’urbanismes de discipline géométrique…

L’exercice demandait une compréhension mutuelle difficile entre ces deux « civilisa-

tions » aussi contradictoires. Aucun mépris ou ignorance n’était tolérable : le respect

du contexte physique et humain pouvait créer un projet compatible. C’est le problème

éternel.

Une partie des stagiaires étaient subitement partis vers une solution « héroïque » de

grand projet narcissique : moi, je n’ai pas réussi à les convaincre. J’ai appelé Ugo au

secours et j’ai admiré le calme de ses questions ouvertes, « socratiques » qui coin-

çaient les interlocuteurs dans une logique précise, vers un compromis acceptable,

sans douleur et sans anesthésie... La paix a été rétablie et le projet était redevenu

commun.

J’ai appris beaucoup, les stagiaires aussi.

Nous ne sommes pas dans la nostalgie, poursuivons dans d’autres circonstances

mouvantes, son attitude qui enseignait presque tacitement, par l’absurde, par son

exemple, sa solidité et sa mesure.

Ne soyons pas tristes…

Lucien KrollArchitetto e Urbanista, Bruxelles (B) 56

57

Ugo ha significato per me un valore aggiunto dato alla Bioarchitettura, dal

momento della fondazione dell'Istituto , che va ben oltre la logica della tecnolo-

gia dell'abitare e dei concetti generici di biocompatibilità e sotenibilità, per

diventare una via con un cuore di uomo fatto non solo di mente razionale, ma

di mente intuitiva e consapevole.

Nell'ultimo incontro a Sanremo, nel luglio del 2008, sempre ponendo l'uomo al

centro di un'azione armonica con la natura ci ha invitato a riflettere sul concet-

to di lavoro come fondamento della dignità della persona, pensiero più che mai

attuale su cui lavorare sia a livello individuale che sociale.

Il valore aggiunto

Maria Carmen LanteriArchitetto, Sanremo

58

Si sta avvicinando il Natale.

Ogni anno in questo periodo iniziano a giungere auguri di ogni forma e tipo, e

tra i tanti, quello da me più apprezzato, era il cartoncino augurale di Ugo.

Sempre originale, personale e rappresentativo della persona che lo inviava e

sigillato dalla sua firma con una penna ad inchiostro dal pennino largo simile

allo shodo giapponese.

Del resto Ugo è stato un architetto a tutto tondo che ha sempre voluto dare una

personale impronta estetica a tutte le sue idee.

Basti pensare alla veste grafica della rivista Bioarchitettura (vecchia maniera)

che è stata unica nel suo genere; alle locandine dei vari eventi, addirittura alla

forma dei blocchi di carta per prendere appunti.

Ugo era un grande anche per questo!

Il pennino largo

Vincenzo LattanzioArchitetto, Andria (BT)

Ti ricordi Ugo il capodanno passato insieme nel 1996 a Venezia, l’abbondante

nevicata, le ore passate insieme a parlare delle origini della Bioarchitettura nata

dai movimenti nordici degli anni ‘60, dalla considerazione biologica dell’uomo e

dalle conseguenze dell’attività edificatoria post-industriale. Agli inizi degli anni ‘90

insieme con altri progettisti delineasti un’ipotesi di progettazione interdisciplinare

nella quale le elaborazioni degli scienziati costituissero un percorso obbligatorio,

per trasformare in parte integrante della cultura progettuale, tutti gli accorgimenti

atti a garantire una completa sintonia tra l’ambiente e l’uomo.

Sono tanti gli aneddoti che vorrei ricordare, uno per tutti.

Ti ricordi quando durante il viaggio-studio del 1995, eravamo in Francia, doveva-

mo raggiungere una località in Provenza dove erano ubicate delle case palafitte

che non trovammo, in quanto già abbattute dalla mano dell’uomo. Durante il viag-

gio, dopo un’ora che eravamo partiti dall’autogrill, un architetto si accorse che la

collega che gli era seduta accanto non era sul pullman. Dovemmo tornare indie-

tro per riprenderla, quindi arrivammo a notte fonda all’agriturismo. Il proprietario

non solo ti chiese il pagamento in anticipo ma ti disse anche che ci saremmo

dovuti arrangiare per il servizio poiché i dipendenti erano già andati via. Invece,

fu una notte indimenticabile, la ricordo ancora per il clima giocoso e allegro della

compagnia.

A te, Ugo, dedico un pensiero affettuoso e commosso poiché eri una forza della

natura e riuscivi a catalizzare su di te l’attenzione di chi ti ascoltava, quando

sostenevi che la Bioarchitettura più che una filosofia progettuale è uno stile di vita.

Forza della natura

Carmine LisiIngegnere, Foggia59

60

Mi affaccio alla finestra della mia vecchia scuola e lo sguardo corre, come è

ormai uso a fare da tanti mesi, alle impalcature dietro alle quali cresce, con

tanta lentezza l’edificio del nuovo Ferraris: controllo le aperture, il tetto, gli ope-

rai che vi lavorano e un pensiero mi riporta a quando, sette anni fa, ho incon-

trato l’Architetto Ugo Sasso, che mi ha presentato il progetto.

Mi parlava di Bioarchitettura, ma nelle prime conversazioni credevo si trattasse

solo di un uso di materiali edili non artificiali, con l’impiego di energie rinnovabili.

Nel corso degli incontri successivi, Ugo, con la sua semplicità e il suo entusia-

smo mi ha fatto comprendere il significato di un’architettura “sostenibile” ideata

dall’uomo, per l’uomo di oggi e per l’uomo di domani… Sì, credo sia questo il

messaggio più importante che Ugo ha saputo trasmetterci: progettare edifici,

luoghi pubblici, ambienti che non tolgono risorse e energia alle generazioni futu-

re, in cui ciò che conta non è solo vivere o lavorare in un ambiente che non ci

avvelena, ma che la salute passa anche dallo “starci” bene con sé stessi e con

gli altri.

Un’architettura che sa relazionarsi non tanto con una “natura sui generis” ma

con una natura umana, modificata da chi la abita, con partecipazione, compren-

sione e rispetto: un vivere bene dell’uomo con gli altri uomini, dove anche l’edi-

ficio o la piazza lo incoraggiano a cercare l’altro e non ad isolarsi.

Ringrazio di tutto cuore la sorte che mi ha dato la ventura di conoscerlo, perché

a me, come a tutti quelli che lo hanno conosciuto, ha aperto nuovi orizzonti.

Grazie Ugo!

Nuovi argomenti

Daniela ManciniPreside Istituto Superiore “G. Ferraris e F. Brunelleschi”, Empoli (FI)

C’eri il 19 ottobre 2010 al Consiglio Congressuale…un po-eta, un po-litico come

sempre sei stato. Nel nostro dialogare i “trattini giustapposti” ci sono sempre

piaciuti perché creavano ambiguità. Eravamo in fondo alla sala, lo scazzo in

essere non ci riguardava.

Ma …ti sovviene, Ugo, quando a Perugia, nel lontano 1986, eravamo commis-

sari di esame per geometri mi chiedesti: “Giovannino, vogliamo interessarci allaarchitettura eco….sostenibile…compatibile…bio…ecco, alla Bioarchitettura?”.

“Certo Ugo - ti risposi - ma non scomodare vocaboli radical chic, chiamiamolaarchitettura reale positiva.” “…Ecco, ora Giovannino sei troppo un po-litico”.

“Ma no, Ugo, ascolta, la città è la società che si autodetermina. Ma la città èanche sinonimo di architettura che, in tal senso, è produzione realistica, mate-riata, oltre che creazione dello spirito; l’architettura, portando in sé la consape-volezza critica, può essere assunta come modello dell’uomo stesso. Leggerel’architettura che forma la città che struttura il territorio, è leggere la società chesi autodetermina. Parlare di architettura è parlare di territorio, di civiltà; parlaredi crisi dell’architettura è parlare di crisi del territorio, di crisi della società, dellecoscienze. Ed ancora, caro Ugo, l’urbanistica è la tecnica che serve per la pia-nificazione del territorio, inteso come realtà naturale ed antropica. È posta comenecessità – capacità di interpretare l’antico testo della città esistente, che ha permatrice il proprio centro storico e che struttura il territorio, procedendo secondoil metodo conservativo – evolutivo.”“Ah, ora Giovannino sei tornato un po-eta! Ho capito allora, c’è laBioarchitettura e la biourbanistica : mettiamole insieme ed andiamo avanti!”E così è stato: …il Direttivo nazionale …il Curatorium…i convegni…i corsi…la

partecipazione assidua… poi un po’ meno…l’ermetismo…le critiche e le diver-

Mettere insieme

61

genze di altri…Poi, nel precedente Consiglio Congressuale, Sasso – Marinelli:

1 a 0 per Sasso.

Pian piano il mio allontanamento…

Ugo, non c’è stato più un dialogo da vicino tra noi, eppure avevo tanto da dire

e tanto avrei voluto fare. Perché non è stato possibile?

Ma ora, pensando a Witti, già presente a Perugia un po-musa, un po-ispiratri-

ce e che nulla sarebbe stato senza di lei, dico a te, Ugo, al po-eta, al po-litico,

al po-testone, all’amico ritrovato, che ho tanta voglia di fare per onorare la

vostra opera, chiedimelo, ma subito, ti accontenterò.

Giovannino LucarinoArchitetto, Roma 62

Ugo Sasso prende uno dei suoi pennarelli e comincia a tracciare delle curve

blu sul disegno. “Ci sono delle relazioni che fanno di un posto una città: sco-prirle è il segreto per capire la buona architettura, l’architettura in cui si vivebene”.

Era un piano particolareggiato, un disegno preciso, accurato eppure mancava

qualcosa: Ugo Sasso inizia a delineare dei legami tra un luogo e l’altro del

borgo, i nodi, individuati visitando la città ma anche osservando gli abitanti, il

traffico, il paesaggio.Nei tratti di pennarello c’erano bambini che percorrevano

di corsa una strada appena riconoscibile lungo un tratto di terreno incolto per

arrivare prima a scuola.

Prima ancora, su quel terreno, negli anni Quaranta, c’erano state le biciclette

delle operaie quando la grande fabbrica era ancora in funzione. Passavano su

un cammino che era stato livellato dal passaggio dei carri armati degli ameri-

cani, ma che da sempre era servito ai pastori che facevano più in fretta pas-

sando di là.

Quasi tutti, ancora oggi, per andare al mercato passavano per quel terreno

incolto e non ci pensavano nemmeno a prendere Via Nuova, che era stata rea-

lizzata dopo l’approvazione del Piano regolatore.

Insomma c’era la storia degli uomini che abitavano e che avevano abitato quel

borgo stabilendo i percorsi: eccole, le relazioni!

Era evidente, insomma, che tutti passavano da quel prato abbandonato e non

dalla Via Nuova, che oltretutto era stata realizzata con dei bellissimi marciapie-

di, lampioni di design eccetera, eccetera.

Ugo Sasso disegna un piccolo cerchio sulla planimetria. È al crocevia di tre vie

del borgo. “Qui c’era un vecchio lavatoio, ma ora è chiuso e nessuno lo usapiù. Gli anziani, però, continuano ad incontrarsi qui, nello slargo del vecchiolavatoio. I più giovani si fermano qui e si siedono sopra ai motorini perché nonci sono panchine, ma all’ombra degli edifici. È vicino ai negozi, alle pizzerie.Nessuno attraversa la Provinciale per andare nella piazza realizzatadall’Architetto Famoso. Eppure ci sono i sestini in cotto, le panchine di traver-tino, gli alberelli di ulivo che simboleggiano la pace. Ma è una piazza vuota”.

Perché costruire la Via Nuova senza tener conto delle distanze, delle abitudi-

ni degli abitanti, della comodità del tratturo che tutti si ostinano ad utilizzare per

andare al mercato?

Perché creare una piazza separata dal resto del paese, lontana dai negozi? È

ovvio che tutti preferiranno lo spiazzo del vecchio lavatoio dai muri scrostati

ma comodo, all’ombra, e facile da raggiungere!

La necessità di stabilire quali fossero gli elementi principali del luogo, quali fos-

sero le relazioni tra di essi, come funzionassero e perché, è la grande lezione

Scarabocchiando

63

di Ugo Sasso. Una lezione che pone l’uomo al centro di una progettazione

architettonica consapevole e sostenibile; una cosa che dovrebbe essere ovvia

ma che troppo spesso è dimenticata.

Nella modellazione del Territorio, scopriamo una rappresentazione simbolica

dei valori, della cultura, della storia di una popolazione.

Per questo il territorio, la città, con le sue strade, le sue torri, le sue piazze

entra a far parte della nostra storia anche interiore, è un punto di riferimento,

la materia della nostra memoria. Città è la città di oggi ma anche quella del

passato, da riconoscere ed in cui riconoscersi: è la storia.

Le tematiche sono affascinanti, di ampio respiro e rimandano a tante conver-

sazioni avute nel corso degli studi con i nostri professori universitari, ma in

parte dimenticate nel corso della pratica professionale.

Soprattutto si traducono, da quel laboratorio in poi, attraverso il generoso inse-

gnamento di Ugo Sasso, in progetti che parlano di un’architettura per l’uomo,

per il territorio, per l’ambiente, per il paesaggio. Bioarchitettura, come l’ha chia-

mata lui.

Anita ManciniArchitetto, Ceccano (FR) 64

Non voglio ricordare Ugo Sasso per quello che ha detto e fatto nel nostro Paese

riguardo la Bioarchitettura, ma voglio ricordarlo per quello che mi ha lasciato a

livello umano.

L’ultima volta che l’ho visto è stato giovedì 18 giugno 2008.

Insieme a Witti e alla mia famiglia abbiamo cenato e conversato piacevolmen-

te tutta la sera; è stato stupendo ascoltare Ugo mentre parlava di architettura

ad Alessandro, mio figlio, era palpabile l’amore con cui lo faceva.

Con lui ho riscoperto il piacere di parlare e fare nuovamente architettura, mi ha

stimolato al punto di ritrovare il bambino che è in me, non perché si debba esse-

re ingenui, ma soltanto per riappropriarci dei nostri istinti perduti o assopiti.

Occorre riposizionare al centro l’Uomo, rivalutare le sue relazioni con gli altri,

con la casa, la città, il territorio, insomma tornare a dare un senso alla qualità

della vita, apparendo meno, ma essendo più presenti. Grazie Ugo.

Amore per l’architettura

Elio MarcheseArchitetto, Sanremo (IM)65

I ricordi che ho di Ugo sono e sono stati un balsamo per me.

Tra gli episodi che ricordo…

Una sera a Bolzano eravamo tra colleghi. Dopo cena, qualcuno mi chiese se

desideravo un passaggio in albergo, ero vicina, e dissi: “Grazie, ma preferi-sco fare due passi.” Ugo disse “Silvana, guarda che qui, se dici no, ti lascia-no e se ne vanno, non è come da noi che si dice no ma è sì, e si fanno ceri-monie”. Il ricordo mi fa sorridere ancora.

Quando stavamo costituendo l’associazione di Bioarchitettura, alcuni voleva-

no tenere per sé esperienze e conoscenze, volevano essere esclusivi, erano

timorosi di essere scavalcati, di non poter primeggiare e lui disse: “Più sidivulga e più i primi saranno spinti verso il vertice della piramide”; saggezza.

Intelligenza, onestà d’animo, semplicità di intenti, coerenza tra pensieri ed

emozioni, è ciò che ho sempre pensato di Ugo e per questo la sua amicizia e

il suo ricordo sono un balsamo per me, nella giungla dell’ipocrisia, della diffi-

denza, degli egoismi.

Coerenza di pensiero ed emozione

Silvana MasciopintoArchitetto, Bari 66

“Se io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’amore, sareiun bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. Queste sono dunque le trecose che rimangono: la fede, la speranza e l’amore. Ma di essa la più grandeè l’amore. Adesso vediamo Dio come in uno specchio in maniera confusa, allo-ra lo vedremo faccia a faccia..” (San Paolo, Prima lettera ai Corinzi 13,1)

Ciao amico Ugo, architetto, ecologo, filosofo, padre e nonno. Eravamo in pochi

quando, negli anni Novanta, abbiamo iniziato a parlare di Bioarchitettura, e ora

il nostro messaggio si sta sempre più radicando nella consapevolezza, ormai

acquisita, che la salubrità dei luoghi e delle architetture sono prioritari per la pre-

venzione e il diritto alla salute. Il tuo ruolo nell’ambito dell’Istituto Nazionale di

Bioarchitettura, da te ideato e fondato, è stato determinante come pure le intui-

zioni legate a valorizzare il lato umano dell’architettura.

Da queste premesse è nato un percorso ecologico, che aveva più fondamenti

poetici e filosofici che di ordine tecnico. Insieme a questo diverso approccio,

abbiamo condiviso obiettivi comuni, collaborato a progetti, dialogato: il tutto per

accrescere e trovare un’adeguata metodologia progettuale capace di persegui-

re la qualità dei luoghi e delle architetture, nonché di essere consapevoli della

necessità di sostituire qualità a quantità, e bellezza a bruttezza .

Non pochi ricordi riaffiorano alla mia mente: dagli indimenticabili viaggi del soli-

to gruppo di Bioarchitetti che ogni anno partiva alla ricerca di villaggi ecologici

anche nei luoghi più sperduti dell’ Europa; e ancora le innumerevoli conferen-

ze, i Corsi di Formazione, i Laboratori Progettuali con l’Università: ovunque il

rapporto umano era privilegiato e contribuiva ad agevolare lo scambio e la con-

divisione di strategie ed obiettivi.

Il lato umano dell’architettura

67

La casa come luogo dell’anima, la qualità che nasce dalle relazioni tra le parti,

il progettare luoghi accoglienti, la partecipazione, il mettere al primo posto sem-

pre e comunque il benessere dell’individuo erano i nostri obiettivi, e con le tue

parole penetravi nel profondo e facevi emergere quelle necessità dell’anima

che spesso molti non riescono ad ascoltare.

Di te, resta in noi, la positività e l’ottimismo che riuscivi ad infonderci, anche nei

momenti meno facili, e con la stessa travolgente energia che mettevi nel mani-

festare le tue idee e i tuoi obiettivi, ci aiuterai a portarli avanti in tua memoria e

nel ricordo di tanti momenti trascorsi insieme.

Caro Ugo, CI SEI, sei presente, anche se ora fai parte di quella realtà in-visibi-

le che ci circonda, che non appare ai nostri limitati sensi ma che c’è e che vive

con noi.

Patrizia MazzoniArchitetto, Firenze 68

Il mio mestiere è quello di sociologo urbano e mi sono, dunque, sempre occu-

pata di città.

La città è sempre stata storicamente ed è ancor più nella società contempora-

nea il luogo dove si produce l’innovazione e dove si definisce lo sviluppo eco-

nomico. Ma essa è anche un sistema sociale e ecologico caratterizzato da

estrema complessità, nel quale si produce ricchezza e benessere, ma anche

contemporaneamente povertà, emarginazione e degrado materiale e ambien-

tale. La città è motore di sviluppo e di cambiamento, ma anche luogo privilegia-

to di crisi ecologica, sociale e organizzativa.

Le città perdono la loro identità , le periferie occupano gli spazi verdi e il cre-

scente consumo di suolo operato sia dalla città consolidata che dalle favelas e

bidonvilles rendono sempre più difficile il mantenimento di un equilibrio tra spa-

zio e società.

Le città del XXI secolo dovrebbero ad un tempo ridurre il proprio impatto sul-

l’ambiente globale mirando ad uno sviluppo denso e compatto, piuttosto che

lasciare che si definisca una crescita disordinata e sregolata. Attraverso la loro

forma fisica dovrebbero favorire una maggiore integrazione tra le persone e gli

spazi e superare le segregazioni e ampliare le potenzialità di sviluppo socio-

economico.

Individuando specifici interventi regolatori e sviluppando una nuova creatività

progettuale è nelle città che si dovrebbe ricostituire un ambiente sicuro, equo,

democratico e sostenibile. È nella città dunque, che si declina in modo emble-

matico il tema della sostenibilità. Ed è affrontando questo tema che ho incon-

trato Ugo Sasso e la Bioarchitettura.

Per Ugo la Bioarchitettura non riveste solo un carattere tecnico e specialistico,

anche se oggi ormai ineludibile, ma olistico. Ed è questo approccio che mi sem-

bra costituisca l’aspetto più rilevante del contributo che egli ha dato a coloro che

hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di discutere con lui di sostenibilità urbana.

Infatti, una città sostenibile è una città ben costruita, accessibile e anche verde,

che può esprimere valenze ecologiche, ma anche educative, culturali e di coe-

sione sociale.Il verde in particolare può svolgere una funzione di riequilibrio

ecosistemico e contribuire a ridare identità ai “luoghi” urbani.

Per andare oltre una città meccanizzata, degradata, e priva di qualsiasi intera-

zione con l’ambiente che la circonda, è necessario ripristinare il rapporto che

sta alla base della vita urbana tra elementi antropici ed elementi naturali, rico-

struire la relazione tra la città e il suo territorio.

In questo senso, la Bioarchitettura e il verde costituiscono elementi in grado di

ricomporre la frammentazione territoriale e il degrado naturale e possono resti-

tuire alla città la capacità di rigenerare se stessa e di ricollocarsi al centro dei

Il sogno dell’ecologia per la città

69

flussi materiali e immateriali che definiscono la società contemporanea.

Lo sviluppo della vegetazione in ambiente urbano svolge un’importante funzio-

ne di controllo ambientale e di salvaguardia del territorio, oltre a rendere più

salubre l’aria, influenzare il microclima, attenuare i rumori, assorbire polveri e

gas e contribuire alla conservazione della biodiversità.

Gli spazi verdi, così come le stratificazioni storiche, delle città contribuiscono

anche a orientare i comportamenti degli individui in una prospettiva di continui-

tà spazio-temporale che produce senso di appartenenza e identificazione sim-

bolica generando interazione sociale e rispetto ambientale.

Ugo Sasso era ben consapevole che architetture di elevata qualità ecologica e

spazi recuperati al verde e alla biodiversità, avrebbero potuto favorire un’inte-

grazione tra ambiente naturale e costruito, ma che, tuttavia, ciò non sarebbe

bastato per realizzare una città sostenibile, che potrà dirsi tale solo quando ver-

ranno integrati gli aspetti ecologici con quelli economici e sociali.

Il ricordo che abbiamo di lui potrà aiutarci a procedere in tale direzione.

Fiamma Mignella CalvosaProf. Sociologia Urbana, Università LUMSA, Roma 70

Quando incontrai per la prima volta Ugo Sasso avevo iniziato da poco ad occu-

parmi di edilizia bioclimatica, avendo ereditato la gestione di un corso di perfe-

zionamento che si svolgeva da alcuni anni nel Dipartimento di cui ero direttore.

Alcuni miei colleghi studiavano da molto tempo questi problemi (a partire dal

SAIE del 1980, dedicato a “Il nodo energia”); anch’io avevo partecipato a quel-

le iniziative, ma come urbanista avevo affrontato soprattutto gli aspetti più gene-

rali riguardanti l’uso delle risorse e il territorio.

Ugo Sasso proponeva una collaborazione con il nostro Dipartimento, per offri-

re all’ambiente accademico italiano – in cui allora solo pochi specialisti lavora-

vano – una serie di notizie, esperienze e relazioni internazionali che la sua

Associazione, l’INBAR, aveva raccolto in anni di lavoro, collegandosi con cen-

tri di ricerca, atelier professionali e autorità regionali dei Paesi del centro-nord

Europa, dove già da anni si realizzavano edifici e insediamenti a basso consu-

mo energetico, tecnologie per lo sfruttamento di energie alternative, sistemi per

l’uso ottimale delle risorse ambientali.

In quell’incontro si misero le basi di diverse iniziative comuni e, soprattutto,

cominciai a conoscere una persona affascinante, missionario entusiasta di

nuove idee, ma anche realizzatore concreto, eloquente sostenitore di un nuovo

modo di affrontare i rapporti fra l’uomo, l’architettura e l’ambiente, e insieme

professionista attento ad ogni dettaglio progettuale, come testimoniano molti

edifici che ha realizzato. Passione e razionalità, unite fra loro da una grande

capacità comunicativa, doti che gli hanno permesso di organizzare, insieme a

Wittfrida Mitterer, tante rilevanti attività di formazione, divulgazione, approfondi-

mento tecnico e scientifico. Per quanto mi riguarda, in particolare, ho partecipa-

to all’esperienza del Laboratorio progettuale nazionale di INBAR ed alla reda-

zione del Manuale di Bioarchitettura, insieme a importanti colleghi europei.

Missionario entusiasta

71

La nostra amicizia si è consolidata nel tempo; anche se tanti impegni non

consentivano incontri frequenti, ogni volta si proseguiva un discorso mai

interrotto e penso che in qualche modo ci siamo reciprocamente influenzati:

Ugo ha ampliato i suoi rapporti con gli ambienti universitari, ed io mi sono

sempre più impegnato per adeguare il modo di insegnare l’urbanistica e l’ar-

chitettura, per progettare e realizzare edifici e insediamenti con un approccio

integrato ai problemi.

Oggi, come tanti altri amici, sento molto la sua mancanza, proprio nel momen-

to in cui molti obiettivi sembrano raggiunti, essendosi diffuso largamente nel-

l’opinione pubblica, nei mass media e nelle normative di ogni livello l’interes-

se per un nuovo modo di costruire, rispettando l’ambiente e risparmiando

risorse. In realtà questo tempo richiede un impegno forte come in passato,

per selezionare fra le tante iniziative più o meno attendibili quelle che merita-

no un sostegno. Per questo motivo è importante non disperdere l’eredità di

Ugo Sasso e possa continuare e sviluppare il suo lavoro chi ha condiviso la

sua esperienza.

Carlo MontiProf. Ing. Facoltà di Ingegneria, Università di Bologna 72

Giorni fa, nello scorrere il sito dell’INBAR, rileggendo le parole di sconforto e

rimpianto che ti hanno dedicato negli ultimi due anni gli amici e i colleghi, ne ho

scoperto l’attualità, ed ho capito di non essere il solo a riprovare intera la sen-

sazione di vuoto che la tua morte ha causato.

È difficile convincersi che tu non ci sia nella tua imponente fisicità: ciò accade

proprio perché rimani vivo nella nostra mente, e ne è prova la necessità con-

tinua di rapportarci con te, di legare a te la grandezza del messaggio che ci hai

trasmesso.

In realtà, chi ti ha seguito nell’ottica esistenziale della bioarchitettura aveva già

una coscienza etico-ecologica, ma sei stato tu a renderla viva e militante nella

realtà professionale e politica di ciascuno di noi, sei stato tu ad avere la grande

intuizione di dare una struttura organizzativa di grande prestigio alle nostre

istanze, coagulando e potenziando le nostre singole forze.

Dopo tanto impegno e anni in cui abbiamo divulgato le nostre idee e orientato

scelte e atteggiamenti verso il raggiungimento di un rapporto ottimale tra uomo

e natura, all’improvviso ci sei mancato, e in quel triste momento sembrava che

la nostra appassionata corsa si fosse fermata con te, ma non è stato così.

Il valore del tuo insegnamento rimane intatto, e ci consente di continuare e di

seguire la buona strada che ci hai indicato.

Ce la faremo, caro Ugo, per te, per noi e per i nostri figli.

La buona strada

Cosimo Antonio MuciArchitetto, Nardò (LE)73

74

L’incontro con Ugo fu organizzato da un amico comune, l’architetto Pino

Graziani. Pensavo del tutto improbabile un rapporto con un architetto che dalla

lontana Bolzano doveva raggiungere una piccola cittadina del centro Abruzzo.

Ma l’insistenza dell’amico Pino mi spinse ad invitarlo, dando quindi il la ad una

proficua collaborazione, che da lavorativa divenne poi irrinunciabile sotto il pro-

filo umano.

Il caro Ugo riusciva a rendere semplice ciò che in prima istanza pareva diffici-

le, ha sempre trovato una soluzione alle problematiche urbanistiche più dibat-

tute nella mia città, soluzioni apparse subito quasi scontate per la loro sempli-

cità e condivisione da parte di tutti. Questo grazie alla sua genialità che lo ren-

deva unico nell’affrontare il suo lavoro.

La sua scomparsa è stata una perdita del valore incolmabile, sia per me che per

la città di Castel Di Sangro, essendo Ugo una persona squisita ed un vero

signore, dall’animo nobile e generoso e, soprattutto, un amico, oltre che un

architetto straordinario e unico nel suo genere, che si è rivelato importante per

il corretto sviluppo della mia città.

Semplicità e concretezza

Umberto MuroloSindaco di Castel Di Sangro (AQ)

75

Adolfo NataliniProf. Arch. Facoltà di Architettura, Università di Firenze 76

77

Nei miei pochi incontri con Ugo... poche parole... tante emozioni!!!

Con la sua carica di “energia” ho “acceso” tutti intorno a me e li ho trascinati ad

agire, a comunicare, a condividere... a realizzare i loro “sogni”.

Grazie Ugo

Un tornado di emozioni

Cecilia NeriArchitetto, Roma

78

Bioarchitettura, la creatura di Ugo, mi fu presentata da un conoscente che gestiva un

ristorante macrobiotico, e che una sera mi mostrò alcuni ritagli stampa, dicendomi:

questo ti può interessare, tu sei un architetto. Non capivo bene di cosa si trattasse,

l’impatto sulla salute umana delle strutture edilizie era una questione che non avevo

mai considerato, ma ero incuriosito. Poco tempo dopo ero a Bologna, ad un conve-

gno organizzato da Ugo. Quanto si diceva era affascinante, ed alla fine del conve-

gno andai a parlargli. Mi colpì la sua immediatezza, il suo essere alla mano anche

con uno sconosciuto. Mi parlò dei viaggi studio che organizzava, e decisi immedia-

tamente di partecipare. Fu un’esperienza indimenticabile. Una cavalcata inarrestabi-

le per mezza Europa, con trasferimenti massacranti, orari improbabili, ma con la sua

insuperabile passione che permeava tutto, e che ci permetteva di toccare con mano

bio-architetture realizzate e funzionanti. Venne poi la stagione dell’impegno nella

struttura direttiva dell’Istituto ed infine la collaborazione ai laboratori di progettazione,

gli anni si susseguivano ed Ugo proponeva sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che

portava Bioarchitettura sempre più avanti.

Quella mattina ho dovuto rileggere la mail del Direttivo cinque o sei volte, ogni volta

più incredulo, sto ancora dormendo e sogno, pensavo. Ma come, ci siamo lasciati

all’aeroporto pieni di progetti, di cose da fare al tuo rientro…non è possibile, non ci

credo. Non si può credere che un amico ci lasci, e quando purtroppo avviene, la sen-

sazione di vuoto è insopportabile. Ugo è stato una persona speciale, una di quelle

rare persone che sanno immaginare il futuro, che hanno il dono di mostrare agli altri

nuove strade, e di chiamarli a percorrerle insieme. Per questo credo che Ugo non ci

abbia lasciati, ma sia ancora tra noi, perché le sue idee, il suo modo di intendere

Bioarchitettura, la sua garbata ironia nel rimettere sempre in discussione qualsiasi

conclusione, restano uno stimolo per tutti noi a proseguire il cammino che ci ha indi-

cato, e in questo cammino Ugo sarà sempre al nostro fianco.

Essere alla mano

Claudio PauselliArchitetto, Roma

Caro Ugo, ci siamo presentati nel 2006 ma ti avevo conosciuto molti anni prima,

quando a metà degli anni ‘90 ho iniziato a seguire e a essere affascinato dai

temi della Bioarchitettura.

Uomo colto ed affascinante, riuscivi da grande comunicatore a far innamorare

i tuoi interlocutori dell’architettura, della natura, trasmettendo uno stile di vita

inevitabile per il futuro degli uomini.

Parlavi con il cuore e con la passione e sei riuscito a fare le cose di cui parlavi.

Pochi ci sono riusciti. Ho avuto una grande fortuna nella vita, quella di diventa-

re in poche ore un tuo amico.

Nei nostri incontri abbiamo sempre parlato del futuro, di cosa potevamo fare nei

mesi successivi. Ero riuscito a farti innamorare della mia Livorno, del suo mare

e della sua gente, subito ti sei sentito a casa tua e avevamo deciso di fare qual-

cosa su progetti concreti da realizzare in questa città giovane ed antica allo

stesso tempo.

Una notte di agosto, dopo una giornata intensa e una serata meravigliosa con

una tua lezione alla premiazione di un concorso di idee, a bordo di una barca

facemmo il giro dei canali della Livorno medicea, recandoci poi in una piazza

dove stavamo realizzando il recupero di uno spazio urbano degradato. Lì sono

stati applicati quei concetti sulla partecipazione dei cittadini alle scelte di gover-

no del territorio che Lucien Kroll ci ha insegnato in questi anni.

Ti piaceva quello spazio urbano e parlammo del “dialogo tra l’uomo e lo spazio

in cui quotidianamente abita”, che deve garantire l’armonia e la qualità del vive-

re, un bene che è la ragione stessa della vita e quindi i luoghi aggreganti devo-

no rivestire una priorità assoluta, le aree aperte, le piazze, le strade, i parchi, i

giardini sono infatti il cuore pulsante di un contesto costruito nel quale la natura

é protagonista. Queste tue idee resteranno un punto di riferimento per tutti noi.

Abitare quotidiano

79

Ti confidai la mia idea di dedicare questa piazza ad un poeta che anche tu

amavi tanto: Giorgio Caproni.

Volevi essere presente a quella inaugurazione, la vita non te lo ha permesso

ma sappi che quel giorno, il 14 febbraio del 2009 sapevamo di avere vicino un

amico come te.

Per salutarti Ugo permettimi di parafrasare una poesia che proprio Giorgio

Caproni dedicò al suo amico Pasolini e per questo anch’io voglio dedicarla a te,

caro mio amico Ugo.

Caro Ugo

La stima che ci volevamo

Lo sai – era pura

E puro è il mio dolore.

Non voglio pubblicizzarlo.

Non voglio, per farmi bello,

fregiarmi della tua morte

come di un fiore all’occhiello.

Maurizio PaoliniGeometra, Livorno 80

Incontrai Ugo Sasso nel 2008, in due diverse occasioni a distanza di pochi gior-

ni una dall’altra: prima ad un convegno nella nostra comune terra di origine, la

Puglia, e poi al Congresso mondiale degli architetti di Torino, dove ebbi modo

di parlargli con più calma e più a lungo.

Mi colpirono due aspetti della sua imponente personalità.

Il primo fu la passione intensa che animava il suo infaticabile impegno di vita,

oltreché la sua militanza professionale. Al punto da non poter distinguere tra le

due componenti: Ugo aveva fatto della sua vita la scena della sua azione pro-

fessionale in favore dell’Architettura Sostenibile e della sua professione, tutta la

sua stessa vita. Mi parlò in quella occasione delle sue convinzioni in merito

all’architettura e fui colpito dalla apparente ovvietà delle sue argomentazioni.

Mentre stavo a sentirlo mi domandavo come fosse stato possibile per me, che

pure facevo progetti ecosostenibili già da 10 anni, non aver ancora aderito

all’Associazione che lui aveva fondato. In quella nostra conversazione più volte

sorpresi me stesso nel tentativo di studiare il pensiero di quest’uomo. Volevo

capire se egli fosse un’intelligenza concreta o piuttosto uno spirito visionario.

Dovetti pensarci a lungo, durante i giorni di quel Congresso, prima di conclude-

re che il pensiero di Ugo Sasso era entrambe quelle cose: estremamente con-

creto proprio perché fortemente visionario.

Ebbi allora la certezza che egli fosse indubbiamente un maestro. Solo i grandi

infatti, riescono a far coincidere in sé stessi, senza forzature né strappi,

così…come se niente fosse, la vita appassionata e la professione appassionan-

te, la didattica paziente e la sperimentazione più innovativa, la militanza entu-

siastica e la concretezza più visionaria. Mentre lo ascoltavo, lui dovette accor-

gersi che dentro di me cresceva un senso di profonda inadeguatezza rispetto

ai temi di cui mi parlava e qui fui colpito dal secondo aspetto della sua perso-

Il progetto è nel cuore

81

nalità che lasciò dentro di me un segno ancora più profondo: fu la capacità che

aveva di incoraggiare quasi paternamente azioni, sperimentazioni, innovazioni,

tutto quello che secondo lui poteva servire alla causa della diffusione di un pen-

siero ecologista intelligente e applicato. Per lui il progetto è nel cuore del pro-

gettista e nella sua capacità di saper parlare al cuore della gente che abiterà

quel luogo o quell’edificio. Ed anche lui stesso parlava dritto al cuore del suo

interlocutore: riusciva ad interessarti, coinvolgerti, appassionarti, entusiasmarti,

infine incoraggiarti. Mi propose di organizzare un Convegno a Roma sui temi

dell’edilizia sostenibile ed io accettai, incoscientemente ma con entusiasmo,

appunto. Per questa occasione, ci incontrammo ancora diverse volte durante i

suoi viaggi a Roma e io potei così conoscere un maestro paziente, un didatta

prezioso, un architetto attento, un ecologista intelligente, un divulgatore capa-

ce, un militante esperto.

Molto presto ebbi modo di capire anche che Ugo Sasso era un uomo limpido e

un amico trasparente. Entrambe, doti non frequentissime.

La tragedia che lo sottrasse al nostro affetto credo sia la migliore metafora del

suo impegno esemplare in favore di quella natura per la cui tutela aveva speso

ogni sua energia.

Mi piace e mi commuove ancora, riconoscere ad Ugo, nell’ultimo dei suoi gior-

ni, il privilegio di essere considerato una foglia leggera che ha abitato alberi

possenti dai quali l’ha strappata un soffio altrettanto leggero.

Carlo PatrizioIngegnere, Roma 82

Ci sono persone che incontri di rado, ma che ogni volta trasmettono nuova energia,

fanno riflettere, indicano temi, segnalano preoccupazioni, stimolano e nello stesso

tempo infondono serenità. La prima volta che le vedi sembrano amici di sempre, nel

tempo diventano solidi riferimenti, rifletti sul loro ruolo di maestri, sei felice ed hai

vero interesse nell’incontrarli. È nelle cose, che per lo più siano persone che hanno

un’età maggiore, qualche volta sono più o meno coetanee, passando gli anni anche

più giovani: qualche volta l’avventura della vita fa sì che si trasformino in ricordo, un

ricordo che -più che nostalgia- è stimolo a proseguire. Ugo Sasso ha immesso con

forza nella nostra cultura una diversa attenzione nel costruire e trasformare gli

ambienti di vita. Per lui non era concepibile che l’architettura potesse esaurirsi nel

“gioco sapiente, rigoroso e magnifico di volumi sotto la luce”: l’architettura si espri-

me attraverso forme che materializzano sistemi di scelte, coinvolgono stili di vita,

comportamenti, organizzazione ed etica al tempo stesso. In questo senso il suo

ragionare spaziava da concezioni di ampia scala fino a simultanei dettagli e minute

tecnologie, convinto che solo relazionando culture e dimensioni diverse fosse pos-

sibile dare senso e missione all’agire. Ugo è stato nodo di riferimento di una rete

articolata. Ha intrecciato dialoghi ricchissimi per sviluppare ed affermare idee, per

tracciare percorsi che incitassero a riflettere ed approfondire. Grazie alla sua azio-

ne ed alle iniziative che lo hanno visto in prima linea, in Italia la Bioarchitettura si

ridefinisce, si arricchisce di specificazioni ed intrecci ormai patrimonio comune nel

dibattito internazionale. La semplicità alla quale improntava ogni confronto non scal-

fiva la sua determinazione, aveva la rara capacità di saper ascoltare e di mantene-

re un ruolo da trascinatore. È stato portatore di visioni integrate: intrecciava aspetti

sociali, significati e forme dello spazio; considerava fondamentali le relazioni fra le

cose, le tensioni immateriali che le uniscono. Si era dato una missione da svolge-

re: la perseguiva con competenza, cultura ed anche con straordinaria umanità.

Stili di vita

Massimo Pica CiamarraProf. Arch. Facoltà di Architettura, Università Federico II, Napoli83

84

È da dieci giorni che ci sto pensando ma non riesco ad esprimere del tutto il sen-

timento che provo a ricordare Ugo.

Il suo sorriso fermo e comprensivo, la sua determinazione accogliente, sono stati

essenziali a fargli raggiungere traguardi pratici ottenuti da pochi nel movimento

ecologista. In particolare il suo rapporto con la Lumsa, università libera ma con-

fessionale, con cui ha avviato un master in bioarchitettura, ha seguito un’impor-

tante ipotesi di lavoro e cioè ottenere nel mondo cattolico dei pronunciamenti o

almeno cambiamenti di abitudini moralmente rilevanti che possano aiutare a

dare una nuova rotta all'occidente.

Non posso fare a meno di continuare a camminare sulla stessa via, anche se

non avrò lo stesso affetto che aveva lui per chi mi sta davanti.

Condividere la rotta

Giannozzo PucciEditore “The Ecologist”, Fiesole (FI)

Con Ugo Sasso ci siamo incontrati una quindicina di volte. L’acqua di un mare

lontano ha cancellato il tempo per frequentarci più a lungo. Sarebbe successo,

ne sono sicuro, perché il suo entusiasmo contagioso, celato appena dalla

calma postura intellettuale, dal sorriso bonario e dal garbo dei suoi modi, emer-

geva dalle idee e dalle passioni che gli si agitavano dentro e che ne racconta-

vano la voglia mai sopita di balzi in avanti. Forgiata da amicizie e sodalizi,

l’umanità di Ugo sembrava quasi di toccarla.

Non abbiamo avuto modo di raccontarci per intero i rispettivi vissuti. Ma quan-

do parlavamo di noi non avevamo bisogno di partire dall’inizio. I salti “logici” nei

ricordi comuni dicevano di una memoria tra noi condivisa. Non erano solo la

simmetria anagrafica e i trascorsi, gli impegni comuni a far saltare a pie’ pari

analisi interpretative e disquisizioni noiose. La cifra della sua sensibilità permet-

teva ai suoi interlocutori di assumere per acquisiti passaggi e spiegazioni, cru-

ciali invece per altri. Improntati all’ascolto, il suo intuito e la sua arguzia erano

sostenuti da un corredo intellettuale solido. Lo intuivo. Ma, lui ancora tra noi, ne

fui cosciente quando mio figlio Paolo me lo fece notare dopo una visita che Ugo

e Witti, fecero nel suo studio di pittore. Ugo osservò i quadri di Paolo facendo-

si prendere dal segno, dalle tecniche, dai colori («Quanta luce nonostante i

neri», disse) e, senza conoscere il percorso artistico di mio figlio, ne rivelò intui-

tivamente i motivi conduttori e la tensione. I suoi giudizi, espressi in modo

dimesso, colpirono Paolo per la loro semplicità profonda.

Nei giorni di queste riflessioni su Ugo, anche mio figlio Paolo ci ha lasciati. Ora

restano i miei occhi a guardare il suo mondo come lui mi ha insegnato a legger-

lo con i suoi quadri.

In settembre Paolo avrebbe dovuto inaugurare la stagione autunnale dei

"Martedì critici" di Alberto Dambruoso e in novembre aveva in programma una

Restano i nostri occhi

85

personale a Milano e una a Bolzano: ricordando la visita di Ugo nel suo studio,

mi aveva chiesto di invitare Witti sia all'apertura dell'incontro con i critici e il pub-

blico, del quale, con alcuni suoi quadri, sarebbe dovuto essere il protagonista

sia, soprattutto, alla mostra altoatesina.

Ci teneva a mantenere il filo tenue di contatto con la sensibilità di Ugo. Mi aveva

telefonato apposta. Forse avrebbe desiderato che almeno Witti “leggesse”

ancora i suoi lavori con l’animo di Ugo.

Paolo con i suoi pennelli, Ugo con la matita, mi hanno insegnato tanto. Di fron-

te a un palazzo, a un quartiere non posso che pensare ai materiali impiegati,

alle funzioni sociali di un progetto diventato materia. Come mi è ormai naturale

cercare (e trovare), in quegli assetti urbani, l’essenziale che forse avrebbe colto

mio figlio Paolo in un suo quadro.

Ora restano i nostri occhi, le nostre mani, la testa e il cuore di chi c’è ancora per

raccontare, ma, soprattutto per raccogliere la presenza intelligente e sensibile

di Ugo e di Paolo che con i loro occhi buoni, grandi e profondi ci hanno inse-

gnato a leggere il mondo, con le sue “architetture”, per cambiarlo rendendolo

più umano.

Carlo PicozzaGiornalista, Roma 86

Quando nel mio cervello ritornano le immagini di Ugo lo vedo sempre chiaro,

aperto, semplice, che sia a casa a far colazione o a parlare con mio figlio

Andrea oppure al symposium di Bologna o al master a Roma a parlare delle

pratiche più efficaci di urbanistica partecipata.

Ugo per me rappresenta la Bioarchitettura a portata di mano. Con la massima

tranquillità eccolo davanti a Lucien Kroll o a Christian Schaller, a spiegare sem-

plicemente che se ti costruisci un manufatto in cui stai bene, senza aver dan-

neggiato né i luoghi naturali né le altre persone, hai creato un valido esempio

di Bioarchitettura. Il tutto senza formule cervellotiche o calcoli complicati. Non

credevo ai miei occhi quando mi invitò a salire su un pullman pieno di architet-

ti che percorreva la tangenziale est, per spiegare loro cosa vogliamo noi citta-

dini del Pigneto quando proponiamo di eliminare la sopraelevata che entra con

le auto nelle nostre case.

Sempre pronto a tradurre in termini comprensibilissimi le nuove strategie sulle

energie compatibili e sui materiali isolanti più efficienti.

Witti ha sempre rappresentato il suo braccio operativo, forse fin troppo perché

con gran piacevolezza vedo Ugo bloccarla quando con troppa foga si attacca al

telefono per realizzare immediatamente quello di cui stiamo ancora parlando.

Peccato Ugo che non puoi venire a vedere quello che ho costruito in Calabria

dopo i tuoi preziosissimi consigli! Ci penseranno Witti, Lucien, Christian e tutti i

numerosissimi giovani che ti sono legati, a realizzare almeno una parte di tutto

quel ribollire di progetti e di idee che abbiamo potuto vedere noi che ti siamo stati

vicini (per troppo poco tempo, purtroppo!).

Dal Centro Sociale Ex Snia Viscosa e dal Comitato di Quartiere Pigneto-

Prenestino l’impegno a far entrare in funzione il più presto possibile, nel Parco

Delle Energie, la Casa Del Parco con il Centro di Consulenza Gratuita per tutti

A portata di mano

87

i cittadini, che si occuperà delle ristrutturazioni biocompatibili delle abitazioni e

della diffusione delle energie alternative.

Questo Centro da te progettato, e che abbiamo deciso porterà il tuo nome, è

già pronto, anche se aspetta di superare le pastoie burocratiche di politicanti e

burocrati inetti contro cui tanto spesso abbiamo dovuto lottare.

Ciao Ugo!

88Daniele PifanoRoma

Semplice con i semplici, umile tra le persone comuni, adorabile con chiunque,

fanciullo con i bambini, possiedi, tra le altre, la dote di far sentire importanti

coloro che incontri, interessandoti alla loro vita ed ascoltandoli riesci a renderti

partecipe della loro quotidianità; hai ascoltato le mie storie, i miei progetti, le mie

delusioni... i miei racconti, con quell’aria di complicità con la quale doni, a tutti

quelli che ti hanno conosciuto, serenità ed armonia.

Io non intendo ricordarti perché sei con me, come con tutti noi, e con tutti colo-

ro i quali sentono di aver ricevuto tanto dall'Uomo unico che sei.

Non intendo ricordarti perché si ricordano le persone perdute ed io non ti ho

perduto, io ho trovato, diversi anni addietro, un amico, un maestro ed insieme

a te non potrò mai perdere quanto mi hai trasmesso senza la pretesa di inse-

gnare, con l'umiltà che connota i grandi e la semplicità di chi possiede la ric-

chezza dell'Anima.

Ascoltare e partecipare

Antonella RicottaArchitetto, Alcamo (TP)89

90

L'incontro con un maestro sconvolge sempre la vita, mette in discussione i pen-

sieri e le idee che avevi di un percorso, ma ti apre una nuova strada.

Nel '92 studiavo all'ultimo anno di architettura e ho vinto una borsa di studio.

Il viaggio in Europa alle radici della Bioarchitettura è stato l'inizio del cammino:

vedere, conosce, capire, confrontarsi e discutere… sembrava tutto così logico,

così naturale, come disimparato...ma era quella la vera essenza dell'architettura.

Nelle lezioni e nel cantiere di Bolzano ci hai accompagnato con pazienza, qual-

cuno di noi rubava qualche ora alle lezioni per poter stare nel tuo studio a proget-

tare e a discutere con te.

In quegli anni ho conosciuto la grande famiglia dell'Istituto, non ancora da iscrit-

ta, ma riuscendo comunque ad entrare nel dibattito.

Quell'incontro ha tracciato il mio lavoro di architetto: ho scelto di progettare per

l'uomo, ascoltando la natura e le radici dei luoghi. Gli insegnamenti della scuola

veneziana - il rispetto e il dialogo con la preesistenza storica, le tradizioni e il pae-

saggio - hanno assunto una nuova consapevolezza.

Se scegliamo di mettere radici dove il terreno è fertile, esso ci offrirà il suo nutri-

mento; ma in cambio ha bisogno di rispetto, nella speranza che possa nuovamen-

te essere un rapporto alla pari.

L’essenza dell’architettura

Cristiana RossettiArchitetto, Verona

Ho conosciuto Ugo all’inizio degli anni Novanta. Era venuto in Regione assieme

a Witti. Ci prospettarono la partecipazione dell’Emilia-Romagna, all’organizzazio-

ne di uno dei primi Europa Symposium.

La sua carica, la sua capacità di comunicare, di trasmettere ottimismo, di coinvol-

gere soggetti diversi ci convinse a partecipare all’iniziativa che poi si ripeterà per

oltre un decennio, diventando punto di riferimento a livello nazionale ed europeo,

un momento di confronto anche culturale, di promozione per gli operatori edilizi

interessati alle tematiche di Birchitettura.

Fin dalle prime esperienze ci fu chiaro che era importante ed anche necessario

aprire il settore dell’edilizia residenziale ad un’architettura più attenta alla compa-

tibilità ambientale, ed al risparmio delle risorse non solo energetiche, un’architet-

tura più aderente alla storia e cultura del territorio: un’architettura che si svilup-

passe dal basso, democratica, sensibile all’uomo ed all’ambiente in cui vive.

Grazie ad Ugo ed ai suoi dell’Istituto di Bioarchitettura entrò nella cultura degli

operatori del settore edilizio, non solo dell’Emilia-Romagna, un nuovo approccio

più attento, più consapevole.

Negli anni successivi il successo delle iniziative fu crescente: c’era un vera e pro-

pria fame di conoscenze ed Ugo Sasso rappresentava il “guru’” della

Bioarchitettura italiana.

I progetti comunitari (Energy link, Save,…), gli incontri con le altre realtà europee,

l’entusiasmo coinvolgente di Ugo Sasso, la sua ricerca e continua elaborazione

di nuove prospettive, ci hanno permesso una crescita professionale e culturale.

In questo contesto sono nate le normative per l’ecocompatibilità in architettura

che divennero fondamentali nello sviluppo della conoscenza e sensibilità per gli

operatori tecnici e funzionari pubblici.

Pensando ad Ugo Sasso, mi sono passati davanti tanti momenti vissuti insieme

Il guru della Bioarchitettura

91

agli amici di Bioarchitettura, nei quali abbiamo condiviso esperienze, saperi, idea-

li, speranze, tutte occasioni per conoscerci, stimarci che mi hanno aperto e fatto

crescere. Tutto questo rimarrà con noi e niente potrà annullarlo.

Avrebbe potuto continuare. Mi sento un po’ in colpa perché ultimamente, anche

a seguito della cessazione della mia attività regionale, le occasioni di incontro

erano diventate più rare.

Ma, sempre, quando ci incontravamo mi sentivo vicino, desideroso di sentire, par-

tecipare all’entusiasmo di Ugo nelle nuove attività, di condividere la soddisfazio-

ne per gli obiettivi raggiunti.

Quando qualcuno viene meno in modo repentino, resta il rammarico di non aver

sufficientemente cercato l’incontro, creato l’occasione per ascoltare, ricevere, tra-

smettere qualcosa.

La tristezza, il rammarico che ci pervade, forse nascono dalla consapevolezza dei

nostri limiti, dalla paura di aver perso ancora una volta qualcosa di importante,

che non ci potranno essere altre occasioni, dalla sensazione di vuoto che ci resta.

Ma voglio ricordare Ugo nei momenti migliori, nei nostri Simposi a Bologna ed in

Europa, quando con la sua capacità di comunicare e coinvolgere gli altri, riusciva

a trascinare anche me, spesso all’inizio restio o incerto.

E non posso dimenticare Witti per le sue indubbie doti di organizzatrice, la capa-

cità di stimolare idee, di entrare in sintonia con gli altri.

Grazie per quello che avete fatto coinvolgendo anche me, mostrando nuovi oriz-

zonti e nuove speranze. Chiedo scusa per quel poco che posso aver dato colla-

borando con voi.

Umberto RossiniIngegnere, Bologna 92

Ho conosciuto Ugo da quando ci siamo impegnati insieme per il Curatorium per

i Beni Tecnici Culturali.

Mi è rimasto impresso il suo modo pacato di ragionare, sempre rispettoso delle

idee altrui ma nel contempo pieno di empatia e di entusiasmo.

Riservo di lui un grande ricordo.

Empatia ed entusiasmo

Gernot RösslerAvvocato, Bolzano93

94

Una sera d’inverno, pochi giorni prima che se ne andasse,

a passeggio in centro, argomentavamo del presente,

del passato e del futuro.

Improvvisamente tra noi calò un breve silenzio,

non per la mancanza di argomenti,

non per tensioni,

a causa di una sensazione forte come la vita,

che lascia la cicatrice nei ricordi,

… avevamo gli stessi ideali.

La cicatrice nei ricordi

Sergio SannicolòDirettore Sapa Profili, Bolzano

Ho conosciuto Ugo Sasso verso la metà degli anni ’90 in occasione di un con-

vegno a Roma; dopo il suo intervento ho avuto la sensazione di averlo cono-

sciuto da sempre, aveva risvegliato in me conoscenze e saperi in ombra, non

strutturati, esprimendoli così come io avrei voluto fare. Al termine del convegno

mi fermai a parlare con lui e scoprimmo affinità e convergenze.

Subito dopo entrai a far parte dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura e nel ’96

costituii la sezione INBAR di Potenza.

Nell’ottobre ’98 mi incoraggiò e mi aiutò ad organizzare a Potenza il convegno

“Territorio, ambiente e qualità della vita”; in quell’occasione la sala che ci ospi-

tava, per quanto grande, non riusciva a contenere tutti i partecipanti, molti

sostavano in piedi nei corridoi. Il convegno era programmato per tutta la gior-

nata con l’interruzione del buffet; ricordo che dopo questa pausa ero in difficol-

tà perché non riuscivo a far rientrare in sala il pubblico; allora Ugo mi sbalordì

perchè improvvisamente iniziò il suo intervento in assenza totale di uditori, dopo

pochissimi minuti la sala era di nuovo gremita, si erano tutti affrettati ad entra-

re in sala per ascoltarlo.

I concetti affermati nel ’98 a Potenza sono sempre più attuali e ci indicano il per-

corso da seguire senza lasciarci ammaliare dalle sirene perché “…vanno benele cellule fotovoltaiche, vanno bene i pannelli solari, va bene la difesa contro ilradon, ma tutto ciò va inserito – è fondamentale – in un’idea culturale, in unavisione prospettica. Quello che ci manca nella nostra epoca non è la tecnolo-gia; se noi avessimo bisogno dei mulini a vento della nuova generazione, lipotremmo comprare, se avessimo bisogno del sistema per depurare le acquecon le piante, potremmo prendere un libro, studiare come si fa ed applicarequesto sistema. Quello di cui abbiamo assolutamente ed urgentemente biso-gno è una visione prospettica, è una visione di quello che vogliamo, di dove

Visione prospettica

95

vogliamo andare, di cosa vogliamo fare. La bioarchitettura non è la scienzadella tecnologia, non è una scienza nuova : la Bioarchitettura e l’ecologia sonoproprio i territori di confine.”Il mio ricordo di Ugo come uomo di profonda e vasta cultura che, affabulando

concetti complessi, ci ha aiutato a comprendere il nostro essere uomini prima

ancora di essere architetti, che ci ha lasciato in eredità un ambizioso progetto

politico e ideologico del vivere e non dell’abitare, che ci ha insegnato come il

complesso mestiere dell’architetto è intimamente connesso alla vita e che quin-

di ha bisogno di conoscenze provenienti da altri settori disciplinari .

Il mio ricordo dell’ amico Ugo capace di comprendere e di intuire, disposto ad

ascoltare, con il quale era facile parlare ed ascoltare, con il quale era facile par-

lare non solo di bioarchitettura.

L’ultimo ricordo la telefonata per gli auguri del suo compleanno. Capricorno

come mia figlia Maria Libera. Abbiamo parlato di questo segno zodiacale, delle

sue affinità caratteriali con mia figlia.

È difficile dire chi era Ugo a chi non l’ha conosciuto, io l’ho avuto come amico.

Maria Grazia SantoroArchitetto, Lagonegro (PZ) 96

Ho conosciuto Ugo, architetto, seguendo i corsi INBAR che lui stesso ha divulga-

to attraverso la collaborazione di esperti nazionali e internazionali e le università,

volendo io, anche architetto, approfondire le tematiche relative alla sostenibilità e

in particolare la Bioarchitettura, come lui l’ha coniata insieme alla sua Witti.

Ugo mi ha subito conquistata professionalmente e umanamente rivelandosi un

maestro eccezionale. L’ho conosciuto per la prima volta a Gubbio nel 2000 e ho

subito avvertito che davanti a me c’era un grande architetto e un grande uomo.

Capace di farti sentire che anche tu contavi, che ti ascoltava e che con te voleva

condividere un percorso che costruiva insieme a te. Era un divulgatore eccellen-

te, incantava la platea e chiunque lo avvicinava. Ricco di esperienze, di contatti,

di amore per la Bioarchitettura e tutto ciò che questa rappresenta: la storia, la

società, il sociale il passato e il futuro, la vita. Ti trasportava e ti coinvolgeva impre-

gnandoti di sapori nuovi di gioia ed entusiasmi che ancora oggi ho vivi dentro di

me e coltivo quotidianamente, oggi sono parte di me.

Ugo era persona nobile e gentile dai modi semplici, che ti permettevano di avvi-

cinarlo senza timori. Così con il tempo abbiamo proseguito a sentirci a mantene-

re i contatti e quando era possibile, a frequentarci, instaurando un rapporto di ami-

cizia che ancora oggi continua grazie a Wittfrida, donna stupenda e amica che

molto umilmente ma con coraggio ed energia infinita prosegue il cammino intra-

preso.

Ugo ha segnato profondamente la mia crescita professionale e nella vita, tanto da

riuscire a trasferire un po’ dei suoi insegnamenti nella mia città, a Pesaro, dove

con la collaborazione di colleghi che con me hanno intrapreso lo stesso percor-

so, siamo riusciti a portare una sensibilità nuova e sempre più presente sul nostro

territorio. Ugo mi manca ma per fortuna è sempre presente in ciò che faccio e

continuo a ricordarlo con la gioia di averlo incontrato.

Incantatore di platee

Annarita SantilliArchitetto, Responsabile per l’energia e la sostenibilità, Comune di Pesaro97

98

Poche volte ho avuto la fortuna di poter incontrare Ugo. Ma ogni incontro mi è

rimasto impresso. In privato si poteva ridere e scherzare con lui, dove invece si

trattava di ambiti professionali, le cose dette da lui erano pensate e di una veri-

tà che colpiva.

Riusciva a fare il punto della situazione con riflessioni profonde.

Nonostante questa sua grande capacita e professionalità è rimasto sempre

umano e umile. Volentieri ricordo Ugo e nel pensiero mi rimane vicino.

Capacità di sintesi

Markus SchererArchitetto, Merano (BZ)

L'amicizia con Ugo nacque durante un incontro quando lavoravo per il

Comune di Roma. Disse che quel giorno le cose dovevano andare bene per-

ché era anche il suo compleanno. Gli chiesi se aveva già deciso dove festeg-

giarlo. Mi rispose di no e così lo invitai, con Wittfrida, a festeggiarlo a casa

mia. Accettò entusiasta soprattutto per l'imprevedibilità di quella offerta. Mi

fece capire che interpretava proprio la casualità dell'invito come un segno di

buon augurio.

Da quel giorno ci frequentammo con una certa assiduità quando veniva a

Roma, ed ebbi modo di conoscerlo meglio come uomo, come architetto,

come docente e uomo di cultura. I suoi pensieri e comportamenti erano

segnati dal rifiuto di modelli precostituiti, dalla tensione verso una ricerca di

architetture e stili di vita non separabili tra loro, verso architetture non ridotte

a tipologie edilizie e tecnicismi bioclimatici, verso stili di vita ecologici concre-

ti, privi di forzature ideologiche.

C'era in lui una tensione ideale verso quella che Bateson definisce “ecologia

della mente”, una visione olistica che richiede la consapevolezza del tutto se

si vuole costruire bene una parte.

Quando guardò i progetti di alcuni allievi di un corso di bioarchitettura nel

quale mi coinvolse come docente, espresse giudizi severi sul lavoro di chi,

progettando una scuola dentro il parco di S. Sebastiano, si era limitato a repli-

care una tipologia edilizia senza indagare sul genius loci, e di chi si era limi-

tato a introdurre apparecchi bioclimatici come se fosse una semplice addizio-

ne di elementi.

Una visione olistica che era anche uno stile di vita, fatto di grandi aperture cul-

turali e di gioiosa curiosità. Quando ci trovammo a Barcellona a passare insie-

me un Capodanno, capitammo in un locale dove fummo forniti di cappellini

Accogliere la casualità

99

colorati e trombette. Non ho mai avuto la consuetudine di festeggiare il

Capodanno come in alcuni film americani e capii che anche lui non aveva

quella consuetudine. Mi vide perplesso, mi guardò e con il suo sorriso sedut-

tore disse: “Perché no?”.

Che si ha da perdere se per un attimo ci si immerge nella vita degli altri, in

una consuetudine diversa, in un gioco che non conosciamo? Se la prendia-

mo con leggerezza forse è divertente e comunque capiremo qualcosa in più.

Mario SpadaArchitetto, Roma 100

101

Passavo spesso dallo studio di Ugo Sasso, lo trovavo sempre impegnato, in

fondo al suo ufficio a sistemare testi, elaborare concetti e sviluppare progetti.

Una sera era impegnato nella progettazione della struttura per l’esposizione

della Funivia del Colle a Bolzano, oggi esposta lungo la statale del Brennero.

Parlando di urbanistica gli chiesi: “Secondo te qual è segreto di buona architet-tura urbana?”

Alzando gli occhi dai fogli di carta mi portò alla finestra indicandomi la piazza

Erbe, cuore della Bolzano storica: “Lascia perdere la teoria! Guarda qui! Questaè la vera architettura urbana, progettata dall’uomo per l’uomo! Una sinfonia divolumi, decori, aperture e volte, che dettano il ritmo di un’architettura legata alluogo e allo spirito, al tempo e allo spazio, alla geografia e alla storia. Un pezzodi città che nessuno vuole stranamente riproporre, indirizzando i nuovi progettiverso un agglomerato di tristi periferie.”

La musica dell’architettura

Gerd StafflerGiornalista e regista, Bolzano

102

Ugo Sasso l’ho conosciuto e posso asserire che ora se ne sente la mancanza!

La Bioarchitettura è stata la sua creatura che ha fondato, fatto crescere con

determinazione e capacità.

Come spesso succede alle persone capaci, Ugo ha precorso i tempi avverten-

do con intuito e anticipo i cambiamenti che hanno poi interessato e continuano

a interessare il nostro modo di vivere e perciò l’architettura.

Sarebbe stata ancora necessaria la sua presenza, la sua capacità, la sua per-

severanza: tutte doti che lo caratterizzavano e lo facevano un termine di con-

fronto per molti, certamente per me.

Guardare il futuro

Piero SvegliadoArchitetto, A.D. Celenit, Onara di Tombolo (PD)

103

Ho conosciuto Ugo nel lontano 1991... per telefono. Per caso su una rivista di

attualità trovai un minuscolo trafiletto che parlava della Bioarchitettura e lo cita-

va per una iniziativa sull'argomento. Gli telefonai e diventammo subito amici:

sembrava ci fossimo conosciuti da sempre, parlavamo lo stesso linguaggio e,

fin dalle prime battute, ci volemmo bene.

Questo era per me Ugo: più di un amico, una persona vicina al mio cuore, al

mio sentire e al mio pensare, il fratello che non ho mai avuto.

Nei momenti belli o difficili della mia vita Ugo c'era, con una telefonata...”HeyChris...”, un biglietto, una mail... sempre toccante, affettuosa, presente come

sapeva esserlo lui. E sempre propositivo, sempre proteso verso un mondo futu-

ro da progettare, da migliorare, da vivere con partecipazione senza risparmiar-

si mai, anche passando sopra o, meglio, vincendo ostacoli, debolezze e fragili-

tà. Lui che non si ammalava mai, aveva sempre una partecipe preoccupazione

per la mia salute, standomi vicino, anche a tanti chilometri di distanza, in un

periodo di malattia. Ma, nonostante questa distanza, appena era possibile veni-

va a trovarmi, con la scusa di un incontro, un seminario, un'iniziativa sulla bio-

architettura alla quale partecipava insieme a Witti sempre con entusiasmo,

anche solo per incoraggiarci in momenti di stanchezza o di disimpegno.

Stare insieme a lui, anche solo per un giorno, una sera, qualche ora, era sem-

pre una festa, un regalo, una ricchezza che ti lasciava e che ti impegnava a

centuplicare.

I viaggi dell'INBAR in giro per l'Europa erano, poi, un sovraccarico di conoscen-

za, scoperte, amicizia, emozioni e...stanchezza che, per fortuna, avevo tutta

l'estate per metabolizzare!

Da Ugo ho imparato tanto e ho avuto tanto. Ugo mi manca: come collega e

maestro, ma ancor di più come… Ugo.

L’amico al telefono

Cristina TealdiArchitetto, Imperia

104

Ho incontrato per la prima volta le parole di Ugo Sasso nell'ormai lontano 1995.

Erano scritte sul secondo numero della rivista Bioarchitettura. Titoli:

- Disarmiamo il cemento, intorno e dentro le ragioni di un dissidio;

- Sognando l'IBA, i materiali dell'ecologia: motore del recupero urbanistico e

sociale.

Avrebbero potuto essere state scritte ieri e non quindici anni fa, ancora attuali

e cariche di senso civico e professionale.

Dopo un breve periodo di diffidenza e presa di distanza da quei ragionamenti

che minavano le mie poche certezze, quelle parole non mi hanno più abbando-

nato, mi sono entrate dentro, sono diventate mie.

Successivamente si sono arricchite dei tanti contributi che Ugo ci ha lasciato: i

corsi, gli scritti e, soprattutto, per me, la rivista Bioarchitettura. Un appuntamen-

to con la dignità di una professione socialmente utile, ma sempre più scredita-

ta e votata ad un facile, quanto falso e dannoso, entusiasmo economico.

Cinque anni dopo il primo incontro è stato il tempo del corso, ed alle parole è

seguito l'incontro con la persona; la forza delle idee e dei ragionamenti erano

perfettamente rappresentati da quello sguardo vivo e profondo.

Le sue parole sono state, per me, le parole di un maestro; mi ha completamen-

te ribaltato il sistema delle certezze e conoscenze acquisite nel tempo dell'uni-

versità e della prima, timida, pratica professionale, regalandomi la consapevo-

lezza della necessità di un approccio olistico a quella splendida professione che

mi era dato di praticare.

Frequentare la sua intelligenza critica mi ha consentito di imparare ad usare

quel pensiero parallelo, spesso ignorato, che consente di contemplare non solo

le azioni, ma anche le conseguenze che queste portano.

Grazie Architetto, grazie Maestro.

La dignità di essere architetto

Norberto VaccariArchitetto, Reggio Emilia

Quando un architetto, abbandona questo mondo lascia comunque un’eredità mate-

riale, ma a pochi eletti è concesso anche un lascito immateriale ovvero una: crea-zione dello spirito umano, che appartiene a titolo originario a chi l'ha prodotta. Ugo

Sasso c’è riuscito e l’ha chiamata BioArchitettura. La forza dell’idea è nella scelta

epocale in cui solleva il dibattito e nelle azioni professionali che mette in campo quali

paradigmi etici verso un’architettura amica. Un aforisma popolare dei sardi per qua-

lificare le persone, direbbe in lingua italiana: “Non è tanto importante svegliarsi pre-sto, quanto indovinare l’ora”. Quando Ugo Sasso coniava il termine Bioarchitettura,

Giancarlo De Carlo scriveva: “non avrebbe mai dovuto succedere che si parlassedi ecologia, …ma sono contento che ad un certo punto qualcuno ...abbia sollevatoil problema. Che cos'è l'architettura se non è ecologica? Non mi riesce neanche dipensarla”. Un’osservazione magistrale che inquadra la dimensione storico-cultura-

le italiana che mi permette di fare un pezzo di strada assieme ad Ugo.

Trovo il tempo di iscrivermi all’INBAR nel 1998, subito dopo aver co-diretto il primo

corso nazionale per divulgare l’uso delle volte in terra cruda, e realizzato allo scopo

un’apposita architettura dimostrativa. L’anno successivo avrò l’occasione di pubbli-

care un articolo su “Bioarchitettura”, che a Cagliari, forse proprio perché rivista spe-

ciale, capitava raramente di poter anche solo sfogliare. Un incontro-scontro avuto

sul finire degli anni Settanta con le avvisaglie dell’edilizia ecologica mi ha reso diffi-

dente in materia e quindi per il mio “pezzo” sceglierò provocatoriamente il tema più

complesso per l’Architettura in terra cruda, quello che da urbanista ho trattato in una

conferenza a Rabat, Marocco, nel 1996. Nessuna specifica costruttiva ma solo

Storia aliena delle piccole Città sarde in làdiri (adobe). Il n°13 della rivista, pubblica-

ta nel febbraio 1999, sarà per me la scoperta che nel nostro Paese è nuovamente

possibile parlare di arte del costruire. Diventa chiaro che la genesi greca di biosdavanti ad architettura, riconduce l’intera azione progettuale al fine ultimo della Vita

sul pianeta e il benessere dell’Uomo. Sono concetti di un’architettura sociale che mi

è facile condividere con il coordinatore scientifico della rivista: Ugo Sasso.

Nel 2001 nasce l’Associazione Nazionale Città della terra cruda e anche in Italia

riparte l’attenzione per questa materia costruttiva, tanto che tre anni dopo siamo ad

una prima Proposta di Legge specifica. Il n°35 di Bioarchitettura, febbraio/marzo

2004, tratta quasi in modo monografico i temi dell’INBAR, mentre gli Atti della par-

tecipazione all’udienza Ministeriale e al Convegno propositivo sono pubblicati in

Modus vivendi, supplemento al mensile di scienza natura e stili di vita, n° 8 -

Spedalgraf, Roma - settembre 2005.

Difficile dimenticare anche il rapporto interpersonale con Ugo Sasso e in modo par-

ticolare una mia telefonata in cui lamento lo sconforto di giacere in un letto di ospe-

dale. Dall’altra parte, non ricevo le classiche parole di consolazione, ma una carica

vitale di cui ancora oggi mi avvalgo. Persino in veste di amico di telefono, Ugo era

Fare rete

105

l’uomo delle parole giuste al momento giusto. Forse è per questo che qualunque

progetto sostenibile raccontato da lui diventava immediatamente durable, come

più correttamente usano dire i francesi. Questo è uno dei tanti processi immate-

riali che occorre indagare per ricostruire l’eredità culturale che ci ha lasciato.

Vedo la Rivista come lo spazio virtuale in cui sedimentare con fini divulgativi i

risultati materiali e i processi immateriali usati, risolvendo così ciò che Ugo

segnala come: “Le ragioni profonde del mestiere di progettista che vengono diraro indagate”. Occorre poi soddisfare un altro aspetto: “L’attuale sistema forma-tivo dà per scontate le finalità dell’agire... e mentre tutto corre, il progettista èpreso dall’obbligo continuo di compiere scelte”. Sarà importante pubblicare

molte esperienze in merito; essendo questo il naturale conflitto della professio-

ne di architetto che già Vitruvio, nel suo Primo libro, lascia presagire. Oggi lo

chiamiamo sentimento schizoide perchè, da un lato ti fa sentire autore soddisfat-

to dell’opera realizzata, dall’altro ti ricorda di essere l’unico individuo qualificato

a giudicare i risultati di quel procedimento seguito per realizzarla. Penso infine

che le sezioni provinciali dell’Inbar, debbano diventare i nodi territoriali della rete

nazionale dell’associazione ovvero essere i luoghi fisici in cui consumare il con-

fronto sociale con ogni categoria di persone interessata al confronto dialettico. È

sempre Ugo Sasso che ne indica la necessità in “Spazio, Tempo,

Bioarchitettura”, quando afferma: “La qualità non nasce dalla somma di qualitàma attraverso le relazioni instaurate. Così come qualunque linguaggio, anche inarchitettura sono i nessi, cioè le connessioni, che consentono l’accesso al signi-ficato”. Riuscire a soddisfare nel breve termine suddetti elementi consentirà di

condividere la soddisfazione di Ugo, quando davanti alla crescente domanda

perlomeno quantitativa di edilizia ecologica in Italia, scrive: “Il processo versoun’architettura amica è stato avviato”.

Alceo VadoArchitetto, Cagliari 106

Bioarquitectura

107

“Me satisface estar en Barcelona, una ciudad tan vital y tan importante, paraformular una nueva visión de la arquitectura basada en la cultura y la ecolo-gía”. Estas fueron las primeras palabras que nos dedicó el entrañable Ugo

Sasso cuando le invité a participar en nuestro VIII Simposium “Una Sola Terra”

dedicado al pensamiento ecologista y a la arquitectura solar como ejemplo

práctico de esta filosofía holística.

Mis encuentros con él fueron breves pero intensos en compañía de Witti

Mitterer, cuyo destino hizo que fuese testimonio de su trágica muerte en una

playa de la isla Margarita. Pasaba unas breves vacaciones en el Caribe de

tránsito a Berkeley donde tenía previsto entrevistarse con Fritjof Capra

(Viena, 1939), discípulo de Iván Illich (Viena, 1926 - Bremen, 2002), y uno de

los pensadores críticos más lúcidos de la sociedad industrial. Sólo el que

conozca la labor intelectual de Capra puede imaginarse las consecuencias

creativas que hubiese podido dar aquel encuentro entre el arquitecto y el

pensador ecologista.

Antes de que viajara a Barcelona le visité en Bolzano, lo que me permitió ver

algunas de sus obras y tener información directa de su proyecto de extender la

bioarquitectura en toda la ecoregión mediterránea, impulsar el Istituto

Nazionale de Bioarchittetura (INB) y divulgar la revista “Bioarchittetura”. Fue

una maravillosa ocasión de conocer los excelentes vinos del Alto Adige y los

lagos y picos de los Dolomitas.

Su presencia en Barcelona, del 14 al 16 de abril de 2004, para dar una confe-

rencia y participar en un coloquio tuvo un gran impacto, especialmente entre las

jóvenes generaciones de arquitectos. Algunos de ellos, como Felip Pich-

Aguilera, Teresa Batlle y Toni Solanas, animados por la labor desarrollada en

Italia por el INB han impulsado un primer congreso de bioarquitectura que se

celebrará la primavera de 2011 en el Colegio de Arquitectos de Cataluña y que

intentará dar una visión humanista y ecológica de la construcción.

Las teorías de Ugo Sasso son hoy un faro y una alternativa ante la grave crisis

que afecta al sector de la construcción. La bioarquitectura, con la incorporación

de la energía solar y el ahorro energético, representa una revolución cultural y

económica que tendrá una repercusión extraordinaria en las formas de vida y

consumo de este siglo. Los pueblos mediterráneos no podemos desaprovechar

liderar este cambio del que Ugo Sasso será un referente, tanto por su capaci-

dad de comunicar como por su reivindicación de una cultura ecológica trans-

versal. “Estoy convencido que la arquitectura contemporánea es la cosa másdecadente y miserable que haya producido jamás nuestra sociedad”, nos dijo

en Barcelona (Ugo Sasso, “Per una arquitectura ecològica i humanista”, “El

pensament ecologista. Projectes solars a Catalunya”, Una Sola Terra/Diputació107

108

de Barcelona, 2006). También tuvo el coraje de criticar la arquitectura-espectá-

culo de los Santiago Calatrava, Ricard Bofill, Jean Nouvel, Norman Foster,

Oriol Bohigas, Alvaro Siza… “La arquitectura no es espectáculo sino emo-ción… No se trata de hacer una arquitectura bonita y elegante, sino una arqui-tectura justa y correcta, que establezca una relación con el medio ambiente yel hombre. Una arquitectura que haga que Barcelona pueda continuar llamán-dose Barcelona. Si es importante que Cataluña hable la lengua catalana y seviva y coma de una determinada manera, también lo es que se construya deuna cierta manera. Una manera que reconozcamos que estamos en Cataluña.Desgraciadamente, la globalización nos lleva a la uniformización de las formasde construir”. Esta reflexión podría extenderse también a todas bioregiones

mediterráneas y es una defensa radical de la autonomía cultural de los pue-

blos.

La estela de la asociación que impulsó Ugo Sasso en Italia, que ha contribuí-

do decisivamente en crear conciencia colectiva de los problemas ambientales

y energéticos relacionados con la construcción y sus materiales, ha llegado a

Cataluña. Trabajaremos para que su mensaje llegue a la opinión pública y

pueda contribuir a regenerar la arquitectura de nuestro país.

Santiago VillanovaArchitetto, Presidente Associazione Una Sola Terra, Sant Feliu De Guixols (E)

109

La tragica scomparsa di Ugo Sasso per me, come per il Curatorium per i Beni

Tecnici e per tutti quelli che lo conoscevano, è stato un grande shock e una per-

dita incolmabile. Nella sua veste di architetto, Ugo era consulente prezioso e

persona capace di convincere con le sue idee innovative con caparbietà e sen-

sibilità anche chi inizialmente fosse di opinione diversa.

Da grande lavoratore ha dato dimostrazione della bontà d'intenti in occasione

della grande mostra “La parabola della meccanica -Zeitzeichen der Technik”

presso la stazione a valle della Funivia del Renon (BZ).

Il Curatorium per i Beni Tecnici gli deve oggi moltissimo e farà anche in futuro

tesoro del suo sempre pensiero positivo. Peccato che non sia più tra di noi.

Pensiero positivo

Martin Christoph von TschurtschenthalerDirettivo Curatorium Beni Tecnici, Bolzano

110

Quando sono entrata, da novellina nella sezione INBAR di Milano nel 2002, il

nome e la figura di Ugo era già consolidata; la curiosità di conoscerlo di persona

aumentava ogni volta che ne sentivo parlare da colleghi e amici, ognuno che

riportava un aspetto, un lato del carattere o una inclinazione professionale.

Finalmente, in occasione dei Dialoghi organizzati presso la Triennale di Milano,

l’incontro.

Rimasi stupita dalla sua semplicità ed affabilità; pensavo mi sarei trovata di fron-

te ad un uomo “popolare”, impegnato in rapporti e pubbliche relazioni, con poco

tempo per gli altri; pensavo che avrei dovuto sgomitare per riuscire a stringergli la

mano.

Invece ho trovato l’uomo prima che il professionista, capace di relazionarsi con

tutti e di dare uguale attenzione a progettisti di fama, giornalisti o….nuovi soci.

In realtà la cosa all’istante mi lasciò perplessa, come se questa dote suonasse più

come un difetto;

Poi gli incontri si sono susseguiti, e a poco a poco ho capito….il fondamento della

Bioarchitettura che pensavo puro tecnicismo.

La Bioarchitettura è fatta di scambi, di relazioni, di arricchimento che può venire

da chiunque e spesso, da chi meno te lo aspetti.

L’interdiscipliarietà, a cui lui si riferiva e che io solo ora inizio a capire e ad apprez-

zare, è quella miscela fatta soprattutto di uomini, di persone, di individui che vivo-

no, non per consumare ma per provare emozioni, per relazionarsi, e che per farlo

hanno bisogno di spazi, di luoghi di costruzioni che siano al suo servizio. Se si

perde di vista l’uomo, rimangono solo infrastrutture a volte pesanti ed inutili.

Questo l’insegnamento grande che mi ha lasciato e che spero, con la mia passio-

ne ed il mio lavoro di mettere in pratica ogni giorno fuori e dentro l’Istituto.

Grazie Ugo, ci ho messo otto anni, ma l’ho capita!

Prima uomo, poi professionista

Donatella WallnoferArchitetto, Milano

Ci siamo incontrati per motivi di lavoro, obiettivi reali quelli che ci hanno fatto

sognare, teorici e pedagogici. Witti, la tua guida logistica, mi ha mobilitato con

tutta la sua capacità persuasiva fino a quando ho accettato a venire ad insegna-

re al master alla Lumsa, l’Università Cattolica a Roma.

Hai individuato in me lo spirito comune, un’anima gemella. La tua visione dell’am-

biente costruito armonico era aperta e interdisciplinare. Dopo il nostro primo

incontro era immediatamente evidente, che l’impegno appassionato per un

mondo migliore veniva vissuto da entrambi in maniera entusiasta e autentica.

L’obiettivo della tua vita era chiaro. Hai lottato per l’attuazione più umana delle

tecniche edilizie cercando attraverso un’espressione estetica e di qualità percet-

tiva di porre l’architettura al centro dell’agire umano: l’architettura come veicolo e

supporto dell’arte del costruire come lo era durante tutta la storia dell’uomo, fino

a poco tempo fa.

Hai sviluppato con energia invidiabile, profondo sapere e verve retorica, strategie

e metodi mirati all’attuazione dei tuoi obiettivi: un instancabile maestro in tanti con-

vegni, ricerche, pubblicazioni e lezioni universitarie.

La tua competenza e il tuo carisma hanno posto al di là della tua tragica scompar-

sa legami duraturi tra tutti coloro che ti hanno sin qui seguito e che ti seguiranno.

Ti siamo grati per il tuo impegno e la tua fede a favore di un futuro migliore.

L’arte del costruire

112Rob KrierArchitetto, urbanista, Berlino (D)

Soluzioni progettuali per Calenzano.

114

Ugo Sasso,

maestro e docente

“La città, tra ecologia della tecnica

ed ecologia dei segni”

tratto dal ciclo di conferenze

"Italia e Italie",

Università di Innsbruck,

5 novembre 2008

Gestire le risorse, scegliere i materiali,

ottimizzare le energie, organizzare lo spazio,

prestare attenzione ai veri bisogni della

società attuale, mantenendo la

preoccupazione per quelle future, è impegno

urgente e non cancellabile, al quale la cultura

progettuale è tenuta ad adeguarsi.

116

Parlare di ecologia è ormai entrato a far parte del pensiero progettuale globale,

accentrando sempre con maggiore attenzione la focale su argomenti quali l’in-

quinamento, la produzione di CO2, il clima, l’energia nucleare. Tuttavia il dibat-

tito corre assieme a logiche opportuniste, l’odore del business, la speculazione

e le leggi del mercato che spesso ne pregiudicano la corretta applicazione.

Due sono i parametri fondamentali attraverso cui si conquista l’ecologia: la bio-

compatibilità (mantenere attenzione alla salute delle persone nel corso dell’in-

tero processo, dalla produzione alla dismissione) e l’ecosostenibilità (cioè la

consapevolezza che non è giusto né opportuno sprecare energia e risorse).

L’utilizzo sempre maggiore di nuovi materiali (in edilizia oggi se ne usano fino a

15.000 tipi differenti), prodotti dalla sintesi di composti petroliferi, impedisce lo

smaltimento in tempi brevi degli impatti sul sistema natura, con l’aggravarsi dei

danni ambientali. Lo sfruttamento delle risorse è un tema molto affrontato, tut-

tavia spesso si limita a considerarne solo l’aspetto dell’utilizzo, tralasciando i

costi ambientali alla produzione e allo smaltimento. Ne è un esempio il prolife-

rare delle installazioni fotovoltaiche, a cui vengono attribuite doti che garantireb-

bero l’ecologicità dell’intero edificio, prodotte con celle in silicio amorfo, di cui è

ancora del tutto ignorato l’aspetto inquinante a ciclo di vita ultimato. Allo stesso

modo il polistirolo, il polistirene, il polipropilene, dal costo di produzione compe-

titivo nel mercato degli isolanti termici, non vengono valutati per l’aspetto alta-

mente inquinante in fase di produzione. Sono prodotti derivanti dallo stirene,

sostanza altamente reattiva, tossica, infiammabile e pericolosa, che ogni giorno

circola liberamente, ad esempio, in 24 vagoni che percorrono giornalmente la

tratta ferroviaria che attraversando il Passo del Brennero, da Ravenna giunge

fino a Francoforte: un danno ambientale incalcolabile in caso di incidente.

Soggiogati dalle logiche di mercato, l’economia soffoca le leggi della natura.

Accade così che non vengano più piantate querce per la produzione di sughe-

ro, in quanto la produzione ottimale si otterrebbe dopo 40 anni, un limite inac-

cettabile per la società contemporanea del “tutto e subito”.

Un concetto che prevede una continua espansione dello sfruttamento energeti-

co per evitare l’implosione del sistema economico globale. Ad oggi un terzo

della popolazione mondiale, il cosiddetto “Occidente”, consuma i due terzi delle

risorse, mentre il 70% della popolazione si deve accontentare di quanto ne

La città, tra ecologia della tecnica ed ecologia dei segni

117

rimane. Una logica che, se condivisa anche dai Paesi in via di sviluppo come

India e Cina, giustificati dal comportamento energetico dell’Occidente, porte-

rebbe a serie problematiche ambientali. È necessario dunque porre un freno

ai consumi globali, che certamente non si attua attraverso la riduzione del

consumo di un singolo elemento. Ogni volta infatti che si abbatte il consumo

per unità di prodotto, o di servizio, ne aumenta proporzionalmente il suo con-

sumo: l’auto, che oggi consuma la metà rispetto a una decina di anni fa, è

venduta in numero doppio rispetto al passato. Il piano dunque deve essere un

altro, ovvero quello della percezione e della qualità indipendente dal consu-

mo. Si tratta di un atteggiamento ormai improcrastinabile che dovrebbe carat-

terizzare ogni azione, ogni intervento, ogni trasformazione della realtà. Tali

aspetti risultano fondamentali anche nella progettazione di un edificio.

Se è vero che oggi più che mai c’è bisogno di aggregazione, di stare insieme,

di dialogare, di riconoscersi nei luoghi per imparare a conoscere se stessi,

diventa allora indispensabile fare i conti con il contesto, con l’insieme, con i

rapporti che ogni elemento stabilisce, lo si voglia o no, con tutto il resto. Si

Ugo Sasso con il professor Palmonari

del Polo Ceramico, durante una

conferenza a New York.

118

tratta di relazioni che si determinano sempre, sia nei casi in cui vengono pro-

gettate e gestite, sia che ne ignoriamo la centralità concentrandoci sui singo-

li obiettivi specifici. Per cui, prima ancora di pensare ad una struttura funzio-

nalmente organizzata o un’architettura elegante e piacevole, o ancora ad un

insieme spettacolare capace di catalizzare sulla bioarchitettura dotti consen-

si, l’attenzione va focalizzata sullo sforzo di attribuire organicità ad uno spa-

zio su cui insistono molteplici forme e volumi, aggregatisi in tempi diversi.

L’attenzione dunque va riposta nella qualità globale, stabilita attraverso le

relazioni che si compongono tra progetto e ambiente, e non nella specificità

ed eccezionalità del singolo elemento. La qualità non è mai la somma di tante

qualità. Per convincere anche i soggetti più integrati nel sistema (che risulta-

no quindi più tenacemente abbarbicati all’idea di una modernità plausibile)

basta portarli a riflettere su quanta distanza intercorre tra due “oggetti archi-

tettonici” moderni che ritengono significativi e quanta eleganza, grazia, garbo,

umanità si concentri invece in un qualunque luogo spazialmente definito più

di 100 anni or sono.

Ugo Sasso e Fritjof Capra durante la conferenza “Relazioni

spaziali” a Firenze, Palazzo Vecchio, Salone dei Duecento, 31

marzo 2007.

119

Il mito della funzionalità e della forma legata alla funzione, teoria elaborata dalla

Bauhaus inizialmente per oggetti di design e applicata in seguito all’architettu-

ra (si pensi alla “macchina per abitare” concettualizzata da Le Corbusier), ha

portato a esempi che sono tutt’oggi sotto i nostri occhi: il Coviale a Roma, la

nuova Berlino, astrusità, deformazioni mentali, monumenti autocelebrativi del

progettista o della tecnica.

Quella che appare oggi come criticità, cioè la scarsa vocazione del “complesso

all’accoglienza”, non è ovviamente determinata dal poco o tanto valore dei sin-

goli elementi costitutivi presenti, quanto dal fatto che ciascuno di essi si sforza

di rispondere ad una logica interna, autistica, autoreferente, a seconda dei casi

razionalista, organica, analitica, strutturale, ecc.; nonostante (proprio perché)

ogni intervento ha cercato la soluzione in assoluto più efficace, funzionale, logi-

ca, sommamente rispondente alle richieste, le varie proposte finiscono per

esprimere stridore reciproco.

Il caso è applicabile anche alle architettura che sorgono con un’etichetta di eco-

sostenibilità che appare più come operazione di marketing che di progettazio-

120

ne a sostegno delle ragioni ambientali. Un insieme di volumi aprioristicamente

determinati dal movimento del sole o conformati secondo l’obiettivo vincolante e

prioritario del contenimento dei consumi energetici, sono impossibilitati a stabili-

re una relazione reciproca e sono quindi condannati nei secoli a rimanere peri-

feria, cioè elementi slegati e privi di reciproca connessione. Per attribuire natali

nobili a tale impostazione si riportano però spesso studi teorici sui sistemi aggre-

gativi spontanei, si citano le case arroccate contro il sole nel Magreb, le torri del

vento persiane, i pueblos costruiti dai messicani nel cono d’ombra della monta-

gna, i microclimi consentiti dai cortili dell’area mediterranea, i giardini d’inverno

dei Paesi nordici e così via. Nessuno mai che alzi lo sguardo in una strada di un

qualunque nucleo storico, sempre straordinario nella sua espressione di vuoti e

di pieni, di luci ed ombre, nel racconto vibrante di storie passate ed emozioni pre-

senti; potrebbe con facilità controllare come la percentuale delle aperture sul lato

destro e sinistro della strada risultino sempre percentualmente identiche! Cosa

significa? Che anche in assenza di petrolio ed elettricità, e quindi quando riscal-

darsi e raffrescarsi era davvero impegnativo, al rapporto con il sole gli uomini

Alcuni momenti del Laboratorio di Bioarchitettura, organizzato a

Calenzano nel 2007.

hanno sempre preferito quello con la strada, la piazza, il vicino, la veduta inte-

ressante. Dovunque, che sia rivolto a nord o a sud, sull’Adriatico, il Tirreno o nel

cuore delle Alpi, se c’è uno specchio d’acqua - un lago, la riva del mare, un fiume

- le case sempre lo hanno assunto come riferimento organizzativo. Più del sole

veniva invece tenuta in considerazione l’azione del vento: in una strada ventosa

non si può passeggiare e fermarsi sotto il portone a chiacchierare.

Un rapporto troppo stretto con una realtà esterna (in questo caso il sole) porta

infatti inevitabilmente ad allentare il rapporto reciproco tra gli edifici e di questi

con il territorio. Va abbandonata dunque ogni pretesa meccanicistica e insieme

ogni speranza di trovare la soluzione in un’equazione per quanto complessa.

Per altro, una volta raggiunta, nell’importante confronto con la macroscala, la

consapevolezza di aver a che fare con un organismo complesso, si sarà matu-

rata una nuova visione generale dei problemi che metodologicamente si riflette

su ogni singolo, per quanto piccolo, intervento.

Il problema che oggi sovrasta e sconquassa l’architettura è la totale mancanza

di obiettivi, intenti, propositi, finalità e strategie condivisi: più soggetti, magari tutti121

Ugo Sasso durante un viaggio studio di

Bioarchitettura presso uno stand

interattivo all’Expò di Hannover, 2000.

animati dal desiderio di fare il meglio a favore della collettività, dinanzi allo stes-

so problema giungono a risultati tendenzialmente opposti. E questo non in base

a caratterizzazioni ideologiche, politiche, culturali, intellettuali, di formazione,

ecc. ma in maniera del tutto casuale e imprevedibile. Non vige alcuna chiarezza

circa il corretto e lo scorretto, il legittimo e l’illegittimo, il gusto ed il disgusto, la

regola e la sregolatezza: ogni valutazione si muove a caso assumendo volta per

volta coordinate quali la capacità di esprimere la contemporaneità, la dimostra-

zione di aver contenuto il consumo di suolo, l’abilità nel pronosticare un ipoteti-

co futuro o di aver conseguito una distribuzione razionale, una forma ascetica o

magniloquente, l’organizzazione funzionale alla cantierizzazione o la facilità di

smontaggio e di riciclaggio, ecc. ecc. in una babele di segni e comportamenti in

cui il valere (o non valere) tutto e il contrario di tutto rende scivoloso il raffronto,

impraticabile la ragionevolezza, inapplicabile il criterio, vanificato il senso. Ad

esempio se fissato il luogo, la destinazione, la volumetria, la spesa e gli altri dati

vincolanti, venisse dato distinto incarico ad un gruppo di progettisti di disegnare

il progetto più idoneo, obiettivo, elegante, significativo e pertinente di cui sono

capaci; ed ad un altro gruppo di professionisti altrettanto coscienziosi e prepara-

ti l’incarico di disegnare un volume rispondente alle necessità edificatorie ma

intrinsecamente scorretto, capotico, inelegante, insignificante e per nulla perti-

nente; ebbene: garantita la realizzabilità e mescolati i disegni, né il profano né il

tecnico né il docente universitario né lo storico dell’architettura sarebbero in

grado di distinguere l’intenzione che li ha originati. Programmaticamente giusti e

deliberatamente sbagliati si confonderebbero in maniera indistricabile secondo

dinamiche di tragica equivalenza. Si ha così la dimostrazione dell’assurdità della

situazione attuale, la evidenziazione dell’assoluta mancanza di relazione da

parte dell’architettura con le ragioni (esistono, e sono reali e cogenti!) del suo

essere ma anche la inderogabile necessità di porci un sistema di quesiti fondan-

ti che dinanzi a ipotesi divergenti consentano un minimo di orientamento; di porci

obiettivi appunto “edificanti” attraverso la condivisione di alcuni criteri strategici

di base capaci di metterci d’accordo su alcune grandi priorità da cui partire per

ri-costruire quel concetto di architettura di cui la società ha assoluto bisogno.

Stabilito cioè che l’intervento oggi non può non tendere all’ecologia, tra i quesiti

che vanno alla radice del fare architettura se ne possono individuare alcuni di 122

123

124

particolare efficacia rispetto a cui graduare l’attenzione, l’impegno e le risorse.

Un progetto ecologico dunque in quanto teso a migliorare la qualità diffusa del-

l’ambiente e della vita senza ricorrere a esibizionismi e senza spreco di risorse.

Ma anche “ecologico” perché capace di coinvolgersi positivamente nella realtà a

tutti i livelli senza distinguere tra becera attività quotidiana ed estetica opera

magistrale. Ecologico perché avvicinabile e accessibile a tutti i progettisti che

senza inseguire le chimere dell’impossibile possono guidare le proprie azioni

verso obiettivi chiari e semplici che fanno riferimento al rispetto per le persone,

incentivano l’aggregazione e quindi consentono all’ideatore di sentirsi integrato

nella società, propongono situazioni adottabili dagli abitanti attuali e futuri e quin-

di più consone, mantenibili e trasformabili.

Se è vero dunque, come è vero, che l’ecologia è la scienza delle relazioni, del-

l’insieme, dei rapporti, degli scambi, non si fa architettura ecologica se non attra-

verso l’accoglienza e la cura delle piccole e grandi sinergie tra le parti - spesso

anche spontanee, naturali, immediate - che se tuttavia non vengono strenua-

mente cercate e gestite, oggi ci si rivoltano contro.

Ugo Sasso, dicembre 2008.

Nella pagina accanto, con Cristina Tealdi a Berlino, sotto la

Cupola del Parlamento tedesco.

L’ecologia, ormai, è nel nostro orizzonte. Si fanno sempre più ricorrenti i termini:

architettura ecologica, bioedlizia, bioclimatica, Bioarchitettura, edilizia sostenibile,

ecc. Anche se spesso usati come sinonimi, ciascuno di essi cela diverse correnti di

pensiero. Bioclimatica è il termine più maturo per età, riflessioni e applicazioni.

Introdotto negli anni ‘70 assieme alle tecnologie solari “attive” (collettori solari, pan-

nelli captanti, ecc.) sviluppò in seguito una visione solare “passiva” dell’edificio nel

suo complesso (superfici captanti, masse di accumulo, serre, gestione moti convet-

tivi dell’aria, muri di Trombe, ecc.). Oggi si orienta verso valutazioni prestazionali,

controllo dei parametri, tecnologie integrate, sistemi di riscaldamento / raffresca-

mento, incremento della luce naturale e simili, ponendo in relazione l’edificio con gli

elementi quantificabili esterni. L’attenzione che si sposta dal processo costruttivo

alle sue finalità, è di matrice tedesca, con la Baubiologie, in italiano bioedilizia, che

distingue tra due parametri, non sempre convergenti: il problema energetico (eco-

sostenibilità, comprendente anche i materiali) e il problema della salute umana (bio-

compatibilità). I quali, come nel frattempo aveva definito la nozione di sostenibilità,

vanno declinati “dalla culla alla tomba” e “garantendo le generazioni future”.

Se l’ingegneria verde, con la fuga in avanti connessa con l’adesione tecnologica è

di stampo anglosassone, la Bioarchiettura è accezione maturata in ambito sostan-

zialmente italiano. Vede l’essenza dell’ecologia nella durata del manufatto, perse-

guibile più che attraverso stratagemmi tecnologici, mediante l’attribuzione di signifi-

cati. Per trasformare una sommatoria di tecnologie e materiali - ovviamente biocom-

patibili ed ecosostenibili - nella casa dell’uomo, è necessario coinvolgersi nelle tra-

dizioni, nei codici, nei linguaggi, adottando un’ottica complessiva (inevitabilmente

urbana) che richieda scelte consapevoli e responsabili. La razionalistica coerenza

tra forma e funzione perde di significato, sostituita dalla verifica circa la facilità di

antropizzazione dello spazio, la percezione del “sentirsi a casa”, la possibilità di met-

tere radici. Si tratta di una sorta di “nuovo umanesimo” che pone la vita e la sua qua-

lità come obiettivo primario del progetto. “Tempo e spazio”, riferimenti classici del-

l’architettura, vengono letti come necessità di adesione alla storia e alla geografia,

cioè alle “persone ed ai luoghi”. La rottura con il funzionalismo (la casa come mac-

china per abitare e il territorio come superficie indifferente) e con il formalismo (auto-

referente e spettacolare) è divenuta ideologica.

Ugo Sasso 126

Bioarchitettura: una definizione

128

Ugo Sasso,

architetto

Complesso per abitazioni e negozi

Bolzano, 1993-1995

Progetto ITI Ferraris

Empoli, 2003-2011

Tendere verso un’architettura che privilegi la

relazione e l’incontro, il benessere e

l’uguaglianza vuol dire attuare una strategia

culturale che coniughi percezione e

sostenibilità, valutazione e partecipazione,

tecnica e organizzazione.

Vuol dire preferire la qualità alla quantità.

130

L’intervento commissionato nel 1993 dall’Istituto per l’Edilizia Sociale, il principa-

le operatore di edilizia abitativa della Provincia di Bolzano, è uno dei primi proget-

ti realizzati in Bioarchitettura da un ente pubblico in Italia. L’area in oggetto fa

parte di un quartiere edificato durante il periodo fascista con una serie di case

quadrifamigliari, denominate semirurali, con orto annesso, destinate ai lavoratori

delle industrie trasferitesi a Bolzano. Oggi il quartiere delle semirurali è stato quasi

del tutto abbattuto e destinato ad edilizia popolare o cooperative, mantenendo

solamente due di questi edifici, uno come residenza e uno come museo. L'intero

quartiere pertanto ha subito una forte quanto rapida trasformazione che ha in

alcuni casi modificato il carattere tipico dell'èdilizia altoatesina. L'obiettivo raggiun-

to dal progetto di Ugo Sasso era fin da subito quello di riuscire a riportare in un

luogo dall'edilizia "anonima" un elemento rappresentativo, che fosse a prima vista

un ricongiungimento con l'architettura storica della città. Il tutto realizzando un

fabbricato plurifamiliare che si differenziasse da quelli tradizionali per la riduzione

delle fonti di inquinamento interno, che modificano la qualità dell'aria, producono

campi elettromagnetici artificiali o generano emissioni dannose.

Complesso per abitazioni e negozi a Bolzano

131

L'edificio risulta compatto, formato da due blocchi ortogonali che presentano

altezze differenti, da 4 a 5 piani fuori terra, allineati sui due fronti stradali che deli-

mitano l'area, è composto da 12 appartamenti, 3 negozi ed un bar.

Il piano interrato comune è destinato a cantine e magazzini per i negozi. In ogni

blocco, dal primo al terzo piano, due appartamenti per piano sono organizzati

attorno al vano scala, al piano terra si trova un appartamento per persone diver-

samente abili, mentre un appartamento sviluppato su due livelli occupa gli ultimi

due piani. I negozi ed il bar si trovano al piano terra, in corrispondenza del porti-

cato continuo, che si affaccia sulla via principale, la più affollata (il porticato ripren-

de lo stile tipico dei portici del centro città e tende a stabilire uno spazio di relazio-

ne per i passanti). Gli esercizi commerciali ed il bar - che fruisce di una terrazza

all'aperto da utilizzare nella buona stagione - sono progettati per diventare centro

delle relazioni del quartiere; lo spazio scoperto è articolato in zone dedicate e per-

corsi, dove risultano modulati i diversi ambiti pubblico - semi pubblico - privato, di

un'area verde collettiva. All'interno dell'isolato i corpi di fabbrica delimitano una

zona verde comune. L'edificio ed il giardino sono pensati per formare un organi-

Pianta del piano-tipo degli appartamenti.

Nella pagina accanto, schizzo del prospetto sud.

132

smo unitario in cui si articola la vita sociale. Nel progetto si è teso a riassumere

una complessa rete di obiettivi di natura sociale, culturale e tecnica tra loro corre-

lati, allo scopo di ottenere un sistema di relazioni attorno all’abitazione, che si pro-

ducano in effetti positivi dal punto di vista dell’ecologia e del miglioramento della

qualità della vita, associata ed individuale.

L'approccio al progetto ha coinvolto una serie di interazioni che caratterizzano il

sistema edificio-salute-ambiente prevedendo l'integrazione di importanti obiettivi

ecologici in relazione alle specificità del contesto insediativo e climatico. Molti

degli obiettivi ecologici ricercati trovano soluzioni compatibili con le risorse dispo-

nibili e con modalità costruttive e tecniche artigianali in grado di assicurare buoni

livelli di qualità.

Le innovazioni tecniche bioecologiche più rilevanti apportate in questo progetto

fanno parte di gruppi omogenei definiti come segue.

Responsabilità ambientale:

- uso di materiali da costruzione dal ciclo di vita a basso consumo energetico,

ricavati preferibilmente da risorse locali;

133

- utilizzo minimo di materiali derivanti da risorse non rinnovabili;

- esclusione di materiali e prodotti realizzati con sostanze dannose per lo strato

di ozono stratosferico o che siano stati estratti distruggendo risorse naturali

importanti.

Limitazione dell'impatto sull'ambiente locale del nuovo intervento edilizio e di otti-

mizzazione delle risorse:

- eco-gestione delle risorse energetiche (utilizzo di fonti di energia rinnovabile,

adozione di misure per la conservazione dell'energia);

- recupero dell'acqua piovana, filtraggio e riutilizzo negli scarichi dei WC;

- impiego di materiali da costruzione facilmente riciclabili.

Miglioramento del comfort ambientale e prevenzione dei danni alla salute degli

abitanti:

- esclusione di tutti i materiali e prodotti sintetici contenenti metalli pesanti o for-

maldeide, causa di emissioni pericolose per l'uomo;

- impiego di materiali naturali, sani, privi, una volta installati, di emissioni pericolose;

- ricorso minimo a materiali di origine sintetica con relativo impiego per quello a

minor grado di nocività o con prestazioni complementari vantaggiose (ad

esempio polipropilene o polietilene al posto del polivinilcloruro);

- incremento del comfort idrometrico degli ambienti interni e del grado di permea-

bilità al vapore delle pareti;

- incremento del comfort interno relativo alla qualità dell'aria, tramite utilizzo di

ventilazione naturale, e dell'illuminazione, (luce naturale);

- prevenzione dell'inquinamento elettromagnetico tramite impianti elettrici

schermati;

- adozione di schemi costruttivi al piano interrato che permettono un naturale

smaltimento delle emissioni di gas radon dal terreno tramite ventilazione natu-

rale comunicante con l'esterno (nonostante la concentrazione del gas radioatti-

vo nel terreno non fosse rilevante).

La scelta di un sistema costruttivo semplice, realizzato in muratura portante in

blocchi di laterizio alveolato, gioca un ruolo determinante organizzando la distri-

buzione dei vani interni e consentendo all'edificio di reagire in modo scatolare alle

sollecitazioni, evitando così l'impiego di strutture a telaio in cemento armato (con

elevato dispendio di energia per la messa in opera e l'alterazione dei campi

134

magnetici naturali dovuti all'acciaio). La rigidità del sistema è completata da solai

in legno, costituiti da travetti portanti e tavolato. Il tetto a capriate, sempre in legno,

ha un doppio tavolato con intercapedine per la ventilazione, uno strato di freno al

vapore e il manto in coppi di laterizio. Le canalizzazioni per la raccolta dell'acqua

piovana sono in rame. L'impianto elettrico, dotato di disgiuntore automatico di cor-

rente per la linea luce, è realizzato mediante un canale montante centrale posto

lontano da camere e soggiorni, distribuito radicalmente nei vari locali, senza anel-

li o circuiti chiusi. I cavi passanti nelle zone più importanti inoltre sono schermati

per evitare la diffusione di campi elettrici. L'impianto idrico ha distribuzione stella-

re, con condutture in polipropilene e scarichi in ghisa, a differenza degli scarichi

in PVC utilizzati comunemente oggi.

Gli alloggi presentano una distribuzione interna ottimizzata in relazione all'orien-

tamento, con gli ambienti di vita esposti per quanto possibile a sud, camere e ser-

vizi a nord. L'esposizione contrapposta consente la ventilazione trasversale degli

ambienti. Il comfort igrotermico nel periodo invernale è ottenuto consentendo eco-

nomie di gestione grazie alla combinazione di diversi fattori:

Schizzo di studio del prospetto nord sul giardino e sezione di progetto.

135

Dettaglio della copertura in legno con doppia

ventilazione, sopra e sotto il manto imper-

meabilizzante. A sinistra, sezione verticale del

muro di Trombe. In basso, schizzo di studio

del prospetto ovest.

Nella pagina accanto la facciata sud sulla

strada.

136

- forte inerzia termica assicurata dalla muratura portante in laterizio;

- isolamento termico maggiorato delle pareti perimetrali esposte a nord mediante

rivestimento isolante a cappotto, realizzato con pannelli di sughero intonacati;

- isolamento termico del tetto mediante l'intercapedine formata dalla struttura a

capriate e dal manto di copertura ventilato;

- riduzione dei ponti termici strutturali mediante rivestimenti esterni in fibra di

legno;

- utilizzazione della rete di riscaldamento urbana e predisposizione per l'installa-

zione di stufe a legna in funzione complementare, per ogni unità abitativa;

- utilizzazione dell'apporto solare passivo negli ambienti della zona giorno;

- controllo del tasso di umidità relativa interna grazie alla permeabilità al vapore e

perciò all'azione traspirante delle murature in laterizio, che svolgono contempo-

raneamente funzione portante e di articolazione distributiva.

I fronti affacciati verso sud e verso la strada presentano aperture più ampie, logge

arretrate e muri di Trombe. In inverno, per migliorare le condizioni ambientali della

zona soggiorno-cucina, è quindi prevista l'utilizzazione del contributo solare pas-

137

Il complesso dal lato nord sul giardino e dettaglio dei balconi in legno appesi con cavi d’acciaio.

Nella pagina accanto, il prospetto est lungo la strada secondaria.

138

sivo che forniscono le logge vetrate (per effetto serra) e dei muri di Trombe (per

irraggiamento e convezione). Le prime sono costituite da una veranda vetrata che

è in grado sia di captare, mediante un muretto basso, i raggi solari nella loro incli-

nazione invernale, sia di attenuare, grazie alla doppia chiusura trasparente, gli

sbalzi termici. I secondi, funzionando come pannelli solari, trasferiscono l'aria

riscaldata nell'intercapedine all'interno degli ambienti, mediante un moto convet-

tivo naturale. Il porticato al piano terra; infine, rappresenta un tradizionale sistema

di protezione dalle temperature esterne dei giorni più caldi dell'estate.

Complesso per abitazioni e negozi, Bolzano, via Bari

Committente: Istituto per l’Edilizia Sociale della Provincia di Bolzano

Progetto architettonico: Ugo Sasso

Statica: Alberto Ardolino

Impianti: Enzo Zadra, Luigi Beggiato

Superficie: 4775 m2

Costo: 1.800.000 €

140

Due sono i parametri fondamentali attraverso cui si conquista l'ecologia: la biocom-

patibilità (mantenere attenzione alla salute delle persone nel corso dell'intero pro-

cesso, dalla produzione alla dismissione) e la ecosostenibilità (cioè la consapevo-

lezza che non è giusto né opportuno sprecare energia e risorse). Si tratta di un

atteggiamento ormai improcrastinabile che dovrebbe caratterizzare ogni azione,

ogni intervento, ogni trasformazione della realtà. Non impegnarsi nel salvaguarda-

re l'ambiente e l'uomo con esso, è semplicemente stupido.

Questo può risultare tuttavia non sufficiente, soprattutto nel caso in cui il compito

che si pone dinanzi è progettare una scuola, cioè un luogo nel quale i giovani

apprendono il complesso mestiere della vita. Se è vero che oggi più che mai c'è

bisogno di aggregazione, di stare insieme, di dialogare, di riconoscersi nei luoghi

per imparare a conoscere se stessi, diventa allora indispensabile fare i conti con il

contesto, con l'insieme, con i rapporti che ogni elemento stabilisce, lo si voglia o

no, con tutto il resto.

Si tratta di relazioni che si determinano sempre, sia nei casi in cui vengono proget-

tate e gestite, sia che ne ignoriamo la centralità concentrandoci sui singoli obietti-

Nuovo Polo Scolastico, Istituto Superiore Ferraris, Empoli

Rendering di progetto. Attualmente il complesso è in fase di costruzione.

141

142

vi specifici. Per cui, prima ancora di pensare ad una struttura funzionalmente orga-

nizzata o una architettura elegante e piacevole, o ancora ad un insieme spettaco-

lare capace di catalizzare sulla bioarchitettura dotti consensi, nel Complesso

Scolastico di Empoli l'attenzione è stata focalizzata sullo sforzo di attribuire orga-

nicità ad uno spazio su cui insistono, un po' alla rinfusa, alcuni edifici scolastici via

via aggregati in tempi recenti e che ora accolgono circa duemila persone.

Quella che appare oggi come criticità, cioè la scarsa vocazione del Complesso

all’accoglienza, non è ovviamente determinata dal poco o tanto valore dei singoli

elementi costitutivi presenti, quanto dal fatto che ciascuno di essi si sforza di

rispondere ad una logica interna, autistica, autoreferente, a seconda dei casi razio-

nalista, organica, analitica, strutturale, ecc.; nonostante (proprio perché) ogni inter-

vento ha cercato la soluzione in assoluto più efficace, funzionale, logica, somma-

mente rispondente alle richieste, le varie proposte finiscono per esprimere strido-

re reciproco.

Detto in altre parole, nel nostro caso l'obiettivo è stato non solo calibrare il nuovo

"oggetto" rispetto all'assolvimento corretto di esigenze ecologiche e gestionali ma

Planimetria di progetto del giardino con i nuovi volumi posti a sinistra sul lato ovest.

Nella pagina accanto, pianta del piano terra.

143

144Prospetti e sezioni dei tre nuovi volumi, uniti da due serre per il controllo climatico invernale.

Nella pagina accanto, pianta del primo piano.

145

146

anche e prioritariamente pensare la situazione come felice, fortunata opportunità

concessa dalla collettività alla collettività per collegare e rendere complessivamen-

te accogliente, cioè significante, un luogo oggi disadorno e ingrato. Un intervento

di cucitura che si pone contemporaneamente e inevitabilmente anche come rifles-

sione più generale sul ruolo che l'architettura è chiamata a svolgere rispetto ad un

patrimonio immobiliare privo in maniera manifesta di connessioni e organicità e

che pertanto si presenta nell'insieme tristemente inanimato ed estraneo (penso ad

una qualunque periferia in una qualunque parte del mondo... ).

In tale ordine viene superata l'idea che gli spazi possano o debbano trovare spe-

ranza di qualificazione nell'aderenza alla propria matrice funzionale; oppure, al

contrario, sia la liberazione da legami e strettoie funzionaliste a consentire la qua-

lificazione dell'intorno mediante presenze scultoree e monumentali. Si tratta, in

entrambi i casi, di atteggiamenti concentrati sul contenuto di cui l'elemento è por-

tatore e che quindi pongono in secondo piano, trascurano, i nessi (cioè i significa-

ti) della visione complessiva.

Se è vero, come è vero, che l'ecologia è la scienza delle relazioni, dell'insieme, dei

Rendering di progetto. Nella pagina accanto, dettagli della palestra (non realizzata).

147

148

rapporti, degli scambi, non si dà architettura ecologica se non attraverso l'acco-

glienza e la cura delle piccole e grandi sinergie tra le parti - spesso anche sponta-

nee, naturali, immediate - che se tuttavia non vengono strenuamente cercate e

gestite, oggi ci si rivoltano contro.

Nuovo Polo Scolastico, Istituto Superiore Ferraris, Empoli

Committente: Provincia di Firenze

Progetto architettonico: Ugo Sasso

Statica: Massimo Vivoli

Impianti: Gianni Paolo Cianchi, A. Badii

Volume costruito: 5.550 m3

Costo: 4.050.000 €

Il cantiere durante diverse fasi di costruzione, dalle murature in laterizio

portante, al rivestimento isolante, fino alla copertura in legno, dicembre 2010.

Nella pagina accanto, dettagli realizzati a mano della palestra.

150

Ugo Sasso,

pittore

Le opere presentate sono state

realizzate prevalentemente tra l’inizio

degli anni ‘80 e la fine del 2008.

A parte i primi panorami dal molo di

Molfetta, risalenti agli anni ‘60,

dall’apparente astrattismo espresso

dalle forti e suggestive pennellate

sulle grandi tele, appaiono scorci,

paesaggi, movimenti organici e

pieni di vita.

La rilevanza sociale e culturale

dell’architettura risiede nella convinzione che

la conformazione dello spazio incida sulla

percezione del mondo. Oltre ad individuare

tecnologie, materiali e forme capaci di

accoglienza e socializzazione, dobbiamo

chiederci cosa si intenda per società.

152

Meandri urbani

1982

153

Meandri urbani

Dettaglio1982

154

Meandri urbani

Dettaglio1982

155

Meandri urbani

Dettaglio1982

156

Meandri urbani

Dettaglio1982

157

Meandri urbani

Dettaglio1982

158

Meandri urbani

Dettaglio1982

159

Tempesta

1983

160

Dopo la tempesta

1983

161

Paesaggi

1982

162

Paesaggi

1982

163

164

Mare

2008

165

166

Mare

2008

167

Dietro il molo di Molfetta

1965

168

Mare

2002

169

Arcobaleno

2002

170

Pandora

1998

171

Città dall'alto

1979

172

Porta Paradiso

1993

174

Ugo Sasso,

Biografia

Nato ad Asmara (Etiopia) il 13 gennaio 1947, Ugo Sasso nel 1971 si laurea in

Architettura a Venezia con relatore Carlo Scarpa. Iscritto all’Ordine degli

Architetti della provincia di Bolzano e alla Architektenkammer di Dortmund, pra-

ticava presso lo studio nel cuore storico della città di Bolzano, in Piazza delle

Erbe.

Dal 1986 inizia la collaborazione con alcuni dei nomi più importanti nel mondo

della progettazione ecologica (tra gli altri, Lucien Kroll, Per Krusche, Leon Krier,

Peter Huebner, Christian Schaller, Herbert Dreisetl).

Numerosi sono gli interventi ecologicamente caratterizzati. Per conto

dell'Istituto per l’Edilizia Abitativa Agevolata di Bolzano, nel 1994 progetta il

primo condominio pubblico ecologico in Italia, composto da 12 appartamenti e

alcuni negozi su 5 piani fuori terra con struttura in laterizio e solai in legno, che

vincerà il premio Aniacap nel 2002 per l’innovazione.

Nel 1995, su incarico del Comune di Bolzano, progetta il nuovo Centro

Ambientale al Colle (promontorio nei pressi di Bolzano) situato in un antico

maso ristrutturato per ospitare una struttura museale, per ricerca, mostre e con- 176

Ugo Gaetano Sasso

P. Carabellese, Verso Terlizzi, 1951.

ferenze, con annesso ostello ed impianto di fitodepurazione.

Nel 1998 inizia la progettazione della ristrutturazione del Centro Sociale ex Snia

Viscosa a Roma, per la realizzazione del primo centro di formazione e informa-

zione sulla Bioarchitettura. Per il Comune di Roma progetta nel 1999 il recupe-

ro abitativo di una ex scuola occupata in via Saredo e, nel 2002, la riqualifica-

zione cromatica di 5 edifici scolastici (presso il Municipio X).

Ad Asola (Mantova) progetta nel 1999 un complesso ecologico di 17 unità desti-

nate ad uffici e alloggi. Sempre nello stesso anno, per il Comune di Jesi

(Ancona) disegna il Centro Ambientale nell'Oasi di Ripabianca del WWF.

Per la Provincia di Firenze, nel 2003 inizia la progettazione per il completamen-

to del complesso per l’Istituto di Istruzione Superiore “Ferraris-Brunnelleschi” a

Empoli, mentre per il Comune di Scandicci (Firenze) progetta, a partire dal

2004, il nuovo Asilo nido, con Scuola materna e ludoteca.

Insieme all’amico Lucien Kroll, padre dell’architettura partecipata in Europa, ha

steso il progetto preliminare del Nuovo Teatro Comunale di Montesilvano

(Pescara), ha sviluppato nel 2002 il primo complesso scolastico in architettura

partecipata a Faenza, la Scuola Don Milani (25 aule, laboratori, mensa, labora-

tori e uffici) e un nuovo quartiere residenziale a Cesena (con la collaborazione

anche di Herbert Dreiseitl).

Ha collaborato alle valutazioni di impatto ambientale per la realizzazione della

nuova strada provinciale della Val Badia nel 1997.

Si ricordano inoltre gli arredi progettati per il Centro Ambientale a Bolzano e i

vari suggestivi allestimenti per mostre ed esposizioni, tra le quali “Megawatt e

resistenze” organizzata nel 2004 presso la Centrale idroelettrica dell’Enel a

Cardano (Bolzano) dal Curatorium per i Beni Tecnici Culturali.

Eco-normative

Quale esperto di Bioarchitettura, ha elaborato, per la Provincia di Firenze, l’ag-

giornamento ecologico del Prezziario Provinciale per le opere edili e pubblica-

to nell’aprile 2004. Ha inoltre steso per il Comune di Pesaro la definizione delle

Norme di Attuazione in Bioarchitettura per il Piano Regolatore Generale, men-

tre per il Comune di Rimini le Linee Guida Ecologiche per interventi edili.

Ha svolto consulenze per l'adeguamento ecologico della normativa alla177

Regione Marche. Su incarico della Regione Friuli Venezia Giulia ha definito le

procedure didattiche per l'ordinamento regionale del Corso di formazione per

esperti in Architettura Ecologica. Per la Regione Emilia Romagna entra a far

parte del Gruppo di lavoro incaricato della realizzazione delle Linee guida per

la Disciplina generale dell’intervento pubblico nel settore abitativo.

Cariche

Inserito nell'Elenco esperti del Ministero degli Esteri, settore architettura, è stato

tra i fondatori della Vereinigung für Baubiologie (1987) e successivamente, nel

1991, lo storico fondatore dell'Istituto Nazionale di Bioarchitettura, di cui è stato

Direttore Generale per sei anni e Presidente Nazionale.

È stato inoltre membro del Comitato Scientifico della Fiera Sana di Roma.

Ha fondato e guidato, come Direttore Scientifico, dal 1992 la rivista bimestrale

Bioarchitettura, la prima in Italia ad occuparsi di progettazione ecosostenibile e

biocompatibile e del vivere sano, informando sulle nuove ricerche, scoperte e

tecnologie applicate all’ecologia del costruire. 178

Porta dell’acqua. Composizione di

recupero, 1998.

179

Conferenze e seminari

Ha partecipato a numerose trasmissioni radiofoniche e televisive di emittenti

pubbliche e private.

Ha tenuto conferenze e relazioni in oltre 150 importanti convegni nazionali ed

internazionali, tra cui si ricordano la quarta edizione del 1995 a Dortmund, la

settima nel 1998 ad Aachen, la decima a Vienna nel 2001 e l’undicesima nel

2002 a Bruxelles dell’Europa Symposium, appuntamento annuale che raccoglie

i massimi esponenti di sostenibilità a livello mondiale e organizzati dai principa-

li Ministeri dell'Edilizia europei.

Nel 2000, su invio del Governo Italiano, a New York ha relazionato all'ltalian

Style 2000, mentre a Barcellona, nel 2004 è stato tra i relatori al VII Congresso

Internazionale “Una sola Terra”.

Della sua intensa attività professionale si è occupata la stampa specializzata ed

a larga diffusione nonché programmi radio e Tv. I suoi progetti sono stati espo-

sti a Firenze, presso Palazzo della Signoria, nel 1999 e S. Verdiana nel 2002,

e a Milano, al Palazzo della Permanente nel 2000.

Primo convegno di Bioarchitettura,

organizzato a Bari il 20 ottobre 1990.

180

Consulenze progettazioni ecologiche

Notevole anche l’attività di consulenza per la Bioarchitettura, ad esempio nel

1998 per l’impianto fotovoltaico Elio 1 del Centro Servizi di Cupello (Vasto), o

per la scuola media Don Milani di Faenza assieme a Lucien Kroll. Ancora per

la progettazione di un Asilo con Scuola materna a Trieste (2001) e per i Piani

particolareggiati di Pesaro e Faenza.

È stato Coordinatore responsabile dei Laboratori di Progettazione realizzati in

convenzione con le Amministrazioni di Reggio Emilia, Oria, Faenza, Cesena,

Ugnano Mantignano (FI), Rocca di Papa (RM) e Roma. Varie anche le consu-

lenze per programmi comunitari nel settore ambientale come per i Centri di

Formazione tedeschi (Zip) e austriaci (Ibis). Nel 2001 è stato chiamato in audi-

zione dalla Commissione Ambiente della Camera nella definizione della Legge

Quadro sull'Urbanistica.

Formazione

Ha tenuto numerose lezioni presso diverse Università italiane. A partire dal

1999 ha co-diretto il Laboratorio di Specializzazione post laurea in Bioarchitet-

tura presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università di Bologna. Nel 2000 è stato

Coordinatore Scientifico del Corso di Perfezionamento post laurea in

Bioarchitettura alla Facoltà di Scienze Ambientali dell'Università di Urbino.

In questi anni nasce l’idea di realizzare una vero e proprio percorso di studi uni-

versitari dedicato alla sostenibilità, con l’istituzione di una Facoltà di

Bioarchitettura. Dai primi rapporti con l’Università LUMSA di Roma, nascono i

primi cicli di conferenze, fino alla costituzione del Master universitario di II livel-

lo “CasaClima-Bioarchitettura”, di cui è direttore durante l’Anno Accademico

2008-2009.

Ha tenuto inoltre interventi e relazioni presso le Università di Venezia, Napoli,

Bologna, Urbino, Reggio Emilia, Ferrara, Firenze, alla Cornell University, New

York e alla Domus Academy di Milano. Ha progettato e coordinato l’attuazione

di numerose azioni con componenti formative nell’ambito di programmi

Comunitari (Youthstart, Adapt, Save) finalizzati al recupero ambientale ed al

risparmio energetico in edilizia. Dal 1998 al 2000 ha coordinato i Ministeri per

l'Edilizia di Olanda e Danimarca nonché gli Assessorati del Land Nordrhein-

Westfalen e della Regione Emilia Romagna nell'ambito del Progetto Europeo

Energylink.

Pubblicazioni

Sono circa 300 gli articoli scientifici apparsi su riviste tecniche ed ecologiche,

tra le quali Riabita, Costruire in Laterizio, Aam Terranuova, Ambiente Risorse

Salute, Presenza Tecnica Giardini, Studi Economici e Sociali, Recuperare,

Notiziario Industriale, il Nuovo Cantiere, Bioarchitettura, ecc.

Ha tenuto una rubrica fissa sui mensili Nuova Ecologia e Vita e Salute.

È coautore dei primi testi italiani sull'argomento: "Bioarchitettura: impegno per

una progettazione ecologica" (1992) e "Bioarchitettura: un'ipotesi di bioedilizia

(Ed. Maggioli, 1995). Sua la presentazione dei volumi: "L'Ambiente Risanato"

(Ed. Scientifiche Italiane, 1999), "Edilizia Ecologica" (Ed. GB, Padova 2001),

"Architettura Bioclimatica - Fondamenti di geometria solare" (Edimond, Città di

Castello 2003).

Importanti anche i suoi interventi su importanti volumi di settore, tra cui la trilo-181

Pescherecci fermi sulla spiaggia, Ugo Sasso, 4 gennaio 2009.

gia: "Costruire Sostenibile" (Ed. Alinea – Saie, 2000-01-02) "Edilizia

Residenziale Pubblica Ecocompatibile" (Luciano Editore, Napoli 2002);

"Esperienze innovative per la configurazione del Paesaggio rurale" (Luciano

Editore, Napoli 2003). Ha coordinato i testi "Progettare col Sole" e "Qualità,

Recupero, Nuove utenze" (Ed. Direct, 1998) con interventi dei maggiori esper-

ti europei.

La Clean Edizioni nel 2003 gli ha dedicato il volumetto "Quarantasette doman-

de a Ugo Sasso", all’interno della collana “Saper credere in architettura”.

Per Alinea pubblica nel 2004 "Isolanti si, Isolanti no" con la presentazione di

Enzo Tiezzi e "Bioarchitettura: forma e formazione" con la presentazione di

Fritjof Capra, quindi, nel 2006 "Dettagli di Bioclimatica".

Per la Mancosu Editore ha curato nel 2007 il "Nuovo Manuale Europeo di

Bioarchitettura", primo manuale del suo genere in Italia.

Infine si ricorda l’ultimo suo testo, eredità di concetti e ricco di spunti per un futu-

ro di sostenibilità, raccolto nel libro “Spazio, Tempo, Bioarchitettura”, uscito per

Alinea Editrice nell’aprile 2009. 182

In ricordo di Ugo, Isola di Margarita, Venezuela.