LE RADICI DEL CUORE

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Love romance

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Dedica

PRENDIAMO LA TARTARUGA

Prendiamo la tartaruga. Magari siete un po’ preoccupati, il mondo vi ha resi infelici, state pensando di togliervi la vita e tutto sembra

andare in rovina; eppure la natura è progredita con grande serenità e continuità al passo

della tartaruga. La giovane tartaruga passa l’infanzia nel suo guscio. Fa esperienza e, attraverso quel muro,

impara a conoscere il mondo. Mentre lei riposa indolente sull’orlo della tana, piani avventati, e fallimentari,

vengono architettati dagli uomini. Gli imperi francesi cadono e risorgono, ma la tartaruga è cambiata di poco.

Che cos’è un’estate? Il tempo che ci mette un uovo a schiudersi. E così si è evoluta la tartaruga,

concepita per durare, infatti supera venti dinastie francesi. Un solo esemplare conosce molti Napoleoni.

Non hanno preoccupazioni, né affanni, eppure questo mondo non è stato fatto per loro

tanto quanto è stato fatto per voi? Henry David Thoreau Diari, 28 agosto 1856

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Prologo

Tartaruga marina, dal latino Caretta caretta, animale tropicale con un duro carapace e una grossa testa.

Era il tramonto. Il sole rosso fuoco si abbassava pigro sopra la costa del Sud Carolina. Lovie Rutledge, dall'alto di una piccola duna, osservava due bambini con i capelli del colore della sabbia che strillavano, giocando al gioco eterno delle onde sulla spiaggia. Un mezzo sorriso le sollevò gli angoli delle labbra. Il bambino sfidava a muso duro il mare con un bastoncino di legno che sventolava come una spada. Poi si voltava di scatto e scappava inseguito dall'acqua. Poteva avere al massimo quattro anni. La bambina invece... Sette anni, otto forse... Lei ci sapeva fa-re. Avanzava danzando sulla punta dei piedi verso le onde e si ritraeva al momento giusto, ridendo e prendendosi gioco del mare con la sua risata argentina. Sembra Cara, disse fra sé Lovie pensando a sua figlia quan-do aveva la stessa età. Quando il bambino riemerse da un'on-da più alta delle altre sputacchiando, il sorriso di Lovie si fece più largo. Identico a Palmer, suo figlio. Un po' più in là, la giovane madre dei bambini si era chinata a raccogliere palette e secchielli. Poi, dopo averli infilati in una borsa di tela, aveva scosso la sabbia dagli asciugamani. Non vedeva l'ora di andarsene. Fermati e guarda i tuoi figli, avrebbe voluto gridarle Lovie.

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Guarda come ridono. Solo i bambini ridono così. Non perderti questi momenti. Svaniranno in fretta, come il sole al tramonto. E prima ancora di accorgertene, sarai diventata come me. Una vecchia sola e disposta a tutto pur di rivivere un istante come questo insieme ai suoi figli. Si strinse tra le braccia e sospirò. Lovie, fatti forza e vai a-vanti, pensò scuotendo la testa. Dire queste cose alla giovane mamma sarebbe stato inutile e crudele, probabilmente non avrebbe neppure capito, almeno fino a quando i suoi figli, ormai cresciuti, non se ne fossero andati. Un giorno avrebbe ricordato quel tramonto sulla spiag-gia e i suoi bambini che sfidavano le onde. E allora avrebbe rimpianto di non avere giocato con loro. Lovie continuò a osservare la scena. Tutto si svolse come previsto. Gli asciugamani ripiegati e messi nella borsa, un ri-chiamo ai bambini e un attimo dopo il minuscolo esercito era sparito oltre le dune, nel buio. Adesso il silenzio regnava di nuovo su quella striscia di sab-bia che le era così familiare. Un altro giorno era passato. Alle sue spalle l'erba alta ondeggiava nella brezza della sera. Chiuse gli occhi cercando di entrare in armonia con la natura; non sa-rebbero state ancora molte le serate così tranquille. Era già la metà di maggio e presto la stagione turistica avrebbe animato la costa. Ma anche le sue adorate tartarughe marine sarebbero tornate. Mentre il cielo si faceva scuro, si fermò a guardare il mare per un lungo istante. Sapeva che da qualche parte, lontano, una tartaruga aspettava che un oscuro istinto la spingesse ver-so la riva. Da tanto tempo, ormai, ogni estate faceva il possibile per a-iutare le tartarughe marine durante la deposizione delle uova. Quest'anno, tra le madri, avrebbero potuto anche esserci i cuc-cioli che vent'anni prima aveva aiutato a raggiungere l'acqua. Sorrise al pensiero. Lovie si avvicinò alla battigia, fermandosi proprio là dove l'acqua lambiva i suoi piedi. Quand'era giovane – tanto, tanto tempo prima – anche lei aveva duellato con le onde. Proprio come i suoi figli e i suoi nipoti. Ma adesso lei e il mare erano

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diventati vecchi amici e quella sera non era lì per giocare. Era tornata in cerca di conforto. Voleva che ogni onda diventasse una carezza, ogni frangente un sospiro. Proprio qui, proprio qui... Gli anni erano trascorsi troppo in fretta, scivolando come sabbia tra le dita. Alzò la testa e si asciugò le guance. Ormai aveva un'età per sapere che la vita, come il mare, non sempre gioca pulito: si era illusa che se avesse seguito le rego-le, se avesse perseverato, un giorno avrebbe avuto tempo per... Per fare cosa?, si chiese incerta. Ancora non capiva dove aves-se sbagliato con i figli. Specialmente con sua figlia. Quando e-rano piccoli, Cara e Palmer avevano giocato insieme, sotto il suo sguardo vigile, proprio su quella spiaggia. Ma erano diven-tati grandi e ora, col passare degli anni, ne avvertiva sempre più acutamente la mancanza. Si incamminò lungo la spiaggia, lasciando lievi impronte sul-la rena. In lontananza riusciva a scorgere la sua casa appollaiata su una duna come una piccola isola, ombreggiata da un filare di oleandri. Il sole aveva scolorito il giallo intenso delle pareti dandogli una sfumatura più tenue, simile a quella delle primule selvatiche che crescevano sulle dune. Ogni angolo di quel luo-go le era caro. Primrose Cottage era più che una semplice casa sulla spiaggia: era una pietra miliare, un'oasi di felicità per lei e i suoi figli. La luce del giorno si stava spegnendo, facendo posto al buio e al silenzio della notte, rotto solo dallo sciabordio della risacca e dal frangersi delle onde sugli scogli. Quando i fantasmi del passato cominciarono ad aleggiare nei sinistri colori del crepu-scolo, Lovie sospirò giungendo le mani in preghiera. Si avvici-nava alla settantina, non c'era più tempo per i rimpianti, né per i sogni, e tanto meno per ciò che sarebbe potuto essere. Aveva dei progetti da realizzare. Doveva lasciare la casa sulla spiaggia, e tutto ciò che nascondeva, a qualcuno di fidato. Negli anni era stato sacrificato anche troppo, per lasciare che ora quei se-greti trapelassero. Signore, pregò, mi conosci bene, non vengo a lamentarmi. La Bibbia dice che Tu non chiudi mai una porta senza aprire una finestra; così io Ti prego di aprirla. Sai come stanno le co-se tra me e Cara. Ci vorrebbe un miracolo per riavvicinarci,

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ma un miracolo posso chiederlo solo al Signore, così non per-do la speranza. Ti prego, Signore, è tutto ciò che ti chiedo. Non voglio vivere più a lungo, ma me ne andrei più serena-mente sapendo che tutto si è sistemato prima della mia morte. Sorrise tristemente. Si avvicina il mio momento, lo so. Il sorriso si trasformò in una smorfia di dolore. Ti prego, Signore, esaudi-sci questa mia umile preghiera. Non penso a me, ma a Cara. Fammi giocare ancora con la mia bambina prima di morire. Falla tornare a casa!

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Dopo avere vissuto in mare per vent'anni o più, la femmina della tartaruga marina

fa ritorno alla spiaggia dove è nata per nidificare. Attraversa l'Atlantico

per centinaia di miglia, portando nel pesante carapace amaranto

centinaia di uova fertili. Nel corso degli anni, Cara aveva immaginato molte volte di intraprendere quel lungo viaggio verso casa, ma era sempre riuscita a trovare qualche scusa per non farlo. Erano più di vent'anni che non percorreva in macchina la lunga autostrada del Sud Carolina che arrivava fino al mare. Crescendo, aveva cominciato a considerare quei luoghi come una terra di nessuno da attraversare andando in qualche altra parte del mondo. Qualsiasi altra parte. Era la fine di maggio, la primavera stava già lasciando il po-sto alla torrida estate del Sud. Si ricordò che in questo periodo dell'anno le tartarughe marine tornavano in quei luoghi per deporre le uova. Scoppiò a ridere pensando all'ironica coincidenza. Se un anno prima qualcuno le avesse detto che il maggio successivo sarebbe andata a trovare sua madre, gli avrebbe ri-so in faccia. «Ne dubito» avrebbe risposto mentre il sorriso la-sciava il posto all'amarezza. Tanto per cominciare, il lavoro le lasciava a malapena il tempo per respirare. Al massimo, e solo

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in caso di emergenza, avrebbe potuto prendere l'aereo e fer-marsi per una notte, come aveva fatto in occasione del fune-rale del padre. In più, Charleston era l'ultimo luogo sulla terra dove avrebbe voluto andare, e certo la presenza di sua madre non aiutava. Da quando lei era partita per una sorta di esilio volontario, quella pace armata aveva fatto comodo a entram-be. Eppure, come sempre, la tempestività di sua madre era sta-ta impeccabile. Dove può andare chi non ha un posto dove vivere, se non a casa sua? Cara strinse le mani sul volante. Com'era potuto accadere? Dopo ventidue anni di vita indi-pendente, come aveva potuto ritrovarsi su quella maledetta striscia d'asfalto che l'avrebbe riportata lì? Era stata la lettera di sua madre a convincerla: il giorno prima, Lovie le aveva mandato il consueto mazzo di fiori per il suo compleanno. Quando Cara aveva aperto con cura la carta color porpora del fiorista, il profumo inebriante delle gardenie aveva invaso il suo appartamento, portandola con la mente al giardino di Charleston, da sua madre, dove una ma-gnolia centenaria allungava verso il cielo le sue larghe e lucide foglie e il profumo intenso dei bianchi fiori delle gardenie riva-leggiava con quello del gelsomino rampicante. Aveva aperto la lettera, riconoscendo l'elegante scrittura. Buon compleanno, Caretta! Non c'è una volta in cui senten-do il profumo delle gardenie io non pensi a te. Le cose sono molto cambiate dalla morte di tuo padre. È giunto il momento per me, come si suol dire, di sistemare le cose. Torna qui, Cara, solo per un po'. Non a Charleston, ma alla casa sulla spiaggia. Lì sì che ci divertivamo, ricordi? Non dirmi che hai troppo da fare e che non puoi venire. Ti ri-cordi cosa dicevamo? «Goditi il tuo compleanno». Non potre-sti, per una volta, regalarti una piccola vacanza e passare qualche giorno con la tua vecchia madre? Ti prego, torna a casa, tesoro. Tuo padre se n'è andato e abbiamo bisogno di lasciarci alle spalle tutti questi anni di rancore. Con amore, Mamma

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Forse era stato il profumo delle gardenie a farla sentire sola, oppure era stato sufficiente che qualcuno le avesse ricordato il suo compleanno. O forse era la delusione di avere appena perso il lavoro. Fatto sta che per la prima volta da quando a diciotto anni aveva lasciato la madre, sentì un'improvvisa, di-sperata nostalgia di lei. Voleva tornare a casa, nel Sud. Là dove un tempo era stata felice. Uscita dall'autostrada, Cara percorse l'ultimo tratto di stra-da che univa la terraferma alla piccola Isola delle Palme. La vi-sta che le si apriva davanti toglieva il respiro: un'infinita di-stesa di cielo azzurro e paludi verdeggianti si stendeva a per-dita d'occhio. Non appena si trovò in quegli spazi aperti, sen-tì la mente liberarsi di un peso: ormai la fretta e i rumori del traffico appartenevano a un mondo lontano mille miglia. Si avvicinava alla sommità del ponte, dove voltandosi scor-se l'Oceano Atlantico. Sotto quella superficie calma, si na-scondeva una forza pulsante, viva. Un brivido l'avvertì che nelle sue vene scorreva ancora quell'acqua salata. Era di nuovo all'Isola delle Palme: perfino il nome suonava dolce nel pronunciarlo. Evocava immagini serene di pomeriggi soleggiati, trascorsi all'ombra delle palme ascoltando placi-damente la risacca. Aveva passato ogni estate della sua giovi-nezza qui, con sua madre e suo fratello Palmer, e i suoi ricor-di più belli appartenevano a quella stagione infinita in cui il ritmo della vita era dettato soltanto dalla luce del sole. Sapeva che nel 1989 l'uragano Hugo aveva messo sottoso-pra l'isola con la sua furia, ma non avrebbe mai immaginato di trovarsi di fronte un paesaggio tanto diverso. Quella era stata un'isoletta sonnolenta con una drogheria, uno spaccio di liquori, un negozietto di ferramenta raggruppati con alcuni piccoli ristoranti tipici. Un paesaggio da cartolina. Ocean Boulevard non era altro che una striscia di spiaggia punteggia-ta qua e là dai cottage, che sorgevano su dune di sabbia a un passo dal mare. Era sconvolgente vedere quella fila di case formare un muro dalle tinte pastello, che nascondeva la vista dell'oceano e in-combeva sui piccoli cottage superstiti. Un muro che per lei

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divideva il mondo in prima e dopo quel maledetto uragano. Nonostante tutto ci sono cose che non possono essere cambiate, pensò scorgendo dei pellicani in volo. Aprì il fine-strino e lasciò che l'aria balsamica dell'isola le riempisse i polmoni. Ogni brezza voltava le pagine di un immaginario li-bro di ricordi, dove lei pedalava felice per quella stessa strada. Guidò per altri due isolati verso sud e poi lo vide. Primrose Cottage. La casa sulla spiaggia, risalente agli anni Trenta, di un giallo pallido come le delicate primule che la cir-condavano, era visibile, come sempre, un po' discosta dalla strada, appollaiata su una piccola duna. In contrasto con gli edifici più moderni, l'abitazione sembrava il ricordo offuscato di un passato lontano: spiccava nella luce del crepuscolo cir-condata dall'erba alta, dai fiori di un rosa carico e dalle primu-le che l'avevano battezzata. Benché un po' danneggiata dalla salsedine e dal vento, la vecchia casa con la tettoia sporgente e le larghe, accoglienti verande faceva ormai parte del paesag-gio quanto le palme nane. Erano vent'anni che non vedeva quella casa: ne era partita diciottenne, vi tornava da donna matura. Si rese conto che mentre a Chicago una vita frenetica l'allontanava sempre di più dall'isola, quella piccola dimora era sempre stata lì ad aspettarla. Ingranò la marcia e imboccò il vialetto di ghiaia, facendo attenzione a dove le ruote sfioravano la sabbia. Le sfuggì una risata quando vide la vecchia Volkswagen color oro della ma-dre parcheggiata sotto il portico. Non poteva crederci: guida-va ancora il Maggiolone d'Oro. Quel catorcio era diventato un simbolo: chiunque lo vedesse parcheggiato sulla rampa d'accesso sapeva che Olivia Rutledge era in casa e pronta a ricevere visite. Fermandosi, Cara si sentì sopraffare dalla stanchezza del viaggio. Anche lei ora era diventata un'ospite a Primrose Cot-tage. Oppure il sangue che le scorreva nelle vene le dava an-cora il diritto di chiamarla casa? Contavano qualcosa le ore dedicate a strappare le erbacce dalle aiuole fiorite? La solleci-tudine nel chiudere le imposte al sopraggiungere di una tem-pesta? Tutto quel tempo passato a dondolarsi sul portico? Probabilmente no. Ricordava bene una lite in cui, con tutta

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l'incoscienza della giovinezza, aveva gridato a sua madre e suo padre che non voleva avere più nulla a che fare con loro. Eppure qualcosa la spinse fuori dalla macchina, un piede ancora dentro, l'altro già sulla sabbia, fece un primo passo verso la brezza che proveniva dal mare aperto, percorsa dal profumo inebriante del caprifoglio. Una corrente emotiva che, come la risacca, la trascinava verso un mondo ormai lontano. I ricordi le affollavano la mente: doveva varcare la soglia della casa di sua madre, rompere il ghiaccio e parlare con lei. Sa-rebbe rimasta una settimana, si disse cercando di farsi corag-gio, al massimo dieci giorni. Non uno di più. Altrimenti sa-rebbero tornate ad accapigliarsi, prendendosi a male parole e rintanandosi in quei silenzi lunghi e rancorosi. Mio Dio, li ri-cordava bene. Forse era stato un errore tornare a casa? Il cielo si stava oscurando, sfumando nel blu e nel viola; gli uccelli lanciavano i loro richiami facendo ritorno al nido. Poi udì canticchiare una donna. Voltò l'angolo e percorse il sen-tiero sabbioso che conduceva alla spiaggia, dove vide avanza-re una figura minuta con un cappello di paglia a tesa larga e una lunga camicia in denim scolorito. Le note della canzone la raggiungevano portate dalla brezza. La donna aveva un secchio di plastica rossa a un braccio, il segno distintivo delle Signore delle Tartarughe. Il cuore le batteva all'impazzata, ma rimase in silenzio a osservarla. Da quella distanza avrebbe potuto essere scambia-ta per una ragazzina: sembrava spensierata e scevra da ogni preoccupazione, fatta eccezione per il campo di fiori selvatici che stava attraversando. Si fermò per raccoglierne uno, poi, continuando a cantare, proseguì lungo il sentiero che portava a Primrose Cottage. Avrebbe voluto dire un milione di cose, ma riuscì solo a gridare: «Mamma!». La donna si voltò verso di lei. I chiari occhi azzurri, che si intravedevano sotto la tesa del cappello, scintillarono di pia-cere mentre la bocca si apriva in un sorriso festoso. Appog-giato a terra il secchio, spalancò le braccia per accoglierla con un abbraccio. «Caretta!»

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Cara si irrigidì al suono di quel nomignolo che detestava. Fin da quando era piccola, sua madre si ostinava a chiamarla con il nome latino della tartaruga marina. Ciononostante cor-se subito incontro alla donna, seguendo l'antico richiamo materno e rifugiandosi fra le sue braccia. Più alta di una buo-na spanna, la figlia piegò come sempre le ginocchia per rag-giungere Oliva Rutledge, ma quando le braccia della madre la strinsero forte, si sentì invadere da una gioia infantile. «Mi sei mancata» le sussurrò con dolcezza la madre contro la guancia. «Finalmente sei tornata a casa.» Tutti quegli anni di silenzio le fecero morire in gola le paro-le. Si sciolse dall'abbraccio, restando allibita per quanto era cambiata sua madre. Olivia Rutledge era diventata una vec-chia signora. La pelle vicino agli zigomi era pallida e rugosa, la brillantezza degli occhi azzurri si stava spegnendo e, anche se era sempre stata minuta, adesso era di una magrezza spa-ventosa. Come era potuto accadere così in fretta, si domandò Cara. Solo diciotto mesi prima, al funerale del marito, conservava ancora una bellezza e una grazia senza tempo. A sessantano-ve anni non poteva certamente dirsi giovane, ma si rifiutava di pensare a lei come a una vecchietta. Era una di quelle don-ne fortunate, dotate di un corpo snello e giovanile, e un viso fresco e bello, proprio come i fiori selvatici che adorava. Suo padre raccontava spesso che aveva sposato Lovie perché era dolce come appariva. Ed era vero. Tutti amavano Olivia Rutledge, Lovie per gli amici, ma sua figlia conosceva bene il prezzo che aveva dovuto pagare per avere sempre quel sorriso. «Come stai?» chiese Cara, scrutandola. «È tutto a posto?» «Sì, sto bene, davvero» rispose Lovie fugando le preoccu-pazioni della figlia con un gesto della mano. «Anche Roma è decaduta, cosa vuoi farci. Ma guardati! Hai un aspetto magni-fico.» Cara si guardò la camicetta stropicciata e quei jeans ade-renti. Si era alzata prima dell'alba, sciacquandosi la faccia con l'acqua fredda e vestendosi in fretta e furia, senza un filo di trucco e con i lunghi capelli neri sciolti.

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«Macché, i miei vestiti sono un disastro e puzzo di fast food.» «A me sembri magnifica, è questo che importa. E sei qui! Quasi svenivo quando hai chiamato per dirmi che stavi arri-vando. Grazie a Dio.» «Mamma, Dio non c'entra. Mi hai scritto una lettera chie-dendomi di venire, ed eccomi qua.» «Questo è quello che pensi tu. Ma non ho voglia di litiga-re.» La prese a braccetto. «Ho pregato che tu tornassi e le mie preghiere sono state esaudite.» Si incamminarono verso casa. Lovie girò appena la testa e scrutando la figlia chiese: «Perché mi guardi così?». «Così come?» «Come se tu fossi sorpresa.» «Non lo so. Sembri diversa. Così... felice.» «Certo che sono felice. Perché non dovrei?» Cara sbottò. «Mi è sembrato di capire dal tono della tua let-tera che ti sentissi piuttosto sola, forse un po' depressa. Papà è morto da così poco tempo.» L'espressione di Lovie cambiò e, come sempre, Cara non riuscì a indovinare i pensieri dietro a quel sorriso. «Non volevo sembrarti triste, forse un po' nostalgica.» «Ti manca molto?» Olivia le mise una mano sulla guancia. «Mi manchi tu, specialmente qui. Siamo stati sempre bene su quest'isola, non è vero?» Cara annuì, commossa dall'emozione che aveva colto nella sua voce. «Sì, è vero. Tu e io. E Palmer.» Evitò di fare il nome del padre, che di rado veniva alla casa sulla spiaggia d'estate. «Già» disse Lovie ridacchiando. «C'era anche Palmer.» «E dove si trova adesso quel pazzo selvatico di mio fratel-lo?» «Non è più né pazzo né selvatico, purtroppo.» Cara alzò un sopracciglio. «Questa me la devo segnare. Mi sembra che tu e papà cercaste in tutti i modi di frenarlo quando si scatenava.» Sua madre rise di nuovo. «Per quanto tempo hai intenzione di fermarti?»

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«Una settimana.» «Soltanto? Tesoro, sei sempre così indaffarata. Fermati un po' di più, ti prego.» Lei considerò l'idea. Sua madre sembrava così desiderosa che restasse; inoltre non aveva impegni da rispettare. Sarebbe stato piacevole rilassarsi per un po'. «Vedrò se riesco a restare qualche giorno in più. Va bene?» «Va più che bene. È splendido!» Proseguirono insieme sul sentiero di sabbia che portava al cottage. «Sarai esausta dopo un viaggio così lungo. Hai fame? Non posso offrirti un pranzo di gala, ma cercherò di arrangiarmi.» «Non preoccuparti, non ho fatto altro che mangiucchiare per quattordici ore.» «A che ora sei partita da Chicago?» «Prima delle cinque» rispose la figlia con fare distratto, sof-focando uno sbadiglio. «Perché ti metti così duramente alla prova, tesoro? Avresti potuto prendertela comoda: impiegarci due o tre giorni, ma-gari fermarti in qualche posto lungo la strada. Le montagne sono così belle in questo periodo dell'anno.» «Mi conosci: lo sai che, una volta in viaggio, mi piace arri-vare il prima possibile.» «È vero» replicò la madre con un lampo di malizia nello sguardo. «È più forte di te.» Mentre saliva i gradini del portico, Cara osservò la casa: i segni lasciati dal tempo erano evidenti. Ma era peggio di quanto si fosse aspettata. Il legno si era gonfiato e le erbacce avevano invaso il portico. Mancavano le imposte e in alcuni punti la vernice scrostata lasciava intravedere il legno. «Que-sta casa avrebbe bisogno di una sistemata.» «È un lavoro troppo pesante per te. Perché non ti fai aiutare da Palmer nei lavori di manutenzione?» «Palmer? Ci prova, ma la casa di Charleston lo tiene troppo occupato. E poi ha il suo lavoro e la sua famiglia.» Strinse le labbra e aggrottò le sopracciglia, mostrando il suo disappun-to. «Palmer ha i suoi problemi e io me la cavo benissimo an-che da sola. Guarda le mie primule!» esclamò indicandole. «Non sono bellissime, quest'anno? Senti che profumo?»

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Cara non riuscì a capire se sua madre avesse abilmente cambiato argomento o se fosse davvero diventata distratta. «Sono sfinita. Mi piacerebbe bere qualcosa di freddo, disse-tante e alcolico.» «Che ne diresti di un gin tonic?» Non poteva chiedere di meglio. Cara fu sorpresa nel vedere che al posto del grosso diamante di Tiffany che sua madre aveva portato per quarantadue anni, all'anulare ora non c'era altro che un piccolo cerchio pallido. «Mamma, dov'è la tua fede?» La madre abbassò lo sguardo sulla mano, poi cominciò a togliersi la sabbia dalla gonna. «Quel pataccone? L'ho tolta dopo la morte di tuo padre. La portavo solo per fare piacere a lui. Non mi è mai piaciuta. Il diamante si impigliava dapper-tutto e sulla spiaggia era una vera seccatura. Penso che la la-scerò a Cooper per darla alla donna che un giorno sarà sua moglie.» Cooper era il figlio minore di Palmer, quello che avrebbe portato avanti il nome dei Rutledge e che avrebbe dovuto te-nere alto l'onore della famiglia. «Cosa ci facevi sulla spiaggia così tardi?» «Abbiamo già due nidi di tartaruga!» Negli occhi di Cara si leggevano divertimento e rassegnazione. «Stavo solo control-lando che tutto fosse a posto. Mi conosci. Sono sempre un po' agitata quando comincia la stagione. Non posso spostare quei nidi, ma forse avrei dovuto. Sono un po' troppo bassi. Il Dipartimento delle Risorse Ambientali è diventato molto seve-ro in proposito e non vuole spostamenti, a meno che non ci sia un'emergenza. Ma se la marea si alza, i nidi potrebbero andare distrutti.» «Mamma, hai scelto di non farlo, va bene così.» Nel suo lavoro prendeva un centinaio di decisioni al giorno e non riu-sciva a capire come tante persone fossero così insicure e titu-banti. Ma non era solo l'indecisione che le dava fastidio. Era-no le tartarughe, come sempre. Da maggio fino a ottobre e, per quanto le era possibile ricordare, ogni anno la vita di sua madre si era sempre concentrata su di loro, a scapito natu-ralmente suo e di Palmer.

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«Lo so, hai ragione. Inutile pensarci. Ti preparo il gin to-nic.» All'interno, il cottage era molto accogliente. I pavimenti in legno di pino riscaldavano le piccole stanze che Lovie teneva immacolate. Aveva sempre saputo coniugare bellezza e co-modità. Lo dimostravano i tappeti orientali e le pareti color avorio con foto di famiglia e vedute dell'isola, opera di artisti locali, molti dei quali erano vecchi amici. I divani imbottiti e qualche sedia disposta con gusto rendevano più intimo il sa-lotto di fronte alla grande finestra, dalla quale si godeva la vi-sta incantevole dell'oceano. Gli oggetti di famiglia più belli e antichi erano conservati nella casa di Charleston. Nel cottage sulla spiaggia c'era un arredamento più alla buona. Quando era bambina, i suoi ami-chetti preferivano sempre andare da lei perché sua madre non era troppo severa, e nel frigo c'era sempre del tè ghiacciato o qualche dolce nella dispensa. Seguì la madre attraverso il soggiorno fino a un piccolo lo-cale che conduceva nella sua vecchia camera da letto e in quella che era stata di Palmer. «La tua camera è pronta» disse Lovie aprendo la porta. Un soffio di vento, portato dall'oceano, le sfiorò. «Vuoi che chiuda tutte le finestre?» «No, grazie. Preferisco tenerle aperte.» «Ci sono degli asciugamani puliti in bagno.» «Va bene.» «In più ti ho messo del sapone, lo shampoo e uno spazzo-lino.» «Ho i miei, mamma.» «Ho capito. Ti lascio, così puoi darti una rinfrescata.» Cara emise un sospiro di sollievo, mentre cominciava a di-sfare la valigia. Il duetto con sua madre le aveva fatto venire il mal di testa. La stanza era rimasta uguale a vent'anni prima. Il vecchio lettone di ferro con la trapunta rosa. Le tende di per-calle a righe bianche e rosa oscillavano sopra il mobiletto che usava per truccarsi. Era proprio la stanza di una ragazzina. I poster delle sue rockstar preferite erano stati sostituiti da qua-dri di palmizi dell'isola, ma tutti i suoi vecchi libri erano anco-

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ra al loro posto. Fece scorrere le dita sul dorso dei volumi che le avevano fatto compagnia durante le estati di tanti anni prima: Lo Hobbit, Cime tempestose, Lo Zen e l'arte della ma-nutenzione della motocicletta. Si guardò riflessa allo specchio e si sorprese di non rivedere l'adolescente magra, dai capelli stopposi e dagli occhi pieni di lacrime che la fissava un tempo da quello stesso specchio. Una povera, patetica ragazzina. Secondo gli standard del Sud, Cara non era certo una bel-lezza. Almeno non come la madre. Tutte le parti del suo cor-po erano fuori misura: era troppo alta, troppo magra e non aveva seno, in più i suoi piedi erano enormi. Le labbra erano troppo carnose per quel viso minuto e i suoi colori erano tutti sbagliati. Non perdonava il destino per averle passato le carat-teristiche del padre, che era alto, coi capelli neri e gli occhi scuri, e per aver donato invece a Palmer i lineamenti cesellati della madre, i capelli biondi e gli occhi azzurri. Il Sud Carolina degli anni Sessanta e Settanta non era il po-sto migliore dove crescere per una ragazzina così poco attraen-te. Ma la goffaggine della prima adolescenza crescendo si era trasformata in una bellezza particolare e l'intelligenza e l'ag-gressività l'avevano aiutata a diventare una donna di successo. Quella sera, comunque, nessuna di quelle descrizioni le si adattava. Non era più una bambina, né una ragazza. Scorgeva le prime rughe, una spruzzata di bianco nei capelli. Stava in-vecchiando, pensò con rimpianto. Non sarebbe più stata af-fascinante. E forse nemmeno di successo. Ormai aveva più cose in comune con quella vecchia casa che con la ragazzina che era stata. Mi sdraierò per un po', si disse, spogliandosi e scivolando sotto le coperte. Giusto un istante, per riprendere fiato. Le palpebre si fecero pesanti, mentre pensava a quanto era lon-tana la vita frenetica di Chicago. Fuori, come una ninna nan-na, sentiva il rumore della risacca. Ripensò a tutti gli eventi che l'avevano indotta a partire immediatamente. Tutto era cominciato quel martedì mattina quando, nel suo ufficio, era squillato il telefono ed era stata convocata senza preavviso da David Alexander, il responsabi-le dei rapporti col personale. Tutti sapevano che una telefona-

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ta di Alexander equivaleva a un appuntamento al buio con un serial killer. Perché non mi fanno subito fuori, si chiedeva in ascensore, così non ci pensano più! Non faceva che lavorare e lavorare. Aveva sempre messo la carriera davanti a tutto. È vero, aveva perso uno dei suoi clienti più importanti. Ma erano incidenti che potevano succedere nel mondo della pubblicità. Aveva un curriculum di tutto rispetto, e comunque aveva già trovato un altro cliente. Eppure qualcosa le diceva che non sarebbe affatto bastato. Lungo il percorso verso l'ufficio di Dave, si sentiva opprimere dal silenzio sospetto dei cubicoli grigi dove lavoravano i suoi colleghi. Deglutì a fatica e camminò con le gambe rigide attraverso quel labirinto di corridoi e stanze. Le voci, dopotutto, erano fondate. Stavano saltando molte teste. Quando arrivò nell'ufficio di Dave Alexander era già tutta sudata. Si accomodò goffamente su una sedia, rifiutando l'of-ferta di prendere un caffè. Alla fine tutto si svolse come previ-sto: lui la informò, con voce monocorde, che per la società era inammissibile perdere un contratto così importante e che lei avrebbe dovuto pagarne le conseguenze. Le offrivano una generosa liquidazione, ma a quel punto lei non stava più a-scoltando. Aveva accavallato le gambe e guardava come im-bambolata fuori dalla finestra, stringendosi le mani in grem-bo. Quando l'umiliante colloquio finalmente terminò, si alzò e disse che avrebbe sgomberato al più presto l'ufficio dai suoi effetti personali. Tornò a casa, al suo monolocale affacciato sul lago. Quel posto rappresentava vent'anni di sudati ri-sparmi; lo aveva acquistato perché era vicino all'acqua, il solo indizio della nostalgia che provava per la casa sulla spiaggia. Ma non era il rifugio migliore per chi cercasse un po' di con-solazione. Era una casa senza ricordi, senza i bei momenti condivisi in famiglia. Arredato in stile minimalista, con i colori freddi dell'azzurro ghiaccio e del grigio, riflessi dalla tappez-zeria sulle pareti, quell'appartamento era solo un luogo dove andare a dormire. Ma era anche tutto quello che aveva al mondo. Svegliarsi a quarant'anni per scoprire di non avere amici, di non avere interessi, né di aver fatto investimenti che non a-

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vessero a che fare col lavoro era raggelante. Si era identificata esclusivamente con la professione e ora, all'improvviso, il mondo intero le era crollato addosso. Rab-brividì, sentendo l'amarezza crescerle dentro. Una sensazione tanto simile alla paura. Si accoccolò tra le lenzuola. Era di nuovo nel letto dove aveva dormito da bambina. Era tornata al punto di partenza.