Le professioni musicali - Biennio - Il... · Le professioni musicali a.a. 2017-2018 3 Su quali...

64
Le professioni musicali a.a. 2017-2018 1 Il compositore Premessa Alle tende venuti ed alle navi De’ Mirmidoni, ritrovar l’eroe Che ricreava colla cetra il core, Cetra arguta e gentil che la traversa Avea d’argento, e spoglia era del sacco Della città d’Eezion distrutta. Su questa degli eroi le gloriose Geste cantando raddolcia le cure… Alcinoo Rege, che ai mortali tutti Di grandezza e di gloria innanzi vai, Bello è l’udir – gli replicava Ulisse – Cantor come Demodoco, di cui Pari a quella d’un Dio suona la voce: Né spettacol più grato havvi, che quando Tutta una gente si dissolve in gioia, Quando alla mensa, che il cantor rallegra, Molti siedono in ordine e le Lanci Colme di cibo son, di vino l’urne, Donde coppier nell’auree tazze il versi, E ai convitati assisi il porga in giro. Sono due passi tratti, rispettivamente, dall’Iliade 1 e dall’Odissea 2 . Omero ritrae, nel primo, l’irato Achille intento a calmare i propri ardori suonando la cetra, nel secondo il pellegrino Ulisse che loda l’ospitalità di Alcinoo sottolineando il piacere della buona tavola unita alla raffinatezza del canto di Demodoco. Due situazioni differenti, dunque, fra loro legate dal riferimento alla musica. La musica ha rivestito un ruolo estremamente importante nella civiltà greca, sul piano culturale, filosofico e morale. Ma chi erano, allora, i compositori? Possiamo dire che, in generale, erano i poeti stessi. La poesia e la musica erano indissolubilmente legati. Omero è sempre raffigurato con la cetra. E l’Iliade inizia significativamente con i seguenti versi Cantami o Diva del Pelide Achille L’ira funesta che infiniti addusse lutti Agli Achei… “Cantami”, non “narrami”. Il “compositore” nacque evidentemente quando nacque la musica, ma noi non ne abbiamo traccia per molto tempo. Anche quando si comincia a parlare di musica cristiana, i primi “autori” sono uomini di Chiesa. Pensiamo agli inni attribuiti a Sant’Ambrogio o alla rilevanza di Sant’Agostino in materia musicale. 1 OMERO, Iliade, Libro IX, vv. 235/242 - trad. V. Monti, ed. Barion, Milano, 1934. 2 OMERO, Odissea, Libro IX, vv. 1-12 trad. I. Pindemonte, ed. Signorelli, Milano 1936.

Transcript of Le professioni musicali - Biennio - Il... · Le professioni musicali a.a. 2017-2018 3 Su quali...

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

1

Il compositore Premessa

Alle tende venuti ed alle navi De’ Mirmidoni, ritrovar l’eroe Che ricreava colla cetra il core, Cetra arguta e gentil che la traversa Avea d’argento, e spoglia era del sacco Della città d’Eezion distrutta. Su questa degli eroi le gloriose Geste cantando raddolcia le cure… Alcinoo Rege, che ai mortali tutti Di grandezza e di gloria innanzi vai, Bello è l’udir – gli replicava Ulisse – Cantor come Demodoco, di cui Pari a quella d’un Dio suona la voce: Né spettacol più grato havvi, che quando Tutta una gente si dissolve in gioia, Quando alla mensa, che il cantor rallegra, Molti siedono in ordine e le Lanci Colme di cibo son, di vino l’urne, Donde coppier nell’auree tazze il versi, E ai convitati assisi il porga in giro.

Sono due passi tratti, rispettivamente, dall’Iliade1 e dall’Odissea2. Omero ritrae, nel primo, l’irato Achille intento a calmare i propri ardori suonando la cetra, nel secondo il pellegrino Ulisse che loda l’ospitalità di Alcinoo sottolineando il piacere della buona tavola unita alla raffinatezza del canto di Demodoco. Due situazioni differenti, dunque, fra loro legate dal riferimento alla musica. La musica ha rivestito un ruolo estremamente importante nella civiltà greca, sul piano culturale, filosofico e morale. Ma chi erano, allora, i compositori? Possiamo dire che, in generale, erano i poeti stessi. La poesia e la musica erano indissolubilmente legati. Omero è sempre raffigurato con la cetra. E l’Iliade inizia significativamente con i seguenti versi

Cantami o Diva del Pelide Achille L’ira funesta che infiniti addusse lutti Agli Achei…

“Cantami”, non “narrami”. Il “compositore” nacque evidentemente quando nacque la musica, ma noi non ne abbiamo traccia per molto tempo. Anche quando si comincia a parlare di musica cristiana, i primi “autori” sono uomini di Chiesa. Pensiamo agli inni attribuiti a Sant’Ambrogio o alla rilevanza di Sant’Agostino in materia musicale.

1 OMERO, Iliade, Libro IX, vv. 235/242 - trad. V. Monti, ed. Barion, Milano, 1934. 2 OMERO, Odissea, Libro IX, vv. 1-12 trad. I. Pindemonte, ed. Signorelli, Milano 1936.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

2

Per trovare i primi nomi di “compositori” autentici dobbiamo dunque fare un pas-so significativo in avanti, nell’Ars Antiqua. Nella Cappella di Notre Dame agirono due artisti, Magister Leoninus e Magister Perotinus dei quali abbiamo poche no-tizie: tuttavia sappiamo più o meno quando sono vissuti, dove hanno operato e ne conosciamo persino alcune opere. Con loro, insomma, la musica sacra uscì dall’anonimato e il compositore acquistò una sua fisionomia. I trovatori: le vidas La trasformazione del latino volgare in vernacolo aveva portato in Francia alla formazione di due lingue affini, la lingua d'oil nel nord e la lingua d'oc (occitano) nel sud. La seconda è detta comunemente “provenzale”, benché essa fosse parlata in centri assai più settentrionali, quali Limoges e Clermont-Ferrand. Alla fine dell'XI secolo si delineò in queste nuove lingue un movimento d'arte che si concre-tò nella produzione di poesia lirica musicata e che ebbe per protagonisti i trovato-ri (al sud) e i trovieri (al nord), sorta di cantautori nomadi dell’epoca. I trovatori e i trovieri giravano per i castelli e le corti portando, ovunque ben ac-colti, il loro repertorio di poesie e musiche. Occorre ricordare che nella società feudale, il castello si impose come centro di po-tere e di dominio sul territorio circostante. Il castellano, nel diventare il vassallo di un nobile potente, si impegnava in obblighi militari, ma ciò legittimava il dirit-to di controllare direttamente le proprie terre. Il castello, inserito in un contesto contadino, era un’entità estranea, avulsa dalla realtà circostante. In esso la vita si svolgeva secondo una liturgia precisa fra campagne militari estive e riposo in-vernale, fra la caccia quotidiana e i giochi, la musica e la danza. Il castello divenne l'espressione di una società feudale che poteva dedicare il suo tempo al culto delle arti di pace e nella quale il prestigio e la raffinatezza delle donne andavano creando una nuova razza di cortigiani. Espressione fondamenta-le della società del tempo fu la cavalleria termine al quale sono associati due si-gnificati distinti: il gruppo dei soldati a cavallo e un complesso sociale con un proprio codice di comportamento e di valore. Il codice costruito inizialmente su valori militari (coraggio) aggiunse in seguito anche valori etici (lealtà e generosi-tà) e ideali, quali l’obbligo di difendere la chiesa, le donne, i deboli. Il passaggio dal combattente valoroso al difensore della fede è avvertibile nell’evoluzione della produzione letteraria: nell’ultimo romanzo di Chretien de Troyes, Perceval è il cavaliere designato da Dio per ritrovare il Santo Graal. Perceval, divenuto Parsi-fal sarà uno dei protagonisti del teatro di Wagner, padre di Lohengrin, cavaliere preposto alla difesa del Santo Graal e inviato sulla terra a difendere i deboli. Dal-la cavalleria discendono i lignaggi della nobiltà medievale e moderna che man-tenne sempre il carattere di aristocrazia militare. I trovatori e i trovieri non furono tutti di nobile stirpe; alcuni ebbero umili natali e dovettero la loro posizione a protezioni illustri. Però la loro arte fiorì in un am-biente aristocratico nel quale s’indulgeva alla concezione “cortese” dell'amore e la si ammirava. La produzione musicale trobadorica si estende per circa due secoli, da Guglielmo, conte di Poitiers (fine secolo XI-inizi del XII) sino a Guiraut Ri-quier (seconda metà del sec. XIII).

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

3

Su quali fonti possiamo basare le nostre conoscenze dei trovatori? Essenzialmen-te, a parte eventuali fonti indirette (testimonianze letterarie o raffigurazioni pit-toriche) rivestono particolare rilevanza le vida e le razos. Una vida ("vita") è una breve biografia in prosa di un trovatore, scritta in occita-no. Nei canzonieri (vale a dire, le collezioni di manoscritti della poesia trobadori-ca medievale), le opere di un particolare autore sono spesso accompagnate da una breve biografia in prosa. Le vidas costituiscono i primi lavori di una certa rile-vanza di saggistica in prosa volgare. Ciò nondimeno, sembra che molte di queste opere derivino le loro notizie dalle letture (in senso letterale) delle stesse poesie a cui sono riferite, lasciando perciò in dubbio la loro affidabilità storica. La maggior parte delle vidas sono state composte nel decennio 1220-1230. Il termine occitano razo ("ragione") indica allo stesso modo un breve componi-mento in prosa scritto in lingua occitana che specifica le circostanze di una parti-colare composizione. Una razo normalmente introduce un componimento poetico, spiegato in essa, che può, tuttavia, condividere alcune delle caratteristiche di una vida. Un esempio di vida: Bernard de Ventadorn3 Bernard di Ventadorn fu del Limosino, del castello di Ventadorn. Fu uomo povero di na-scita, figlio d’un servitore ch’era fornaio e scaldava il forno per cuocere il pane del castel-lo di Vendorn. E crebbe bell’uomo e destro e sapeva scrivere belle canzoni e cantarle, ed era cortese e istruito. E al visconte di Ventadorn, suo signore, piacquero molto lui, le sue canzoni e il suo canto; e gli rese grande onore. E il visconte di Ventadorn aveva una mo-glie bella e gaia e giovane e gentile; ed ebbe caro ser Bernard e le sue canzoni e s’innamorò di lui e lui di lei, così che fece i suoi canti e le sue canzoni per lei, per l’amore che le portava e per il valore della sua signora. Il loro amore durò a lungo prima che il vi-sconte, marito della signora e l’altra gente se ne accorgessero. E quando il visconte se n’accorse, allontanò Bernard e fece rinchiudere e custodire la moglie. Inoltre costrinse la signora ad accomiatare Bernard e gli fece dire di partire e di allontanarsi da quella re-gione. Ed egli se ne partì e andò presso la duchessa di Normandia, ch’era giovane e di gran valore e molto si intendeva di pregio e onore; e lo lodò con belle espressioni. E tanto le piacquero i vers e le canzoni di ser Bernad ch’ella lo ricevette e l’onorò e l’accolse e gli fece piaceri assai grandi. Rimase a lungo alla corte della duchessa e se ne innamorò e la signora s’innamorò di lui e per questo amore ser Bernard compose molte e belle canzoni. Ma il re Enrico d’Inghilterra la prese per moglie e la strappò dalla Normandia e la con-dusse in Inghilterra; e ser Bernard rimase di qua triste e dolente; e si partì dalla Nor-mandia e venne al buon conte Raimondo di Tolosa e rimase da lui, alla sua corte, fino a quando il conte morì. E quando il conte fu morto, ser Bernard abbandonò il mondo, le po-esie e il canto e il sollazzo del secolo e poi entrò nell’ordine [abbazia] di Dalon e là finì la sua vita. E tutto ciò che vi ho detto di lui mi fu narrato e detto dal visconte ser Ebles di Ventadorn, il quale fu figlio della viscontessa che ser Bernard tanto amò. I compositori come servitori

Perciò -gli antichi introdussero nel loro programma di educazione anche la musica pur senza considerarla necessaria né utile, a differenza della scrittura che serve per gli affari, l’amministrazione domestica, l’apprendimento delle scienze e per

3 In G.CATTIN, Storia della musica, a cura della Società Italiana di Musicologia, vol. 1 (P.II), “Il Medioevo”, edt, Torino, 1979, pp. 202-203.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

4

molte attività politiche... o ancora della ginnastica che contribuisce alla salute ed alla vigoria del corpo. Non resta allora che considerarla come un modo di occupare i periodi di ozio; concezione alla quale parevano inclinare gli antichi che la include-vano in quelle che consideravano occupazioni degne di uomini liberi.

Scriveva così in Politica, Aristotele4 affrontando il tema della musica sul piano educativo e filosofico. Per il grande pensatore greco, la musica era un’occupazione per il tempo libero, cioè per i momenti di ozio: una disciplina “liberale e nobile”. L’uomo deve essere educato anche nell’ozio per poterne godere appieno: quindi la musica doveva rientrare nell’ambito formativo di un giovane. Ma emerge a questo punto un aspetto estremamente importante, la contrapposizione fra l’ascolto in sé e l’esecuzione vera e propria. Il primo spetta al saggio, all’uomo colto e libero; la seconda è un mestiere e non rientra quindi nell’educazione liberale. Questa di-stinzione è rilevante perché perdurerà nei secoli, dividendo chi la musica la cono-sce ma non la pratica (i ceti sociali più elevati) e chi invece la musica deve realiz-zarla (i ceti sociali più modesti, un tempo gli schiavi, successivamente i cortigia-ni). Tale distinzione sarebbe durata per molti secoli. I musicisti (come gli artisti in genere) furono per molti secoli servitori. Quando non erano tali la loro posizione più elevata era dovuta ad altre mansioni ricoperte nella società del loro tempo. Possiamo ricordare figure come Machaut o come Phi-lippe de Vitry che erano anche dignitari della Chiesa, in virtù della loro solida preparazione culturale. Anche i compositori fiamminghi godevano spesso di par-ticolari benefici proprio per la posizione che ricoprivano nella società, al di là del fatto di essere compositori e maestri di cappella. Citiamo,a titolo d’esempio, alcuni casi. Nel 1563 Orlando di Lasso (1532-1594) divenne Kapellmeister alla corte bavarese di Monaco. La mattina doveva provvedere alla musica per la messa solenne nella chiesa di San Lorenzo ed ogni giorno c’era la Tafelmusik5 per intrattenere l’arciduca la sera insieme a tutti i suoi eventuali ospiti. Non diverse dovevano essere le mansioni di Claudio Monteverdi (1567 – 1643) quando fu assunto dai Gonzaga alla corte di Mantova, prima come “suonatore di viola” e poi con crescenti incarichi fino a ottenere nel 1601 l’ambito incarico di maestro di cappello. In tale veste Monteverdi ebbe impegni decisamente onerosi: a lui competevano la responsabilità dell’organizzazione e della direzione di tutte le manifestazioni musicale a corte: sia quelle religiose (le ordinarie nella Chiesa di Santa barbara e le straordinarie che potevano essere celebrate nel Duomo o in altri templi mantovani) sia quelle civili e profane: ricevimenti, festività, banchet-ti, tornei ecc. Doveva inoltre occuparsi della formazione dei giovani musicisti affi-dati alle sue cure, ascoltare cantori e strumentisti che si presentavano per essere 4 ARISTOTELE, Politica, Libro VIII, cit. in E. Fubini, L’estetica musicale dall’antichità al Settecen-to, Einaudi, Torino, 1976, pp. 44-45. 5 Il termine Tafelmusik indica un intrattenimento musicale organizzato intorno a una tavola im-bandita, oppure il complesso strumentale predisposto alla esecuzione o, ancora, una raccolta di brani da suonarsi nella circostanza. Il maggiore sviluppo si registrò in Germania dall'inizio del XVII alla metà del XVIII secolo, anche se la pratica della musica a cornice di un pranzo era diffu-sa a livello europeo. Tra le più famose Tafelmusik si citano le raccolte di Georg Philip Telemann.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

5

assunti tra i musicisti di corte e stendere un rapporto dopo ogni audizione: inse-gnare le composizioni nuove, sue e di altri. In più accompagnava il suo signore Vincenzo Gonzaga nei viaggi: basta ricordare le campagne militari contro i turchi o il giro delle Fiandre. Il tutto in condizioni economiche difficili perchè il duca di Mantova spendeva più di quel che avrebbe potuto permettersi e le casse del Pa-lazzo erano in perpetua crisi. Un deciso miglioramento fu costituito per Monteverdi dal passaggio, nel 1613 a Venezia. Il 19 agosto 1613 viene stipulato il contratto fra il musicista e la Cappel-la di San Marco. In virtù di tale contratto il musicista era nominato Maestro di Cappella della Serenissima Repubblica di San Marco:

Però a bossoli et ballotte unanimi e concordi hanno terminato che il suddetto D.no Claudio Monteverde sia eletto Maestro de Capelle della Chiesa di S.to Marco con salario di ducatti trecento all’anno et con le regalie solite et consuete dovendo haver la Casa in canonica giusta l’ordinario, la qual quanto prima debba esser accomoda-ta delli concieri che fossero necessari et de più le sia datto d.ti 50 per donativo così per le spese del viaggio come per il tempo che si è trattenuto in questa città d’ordine delle SS.SS.Ill.me; la qual’electione sia a beneplacito giusta l’ordinario6

A Venezia, Monteverdi non dipendeva più dai capricci di un nobile, ma era diret-tamente legato ai procuratori della Cappella al di sopra dei quali stava il doge. Era, soprattutto, il principale esponente musicale non di una Corte (luogo impor-tante, certo, ma “chiuso in se stesso) bensì di una intera città. Nei contratti del tempo si faceva spesso riferimento al pagamento in natura. Ad esempio quando nel 1614 Girolamo Frescobaldi fu assunto alla corte di Man-tova, nel suo contratto venne stabilito che

per 4 mesi dopo il suo arrivo a Mantova, il Duca gli dia tre spese di pane e vino ogni giorno7.

D’altra parte il cibo entrava spesso nei contratti, a tutti i livelli. Un esempio. Il 20 ottobre 1226, ad Asti, fu stipulato un contratto di affitto di un certo numero di terreni8. Il proprietario Pancia non chiese ai due affittuari Michele Coparino e Anselmo Focaccia soldi né partite di cibo; impose, però, che ogni anno, in gennaio e in maggio, fosse invitato a pranzo, portando con sé tutte le volte una persona di suo gradimento. L'invito sarebbe stato estensibile agli eredi a tempo indetermi-nato. Davanti a un notaio venne anche fissato il menù, introdotto da un limone (i medici consigliavano allora di iniziare a mangiare con un frutto aspro che aprisse lo stomaco) e seguito da abbondante carne di maiale, ceci bianchi, cappone arro-sto, salse varie, e, a conclusione, sei castagne ognuno. Il pranzo era dunque un segno di benessere e di potere. Ed essere grassi nel Me-dioevo significava essere ricchi. Altro che le diete di oggi: chi poteva, allora, man-giava e lo faceva sapere! 6 D. DE PAOLI, Monteverdi, Rusconi, Milano, 1979, p.298 7 L. RONGA, Frescobaldi, Torino, 1930. 8 In M. MONTANARI, Il pentolino magico, Laterza, Roma-Bari, 1995.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

6

Johann Sebastian Bach Il 28 luglio 1750, quando Johann Sebastian Bach morì nella sua casa di Lipsia, sul suo tavolo di lavoro c’era il manoscritto ancora incompiuto della sua estrema, geniale opera, Die Kunst der Fuge (L’Arte della Fuga). L’ultimo soggetto segnato prendeva l’avvio dalle prime quattro note sottoindicate

Che, tradotte in notazione alfabetica, diventano

B A C H E’ difficile trovare un cognome più musicale di quello di Johann Sebastian. Ed è impossibile trovare una famiglia così attiva nel mondo della musica come lo fu, per numerose generazioni, quella dei Bach. La famiglia Bach

Vitus Bach, fornaio di pan bianco in Ungheria, fu costretto nel XVI seculo a fuggire dall’Ungheria a causa della sua religione luterana. Dopo aver venduto, per quanto gli fu possibile, la sua proprietà, andò in Germania e in Turingia trovò sicurezza bastante per la sua religione luterana; si stabilì a Wechmar, nelle vicinanze di Gotha e lì continuò la sua professione di fornaio. Ciò che gli procurava maggiore gioia era la sua piccola cetra, che so-leva prendersi dietro per suonarla, mentre il mulino macinava. Che piacevole rumore, de-vono aver fatto quei due strumenti insieme! Così accadde che gli s’impresse il senso del rit-mo. A quanto pare fu così che la musica entrò per la prima volta nella nostra famiglia.

Il passo è tratto da una cronaca (Origine della famiglia di musicisti Bach) scritta dallo stesso Johann Sebastian a Lipsia9 . Al di là dei dubbi più volte espressi dagli studiosi circa le origini della famiglia (tedesche o ungheresi?) e la vera identità del capostipite (forse Hans, presunto padre di Veit), è certo che i Bach hanno dato musicisti a partire dalla seconda parte del XVI secolo. Nell’albero genealogico, Johann Sebastian occupa il posto n. 45. Veit dovrebbe aver avuto due figli musicisti: fra questi Johannes (ca. 1550-1626), padre di tre figli, tra i quali Christoph (1613 – 1661) a sua volta padre di tre musicisti: Georg Christoph (1642-1697) e due gemelli, Johann Christoph (1645 – 1693) e Johann Ambrosius (1645 – 1695), quest’ultimo padre di Johann Sebastian. Johann Ambrosius aveva studiato violino e viola con il padre con il quale si era trasferito ad Arnstadt. Nel 1668 aveva sposato Maria Elisabetha Lammerhirt (1644 – 1694) e nel 1671 aveva ottenuto il posto di musico municipale a Eisenach cui si era aggiunto un incarico di musico di corte del principe Johann Georg I (1677). Dal matrimonio con Maria Elisabetha nacquero 6 figli e 2 figlie tra i quali i quattro musicisti indicati nel prospetto sopra riportato.

9 Il documento è riportato in molte monografie sui Bach, ad esempio, in K.GEIRINGER, I Bach, Ru-sconi, Milano 1981, p.18.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

7

Da notare che la famiglia Bach ha continuato a sfornare musicisti anche dopo Jo-hann Sebastian. L’albero genealogico arriva fino al Bach n.89, Karl Bernhard Paul (1878 – 1968). La vita La vita di Johann Sebastian Bach si articola in una serie di tappe progressive che rispecchiano fedelmente la formazione e l’attività professionale di un musici-sta nella società luterana, dalle prime esperienze come bambino cantore nel coro di una chiesa, all’articolata attività del Kantor, la massima carica pubblica del tempo. Vediamola in sintesi. 21 marzo 1685 - Nato ad Eisenach, Johann Sebastian iniziò a studiare strumenti ad arco con il padre Johann Ambrosius e probabilmente l’organo con lo zio Jo-hann Christoph. A 8 anni fu iscritto alla Scuola Latina di Eisenach; contempora-neamente cantava nei cori della scuola e con quelli si esibiva la domenica quando padre, zio e altri parenti suonavano nelle funzioni. Aveva circa 9 anni quando morì la madre e quasi 10 quando perse anche il padre. Fu allora affidato, insieme al fratello Jakob (1682 – 1772), alle cure del fratello Johann Christoph (1671 – 1721), organista a Ohrdruf e allievo di Johann Pachel-bel. 1700 – Soprano nel coro della Michaelisschüle di Lüneburg, con un salario mensi-le di 12 gr. 1703 - organista nella Chiesa Nuova di Arnstadt, città nella quale vivevano di-versi Bach, fra i quali la cugina Maria Barbara. Queste le incombenze del giovane artista: doveva suonare ogni domenica dalle ot-to alle dieci del mattino, tutti i lunedì ad una funzione propiziatoria e ogni giove-dì dalle sette alle nove antimeridiane. Poiché la chiesa in cui prestava la propria opera non aveva un Kantor, era sottinteso che dovesse istruire un piccolo coro formato da alunni della Scuola Latina che cantava nelle funzioni della domenica. 1707 - organista a Mühlausen con uno stipendio di 85 fiorini oltre ad una certa quantità di grano, legna e pesce. Il suo incarico prevedeva che suonasse l’organo durante tutte le funzioni in S.Biagio; Bach si impegnò tuttavia a curare altri a-spetti musicali e soprattutto a rinnovare il repertorio che i precedenti organisti

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

8

avevano mantenuto nel solco di un’antica tradizione. Si adoperò, inoltre, per un restauro dell’organo mostrando una notevole competenza che ne avrebbe fatto uno dei maggiori esperti dell’arte organaria in Germania. Il 17 ottobre 1707 Bach sposò la cugina Maria Barbara da cui ebbe sette figli, tra i quali i futuri musicisti Wilhelm Friedemann e Carl Philip Emanuel.

NB. Non sono qui considerati i figli morti subito dopo la nascita 1708 - Assunto alla corte di Weimar come Konzertmeister, ovvero di responsabile delle esecuzioni orchestrali a corte, il che gli consentiva di lavorare con strumen-tisti e cantanti di ottimo livello. 1717 - Kappelmeister alla corte di Kothen. Il Kapellmeister era responsabile non solo della musica della cappella, ma anche della disciplina, del comportamen-to e delle buone maniere dei subordinati. Doveva garantire la conservazione degli strumenti, tenere in ordine la biblioteca, gli spartiti e le parti musicali. Doveva presentarsi ad ore fisse al suo padrone in uniforme e parrucca e ricevere gli ordi-ni. Risale a questo periodo una prevalente attenzione per la musica strumentale. Lo stipendio era di 400 talleri, una cifra assai elevata; d’altra parte la carica di Kappelmeister era di tutto prestigio. Morta la moglie Maria Barbara, Bach sposò la cantante ventenne Anna Magdalena Wilcken che gli avrebbe dato altri tredici figli fra i quali i due musicisti Johann Christoph e Johann Christian.

NB. Anche in questo caso sono inseriti solo i figli non deceduti in giovanissima età

Johann Sebastian

& Anna Magd.

Gottfr. Heinrich

1724 - 1763

Elisabeth J.F. 1726 - 1781

J.Christ. Friedrich

1732 - 1795

Johann Christian

1735 - 1782

J.Caroline 1737 - 1781

Regina Su-sanna

1742 - 1809

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

9

Kantor a Lipsia Il 5 giugno 1722 morì Johann Kuhnau, Kantor alla Thomaskirche di Lipsia, uno degli incarichi più prestigiosi nella Germania del tempo. In un primo tempo fu scelto Telemann che aveva appena accettato lo stesso inca-rico ad Amburgo. Telemann era stato il fondatore e il direttore del Collegium mu-sicum di Lipsia, quindi ben caro all’ambiente. Forte della nomina a Lipsia, Te-lemann la usò per farsi considerevolmente aumentare lo stipendio ad Amburgo e da lì non si mosse. Toccò allora a Christoph Graupner, allievo di Bach. Ricevuta la nomina, Graup-ner non ebbe, però, il permesso di licenziarsi dal suo signore, il Principe d’Assia a Darmstadt, dovette rinunciare e segnalò il suo maestro. Fa ridere oggi leggere di un Graupner che raccomanda Bach! Ma all’epoca accadeva proprio così! Bach superò le prove, il Venerdì Santo eseguì la sua nuovissima Passione secondo Giovanni suscitando grande entusiasmo. Il 1° giugno 1723 assunse ufficialmente l’incarico di Kantor a San Tommaso. Il Kantor, responsabile della chiesa metropolitana, coordinava tutte le attività musicali cittadine (sovrintendeva all’attività delle quattro chiese cittadine e di quella dell’Università) con mansioni di vario genere: pedagogica (oltre alla musi-ca, spesso le materie scientifiche, il latino, il catechismo ecc.), creativa (la compo-sizione di tutte le musiche per le varie festività), esecutiva (l'organizzazione dei gruppi corali e strumentali, la loro preparazione e la loro direzione). Impegni in-credibilmente onerosi ai quali si aggiungevano le difficoltà derivanti dal rapporto di lavoro con i superiori. Mentre a Kothen, Bach rispondeva solo al suo signore, a Lipsia il confronto doveva avvenire con il Rettore dell’Università e con il Consi-glio Comunale cui spettava l’onere della nomina e il controllo sull’attività. A favo-re di Lipsia c’era però non solo il prestigio del ruolo, ma la possibilità anche per i figli di formarsi in un ambiente culturalmente di alto livello. Ottenuta la nomina, Bach si trasferì nella città con la sua famiglia e alloggiò in un appartamento nello stesso edificio della Thomaschule. Appartamento che in-sieme all’intero palazzo fu ristrutturato nel 1732. La nuova sistemazione era sviluppata su tre piani, necessari per una famiglia che contava allora 11 componenti. Al piano terra si trovava un’ampia stanza, una cucina piccola e due camerette. Una scala interna portava al primo piano dove Bach aveva cinque locali fra i qua-li la biblioteca e uno studio; al secondo piano si trovavano un’ampia camera da letto e altre due stanze. Dal secondo piano, attraverso il vano scala, si poteva ac-cedere direttamente alla scuola, mentre i due piani sottostanti ne erano total-mente separati. Bach percepiva allora 21 talleri e 21 grochen a trimestre. L’onorario annuale era dunque di 87 talleri e 12 groschen (equivalenti a 100 gulden o fiorini) cui si ag-giungevano 13 talleri e 3 grosche per sostenere le spese per la legna da ardere e di candele o olio per l’illuminazione, sedici stai di grano (in due consegne annuali) e due cataste di ceppi. Se il salario, pur modesto, rappresentava tuttavia la quota fissa, Bach poteva an-che contare su altre entrate straordinarie che gli garantivano un’entrata com-plessiva annuale media di 700 talleri. Arrivavano regolarmente due boccali di vi-no (10 grochen) tre volte l’anno.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

10

Le entrate straordinarie erano legate a matrimoni, funerali ecc. E’ interessante il seguente passo tratto dalla lettera indirizzata il 28 ottobre 1730 all’amico Georg Erdman10:

La situazione mia attuale ammonta a circa 700 talleri e quando vi sono più morti che ordinairement anche gli accidentia aumentano in proporzione: ma quando l’aria è sana, anche essi diminuiscono come avvenne lo scorso anno quando ebbi una perdita di oltre 100 talleri sugli accidentia relativi ai morti ordinari. In Turin-gia con 400 talleri potevo vivere meglio di quanto avviene in questo posto con qual-che centinaio di talleri in più a causa dell’eccessiva costosità della vita.

Bach poteva inoltre godere di alcune esenzioni. Ad esempio l’ordinanza del 9 no-vembre 1646 del principe elettore Johann Georg I di Sassonia aveva stabilito che la circolazione delle bevande (birra) a favore degli ecclesiastici, e dei funzionari della chiesa e della scuola fosse esente da imposta. Nelle note spese del musicista la voce «vino» ha sempre avuto un certo spazio. Ad esempio, quando andò a Gera nel 1724 per collaudare un nuovo organo11 gli furo-no pagati 30 fiorini come onorario, 10 fiorini per il viaggio, 17 fiorini e 8 Gr. (il Gröschel era una piccola moneta d’argento tedesca derivata dal Gröschen austri-aco) per il vitto e 7 fiorini e 8 Gr. per il vino. Anche ai tempi di Bach nei contratti si faceva riferimento a derrate alimentari. Quando gli fu proposta l'assunzione a Mulhausen, nella lettera-contratto12 erano previsti 85 Guklden in contanti e compensi in natura, ossia:

3 misure di grano, 2 cataste di legna, una di faggio e una di altra qualità... e sei Schock (ossia 360) di fascine portate davanti alla porta di casa, al posto del terreno arativo.

In casa Bach si bevevano abitualmente birra e sidro. Ma si consumava anche vino bianco delle colline dell’Elba o del Reno o della Mosella. Un giorno13 il cugino di Bach, Johann Elias, gli inviò in regalo una certa quantità di vino. Johann Sebastian rispose con una lettera di ringraziamento: un po' del vino, scrisse, era andato perduto durante il viaggio; purtroppo, aggiunse, non era in grado di contraccambiare il pensiero. E concluse:

Benché il mio onorevole cugino si offra gentilmente di favorirmi facendomi ancora avere di questo liqueur devo rinunciare all'offerta a causa delle spese eccessive. In-fatti il trasporto costa 16 soldi, il vetturale 2 soldi, il dazio 5 soldi e l'imposta 3 sol-di. Perciò il mio onorevole cugino può constatare da solo che ogni litro di questo vi-no mi costa 5 soldi, somma che per un dono è veramente piuttosto forte.

Il buon Johann Elias, è molto probabile, interruppe le sue spedizioni! L’orario scolastico alla Thomaschiule prevedeva, come ha annotato Basso14, 10 A. BASSO, Frau Musika – La vita e le opere di J.S.Bach – vol.II (1723-1750), Edt/Musica, Torino 1983, p.119 11 K. GEIRINGER, I Bach (trad. A.Falorsi Buscaroli e P. Buscaroli), Rusconi, Milano, 1981, p.208n. 12 P. BUSCAROLI, Bach, Mondadori, Milano, 1985. 13 K. GEIRINGER, I Bach, op.cit. p. 281. 14 A. BASSO, Frau Musika, op. cit., p.89.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

11

un impegno giornaliero di sei ore per gli allievi (7-10; 12-3); gli insegnanti erano te-nuti a quattro ore di lezione che si riducevano a tre per il rettore e il Kantor. Quest’ultimo aveva libero da impegni il giovedì (ima in questo giorno, alle 6,45, do-veva condurre i Thomaner in Chiesa). Al lunedì, martedì, mercoledì e venerdì era chiamato a tenere lezioni diu latino dalle 7 alle 8 (grammatica per i ragazzi della Quarta…) e dalle 1 alle 2 (sintassi per glòi alunni della terza).

Alle ore di latino Bach rinunciò pagando di tasca sua un supplente. Doveva però provvedere all’insegnamento del canto nei primi tre giorni della settimana (dalle 9 alle 12) e al venerdì (dalle 12 all’una). Al sabato pomeriggio dopo il Vespro si provava la Cantata prevista il giorno successivo. Una polemica con il Consiglio Municipale Sin dal suo arrivo a Lipsia, Bach fu coinvolto in diverse polemiche. In alcuni casi ne fu vittima inconsapevole, diventando strumento di contrasti politici a lui e-stranei. Ad esempio in occasione della cerimonia del suo insediamento scoppiò una lite fra il Consiglio Comunale e il Concistoro ecclesiastico entrambi decisi a far valere il loro primato sull’altro in sede di nomina e di cerimonia. In seguito Bach ebbe una diatriba con l’Università che aveva assunto nei suoi confronti un atteggiamento di evidente distacco: l’ufficio di Kantor era assegnato a persone laureate e Bach non possedeva titoli accademici. Ci fu una lunga vertenza sollevata da Bach che avocava a sé il diritto di prepara-re il proprio servizio come Thomaschule nella Chiesa dell’Università dove si di-stingueva fra il servizio liturgico nuovo (l’introduzione del culto regolare dalle 9 alle 11 di ogni domenica) e il servizio liturgico antico, praticato nelle quattro feste principali e nelle festività accademiche. Quello antico era stato sempre affidato alla Thomaschule che riceveva per questo 12 fiorini l’anno. Ma l’Università pare-va non disposta a versare il dovuto alla Thomaschuele e a utilizzare il suo servi-zio per le funzioni liturgiche. Bach si rivolse al sovrano. E il re Federico Augusto nel 1726 accolse in parte la sua supplica riconoscendo alla Thomaschule il diritto di organizzare l’antico culto, ma lasciando libera l’Università di gestire il nuovo. Un’altra polemica coinvolse Bach nel 1730, questa volta contro il Consiglio Muni-cipale in merito alla gestione della Thomaschule. Il compositore scrisse un memo-riale che vale la pena rileggere perché è una dettagliata analisi della situazione musicale della Scuola, dei suoi limiti e delle cause che l’aveva ridotta in uno stato di crisi15.

Breve ma indispensabile esposizione di ciò che deve intendersi per musica di chiesa ben regolata, con alcune modeste considerazioni sopra la sua decadenza. Una ben organizzata musica di chiesa richiede la partecipazione di cantori [vocali-sti] e strumentisti. I cantori sono formati dalla Scuola di S. Tommaso di codesta città e sono divisi in quattro categorie: discantisti [= soprani], contralti, tenori e bassi. Se si ritiene che le composizioni destinate alla chiesa debbano essere eseguite in maniera conve-niente, si devono prevedere due tipi d cantori: i concertisti e i ripienisti.

15 A.BASSO, Frau Musika, op. cit., pp.113-117

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

12

I concertisti [= solisti] sono ordinariamente 4, ma talvolta anche 5, 6, 7, fin 8; que-sto specificamente quando si voglia far musica con coro [per Choros musiciren]. I ripienisti non devono essere meno di otto e cioè due per ciascuna voce Anche gli strumentisti sono suddivisi in varie categorie e cioè: violisti [= violini-sti],oboisti, flautisti suonatori di tromba e timpanisti. NB: il termine violisti indica anche coloro i quali suonano viole, violoncelli e violoni. Il numero degli allievi della Scuola di S Tommaso […] è 55. Questi 55 sono suddivisi in 4 cori col compito di produrre la musica per le 4 chiese ora con strumenti ora intonando mottetti e corali. In 3 di quelle chiese cioè in S. Tommaso in S. Nicola e nella Chiesa Nuova gli allievi devono tutti possedere una preparazione musicale. Alla Chiesa di S Pietro sono destinati gli altri che non han-no disposizione musicale ma che tuttavia devono essere in grado di eseguire un co-rale. Ognuno dei cori formati da musicisti deve essere costituito almeno da 3 so-prani, 3 contralti, 3 tenori e altrettanti bassi di modo che se uno e indisposto (come spesso succede e particolarmente di questa stagione come ben lo dimostrano le ri-cette prescritte in farmacia dal medico della scuola) ci sia la possibilità di cantare un mottetto a doppio coro (NB Ma sarebbe meglio se per ognuna delle parti si po-tesse disporre di 4 elementi cosi da fissare l'organico di ciascun coro in 16 persone). Ciò significa che il numero delle persone che sanno la musica deve ammontare a 36. La musica strumentale si compone delle seguenti parti: 2 o anche 3 per i Violino 1 2 o 3 per i Violino 2. 2 per le Viola 1 2 per le Viola 2 2 per i Violoncello 1 per il Violone 2 o in caso di necessita anche 3 per gli Oboe 1 o anche 2 per il Fagotto 3 per le Trombe 1 per i Timpani summa 18 persone come minimo per la musica strumentale NB Se la cantata com-porta anche l'impiego, dei flauti (si tratti di quelli a bec o traversieri) come sovente avviene per dare maggiore varietà, saranno necessarie altre 2 persone Il che com-porta un totale di 20 strumentisti Il numero delle persone stipendiate dalla Municipalità e impiegate per l'esecuzione delle musiche di chiesa e di 8: 4 strumentisti a fiato, 3 archi e un assistente. Ma sulle loro qualità e sulle loro conoscenze musicali evito di pronunciarmi per discre-zione. Tuttavia si deve considerare che alcuni fra essi sono degli emeriti [= anziani] e che gli altri non dispongono di quella tecnica [exercitio] che sarebbe necessaria. L'elenco degli strumentisti è il seguente Signor Reiche per 1° Tromba Signor Genssmar ( Gentzmer) per 2° Tromba. vacat per 3° Tromba vacat per Timpani Signor Rother per 1° Violino. Signor Beyer per 2° Violino. vacat per Viola vacat per Violoncello vacat per Violone Signor Gleditsch per 1° Oboe

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

13

Signor Kornagel per 2° Oboe vacat per 3° Oboe o Taille. Assistente per Fagotto Mancano inoltre vari elementi che si rendono altamente necessari sia per rinforza-re l'organico sia perché non se ne può, proprio fare a meno e precisamente: 2 violinisti nel ruolo di violino 1° 2 violinisti nel ruolo di violino 2° 2 esecutori di viola 2 violoncellisti 1 suonatore di violone 2 per i flauti I vuoti testè indicati sono stati coperti sino ad ora ricorrendo in parte agli studiosi [= allievi dell'Università], ma soprattutto agli alunni [= scolari di S. Tommaso]. I signori studiosi si sono dimostrati volonterosi nella speranza che un giorno o l'altro ne potessero ricevere qualche soddisfazione e fosse loro concesso uno stipendio o honorario (come sarebbe normale) Ma poiché ciò, non è accaduto e anzi i pochi oc-casionali beneficia che un tempo erano dispensati al chorus musicus sono stati suc-cessivamente aboliti è venuta meno quindi anche la buona volontà degli studiosi. E chi mai si adatterebbe a lavorare o a prestar servizio gratuitamente? C'è poi da considerare che (in mancanza di migliori soggetti) si è dovuto ricorrere agli allievi [della Scuola di S. Tommaso] per rimpiazzare soventissimo i violini secondi e sem-pre i suonatori di viola, violoncello e violone. E’ facile comprendere che in tal modo si è indebolito il coro vocale. Ciò di cui si è detto riguarda soltanto il servizio musi-cale per le domeniche. Ma io devo accennare anche a quello che riguarda le altre fe-stività, (il servizio musicale deve essere fornito alternativamente alle due chiese principali) cosicché la mancanza degli elementi occorrenti e ancora più evidente poichè si deve ricorrere all'altro coro di quegli allievi che sanno suonare questo o quello strumento e che potrebbero invece essermi di aiuto in altro modo. Non posso poi esimermi dal rilevare che l’aver accolto sino ad ora ragazzi così poco capaci e senza talento musicale ha necessariamente abbassato il livello delle esecu-zioni. Si deve tener presente infatti che un ragazzo il quale non abbia conoscenze musicali non sarà mai in grado di cantare una seconda e a maggior ragione se non possiede doti naturali; di conseguenza, non potrà rendere alcun servizio alla musi-ca. E coloro i quali hanno conoscenza di alcuni principia musicali al momento in cui entrano nella scuola, non possono poi essere immediatamente impiegati come inve-ce ci si augurerebbe. Poiché non c'è tempo da perdere, non si provvede neppure ad istruirli per un anno; prima di impiegarli, ma non appena sono ricevuti nella scuola li si ripartisce nei vari cori e sono impiegati nel servizio liturgico quando a mala pena sono in grado di tenere il tempo e cantare in tono. Ogni anno, poi, alcuni di quelli che sono versati nella musica lasciano la scuola e il loro posto viene preso da altri, i quali non sono in grado di subito rimpiazzarli, e il più delle volte anzi non valgono nulla, cosicché è facile concludere che il chorus musicus va completamente alla deriva. E’ noto che i miei predecessori, Schell [= Schelle] e Kuhnau, dovevano servirsi dell'aiuto dei signori studiosi quando dovevano produrre una musica armonicamen-te ben impostata e con un organico completo; in tali casi essi potevano utilizzare anche alcuni cantori - si trattava di un basso e di un tenore, persino di un contralto, e di strumentisti, in particolare 2 violisti - che venivano loro imprestati dal Nobilis-

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

14

simo e Sapientissimo Consiglio Municipale con tanto di stipendio, in tal modo rin-forzando l'organico per le esecuzioni delle cantate. Lo status musices attuale è totalmente diverso: la tecnica è molto più complessa, il gusto si è alquanto modificato, e la vecchia maniera di far musica non suona più confacente alle nostre orecchie, di modo che sarebbe necessario poter disporre di un aiuto più considerevole. Si dovrebbero scegliere soggetti che fossero capaci di appli-care il nuovo modo di far musica; al tempo stesso, costoro dovrebbero essere in gra-do di soddisfare il compositore nella realizzazione delle sue musiche: e, invece, quei pochi beneficia, che semmai avrebbero dovuto essere aumentati anziché diminuiti, ora sono stati tolti al chorus musicus. Non è senza una qualche meraviglia che si constata come si pretenda dai musicisti tedeschi di essere capaci di eseguire ex tempore qualsiasi tipo di musi- ca, provenga quella dall'Italia o dalla Francia, dall'Inghilterra o dalla Polonia, alla pari dei virtuosi per i quali quelle musiche sono state concepite e che hanno avuto tutto il tempo per studiarsele prima e che per di più, quod notandum, sono ampia-mente ricompensati con uno stipendio tale da ripagarli della loro fatica ed applica-zione. Questo fatto non vuole essere, preso in considerazione, e i nostri musicisti che devono provvedere al proprio sostentamento, e per conseguenza non hanno il tempo di perfezionarsi e tanto meno distinguersi, sono abbandonati a se stessi. Per avere un esempio di tale situazione basterà recarsi a Dresda e si vedrà allora di quali salari godono i musici che sono al servizio di Sua Maestà; nessuno di loro ha preoccupazioni per il proprio sostentamento e inoltre ognuno di essi ha la possibili-tà di esercitarsi su un unico strumento, di modo che può mostrare il suo grado di capacità e raggiungere l'eccellenza. La conclusione che se ne trae è semplice: l'aver abolito i beneficia m’impedisce di portare a un migliore livello la situazione della musica. Per concludere, ritengo necessario aggiungere il numero degli allievi attualmente impiegati, indicando il loro profectus [= profitto] in Musicis e rinviando a più matu-ra riflessione la questione se la musica possa essere eseguita bene nelle attuali cir-costanze o quali rimedi si rendano necessari. L'intero coetus deve essere ripartito in tre classi. Sono idonei i seguenti: [omissis] Summa. 17 utilizzabili, 20 per il momento non ancora utilizzabili e 17 non idonei. Lipsia 23 agosto

Franz Joseph Haydn

[…] Spesso combattendo contro gli ostacoli di ogni genere che sorgono nel mio lavo-ro, quando le facoltà della mente e del corpo si affievolivano e mi era difficile conti-nuare per la strada che avevo intrapreso, una voce segreta mi sussurrava: «Ci sono così poche persone felici e contente quaggiù; l’angoscia e il dolore spesso le accom-pagnano; forse i tuoi sforzi saranno un giorno la fonte da cui l’uomo assillato dalle preoccupazioni e dagli affanni potrà trarre alcuni istanti di riposo e ristoro». Era una ragione molto forte che mi spingeva ad andare avanti, ed ecco perché ora guar-do indietro con serena soddisfazione alle fatiche spese per questa arte, a cui ho de-dicato tanti lunghi anni di impegno ed esercizio continui…

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

15

Scrisse così Haydn (1732-1809) in una lettera16 di ringraziamento inviata nel 1802 a una Associazione musicale tedesca che si congratulava con lui per il suc-cesso della Creazione. A metà degli anni Ottanta Haydn era il musicista più “stampato” in Francia e in Inghilterra. E nel 1784 l’«European Magazine» aveva pubblicato una sua biogra-fia, fatto questo straordinario per un autore ancora in vita. Haydn incarnò la fi-gura del musicista moderno. Fu compositore di corte, ma ebbe dai signori presso i quali prestò servizio per circa trent’anni, gli Esterhazy, onori e glorie. E il ricono-scimento della sua grandezza fu universale. Si legga la seguente testimonianza del Principe Starhemberg che nel 1802, dopo una esecuzione di una messa di Haydn annotava17:

Mercoledì 8 settembre… splendida Messa, nuova e ottima musica di un Haydn rin-novato da lui stesso diretta… dopo la messa ritornato al castello… Poi un sontuoso, magnifico pranzo… con musica d’accompagnamento. Il brindisi in onore della Prin-cipessa proposto dal Principe e accompagnato dalle fanfare e dal cannone; a questo ne sono seguiti altri compresi uno in mio onore e uno proposto da me in onore di Haydn che pranzava con noi. Dopo il pranzo ci siamo abbigliati per il ballo…

Haydn dunque era ormai trionfalmente passato dallo stato di servitore che allie-tava i banchetti nobili a commensale fra i nobili stessi. Caposcuola dello stile classico, amico ed estimatore di Mozart, maestro di Bee-thoven, Haydn fu considerato una sorta di padre della sinfonia e del quartetto. Se, infatti, è vero che altri prima di lui composero sinfonie, è anche vero che que-ste forme furono consolidate e “regolamentate” dalla sua straordinaria, lunga e intensa opera.

Il contratto con gli Esterhazy Il 1° maggio 1761, Franz Joseph Haydn venne assunto dalla famiglia Esterhazy di Galantha, una nobile e potente famiglia ungherese e cattolica. Il musicista fu assunto da Paul Anton ma, morto questi nel 1762, il suo vero protettore divenne il fratello di questi, Nikolaus detto il Magnifico, appassionato di musica e dilet-tante di baryton . La cappella comprendeva un’orchestra, un coro di chiesa e vari cantanti. Nel 1766 venne inaugurata la residenza estiva, Esterhaza: centoventi-sei stanze, “la piccola Versailles ungherese” vantava anche un teatro d'opera di cinquecento posti e un teatrino per marionette. Per mesi risiedevano al castello compagnie di attori che recitavano Shakespeare, Lessing e Schiller. Il consumo musicale era altissimo con due opere e due concerti la settimana oltre ad una produzione cameristica pressoché quotidiana. Si riporta qui di seguito il contratto firmato dal musicista. Oggi secondo la data apposta in calce, Joseph Hayden [sic] originario di […] in Austria è accolto e nominato Vice-Capel-Meister al servizio di Sua Altezza Serenissima il Principe, Signor Paul Anton, principe del Sacro Romano Impero, di Eszterhàzy e Galantha Tit. ecc. in questi termini; poiché 16 In HOWARD C. ROBBINS LANDON e DAVID WYN JONES, Haydn, Rusconi, Milano 1988, p. 516. 17 In HOWARD C. ROBBINS LANDON e DAVID WYN JONES, Haydn, cit., p. 515.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

16

1) Si trova ad Eysenstadt un Capel-Meister di nome Gregorius Werner che ha dedica-to molti anni di lavoro devoto e fedele alla casa del Principe e ora, in considerazione dell’età avanzata e delle conseguenti malattie che questa spesso comporta, è ina-datto ad assolvere i doveri che gli competono, perciò, il suddetto Gregorio Werner, in considerazione del lungo servizio, continuerà a ricoprire la carica di Ober-Capel-Meister mentre il detto Joseph Heyden, come vice Capel-Meister ad Eysenstadt sa-rà alle dipendenze e subordinato al detto Gregorio Werner, quale Ober-Capel-Meister per quel che riguarda la musica corale; ma per qualsiasi altra cosa, ogni volta che ci sarà una esecuzione musicale e per tutto ciò che ad essa sarà necessario di generale o di particolare sarà responsabile il detto Vice-Capel-Meister. E perciò

2) Il detto Joseph Heyden sarà considerato un funzionario della casa. Sua Altezza Se-renissima il Principe sarà graziosamente lieto di riporre la sua fiducia in lui, che, come ci si aspetta da un onorato funzionario di una corte principesca sarà sotto-messo e saprà che deve trattare musicisti a lui sottoposti senza arroganza, ma con dolcezza e indulgenza, con modestia, calma e onestà. Questo soprattutto quando la musica venga eseguita alla presenza dell’alta Herrschafft [Autorità] nel qual caso il detto vice Capel-Meister e i suoi sottoposti dovranno presentarsi sempre in unifor-me e il detto Joseph Heyden avrà cura di seguire personalmente e di far seguire le istruzioni date di mostrarsi in ordine con le calze bianche, la camicia bianca, inci-priati, con la treccia o con la reticella, ma comunque tutti uguali d’apparenza. Per-ciò

3) Gli altri musici sono sotto la responsabilità di detto Vice-Capel-Meister così egli metterà la massima cura nel comportarsi in modo esemplare affinchè i suoi sotto-posti possano seguire l’esempio delle sue buone qualità; di conseguenza il detto Jo-seph Heyden eviterà in debite confidenze,. Si asterrà dal mangiare e bere o dall’intrattenere qualsiasi altro rapporto con essi in modo che non perdano il dovu-to rispetto, ma anzi lo conservino; perché questi sottoposti dovrebbero soprattutto ricordare i loro rispettabili doveri in considerazione di quanto sarebbero sgradite alla Herrschafft le conseguenze di una discordia o di una lite.

4) Il detto Vice-Capel-Meister avrà l’obbligo di comporre tutta la musica che a Sua Al-tezza Serenissima il Principe piacerà ordinargli e si guarderà bene dal passare queste composizioni a chicchessia e dal farle copiare, ma dovrà lasciarle a completa disposizione di Sua Altezza e non dovrà comporre per nessun altro senza il consen-so e il permesso [di Sua Altezza].

5) Il detto Joseph Heyden si presenterà ogni giorno (qui a Vienna o nelle tenute) nell’antichambre prima e dopo mezzogiorno per informarsi se Sua Altezza ha piace-re di ordinare all’orchestra una esecuzione musicale; dovrà aspettare quest’ordine e appena lo avrà ricevuto, ne dovrà comunicare il contenuto agli altri Musici; dovrò aver cura di presentarsi puntualmente all’ora stabilita curando che gli altri faccia-no altrettanto, tenendo specialmente conto di coloro che arrivano in ritardo o si as-sentano del tutto. Altrimenti,

6) Se contrariamente alle aspettative sorgessero tra i musici dispute, liti o lamentele, il detto vice-Capel-Meister dovrà adoperarsi per sistemare la faccenda in modo che la Sua Altezza non sia disturbata con sciocchezze e bagatelle; ma potrebbe verifi-carsi il caso più grave che il detto Joseph Heyden non fosse in grado di sistemare le cose o che non potesse fungere da intermediario, allora Sua Altezza Serenissima il Principe dovrà essere rispettosamente informato.

7) Il detto Vice-Capel-Meistyer dovrà aver cura di tutta la musica e di tutti gli stru-menti musicali e sarà sua responsabilità che essi non vengano rovinati o resi inser-vibili per trascuratezza o negligenza.

8) Il detto Joseph Heyden sarà obbligato a preparare le coriste in modo che non di-mentichino mentre stanno in campagna quello che hanno appreso con grande fatica

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

17

e grandi spese a Vienna, allo stesso tempo il detto Vice-Capel-Meister, che è tanto abile in tanti strumenti, curerà di esercitarsi in tutti quelli che conosce.

9) Una copia di questo contratto e delle regole di comportamento sarà data al detto Vice-Capel-Meister e a tutti i Musiquanten a lui sottoposti in modo che egli possa vincolarli a tutti i doveri in esso stabiliti. Inoltre,

10) Non è considerato necessario stabilire per scritto tutti i doveri richiesti al detto Jo-seph Heyden, particolarmente perché la Serenissima Altezza si compiace di sperare che egli osservi strettamente di sua spontanea volontà non solo le regole sopra menzionate, ma qualsivoglia altra che Sua Altezza possa emettere in futuro in ogni circostanza; e che egli ponga la Musique in una posizione in una condizione tali da far onore a se stesso e da meritare ulteriori favori dal principe; a questo scopo si fa affidamento sulla sua discrezione sul suo zelo. Fidando su questo

11) Si stabilisce un salario annuo di 400 fiorini del Reno da percepirsi all’ufficio del ca-po esattore [cassiere] in pagamenti quadrimestrali. In aggiunta,

12) In campagna il detto Joseph Heyden potrà mangiare dei dipendenti o ricevere inve-ce mezzo Gulden. Infine,

13) Questo contratto con il detto Vice-Capel-Meister è stipulato il 1° maggio 1761 e de-ve essere rispettato almeno per tre anno in modo che se alla fine di questo periodo il detto Joseph Heyden vuole cercare fortuna altrove informi delle sue intenzioni la Herrschafft con un preavviso di mezzo anno. Allo stesso modo,

14) La Herrschafft si impegna a tenere al proprio servizio il detto Joseph Heyden per questo periodo, ma se ne sarà pienamente soddisfatta, lo autorizzerà anche ad am-bire al posto di Ober-Capelmeister18. Per contro Sua Altezza è libera di licenziarlo in ogni momento anche durante il periodo in questione. A garanzia di quanto sopra sono state preparate e scambiate due copie identiche di questo documento. Dato a Vienna il 1° maggio 1761

Franz Joseph Haydn Mozart dalle cucine alla libera professione: la rivoluzione francese

A mezzogiorno […] ci mettiamo già a tavola; a mangiare ci sono i due camerieri particolari, il signor controllore, il signor Zetti, il pasticciere, i due signori cuochi Ceccarelli, Brunetti e la mia modesta persona. N.B.: i due signori camerieri siedono a capotavola. Io ho almeno l'onore di se-dere di fronte ai cuochi. Insomma, mi par proprio di essere a Salisburgo. A tavola si fanno scherzi balordi e grossolani. Ma con me non scherza nessuno perché io non dico una parola....

Scriveva così Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) al padre il 17 marzo 1781 da Vienna19. Mozart, dunque, come tutti i musicisti all’epoca impiegati in una Corte non era che un servitore. E se Haydn, come abbiamo letto, aveva l’onore di pranzare con i nobili, Amadeus doveva dividere il desco con cuochi e camerieri. Ancora per poco, comunque. Nel maggio successivo, dopo una ulteriore lite con il principe di Colloredo, il suo signore, il conte Arco, gran maestro di cucina del principe stesso, assestò sul fondoschiena mozartiano la più celebre pedata della storia della musica facendo di Amadeus un libero professionista.

18 Ciò avvenne alla morte di Werner, il 3 marzo 1766 19 In W.A. MOZART, Lettere a cura di Elisa Ranucci, Guanda ed., Milano 1981, pp.173-174

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

18

Se per Mozart la libera professione fu una conquista “traumatica”, i tempi erano ormai maturi perché tale scelta diventasse “normale”. A cambiare il rapporto fra gli artisti e la società fu la rivoluzione francese. Il 17 settembre 1787 a Filadelfia venne varata la Costituzione degli Stati Uniti d’America che, dopo l’approvazione da parte delle assemblee dei singoli Stati, en-trò in vigore nel 1789 allorché George Washington fu eletto presidente. Si conclu-deva così, oltreoceano, il lungo e drammatico braccio di ferro fra gli americani e gli inglesi. Qualche anno prima, il 4 luglio 1776 tredici colonie avevano concorda-to la Dichiarazione d’indipendenza redatta da Thomas Jefferson. Un documento fondamentale perché conteneva una formulazione dei diritti dell’uomo (alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità) che sarebbero stati fatti propri, pochi anni dopo, dai rivoluzionari francesi. La pace fra americani e inglesi fu firmata nel 1783 a Versailles. E proprio Parigi stava per diventare il centro della più impor-tante rivoluzione della storia. Gli ideali di libertà, di uguaglianza e di fraternità, attraversato l’oceano, circolavano ormai nella vecchia Europa e trovarono un ter-reno fertile in Francia, dove l’assolutismo monarchico era in crescente difficoltà. Le profonde ingiustizie determinate dagli eccessivi privilegi dell’aristocrazia e del clero, la crisi economica e finanziaria che penalizzò fortemente i contadini deter-minarono una situazione esplosiva che, nonostante l’estremo tentativo del Re Lu-igi XVI di allentare la tensione convocando gli Stati Generali, portò il 14 luglio 1789 i parigini a insorgere assaltando la Bastiglia, il carcere dove erano rinchiusi i detenuti politici, simbolo, dunque, del potere assolutista. Da Parigi la rivoluzio-ne si propagò in ogni parte della Francia. Si aprì, così, una fase tragica nella storia della Francia che culminò nel cosiddetto periodo del “Terrore” (settembre 1793-luglio 1794) durante il quale un Comitato di salute pubblica presieduto da Roberspierre scatenò una feroce campagna di re-pressione: fra i ghigliottinati, l’ex regina Maria Antonietta. L’ordine fu definiti-vamente ripristinato nel 1799 quando con un colpo di Stato il potere passò a tre consoli, uno dei quali ben presto rimase solo al comando: Napoleone Bonaparte. Le trasformazioni della società, la circolazione delle nuove idee e dei principi il-luministi determinarono una profonda trasformazione del ruolo dell’artista. Gradualmente si fece strada la figura dell’artista indipendente che s’indirizzava verso tre possibili attività: la vendita del proprio lavoro a un editore, il concerto pubblico sostenuto da una sottoscrizione e le lezioni private. Il moltiplicarsi di “accademie” (concerti) pubbliche determinò un sensibile arricchimento delle pro-fessionalità strumentali. Se in passato dominatori delle scene erano i cantanti e i violinisti, ora crescevano di numero e di prestigio i pianisti e, accanto a loro, si potevano ascoltare cornisti, clarinettisti, fagottisti, violoncellisti, con letterature sempre più consistenti. Non va dimenticato che proprio durante la rivoluzione francese vennero gettate le basi per una corretta legislazione relativa al diritto d’autore: nel 1791 fu promulgata una legge sulle opere drammatiche cui seguì nel 1793 quella sulla proprietà artistica e letteraria. Il passaggio all’attività autono-ma e indipendente non si risolse per tutti in maniera positiva. Qualcuno dovette cercare un sostegno economico al di fuori della musica: Giovanni Battista Viotti (1755-1824), ad esempio, alternò la composizione di concerti violinistici al com-mercio dei vini. E vari artisti, del resto, continuarono a lavorare nelle piccole o grandi corti che affollavano ancora l’Europa.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

19

Ludwig van Beethoven

Quello che è Lei, Principe, lo è per caso e per nascita, quello che sono io, lo sono per me stesso; di principi ce n’è e ce ne saranno ancora migliaia; di Beethoven ce n’è uno solo20.

Scrisse così, nel 1806, Beethoven al principe Karl Lichnowsky, uno dei suoi prin-cipali protettori. Uno scatto d’orgoglio che evidenzia lo spirito libero di un artista consapevole del proprio valore e del proprio posto nella società del tempo. Cresciuto in una città culturalmente vivace, Bonn, animata da uno spirito illu-minista, Beethoven fu un artista in senso moderno. Rispecchiò il carattere dell’uomo di cultura assetato di curiosità extramusicali, amante della grande let-teratura e delle teorie filosofiche. Convinto assertore degli ideali rivoluzionari francesi, provò attrazione e repulsione per Napoleone, fu un profondo moralista. Con Johann Sebastian Bach incarnò uno dei grandi miti romantici. Uno dei pochi musicisti, nella storia, popolare e ammirato in vita come dopo la morte. Venerato al punto di generare nei successivi colleghi la paura a cimentarsi con la forma della sinfonia, dopo di lui considerata spesso il punto di arrivo di una carriera. Ancora oggi, del resto, Beethoven gode presso il pubblico di una popolarità senza dubbio superiore a quella di ogni altro musicista del settore strumentale. A tale popolarità ha probabilmente contribuito la sua sordità, una malattia che nell’immaginario popolare è quanto di più inconciliabile possa esistere con il me-stiere del musicista. E fu la malattia a forgiare un carattere duro e aggressivo che traspare continuamente dalla sua musica e che fece dell’uomo Beethoven una personalità “sfrenata” (come la definì Goethe) e spesso insopportabile per chi gli stava accanto. Vale la pena rileggere il Testamento di Heiligenstadt redatto il 6 ottobre 1802, una splendida lettera mai spedita e indirizzata ai suoi fratelli Carl e Johann21:

O voi uomini che mi credete astioso, intrattabile o misantropo, o che come tale mi rappre-sentate, quale torto mi fate! Voi non conoscete le segrete ragioni per cui vi appaio tale.. Il mio cuore e il mio animo, fin dall'infanzia, erano inclini al dolce sentimento della benevo-lenza e mi sentivo anche chiamato a compiere grandi opere. Ma pensate che da ormai sei anni soffro un male inguaribile, aggravato dall’ignoranza di medici incapaci che, deluso di anno in anno nella speranza di un miglioramento, alla fine sono ridotto alla prospettiva di un male cronico (la cui guarigione richiederà forse molti anni o sarà addirittura impossibi-le). Nato con un temperamento vivace e ardente, non alieno anche dalle distrazioni offerte dalla società, ancor giovane fui costretto a mettermi in disparte e trascorrere la mia vita in solitudine. E se pur talvolta cercavo di superare tutto questo, oh con quale durezza venivo respinto dalla rinnovata triste esperienza della mia sordità! Eppure, non mi era ancora pos-sibile dire alla gente: «Parlate più forte, gridate, perché sono sordo». Ah, come avrei potuto rivelare la debolezza di un senso, che in me dovrebbe essere ancor più perfetto che in qua-lunque altro! – Un senso che una volta possedevo allo stato di grandissima perfezione, una perfezione che certo poche persone della mia arte hanno o hanno mai avuto. Oh, non posso! Perdonatemi dunque, se mi vedrete trarmi in disparte, mentre avrei provata tanta soddi-

20 L. V. BEETHOVEN, Epistolario, a cura di Sieghard Brandenburg (traduzione italiana di Luigi Della Croce), vol. I - Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Skira ed., Milano 1999, vol. I, p. 394. 21 LUDWIG VAN BEETHOVEN, Testamento di Heiligenstadt, trad. Ch. Springer, Verlag Doblinger, Wien-München 1957, pp. 40-41.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

20

sfazione a unirmi a voi. La mia disgrazia mi è doppiamente penosa perché devo ad essa an-che l’incomprensione. Per me non vi è più distrazione di sorta nella società degli uomini, non mi è dato di partecipare alle sottili conversazioni, alle scambievoli confidenze. Comple-tamente isolato, io posso frequentare gli altri quasi solo quel tanto che lo richiedono le indi-spensabili necessità; sono costretto a vivere come un proscritto. […] Avvenimenti simili mi portarono quasi alla disperazione e poco mancò che io non ponessi fi-ne alla mia vita. Solamente essa, l’Arte mi ha trattenuto. Ah, mi pareva impossibile di la-sciare il mondo, prima di aver prodotto tutto quello al quale mi sentivo portato, e così pro-lungai questa vita miserabile – e miserabile davvero -; con un fisico talmente eccitabile, che un mutamento un po’ brusco può farmi precipitare da una condizione eccellente nella peg-giore. – Pazienza! Proprio così, e devo ora eleggerla a guida; ne ho e spero che possa essere duratura la mia risoluzione di resistere fino al giorno in cui alle Parche inesorabili piacerà di recidere il filo della mia vita. Forse migliorerò, forse no, son rassegnato. Essere costretto a diventare filosofo a soli 28 anni – quanti ne ho - non è facile e ancora più difficile per un artista che per chiunque altro. Divinità, tu che dall’alto scruti il mio intimo, tu che lo cono-sci e sai che vi albergano l’amore per gli uomini e l’aspirazione di fare del bene. O uomini, se un giorno leggerete queste mie parole, riflettete che mi avete fatto torto; e il misero si conforti nel ritrovare in me un suo simile il quale, malgrado ogni ostacolo della natura, ha tuttavia fatto quanto era in suo potere per entrare nel novero degli artisti e degli uomini degni. Voi fratelli miei, Carl e [Johann], non appena sarò morto, pregate il professor Schmidt a mio nome, se sarà ancora vivo, di descrivere la mia malattia; e unite alla storia della mia malattia questo mio scritto, affinché – almeno per quanto è possibile - il mondo si riconcili con me dopo la mia morte […].

L’Arte, dunque, come salvezza dell’uomo, secondo le parole di Beethoven appena riportate. E l’Artista che sente il bisogno di creare per gli altri. Atteggiamenti che rimandano al Romanticismo. Eppure Beethoven non fu affatto romantico né per formazione, né per esiti formali e stilistici. Ma fu probabilmente il primo composi-tore che nelle sue opere raccontò se stesso, mescolando l’arte con la vita. Il carattere indipendente di Beethoven si riflesse sul suo modo di comporre. Non oppresso da obblighi di corte, programmò la propria produzione in maniera asso-lutamente libera. Alternò fasi d’intensa attività a periodi di apparente stasi du-rante i quali annotava temi, studiava soluzioni musicali nuove. Quando si trovò a scrivere su commissione, quasi mai rispettò i tempi di consegna. Firmava con-tratti per le stesse opere con più editori e spesso quando ancora non aveva scritto neppure una nota. Dilatò i propri lavori e calò numericamente la produzione. Non si curò dell’esecuzione. E la sua musica, soprattutto quella della tarda maturità, spesso sorprese, al suo primo apparire, non solo il pubblico, ma gli stessi esecuto-ri. Il rapporto con gli editori Il 29 giugno 1801 Beethoven scriveva da Vienna al suo amico di Bonn Franz Ger-hard Wegeler, per relazionarlo sulla sua situazione nella capitale asburgica22:

[…] Vuoi sapere qualche cosa della mia situazione; ebbene, non sarebbe poi tanto cattiva. Dall’anno scorso Lichnowsky […] mi ha assegnato una somma fissa di 600 fiorini, alla quale posso sempre attingere finché non avrò trovato un posto che mi convenga. Le mie composizioni mi rendono molto e posso quasi dire di avere più or-dinazioni di quante ne possa soddisfare. Per ogni mio lavoro ho sei, sette editori e

22 L.V.BEETHOVEN, Epistolario, a cura di Sieghard Brandeburg – trad. Luigi Della Croce, Skira, Milano, 1999/2002, vol. I, pp.175-178

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

21

ancora più se mi premesse d’averne; non si discute più con me; io chiedo e loro pa-gano. Ammetti che non è mica male come situazione. Faccio un esempio: vedo un amico in difficoltà e le mie finanze non mi permettono di aiutarlo subito; non ho che da mettermi a tavolino e in breve è servito. Sono inoltre diventato più parsimonioso di prima. Se dovessi rimanere sempre qui, sono sicuro che riuscirei a organizzare ogni anno un’accademia a mio favore, come ho già fatto varie volte. […]

La dote annua Il 1° novembre 1808 Beethoven indirizzava una lettera all’amico barone Ignaz von Gleichenstein23:

Barone scostumato – ieri t’ho atteso inutilmente – […] Mi hanno fatto la bella pro-posta di diventare maestro di cappella del re di Westfalia – mi pagheranno bene – devo solo dire quanti ducati voglio ecc. – vorrei discutere questa offerta con te […]

Napoleone aveva assegnato il regno di Westfalia al fratello Gerolamo e questi a-veva offerto tramite il suo maestro di cappella Reichardt un incarico a Beethoven. La proposta era per Beethoven allettante per varie ragioni: da una parte otteneva finalmente un incarico e un riconoscimento ufficiale che cercava da tempo; dall’altra questa richiesta gli arrivava dal fratello di Napoleone, personalità dalla quale era sempre stato, nel bene e nel male, affascinato. E infine aveva la possibi-lità di lasciare Vienna della quale sempre più spesso parlava in termini negativi. Il progetto sembrava doversi davvero concretare. Il 7 gennaio 1809 il musicista scriveva agli editori Breitkopf & Härtel di Lipsia24:

[…] Ho accettato l’offerta di Sua Maestà il re di Westfalia di stabilirmi là come maestro di cappella, con uno stipendio annuo di 600 ducati d’oro. Ho appena spedi-to con la posta di oggi una lettera in cui confermo che ci andrò e ormai non aspetto altro che il decreto di nomina per fare i preparativi per il viaggio. […]

Quando ormai pareva che tutto fosse deciso (e chissà a questo punto come sareb-be cambiata la carriera di Beethoven e quale indirizzo avrebbe preso la sua pro-duzione) ci fu il colpo di scena. Alcuni amici nobili di Beethoven lanciarono un appello all’alta aristocrazia perché fosse scongiurato il pericolo di “perdere” Bee-thoven. E tre autorevoli nobili viennesi raccolsero l’appello impegnandosi a ver-sare una dote annua al musicista alla sola condizione che non lasciasse Vienna. I tre nobili erano il principe Kinsky, il principe Lobkowitz e il ventenne arciduca Rodolfo, fratello minore dell’imperatore, destinato a una carriera ecclesiastica e amico di Beethoven per tutta la vita. Si riporta qui di seguito una parte del “contratto” proposto a Beethoven dai tre nobili benefattori25:

Le prove che il signor Louis van Beethoven quotidianament ci ha dato del suo ta-lento straordinario e del suo genio di compositore ci hanno suggerito l’idea di offrir-gli l’opportunità di superare le più splendide previsioni che siamo autorizzati a

23 L.V.BEETHOVEN, Epistolario, op. cit. vol. II, pp.46-47. 24 L.V.BEETHOVEN, Epistolario, op. cit. vol.II, pp.59-60 25 In G. CARLI BALLOLA, Beethoven, Edizioni Accademia, Miulano 1975, p.71.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

22

fondare sui risultati attuali. Poiché d’altronde è dimostrato che l’uomo non può in-teramente votarsi alla sua arte se non a patto di essere libero da ogni preoccupa-zione materiale e che soltanto a tale condizione egli può cercare quelle opere grandi ed elevate che sono la gloria dell’arte, i sottoscritti hanno preso la decisione di porre il signor Louis van Beethoven al sicuro dal bisogno, togliendo di mezzo gli ostacoli miserabili che potrebbero opporsi al volo del suo genio. Di conseguenza i sottoscritti si obbligano a versargli annualmente la somma di quattromila fiorini…. A unica condizione che il signor Beethoven si obblighi a fissare il suo domicilio a Vienna do-ve abitano i firmatari del contratto o in altra città della Corona austriaca.

La dote annua in realtà fu di breve durata per le disavventure nelle quali si tro-varono due dei tre nobili artefici della iniziativa: il principe Lobkowitz dilapidò il proprio patrimonio, fu posto sotto curatela per intervento dell’imperatore e i cu-ratori non riconobbero l’impegno assunto con Beethoven fino al 1815 quando una sentenza del tribunale diede ragione al musicista; il principe Kinsky morì caden-do da cavallo nel 1812 e anche in questo caso Beethoven dovette ricorrere al tri-bunale per ottenere quanto gli spettava. Ma, al di là delle questioni concrete, resta il gesto simbolico assolutamente nuovo e straordinario: un musicista veniva pagato non per prestare la propria opera, come era accaduto fino ad allora, e dunque servire un nobile, ma con il solo obbli-go di non lasciare una città che si sentiva onorata di averlo tra i propri cittadini. Un rovesciamento totale dei valori. Un contratto-invito Nel 1817 l’ex allievo Ferdinand Ries che viveva a Londra scrisse al compositore per invitarlo da parte della Società Filarmonica nella capitale inglese. Si legge in una lettera del 9 giugno 181726:

[…] Verrà accolto a braccia aperte da amici e per dargliene almeno un segno con-creto sono incaricato di offrirle a nome della direzione della Società Filarmonica 300 ghinee alle seguenti condizioni: 1°: essere l’inverno prossimo qui a Londra 2°: scrivere per la Società Filarmonica due grandi sinfonie che dovranno restare di proprietà di quest’ultima 3°: impegnarsi a non produrre né a dirigere personalmente composizioni per gran-de orchestra, per nessun concerto londinese prima che i nostri otto concerti che si iniziano alla fine di febbraio e finiscono a metà giugno, siano terminati o durante, senza il perme4sso della Società Fil. (non difficile da ottenere). Non creda che in-tendiamo legarLe le mani, è solo in caso di necessità se per esempio una società di concerti concorrente che abbiamo già battuto una volta volesse rifarsi e quei signori potessero immaginare di usarLa contro di noi anziché a nostro favore, e un suo ri-fiuto personale potesse in pari tempo attirarle molte inimicizie, mentre in questo modo tutto ricadrebbe sulla nostra direzione ne a noi non importerebbe nulla! Tutti noi Le siamo sinceramente affezionati e credo che qualsiasi occasione di favorire i Suoi progetti ci farebbe molto più piacere che imporLe una benché minima limita-zione.

26 L.V.BEETHOVEN, Epistolario, op. cit. vol.IV, pp.94-95.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

23

4°: non apparire pubblicamente in orchestra in nessun concerto, prima che si siano svolti i primi due nostri concerti, salvo se Lei stesso voglia dare un concerto, anzi Lei può dare tanti concerti quanti ne riterrà utili. 5°: essere qui prima dell’8 gennaio 1818 e quando i concerti saranno terminati non contrarre alcun impegno se non con la Società alla quale per il futuro darà la prefe-renza nel caso che Le potessimo offrire le stesse condizioni di altre. 6°: in caso di accettazione dell’ingaggio potrà avere eventualmente un anticipo di 100 ghinee per le spese di viaggio…[…]

Niccolò Paganini, divo e manager

Se avrai l’opportunità di leggere alcuno dei vari fogli pubblici inglesi, scorgerai qua-le specie d’inaudito entusiasmo, anzi frenesia senza esempio, ho suscitato ne’ freddi Britanni […] Il Teatro tutto, platea, palchi, galleria, pareva un mare in tempesta, tanto per lo strepito delle voci e delle mani, quanto per l’ondeggiare dei fazzoletti e di cappelli menati per l’aria. Tutto l’uditorio, quasi per moto involontario si trovò salito sulle panche e sulle sedie della platea […]. L’entusiasmo non rimase nelle mura del Teatro: ovunque apparisco o per le strade o altrove, le persone si fermano, mi seguono e mi si affollano intorno. Ripeterò una frase del “Times”: “Tu forse non crederai la metà di quel che io ti dico, ed io non ti dico che la metà di quel che è” […]27.

Scriveva così, nel giugno 1831, Paganini all’amico Germi commentando le sue trionfali esibizioni a Londra. I freddi britanni come i tedeschi, i polacchi, i france-si, e ancor prima gli italiani, si erano lasciati conquistare dall’estro del genovese abbandonandosi a scene di plateale entusiasmo. Nell’Europa di primo Ottocento Paganini fu una sorta di fulmine a ciel sereno, rappresentò l’artista nuovo in grado di stupire le folle e di affascinare i colleghi, anche quelli più esigenti. Una personalità incredibile, unica, destinata a diventa-re un modello per le generazioni successive. Paganini è stato il primo grande “divo” della musica strumentale, l’antesignano delle tante star di oggi, capaci di provocare l’isterismo collettivo durante un con-certo, di dettare la moda, di influenzare il comportamento d’intere generazioni. Ha anticipato, sotto questo aspetto, le stelle rock del nostro tempo: la mia gene-razione ricorda bene l’isterismo che accompagnava le prime tournée dei Beatles, dei Rolling Stones o più recentemente dei divi del pop come Madonna o Michael Jackson o i Queen. Ha capito, per primo, il valore dell’immagine e dell’autopromozione e ha sfruttato a proprio favore leggende, dicerie, per diventare un mito. «Paganini che non ripe-te», «Paganini che fa il patto con il diavolo», «Paganini che suona su una corda so-la», «Paganini che suona nei cimiteri»: leggende che non volle mai smentire e che, del resto, non erano del tutto infondate. Certo non fece mai il patto con il diavolo: ma non ripeteva perché, semplicemente, il più delle volte improvvisava, gli capitò di suonare su una corda sola e di esibirsi in un cimitero. D’altra parte visse in un’epoca in cui l’arte cimiteriale e il culto dei morti affascinavano poeti e musici-sti (si pensi al nostro Foscolo e ai suoi magnifici Sepolcri).

27 In A.CODIGNOLA, Paganini intimo, edito a cura del Municipio di Genova, 1935, pp. 339-340.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

24

L’eredità di Paganini fu raccolta nel Romanticismo, non solo dai violinisti, ma an-che dai pianisti. Quando l’artista genovese trasformava il violino in un’orchestra per intensità, varietà delle voci, giochi di timbri, Beethoven scriveva sonate che richiedevano un pianismo orchestrale. La musica, insomma, tendeva a forzare i limiti del singolo strumento. E questa lezione fu accolta dal Romanticismo che fe-ce del pianoforte la sua “voce” orchestrale, duttile, capace di qualsiasi sfumatura: lo trasformò accogliendo il sonatismo beethoveniano e inserendovi il tecnicismo paganiniano. Un tecnicismo, va sottolineato, non fine a se stesso, ma carico di presupposti espressivi ed emozionali, sulla stessa scia in cui parallelamente si poneva il virtuosismo vocale di Rossini. Ma l’arte di Paganini non si esaurisce solo in acrobazie virtuosistiche: se così fos-se non conteremmo oggi decine di compositori che alla sua musica si sono ispirati, da Schubert a Chopin, da Schumann a Brahms, da Liszt a Rachmaninov. In real-tà, Paganini è stato il più grande violinista di tutti i tempi ma è stato anche un geniale compositore figlio del suo tempo, amico e contemporaneo di Rossini e Do-nizetti, oltre che un abile direttore d’orchestra. Nato a Genova nel 1782, Nicolò Paganini cominciò a studiare chitarra e violino sotto la guida del padre che era un “ligaballe” (cioè uno scaricatore nel porto) e un musicista dilettante, commerciante in strumenti. Nel 1795, con l’aiuto di un nobi-le genovese, il marchese Di Negro, Paganini si recò a Parma, per studiare con Alessandro Rolla, uno dei violinisti più autorevoli del tempo. Di lì a poco avrebbe avuto l’incarico di primo violino e direttore dell’Orchestra della Scala e sarebbe andato a insegnare al Conservatorio di Milano. Il rapporto fra Rolla e Paganini durò poco. Il maestro dichiarò di non avere nulla da insegnare al giovane allievo e lo spedì a perfezionarsi nell’armonia da un altro musicista. Nella carriera di Paganini possiamo individuare quattro fasi. Un primo periodo, dunque, a Lucca al servizio di Elisa Baciocchi sorella di Napo-leone. Alcuni anni trascorsi come musicista di corte, in situazione, tuttavia privi-legiata, dal momento che la nobile padrona aveva un debole per il suo Virtuoso con il quale intrecciò, si dice, una relazione. Risale a questo periodo, probabilmente l’acquisizione da parte di Paganini del Cannone, il suo magico Guarneri del Gesù del 1743. Poi dopo il primo decennio dell’Ottocento, Paganini diventò libero professionista, lasciò la corte di Lucca e girò l’Italia tenendo concerti e stupendo le folle. Nel 1828, Paganini ritenne giunto il momento di tentare la carta europea. Salì a bordo di una carrozza attrezzata con un tavolino per poter scrivere la musica e partì per la tournée. Prima tappa Vienna e a seguire tutte le principali città del centro Europa, della Francia e dell’Inghilterra, come si vedrà anche più avanti. Un tour de force impressionante fino al 1835. L’ultimo periodo riguarda gli ultimi cinque anni spesi fra Parma dove divenne maestro di cappella di Maria Luigia e avviò una importante carriera di direttore d’orchestra, la Francia dove tornò di tanto in tanto alternandola a sporadiche ap-parizioni nella sua Genova. La morte giunse a Nizza nel 1840.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

25

La tournée europea – Paganini manager La tournée europea fu un’avventura straordinaria e unica. Fino ad allora i grandi divi del palcoscenico erano i cantanti. Paganini si impose grazie ad una personali-tà assolutamente nuova che affascinava i musicisti, ma colpiva l’immaginazione del pubblico normale. Seguire gli intricati spostamenti di Paganini da una città tedesca all’altra è al-quanto difficile. Vale però la pena riportare una sua lettera indirizzata da Car-lsruhe a Germi il 12 dicembre 1829, una sorta di riepilogo finanziario, ma non so-lo, dell’anno che stava ormai volgendo al termine28:

Amico carissimo, non vedo il momento di esternarti quanto sento l’amicizia per te. Se avrò salvo il capitale di Bologna lo dovrò a te. Godo dell’impiego che fai dei fiorini 36 mila e quando vorrai potrai disporre del rimanente. Per tua norma, eccoti una piccola nota delle rimesse fatte a Arnstein ed Eskeles a Vienna. Vienna frs. 20.000; Vienna frs. 5.000; Praga frs.6.600; Dresda frs. 4.000; Berlino frs. 12.850; Berlino frs. 3.589; Varsavia frs. 11.605; Varsavia frs. 2.000; Breslau frs. 3.500; Francoforte sul Meno frs. 6.500; Francoforte sul Meno frs. 2.411; Lipsia frs. 5.000; Magdeburg frs. 3.303; Nüremberg frs. 5.581; Monaco frs. 4.214; Stüttgart frs. 3.826. Totale in fiorini di convenzione 99.979….

Più che la lettera di un musicista, sembrano gli appunti di un commercialista! Il documento soprariportato mette in luce un aspetto estremamente importante del-la personalità di Paganini,: l’attenzione per il denaro. Tutta la vita l’artista geno-vese fu uno scrupoloso amministratore e, in un’epoca in cui non era richiesto, te-neva una puntigliosa contabilità. Ancora, il 15 gennaio 1832, Paganini scrive all’amico Germi29:

Partito da Londra per l’Irlanda vedi quanti concerti ho dato cominciando al festival a Dublino ed in altre città dell’Irlanda, della Scozia e qui in Inghilterra. 65 Concerti cominciando il 30 agosto 1831 fino al 14 gennaio 1832. Nota bene che per 5 settimane fui malato e non ho dato concerti. Dunque lì 65 li ho dati

28 In A.CODIGNOLA, op. cit., p 298. 29 In A.CODIGNOLA, op. cit., pp. 354-356.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

26

nell’intervallo di 3 mesi circa toccando 30 città a quattro cavalli in compagnia di una cantante.

E il 18 aprile 1832 informò Germi di aver tenuto fra il marzo 1831e il marzo 1832 ben 151 concerti, 4 dei quali per beneficienza. Una contabilità attenta e rigorosa quella del nostro musicista. E’ a questo proposito estremamente interessante il Libro Mastro dei conti custo-dito nella Biblioteca del Conservatorio “N. Paganini” di Genova. Il Libro riporta entrate e uscite per ogni concerto tenuto nella prima parte della sua tournèe, più o meno fino alla metà del 1831. In particolare il Libro contiene annotazioni sui concerti tenuti dal 29 marzo 1828 a Vienna al 10 maggio 1831 a Calais, relativi dunque ai primi tre anni della sua straordinaria tournèe europea. Le città sono elencate in ordine alfabetico, le annotazioni sui concerti, di pugno in massima parte dei suoi segretari, Lazzaro Rebizzo e Paul David Curiol oltre a specificare la città, la data, l’introito, si diffondono anche in minuti particolari: con chi, per esempio, e a quali condizioni veniva stipulato il contratto, quanti i bi-glietti d’ingresso e a quale prezzo erano venduti. Inoltre un accurato elenco delle uscite di fronte alla lista delle entrate in fiorini, talleri prussiani o franchi france-si. Va tra l’altro ricordato che all’epoca il concertista doveva, in molti casi, farsi cari-co delle spese per organizzare un concerto: spese che riguardavano il noleggio del teatro, l’illuminazione, la paga degli orchestrali ecc. Il Libro Mastro costituisce un documento pressochè unico che avvalora l’immagine di Paganini pioniere del mo-derno concertismo. Prendiamo in considerazione il quarto concerto tenuto da Paganini a Vienna il 4 maggio 1828.

Paganini riporta le seguenti entrate 322 biglietti di galleria a 4 f 1288 1463 biglietti di parterre a 2 f. 1926 Tot 4214

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

27

Le uscite annotate sono le seguenti Permissione della sala per parte della direzione I.B. del Burgtheater con la permissione del magistrato e quietanza 100 Permissione della polizia con quella della reggenza 6,6 Stampatore per manifesti piccoli e grandi 12,6 Distributore di manifesti 3,36 Spese della sala con illuminazione ed altre cose 123,14 Personale dell’orchestra 128 Cassieri, controllori, Bigliettieri 26,48 Spese diverse 12,10 Tot. 412 Ne deriva che il ricavo di Paganini ammonta a 3802 fiorini ossia 10406 lire au-striache. Utilizzando la tabella del corso del cambio su Milano che nel 1829 indi-cava una media annua di 84,82 lire per 100 lire austriache, si può convertire tale somma in circa 8.826,89 lire nuove. Un altro esempio. L’8 aprile 1831 Paganini suonò a Parigi. L’introito risulta di 16063 franchi, un terzo destinato all’impresa per un importo di 5354,33: il resto, 10708,67 franchi spettò al violinista. Convertire in lire (con analoga tabella a quella usata in precedenza) si arriva a 10.617,65 lire Ma quanto guadagnava Paganini che aveva contatti con banchieri un po’ ovunque in Europa, da Rotschild a Arnstein e Eskeles a Luigi Bartolomeo Migone? Per fare il calcolo ci siamo affidati a una serie di tabelle di conversione ufficiali tratte dal testo di Giuseppe Felloni Corso delle monete e dei cambi negli Stati Sabaudi dal 1820 al 1860 e al Valore della moneta in Italia dal 1861 al 2002. Il biografo Lange ha fissato in 54.000 talleri l’introito finanziario complessivo re-lativo al 1829.

Trasformando i talleri in lire nuove piemontesi (un tallero valeva circa 5,24 lire nel 1832) si ottiene una conversione pari a 282.960 lire nuove. Considerando che il valore delle lire piemontesi non si è modificato sensibilmente fino all’unità

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

28

d’Italia, applicando alla somma sopraindicata il coefficiente di rivalutazione del 1861 si ottiene un importo di 2.116.486.981 lire (valore del 2002), pari, ancora, a 1.093.074,30 euro attuali! Paganini non poteva, insomma, lamentarsi, anche se le somme guadagnate gli costavano una fatica inaudita, che avrebbe avuto ripercussioni pesanti su un fisi-co già alquanto provato dalle malattie e dalle cure mercuriali. Per capire meglio la portata dei guadagni di Paganini può essere utile approfon-dire quanto costava all’epoca la vita e quali potevano essere gli stipendi medi. Facciamo dunque alcuni esempi. Alcuni stipendi Nel 1826 un docente universitario a Genova percepiva uno stipendio annuo di 1.333 lire pari a 9.970.586,4634 lire del 2002 che in euro corrisponderebbero a 5.149,38 euro. Nel 1851 alla trasformazione della Scuola Gratuita di Canto in Civico Istituto (l’attuale Conservatorio Paganini) il direttore Giovanni Serra percepiva una sti-pendio annuo di 1.500 lire dal quale tratteneva 300 lire per la pensione. Il 30 dicembre 1850 veniva approvata una Delibera comunale che fissava l’organico dell’Orchestra Civica del Carlo Felice e determinava gli stipendi dei singoli componenti.

Nel 1865 in un lungo articolo il “Corriere Mercantile” criticava il livello dell’insegnamento del Civico Istituto e fra le cause indicava le basse retribuzioni dei docenti, comprese fra le 250 e le 700 lire annue. Può essere ancora utile rifarsi ai registri di contabilità dell’Archivio della Fami-glia Brignole Sale custoditi nell’Archivio Storico del Comune. In particolare il re-gistro delle “Spese di casa” (la famiglia possedeva Palazzo Rosso in via Garibaldi) negli anni 1826-1832. Non se la passava male il cuoco che percepiva uno stipendio mensile di circa 100 lire.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

29

I precettori delle figlie del Marchese avevano un compenso variabile: il maestro di scrittura riceveva 20 lire per 12 lezioni, quello di ricamo 36 per 24 lezioni, quello di inglese 24 per 12 lezioni. Nel 1827 il maestro di musica ricevette 36 lire nel mese di febbraio ma non sappiamo quante lezioni impartì. Nel 1830 il Marchese pagò 100 lire l’abbonamento al Carlo Felice per la stagione di Carnevale, mentre nel 1829 l’abbonamento a sei mesi della “Gazzetta di Geno-va” costava 66 lire. Nel 1852 il Questore di Genova percepiva 4.000 lire oltre all’alloggio gratuito. Facciamo un passo in avanti e la legge del 6 novembre 1859 fissava gli stipendi dell’amministrazione centrale con questi parametri: Ministro 25.000 lire Segretario 8.000 Capo Divisione 6.000 In una tabella Giuseppe Felloni ha riportato anche la spesa annuale di una fami-glia media fra il 1844 e il 1846:

Nel 1852 Hector Berlioz, legato tra l’altro da una profonda amicizia a Paganini (non dimentichiamo che Paganini gli fece dono di 20.000 franchi dopo aver ascol-tato la sua Sinfonia Fantastica!) pubblicò un libro Le serate d’orchestra in cui al-ternava saggi critici acuti a articoli dalla pungente ironia. Tra questi, anche un “saggio filosofico” dal titolo “Rivoluzione del tenore attorno al pubblico”. In questo lungo e divertente brano, Berlioz faceva i conti in tasca a un primo tenore ingag-giato dall’Opera di Parigi30:

Il primo tenore ha uno stipendio di 100.000 franchi, canta circa 7 volte al mese, cioè 84 volte all’anno, guadagnando più 1.100 franchi per sera. Adesso immaginate una parte comprendente 1100 sillabe o note: avremo 1 franco per sillaba. Così nel Guglielmo Tell “La mia presenza per voi è forse un oltraggio, Matilde, i miei passi

30 H. BERLIOZ, Le serate d’orchestra, a cura di M. Biondi, Edt, Torino 2006.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

30

indiscreti hanno osato giunger a voi”. Totale 34 franchi. Questo è oro! Come abbiamo ricordato poco fa, nel 1831 per un concerto a Parigi Paganini ave-va percepito un compenso di circa 10.617 lire. Quasi dieci volte il compenso di un divo del canto! Un programma di Accademia Come si articolava all’epoca un concerto (detto in genere Accademia)? Prendiamo a titolo d’esempio il programma della prima esibizione viennese di Paganini alla Grosse Redoutensaal.

1) Ouverture del Fidelio di Beethoven 2) Concerto per violino nei tempi Allegro maestoso, Andante Cantabile e Rondò Al-

legretto (quest’ultimo con accompagnamento di campanello) 3) Aria di Paer cantata dalla signora Bianchi 4) Sonata Militare per la quarta corda composta ed eseguita dal concertista con ac-

compagnamento d’orchestra 5) Rondò Non lusingarti o barbaro del signor Romani, cantato dalla signora Bianchi 6) Larghetto e Variazioni per violino sul Rondò dell’opera La cenerentola di Rossini

composte ed eseguite dal concertista. Il primo concerto tenuto a Praga (1° dicembre 1828) prevedeva invece :

1) Ouverture dal Flauto magico di Mozart 2) Un’aria di Mercadante cantata dal soprano Ernst 3) Concerto in si minore di Paganini 4) Ouverture dall’Oberon di Weber 5) Un’aria di Rossini 6) La Sonata Militare 7) Ouverture di Spontini 8) Un duetto dall’opera Sargino di Paer 9) Variazioni dalla Cenerentola di Rossini

L’Accademia prevedeva, dunque, in generale, una partecipazione variata. Inter-veniva di frequente una cantante (in questo caso era la compagna di Paganini) e si alternavano brani diversi con l’ospite principale naturalmente collocato nei momenti fondamentali della serata. Si può ricordare che il moderno recital con un solo artista impegnato in un pro-gramma eseguito a memoria fu inventato da Franz Liszt che rivoluzionò la tipo-logia di esecuzione in pubblico. Giuseppe Verdi Premessa “Sono solo un uomo di teatro”, soleva dire Giuseppe Verdi, respingendo, in tarda età, la definizione di “grande compositore”. In realtà Verdi è stato uno straordi-nario drammaturgo che ha avuto una concezione estremamente unitaria e com-patta dell’opera, assumendosi la responsabilità non solo della musica, ma dello spettacolo nella sua globalità. Il suo teatro mostra una continua ricerca sul piano non solo musicale, ma anche drammatico e psicologico. Verdi schiavizzò i librettisti. Intervenne sempre più de-

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

31

cisamente nel corso della carriera nella scelta dei soggetti; chiedeva soprattutto «situazioni» (la parola scenica), vicende drammatiche e personaggi affascinanti in grado di reggere la scena e di suggerire un discorso musicale coinvolgente. Il tea-tro verdiano fu sempre sostenuto da una grande forza morale: in ogni opera il musicista lasciò un insegnamento, frutto di un profondo impegno umano e socia-le. Erede di Rossini e Donizetti, Verdi sviluppò la struttura del melodramma ita-liano giungendo attraverso una perfetta integrazione delle forme chiuse (la gran-de trilogia della maturità: Rigoletto, Trovatore e Traviata) all'abolizione delle stesse con Falstaff. Interessante osservare che in Verdi, sulla scorta di quanto fatto, appunto da Ros-sini e Donizetti, i singoli numeri non vennero più concepiti come elementi isolati, ma come componenti di una struttura globale in cui ciascuno di essi acquista for-za e significato dalla sua relazione con ciascuno degli altri. Di Verdi colpiscono inoltre le date che delimitano l'esistenza e l'attività. Nel 1813, quando nacquero Verdi e Wagner, Beethoven terminava la Settima e Rossini apriva la serie dei suoi capolavori con Tancredi e L'Italiana in Algeri. Alla morte di Verdi, nel 1901, ormai scomparso da anni Wagner, Puccini aveva appe-na rappresentato Tosca, Strauss aveva chiuso la stagione dei poemi sinfonici e si apprestava ad affrontare il teatro, Schoenberg stava scrivendo i Gurre Lieder. Sul piano storico, l’Europa del 1813 era attraversata dalle truppe napoleoniche e l’Italia era per ricordare Metternich un’”espressione geografica”. Nel 1901 l’Italia era unita, l’assetto europeo totalmente cambiato, la società viveva spinte interne diverse, l’imperialismo coloniale creava nuovi rapporti e nuovi equilibri interna-zionali. Verdi, dunque, fu testimone diretto di un periodo storico estremamente denso e articolato. Fu artista “popolare” (oggi si direbbe “nazionalpopolare”), nel senso che tutte le classi sociali si riconobbero in lui: frequentò i salotti aristocratici di Milano, ma non tradì mai le sue origini contadine, sedeva nel Parlamento italia-no e continuava a curare personalmente le sue terre, brindava a champagne, ma non disdegnava il lambrusco. Per questo può essere considerato, accanto a Manzoni, la figura più rappresenta-tiva del nostro Ottocento culturale. E per questo affrontare il suo teatro, significa anche ripensare a tutto l’Ottocento italiano nelle sue molteplici esperienze e con-traddizioni storiche, sociali, letterarie, musicali. Il Risorgimento Il quadro politico definito dal Congresso di Vienna fu messo in discussione assai presto da movimenti indipendentisti che nel corso dei decenni crebbero di peso fi-no a portare a radicali cambiamenti dell’assetto europeo. Al 1820 risale la rivoluzione carbonara scoppiata a Napoli che si estese in breve in altre parti della penisola. La repressione di quei moti fu ovunque durissima. A Milano Silvio Pellico fu arrestato insieme a Piero Marioncelli e condannato a morte come sovversivo. La pena fu poi commutata in carcere duro. Internato allo Spielberg, Pellico vi rimase per dieci anni. Nel luglio del 1830 scoppiò la rivoluzione a Parigi che ebbe ripercussioni in altri Paesi, Italia compresa, ma ogni tentativo fu facilmente sedato. Mancava ancora

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

32

una diffusa coscienza indipendentista e unitaria. I moti erano, allora, iniziativa di pochi borghesi che si muovevano nella indifferenza (o addirittura ostilità) tanto delle classi nobili, quanto del popolo. Dopo i moto del 1830 si aprì una fase di riflessione. Fu allora che Giuseppe Mazzini creò la “Giovine Italia” (1831). “Ora e sempre” dichiarava Mazzini, si sarebbe combattutto per arrivare ad una Italia repubblicana, unitaria, libera e indipendente. Nel 1848, non a caso definito la “primavera dei popoli” parve che finalmente qualcosa potesse accadere. Nel 1846 alla morte di Gregorio XVI era salito sul soglio di Pietro il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti con il nome di Pio IX. Il nuovo Papa veniva da una famiglia di conti italiani nella quale, secondo il vecchio Gregorio XVI anche il gatto sarebbe stato liberale. Proprio per questo Pio IX era inviso a Metternich e, naturalmente, visto con grande simpatia dai patrioti. La svolta romana accese l’entusiasmo dei rivoluzionari italiani. A Milano il sen-timento antiaustriaco ispirò una nuova, insolita forma di lotta. Allo scopo di dan-neggiare l’erario imperiale venne decisa l’astensione dal fumo: il 3 gennaio 1848 scoppiarono tafferugli tra la polizia e gli scioperanti che strappavano i sigari dalle bocche dei passanti. Nel successivo mese di febbraio Marx e Engels scrissero il manifesto programma-tico per la Lega dei comunisti, avvio di una nuova concezione dell’economia, della politica, della società. Negli stessi giorni Carlo Alberto concesse una carta costituzionale, detta “Statuto Albertino”. Il 22 febbraio insorse Parigi. Il 3 marzo Lajos Kossuth tenne alla Ca-mera ungherese un veemente discorso contro l’Austria. Il 13 marzo si ribellarono gli studenti e gli operai viennesi. Due giorni dopo la rivoluzione scoppiò a Buda-pest, il 17 raggiunse Venezia, il 18 Milano e Berlino. Il 23 marzo il maresciallo Radetzky comandante militare della Lombardia, per non arrischiare i propri uo-mini si ritirò nel Quadrilatero di Mantova, Peschiera, Verona e Legnago. Lo stes-so giorno Daniele Manin veniva eletto presidente della Repubblica di Venezia e Carlo Alberto sottoscriveva il proclama che segnava l’inizio della guerra all’Austria. I moti insurrezionali si espandevano a macchia d’olio. A Roma nasceva una Re-pubblica Romana retta da un triumvirato (Aurelio Saffi, Carlo Armellini e Giu-seppe Mazzini), mentre i patrioti guardavano con il fiato sospeso ai tentennamen-ti di Carlo Alberto. La sconfitta definitiva arrivò il 23 marzo 1849 a Novara dove Radetzky ebbe par-tita vinta sulle truppe piemontesi; il 23 agosto capitolò Venezia, il 4 luglio i fran-cesi schiacciarono i romani: lì, nell’assedio, morì Goffredo Mameli a soli 22 anni. Carlo Alberto prese la via dell’esilio lasciando il trono al figlio Vittorio Emanuele II che affidò il governo a Massimo D’Azeglio cui toccò tramutare l’armistizio di Vignale nella pace di Milano. Il 12 ottobre 1850 nel governo di D’Azeglio entrò il ministro Camillo Benso conte di Cavour. Nel novembre 1852 D’Azeglio si dimise lasciando il posto proprio a Cavour, destinato a diventare l’artefice principale dell’unità d’Italia. Cavour fu un abile tessitore sia in politica internazionale, sia in politica interna. Da un lato infatti lavorò con attenzione per allacciare rapporti sempre più stretti con la Francia e l’Inghilterra (fino ad arrivare a partecipare alla guerra di Cri-

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

33

mea, 1853-56, solo per poter avere una visibilità europea), dall’altra diede un for-te impulso economico interno, favorendo le comunicazioni in Liguria, aprendo i primi tratti ferroviari e restituendo a Genova un ruolo marittimo di strategica importanza. Sono gli anni in cui nacque l’Ansaldo a Sampierdarena, avvio di un processo di industrializzazione che avrebbe avuto un particolare sviluppo proprio a Genova. E sono gli anni in cui, sotto l’impulso dato da una borghesia in crescita, si avviò la costruzione di alcuni dei maggiori teatri della regione: si citano il Chiabrera a Savona (1853), il Modena di Sampierdarena (1857) il Sivori di Finale Ligure (1868), il Cavour di Porto Maurizio (1871) e il Sociale di Camogli (1876). La politica di Cavour diede i suoi frutti nel 1859 quando, dopo aver firmato un patto di alleanza con Napoleone III, il primo ministro piemontese riuscì a spinge-re l’Austria a dichiarare guerra al Piemonte. Iniziò così, il 26 aprile 1859, la seconda guerra d’indipendenza che fu una esal-tante cavalcata verso la vittoria per le truppe piemontesi e francesi e per Gari-baldi che con i suoi Cacciatori delle Alpi rappresentò una spina nel fianco delle truppe austriache. Momenti clou, il 4 giugno la vittoria a Magenta che aprì la via per Milano e le vittorie a Solferino e San Martino (24 giugno 1859) che furono tuttavia seguite dall’improvviso armistizio siglato da Napoleone III. La pace por-tò la Lombardia al Piemonte, ma lasciò il Veneto in mano agli Austriaci. Fu, in-somma, una mezza vittoria che lasciò un po’ d’amaro in bocca ai patrioti italiani. L’iniziativa passò nelle mani di Garibaldi che il 5 maggio 1860, con il tacito as-senso di Cavour, salpò da Quarto con i Mille e fece rotta su Marsala. Fra maggio e ottobre, i garibaldini sconfissero i borboni, il 21 ottobre un plebisci-to sancì l’annessione del sud e il 26 ottobre a Teano avvenne il famoso incontro fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II. Il 14 marzo 1861 a Torino il Parlamento proclamò Vittorio Emanuele II re d’Italia. Il 27 marzo fu votata Roma capitale d’Italia dopo un veemente discorso di Cavour. Nel 1865 la capitale del Regno fu trasferita a Firenze. L’anno dopo scoppiava la terza guerra d’indipendenza. L’Italia entrava in guerra a fianco della Prussia e contro l’Austria. Il 3 ottobre 1866 con la pace di Vienna, il Veneto veniva finalmente annesso all’Italia. Mancava solo Roma. Nel 1870 l’occasione per entrare nella città del Papa fu offer-ta dalla sconfitta dei francesi contro la Prussia. L’Italia, approfittando che i fran-cesi avevano dovuto lasciare la difesa di Roma, mandò i bersaglieri che entrarono per la breccia di Porta Pia. Nel 1871 la capitale fu trasferita da Firenze a Roma. L’Inno d’Italia Immaginiamo una scena d’opera, una di quelle opere di carattere risorgimentale che negli anni Quaranta dell’800 entusiasmavano le platee di tutta Italia. Non solo Verdi con Nabucco, Attila, La battaglia di Legnano, ecc. affrontava temi pa-triottici, riferimenti erano disseminati un po’ ovunque, a cominciare da Donna Caritea di Mercadante:

Chi per la Patria muor vissuto è assai

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

34

avevano cantato i fratelli Bandiera al momento della loro fucilazione, il 25 luglio 1844 nel vallone di Rovito vicino a Cosenza. Dunque, immaginiamo nel corso di un atto, il nostro eroe in scena di fronte al co-ro, il popolo. Con aria marziale e imponente, forte ed energico, a gambe ben piantate in terra, il tenore (perché di tenore certamente si tratta) attacca:

Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta

Dell’elmo di Scipio, s’è cinta la testa Dov’è la Vittoria?

Le porga la chioma Chè schiava di Roma,

Iddio la creò Il popolo ascolta, freme, si commuove e si turba e poi, pianissimo ma in modo con-citato interviene:

Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta,

dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa…

Ripete quasi a volersi convincere e il tono si rafforza in un crescendo d’emozione che lentamente dal pianissimo porta, accelerando al fortissimo:

Stringiamci a coorte Siam pronti alla morte, Siam pronti alla morte,

l’Italia chiamò Abbiamo giocato con l’immaginazione, naturalmente. Ma è un gioco solo apparen-te. Il nostro Inno (propriamente Il Canto degli Italiani) ha davvero un piglio tea-trale, è figlio di un’epoca, quell’Ottocento che in Italia vedeva l’opera non solo co-me uno spettacolo nazionalpopolare, ma come il più autentico, diretto, immediato canale di diffusione degli ideali patriottici. Ancora, come un elemento di forte unione culturale. Quando si parla del nostro Inno lo si indica in genere come l’Inno di Mameli. In un Inno patriottico, effettivamente, la parola ha tale importanza da far auto-maticamente passare in primo piano il poeta rispetto al musicista. Nel caso di Mameli, poi, va riconosciuto al patriota genovese di aver scritto versi non di cir-costanza, ma profondamente vissuti e sofferti se pensiamo che il Poeta fu davvero “pronto alla morte” e morì ad appena 22 anni nel 1849 in difesa di Roma. Tuttavia anche il musicista ha la sua rilevanza nella creazione di un Inno proprio per la capacità di trasformare dei versi in un canto di facile percezione, in grado di andare al di là del significato dei singoli versi (spesso oscuri) per stimolare la passione e il sentimento. In questo senso, del resto, anche Michele Novaro ha mostrato nell’arco della sua più lunga esistenza una coerenza morale che se non ne ha fatto un esponente di

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

35

primo piano della cultura italiana dell’Ottocento, gli ha consentito di svolgere con straordinario impegno civile un intenso lavoro di musicista e di didatta spesso al servizio della causa risorgimentale e dei ceti sociali più deboli. Nato a Genova il 23 dicembre 1818, Michele era figlio di Gerolamo Novaro, o-riundo di Dolceacqua (Ventimiglia) e macchinista del Teatro Carlo Felice; e di Giuseppina Canzio, sorella del famoso pittore e scenografo Michele Canzio, attivo nello stesso teatro. La presenza dello zio Michele fu certamente importante per Novaro. Versatile fi-gura di artista, Canzio era nato nel 1788 e sin da giovanissimo si era dedicato al-la decorazione e alla scenografia. Attivo al Teatro Sant’Agostino per diversi anni, egli affermò un proprio stile personale pronto a recepire i rapidi mutamenti di gusto del pubblico e a tradurli in disegni e realizzazioni ogni volta originali e mo-derni. Dal suo matrimonio con Carlotta (figlia di Martin Piaggio) nacque Stefano, che sposò Teresita, figlia di Garibaldi e nel 1867 architettò la fuga da Caprera dell’Eroe dei due Mondi. All’apertura del Carlo Felice, Michele Canzio fu chiamato a collaborare per le scene e in due distinti periodi, dal 1832 al 1836 e dal 1850 al 1854, ne fu anche impresario. Con il padre macchinista e lo zio artista, il destino del giovane Novaro (e del fra-tello Giambattista futuro professore dell’Accademia Ligustica) era, insomma, se-gnato. Le sue inclinazioni musicali furono assecondate e fu iscritto nella Scuola Gratuita di Canto istituita nel 1829 da Antonio Costa, ispettore di palcoscenico al Carlo Felice. Scopo della Istituzione, (da cui sarebbe poi derivato l’attuale Conservatorio Nicco-lò Paganini) preparare i futuri coristi e i futuri orchestrali del Teatro. Il 6 ottobre 1838 Novaro cantò alla prima cittadina di Gianni di Calais di Donizetti al Carlo Felice dove partecipò pure alla Marescialla d’Ancre di Nini (1840). L’attività vocale si rivelò certamente preziosa ai fini della successiva carriera di Novaro che come compositore e come didatta (i suoi principali impegni) mantenne sempre stretti legami con l’ambiente teatrale. Nel 1847 Novaro si trasferì provvisoriamente a Torino per lavorare come secondo tenore e maestro dei cori al Regio e al Carignano. E proprio a Torino compose nel giro di poche ore il suo celebre Canto degli Italia-ni. Una sera di novembre, Novaro si trovava in casa dello scrittore e patriota Lo-renzo Valerio quando arrivò Ulisse Borzino, un pittore, che proveniente da Geno-va consegnò al musicista un testo di Mameli. Novaro lo lesse ne fu colpito, abbozzò lì per lì un tema, poi corse a casa e compose l’Inno. Novaro non si limitò alla sua opera più celebre. Fu probabilmente il più appas-sionato cantore del nostro Risorgimento. Il catalogo delle sue opere comprende, infatti molte pagine corali incentrate sul tema della libertà. La attiva partecipazione di Novaro agli ideali risorgimentali si concretò non solo nella composizione di inni e canti, già citati, ma anche nella entusiastica realiz-zazione di concerti e spettacoli benefici. Novato morì povero a Genova nel 1885.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

36

Verdi politico 9 marzo 1842, Milano, Teatro alla Scala. Va in scena Nabucco, opera dell’allora quasi sconosciuto Giuseppe Verdi su libretto di Temistocle Solera. Il pubblico si abbandona a scene di entusiasmo indescrivibile. Inizia quel 9 marzo la vera e propria carriera artistica di Verdi; e inizia quel 9 marzo l’identificazione fra Verdi e il Risorgimento. Il giovane compositore di Busseto diventa l’artista simbolo dell’Italia che lotta per la propria unificazione, per la propria identità nazionale. Più avanti W V.E.R.D.I. avrebbe significato, come noto, “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”. «Verdi e la politica» costituisce un tema estremamente interessante, anche per-ché il nostro compositore ha effettivamente vissuto da protagonista quasi intera-mente il XIX secolo. Nei primi anni di carriera Verdi fu accusato di aver in qualche modo «cavalcato» gli ideali risorgimentali, varando opere d’occasione, capaci di conquistare il pub-blico. Nabucco non fu «premeditato». Verdi ricevette il libretto dall’impresario Bartolo-meo Merelli e caso mai il messaggio risorgimentale era voluto dal librettista Te-mistocle Solera. Il musicista però seppe coglierlo con immediatezza e amplificarlo attraverso un discorso vocale e strumentale vigorosamente trascinante ed eroico. Si pensi agli scatti nervosi che già si colgono nella Sinfonia d’apertura. E si pensi naturalmen-te al ruolo svolto dal coro che rappresenta il popolo, unito nel dolore, come nella voglia di riscatto. Colto il successo, Verdi replica in altri titoli di indubbio significato risorgimenta-le: si pensi a I lombardi alla prima crociata o a Attila o alla Battaglia di Legna-no, quest’ultima rappresentata la prima volta nella Roma repubblicana animata nel 1849 dalla presenza di Mazzini e Garibaldi. Bastano pochi versi efficaci a scaldare platea e loggione: «O signore dal tetto na-tio» nei Lombardi oppure l’invocazione di Ezio ad Attila «Per te l’universi, resti l’Italia a noi». Ma il pubblico è talmente sensibile e stimolato da cogliere elementi rivoluzionari e libertari anche in opere apparentemente distaccate come Ernani o addirittura Macbeth: il coro

La Patria tradita/piangendo ne invita; fratelli, gli oppressi/corriamo a salvar.

suscitò “entusiasmi e delirii” nella prima alla Pergola di Firenze (14 marzo 1847) e soprattutto nelle repliche alla Fenice di Venezia, dove i cantanti si presentarono sulla scena «portando delle sciarpe e delle coccarde tricolori». Frasi volute, cercate con astuzia da Verdi che puntava ad una piena e totale af-fermazione nel panorama del teatro italiano? Forse, ma non per questo, poco sen-tite o genuine. Verdi dimostrava in quegli anni un profondo impegno «politico».

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

37

Quando scoppiarono i moti del Quarantotto, Verdi su invito di Mazzini compose anche un Inno su versi di Mameli, Suona la tromba che il 18 ottobre 1848 inviò allo stesso Mazzini con poche parole di accompagnamento31:

Vi mando l’inno e sebbene un po’ tardi, spero vi arriverà in tempo. Ho cercato d’essere più popolare e facile che mi sia stato possibile. Fatene quell’uso che crede-te: abbruciatelo anche se non lo credete degno. Se poi gli date pubblicità, fate che il poeta cambi alcune parole nel principio della seconda e terza strofa, in cui sarà be-ne fare una frase di cinque sillabe che abbia un senso a sé come tutte le altre strofe. Noi lo giuriam... Suona la tromba ecc. ecc., poi, ben s’intende, finire il verso con lo sdrucciolo. Nel quarto verso della seconda strofa bisogna far levare l’interrogativo e fare che il senso finisca con il verso. Io avrei potuto musicarli come stanno, ma al-lora la musica sarebbe diventata difficile, quindi meno popolare e non avremmo ot-tenuto lo scopo. Possa quest’inno fra la musica del cannone essere presto cantato nelle pianure lombarde....

Un Inno, sottolinea Verdi, deve essere “facile” e quindi popolare. Gli anni successivi alla sconfitta di Carlo Alberto segnarono un significativo mu-tamento di rotta nella produzione di Verdi. Messi da parte i temi risorgimentali, relegato in secondo piano il coro, rappresentante del popolo, il musicista si con-centrò sulle passioni individuali, realizzando nella prima parte degli anni Cin-quanta la celebre trilogia popolare, Rigoletto, Trovatore, Traviata, incentrata su personaggi di forte spessore psicologico. Seguiva, però, con inalterata passionalità la situazione politica, mostrando anche una particolare generosità. Nel 1859, ad esempio, si adoperò per acquistare 172 fucili da donare alla Guardia nazionale di Busseto, che il Comune non era in gra-do di comprare. E ancora nel 1859 si entusiasmò all’intervento della Francia ac-canto ai Piemontesi. Quando Napoleone III all’improvviso firmò l’armistizio lasciando il Veneto all’Austria, Verdi rimase allibito e alla amica contessa Maffei scrisse32:

Busseto, 14 Luglio 1859 Cara Clarina Invece di cantare un Inno di gloria, parrebbemi più conveniente oggi innalzare un Lamento sulle eterne sventure del nostro paese. Unitamente alla vostra lettera ho ricevuto un Bulletino del 12 che dice... La pace è fatta... La Venezia rimane all'Au-stria..!!! E dov'è dunque la tanto sospirata e promessa Indipendenza d'Italia? Cosa significa il proclama di Milano? O che la Venezia non è Italia? Dopo tanta vittorie quale ri-sultato! Quanto sangue per nulla! Quanta povera gioventù delusa! E Garibaldi che ha per-fino fatto il sagrifizio delle sue antiche e costanti opinioni in favore d'un Rè senza ottenere lo scopo desiderato. C'è da diventar matti! Scrivo sotto l'impressione del più alto dispetto e non so cosa mi dica. È dunque ben vero che Noi non avremo mai nulla a sperare dallo straniero di qualunque nazione sia! Che ne dite voi? Forse m'inganno ancora? Lo vorrei... Addio, addio I...].

31 G. VERDI, Lettere, a cura di Edoardo Rescigno, Giulio Einaudi ed., Torino, 2012, p. 199. 32 G. VERDI, Lettere, op. cit., p.387

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

38

II 4 settembre Busseto nominò Verdi suo rappresentante all'Assemblea delle Provincie Parmensi, il 12 quest'assemblea votava l'annessione al regno dell'Alta Italia; il 15 una Delegazione di cui faceva parte Verdi era ricevuta da Vittorio Emanuele, cui presentava il voto plebiscitario di quelle province emiliane. E’ que-sto il primo atto politico pubblico di Verdi. Amico di Mazzini, estimatore di Garibaldi, repubblicano convinto, Verdi si con-vertì poi alla monarchia ed ebbe il suo idolo in Cavour. Alla fine del 1860 Cavour, tornato alla presidenza del Consiglio, aveva deciso di indire le elezioni per la formazione del primo Parlamento nazionale; e il nome di Verdi era stato ventilato per una candidatura nel collegio di Borgo San Donnino (l’odierna Fidenza), di cui faceva parte Busseto. Verdi, decisamente restio a rico-prire cariche pubbliche, oppose inizialmente un fermo rifiuto; ma questa deter-minazione si incrinò quando il musicista ricevette una lettera scrittagli il 10 gennaio 1861 da Cavour il quale, nell’invitarlo a Torino per un colloquio, lo solle-citava ad accettare la candidatura per contribuire ad allontanare il rischio che nella nuova Camera prevalessero “le opinioni superlative, le idee avventate, i propositi rivoluzionari”, concludendo l’invito con una singolare valutazione della capacità moderatrice che sui deputati delle regioni del sud avrebbe potuto avere la presenza di un artista come il musicista di Busseto33:

Essa contribuirà al decoro del Parlamento dentro e fuori d’Italia, essa darà credito al gran partito nazionale che vuole costituire la nazione sulle solide basi della liber-tà e dell’ordine, ne imporrà ai nostri imaginosi colleghi della parte meridionale d’Italia, suscettibili di subire l’influenza del genio artistico assai più di noi abitatori della fredda valle del Po.

Nelle successive elezioni, Verdi venne eletto deputato e poté così entrare, nel primo Parlamento italiano, che si aprì il 18 febbraio con musiche verdiane esegui-te dalla banda della Guardia nazionale di Torino. Nei primi mesi dopo l’elezione Verdi partecipò assiduamente alle sedute della Camera, portando in quella assemblea, come aveva dichiarato il 6 febbraio 1861 al presidente dei seggi del suo collegio, «la indipendenza di carattere, scrupolosa coscienza e ferma volontà» di collaborare «al decoro ed all’unificazione di questa nostra patria, per sì lungo tempo bersagliata e divisa dalle discordie civili». Il musicista, che nei banchi parlamentari sedette a fianco di Quintino Sella, del quale cominciò presto ad apprezzare le doti politiche e di carattere, fu tra l’altro presente alla seduta del 14 marzo 1861, che dava a Vittorio Emanuele II il titolo di re d’Italia, e a quella del 27 marzo 1861, in cui Roma venne proclamata capita-le del nuovo regno. La morte, il 6 giugno 1861, di Cavour, che era diventato il punto di riferimento politico di Verdi, lo addolorò e sconvolse profondamente, e lo privò della sua bus-sola nella difficile navigazione parlamentare. Nei decenni postunitari Verdi, che declinò ogni candidatura per le elezioni di fine 1865, guardò con una disposizione d’animo sfiduciata alle vicende politiche

33 G.VERDI, I copialettere, pubblicati e illustrati da Gaetano Cesari e Alessandro Luzio, a cura della Commissione esecutiva per le onoranze a Giuseppe Verdi nel primo centenario della nascita, Milano, 1913, pp. 588-589

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

39

dell’Italia unita, nelle quali (anche dopo la nomina a senatore, 15 novembre 1874) non intervenne più in forma attiva e che si limitò a commentare, in chiave talora eccessivamente critica e pessimistica, nelle lettere indirizzate agli amici più fida-ti. Basta leggere questa lettera indirizzata ds Sant’Agata il 27 maggio 1881 all’amico Arrivabene34:

E’ impossibile vi sia stato, vi sia, vi possa essere in avvenire un Governo così... met-terai tu l'epiteto... io non parlo di Rossi, di Bianchi, di Neri... Poco m'importa la Forma o il Colore. Guardo la storia, e leggo grandi fatti, grandi delitti, grandi virtù nei Governi dei Rè, dei Preti, delle Repubbliche!... Non m'importa, ripeto; ma quello che domando si e che quelli che reggono la cosa pubblica sieno Cittadini di grande ingegno e di specchiata onestà….».

Simon Boccanegra I contratti Riportiamo a titolo d’esempio i contratti relativi alla cessione da parte di Verdi all’editore Ricordi dell’opera Simon Boccanegra. Il contratto relativo alla prima edizione del 1857 (con accluso l’atto di cessione del libretto da parte di Piave a Verdi) è tratto da Carteggio Verdi- Ricordi 1882-1885 a cura di Franca Cella, Madina Ricordi, Marisa Di Gregorio Casati – Istituto Na-zionale di Studi Verdiani,. Parma, 1994 pp.370-371 Il contratto relativo all’edizione del 1881 è invece tratto da Carteggio Verdi-Ricordi 1880-1881, a cura di Pierluigi Petrobelli, Maria Di Gregorio Casati, Carlo Matteo Mossa, Istituto di Studi Verdiani, Parma, 1988 pp. 267-268 Busseto, li 14 febbraio 1857 Io sottoscritto Giuseppe Verdi, Maestro Compositore di musica, dichiaro colla presente di aver venduto con effettiva tradizione al Sig. Tito di Gio. Ricordi, editore di musica in Mi-lano, la piena assoluta ed esclusiva proprietà e relativo possesso dell’opera in musica in-titolata Simon Boccanegra da me composta sopra libro del Sig. Franc.o Maria Piave e da rappresentarsi sulle scene del teatro La Fenice di Venizia nella stagione di Quaresima 1857. Cedo, vendo e trasferisco io sottoscritto altresì allo stesso Sig. Ricordi in tutta l’estensione come sopra anche la proprietà assoluta del relativo libretto della poesia da me fatto espressamente comporre a mie spese dal succitato poeta Sig. Franc.o Maria Piave. Nelle preaccennate cessioni s’intende da sé compreso ogni diritto di stampa, di rappre-sentazioni, di riduzioni d’ogni genere e in generale ogni diritto accordato dalle Leggi e dalle Convenzioni internazionjhali a difesa delle proprietà artistiche e letterarie. Le suddctte cessioni sono fatte al Sig Ricordi verso il compenso stabilito di Franchi 36000, diconsi Franchi Trentaseimila ossia Napoleoni d’oro da venti Fhanchi 1800 (mille e ottocento) da pagarsi dal Sig. Ricordi in varie rate a richiesta del Sig. Maestro Verdi. Inoltre il Sig. Ricordi retribuirà al Sig. Maestro Verdi il 40 (qua-ranta)= per cento sul prezzo d’ogni noleggio […] ATTO DI CESSIONE Venezia, li 14 Febbrajo Milleottocento 57 34 G. VERDI, Lettere, op. cit., pp. 818

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

40

Io sottoscritto Francesco Maria Piave dichiaro di aver venduto, ceduto e trasferito con ef-fettiva tradizione al signor Maestro Cav. Giuseppe Verdi la piena, assoluta, universale ed esclusiva proprietà e relativo possesso della Poesia ossia Dramma o Libretto intitola-to: Simon Boccanegra da me composto per l'Opera del signor Maestro Giuseppe Verdi e da rappresentarsi sulle scene del teatro La Fenice di Venezia nella stagione di Quaresima 1857 e di aver trasfu-so nel signor Maestro Verdi per sé e suoi tutti i diritti di Autore a me competenti e com-petibili. Tale universale vendita e cessione si è convenuta e si dichiara operativa ed efficace per tutta l'estensione di ogni Stato e paese, nessuno eccettuato, per modo che il signor Maestro Verdi può liberamente disporne ovunque a piacimento senza alcuni re-strizione in tutto o in parte e ad esclusione di ogni altro e per conseguenza può anche stampare e ristampare il detto libretto tanto unitamente alla musica quanto separata-mente ogni qualvolta e come troverà del caso. Questa mia Cessione essendo poi stata dal signor Maestro Verdi trasferita in tutta l’estensione de’ termini su esposti al signor Tito di Gio. Ricordi editore di musica in Mi-lano, io sottoscritto approvo pienamente un tale trasferimento ed in fede mi sottoscrivo Francesco Maria Piave 23 marzo 1881/ Cessione dell’Opera musicale / Simon Boccanegra / fatta dal Sig. Cav. Maestro Giuseppe Verdi/ al Signor Cav. Tito di Gio. Ricordi / in atti del dottore Giovban-ni bertolè /notaio della provincia di Milano / Copia autentica Atto di cessione Milano questo giorno 23 = ventitrrè = Marzo 1881 = milleottocentoottantuno Tra il Signor Maestro Cav" Giuseppe Verdi da una parte ed il Signor Tito di Giò Ricordi editore di musica dall'altra si è convenuto, e si conviene quanto segue: 1°) Il Signor Maestro Giuseppe Verdi cede al Signor Ricordi la piena, assoluta ed esclusi-va proprietà e relativo possesso dell'Opera in musica in un prologo e tre atti intitolata Simon Boccanegra da lui composta su libretto del Signor Francesco Maria Piave e colle modificazioni intro-dottevi dal Signor Arrigo Boito, quale Opera deve rappresentarsi a questo Teatro della Scala nella corrente stagione di Quaresima 1881 2°) Questa proprietà ceduta al Signor Ricordi si dichiara ad esclusivo favore di lui ed a-venti dato dal medesimo, e si dichiara generale ossia estesa a tutti i paesi 3°) Si intendono compresi nella cessione come sopra fatta dal Maestro Verdi al Signor Ti-to di Gio Ricordi tutti i diritti di rappresentazione, stampa, pubblicazioni, traduzioni ,e riduzioni d'ogni genere, nonché la piena ed esclusiva proprietà e relativo possesso del li-bretto della poesia e relative modificazioni fatte fare espressamente dal Signor Maestro Verdi a sue spese 4°) Il Signor Maestro Verdi si riserva il diritto di traduzione in francese per le rappresen-tazioni con parole francesi sui Teatri di Francia e del Belgio coi relativi diritti di autore, fermo ed esclusivo nel Signor Ricordi il diritto di stampa anche di questa traduzione. 5°) Il Signor Ricordi pagherà in compenso al Signor Maestro Verdi la somma di italiane lire ventimila = £ 20.000 = ed inoltre gli pagherà il 40 per cento dell'importo di ogni no-leggio, ed il 50 per cento dell'importo di ogni vendita che esso Signor Ricordi sarà per fa-re dello spartito suddetto ai vari Teatri sia in Italia che all'Estero a principiare dal nolo per la corrente stagione alla Scala e per tutto quel periodo di tempo che le vigenti Leggi sui diritti d'Autore accordano relativamente al1e rapprèsentazionj teatrali.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

41

Dato però il caso che si organizzassero tanto in Italia che in Germania come esistono in Francia le Società degli Agenti per esigere i diritti d'autore sulle rappresentazioni stesse, s'intende che in vece delle retro indicate quote sui noli e sulle vendite, questi diritti, in quanto riflettono le rappresentazioni dell'Opera suddetta saranno devoluti esclusiva-mente al Signor Maestro Verdi rimanendo però fermi ed esclusivi nel Signor Ricordi tan-to il diritto per la stampa, quanto il diritto di somministrazione dello spartito e di tutta la musica e libretti per le rappresentazioni teatrali. 6°) Il Signor Ricordi s'impegna che lo spartito del Simon Boccanegra da fornirsi a nolo ai Teatri non potrà per qualunque siasi circostanza venire dimezzato da qualsiasi spettaco-lo, e dovrà essere eseguito interamente di seguito senza praticarvi tagli e trasporti di to-no etc.: dovendosi eseguire l'Opera come verrà data la prima sera nella corrente stagione alla Scala.. Sottoscritto = Giuseppe Verdi » Tito di Gio Ricordi » Cendali Giulio testimonio » Pellegrini Antonio testimonio L’opera A Simon Boccanegra Verdi cominciò a pensare nell’estate del 1856, dopo essersi impegnato a scrivere la sua quinta opera per la Fenice di Venezia da rappresen-tarsi nella successiva Quaresima del 1857. In agosto aveva già inviato a Venezia una stesura completa e dettagliata del li-bretto, redatta in prosa sulla traccia del dramma di Gutierrez. L’incarico di metterlo in versi fu affidato a Francesco Maria Piave, collaboratore «storico» di Verdi che aveva già firmato in precedenza Ernani, I due Foscari, Ma-cbeth, Il Corsaro, Stiffelio, Rigoletto, Traviata. Questa volta Verdi non fu però del tutto soddisfatto dal lavoro del suo librettista. Trovandosi tuttavia lontano, a Parigi, si fece modificare il testo dal patriota e let-terato in esilio Giuseppe Montanelli (secondo Massimo Mila intervenne nel lavoro anche Antonio Somma). Per correttezza Verdi chiese poi al Piave se preferiva non firmare il libretto, ma questi non tolse il proprio nome. Alla prima rappresentazione Simon Boccanegra ricevette un’accoglienza assai fredda nonostante l’ottima prova della compagnia di canto. Secondo il parere unanime della critica di allora, la freddezza fu dovuta alle novi-tà formali di Verdi, alla mancanza di melodie cantabili, alla complessità dell’armonia, al colore uniformemente cupo. Fu Giulio Ricordi a convincere Verdi a riprendere in mano l’opera. Ci aveva pro-vato senza successo già nel 1868. Ci riuscì invece nel 1879 anche perché nel frat-tempo Verdi si era riavvicinato a Arrigo Boito35 e i due stavano già ipotizzando la collaborazione che li avrebbe portati all’Otello. La revisione del Boccanegra fu operazione profonda e per certi aspetti radicali. Non si trattò infatti solo di cambiare alcune parti, ma di rivedere nel suo insieme uno stile che era nei decenni profondamente mutato.

35 Arrigo Boito, musicista e letterato, era uno degli esponenti della Scapigliatura e in tale veste aveva mosso negli anni precedenti alcuni critiche nei confronti della cultura ufficiale di cui era rappresentante principale Verdi che si era risentito.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

42

La prima alla Scala, il 24 marzo 1881, vide la presenza sul podio di Faccio e come interpreti Maurel e Tamagno, i prossimi protagonisti di Otello. La trama - Il Prologo è incentrato sul momento della elezione del nuovo Doge. Siamo nel 1339 e l’ambizioso plebeo, l’orefice Paolo Albiani si è fatto promotore della elezione di Boccanegra. Simone, carattere schivo e appartato, non accetta l’offerta, ma poi recede dai suoi propositi quando Paolo gli assicura che, una volta divenuto Doge, Fiesco non potrà negargli la mano della figlia Maria da lui appassionatamente amata e che già gli ha dato una figlia. Boccanegra accetta, Paolo si allontana e arriva Fiesco che gli promette il ri-chiesto perdono a patto che Simone gli affidi la nipote. Purtroppo Boccanegra ha perso i contatti con la figlia che si trovava a Pisa ma, alla morte della nutrice, era scomparsa. Fiesco tronca la conversazione e Boccaengra entra nel Palazzo dei Fieschi proprio in tempo per scoprire che la amata Maria si è appena spenta. Si odono le voci del popolo che acclamano Boccanegra doge. Il primo atto è separato dal Prologo da venticinque anni. Amelia Grimaldi, rimasta sola a Genova, vive in ansia dopo aver saputo che al complotto dei nobili per abbattere il doge partecipa anche l’amato Gabriele Adorno. In un colloquio con Gabriele si fa promettere che questi chiederà al più presto la sua mano al tutore Andrea (Fiesco sotto falso nome) in modo da prevenire l’atto del Doge che vorrebbe darla in moglie a Paolo Albiani. Giun-ge Boccanegra e dal dialogo fra uomo e donna si scopre che la ragazza è in realtà la figlia di Simone, Maria, come la madre. Boccanegra si allontana e ingiunge a Paolo di lasciar perdere Amelia. Paolo decide di far-la rapire e portarla in casa dell’usuraio Lorenzino. La scena si sposta nel Palazzo degli Abati dove è in corso una riunione politica. Boccane-gra, facendo proprie le invocazioni di Petrarca cerca di convincere i consiglieri a evitare la guerra con Venezia. Dalla piazza si levano urla e proteste e il Doge ordina che i mani-festanti siano ammessi per poter spiegare le loro ragioni. Boccanegra viene così a sapere che un gruppo stava cercando di giustiziare Gabriele A-dorno, reo di aver ucciso Lorenzino l’usuraio. Adorno in realtà lo ha ucciso per vendicare il rapimento di Amelia che entra nel Salone e racconta la sua disavventura. Adorno ac-cusa il Doge di essere il mandante materiale del rapimento. Boccanegra intuisce che il colpevole è Paolo e lo costringe a maledire pubblicamente il rapitore. Nel secondo atto Albiani avvelena Boccanegra e cerca di convincere Fiesco a uccidere il rivale nel sonno. Fiesco rifiuta sdegnosamente. Paolo si rivolge allora ad Adorno insi-nuando che Boccanegra è diventato l’amante di Amelia. In un colloquio fra la figlia e il padre, la prima chiede al secondo di autorizzare le nozze con Adorno. Simone lo conside-ra uno dei suoi peggiori nemici ma acconsente per la felicità di Maria. Giunge Adorno che cerca di uccidere Boccanegra ma viene bloccato da Amelia. Adorno viene finalmente messo al corrente della parentela e si allea a Simone al momento dello scoppio della congiura. Il terzo atto si apre sul fallimento della congiura. Paolo Albiani, unitosi ai cospiratori, è condannato a morte, Maria e Gabriele celebrano le loro nozze. Fiesco giunge di fronte a Simone e avvengono i reciproci chiarimenti. Purtroppo è però tardi, perché come Fiesco ha saputo da Paolo, il veleno ha definitivamente condannato a morte Boccanegra. Questi si spegne ed è Fiesco, raccogliendone le volontà, a nominare suo successore l’Adorno. Ascoltiamo il possente concertato finale dell’opera e la conclusione estremamente austera come si conviene alla morte di un Doge. Il soggetto dell’opera è tratto dal dramma omonimo scritto nel 1843 da Antonio Garcia Gutierrez.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

43

Nato vicino a Cadice lo stesso anno di Verdi, nel 1813, morto a Madrid nel 1884, Garcia Gutierrez aveva ottenuto un notevole successo a soli 23 anni mettendo in scena El trovador da cui Verdi aveva tratto il suo Trovatore. Fu proprio quel primo felice incontro a favorire la nuova scelta di Verdi che nel Boccanegra ritrovava, oltre che personaggi e vicende di forte impatto emotivo, anche l’ambientazione genovese a lui cara. Il dramma si svolge fra il 1339 e il 1363. Opera basata essenzialmente sulla solitudine dell’uomo di potere, Boccanegra è opera dalle voce virili, basse, caratterizzata da un’atmosfera cupa e tendenzial-mente triste. Al centro lo scontro di Boccanegra (baritono) con Fiesco (basso). La donna (soprano) è la figlia del primo e nipote del secondo. Un triangolo dun-que anomalo. Il tenore (Adorno) è il promesso sposo di Maria, ma rivale politico di Boccanegra e alleato di Fiesco. In realtà è figura poco simpatica, una banderuola politica della quale non fidarsi né da amico né da nemico, come accade spesso con le mezze figure sovrastate da autentiche personalità. I sentimenti personali, dunque si sovrappongono e si inframmezzano alle esigenze politiche creando un tessuto di odi, screzi, polemiche impossibile da districare La riduzione librettistica della versione originale segue fedelmente l’impianto di Gutierrez limitandosi ad eliminare i personaggi secondari e le scene accessorie. La versione riveduta da Boito nel 1881 mantiene inalterate le grandi linee della vicenda, ma conferisce un rilievo assai maggiore al motivo politico dello scontro tra guelfi e ghibellini e tra patrizi e plebei. Fra le differenze maggiori fra la prima e la seconda versione, ci soffermiamo in particolare sul finale del primo atto. Nel 1857 il pubblico assisteva ad una festa pubblica in una piazza di Genova con cori di esultanza, un ballabile di corsari, un inno suonato con la banda in scena. Improvvisamente tutto veniva interrotto dall’arrivo di Adorno che accusava il Doge di aver rapito Amelia. Nel 1881, il rapimento stesso viene inglobato in un contesto più ampio, nella con-giura contro il Doge e nella rivolta popolare. La nuova scena si svolge nella sala del Consiglio del Palazzo dogale dove il rac-conto del rapimento sventato si cala nel contesto di uno scontro politico e di una rivolta popolare. Per questa scena Verdi e Boito si ispirarono ad alcune lettere di Francesco Pe-trarca, invocanti la pace tra Genova e Venezia in nome della comune appartenen-za all’Italia. Un riferimento all’unità che suonò particolarmente significativo ne-gli anni Ottanta quando, a Paese già unificato, si temevano tuttavia spinte sepa-ratiste motivate da divisioni religiose e sociali. Ma è interessante leggere per intero una lettera inviata da Verdi il 20 novembre 1880 a Giulio Ricordi nella quale il musicista non solo esprime alcuni concetti ge-nerali, ma si sofferma in particolare su questa scena36.

Caro Giulio, “o le opere per i cantanti o i cantanti per le opere”. Vecchio assioma che nissun impresario ha mai saputo praticare e senza del quale non vi è successo pos-

36 G. VERDI, Lettere, op. cit., pp.802-804

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

44

sibile in Teatro. Avete fatta una buona Compagnia per la Scala, ma non adattata pel Boccanegra – Il vostro Baritono deve essere un giovine. Avrà voce, talento, sen-timento finchè volete, ma non avrà mai la calma, la compostezza e quella certa au-torità scenica indispensabile per la parte di Simone. E’ una parte faticosa quanto quella del Rigoletto ma mille volte più difficile. Nel Rigoletto la parte è fatta e con un po’ di voce e di anima si può cavarsela bene. Nel Boccanegra la voce e l’anima non bastano […] Oltre di ciò lo spartito come si trova non è possibile. E’ troppo triste, troppo deso-lante! Non bisogna toccare nulla del Primo Atto, né dell’ultimo [attenzione: Verdi chiama primo atto il Prologo, n.d.r.] e nemmeno, salvo qualche battuta qua e là, del Terzo. Ma bisogna rifare tutto il Second’Atto e darle rilievo e varietà e maggior vi-ta. Musicalmente si potrebbero conservare la Cavatina della donna, il duetto col Tenore e l’altro Duetto tra padre e figlia, quantunque vi siano le Cabalette! Apriti o terra! Io però non ho tanto orrore delle cabalette e se domani nascesse un giovine che me ne sapesse fare qualcheduna del valore per es. del «Meco tu vieni o misera» oppure «Ah perché non posso odiarti» andrei a sentirle con tanto di cuore e non ri-nuncerei a tutti gli arzigogoli armonici, a tutte le leziosaggini delle nostre sapienti orchestrazioni… Ah il progresso, la scienza, il verismo… Ahi, ahi… verista finchè volete, ma… Shakespeare era un verista ma non lo sapeva. Era un verista d’ispirazione; noi siamo veristi per progetto, per calcolo. Allora tanto fa; sistema per sistema; meglio ancora le cabalette. Il bello poi si è che a furia di progresso, l’Arte torna indietro. L’arte che manca di spontaneità, di naturalezza e di semplicità, non è più arte. Torniamo al second’atto. Chi potrebbe rifarlo? In che modo? Cosa si potrebbe trova-re? Ho detto in principio che bisogna trovare in quest’atto qualcosa che doni varietà e un po’ di brio al troppo nero del dramma. Come? Per esempio: Mettere in scena una caccia? Non sarebbe teatrale. Una festa? Troppo comune. Una lotta coi corsari d’Africa? Sarebbe poco divertente. Preparativi di guerra o con Pisa o con Venezia?… A questo proposito mi sovviene di due stupende lettere di Petrarca, una scritta al Doge Boccanegra, l’altra al Doge di Venezia dicendo loro che stavano per intraprendere una lotta fratricida, chè en-trambi erano figli d’una stessa madre, l’Italia, ecc. Sublime questo sentimento d’una Patria italiana in quell’epoca! Tutto ciò è politico non drammatico. Ma un uomo d’ingegno potrebbe ben drammatizzare questo fatto. Per es.: Boccanegra col-pito da questo pensiero vorrebbe seguire il consiglio del Poeta; convoca il Senato ed un Consiglio privato ed espone loro la lettera ed il suo sentimento… Orrore in tutti, declamazioni, ira fino ad accusare il Doge di tradimento ecc…. La lite viene inter-rotta dal rapimento d’Amelia… Dico per dire… Del resto se trovate voi il modo di aggiustare ed appianare tutte le difficoltà che vi ho esposto io sono pronto a rifare quest’atto….

Verdi fa riferimento alle lettere inserite nel XIV Libro delle Familiarium Rerum di Francesco Petrarca indirizzate al Doge dei Genovesi e al Doge dei veneziani. E vale la pena rileggere un passo in cui appunto c’è il riferimento all’Italia:

…Ma di Voi Italiani ho compassione dal profondo del cuore e volesse Iddio che mi aveste ascoltato quando lealmente vi ammonivo; e se, come appena oso sperare, i-spirati dal cielo, gli uni e gli altri vi ricorderete un giorno che siete italiani e potete essere amici e che non per offese capitali, ma – come fu e sarà sempre proprio dei potenti e di chi aspira alla supremazia – per la gloria e la potenza si deve combat-

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

45

tere; e improvvisamente, eccitati gli animi, volgendovi da questa guerra italiana e intestina a una esterna, punterete le armi vendicatrici contro i malvagi istigatori e dopo averli annientati trafiggendoli, impiccandoli, annegandoli – che può farsi in un momento – vi dedicherete felicemente a una pia crociata, per la liberazione della Terra Santa in ossequio a Gesù Cristo, allora darete al mondo e ai posteri un gradi-tissimo spettacolo….

Dice Boccanegra: «Adria e Liguria hanno patria comune». Una frase inequivoca-bile, di grande forza morale. Ascoltiamo ora questa scena. Non c’è in questa grande scena la stretta finale, un procedimento inammissibile nel 1881, sostituita dalla drammatica scena in cui il Doge costringe il traditore Paolo a maledire se stesso; fra i procedimenti usati da Verdi per dare rilievo a questo drammatico momento si devono notare i possenti unisoni dell’orchestra in fortissimo, coi trilli dei tromboni e soprattutto la ripresa deformata del motivo cantato da Amelia nel concertato, ora affidato al clarinetto basso. E’ sempre stata sottolineata l’attenzione di Verdi per la scena. Autentico uomo di teatro, Verdi ha sempre avuto chiaro il senso drammaturgico e già la lettera so-pra indicata ne costituisce una eccellente riprova. I Livret de mise en scène I Livret de mise en scène (Disposizioni sceniche nella nostra traduzione italiana) nacquero all’Opera di Parigi. La loro funzione era quella di fissare,m per ogni o-pera, un modello canonico della dimensione gestuale e dei movimenti, dei costumi e delle scene: il tutto aderente alla concezione degli autori, affinchè servisse da indicatore per le riprese dell’opera stessa in altri teatri, dopo il debutto. Le Disposizione contenevano dunque diagrammi relativi alle posizioni dei perso-naggi in scena, figurini dei costumi e altre indicazioni utili per la messa in scena dell’opera. Fu Verdi a introdurre in Italia questa tipologia di documento facendo stampare da Ricordi alcune Disposizioni sceniche relative alle sue opere. Come è nolo Verdi era molto scrupoloso nella messa in scena, amava tenere sotto controllo tutti gli aspetti di una rappresentazione teatrale. E durante il suo soggiorno a Parigi per la messa in scena di Jerusalem aveva studiato con interesse i Livret dell’Opera. L’uso delle Disposizioni si è in seguito perso (ciò in particolare nel primo Nove-cento e negli anni immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale) perché la regia d’opera ha imboccato altre strade non compatibili con la necessità di ade-rire in pieno alle indicazioni originarie. In tempi più recenti, sulla scia di una esi-genza “filologica” non limitata solo alla lettura musicale, ma allo spettacolo nella sua globalità, le Disposizioni sono tornate ad essere oggetto di studio e analisi, anche se la regia d’opera batte oggi strade spesso molto diverse dalle eventuali indicazioni degli autori, sfruttando tecniche (anche cinematografiche e multime-diali) non esistenti nell’Ottocento e tese ad “attualizzare” la lettura del testo. Simon Boccanegra – Dalle Disposizioni sceniche Le Disposizioni sceniche relative al Simon Boccanegra furono stampate nel 1883 da Ricordi. Si tratta di un volumetto di 58 pagine, comprendente in appendice

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

46

(pp. 49-58) le descrizioni dei costumi (a sua volta facenti riferimento a 46 tavole di figurini separate dal volume). Qui di seguito (Appendice I) sono riproposte le pagine relative alla grande scena della congiura sulla quale ci siamo soffermati nelle pagine precedenti.

Girolamo Magnani (copia da), Interno del Palazzo Ducale. Bozzetto per l’Atto III di Simon Boccanegra. Milano, Teatro alla Scala, 1881.

(Museo Teatrale alla Scala) I contratti di Mascagni

Come descrivere quella serata?... come rendere l’evidenza di quel trionfo memorabi-le? Ricordo solo che, dopo il grande duetto con Turiddu l'ovazione formidabile che ne seguì fu tale che, pure avvezza agli entusiasmi del pubblico, rimasi un momento sbalordita, sentendo come una marea salire intorno a me, nella manifestazione di un enorme trionfo! E quando con Stagno e con Mascagni (che si lasciava quasi tra-scinare soffocato dall'emozione) ci avanzammo alla ribalta, fu tutto un grido che ci accolse...grido di tutto un pubblico in delirio che pazzo di gioia salutava nel giovane Mascagni un nuovo astro....

Scrisse così nelle sue memorie il soprano Gemma Bellincioni37, prima Santuzza, ricordando il trionfo che accolse Cavalleria rusticana il 17 maggio 1890 al Teatro 37 G. BELLINCIONI, Io e il palcoscenico, Società anonima editoriale dott. R.Quintieri, Milano 1920, pp.102-103.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

47

Costanzi di Roma. Mascagni, maestrino in una scuola musicale di Cerignola quel-la sera passò dallo stato di compositore pressoché sconosciuto al più osannato giovane artista italiano, indicato subito (Puccini sarebbe arrivato al pieno succes-so solo tre anni dopo con Manon Lescaut) come il diretto erede di Verdi. Cavalleria rusticana fu l’opera vincitrice di un concorso indetto dall’editore Son-zogno con lo scopo di individuare un nuovo talento nel teatro lirico italiano. La scelta dell’atto unico fu dell’editore e fu determinata solo dalla esigenza di conte-nere i costi della rappresentazione. E’ tra l’altro curioso osservare che l’editore Sonzogno giudicò l’opera interessante dal punto di vista musicale, ma poco tea-trale e prima della messa in scena era convinto che non avrebbe avutoi particola-re successo. Si sbagliò in maniera davvero incredibile se si pensa che Cavalleria nello stesso 1890, fu rappresentata a Madrid e a Budapest, diretta da Gustav Mahler. Subito dopo arrivò a Monaco, Amburgo, Pietroburgo, Dresda, Buenos Aires e nel marzo 1891 a Vienna dove suscitò l'interesse del severo critico Eduard Hanslick. La novella Cavalleria rusticana era stata pubblicata da Verga nel marzo 1880 nel «Fanfulla della domenica». Nell'autunno dello stesso anno lo scrittore l'aveva in-serita nel volume Vita dei campi. E nel 1883 ne aveva curato una rielaborazione teatrale che ebbe fra gli interpreti una giovane, ma già straordinaria e affasci-nante Eleonora Duse. Per la stesura del libretto Mascagni si rivolse all'amico li-vornese Giovanni Targioni-Tozzetti (insegnante di lettere, ma senza alcuna espe-rienza nel campo della librettistica) che coinvolse nell'impresa un altro concitta-dino, Guido Menasci. Cavalleria rusticana è legata a un caso giudiziario che fece all'epoca notevole scalpore e contrappose Mascagni e Sonzogno a Verga. Quando Mascagni aveva deciso di musicare la novella di Verga , trattandosi di un concorso a buste chiuse, non aveva dovuto chiedere alcun permesso allo scrittore. Ma al momento della vittoria, dovendo l’opera andare in scena, dovette contattare Verga. Il 9 marzo 1890 il giovane compositore livornese scrisse dunque da Ceri-gnola al narratore38:

Illustrissimo Sig. Cav. Giovanni Verga, mi perdoni la libertà che mi prendo nello scriverle questa mia chiedendole un favore che la sua gentilezza, spero, non vorrà rifiutarmi. Credo che il Sig. Giovanni Salvestri le avrà scritto che io presentai al Concorso Sonzogno un'opera col titolo Cavalleria rusticana tolta completamente dal suo noto lavoro; io avevo pregato lo stesso Salvestri di ottenere da Lei il permesso per la proprietà letteraria; ma Salvestri mi disse allora che non c'era fretta, poichè il Concorso era a schede chiuse e si poteva aspettare fintantoché fossero conosciuti i lavori premiati. Adesso le cose sono precipitate: un telegramma mi chiamò a Roma dove la Commissione del Concorso mi annunziò che la mia opera era risultata la migliore e perciò si sarebbe messa in scena nel prossimo aprile al Teatro Costanzi di Roma. Si figuri la mia sorpresa riuscire primo sopra settantatre concorrenti! La mia commozione fu profonda. Mi vedo aperto un avvenire! Mi attendo da Lei, genti-lissimo Signore, una parola che mi conforti maggiormente: attendo il Suo consenso; e sono certo che non vorrà interrompere un sogno dorato a chi vede in questo fatto

38 P. MASCAGNI, Epistolario, vol. I, a cura di M.Morini, R. Iovino, A.Paloscia, Libreria Musicale I-taliana, Lucca 1996, pp. 113-114.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

48

il principio di una carriera. Il libretto per musica fu scritto dal Prof. Targioni-Tozzetti di Livorno ed è riuscito assai buono, tanto da meritare un voto di lode an-che dalla Commissione musicale del Concorso. Qualora Ella lo desideri, io le invierò una copia di detto libretto e mi auguro che lo troverà di sua soddisfazione. Usan-domi l'immensa gentilezza di darmi il Suo consenso, Ella ha diritto di imporre i patti che crederà utili o necessari.....

Una seconda lettera di Mascagni (in risposta ad un'altra dello scrittore) risale al 27 marzo 189039:

...Non può credere...con quanta ansia attendessi quella lettera e come rimasi con-tento della Sua cortesia e bontà a mio riguardo. Io la ringrazio dal più profondo dell'animo mio; e l'assicuro della mia eterna riconoscenza e devozione. Rimasi però mortificatissimo nel sentire che Lei avrebbe volentieri prestato l'opera Sua, unendo il Suo nome illustre al mio meschino nome. Dio mio, se l'avessi almeno supposto! Quale onore per me, quale orgoglio...In ogni modo le sono riconoscente della Sua ri-sposta. Anzi io feci leggere la Sua lettera a Targioni e credo che Targioni stesso le abbia scritto. L'assicuro che il libretto ha riprodotto quasi alla lettera la Sua Caval-leria, conservando per tal modo quel colorito e quell'ambiente che hanno reso im-mortale il Suo lavoro. Io mi auguro di vederla a Roma per la rappresentazione che sarà nella seconda quindicina di Aprile. Allora vedremo che cosa ci sarà da fare e stia sicuro che io, come Targioni, accetteremo i Suoi consigli e magari (fosse vero?) la Sua collaborazione. In quanto agli interessi, Ella mi mostra, ancora una volta, la sua delicata gentilezza. Io le parlo schiettamente. Oggi mi sarebbe impossibile muovere anche il più piccolo passo. Ma ho tutta la speranza di vendere l'opera dopo la prima rappresentazione; ed allora potremo intenderci, come Ella dice nella Sua lettera. Certo non può credere, illustre Signore, quante emozioni abbia provato in poco tempo il mio animo. Io vivo qua a Cerignola da quattro anni, dimenticato, ab-bandonato da tutti; e la mia vita è stentata; è vita di privazioni, di miseria. Oggi vedo un avvenire.

Da notare che Mascagni non aveva ancora venduto l’opera a Sonzogno che evi-dentemente attendeva l’esito del debutto prima di impegnarsi. Dopo il successo si fece subito avanti Ricordi, ma Mascagni non volle “tradire” l’editore che lo aveva scoperto e firmò con Ricordi il contratto per un’altra opera, ma cedette Cavalleria a Sonzogno. Ma torniamo a Verga. Il 7 aprile successivo a Vizzini e il 9 aprile a Cerignola fu firmato il contratto tra Verga e Mascagni: lo scrittore dava al musicista la facoltà di versificare (o far versificare), ridurre per musica e far rappresentare il suo la-voro drammatico intitolato Cavalleria rusticana. Verga veniva riconosciuto come l'autore del libretto. Targioni- Tozzetti e Menasci semplici locatori d'opera, assi-milabili a un traduttore. Dopo il successo, però, l'accordo non fu mantenuto. Ver-ga pretese una maggiore percentuale come autore mentre la Casa Sonzogno (a questo punto proprietaria dell’opera) non intendeva corrispondergli una somma superiore alle 1.000 lire, sostenendo che, dal momento che Cavalleria rusticana era già stata messa in musica da Stanislao Gastaldon, Verga aveva perduto i suoi diritti di proprietà. Stanislao Gastaldon (1861-1939) in effetti aveva musicato Cavalleria rusticana: il libretto di Bartocci Fontana era poco fedele al testo e il ti- 39 P. MASCAGNI, Epistolario, op. cit., pp. 118-119.

Le professioni musicali a.a. 2017-2018

49

tolo era stato mutato in Mala Pasqua. Fu il tribunale, il 12 marzo 1891, a ricono-scere i diritti di Verga. Nel 1893 si giunse ad una transazione: allo scrittore fu-rono assegnate, una tantum, 143.000 lire corrispondenti oggi a circa 350 mila eu-ro. Ma i guai giudiziari legati a Cavalleria rusticana non si esaurirono con quell'accordo. Nel 1902 il compositore genovese Domenico Monleone (1875-1942) musicò nuovamente il lavoro di Verga con il consenso dello scrittore. Mascagni e Sonzogno, però citarono in giudizio Monleone e Verga, sostenendo che lo scrittore non poteva autorizzare altri musicisti a trarre libretti dal suo melodramma. Verga perse la causa e Monleone riciclò la musica in una nuova opera, La giostra dei falchi. Nel 1891 Mascagni compose, ancora per Sonzogno, l’idillio L’amico Fritz con il quale cercò di cambiare immediatamente rotta per sfuggire al rischio n(peraltro già verificatosi) di essere etichettato come verista. Di tale opera si pubblica in Appendice II il contratto firmato con Sonzogno.

Appendice I - Simon Boccanegra, Disposizione sceniche

Appendice II - Contratto Amico Fritz