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Le politiche commerciali e di marketing nel settore dell’arredamento Ricerca sui distretti industriali del Livenza e del Quartier del Piave a cura di Roberto Grandinetti Maria Chiarvesio Paola Guerra Raffaella Tabacco Marzo 2002

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Le politiche commerciali e di marketing

nel settore dell’arredamento

Ricerca sui distretti industriali del

Livenza e del Quartier del Piave

a cura di

Roberto Grandinetti Maria Chiarvesio

Paola Guerra Raffaella Tabacco

Marzo 2002

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Indice

Presentazione Pag. 5 Introduzione Pag. 7 Cap. 1 Prospettive evolutive del sistema italiano

dell’arredamento: made in Italy e relationship marketing 1.1 Complessità dell’ambiente competitivo, risposte

strategiche e blocchi evolutivi 1.2 Mass customization e internet nel settore dell’arredamento 1.3 Relazioni di marketing nel sistema del valore

dell’arredamento

Pag. 9

Cap. 2 I sistemi produttivi locali del Livenza e del Quartier del Piave dalla crescita estensiva alla transizione evolutiva 2.1 I distretti industriali: sistemi locali in evoluzione 2.2 I sistemi produttivi locali del Livenza e del Quartier del Piave

Pag. 33

Cap. 3 Le politiche commerciali e di marketing delle imprese distrettuali: i risultati dell’indagine quantitativa 3.1 La metodologia dell’indagine 3.2 Caratteristiche generali delle imprese 3.3 Il portafoglio-prodotti 3.4 Segmentazione del mercato e posizionamento delle imprese 3.5 L’apertura internazionale dei sistemi produttivi locali 3.6 I canali distributivi 3.7 La comunicazione di marketing 3.8 Il posizionamento competitivo delle imprese

Pag. 51

Cap. 4 I processi evolutivi dei due sistemi distrettuali 4.1 Formazione e sviluppo dei gruppi aziendali 4.2 Le politiche di prodotto 4.3 I rapporti con la distribuzione 4.4 La comunicazione di marketing tra debolezza strutturale e

nuove opportunità

Pag. 83

Conclusioni Pag. 115 Riferimenti bibliografici

Pag. 119

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PRESENTAZIONE

La CAMERA DI COMMERCIO DI TREVISO è impegnata da tempo nello studio dei sistemi distrettuali presenti in provincia, al fine di promuoverne la competitività e lo sviluppo in modo evoluto e coerente con le sfide imposte dal mercato globale.

Dopo il distretto della calzatura sportiva di Montebelluna, è stata presa in considerazione l’area distrettuale del legno-arredamento, diffusa geograficamente nell’Opitergino-mottense, nel Quartiere del Piave e nel Sacilese: un primo step di analisi, effettuato grazie anche alla collaborazione della Camera di Commercio di Pordenone, ha prodotto il rating del territorio, andando a verificare le potenzialità attuali e future del sistema economico e sociale nel suo complesso.

Successivamente è stato tracciato il posizionamento competitivo del distretto, cercando di evidenziare punti di forza e punti di debolezza delle filiere produttive in esso presenti.

Da questo lavoro, svolto a stretto contatto con le imprese e le Associazioni, sono emersi preziosi suggerimenti, fra cui la necessità di un rafforzamento delle strategie commerciali e di marketing, in parallelo all’orientamento al prodotto e al processo, che già rappresenta il vantaggio competitivo consolidato dell’area.

Ne è sorto allora questo progetto di ricerca, che qui presentiamo, ma che – va subito detto – risulta strettamente connesso ad un disegno più ampio, di dialogo con le imprese, di messa a punto di strumenti operativi per le imprese, sancito dal seminario itinerante per il distretto svoltosi il 15 e il 21 marzo 2002 a Portobuffolé e a Pieve di Soligo.

A partire infatti dalla comprensione delle politiche commerciali e di marketing che le imprese pongono in essere per operare sui mercati finali, la Camera di Commercio di Treviso ha inteso avviare una riflessione critica sui nuovi approcci al mercato, dalla gestione interattiva dei canali di vendita all’interpretazione evoluta del fabbisogno di mobili. Proponendo al

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riguardo una metodologia di analisi della domanda, che – sperimentata sugli Stati Uniti e sull’Italia – è possibile replicare su altri mercati secondo le esigenze delle imprese.

La ricostruzione delle caratteristiche del settore attraverso i dati, l’indagine a campione e le interviste a testimoni privilegiati costituisce un alto valore aggiunto di questa ricerca, che permette alla Camera di Commercio di poter progettare azioni in favore delle imprese con molta cognizione di causa.

Per questo motivo vorremmo esprimere il nostro sentito ringraziamento al prof. Roberto Grandinetti che ha coordinato questo lavoro, estendendolo a tutto il team di ricercatori che vi ha collaborato, Maria Chiarvesio, Paola Guerra, Raffaella Tabacco.

Federico Tessari

Presidente della Camera di Commercio di Treviso

Renato Chahinian

Segretario Generale della Camera di Commercio di Treviso

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Introduzione

La presente relazione espone i risultati emersi da una ricerca, commissionata dalla Camera di Commercio di Treviso, sui distretti industriali del Livenza e del Quartier del Piave. Il gruppo di ricerca si è posto l’obiettivo di ricostruire la situazione attuale dei due distretti in merito alle politiche commerciali e all’approccio di marketing delle imprese che operano nel mercato finale, nella consapevolezza che è nell’interfaccia con il mercato che questi due importanti sistemi produttivi raccolgono la principale sfida nell’attuale scenario competitivo.

Il Cap. 1 è finalizzato a inquadrare la ricerca locale nell’ambito più generale del sistema italiano dell’arredamento, di cui vengono analizzati i punti di forza/debolezza e le prospettive evolutive in merito al problema del rapporto con il mercato.

Il Cap. 2 ha ancora natura introduttiva rispetto al core della ricerca, illustrando le caratteristiche generali e le dinamiche evolutive dei due distretti mobilieri del Nord-Est.

Nel Cap. 3 vengono illustrati i dati emersi dall’indagine condotta presso un campione di 134 imprese locali che operano nel mercato finale. Considerate l’estrema rappresentatività del campione rispetto all’insieme di riferimento, la rilevanza delle variabili indagate attraverso la somministrazione di un questionario strutturato e l’elevata qualità delle interviste effettuate, l’elaborazione delle informazioni raccolte offre una fotografia affidabile e nitida della situazione attuale.

Il Cap. 4 espone i risultati delle indagini svolte a completamento del lavoro di ricerca e impostate sulla base di quanto emerso dalla ricognizione campionaria. Sono state individuate e analizzate in profondità nove imprese rappresentative di tipologie aziendali diverse e comunque caratterizzate da qualche elemento dinamico in relazione alle problematiche affrontate dalla ricerca. Integrando i casi aziendali con ulteriori indagini a più ampio raggio, ma focalizzate su temi specifici (struttura dei gruppi e siti web aziendali), si è potuto procedere all’analisi dei processi evolutivi relativi ad alcune dimensioni di notevole importanza: la presenza dei gruppi di imprese, le politiche di prodotto, i rapporti con la distribuzione, la comunicazione di

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marketing. In questi ambiti si è tenuto conto delle differenze tra il mercato nazionale, per alcuni aspetti peculiare, e i mercati esteri ai quali si estende la proiezione internazionale delle imprese.

La relazione si conclude con alcune sintetiche notazioni che possono risultare utili per i decisori della politica industriale locale al fine di predisporre progetti mirati al rafforzamento evolutivo delle imprese distrettuali nei loro approcci ai mercati.

Il gruppo di ricerca ringrazia tutte le imprese che hanno partecipato alla ricerca, per la disponibilità, l’interesse e lo spirito di collaborazione dimostrati.

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Cap. 1 Prospettive evolutive del sistema italiano dell’arredamento: made in Italy e relationship marketing

Può sembrare paradossale affermare che, pur essendo trascorsi alcuni

decenni da quando i concetti e le tecniche di marketing hanno iniziato a diffondersi prima negli Stati Uniti e poi negli altri paesi industriali, le imprese di un importante settore del made in Italy scontino ancora in media una sostanziale arretratezza nel loro approccio al mercato. Tuttavia sembra proprio questa la situazione del settore dell’arredamento in Italia.

Non che siano mancati i progressi negli ultimi dieci-quindici anni. In generale, i produttori hanno individuato nel prodotto il loro fattore fondamentale di successo competitivo. Oggi, a fronte della complessità dell’ambiente competitivo, devono uscire da un orientamento al prodotto che ha progressivamente assunto elementi di autoreferenzialità, per adottare un più articolato e complesso orientamento al marketing.

In questo primo capitolo vengono esplorate alcune prospettive di evoluzione competitiva del settore, assumendo come riferimenti concettuali lo schema del sistema del valore e l’approccio di relationship marketing.

1.1 Complessità dell’ambiente competitivo, risposte strategiche e blocchi evolutivi

L’ambiente competitivo che i produttori e i distributori di beni di arredamento devono fronteggiare è caratterizzato da una crescente complessità. Il fenomeno è determinato da almeno tre concause:

1. l’intensificarsi della concorrenza orizzontale nello scenario della competizione globale;

2. l’evoluzione dei comportamenti di consumo e la crescente varietà/variabilità delle aspettative e delle preferenze dei consumatori;

3. lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

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Esaminiamo di seguito i primi due ordini di problemi, in quanto il terzo verrà ripreso più avanti in diversi punti dell’analisi.

Strategie competitive nello scenario dell’economia globale

Il prolungato andamento sfavorevole della domanda di beni di arredamento nel mercato nazionale ha certamente messo a nudo alcuni elementi di fragilità competitiva connessi all’elevatissima frammentazione dell’offerta produttiva e di quella distributiva che caratterizza il settore in Italia. Si è fatta pertanto più intensa la concorrenza orizzontale tra i produttori di mobili e, allo stadio successivo, tra i distributori di mobili. Come è noto, i produttori hanno potuto bypassare la strozzatura della domanda interna attraverso le esportazioni, grazie anche alla lunga stagione dei cambi favorevoli. Ma questa stagione si è definitivamente conclusa e le imprese si confrontano con un duplice problema: da un lato, come evitare che una forte proiezione estera si traduca in un indebolimento della capacità di presidio del mercato nazionale; dall’altro, come rendere non volatile la presenza nei mercati esteri, ancorandola a fonti di vantaggio competitivo sostenibili nel tempo.

Inoltre, il processo di globalizzazione non ha certo risparmiato il settore dell’arredamento. In particolare, la fascia bassa e medio-bassa del mercato nei paesi più importanti per l’export italiano, in primis i mercati tedesco e francese, è stata oggetto di una rapida penetrazione da parte di produzioni provenienti da paesi di recente o rinnovata industrializzazione, che hanno eroso i margini di profitto dei produttori italiani presenti in questo macrosegmento. È emersa di conseguenza la tendenza diffusa al riposizionamento nei segmenti medi e medio-alti del mercato in termini di prezzo/qualità, a fronte di una netta prevalenza in passato del basso di gamma. Questo processo è stato favorito dall’effetto di trascinamento dovuto al successo internazionale del sistema italiano della moda, il settore pioniere del made in Italy.

La globalizzazione coinvolge del resto la sfera della distribuzione e, anche sotto questo profilo, assetti che potevano apparire consolidati fino a poco tempo fa oggi appaiono alquanto dinamici. I segnali sono ben visibili: dalla presenza nel nostro paese di un’organizzazione multinazionale di progettazione/distribuzione come Ikea (Kaufmann, Cristini, 1991; Normann, Ramirez, 1994) alla presenza emergente di beni di arredamento negli assortimenti del commercio despecializzato di grande superficie, che vede l’intervento massiccio di operatori stranieri in Italia. In effetti, nessun mercato nazionale garantisce più barriere all’ingresso insormontabili, e ciò vale sia per le attività di produzione che per quelle commerciali.

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L’evoluzione descritta del quadro concorrenziale ha avviato una fase di selezione competitiva, che è diventata più intensa nella seconda metà degli anni novanta. In particolare, con riferimento alle imprese di produzione, i processi evolutivi di maggiore impatto sono due.

Da un lato, alcune imprese hanno imboccato in modo deciso percorsi di sviluppo caratterizzati dalla diversificazione della gamma, dall’incremento dei volumi e da una crescente proiezione internazionale della catena del valore, sia dal lato degli approvvigionamenti1 che del presidio dei mercati di sbocco, diventando in questo modo soggetti attivi della competizione globale. L’emergere di imprese o meglio di gruppi leader in alcuni distretti industriali del Nord-Est specializzati nella produzione di mobili segnala in modo emblematico lo sviluppo di realtà aziendali di dimensioni inedite per il settore, anche attraverso l’acquisizione di altre imprese locali, con il conseguente incremento del livello di concentrazione nei distretti e più in generale nel settore (Guerra, 1998; Grandinetti, 1999; Corò, Grandinetti, 1999).

In secondo luogo, diverse imprese di piccole dimensioni hanno ricercato formule competitive a più elevata sostenibilità. Alcune si sono riposizionate nella fascia alta del mercato, puntando sulla qualità dei materiali, l’innovazione di prodotto e un design avanzato. In questo modo, si è allargato il vertice della piramide che rappresenta la distribuzione dell’offerta per fasce di prezzo-qualità2. Altre hanno sviluppato strategie di nicchia basate su prodotti concepiti per specifiche situazioni d’uso. Anche più frequente è la specializzazione nel segmento contract, dalle catene alberghiere alle navi da crociera. Altre imprese hanno maturato una competenza specifica per particolari mercati-paese. Sono emerse, infine, sporadiche ma interessanti nuove forme di cooperazione orizzontale tra piccoli produttori in campo commerciale, in alternativa ai tradizionali consorzi promossi dal soggetto pubblico per operare nel campo della promozione e della vendita. Il tratto comune delle formule indicate è il rafforzamento dei fattori che attengono all’area del prodotto-servizio: qualità intrinseca e design dei prodotti, offerta di varietà anche nell’ambito di

1 Diversi produttori hanno delocalizzato in varie forme gli approvvigionamenti relativi alle prime fasi della filiera produttiva nei paesi dell’Est-Europa, dove il vantaggio localizzativo deriva congiuntamente dal minore costo relativo del lavoro e dalla prossimità alle fonti della materia prima. Questo orientamento è stato del resto innescato dalle politiche intraprese dai governi di quei paesi, interessati a disincentivare le esportazioni di legname grezzo a favore di quelle di semilavorati. 2 Struttura che, peraltro, tende ad assomigliare sempre meno a una piramide, in quanto - come si è visto - si è anche allargata la fascia media, mentre si è venuta a restringere la base.

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gamme specializzate, livello di servizio ai clienti, in termini soprattutto di affidabilità, tempi di consegna, disponibilità e flessibilità nel rapporto.

Complessità della domanda e competenze di marketing delle imprese

In relazione al secondo fattore di complessità, produttori e distributori si confrontano - soprattutto nel mercato nazionale - con un consumatore mediamente più maturo, più innovativo, meno decifrabile sulla base degli usuali schemi descrittivi e ancor meno dei troppi luoghi comuni diffusi nel settore dell’arredamento. Una scheda del nuovo consumatore sembra comprendere i seguenti tratti identificativi (Grandinetti, Pilotti, Zaghi, 1994):

a. maggiore propensione all’investimento informativo;

b. maggiore attenzione e preparazione nel riconoscere le differenze di offerta e nel valutare il rapporto prezzo/qualità;

c. sensibilità alle novità non banali, quando viene decisa la spesa di nuovo impianto, di rinnovamento o di singole sostituzioni;

d. maggiore propensione a riconoscere valore ai servizi che integrano l’acquisto del bene materiale;

e. orientamento a richiedere soluzioni personalizzate, per risolvere in modo appropriato esigenze specifiche o semplicemente per differenziarsi dagli altri;

f. difficile assegnazione dei singoli consumatori a un qualche segmento, a fronte dei tradizionali criteri di segmentazione della domanda;

g. presenza di comportamenti “anfibi” da parte di consumatori che compongono scelte di acquisto attribuibili a segmenti diversi.

La complessità sul fronte della domanda è dunque elevata, ma lo stock di conoscenze di cui gli operatori del settore dispongono per trattarla appare limitata.

Ad esempio, gli approcci alla segmentazione della domanda coerenti con la logica del marketing management, come la segmentazione per stili di vita o la benefit segmentation, hanno ormai un utilizzo consolidato in diversi settori3. D’altra parte, queste stesse metodologie risultano nel settore del mobile ancora poco conosciute e praticate. Infatti, sono prevalsi criteri di 3 Anzi, alcuni studiosi, consulenti e manager di marketing hanno incominciato a interrogarsi sulla capacità di tali approcci di interpretare ancora in modo efficace la varietà reale dei consumatori.

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distinzione tra prodotti basati sul concetto di stile (classico e moderno, innanzitutto), sui contenuti di design ed altro ancora, che peraltro scontano una sorta di autoreferenzialità dei produttori nei confronti delle dimensioni che caratterizzano i contesti reali del consumo.

Più in generale, la realtà dei consumatori - dalla varietà delle sue articolazioni ai comportamenti che caratterizzano il postacquisto - appare ai produttori di arredamento come un universo piuttosto indistinto. Solo negli ultimi anni le imprese più orientate al mercato hanno iniziato a colmare il ritardo. Le distorsioni percettive allo stadio della produzione si trasferiscono allo stadio a valle della distribuzione al dettaglio, traducendosi in rigidità delle leve disponibili nel punto vendita per gestire il rapporto con il consumatore.

Il rafforzamento delle conoscenze e delle relazioni di marketing costituisce in effetti la principale sfida che il settore italiano dell’arredamento ha di fronte.

1.2 Mass customization e internet nel settore dell’arredamento

Nel corso degli anni novanta, in molti settori industriali e anche nell’industria del mobile, è venuto perfezionandosi un nuovo modo di concepire la produzione, i prodotti e il rapporto con il consumatore. Molti osservatori hanno riconosciuto in questa evoluzione un vero e proprio nuovo paradigma della produzione industriale, in sostituzione della produzione di massa. Tra i termini coniati per identificarlo, quello forse più efficace in una prospettiva di marketing è mass customization: produzione di beni e servizi personalizzati a costi e prezzi accessibili alla grande massa dei consumatori, quanto meno nei paesi industrializzati (Pine, 1993). Infatti, la personalizzazione rappresenta una determinante fondamentale della transizione dal tradizionale approccio di marketing management al modello emergente del relationship marketing (Webster, 1992 e 1994; Grandinetti, 1993 e 2002)4.

4 Webster ha sintetizzato l’aspetto qualificante del passaggio nei seguenti termini: se in passato il problema di marketing che l’impresa doveva affrontare consisteva nella gestione delle transazioni di mercato secondo una logica microeconomica di massimizzazione del profitto, oggi e sempre più in futuro il problema diventa la gestione delle relazioni con i clienti e con gli altri soggetti che partecipano al sistema del valore dell’impresa, con l’obiettivo di garantire ai clienti un valore superiore.

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Virtualizzazione e personalizzazione dei prodotti: una nuova opportunità da gestire nell’interfaccia con i clienti

I produttori di mobili sono passati da una logica di modelli chiusi o a varietà limitata in ciascuna linea di prodotto alla logica dei programmi aperti, con una radicale trasformazione del concetto di profondità della gamma. Un programma di arredamento consiste in un sistema coordinato di prodotti. La sua profondità deriva dal fatto che esso può dare origine a un numero elevato di soluzioni di arredamento, secondo l’approccio appunto della mass customization.

Un programma di arredamento possiede una parte costante, rappresentata dalle strutture di base e dalla definizione di uno stile - collegabile ad un qualche criterio di segmentazione della domanda - che conferisce identità e riconoscibilità al programma. La parte variabile del programma corrisponde invece a una serie di parametri di varietà (dimensioni, colori, materiali, finiture) che riguardano i singoli moduli e prodotti che rientrano nelle soluzioni di arredo, ai quali si aggiunge la componibilità tra moduli e prodotti (in una cucina componibile, in una libreria, in un sistema di imbottito, in una camera da letto etc.)5.

Questa strategia di prodotto consente dunque di dilatare l’offerta di varietà. Più precisamente, il programma di arredamento assume la configurazione di un prodotto virtuale. Si può parlare di virtualizzazione del prodotto in un duplice senso:

1. un programma di arredamento esiste innanzitutto come entità astratta, per diventare reale richiede un processo di attivazione che si svolge a valle del produttore, nel punto vendita;

2. come entità astratta, il programma “contiene” non una sola ma una pluralità, a volte molto elevata, di soluzioni finali.

5 In particolare, la tipica modularità dei beni di arredamento è in grado di generare una profondità molto elevata. Da un lato, la costruzione modulare del prodotto, ad esempio una libreria, consente di proporlo in un gran numero di versioni. In alcuni casi, sono i prodotti in sé ad assumere natura modulare. Un sistema di imbottito progettato con questa logica e formato da cinque diversi elementi (divano a tre sedute, divano a due sedute, poltrona, elemento angolare e pouf) rende possibili svariate composizioni all’interno di uno spazio abitativo. L’offerta di varietà viene ulteriormente dilatata se alcuni attributi dei moduli (il rivestimento o i serramenti di un’antina, il tessuto o i piedi di un divano) sono declinabili, come di norma accade, in diverse modalità. In casi come questi, l’acquirente - se apprezza il design del programma di arredamento - acquista un prodotto tendenzialmente personalizzato.

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Conseguentemente, il mobilificio è portato a produrre in base all’ordine, escludendo il magazzino dei prodotti finiti. Lo sviluppo progressivo di questa strategia di prodotto è stata supportata dall’introduzione nel settore delle tecnologie di automazione flessibile, dagli avanzamenti nella progettazione di prodotti modulari, dallo sviluppo delle tecniche di produzione just in time.

È utile a questo punto aprire per un istante il campo di analisi. Nell’ottica di marketing un prodotto viene in genere rappresentato come insieme di un certo numero di caratteristiche: ai tipici attributi fisico-funzionali e agli altri attributi tangibili si aggiungono le componenti di servizio che integrano il prodotto fisico, dalle condizioni di pagamento alla garanzia sul prodotto, dai servizi prevendita a quelli di assistenza postvendita. È evidente che non tutti gli attributi sono interamente presidiabili dal produttore. I servizi, peraltro indispensabili anche per “comunicare” gli attributi tangibili (la qualità intrinseca e il design dei prodotti, in particolare), richiedono infatti la compartecipazione dei soggetti che operano a valle dei produttori, nel sistema verticale del valore: gli agenti di vendita e i dettaglianti. Un’impresa di arredamento che ignora questa proiezione verticale dei prodotti non può essere considerata marketing oriented, anche se investe in pubblicità o dispone di un sito web.

Nell’ambito dello schema concettuale delineato, che riconosce nei prodotti una duplice dimensione orizzontale e verticale (Rispoli, Tamma, 1992; Grandinetti, 1994), la personalizzazione rappresenta un servizio di natura particolare: consente all’acquirente di selezionare tra le possibili varianti offerte quella che risponde maggiormente alla sua specifica scheda di bisogni, aspettative e preferenze. Con ogni evidenza, si tratta di un attributo che si realizza solo attraverso il contributo congiunto dei produttori, dei distributori e dei consumatori. Altrimenti, l’offerta di varietà rimane un potenziale costruito dal produttore ma destinato a dissolversi nel mercato. In quanto entità virtuale, un programma di arredamento si traduce in valore utile per l’acquirente solo se viene adeguatamente comunicato e specificato nel punto vendita attraverso l’interazione del dettagliante e del consumatore, che svolgono un lavoro di progettazione complementare a quello che ha impegnato il produttore nel concepire il programma.

In definitiva, l’opportunità si traduce in valore per il cliente solo attraverso la mediazione del marketing. Affinché il potenziale liberato dalla tecnologia diventi una fonte di vantaggio competitivo e informi nelle imprese strategie sostenibili orientate alla varietà, è necessario che la domanda assegni valore alla varietà offerta e ciò richiede un intenso lavoro di interfaccia con i clienti, nella prospettiva del marketing interattivo.

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Per comprendere a fondo questo punto essenziale, ricostruiamo una situazione ricorrente: un consumatore visita un negozio di arredamento, osserva una soluzione di arredamento di un produttore fortemente orientato alla varietà presente nella mostra espositiva, utilizza le informazioni contenute in quella specifica soluzione e non il più ampio universo informativo che include come variante la soluzione esposta. Quanta distruzione di valore c’è in questa assenza di informazione e di comunicazione: la strategia di prodotto è cambiata, ma tutto ciò che sta intorno al prodotto segue ancora la logica dei “modelli chiusi”. Per evitare questa strozzatura, deve innanzitutto allargarsi l’orizzonte culturale dei produttori e dei distributori: quando il vantaggio di uno dipende dall’altro, e viceversa, la mancanza di reciproco riconoscimento e di dialogo si traduce inevitabilmente in svantaggio per entrambi.

Alla ricerca di un matching appropriato tra personalizzazione e segmentazione

Segmentare un mercato significa riconoscere la presenza di una pluralità di funzioni di domanda espresse da gruppi di consumatori o utilizzatori distinti. Questa condizione di eterogeneità ha implicazioni strategiche importanti, in quanto le imprese di produzione devono decidere in quali segmenti operare e progettare prodotti e azioni di marketing che tengano conto della caratterizzazione specifica dei segmenti coperti. Si tratta di uno dei più rilevanti strumenti concettuali del marketing e di uno dei principali contributi apportati dal marketing al management.

Anche se la prima significativa applicazione del concetto di segmentazione e quindi la prima ammissione della varietà dei consumatori risale addirittura agli anni trenta, quando la General Motors diede il via alla produzione di massa di una gamma completa di automobili, differenziate secondo una scala ascendente di qualità e di prezzo, solo molto più tardi però vennero perfezionati il concetto, i criteri e le tecniche di segmentazione (Casarin, 1990). Così la benefit segmentation raggruppa i consumatori in cluster sulla base dei benefici ricercati nei prodotti: i prodotti vengono concepiti come insiemi di attributi, tangibili e intangibili, generatori di benefici; i consumatori appartenenti a segmenti diversi associano un’importanza relativa maggiore a determinati attributi-benefici. Una volta individuati i segmenti, è necessario caratterizzarli ricorrendo ad altre variabili descrittive, al fine di rendere operativo il modello sul piano delle azioni di marketing. Un diverso modello si fonda sull’analisi psicografica, che centra l’attenzione sulle caratteristiche personali degli individui-consumatori e riconosce nello “stile di vita” l’aggregazione utile ai fini della

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segmentazione del mercato. In questo caso, il processo di segmentazione segue una sequenza inversa a quella precedente: definiti gli stili di vita, si tratta poi di ricercare le correlazioni significative con gli attributi dei prodotti e con le altre variabili rilevanti per il marketing.

Nello scenario dell’automazione flessibile e della personalizzazione dei prodotti emerge però un interrogativo non eludibile sul significato stesso della segmentazione: l’orientamento alla mass customization corrisponde “semplicemente” all’adozione di un nuovo e più complesso criterio di segmentazione o all’eclissi del concetto stesso?

Parallelamente, si assiste alla dilatazione della varietà e della variabilità nella sfera della domanda (bisogni, aspettative, preferenze), e diviene più problematica l’applicazione del concetto di segmentazione. Anche i criteri più sofisticati, come quello per stili di vita, incontrano difficoltà a comprendere la complessità reale dei comportamenti di consumo, diventando «sempre più difficile individuare dei nuclei di atteggiamento e dei grappoli di valori da mettere in corrispondenza alle singole scelte di consumo» (Varaldo, Legrenzi, 1992).

L’opinione di chi scrive è che la segmentazione della domanda e la strategia di personalizzazione del prodotto possano convivere in uno schema gerarchico: la prima consente una prima rappresentazione della varietà dei consumatori, la seconda opera entro le coordinate che definiscono uno specifico segmento e offre una risposta alla varietà interna al segmento stesso. Per rendere operativo questo approccio è però necessario costruire due condizioni, che caratterizzano rispettivamente il primo e il secondo livello dello schema proposto:

1. l’impresa deve disporre di una rappresentazione efficace della segmentazione della domanda. Sotto questo profilo, la ricerca di criteri di segmentazione appropriati deve compiere nel settore dell’arredamento un salto di qualità;

2. la seconda condizione solleva il problema di costruire un’interazione intelligente con il consumatore, senza la quale le sue aspettative non vengono specificate e l’offerta di varietà non si traduce in valore.

In entrambi i casi, la distribuzione commerciale viene a svolgere un ruolo essenziale: come fonte di informazioni e di conoscenze utili nella ricerca dei criteri di segmentazione, come anello del canale di marketing che consente l’interazione tra produzione e consumo.

Nell’ottica delineata si colloca il caso aziendale illustrato di seguito.

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Segmentazione e posizionamento nel mercato delle cucine componibili: il caso Snaidero

Snaidero è un’impresa specializzata nella produzione e nella commercializzazione di cucine componibili di fascia medio-alta e alta. Nasce nel 1946 come impresa artigianale e oggi è a capo di un gruppo internazionale che, con un fatturato consolidato di 304 milioni di Euro nel 2000, 8 marchi, 240 modelli di cucine proposti in circa mille varianti, si posiziona al quarto posto nella classifica europea dei produttori del comparto. Sul mercato italiano occupa il secondo posto in termini di quota di mercato dopo Scavolini.

Fin dagli anni sessanta Snaidero ha saputo imporsi sul mercato grazie a un’attenta politica di valorizzazione del prodotto, supportata da investimenti in progettazione e in qualità. Nella seconda metà degli anni novanta è parso tuttavia evidente che la strategia competitiva non si poteva basare unicamente sulle competenze legate al prodotto, alla produzione e alla qualità. Pur riconoscendo l’importanza di questi aspetti nella valutazione del consumatore, si trattava di concepire il cliente non più come un destinatario non problematico del prodotto, ma come il punto di partenza per sviluppare le politiche di offerta e organizzare tutte le funzioni aziendali.

Per dare corpo a questo cambiamento di prospettiva l’impresa ha dovuto rafforzare le proprie competenze di marketing6 e riprogettare i collegamenti tra le funzioni aziendali. Da un lato, infatti, l’analisi del mercato e della segmentazione della domanda diventano elementi conoscitivi fondamentali per procedere alle strategie di innovazione di prodotto e di posizionamento; dall’altro, la centralità stessa del cliente e della sua soddisfazione impongono collegamenti organizzativi e generano importanti sinergie tra attività di marketing, sviluppo dei nuovi prodotti, gestione della qualità e produzione.

Questo percorso evolutivo è emblematicamente rappresentato dal processo di sviluppo di un nuovo prodotto, il modello di cucina Gioconda, il quale prende avvio da una generale insoddisfazione dell’azienda rispetto alla propria posizione competitiva e all’immagine, che necessitava di rinnovamento e rivitalizzazione. La vera “rivoluzione” consiste nella decisione di investire su un prodotto e un programma di marketing destinati a un target di consumatori chiaramente definito ex ante, prima del prodotto. Il prodotto viene per la prima volta considerato non il punto di partenza di una strategia di marketing, ma il risultato finale di una ricerca che nasce dal mercato, dai gusti, dalle tendenze, attuali e previste, dei consumatori.

6 In precedenza, ad esempio, era scarsamente avvertita l’esigenza di una politica di comunicazione e costruzione dell’immagine aziendale, affidata al prodotto stesso.

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Il primo passo, nel 1997, è costituito dalla scelta di un modello di segmentazione innovativo per l’azienda ma anche per il settore dell’arredamento, ovvero la segmentazione per stili di vita: l’azienda chiede a Giampaolo Fabris di studiare il mercato nella sua articolazione e individuare i segmenti di consumatori più attrattivi in relazione alle competenze distintive dell’impresa e alla sua storia. L’analisi approfondita dei diversi stili di vita con riferimento al prodotto cucina, ma anche l’evoluzione degli stessi e della società più in generale, portano a mettere in luce aspetti critici sulla base dei quali ripensare le politiche di prodotto. In particolare, emerge la mancanza di un prodotto adatto a un segmento la cui caratterizzazione presenta invece un notevole interesse per l’impresa: un consumatore che in tutte le sue scelte (dai quotidiani all’auto, dalle vacanze all’alimentazione) evidenziava una preferenza per marchi con una storia e una tradizione, ma anche una crescente selettività, la ricerca di equilibrio, un ritorno alla famiglia, il rifiuto degli eccessi a favore di valori autentici; un sistema di valori che, in chiave di prodotto, viene interpretato come tendenza alla modernità e all’innovazione, ma senza trasgressione.

Nasce così il progetto di un nuovo prodotto in cui il forte orientamento alla qualità tipico di Snaidero doveva essere abbinato ad attributi più legati alla sfera delle emozioni, da mettere in sintonia con l’identità e le caratteristiche del target strategico individuato. Gioconda è una cucina appositamente progettata per essere destinata ad un consumatore di fascia alta, al primo o secondo acquisto di cucina, con un’età superiore ai 30 anni e scolarità e reddito alti, che vive il recupero della tradizione come espressione di modernità (è lo stesso che ama il nuovo Beetle della Volkswagen), è aperto a tendenze internazionali e abita in palazzi del centro storico o in ville di campagna. Nel progetto viene coinvolto il designer Massimo Iosa Ghini, che diviene lo strumento attraverso cui concretizzare con stile, gusto e qualità un’idea estremamente precisa.

Il processo di sviluppo di Gioconda si è concluso con la realizzazione del catalogo e la campagna di comunicazione, elementi fondamentali per un corretto posizionamento del prodotto. Anche in questo caso, le specificità del segmento-target hanno guidato la scelta delle situazioni e dei messaggi: la cucina viene ambientata in una villa della campagna parmigiana, in grandi spazi, in un ambiente familiare, caldo ma giovane e di reddito elevato.

Gioconda è stata lanciata nel mercato nel settembre 2000, quattro anni dopo l’inizio della ricerca di marketing. Il valore dell’esperienza maturata in questo progetto trascende il prodotto specifico, avendo costituito la traccia di una revisione più generale e profonda dell’approccio al mercato dell’impresa.

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Due aspetti particolarmente qualificanti di questo percorso sono l’utilizzo innovativo delle tecnologie della comunicazione nel rapporto con il consumatore e l’investimento nei rapporti con la clientela commerciale.

In merito al primo punto, un confronto con i principali siti web dei concorrenti e degli operatori del settore dell’arredamento in generale mostra che Snaidero rientra tra le imprese più innovative, soprattutto per come si propone al mercato. In particolare, l’innovazione risiede in una interpretazione del sito come strumento che presenta l’offerta e l’impresa a partire ancora una volta dall’utente, dal suo comportamento d’acquisto, dai suoi criteri di consultazione delle fonti informative e di selezione delle informazioni, dalla scala di valori che ne influenza il processo di acquisto e di consumo. In altri termini, è stato predisposto un luogo virtuale in grado di supportare sempre più il consumatore sia nella fase di selezione e acquisto che in quella di utilizzo del bene. L’obiettivo non è, neppure in prospettiva, la vendita telematica, ma l’integrazione dei servizi erogati nel punto vendita.

La distribuzione tradizionale, proprio perché ritenuta non sostituibile, è oggetto di altrettanta attenzione da parte del management dell’azienda, il cui obiettivo è trasferire al punto vendita un’immagine e un modello di relazione e comunicazione coerente con quello del produttore.

La sfida delle tecnologie della comunicazione: portare il negozio su internet o portare internet nel negozio?

Negli ultimi anni le imprese industriali hanno scoperto internet e aprono siti aziendali e/o partecipano a siti collettivi (Chiarvesio, Micelli, 2000). È quanto accade in tutti i settori ed anche nel settore dell’arredamento. L’analisi dei siti segnala situazioni diverse nell’approccio delle singole imprese a questa nuova forma e a questo nuovo mezzo di comunicazione. In molti casi, si tratta di un semplice spazio pubblicitario oppure dell’inserimento del catalogo in rete, senza differenze rilevanti dalla comunicazione veicolata dall’impresa attraverso i media tradizionali. In altri casi, il sito ha una configurazione più complessa, il progetto comunicativo risulta più ambizioso, si cerca di sfruttare la vera grande innovazione di internet: la possibilità di fare interagire l’impresa con il potenziale cliente a prescindere dal contatto fisico e con modalità più articolate rispetto a quelle consentite dalle usuali tecniche di direct marketing. Siti semplici o siti complessi, dunque. Sia nella prima che nella seconda tipologia compaiono i primi tentativi di vendere beni di arredamento attraverso internet.

Ma ciò che osserviamo oggi sono solo i segnali deboli delle trasformazioni che la grande rete dispiegherà nella comunicazione e

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nell’interazione a distanza tra offerta e domanda di beni e servizi. L’impressione infatti è che stiamo leggendo solo il primo capitolo di una storia in gran parte ancora da scrivere. Oggi la diffidenza di molti produttori nasce dal fatto che il numero di potenziali frequentatori di un sito aziendale è molto limitato, soprattutto in Italia. Ma questo dato è in rapida evoluzione: basti osservare la facilità di socializzazione alle nuove tecnologie che dimostrano i bambini e i giovani rispetto alle classi di età più anziane. La diffidenza nasce anche dalla mancanza di conoscenza del nuovo strumento e delle sue potenzialità, associata a una diffusa assenza di chiarezza su un punto: per comprendere come utilizzare al meglio internet, o più precisamente per costruire un’opportunità che potrà risultare importante in futuro ma difficilmente può garantire un ritorno nell’immediato, è necessario innanzitutto progettare una strategia di marketing!

Verifichiamo allora in cosa consistono i vantaggi in prospettiva di un approccio di marketing via internet.

Un software è sostanzialmente una macchina informativa: l’utilizzatore, sulla base di determinate procedure, può ottenere informazioni standard o anche informazioni personalizzate che presentano per lui un valore utile. La continua ricerca di sistemi sempre più ricchi di informazioni, sempre più amichevoli nell’uso, sempre più interattivi, integra progressivamente le funzioni dei siti: il visitatore può semplicemente leggere le informazioni ed eventualmente attivare transazioni su questa base informativa; ma può anche combinare informazioni ottenendo un pacchetto entro certi limiti personalizzato; può interrogare e ricevere informazioni secondo sequenze predeterminate o meno; può inviare informazioni o depositare nel sito quesiti e richieste che successivamente riceveranno una risposta; infine, può impegnarsi in azioni più complesse come la co-progettazione di un bene o di un servizio.

Le potenzialità di marketing interattivo sono dunque notevoli. Basterà un esempio, che si ricollega a quanto detto sul tema della virtualizzazione e della personalizzazione dei prodotti di arredamento. Si è visto come molte imprese del settore siano passate da una logica di modelli chiusi alla logica dei programmi di arredamento aperti, ossia a una strategia di prodotto che punta a dilatare l’offerta di varietà per rispondere meglio alle esigenze specifiche dei singoli clienti. Si è anche detto che il programma di arredamento è un’entità virtuale, che per concretizzarsi in soluzioni di arredo personalizzate richiede un processo di attivazione (servizio di personalizzazione) che si svolge a valle del produttore, nel punto vendita. Di conseguenza, è emerso il ruolo critico che, allo stato attuale, svolge il dettagliante. D’altra parte, nella prospettiva di internet, questo ruolo non è più scontato. Nel momento in cui tra produttore e consumatore si viene a

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instaurare un collegamento diretto, si creano infatti le condizioni perché il dialogo tra le parti necessario a realizzare un’offerta personalizzata possa svilupparsi senza la presenza di un intermediario. Questo è lo scenario che potrebbe riservare un futuro ad alta densità di collegamenti telematici: uno scenario senza distributori, in quanto i luoghi fisici di contatto con il cliente non hanno più importanza. Anche in questo caso, come per la segmentazione, corre l’obbligo di un punto di domanda. In fondo stiamo cercando di intraguardare il futuro e quando si fa questo tipo di operazione è preferibile, per dovere di onestà intellettuale, suggerire spunti di riflessione piuttosto che spacciare certezze non adeguatamente fondate.

Assumendo il ruolo del “difensore” del commercio, si potrebbe obiettare a chi ne sta prefigurando la scomparsa prossima ventura che il consumatore non può accontentarsi della varietà offerta da un solo produttore, per quanto grande possa essere tale varietà. In altri termini, rimane la necessità di garantire un servizio di presentazione della varietà tra marche, di selezione dell’assortimento commerciale, di orientamento del consumatore, che solo il dettagliante è in grado di svolgere. Ma anche questo vincolo potrebbe venire rimosso se più produttori con gamme complementari od orientate a segmenti distinti si accordano e organizzano in cooperazione un “negozio virtuale”, o delegano questo compito a una società specializzata.

Le strade percorribili dai dettaglianti sono allora due:

a. diventare essi stessi operatori di e-commerce (possibilità esplorabile anche in associazione alla gestione di superfici fisiche di vendita);

b. trasformare il punto vendita in un medium interattivo, attraverso una combinazione efficace di allestimenti creativi e di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, una sperimentazione che qualche distributore ha intrapreso con coraggio.

L’idea di fondo che supporta la seconda strategia è che una soluzione di arredamento rappresenta un bene problematico - non tanto sul piano tecnologico quanto per il valore monetario e per i significati d’uso e simbolici del prodotto - e che il processo di acquisto di beni di arredamento può continuare ad avere una dimensione “fisica” se il processo stesso non si traduce in un lavoro frustrante per il consumatore ma in un’esperienza intelligente e gradevole. Su questa linea, le strategie del distributore e del produttore possono ritrovare un punto d’incontro. In effetti, l’analisi dei siti più innovativi costruiti da imprese di produzione del settore, come quello della Snaidero, segnalano la volontà non di superare lo stadio del commercio, ma di promuovere la propria offerta e al tempo stesso fornire al potenziale acquirente le informazioni e le conoscenze che gli consentono di gestire al meglio il processo di acquisto. È evidente che, in questo modo, il

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distributore viene a perdere in parte il potere di condizionamento nei confronti del consumatore, un potere che peraltro sembra sopravalutato, come si avrà modo di chiarire nella parte conclusiva di questo capitolo. Ma il punto su cui richiamare l’attenzione è un altro: se il produttore di beni che rimangono complessi si “avvicina” al consumatore, il distributore riceve uno stimolo a innalzare la qualità delle azioni di comunicazione e dei servizi erogati nel punto vendita e a ricercare forme efficaci di interazione con i produttori che rientrano nell’assortimento commerciale.

In un celebre articolo scritto nel lontano 1960 Theodore Levitt ammoniva le imprese sui rischi di un orientamento al mercato affetto da miopia. Ricordava come gli industriali ferroviari americani avessero snobbato quei ridicoli giocattoloni su quattro ruote che iniziavano a percorrere le (inadeguate) strade del paese di fine ottocento. Pochi anni dopo Henry Ford avviava la prima fabbrica per la produzione di massa delle automobili. È questo l’unico errore che i distributori di mobili, come del resto di ogni altro settore, non devono commettere nei confronti di internet: pensare che si tratti solo di un giocattolo che dura il tempo di una stagione. In fondo, alla miopia si può porre rimedio con un buon paio di occhiali.

1.3 Relazioni di marketing nel sistema del valore dell’arredamento

Non è possibile pensare che i produttori e i distributori possano imboccare i difficili sentieri evolutivi che li attendono a prescindere l’uno dall’altro. La mancanza di un dialogo efficace tra questi due “mondi” rappresenta infatti un vero e proprio blocco evolutivo. In altri termini, la forma sostenibile di evoluzione competitiva del settore è in effetti la co-evoluzione dei sistemi dell’offerta e della distribuzione.

D’altra parte, i produttori e i dettaglianti non rappresentano gli unici attori del sistema del valore dell’arredamento. Un ruolo fondamentale nell’evoluzione del settore può e deve essere svolto anche da altri soggetti: i subfornitori7, gli agenti di vendita, i designer8 e gli altri fornitori di servizi

7 A fronte di processi produttivi caratterizzati da un’elevata divisione del lavoro tra le imprese di produzione, come tipicamente nei numerosi distretti mobilieri italiani. 8 Il design ha rappresentato un fattore di vantaggio competitivo e quindi una fonte di valore di notevole importanza per il settore italiano dell’arredamento, contribuendo in misura determinante alla crescita di questo settore e al suo successo

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strategici (in particolare negli ambiti della consulenza di marketing, della qualità aziendale, del trasferimento di tecnologie), i consumatori.

In quest’ultima sezione del capitolo vengono dunque prese in esame le relazioni del sistema del valore dell’arredamento che si dispiegano lungo il canale di marketing, reinterpretandole in una prospettiva evolutiva. Il riferimento dell’analisi è il mercato italiano, ma le implicazioni sono di portata più ampia. Infatti, i produttori più consapevoli delle fonti del proprio vantaggio competitivo sono alla ricerca di un rapporto “virtuoso” tra internazionalizzazione e presidio del mercato domestico. L’impresa di produzione deve valorizzare l’interazione tra due vocazioni di mercato che altrimenti rimangono giustapposte e talvolta entrano in conflitto. E può conseguire questo scopo nella misura in cui riesce ad attivare un processo di apprendimento reciproco: ciò che si impara nel mercato nazionale serve per rafforzare la posizione competitiva nei mercati esteri e viceversa. È questa sinergia che offre una chance in più all’impresa, oltre l’immagine-ombrello del made in Italy. Non si deve a tal proposito ignorare il fatto che il vantaggio competitivo sui mercati internazionali delle imprese del made in Italy ha avuto tra le sue determinanti anche il confronto con una domanda domestica particolarmente esigente, nella logica della teoria porteriana del vantaggio competitivo delle nazioni (Porter, 1990).

Verso una nuova configurazione dei rapporti industria-distribuzione

Un modo efficace per affrontare la complessità che caratterizza l’ambiente competitivo in cui si muovono i produttori e i distributori di mobili, per trasformare la complessità da minaccia in opportunità, è l’instaurarsi di rapporti collaborativi tra produttori e distributori, la sostituzione di un clima di rapporti orientato al conflitto con un clima di rapporti orientato alla cooperazione, vista come leva competitiva congiunta dei due partner del sistema del valore.

L’assenza di cooperazione tra industria e distribuzione, che rappresenta ancora la situazione prevalente nel settore del mobile in Italia, non è dovuta oggi alla mancanza di ragioni e contenuti validi per la cooperazione, o all’inadeguatezza delle tecnologie comunicative, ma discende dai limiti nella

internazionale. D’altra parte, in uno scenario competitivo a elevata complessità, il design potrà continuare a rappresentare una significativa fonte di valore se intensifica il confronto, l’interazione comunicativa e la cooperazione con gli altri attori che animano il sistema o rete del valore dell’arredamento (Maffei, Zurlo, 2000).

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cultura strategica e di marketing degli attori: mai come oggi le debolezze culturali rappresentano, a tutti gli effetti, debolezze competitive.

Più nel dettaglio, perché si creino e si mantengano nel tempo relazioni cooperative tra un produttore e i suoi clienti-distributori, sono necessarie alcune condizioni:

a. simmetria nella consapevolezza strategica dei vantaggi della cooperazione. Si tratta di un requisito essenziale perché una relazione cooperativa possa essere avviata, tenendo conto che per cooperare è necessario innanzitutto “cominciare” a cooperare;

b. costruzione di linguaggi che consentano la comunicazione tra i partner, nonché di canali comunicativi efficaci. La produzione di linguaggi adeguati è diventato un compito fondamentale del marketing, non solo nel rapporto con i consumatori, ma anche nei rapporti industria-distribuzione;

c. disponibilità alla trasparenza informativa, come deterrente all’innescarsi di comportamenti opportunistici;

d. disponibilità all’interazione comunicativa, al riconoscimento e al rispetto delle differenze, all’adattamento reciproco, in misura tanto maggiore quanto più avanzati sono gli obiettivi che si perseguono attraverso la cooperazione.

La cooperazione, quando consegue risultati positivi, produce una vera e propria risorsa competitiva (immateriale): la fiducia reciproca. La fiducia reciproca porta a consolidare il rapporto e favorisce la ricerca di nuovi traguardi competitivi. D’altra parte, la presenza di fiducia riduce la probabilità che eventuali difficoltà nel rapporto si traducano in conflitti insanabili.

La cooperazione implica un impegno delle parti (commitment) non trascurabile, e l’impegno comporta ovviamente dei costi. Perché produttori e distributori dovrebbero sviluppare relazioni di tipo cooperativo, che comunque risultano più impegnative delle relazioni di tipo convenzionale? Quali sono i vantaggi della cooperazione in grado di sopravanzare l’impegno e i relativi costi? Perché i produttori dovrebbero abbandonare una politica distributiva di tipo intensivo, ancora dominante in particolare nella fascia media del mercato?9 Perché i distributori dovrebbero rinunciare a “tenersi le mani libere” nella scelta dei produttori da inserire nel proprio assortimento?

9 Elevato numero di clienti-dettaglianti e basso fatturato medio per negozio servito.

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La risposta a questi quesiti costituisce un passaggio obbligato, in quanto - come si è detto - il rapporto cooperativo non può iniziare in condizioni di asimmetria dei partner potenziali per quanto riguarda la consapevolezza strategica dei vantaggi della cooperazione.

Volendo mantenere la distinzione tra punti di vista che comunque rimangono autonomi e assumendo innanzitutto la prospettiva del produttore, esistono almeno quattro buone ragioni per sviluppare relazioni cooperative nel canale di marketing.

Una prima motivazione deriva dalle strategie di prodotto adottate dalle imprese di produzione. I produttori, come si è visto in precedenza, sono orientati all’incremento della varietà offerta, verso una sempre più spinta personalizzazione. Ma l’offerta di varietà si traduce in elemento di vantaggio competitivo se il sistema di preferenze del consumatore assegna ad essa un valore utile. Ciò avviene se a questo fine si orientano in modo coerente i comportamenti dei diversi soggetti che compongono il sistema del valore del mobile. Con riguardo al comportamento dei dettaglianti, l’offerta di varietà dei produttori di mobili trova nel punto vendita un necessario e fondamentale momento di realizzazione, un “momento della verità” (Normann, 1984), sulla base dei servizi necessari a completare l’offerta di varietà nel punto vendita.

In secondo luogo, per l’evoluzione competitiva del settore risulta determinante il passaggio dal concetto di qualità del prodotto-servizio al concetto di qualità aziendale (totale). Ad oggi, sono relativamente poche le imprese che hanno conseguito la certificazione secondo la normativa internazionale e ancora meno quelle che hanno colto nella loro pienezza le opportunità che il processo di certificazione offre di ripensare in profondità l’organizzazione e la strategia. Un programma aziendale di qualità totale (Total Quality Management) rappresenta un’innovazione complessa che impone all’impresa di confrontarsi con il problema della codificazione delle conoscenze sulla base di un sistema linguistico valido in ambito internazionale, coinvolge il prodotto in tutte le sue componenti (tangibili e intangibili) e l’organizzazione interna dell’impresa in tutte le sue parti e nei collegamenti tra le parti. Ma la qualità totale coinvolge anche i collegamenti del produttore con gli anelli a monte del sistema del valore (fornitori e subfornitori) e con gli anelli a valle (agenti, distributori, consumatori). Nel significato più compiuto, la qualità totale è qualità totale di canale.

Un discorso del tutto analogo può essere fatto per la strategia di differenziazione, ossia per i tentativi dei produttori di differenziare il sistema di offerta rispetto ai concorrenti in relazione ad alcune variabili ritenute importanti dai clienti finali. Nel settore dell’arredamento esiste un notevole

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scarto tra differenziazione ricercata e differenziazione effettivamente percepita dai consumatori, sia a causa dell’orientamento delle imprese di produzione a creare semplici “differenze” piuttosto che differenziazione in senso proprio, sia perché la sostenibilità di una strategia di differenziazione rinvia a un delicato problema di gestione dei rapporti con i soggetti che operano nella catena distributiva, nell’ambito di un coerente approccio di marketing da parte del produttore.

La quarta tesi a favore della cooperazione discende dal fatto che la personalizzazione, la qualità totale, la differenziazione non possono prescindere dal modo in cui vengono comunicate. La comunicazione diretta al consumatore deve risultare coerente con la comunicazione lungo il canale di marketing. Il processo di comunicazione non deve solo evitare punti di rottura nel canale, deve anche risultare circolare: i produttori informano e comunicano con i consumatori, i consumatori informano e comunicano con i produttori. Nuovamente, emerge il ruolo critico del distributore (Comboni, 1994).

In definitiva, senza l’integrazione comunicativa e la collaborazione dei distributori, i produttori rischiano di vedere vanificati gli sforzi profusi nelle politiche di mass customization, nei progetti di qualità e nelle strategie di differenziazione, di vedere distruggere negli stadi a valle del canale di marketing una parte del potenziale competitivo creato a monte.

Anche adottando il punto di vista del distributore emergono ragioni di cooperazione nel canale di marketing. Infatti, l’offerta di varietà, la qualità totale e la differenziazione sono concetti che non riguardano solo il produttore, ma anche il distributore con riferimento al suo specifico “prodotto”, ossia il servizio commerciale, rappresentabile a sua volta come un insieme di servizi elementari10.

La possibilità di differenziare il servizio commerciale nei confronti dei concorrenti, il sistema di qualità di un dettagliante, l’introduzione di innovazioni incrementali o di nuovi servizi, dipendono dai servizi che il produttore è in grado ed è disposto ad assicurare al commerciante. Il consumatore è orientato a richiedere soluzioni personalizzate e riconosce valore ai servizi che integrano l’acquisto del bene materiale: tempi di consegna, installazione, richieste di integrazioni, sostituzioni etc. Ma queste

10 Il sistema delle imprese distributrici di mobili in Italia è caratterizzato ancora da un basso livello di differenziazione al suo interno, anche se non mancano i segnali di un’evoluzione, come emerge da alcuni casi di distributori dinamici, i quali hanno investito in servizi innovativi al cliente e ripensato il punto vendita come contesto comunicativo complesso, ricco di informazioni utili, di messaggi fruibili e di stimoli.

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opportunità sono destinate a rimanere inesplorate senza integrazione comunicativa e collaborazione tra distributori e produttori.

In definitiva, senza la collaborazione dei produttori, gli spazi di progettualità imprenditoriale del distributore si restringono notevolmente e, nel momento in cui i progetti vengono messi in campo, risulta elevata la probabilità di non poter rispettare le “promesse” fatte al cliente finale.

A partire da queste premesse, risulta possibile identificare diverse opportunità di collaborazione tra industria e distribuzione nel settore del mobile: dall’informazione/formazione dei produttori nei confronti dei dettaglianti sulle caratteristiche del sistema di offerta al ritorno informativo veicolabile da distributori che vengono a svolgere la funzione di “sensori” del mercato, dalle iniziative congiunte di comunicazione nel punto-vendita allo sviluppo di collegamenti telematici per la razionalizzazione del ciclo complessivo dell’ordine e il supporto ai servizi di progettazione personalizzata delle soluzioni di arredo (Grandinetti, Pilotti, Zaghi, 1994).

Si vuole rimarcare il fatto che i dettaglianti possono anche svolgere l’importante funzione di sensori del mercato, se da un lato essi si attrezzano in tal senso (imparando a raccogliere, codificare ed organizzare la gran mole di informazioni che comunque i contatti con i consumatori incorporano) e dall’altro i produttori riconoscono questa potenzialità insita nei loro partner commerciali (Lojacono, 2001). Anche gli agenti di vendita rappresentano una fonte informativa di grande valore11. Ripensando le relazioni con gli agenti e i dettaglianti, i produttori possono pertanto potenziare quella capacità di market sensing12 di cui oggi difettano.

In definitiva, lo spazio della cooperazione è multidimensionale e attende solo di venire esplorato con maggiore decisione dai produttori e dai distributori.

11 Diversi osservatori riconoscono nell’agente di vendita l’anello debole del canale di marketing. La critica è sintetizzabile nel margine troppo elevato trattenuto dall’intermediazione, a fronte di un basso valore aggiunto dalle prestazioni fornite. Vista l’insostituibilità quasi unanimemente riconosciuta (almeno per ora) dell’agente, i produttori più evoluti hanno imboccato la strada giusta: cercare di promuovere l’evoluzione qualitativa dell’agente, rispetto allo stato di mero raccoglitore di ordini. Tale evoluzione comporta comunque un notevole salto di professionalità, visti i compiti che il “nuovo” agente dovrebbe saper svolgere: sul piano della gestione del rapporto con il cliente, della comunicazione delle caratteristiche differenziali dell’offerta, del veicolamento delle informazioni di ritorno. 12 Che rappresenta una competenza distintiva delle organizzazioni market-driven (Day, 1994).

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Nel sistema del valore dell’arredamento comanda il consumatore

Tra le molte informazioni interessanti contenute nella ricerca sul processo d’acquisto dei mobili delle famiglie italiane, realizzata nel 1999 dallo Csil di Milano per Federmobili, alcune assumono un rilievo notevole nell’ambito della nostra riflessione. Ci si riferisce precisamente ai seguenti fatti rilevati dall’indagine, che ha coinvolto 1.200 acquirenti di mobili per la casa:

1. una esigua minoranza dei consumatori intervistati, poco più del 10%, aveva in mente una marca precisa prima di effettuare l’acquisto;

2. una percentuale non trascurabile (27%) dei pochi acquirenti che nella fase di preacquisto avevano già formulato un’opzione sulla marca, ha poi acquistato mobili di un’altra marca;

3. la maggioranza assoluta dei consumatori (63%) visita più di un negozio prima di effettuare l’acquisto, un quarto circa ne visita addirittura quattro o più;

4. la fedeltà al punto vendita non risulta elevata, se più della metà dei soggetti intervistati ha dichiarato di non avere avuto precedenti esperienze di acquisto nel negozio in cui ha effettuato l’ultimo acquisto di mobili;

5. la quasi totalità dei consumatori intervistati (93%) si è dichiarata pienamente soddisfatta dell’acquisto effettuato e, tra i pochi insoddisfatti, i problemi che hanno il rilievo prioritario sono rappresentati dalla scarsa professionalità nel montaggio e dai ritardi nella consegna;

6. sulla scelta di acquistare un determinato prodotto in un determinato negozio pesano in modo uguale parametri riferibili al prodotto per come concepito e realizzato dal produttore e parametri riferibili al servizio commerciale per come concepito e realizzato dal dettagliante.

I primi due fatti, in assenza degli altri, porterebbero ad affermare che nel canale distributivo il potere è nelle mani del distributore al dettaglio: l’acquirente potenziale entra nel negozio per completare il processo cognitivo che precede la decisione di acquisto e lo completa sulla base di quello che vede, legge e soprattutto ascolta dagli addetti alla vendita. Ne discende che, per i produttori di beni di arredamento, la strategia di demand pull, tipicamente basata sulla comunicazione diretta al consumatore, difficilmente riesce a raggiungere alti livelli di efficienza (in rapporto ai costi

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sostenuti) e di efficacia (con riferimento agli obiettivi di vendita programmati).

A raffreddare l’entusiasmo dei commercianti per il potere che i consumatori assegnano loro nel momento in cui entrano nei negozi senza idee precise sulle marche da acquistare, ci pensano i consumatori stessi: ridistribuendo il potere tra più dettaglianti, lungo la sequenza di acquisti che costella la vita di ciascun individuo e anche nell’ambito di un singolo processo di acquisto.

Si potrebbe giungere alla conclusione che il consumatore non ha idee molto precise, non solo in riferimento alla marca da scegliere, ma anche al punto vendita in cui effettuare l’acquisto. Un consumatore “semplicione”, dunque? Esattamente il contrario. L’acquirente le idee precise se le vuole formare in autonomia e si prende tutto il tempo necessario, osservando e ascoltando una pluralità di fonti: un primo negoziante, un secondo, e certamente anche altri soggetti (un conoscente che ha appena effettuato un acquisto analogo, l’amico architetto etc.). Per questo, il vero potere nel canale distributivo dell’arredamento è nelle mani, o meglio nella mente, del consumatore. Non sorprende allora l’indice elevato di customer satisfaction: in qualche misura, il consumatore sta anche giudicando se stesso.

Alla base della “mobilità” del consumatore vi possono essere diverse spiegazioni. L’acquisto di mobili ha una limitata frequenza nel ciclo di vita di una famiglia e, con ogni probabilità, i distributori non fanno molto per mantenere un canale di interazione con chi ha effettuato un acquisto presso il loro negozio: da qui l’infedeltà all’insegna commerciale. Molte superfici di vendita non sono ancora dei luoghi idonei per attivare e risolvere il processo cognitivo del consumatore: da qui la visita di più negozi.

Ma vi è anche una spiegazione più profonda, più strutturale, che si comprende se sostituiamo per un momento il termine “canale distributivo” con quello di “sistema del valore”. Il consumatore-utilizzatore svolge sempre alcune attività generatrici di valore, in misura tanto più intensa quanto più problematico è il processo di acquisto. E l’acquisto di mobili (in particolare di un sistema di arredamento) è sicuramente un evento complesso: non solo per il valore monetario medio degli acquisti in oggetto e per la dimensione affettiva e simbolica che accompagna questo tipo di acquisti, ma anche e forse soprattutto per l’importanza che l’abitazione e i suoi spazi hanno nella vita delle famiglie, in particolare delle famiglie italiane. Tra le attività generatrici di valore rientra, ad esempio, l’attività di acquisizione ed elaborazione delle informazioni nella fase di preacquisto, ma anche la ricerca della collocazione ottimale dei mobili acquistati, il pensare a che tipo di

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mobile potrebbe completare e valorizzare quelli già posseduti, ed altro ancora.

Che fare allora, per non cadere nella desolata constatazione che il mercato italiano, a confronto con altri paesi, è troppo “difficile” dal lato della domanda? È proprio l’ultimo dei dati citati dall’indagine Csil-Federmobili a indicare un punto di partenza: da esso infatti emerge, in modo non equivocabile, che nella percezione dei consumatori il lavoro del produttore per creare valore si fonde con quello del distributore.

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Cap. 2 I sistemi produttivi locali del Livenza e del Quartier del Piave dalla crescita estensiva alla transizione evolutiva

2.1 I distretti industriali: sistemi locali in evoluzione

La caratteristica strutturale che contraddistingue l’industria italiana del legno-arredo è la concentrazione delle imprese all’interno dei distretti industriali. In particolare, nelle regioni del Nord-Est - che assieme a Lombardia, Toscana e Marche sono le principali regioni mobiliere nazionali - la maggioranza delle imprese opera all’interno di alcuni tipici sistemi produttivi locali: il distretto della sedia (in provincia di Udine), il distretto del mobile in stile della Bassa Pianura Veronese, tra Cerea e Bovolone, il distretto plurisettoriale di Bassano del Grappa, oltre ai sistemi produttivi locali del Livenza e del Quartier del Piave che sono oggetto della presente ricerca.

Prima di passare a presentarli è quindi opportuno compiere qualche riflessione di carattere generale sul tema dei distretti. Il successo di questi sistemi produttivi è troppo noto e non richiede ulteriore enfasi. Meno noto e più meritevole di attenzione è il fatto che i distretti stanno attraversando una fase di transizione evolutiva.

I distretti industriali costituiscono una forma di organizzazione dell’attività economica caratterizzata dalla presenza di un consistente numero di piccole e medie imprese specializzate sia in senso orizzontale che in quello verticale di filiera, e inoltre da una struttura di relazioni che ha generato sul territorio una base ampia e integrata di competenze e un sistema efficiente di coordinamento produttivo (Becattini, 1987 e 1989).

L’interazione comunicativa e la cooperazione tra le imprese distrettuali, immerse nel medesimo contesto locale di esperienza, sono alla base del coordinamento efficiente e quindi della tenuta sistemica del distretto. Al contempo hanno un ruolo importante nell’evoluzione del distretto, al pari dell’intensa concorrenza che ne caratterizza la vita competitiva (Rullani, 1995).

I distretti industriali hanno potuto funzionare in passato secondo una logica prevalentemente chiusa, ossia come sistemi locali comunicanti con

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l’esterno solo nei punti terminali della filiera distrettuale. I mercati intermedi di beni e servizi hanno infatti assunto una configurazione interna, in quanto resi accessibili in via quasi esclusiva a offerenti e acquirenti localizzati nei distretti.

Inoltre, nei punti terminali del sistema del valore (collocamento dell’output finale e approvvigionamento delle materie prime), la capacità dei distretti industriali di presidiare i canali di collegamento con l’esterno è risultata mediamente debole. In particolare, per quanto concerne la commercializzazione dei prodotti nei mercati esteri, sono prevalse strategie di ingresso e di distribuzione a basso grado di coinvolgimento e quindi di presidio informativo dei mercati (Mistri, 1994).

La chiusura non riguarda solo i mercati dei prodotti di fase e degli altri beni e servizi collegati al complessivo processo di produzione, ma si estende più in generale ai mercati delle risorse: il distretto industriale si è storicamente distinto per la capacità di auto-generare le risorse umane, finanziarie e cognitive necessarie alla propria riproduzione nel tempo.

La densa rete di collegamenti interni, con pochi e “stretti” canali di interazione verso l’esterno, rappresenta un elemento distintivo e di valore dei distretti. L’impermeabilità all’ambiente esterno non ha dunque impedito, ma al contrario sostenuto, la riproduzione del vantaggio competitivo dei distretti industriali. D’altra parte, nello scenario competitivo dell’economia globale la chiusura viene a rappresentare un limite evolutivo per i distretti (Amin, Robins, 1990; Amin, 1993; Becattini, Rullani, 1993; Albertini, Pilotti, 1996).

Quanto detto consente di apprezzare il fenomeno-chiave che caratterizza la fase attuale dei distretti industriali, che abbiamo definito di transizione evolutiva: l’apertura del sistema locale del valore oltre i canali di collegamento precedenti, debolmente presidiati dalle imprese distrettuali. In altri termini, il sistema-distretto entra sempre più in relazione con soggetti, risorse e competenze esterne, trasformandosi da sistema di interazioni locali relativamente chiuso a nesso territoriale di reti più ampie (Gandolfi, 1990; Becattini, Rullani, 1993; Rullani, 1995 e 1998; Grandinetti, Rullani, 1996; Tiberi Vipraio, 1996; Bramanti, Maggioni, 1997).

La tendenza segnalata si esprime innanzitutto attraverso il comportamento dinamico di alcune imprese che assumono il ruolo di leader nell’ambito del sistema produttivo locale di riferimento, sviluppando comportamenti strategici dotati di un certo impatto sul sistema distrettuale (Corò, Grandinetti, 1999 e 2001; Grandinetti, 1999).

In primo luogo, le imprese-leader tendono a concentrare il fatturato distrettuale, sia in ragione delle superiori dinamiche di crescita, sia

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(soprattutto) in ragione dell’integrazione orizzontale dei fatturati finali attraverso la formazione di gruppi industriali.

In secondo luogo, introducono innovazioni complesse, di natura sistemica, che modificano in profondità la formula imprenditoriale e il modello organizzativo (come, ad esempio, l’implementazione di un sistema di qualità totale).

Inoltre, proiettano la catena del valore all’esterno dell’ambiente locale attraverso la de-localizzazione di alcune subforniture, il ricorso a fornitori di servizi di rilevanza strategica (quali l’innovazione tecnologica, l’informatizzazione, la gestione della qualità, il design, la comunicazione di marketing, le ricerche di mercato, la consulenza direzionale, i servizi finanziari) esterni al distretto, il presidio dei mercati di sbocco. Il processo più rilevante ai fini della presente ricerca è l’ultimo, ovvero l’apertura della catena del valore dal lato delle attività di vendita e marketing. Le imprese-leader si internazionalizzano e potenziano la funzione commerciale e di marketing, superando quello che in passato ha rappresentato un cronico punto di debolezza di molti distretti: la modesta capacità di presidiare i mercati. Si cerca così di organizzare in modo efficace e sostenibile nel tempo i canali di sbocco, sottraendo terreno ai tradizionali intermediari commerciali. In genere, ciò avviene attraverso la creazione di una rete di agenti che operano nei diversi mercati del portafoglio-paesi dell’impresa, affiancata da forme di cooperazione con partner esteri nei mercati principali. Non mancano peraltro coinvolgimenti più impegnativi, da piccola multinazionale, come la creazione di uffici di rappresentanza, filiali commerciali e consociate estere per la commercializzazione e talvolta anche l’assemblaggio del prodotto finito.

Il quarto ed ultimo aspetto da segnalare è la ricerca, da parte delle imprese-leader, di un rapporto “virtuoso” tra internazionalizzazione e presidio del mercato italiano. Come si è visto nel primo capitolo, l’impresa deve valorizzare l’interazione tra due approcci al mercato che altrimenti rimangono contrapposti. È questo rapporto sinergico che offre all’impresa una possibilità in più, oltre l’immagine-ombrello del made in Italy. In quest’ottica, assume un particolare rilievo il salto di qualità che alcuni produttori cercano di conseguire nel mercato nazionale sul piano delle relazioni sviluppate con i soggetti che operano nei canali di marketing, in primo luogo con la distribuzione al dettaglio. Senza la collaborazione dei distributori i produttori rischiano infatti di vedere vanificati gli sforzi profusi nelle politiche di mass customization, nei progetti di qualità e nelle strategie di differenziazione.

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Si è visto che le imprese-leader tendono a concentrare il fatturato distrettuale e ad allacciare relazioni con soggetti esterni al distretto: aziende di subfornitura, fornitori di servizi, intermediari e partner commerciali. Ma allora, siamo all’inizio del declino dei distretti industriali, in quanto sistemi basati tipicamente sulla vitalità di numerose piccolissime e piccole imprese, proprio ora che la politica industriale nazionale ha incominciato ad accorgersi dell’esistenza e dell’importanza dei distretti? L’osservazione della realtà induce a una visione più ottimistica sul destino dei distretti. Essi si riproducono e riescono ad evolvere al sussistere di due condizioni:

a. è ampio il numero e la varietà di formule imprenditoriali innovative;

b inoltre, si viene a creare un collegamento positivo tra l’ampliamento dell’orizzonte strategico delle imprese distrettuali maggiormente robuste e dinamiche e la capacità complessiva di relazione del distretto.

In merito alla prima condizione, è opportuno rilevare che non tutto il potenziale innovativo dei distretti si esaurisce nella ristretta élite delle imprese-leader. Tra le imprese dinamiche vi sono infatti anche aziende di piccole dimensioni. A questo proposito, e facendo riferimento alle sole imprese che realizzano prodotti finiti, le formule imprenditoriali più significative sono le seguenti:

1. piccole imprese che realizzano prodotti finiti e intraprendono strategie di nicchia a elevata sostenibilità, basate sull’evoluzione del prodotto per usi specifici, sulla differenziazione spinta per segmenti circoscritti (fascia alta del mercato, stili di vita etc.), sulla capacità di realizzare prodotti country tailored in particolari mercati-paese;

2. una seconda formula si riferisce alla piccola impresa che modifica radicalmente il rapporto tra l’attività produttiva e le funzioni strategiche di progettazione e commercializzazione, esternalizzando l’intera filiera delle operazioni manifatturiere fino alla soglia dell’assemblaggio;

3. altro caso è quello di società commerciali costituite da imprese di produzione per la vendita di prodotti all’estero. I produttori organizzano un’offerta congiunta, centralizzando le attività necessarie a migliorare la penetrazione dei mercati.

La seconda condizione che consente di proiettare nel futuro il successo competitivo dei distretti industriali riguarda la natura dei rapporti che si instaurano tra le imprese-leader e il resto del distretto. Alcune imprese

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possono funzionare da battistrada rispetto a una più ampia apertura all’economia globale che coinvolge altri operatori locali (subfornitori e fornitori, aziende di servizi, clienti, concorrenti). Si può allora parlare di imprese-guida, ossia di imprese che innescano l’evoluzione del distretto o di parti significative di esso, in virtù della centralità relazionale assunta nell’ambito di una rete di imprese o anche solo perché trascinano processi (selettivi) di imitazione (Ferrucci, Varaldo, 1997; Lomi, Lorenzoni, 1992).

Con riferimento al tema al centro della nostra indagine, è indispensabile che nei sistemi distrettuali si diffonda la cultura di marketing, sia in riferimento al marketing strategico (analisi delle opportunità di mercato, segmentazione della domanda e strategie di copertura dei segmenti, positioning, differenziazione dell’approccio nei diversi mercati che compongono il portafoglio-paesi dell’impresa), sia in riferimento alle dimensioni operative del marketing (prodotto, prezzo, distribuzione, comunicazione). In relazione a questa prospettiva evolutiva: da un lato, le esperienze positive maturate da alcune imprese-leader e da piccole imprese dinamiche rivestono un importante valore segnaletico; dall’altro, l’utilizzo intelligente e innovativo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione offre nuove opportunità per sviluppare un collegamento efficace con il mercato.

2.2 I sistemi produttivi locali del Livenza e del Quartier del Piave

Uno dei principali poli produttivi nazionali del settore del legno-mobilio è localizzato tra la provincia di Treviso e quella di Pordenone. L’area di specializzazione copre un vasto territorio - che comprende la Sinistra Piave nel trevigiano e il comprensorio di Sacile nel pordenonese - all’interno del quale le imprese si concentrano soprattutto in due sistemi produttivi locali, posti l’uno lungo il corso del fiume Livenza, proprio a cavallo delle due province, l’altro nel Quartier del Piave. Il tessuto produttivo è composto da numerose piccole e medie imprese ma anche da vari gruppi o aziende di maggiori dimensioni.

La produzione locale comprende diversi tipi di mobili per la casa, soprattutto soggiorni, camere, camerette, cucine; minore è la presenza di mobili destinati ai segmenti ufficio e contract, che comunque hanno conosciuto una maggiore diffusione in tempi recenti. Le imprese distrettuali realizzano generalmente un prodotto di fascia media, con estensioni verso il medio-alto ed il medio-basso. All’interno dei sistemi locali operano alcuni

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dei più importanti produttori italiani del settore mobiliero, come i gruppi Doimo e Atma, che occupano posizioni di leadership a livello nazionale e mantengono una certa visibilità anche a livello internazionale, pur non avendo marchi molto noti al grande pubblico (Lojacono, 2001).

Alla produzione di mobili si affianca quella di componentistica (ante, cassetti, semilavorati etc.) che, pur appartenendo alla filiera produttiva del mobile, costituisce oramai, almeno in parte, un comparto dotato di una propria autonomia. Anche questa realtà può contare su alcune presenze di rilievo, soprattutto nella produzione di ante (3B, Mobilclan).

Le analisi di settore realizzate negli anni novanta hanno rilevato che nella prima parte di questo decennio i distretti mobilieri trevigiani e pordenonesi hanno mostrato tendenze di crescita più accentuate rispetto a quelle dei principali distretti mobilieri nazionali (Brianza e Pesarese), evidenziando performance superiori alla media sia per quanto concerne la dinamica del fatturato e la redditività che per quanto concerne l’occupazione. Nel mercato interno, pure contraddistinto da un calo dei consumi, i due sistemi locali nel complesso hanno recuperato posizioni nei confronti degli altri distretti italiani, riuscendo a guadagnare quote di mercato anche in momenti di congiuntura difficile. Nel contempo si sono affermati anche nei mercati esteri, rivelando una propensione all’esportazione superiore alla media nazionale (Csil, 1996a e 1996b).

L’individuazione dei distretti del mobile: nota metodologica

Prima di proseguire nell’analisi è opportuno precisare i criteri sulla base dei quali è possibile individuare i distretti mobilieri sotto il profilo della specializzazione produttiva e dell’estensione territoriale. Per quanto concerne la prima dimensione, la specializzazione è chiaramente identificabile nel settore del legno-mobilio, definito dai codici 20 (Industria del legno e dei prodotti in legno) e 36.1 (Fabbricazione di mobili) della classificazione Ateco delle attività economiche.

La delimitazione dell’area territoriale richiede invece un ragionamento un po’ più articolato. A questo scopo è doveroso fare riferimento alle delibere adottate dalle due Regioni interessate - Veneto e Friuli-Venezia Giulia - che negli ultimi anni, in attuazione del disposto della L. N. 317/1991, hanno provveduto a riconoscere i distretti industriali presenti all’interno del loro territorio. La Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia si è mossa per prima, con due delibere del 1994 (D. G. R. 2179/1994 e 4751/1994), seguite dalla L. R. 27/1999 (“Per lo sviluppo dei distretti industriali) e dalla D. G. R. 457/2000, che hanno portato all’istituzione del “distretto del mobile”. I

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comuni appartenenti a tale distretto sono undici, tutti localizzati in provincia di Pordenone, nel comprensorio di Sacile: Azzano Decimo, Brugnera, Budoia, Caneva, Chions, Fontanafredda, Pasiano di Pordenone, Polcenigo, Prata di Pordenone, Pravisdomini, Sacile1. In quest’area la specializzazione mobiliera è inequivocabile, come si evince dal fatto che ben il 56,9% degli addetti manifatturieri locali trova occupazione nel settore del legno-arredo.

La Regione Veneto ha individuato ufficialmente i distretti solo di recente, con Deliberazione del Consiglio Regionale 22 novembre 1999, n. 79, riconoscendo nell’ambito di pertinenza della presente ricerca il “distretto del legno e mobile della Sinistra Piave”. I confini del distretto includono 52 comuni: si tratta dei comuni appartenenti ai sistemi locali del lavoro di Oderzo, Conegliano, Vittorio Veneto, Pieve di Soligo e di qualche comune limitrofo delle province di Venezia e Belluno2. Lo studio per l’individuazione dei distretti realizzato dalla Regione rileva che il distretto della Sinistra Piave risulta dalla saldatura delle due aree del Quartier del Piave e del Livenza (a sua volta confinante con il distretto pordenonese), fra cui si inseriscono i sistemi locali di Conegliano e Vittorio Veneto a struttura industriale più diversificata, con un’importante presenza della filiera metalmeccanica e dell’elettrodomestico. Nel sistema di Conegliano il peso di tale specializzazione produttiva è tale da determinare il riconoscimento di un secondo distretto, il “distretto metalmeccanico di Conegliano”, che risulta quindi contenuto all’interno del distretto mobiliero della Sinistra Piave.

Un’analisi degli indici di specializzazione dei sistemi locali del lavoro inclusi nella Sinistra Piave, effettuata sulla base dell’ultimo Censimento Istat, mostra con chiarezza che nei sistemi locali di Pieve di Soligo (coincidente con l’area del Quartier del Piave) e Oderzo (su cui insiste buona

1 Con le ultime due delibere la Regione Friuli-Venezia Giulia ha allargato il territorio del distretto includendo qualche altro comune. Vale anche precisare che, per identificare la specializzazione produttiva del distretto, la Regione ha fatto riferimento al solo codice 36.1 della classificazione Ateco. 2 I 52 comuni distrettuali sono: Alano di Piave, Farra d’Alpago, Puos d’Alpago, Quero, Vas, Cappella Maggiore, Chiarano, Cimadolmo, Cison di Valmarino, Codognè, Colle Umberto, Conegliano, Cordignano, Farra di Soligo, Follina, Fontanelle, Fregona, Gaiarine, Godega di Sant'Urbano, Gorgo al Monticano, Mansuè, Mareno di Piave, Meduna di Livenza, Miane, Moriago della Battaglia, Motta di Livenza, Oderzo, Ormelle, Orsago, Pieve di Soligo, Ponte di Piave, Portobuffolè, Refrontolo, Revine Lago, Salgareda, San Fior, San Pietro di Feletto, San Polo di Piave, San Vendemiano, Santa Lucia di Piave, Sarmede, Segusino, Sernaglia della Battaglia, Susegana, Tarzo, Valdobbiadene, Vazzola, Vidor, Vittorio Veneto, Annone Veneto, Pramaggiore, Santo Stino di Livenza.

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parte dell’area del Livenza) la specializzazione mobiliera è forte e supera agevolmente il valore-soglia indicato dalla normativa nazionale (un livello di occupazione nell’attività manifatturiera di specializzazione superiore al 30% degli occupati manifatturieri dell’area): a Pieve di Soligo gli addetti occupati nel settore del legno-mobilio sono infatti il 36,9% del totale addetti manifatturieri, a Oderzo il 45,5%. Al contrario, nelle due aree intermedie di Vittorio Veneto e Conegliano l’indice di specializzazione del legno-mobilio è solo del 22,4% e a Conegliano, in particolare, risulta inferiore a quello del settore metalmeccanico, che è pari al 38,3%. Solo in alcuni comuni confinanti con l’area liventina gli occupati nel legno-mobilio sono presenti in misura maggiore, ovvero in percentuali superiori al 30%. Nell’area di Conegliano, quindi, ove pure sono presenti molte imprese appartenenti alla filiera del mobile, il principale settore di specializzazione è quello metalmeccanico.

Le delibere delle due Regioni, se esaminate singolarmente, offrono una fotografia parziale dei distretti mobilieri: ciascuna Regione ha ovviamente legiferato solo per il territorio di propria competenza, limitandosi al massimo a rilevare la contiguità territoriale con il distretto dell’altra Regione. Per ottenere un quadro completo è quindi necessario ricomporre le due fotografie, adottando una prospettiva di osservazione sovraregionale.

Un’analisi di questo tipo porta a riconoscere tra le province di Pordenone e di Treviso l’esistenza di una vasta area di specializzazione, estesa in Veneto nella Sinistra Piave, in Friuli-Venezia Giulia nel sacilese. All’interno di tale area è possibile riconoscere due poli nei quali la specializzazione mobiliera si fa chiaramente più forte. Il primo è quello del Quartier del Piave; il secondo è posto a cavallo delle due Regioni, lungo il corso del fiume Livenza, ed include in Veneto l’opitergino-mottense con alcuni comuni limitrofi, in Friuli il sacilese. Il polo del Livenza, pur essendo tagliato a metà dal confine regionale, è fortemente connesso dal punto di vista storico, economico e sociale, al punto da dover essere considerato come un unico sistema produttivo locale.

Tra questi due poli si trovano i sistemi locali di Vittorio Veneto e Conegliano, nei quali la specializzazione mobiliera - pur essendo rilevabile - tende a ridursi per lasciare spazio a quella metalmeccanica, che contraddistingue in particolare il distretto di Conegliano.

Vista la, seppure lieve, soluzione di continuità rinvenibile nell’area intermedia di Conegliano e Vittorio Veneto e la stretta connessione esistente tra la parte veneta e quella friulana dell’area liventina, ai fini dell’analisi è preferibile non adottare un’ottica regionale - parlando di distretto veneto

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della Sinistra Piave e distretto friulano del sacilese - ma piuttosto distinguere tra Quartier del Piave e Livenza. Tale opzione, peraltro, è stata adottata anche da ricerche condotte in precedenza sull’area (Guerra, 1995; Anastasia, Corò, 1996; Regione Veneto, 1994; Corò, Rullani, 1998; Progetto Europa, 2000) e risulta avvalorata anche da altre ragioni, in particolare dal fatto che il Livenza ed il Quartier del Piave sono i due distretti originari che, pur essendosi estesi nel corso del tempo sino quasi a congiungersi, mantengono comunque alcuni caratteri distintivi.

Sulla base delle considerazioni esposte, la nostra analisi - pur dando conto delle dimensioni e caratteristiche complessive dell’intera area di specializzazione - focalizzerà successivamente l’attenzione soprattutto sui sistemi produttivi del Quartier del Piave e del Livenza. Il loro territorio è stato delimitato mantenendo sostanzialmente i confini individuati in precedenti ricerche (Corò, Rullani, 1998) sulla base degli indici di specializzazione (ovviamente verificati con i dati più recenti) e anche di qualche informazione di natura qualitativa (sistema delle relazioni tra imprese, mappe cognitive degli attori locali etc.).

Il Quartier del Piave include i comuni trevigiani del sistema locale del lavoro di Pieve di Soligo: Cison di Valmarino, Farra di Soligo, Follina, Miane, Moriago della Battaglia, Pieve di Soligo, Refrontolo, Segusino, Sernaglia della Battaglia, Valdobbiadene, Vidor.

Il Livenza comprende in Veneto tutti i comuni del sistema locale di Oderzo ed alcuni comuni limitrofi delle province di Treviso e Venezia ad alta specializzazione mobiliera: Cessalto, Chiarano, Cimadolmo, Codognè, Cordignano, Fontanelle, Gaiarine, Godega di Sant’Urbano, Gorgo al Monticano, Mansuè, Meduna di Livenza, Motta di Livenza, Oderzo, Ormelle, Orsago, Ponte di Piave, Portobuffolè, Salgareda, San Polo di Piave, Annone Veneto, Pramaggiore. La parte friulana coincide con il distretto del mobile, così come individuato dalla delibera regionale.

Per concludere, vorremmo sottolineare che la questione della delimitazione spaziale dei distretti, che pure abbiamo affrontato per questioni di rigore metodologico, a nostro parere non deve essere assolutizzata. Infatti, se concepiamo un distretto industriale come un nucleo storicamente definito e territorialmente localizzato di competenze distintive, è evidente che i suoi confini non possono essere tracciati in maniera netta: in primo luogo perché, mano a mano che ci si allontana dall’inner core del sistema, le localizzazioni produttive e le relazioni che le legano tendono a ridursi e ad affievolirsi progressivamente e non a cessare bruscamente; in secondo luogo perché, come la teoria economica ha riconosciuto (Rullani, 1995; Corò, Grandinetti, 1999), i sistemi produttivi locali sono sistemi

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evolutivi, che cambiano nel corso del tempo, modificando (innovando) la propria base di competenze, il sistema di relazioni e di conseguenza anche la localizzazione sul territorio. Si pensi solamente ai processi di globalizzazione, ad esempio ai processi di delocalizzazione produttiva, che portano ad abbandonare l’immagine del distretto come sistema chiuso, autocontenuto all’interno dei propri confini territoriali, proiettando parte del sistema del valore distrettuale non solo all’esterno del distretto ma addirittura in ambito internazionale.

Unità locali e addetti nei distretti mobilieri

Fatte queste premesse, è possibile passare ad analizzare le dimensioni economiche dei distretti mobilieri, così come emergono dall’ultimo Censimento Istat disponibile, quello del 1996.

Come si evince dalla Tab. 2.1, le dimensioni complessive dell’area specializzata sono assolutamente ragguardevoli: tra la Sinistra Piave e la parte pordenonese del Livenza si contano 2.280 unità locali di imprese, che occupano poco meno di 30.000 addetti.

All’interno di tale area, il sistema del Livenza costituisce chiaramente il polo più consistente: le unità locali sono 1.389, gli addetti 20.860. La specializzazione nelle produzioni del legno-mobilio è elevata (in misura maggiore nella parte pordenonese): il 52,3% degli addetti manifatturieri locali è infatti impiegato in imprese di questo settore. Il core del distretto è posto proprio a cavallo del fiume Livenza: nella parte friulana i comuni che concentrano il maggior numero di imprese e addetti ed esibiscono elevatissimi indici di specializzazione, superiori al 70%, sono Prata di Pordenone, Brugnera - con oltre 100 unità locali e 2.300 addetti a testa - e Pasiano di Pordenone (102 unità, quasi 1.600 addetti). Nella parte veneta emergono i comuni di Gaiarine (101 unità, oltre 1.600 addetti), Motta di Livenza (116 unità, circa 1.500 addetti) e Mansuè (oltre 1.000 addetti).

Il 71,0% degli occupati nel settore legno-mobilio dell’area liventina è dedito alla fabbricazione di mobili, mentre la rimanente quota opera nell’industria del legno. È interessante rilevare che, nella parte pordenonese, l’incidenza degli addetti delle imprese mobiliere sale al 77,1%, mentre in quella veneta scende al 65,6%. Il fatto che oltre un terzo degli addetti dell’opitergino-mottense lavori in imprese attive nel comparto del legno segnala che in quest’area vi è una maggiore concentrazione di imprese che operano nelle fasi iniziali e intermedie della filiera.

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Tab. 2.1 - Unità locali e addetti nei distretti mobilieri nel 1991 e 1996

Legno Mobile Legno-mobilio u. l. add. u. l. add. u. l. add. 1991 Livenza Friuli-V. G. 210 1.738 344 7.280 554 9.018 Livenza Veneto 385 4.052 325 5.097 710 9.149 Totale Livenza 595 5.790 669 12.377 1.264 18.167 Quartier del Piave 151 817 232 3.634 383 4.451 Sinistra Piave 747 6.380 816 10.825 1.563 17.205 Totale area di specializzazione

957 8.118 1.160 18.105 2.117 26.223

1996 Livenza Friuli-V. G. 251 2.241 357 7.543 608 9.784 Livenza Veneto 341 3.809 440 7.267 781 11.076 Totale Livenza 592 6.050 797 14.810 1.389 20.860 Quartier del Piave 124 789 275 4.009 399 4.798 Sinistra Piave 665 5.821 1.007 14.039 1.672 19.860 Totale area di specializzazione

916 8.062 1.364 21.582 2.280 29.644

Var. % 1991-1996 Livenza Friuli-V. G. 19,5 28,9 3,8 3,6 9,7 8,5 Livenza Veneto -11,4 -6,0 35,4 42,6 10,0 21,1 Totale Livenza -0,5 4,5 19,1 19,7 9,9 14,8 Quartier del Piave -17,9 -3,4 18,5 10,3 4,2 7,8 Sinistra Piave -11,0 -8,8 23,4 29,7 7,0 15,4 Totale area di specializzazione

-4,3 -0,7 17,6 19,2 7,7 13,0

Fonte: ns. elab. su Censimenti Istat 1991 e 1996

Il sistema del Quartier del Piave è chiaramente più contenuto: le unità locali sono 399, gli addetti 4.798. Anche in questo caso la specializzazione emerge senza difficoltà, pur senza raggiungere livelli da monocultura, e la percentuale di addetti del legno-mobilio si aggira attorno al 37%. In realtà, l’industria del legno-arredo si concentra soprattutto nei comuni orientali del sistema locale, che presentano indici di specializzazione decisamente più alti, superiori al 60%: in particolare Pieve di Soligo e Sernaglia della Battaglia, con circa 90 unità locali ed oltre 1.000 addetti ciascuno. Nel Quartier del Piave la prevalenza della produzione di mobili nei confronti delle attività di lavorazione del legno appare più marcata rispetto all’area del Livenza, a segnalare la minore presenza di imprese di subfornitura: infatti, l’83,6% degli addetti è occupato in imprese mobiliere.

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Un elemento che contraddistingue i sistemi locali del Livenza e del Quartier del Piave nel quadro dei distretti mobilieri italiani è la maggiore dimensione delle imprese. Utilizzando come indicatore il rapporto tra numero di addetti e numero di unità locali, la dimensione media è infatti assolutamente superiore agli standard nazionali (4,2 addetti per unità locale): nel complesso dell’area specializzata è pari infatti a 13,0 addetti, ovvero ad oltre il triplo di quella nazionale. Disaggregando i dati sotto il profilo territoriale, si osserva che la dimensione media delle unità locali è particolarmente elevata nel distretto del Livenza, in particolare nella parte pordenonese, ove si arriva a 16,1 addetti per unità locale, mentre nel Quartier del Piave è pari a 12,0 addetti. Risulta inoltre maggiore nel comparto del mobile, ove il numero di addetti per unità locale è quasi il doppio di quello delle imprese del legno (15,8 contro 8,8).

Nel corso degli anni ottanta e novanta i distretti mobilieri del Livenza e del Quartier del Piave hanno realizzato un importante processo di crescita, ben documentato dai dati dei censimenti Istat del 1981, 1991 e 1996, che evidenziano un costante aumento delle unità e degli addetti locali del legno-mobilio. Focalizzando in particolare l’attenzione sugli anni novanta, si rileva che tra il 1991 e il 1996 nel complesso gli addetti sono cresciuti del 13,0%, le unità locali del 7,7%. L’incremento maggiore si è avuto nell’area liventina (ove gli addetti sono aumentati del 14,8%), in particolare nella parte veneta (+21,1%), ma anche nel Quartier del Piave la dinamica è stata positiva (+7,8%). Se si considera che nel medesimo periodo in Italia unità locali e addetti del settore sono diminuiti di oltre il 4%, la vitalità dei nostri distretti emerge in modo netto. La variazione positiva dell’occupazione è stata nel complesso maggiore di quella delle unità locali, determinando un aumento delle dimensioni medie delle imprese: nel Livenza si è passati da una media di 14,4 addetti per unità locale a 15,0, nel solighese da 11,6 a 12,0.

Per valutare l’attuale consistenza dei due distretti, in mancanza dei dati Istat è possibile utilizzare la fonte Infocamere. I dati esposti in Tab. 2.2 mostrano che nel secondo trimestre del 2001 nel Livenza risultano attive più di 1.600 unità locali con oltre 22.000 addetti dichiarati, nel Quartier del Piave 414 unità con oltre 4.500 addetti. Sebbene il confronto con i dati Istat vada fatto con grande cautela, vista la diversità dei due tipi di fonti e la minore attendibilità dei dati Infocamere (in particolare per quanto concerne gli addetti), i numeri indicano che la linea di tendenza degli anni precedenti non sembra essersi invertita. Nell’intera area di specializzazione unità e addetti sono aumentati, anche se i vari sistemi territoriali considerati manifestano andamenti differenziati: in particolare si nota la positiva dinamica dell’area liventina veneta, che non trova riscontro nella parte pordenonese e nel distretto del Quartier del Piave.

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Tab. 2.2 - Unità locali e addetti nei distretti mobilieri nel 2001 Legno Mobile Legno-mobilio u. l. add. u. l. add. u. l. add. Livenza Friuli-V. G. 257 1.640 465 7.835 722 9.475 Livenza Veneto 388 3.445 518 9.492 906 12.937 Totale Livenza 645 5.085 983 17.327 1.628 22.412 Quartier del Piave 151 915 263 3.638 414 4.553 Sinistra Piave 782 5.704 1.127 15.437 1.909 21.141 Totale area di specializzazione

1.039 7.344 1.592 23.272 2.631 30.616

Fonte: Infocamere, 2° trimestre 2001

La fase della crescita estensiva

I sistemi produttivi del Livenza e del Quartier del Piave riproducono piuttosto fedelmente i caratteri distintivi tipici dei distretti industriali, come si evince dalla ricostruzione del percorso di sviluppo che essi hanno compiuto dal dopoguerra ad oggi3.

Lo sviluppo storico dell’industria del mobile tra le province di Treviso e Pordenone è un fenomeno relativamente recente, pur in presenza di una tradizione artigianale in zona. All’inizio degli anni cinquanta nell’area, ancora prevalentemente agricola, esisteva infatti un artigianato diffuso, ma non si riscontrava una specializzazione particolarmente rilevante. L’industria mobiliera ha iniziato a crescere negli anni cinquanta in modo piuttosto veloce, espandendosi poi nel decennio successivo (Anastasia, Corò, 1993)4.

In questa prima fase, la diffusione delle produzioni del mobile è avvenuta sia mediante la trasformazione di alcune falegnamerie artigiane in mobilifici industriali, sia attraverso la nascita di nuove imprese ad opera di imprenditori imitativi. L’analisi dell’origine socio-economica degli imprenditori locali mostra che solo alcuni di loro hanno ereditato e sviluppato l’azienda artigiana avviata nel periodo prebellico dal padre o dal nonno. Nella maggior parte dei casi i fondatori delle prime imprese sono

3 Per una ricostruzione più approfondita del processo di sviluppo dei sistemi produttivi del Livenza e del Quartier del Piave rimandiamo a Guerra (1998). 4 Per completare il profilo storico dell’area bisogna aggiungere che nel Quartier del Piave esisteva una specializzazione nella lavorazione del giunco e nella correlata produzione di mobili in rattan, con presenze aziendali di rilievo. Negli anni seguenti tale specializzazione è venuta meno, anche se alcune aziende di mobili in rattan sono presenti ancora oggi nell’area.

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stati imprenditori di prima generazione, provenienti spesso da famiglie contadine (coltivatori diretti e mezzadri), i quali - dopo aver lavorato per qualche tempo come dipendenti (soprattutto come operai) in altre aziende locali - ne sono fuoriusciti e hanno dato vita a una propria attività autonoma.

Tra i fattori esogeni che hanno promosso lo sviluppo dell’industria mobiliera locale (e nazionale), la dinamica dei consumi e l’evoluzione tecnologica del settore sono quelli che hanno avuto il maggiore impatto.

La fase di crescita estensiva dei distretti mobilieri si è dispiegata in parallelo al forte aumento della domanda interna di mobili, trainata nel primo dopoguerra dalle necessità della ricostruzione postbellica, successivamente dalla diffusione di nuovi modelli di consumo che hanno aumentato la propensione al consumo delle famiglie nei confronti dei beni d’arredamento, caricando l’acquisto del mobile di nuovi significati.

Va poi sottolineato il ruolo del progresso tecnico, che ha portato all’introduzione di nuovi materiali e di nuove tecnologie. Sotto il primo profilo, il fattore determinante è stato la diffusione dei pannelli (di compensato prima, di truciolare poi), una nuova “materia prima” a basso costo che poteva essere usata al posto del legno massiccio (materiale naturale il cui prezzo tendeva storicamente ad aumentare e le cui proprietà tecniche mal si prestavano alla lavorazione in serie) e che poteva essere lavorata secondo criteri industriali, grazie alle sue caratteristiche di omogeneità e stabilità dimensionale. L’innovazione nei materiali è avvenuta in concomitanza al progresso delle tecniche e dell’organizzazione produttiva. Più precisamente, essa ha nel contempo indotto e consentito il passaggio dal sistema di produzione artigianale al sistema industriale, che si è realizzato nel corso degli anni mediante la standardizzazione dei prodotti e delle parti componenti, la meccanizzazione dei processi, la suddivisione del ciclo in fasi ed operazioni omogenee svolte da operatori diversi, l’introduzione di nuovi impianti e nuove macchine, la riorganizzazione delle attività. In sostanza, il nuovo ciclo di produzione del mobile ha portato gradualmente alla scomposizione delle lavorazioni in interventi su superfici piane (i pannelli), movimentate secondo un preciso flusso e montate solo alla fine delle lavorazioni5.

Le promettenti possibilità di vendita conseguenti all’aumento della domanda e le opportunità produttive aperte dal progresso tecnico si sono accoppiate con condizioni endogene favorevoli quali la propensione diffusa all’attività imprenditoriale, la presenza in ambito locale di un’offerta di

5 Sull’evoluzione tecnologica ed organizzativa del settore del mobile in Italia si rinvia a Silvestrelli (1979) e Florio (1982).

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lavoro flessibile e a basso costo (e quindi funzionale alle esigenze della domanda di lavoro) e la possibilità di godere di alcuni “vantaggi” dell’economia irregolare6.

Negli anni settanta il sistema produttivo distrettuale si è modificato in seguito a due distinti processi: il decentramento produttivo e l’avvio dell’export.

Il decentramento produttivo, che ha iniziato a manifestarsi sin dalla fine degli anni sessanta, è stato caratterizzato dalla scomposizione del ciclo produttivo e dalla specializzazione in senso verticale delle imprese, le quali si sono orientate a svolgere solo alcune fasi del ciclo tecnico. A monte dei mobilifici, spesso ad opera di ex dipendenti desiderosi o incentivati a mettersi in proprio, sono nate imprese specializzate nell’esecuzione di un componente, di una particolare fase o di una sola lavorazione, alle quali i mobilifici stessi hanno decentrato parte (o buona parte) della produzione, attuando una politica di disintegrazione verticale a monte dei cicli7. Il fenomeno ha dunque determinato la ristrutturazione interna delle imprese locali e la riconfigurazione della catena del valore del mobile in filiera o sistema verticale del valore, promuovendo la nascita di nuovi subsettori produttivi, la formazione di nuovi mercati di fase e una crescente divisione del lavoro tra mobilifici e subfornitori. In altri termini, in questo periodo assistiamo alla trasformazione delle aree di specializzazione produttiva in veri e propri distretti industriali basati sul binomio specializzazione aziendale (interna alla specializzazione complessiva dell’area) e relazioni tra imprese. Il decentramento produttivo ha anche contribuito alla diffusione dell’industria mobiliera nel territorio e quindi all’estensione dell’area distrettuale nelle zone circostanti, in particolare in alcuni comuni dell’opitergino-mottense e della provincia di Venezia (Macaluso, 1984).

Nei decenni successivi il comparto della componentistica ha realizzato una graduale crescita sia di tipo quantitativo che di tipo qualitativo. Alcune imprese di subfornitura sono cresciute sotto il profilo dimensionale e si sono innovate sotto il profilo tecnologico e organizzativo sino a divenire dei produttori di fase autonomi rispetto ai mobilifici locali. Si è registrata anche un’evoluzione delle relazioni esistenti tra mobilifici e subfornitori; le forme di subfornitura di capacità sono state sempre più spesso affiancate o sostituite da forme di subfornitura di specialità e da relazioni di tipo più evoluto. La divisione del lavoro che si è instaurata tra mobilifici e fornitori ha costituito un importante fattore di vantaggio per i sistemi produttivi locali, 6 Sulle prime fasi dell’industrializzazione dei sistemi produttivi mobilieri si vedano anche Anastasia (1992) e Del Fabbro (1992). 7 Una descrizione di questa fase di sviluppo è presentata in Miotto (1984).

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concorrendo ad assicurare la flessibilità e la varietà produttiva, due leve fondamentali per competere nel mercato.

Il secondo processo evolutivo che ha contraddistinto questa fase è stato l’avvio dell’export. Attorno alla metà degli anni settanta alcuni dei maggiori mobilifici, che sino ad allora erano cresciuti ampliando progressivamente l’area di vendita in ambito nazionale, hanno iniziato a introdursi nei mercati esteri. L’internazionalizzazione è partita dalla Germania e dalla Francia, i due paesi che tuttora costituiscono la principale destinazione delle esportazioni locali. Lungo il percorso indicato da queste aziende pioniere negli anni successivi si sono incamminate altre imprese locali, innescando un processo che è proseguito sino ai giorni nostri con il graduale aumento della propensione all’export del distretto e la progressiva estensione dei mercati di sbocco.

La fase della transizione evolutiva

Come si è detto nel Cap. 1, tra gli anni ottanta e novanta il sistema competitivo del settore del mobile è stato sottoposto alla pressione di diversi fattori di trasformazione, che hanno costituito un articolato insieme di minacce e opportunità: un modesto tasso di crescita della domanda interna, la globalizzazione dei processi competitivi, l’introduzione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, l’evoluzione della domanda in direzione di una maggiore varietà e variabilità. Le modificazioni intervenute nel sistema competitivo dell’arredamento hanno aumentato l’intensità di alcune delle principali forze competitive, in particolare la concorrenza orizzontale tra i produttori (e, allo stadio successivo del sistema del valore, tra i distributori) e il potere contrattuale dei clienti. Le imprese mobiliere si sono dunque trovate a operare in uno scenario ambientale contraddistinto da un crescente livello di complessità.

Per rispondere a tali nuove e impegnative sfide competitive le più dinamiche imprese distrettuali hanno rinnovato la propria formula imprenditoriale e sviluppato comportamenti strategici innovativi, che hanno anche avuto un impatto sulla configurazione del sistema del valore distrettuale. I processi evolutivi avviati da tali imprese inducono a considerare il Livenza e il Quartier del Piave come sistemi in evoluzione, nel senso dato al termine nella prima sezione di questo capitolo. Anche se alcuni di tali processi vengono analizzati in modo puntuale nei prossimi capitoli, è utile richiamare brevemente quelli più rilevanti, per offrire un quadro complessivo del percorso di transizione evolutiva in atto nei distretti del mobile.

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In primo luogo, nell’ambito dei sistemi locali sono emerse alcune imprese-leader che, attraverso operazioni di acquisizione o filiazione di altri mobilifici, hanno costituito dei gruppi di imprese. La crescita dimensionale di queste realtà aziendali nella forma del gruppo si è accompagnata all’ampliamento della gamma offerta.

In secondo luogo, diverse imprese locali hanno introdotto innovazioni in diversi processi aziendali.

Nelle attività di progettazione e di produzione sono state adottate tecnologie di automazione flessibile (macchine a controllo numerico, Cad, Cad-Cam etc.), atte ad aumentare la flessibilità produttiva, a ridurre i tempi di risposta al mercato e a contenere nel contempo i costi di produzione. Le imprese locali hanno dimostrato una buona ricettività nei confronti delle nuove tecnologie, confermando quella forte propensione all’innovazione che è un tratto caratteristico dell’imprenditoria del Nord-Est, e sono riuscite a sfruttare il potenziale di flessibilità offerto dalle nuove soluzioni tecnologiche per produrre mobili di buona qualità, in piccole serie, a prezzi concorrenziali.

Sempre in ambito produttivo, una seconda linea di intervento ha riguardato il passaggio da una produzione to stock a una to order, frequentemente con l’adozione di un sistema misto del tipo assemble to order, che prevede la produzione per magazzino dei semilavorati e dei componenti-base dei mobili, i quali vengono poi finiti e/o assemblati dopo il ricevimento dell’ordine dal cliente.

Dal lato dei prodotti, va segnalato l’avvio di nuovi orientamenti e in particolare di politiche volte ad aumentare la varietà offerta mediante il passaggio dalla logica dei modelli “chiusi” a quella dei programmi di arredamento “aperti”.

Un terzo importante processo riguarda l’apertura della catena del valore delle imprese più dinamiche all’economia globale, identificabile da diversi fenomeni:

1. l’evoluzione dei canali di entrata e distribuzione nei mercati occidentali con il passaggio da forme tradizionali (esportatori, agenti etc.) a investimenti diretti di tipo commerciale;

2. lo sviluppo delle esportazioni di semilavorati e componenti, grazie al quale alcune imprese di subfornitura sono riuscite a inserirsi in reti internazionali di divisione del lavoro, tanto da diventare tra i più forti esportatori distrettuali;

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3. la delocalizzazione di parte del ciclo produttivo nei paesi a minore costo del lavoro, testimoniata dallo sviluppo delle importazioni di semilavorati o di prodotti finiti, dalla stesura di accordi di fornitura con imprese estere e, in qualche caso, dalla costituzione di joint venture o consociate produttive in paesi esteri.

Sebbene il processo sia solo ai primi stadi, l’insieme dei fenomeni citati indica un salto di qualità dell’internazionalizzazione dei distretti. Il primo segnala la ricerca di forme di presidio dei mercati esteri in grado di garantire un ritorno informativo e un controllo superiori rispetto alle tradizionali forme di esportazione. Il secondo registra l’apertura internazionale dei distretti negli stadi intermedi del sistema del valore. Il terzo infine corrisponde alla proiezione internazionale di alcune fasi produttive tradizionalmente svolte all’interno dei contesti locali.

La breve ricostruzione del processo di sviluppo realizzato dai distretti mobilieri negli ultimi decenni, che è stata sin qui condotta, mostra che le imprese distrettuali (e i sistemi produttivi nel loro complesso) hanno avuto la capacità di rinnovarsi per rispondere alle modificazioni dello scenario ambientale e ri-produrre le condizioni di vantaggio competitivo.

Nonostante l’evoluzione compiuta, la produzione costituisce ancora oggi l’attività centrale delle imprese locali, mentre l’approccio al mercato è dominato da una logica product oriented. Tra i fattori su cui le imprese fanno leva per sostenere la propria competitività continuano quindi a comparire l’organizzazione della produzione, l’attenzione all’innovazione tecnologica, la divisione del lavoro tra imprese, la capacità di sviluppare prodotti contraddistinti da un buon rapporto qualità/prezzo e capaci di rispondere ai bisogni vari e variabili dei consumatori. Altre direttrici di sviluppo, in particolare l’adozione di un articolato e compiuto approccio di marketing, sono state invece piuttosto trascurate.

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Cap. 3 Le politiche commerciali e di marketing delle imprese distrettuali: i risultati dell’indagine quantitativa

3.1 La metodologia dell’indagine

La prima fase della ricerca empirica è consistita nella realizzazione di un’indagine presso le imprese distrettuali attraverso interviste strutturate. La rilevazione è stata effettuata nel corso del 2001. Coerentemente con gli obiettivi della ricerca, la rilevazione è stata condotta non sull’intero universo delle imprese locali ma su un sottouniverso costituito da:

- imprese finali, ovvero imprese che realizzano prodotti finiti;

- operanti nelle due aree distrettuali del Livenza e del Quartier del Piave;

- aventi la forma di società di capitali;

- con valore della produzione superiore a 3 miliardi.

L’adozione degli ultimi due criteri di scelta ha consentito di concentrare l’attenzione sulle imprese dotate di un certo livello di strutturazione e quindi più interessanti ai fini della ricerca. Tali imprese costituiscono peraltro la grande maggioranza del fatturato distrettuale.

Il sottouniverso è stato individuato a partire dagli elenchi disponibili presso Infocamere, relativi appunto alle società di capitali operanti nei comuni distrettuali ed aventi nel 1999 oltre 3 miliardi di valore della produzione. Da tali elenchi sono state estratte le imprese finali, identificate in base al codice d’attività ATECO, alle descrizioni dell’attività fornite dalle imprese e, qualora necessario, a informazioni provenienti da altre fonti.

Il sottouniverso così individuato era costituito da 173 imprese. Quelle che hanno acconsentito all’intervista sono state 134, pari al 77,5% della numerosità totale del sottouniverso.

La rilevazione sul campo è consistita nella somministrazione telefonica alle imprese di un questionario strutturato, suddiviso in cinque sezioni:

1. caratteristiche generali dell’impresa,

2. prodotti e mercati,

3. canali distributivi,

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4. attività di comunicazione,

5. posizionamento strategico dell’impresa.

Attraverso il questionario si è voluto innanzitutto ricostruire un profilo generale delle imprese mediante l’individuazione di alcune loro caratteristiche di base: localizzazione, forma giuridica, data di costituzione, addetti, fatturato, eventuale certificazione secondo le norme ISO 9000, numero di addetti impiegati in attività di marketing e vendite, appartenenza o meno a un gruppo.

Con le sezioni successive sono state raccolte informazioni relative a diversi aspetti tipici di un’analisi di marketing:

a. le tipologie di prodotto realizzate;

b. i segmenti di mercato presidiati, con riferimento alla destinazione d’uso e alla fascia prezzo/qualità;

c. i mercati geografici di sbocco;

d. i canali distributivi utilizzati;

e. le politiche di comunicazione.

L’ultima sezione del questionario è stata dedicata ai fattori di vantaggio competitivo, al fine di ottenere elementi conoscitivi utili a definire il posizionamento strategico delle aziende.

L’analisi di tali variabili rende possibile descrivere i comportamenti delle imprese locali sia con riferimento alle classiche leve operative del marketing mix (prodotto, prezzo, distribuzione e comunicazione) che al tema del marketing strategico, relativamente al posizionamento dei prodotti offerti entro i possibili schemi di segmentazione della domanda.

Nelle pagine che seguono vengono esposti i principali risultati dell’indagine.

Come si è detto, la ricerca ha preso in considerazione le imprese localizzate nei due sistemi produttivi locali ove maggiori sono gli indici di specializzazione nel settore del legno-arredo: Livenza e Quartier del Piave. Le informazioni raccolte dimostrano che le due aree distrettuali sono abbastanza simili tra loro sotto tutti i profili considerati, pur presentando alcune differenze di sicuro interesse. Per questi motivi, si è reputato opportuno svolgere l’analisi in modo aggregato, in modo da individuare le caratteristiche e tendenze evolutive che accomunano entrambe le aree, presentando comunque nelle tabelle i dati disaggregati a livello di distretto e commentando le eventuali differenze di un certo rilievo riscontrate tra i due sistemi locali.

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3.2 Caratteristiche generali delle imprese

Delle 134 imprese intervistate, 95 hanno sede nel distretto del Livenza, 39 nel distretto del Quartier del Piave. La maggiore numerosità delle imprese liventine nel campione riproduce la maggiore estensione territoriale e consistenza produttiva di quel sistema distrettuale.

Per quanto concerne la forma giuridica, il 56,0% è costituito da società a responsabilità limitata, il 44,0% da società per azioni (Tab. 3.1). Nel distretto del Livenza risultano più numerose le S.r.l. (58,9%), nel Quartier del Piave le S.p.A. (51,3%).

Tab. 3.1 - Imprese per forma giuridica Forma giuridica Livenza Quartier del Piave Totale v. a % v. a % v. a % S.r.l. 56 58,9 19 48,7 75 56,0 S.p.A. 39 41,1 20 51,3 59 44,0 Totale 95 100,0 39 100,0 134 100,0

Nel campione sono presenti le principali imprese “storiche” tuttora attive nei due distretti, comprese nel 9,3% di aziende fondate prima del 1960 (Tab. 3.2). Se si prescinde da un solo caso (il Mobilificio Ortolan, costituito nel 1925) si tratta di imprese sorte nel secondo dopoguerra, che spesso hanno dato un contributo significativo alla formazione e allo sviluppo del distretto, fungendo da veri e propri incubatori di conoscenze e competenze e alimentando processi di spin off che hanno contribuito alla “fertilizzazione” imprenditoriale dell’ambiente locale. Tra tali aziende pioniere si possono ricordare Dall’Agnese, Presotto e Doimo.

L’analisi della distribuzione per classi d’età mostra però che la grande maggioranza delle aziende è nata dopo il 1960, a riprova dello sviluppo tutto sommato recente dei due sistemi produttivi locali. Infatti, nei decenni successivi i processi di formazione di nuove imprese si sono intensificati, raggiungendo i valori massimi negli anni ottanta (28,7%) e novanta (25,6%). Emerge anche chiaramente che entrambi i distretti si caratterizzano per un’elevata natalità imprenditoriale, fatto che peraltro costituisce un tratto distintivo dei distretti industriali italiani (Rullani, 1996; Corò, Rullani, 1998).

Disaggregando i dati a livello distrettuale è possibile osservare la diversa dinamica demografica delle due realtà. Nel distretto del Livenza la frequenza inizia a farsi più consistente negli anni sessanta e raggiunge

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la punta massima negli anni ottanta. Nel Quartier del Piave, invece, le nascite aumentano in modo più percepibile un decennio più tardi, negli anni settanta, per toccare il culmine negli anni novanta.

Tab. 3.2 - Imprese per anno di costituzione Anno di costituzione Livenza Quartier del Piave Totale v. a % v. a % v. a % Fino al 1960 8 8,8 4 10,5 12 9,3 1961-1970 16 17,6 4 10,5 20 15,5 1971-1980 17 18,7 10 26,3 27 20,9 1981-1990 29 31,9 8 21,1 37 28,7 1991-2000 21 23,1 12 31,6 33 25,6 Totale* 91 100,0 38 100,0 129 100,0 * Il totale non coincide con quello usuale in quanto alcune imprese non hanno fornito il dato.

Il campione è composto nella quasi totalità da imprese di piccola e media dimensione. Circa la metà delle aziende non supera la soglia dei 50 addetti, rientrando così, in base alla definizione comunitaria1, nella classe della piccola impresa. Più precisamente, l’11,6% occupa meno di 20 addetti, il 37,2% tra i 20 e i 49 addetti. L’altra metà rientra nelle dimensioni medie: il 31,8% ha un numero di addetti compreso tra i 50 e i 99, il 19,4% ne ha oltre 100. Solo quattro imprese superano la soglia dei 250 addetti (Tab. 3.3).

Tab. 3.3 - Imprese per classe di addetti 2000 Classe di addetti Livenza Quartier del Piave Totale v. a. % v. a. % v. a. % Fino a 19 13 13,8 2 5,7 15 11,6 20-49 34 36,2 14 40,0 48 37,2 50-99 30 31,9 11 31,4 41 31,8 Oltre 100 17 18,1 8 22,9 25 19,4 Totale* 94 100,0 35 100,0 129 100,0 * Il totale non coincide con quello usuale in quanto alcune imprese non hanno fornito il dato.

Passando alla dimensione economica e facendo riferimento al fatturato dell’anno 2000, si osserva che il 35,8% delle imprese non oltrepassa i 10

1 La Comunità Europea definisce piccole imprese quelle con meno di 50 addetti, medie quelle dai 50 ai 250, grandi quelle con oltre 250 addetti.

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miliardi mentre quasi la metà dichiara un fatturato compreso tra i 10 ed i 25 miliardi. Nelle classi successive le frequenze risultano decisamente più basse e decrescenti: 8,2% tra i 25 e i 50 miliardi, 6,0% tra i 50 e i 100, solo 1,5% (due imprese) oltre i 100 (Tab. 3.4). Le imprese liventine hanno dimensioni lievemente superiori a quelle solighesi: nel primo distretto le imprese con oltre 50 miliardi di fatturato sono il 9,5% del totale, mentre nel Quartier del Piave sono solo il 2,6% e in nessun caso superano la soglia dei 100 miliardi.

Tab. 3.4 - Imprese per classe di fatturato 2000 Classe di fatturato Livenza Quartier del Piave Totale (miliardi di lire) v. a. % v. a. % v. a. % Fino a 5,0 16 16,8 5 12,8 21 15,7 5,1-10,0 19 20,0 8 20,5 27 20,1 10,1-25,0 43 45,3 22 56,4 65 48,5 25,1-50,0 8 8,4 3 7,7 11 8,2 50,1-100,0 7 7,4 1 2,6 8 6,0 Oltre 100,0 2 2,1 0 0,0 2 1,5 Totale 95 100,0 39 100,0 134 100,0

Incrociando la distribuzione per classi d’età con quella per classi di fatturato emerge una chiara correlazione tra dimensione economica e fase del ciclo di vita dell’impresa, dato che le imprese di minori dimensioni sono generalmente più giovani di quelle più grandi: infatti oltre il 40% delle imprese con meno di 10 miliardi di fatturato è nato negli anni novanta, mentre oltre il 60% delle imprese con più di 50 miliardi di fatturato è nato prima degli anni settanta. Le imprese delle classi dimensionali intermedie sono state costituite in poco più della metà dei casi negli anni settanta e ottanta.

Per completare la ricostruzione del profilo generale delle imprese intervistate è utile fornire qualche indicazione relativa al livello di strutturazione organizzativa delle stesse. Un indicatore sintetico utilizzabile a questo scopo è costituito dalla certificazione del sistema di qualità aziendale secondo le norme della serie ISO 9000. Come è noto, per ottenere la certificazione, un’impresa è tenuta a sviluppare e documentare un sistema qualità conforme alla norma, codificando le proprie politiche per la qualità, la struttura organizzativa e le principali procedure aziendali. Certo, il superamento degli assetti gestionali ed organizzativi informali di tipo familiare caratteristici della piccola impresa non è necessariamente legato alla certificazione, ma ciò non toglie che generalmente essa si accompagni a un processo di formalizzazione e razionalizzazione organizzativa (Guerra, 1996; Compagno, 1999). Ebbene, nel nostro campione le imprese che hanno

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ottenuto la certificazione ISO 9000 sono un quarto del totale (24,6%) e risultano sensibilmente più numerose nel Quartier del Piave (35,9%) che nel Livenza (20,0%). Il fatto è interessante alla luce della premessa esposta e poiché denota una maggiore attenzione alla qualità da parte delle imprese solighesi, tema sul quale si tornerà in seguito. La frequenza delle imprese certificate aumenta al crescere delle dimensioni aziendali, segnalando l’esistenza di una relazione tra dimensione e strutturazione organizzativa: la certificazione è stata acquisita dalla metà delle imprese nella classe di fatturato superiore ai 50 miliardi, dal 27,6% in quella compresa tra i 10 e i 50 miliardi, solo dal 14,6% nella classe delle imprese più piccole.

Un altro indicatore interessante, vista la focalizzazione della ricerca, è costituito dalla quota di addetti impiegati nelle vendite o in altre attività di marketing. Sotto questo profilo, la rilevazione ha evidenziato un discreto livello di strutturazione commerciale delle imprese del distretto che operano nel mercato finale, in quanto nel complesso delle aziende il 12% del totale degli addetti si dedica alle attività in oggetto. Più in dettaglio si rileva che, anche se il 19,4% delle imprese presenta una percentuale di addetti commerciali su addetti totali inferiore al 5%, in quasi metà di esse (42,6%) il rapporto risulta compreso tra il 10 e il 25%. Nell’8,5% delle imprese, infine, il livello di terziarizzazione commerciale risulta decisamente elevato: in esse, infatti, oltre un quarto degli addetti aziendali si occupa in modo specifico di attività di vendita e marketing (Tab. 3.5). L’indagine attraverso intervista telefonica, necessariamente snella, non ha consentito di entrare in profondità nel dato, in particolare di distinguere tra addetti alle vendite e risorse dedicate ad altre funzioni di marketing (ricerche di mercato, comunicazione etc.). Altre informazioni raccolte attraverso il questionario e la costruzione dei casi rendono comunque possibile sviluppare qualche ulteriore considerazione su questo importante aspetto, come emergerà più avanti.

Tab. 3.5 - Imprese per numero di addetti alle vendite e al marketing sugli addetti totali* Rapporto % Livenza Quartier del Piave Totale v.a. % v.a. % v.a. % 0-5,0 19 20 ,2 6 17,1 25 19,4 5,1-10,0 24 25,5 14 40,0 38 29,5 10,1-25,0 40 42,6 15 42,9 55 42,6 Oltre 25,0 11 11,7 0 0,0 11 8,5 Totale 94 100,0 35 100,0 129 100,0

* L’indicatore non può essere calcolato per le imprese che non hanno dichiarato gli addetti complessivi e quindi i totali non coincidono con quelli usuali.

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3.3 Il portafoglio-prodotti

L’analisi delle tipologie di prodotto offerte dalle imprese intervistate consente in primo luogo di descrivere il portafoglio-prodotti a livello distrettuale. Osservando la Tab. 3.6, si evince che la produzione distrettuale è diversificata dato che include una gamma ampia e pressoché completa di prodotti per l’arredamento. Alcune tipologie risultano però chiaramente più frequenti e pertanto maggiormente caratteristiche dei due distretti. Tra queste si segnalano soprattutto i mobili per soggiorno e le camere, che sono presenti nella gamma rispettivamente del 49,3% e del 44,8% delle imprese. Altre tipologie piuttosto diffuse in ambito locale sono le camerette e le cucine componibili, ciascuna delle quali viene prodotta e/o commercializzato da circa il 27% delle imprese. Seguono con frequenze minori prodotti che sono stati introdotti e si sono diffusi in tempi più recenti: i mobili per ufficio e l’imbottito (offerti da circa un quinto delle imprese), l’arredo-bagno (11,9%) ed altri tipi di mobili come complementi, sedie, mobili particolari destinati al segmento contract (ad esempio cabine per navi).

L’attuale portafoglio-prodotti dei due sistemi locali è dunque il risultato di un processo di diversificazione omogenea (intrasettoriale) che nel corso del tempo ha progressivamente coperto l’intero spettro delle esigenze connesse ai diversi ambienti dell’abitazione (dalla zona notte all’arredo-bagno), per poi estendersi a segmenti diversi, come l’ufficio e le nicchie del contract.

Come è noto, in un distretto industriale la diversificazione produttiva può realizzarsi secondo due diverse modalità: in seguito a strategie aziendali di diversificazione attuate da imprese esistenti che ampliano la propria gamma con beni appartenenti a tipologie diverse da quella originarie, oppure in seguito a strategie aziendali di specializzazione attuate da altre imprese che iniziano a produrre mobili diversi da quelli che possono essere considerati il core business del distretto. Diviene quindi interessante passare a un’analisi a livello aziendale, in modo da descrivere la gamma produttiva offerta dalle singole imprese e individuare le strategie di prodotto in seguito alle quali essa è stata configurata. A questo proposito, i dati raccolti rivelano che il product mix delle imprese locali è composto in media da 2,1 tipologie di prodotto.

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Tab. 3.6 - Imprese per tipo di prodotto realizzato e/o commercializzato Tipo di prodotto Livenza Quartier del Piave Totale v. a. % v. a. % v. a. % Cucine componibili 21 22,1 15 38,5 36 26,9 Camere 41 43,2 19 48,7 60 44,8 Camerette 19 20,0 18 46,2 37 27,6 Mobili per soggiorno 45 47,4 21 53,8 66 49,3 Imbottito 13 13,7 13 33,3 26 19,4 Mobili per ufficio 14 14,7 14 35,9 28 20,9 Arredo-bagno 13 13,7 3 7,7 16 11,9 Altri tipi di mobili 5 5,3 4 10,3 9 6,7

Sotto tale media si celano però tipologie di imprese diverse tra loro in relazione alla struttura del portafoglio-prodotti. Un’analisi più fine dei dati mostra infatti che quasi la metà delle imprese è chiaramente specializzata nella produzione di mobili destinati ad arredare uno specifico ambiente. Tra i tipi di prodotto che più frequentemente vengono offerti da imprese specializzate vi sono le cucine, l’arredo-bagno e l’imbottito. Le imprese specializzate presentano una distribuzione per classi di fatturato spostata verso le dimensioni minori. D’altra parte, su 64 casi di specializzazione rilevati nel campione, in 27 di essi si tratta di imprese che appartengono a un gruppo2.

Il 22,4% delle imprese produce e/o commercializza congiuntamente sia mobili per la zona giorno che per la zona notte. L’offerta combinata di entrambi i tipi di mobili risulta più frequente della loro produzione distinta, anche in ragione delle sinergie produttive esistenti tra le due tipologie di prodotto.

Il rimanente 30,0% delle imprese offre combinazioni di prodotto di vario tipo. Però solo alcune di esse presentano una gamma effettivamente ampia e diversificata. Negli altri casi il livello di diversificazione è comunque contenuto (per esemplificare, si possono citare imprese che offrono mobili per soggiorno e sistemi di imbottito, che fabbricano pareti attrezzate sia per l’abitazione che per l’ufficio etc.), oppure il portafoglio-prodotti è costruito secondo criteri di specializzazione più sottili di quelli rilevabili con il questionario strutturato (ad esempio, imprese specializzate nella produzione di mobili rustici o di mobili componibili atti, in entrambi i casi, ad arredare

2 Nella logica della diversificazione per tipologie di prodotto e specializzazione intragruppo che ha motivato la formazione e lo sviluppo dei gruppi aziendali nei due distretti. Il fenomeno è oggetto di approfondimento nella prima sezione del Cap. 4.

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qualunque tipo di ambiente). Si deve aggiungere che le innovazioni di prodotto e processo introdotte negli ultimi anni dalle imprese mediante la crescente modularità dei prodotti e l’adozione di tecnologie di automazione flessibile tendono ad attenuare i confini tra le “classiche” tipologie di prodotto, in quanto rendono possibile produrre una serie di moduli-base che poi possono essere assemblati e combinati in modo vario e variabile per andare a comporre un elevato numero di soluzioni finali, in grado di arredare diversi ambienti della casa, dell’ufficio etc.

Per interpretare correttamente i dati esposti è anche importante ricordare che, nel descrivere la gamma produttiva dell’impresa, si è sino ad ora fatto riferimento sia ai mobili prodotti dall’impresa stessa che a quelli solo commercializzati. In realtà, nel catalogo di molte imprese non compaiono solo i mobili fabbricati all’interno, ma anche alcuni prodotti acquistati all’esterno. Una delle situazioni più tipiche al riguardo è rappresentata dalle sedie. In generale, nei nostri distretti l’acquisto di prodotti finiti da altre imprese costituisce una prassi diffusa, praticata dal 67,2% delle imprese. Tali acquisti possono essere finalizzati ad aumentare l’ampiezza della gamma con l’inserimento di nuove tipologie di prodotto. Un esempio è dato dall’impresa che acquista imbottiti da integrare con i mobili per soggiorno prodotti all’interno al fine di offrire l’arredamento completo per la zona giorno. In un caso come questo, è evidente che l’impresa persegue una strategia di specializzazione dal punto di vista produttivo, pur non apparendo specializzata da un punto di vista commerciale. Una situazione diversa è offerta dagli acquisti di prodotti finiti finalizzati ad aumentare la lunghezza della gamma mediante l’inserimento di nuove linee (programmi) di arredamento: è il caso, ad esempio, di un’impresa di camere che produce nei propri stabilimenti camere moderne e acquista presso un produttore esterno camere classiche destinate al mercato tedesco.

L’acquisto di prodotti finiti è più utilizzato dalle imprese con oltre 10 miliardi di fatturato, oltre il 70% delle quali commercializza anche mobili prodotti da altre imprese di produzione, ma è praticato anche dal 52,1% delle imprese più piccole.

Disaggregando i dati per distretto si osservano alcune differenze tra il distretto del Livenza e quello del Quartier del Piave. Il sistema produttivo liventino risulta maggiormente focalizzato nei tradizionali prodotti di vocazione dell’area, ovvero mobili per soggiorno e camere, venduti rispettivamente dal 47,4% e dal 43,2% delle imprese, mentre nessuna delle altre tipologie di prodotto è offerta da più di un quarto delle imprese.

Anche nel Quartier del Piave i mobili per soggiorno e le camere rappresentano le produzioni più diffuse (53,8% e 48,7%), ma la

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diversificazione produttiva a livello distrettuale è maggiore. Le altre tipologie di prodotto compaiono infatti nel catalogo di un significativo numero di imprese: il 46,2% delle aziende vende camerette, ed anche la frequenza delle cucine, dei mobili per ufficio e dei sistemi di imbottito supera la soglia del 30%.

Il diverso grado di estensione della gamma riscontrabile nei due sistemi locali è riconducibile principalmente alle diverse politiche perseguite a livello aziendale. Le imprese liventine offrono in media 1,8 tipologie di prodotto, dimostrando di attuare più frequentemente di quelle del solighese - il cui portafoglio è mediamente costituito da 2,7 tipologie di prodotto - strategie di specializzazione. La più elevata diversificazione delle imprese del Quartier del Piave viene conseguita anche mediante un maggiore ricorso all’acquisto di prodotti finiti da altre imprese.

3.4 Segmentazione del mercato e posizionamento delle imprese

Per individuare con maggiore precisione il posizionamento delle imprese locali nel mercato passiamo ora a esaminare le politiche di segmentazione e di copertura adottate, facendo riferimento ai due più comuni criteri di segmentazione della domanda: la destinazione d’uso dei prodotti e la fascia prezzo/qualità. L’individuazione dei segmenti presidiati e il calcolo dell’indice di copertura consentono infatti di rilevare se le imprese perseguono strategie di focalizzazione su uno o pochi segmenti o strategie di copertura più ampia del mercato.

Iniziamo dalla segmentazione per destinazione d’uso. Suddividendo il mercato in base alle funzioni d’uso dei prodotti è possibile individuare tre principali segmenti: abitazione, ufficio e contract (macrosegmento che include i mobili per alberghi, esercizi pubblici, scuole, ospedali, comunità etc.). L’esame della variabile consente di integrare l’analisi svolta nella sezione precedente dato che una determinata tipologia di prodotto può essere destinata a segmenti diversi: ad esempio, le camere possono essere progettate per il segmento dell’abitazione, ma anche per quello del contract nel caso di forniture ad alberghi o ospedali.

Come evidenzia la Tab. 3.7, il 91,0% delle imprese opera nel segmento dell’abitazione, il tradizionale segmento di attività dei distretti mobilieri del Nord-Est. Analogamente a quanto rilevato in merito alle tipologie di prodotto, i dati relativi ai segmenti documentano un processo di progressiva

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diversificazione, segnalato dal peso raggiunto da segmenti diversi da quello di vocazione: al segmento contract, che pure costituisce un’area di business di esplorazione recente per le imprese locali, si rivolge ormai il 40,3% delle aziende, mentre l’ufficio ha raggiunto l’incidenza del 23,1%3.

L’indice medio di copertura è pari a 1,5 segmenti di mercato per impresa. Analizzando i dati a livello aziendale si osserva che il 60,4% delle aziende opera su un solo segmento, costituito nella grande maggioranza dei casi (poco più del 90%) dall’abitazione; le altre adottano scelte più ampie di copertura del mercato, di norma conseguenti a strategie di sviluppo in segmenti alternativi rispetto al tradizionale segmento-casa.

Tab. 3.7 - Imprese per tipo di segmento presidiato. Segmentazione per destinazione d’uso Tipo di segmento Livenza Quartier del Piave Totale (destinazione d’uso) v. a. % v. a. % v. a. % Abitazione 88 92,6 34 87,2 122 91,0 Contract 32 33,7 22 56,4 54 40,3 Ufficio 15 15,8 16 41,0 31 23,1

Disaggregando i dati a livello distrettuale, si rileva che in entrambi i sistemi locali la grande maggioranza delle imprese rivolge i propri prodotti al segmento-casa. Le imprese liventine appaiono però maggiormente concentrate su tale segmento, mentre quelle solighesi si estendono con maggiore frequenza al contract e all’ufficio, segmenti nei quali opera rispettivamente il 56,4% ed il 41,0% delle imprese. Le aziende del Quartier del Piave adottano pertanto mediamente strategie di copertura del mercato più ampie (1’indice di copertura è pari a 1,8, contro 1,4 nel distretto del Livenza).

Un altro criterio di segmentazione diffusamente utilizzato dalle imprese del settore è quello relativo alla fascia di mercato che, in riferimento alle variabili prezzo e qualità, porta a distinguere i segmenti alto, medio-alto, medio, medio-basso, basso. I dati esposti nella Tab. 3.8 mostrano che i prodotti offerti dalle imprese distrettuali si posizionano in poco più della metà dei casi (53,0%) nella fascia media del mercato; la fascia medio-alta si

3 L’incidenza dei mobili per ufficio riportata in Tab. 3.6 non coincide esattamente con quella riportata in Tab. 3.7 in quanto 3 imprese che nella Tab. 3.6 venivano comprese nella voce “altri mobili” (ad esempio, come produttrici di sedie) operano anche nel segmento ufficio.

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attesta al 44,8%, la medio-bassa al 23,1%. Sono rare le imprese che realizzano prodotti rivolti alle due fasce estreme: alta (4,5%) e bassa (1,5%).

Tab. 3.8 - Imprese per tipo di segmento presidiato. Segmentazione per fascia prezzo-qualità Tipo di segmento Livenza Quartier del Piave Totale (fascia di mercato) v. a. % v. a. % v. a. % Alta 2 2,1 4 10,3 6 4,5 Medio-alta 37 38,9 23 59,0 60 44,8 Media 54 56,8 17 43,6 71 53,0 Medio-bassa 20 21,1 11 28,2 31 23,1 Bassa 1 1,1 1 2,6 2 1,5

Il numero medio di segmenti presidiati dalle imprese è pari a 1,3. Ne consegue che il 77,6% delle imprese attua politiche di focalizzazione su un solo segmento. La rimanente quota di aziende copre più segmenti, generalmente contigui. La combinazione più frequente è quella tra fascia media e fascia medio-alta.

Con riferimento al secondo criterio di segmentazione il posizionamento delle imprese dei due sistemi distrettuali risulta diverso: la maggioranza delle imprese del Livenza (56,8%) realizza infatti prodotti di fascia media, la maggioranza di quelle del Quartier del Piave prodotti di fascia medio-alta (59,0%). Anche in questo caso, le imprese del solighese esibiscono strategie di copertura del mercato un po’ più ampie rispetto a quelle liventine (l’indice di copertura è pari a 1,2 nel Livenza e 1,4 nel solighese), ma il dato significativo è rappresentato appunto dal loro posizionamento medio più elevato.

È opportuno ricordare che il termine “qualità”, che identifica una delle dimensioni utilizzate per circoscrivere i segmenti, ha valenza relativa. In altri termini, in ogni fascia vi possono essere prodotti caratterizzati da qualità intrinseca diversa, in dipendenza delle politiche di qualità adottate dalle imprese. Sotto questo profilo, è indubbio che nel corso del tempo le imprese locali hanno investito per migliorare la qualità intrinseca dei prodotti, il loro contenuto in design, le possibilità di personalizzazione, rafforzando in questo modo la propria posizione competitiva nelle rispettive fasce di mercato.

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3.5 L’apertura internazionale dei sistemi produttivi locali

Le vendite nei mercati esteri, iniziate negli anni settanta, costituiscono un orientamento ormai consolidato tra le imprese trevigiane e pordenonesi. L’attuale livello di apertura internazionale dei due sistemi produttivi locali è testimoniato dal fatto che circa il 90% delle imprese opera anche all’estero. Certo, nella maggioranza dei casi (56,7%) le imprese realizzano all’estero una quota di fatturato inferiore al 20% del totale. Esiste però un 14,9% di aziende decisamente export oriented, che vende oltre confine più della metà del fatturato (Tab. 3.9).

Tab. 3.9 - Imprese per incidenza dell’export sul fatturato % export Livenza Quartier del Piave Totale

v. a. % v. a. % v. a. % Non esporta 7 7,4 7 17,9 14 10,4 1-20% 54 56,8 22 56,4 76 56,7 21-50% 16 16,8 8 20,5 24 17,9 Oltre 50% 18 18,9 2 5,1 20 14,9 Totale 95 100,0 39 100,0 134 100,0

Il 60,0% delle 120 imprese esportatrici ha un portafoglio-paesi piuttosto diversificato, costituito da più di 5 mercati-paese. Il 33,3% colloca i propri prodotti in un numero di paesi compreso tra 2 e 5, mentre solo il 6,7% è introdotto in un unico mercato estero (Tab. 3.10).

Tab. 3.10 - Imprese esportatrici per numero di mercati esteri (paesi) in cui operano Numero di paesi Livenza Quartier del Piave Totale

v. a. % v. a. % v. a. % 1 6 6,8 2 6,3 8 6,7 2-5 30 34,1 10 31,3 40 33,3 Oltre 5 52 59,1 20 62,5 72 60,0 Totale 88 100,0 32 100,0 120 100,0

La capacità di operare nei mercati esteri appare correlata alla dimensione aziendale e risulta superiore nelle imprese più grandi. Quelle con oltre 50

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miliardi di fatturato sono sempre introdotte nei mercati esteri e nel 60,0% dei casi esportano più della metà del fatturato aziendale. Al contrario, nelle piccole imprese con meno di 10 miliardi di fatturato l’export non è una prassi generalizzata - il 18,8% di esse vende solo in Italia - ed in poco più della metà dei casi assorbe meno del 20% del fatturato.

Il fatto che oltre l’80% delle imprese di minori dimensioni riesca ad operare anche nei mercati esteri è comunque degno di nota poiché segnala come l’orientamento all’export non sia prerogativa solo delle imprese più grandi ma sia oramai diffuso anche tra le medie e le piccole imprese.

Anche le strategie di copertura del mercato sotto il profilo geografico risultano parzialmente diverse in relazione alle dimensioni aziendali. Le imprese esportatrici con oltre 50 miliardi di fatturato perseguono normalmente una più spinta diversificazione geografica, dimostrando di essere in grado di gestire la complessità data dall’ampliamento del relativo ambito competitivo: hanno infatti un portafoglio-paesi piuttosto ampio, generalmente costituito da più di 5 mercati-paese. Le imprese con meno di 10 miliardi di fatturato presentano un livello di copertura del mercato chiaramente inferiore e attuano più frequentemente strategie di focalizzazione su uno o pochi mercati-paese.

Per individuare i mercati di destinazione dell’export, nel questionario strutturato è stato chiesto alle imprese esportatrici di elencare i quattro principali mercati-paese in ordine di importanza per fatturato. L’elaborazione dei dati mostra che la principale area di destinazione dei mobili locali è costituita da paesi appartenenti al continente europeo: nell’88,0% dei casi il primo paese estero è infatti uno stato europeo. Osservando la graduatoria dei primi mercati esteri riportata in Tab. 3.11 si rileva che i principali partner commerciali delle imprese distrettuali sono tuttora la Francia e la Germania, ovvero le due tradizionali mete delle esportazioni delle imprese mobiliere: esse rappresentano infatti il primo mercato di sbocco rispettivamente per il 23,1% e per il 22,2% delle imprese esportatrici dei due distretti.

Scendendo nella graduatoria lo scenario cambia, assumendo un profilo più innovativo. Il dato più significativo è costituito dal terzo posto della Russia, primo mercato per il 14,5% delle imprese, mentre al quarto posto incontriamo gli Stati Uniti d’America (9,4%), unico paese extraeuropeo nell’elenco dei primi 10. Anche nelle posizioni successive compaiono alcuni mercati relativamente nuovi, appartenenti sia all’Europa occidentale che a quella dell’Est: Grecia, Spagna, Svizzera, Croazia, Polonia, Austria, Belgio, Slovenia etc.

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I dati, pur non consentendo di quantificare la rilevanza in termini economici delle esportazioni dirette verso i singoli paesi, sono comunque sufficienti a documentare l’esistenza di un processo di diversificazione geografica dei mercati di sbocco posto in essere soprattutto negli anni novanta dalle imprese locali4. In particolare, l’importanza raggiunta dai paesi dell’Europa dell’Est dimostra che le imprese locali sono state capaci di introdursi velocemente in quest’area, cogliendo con prontezza le opportunità offerte dalla recente apertura al commercio internazionale del nuovo, e potenzialmente vastissimo, mercato e riuscendo a superare le difficoltà connesse alle differenze rispetto ai tradizionali mercati di destinazione e alla conseguente complessità dell’attività di penetrazione. Nell’area dell’Est-Europa, spicca soprattutto il dato relativo alla Russia (che peraltro emerge chiaramente anche nelle statistiche sul commercio estero), un mercato considerato interessante sia nel segmento dell’arredamento per la casa che in quello dell’arredamento per l’ufficio (Csil, 2001b). Anche il fatto che per alcune imprese gli Stati Uniti rappresentino il primo mercato di sbocco è sicuramente positivo, vista la lontananza geografica e culturale dell’esteso e importante mercato americano, che nella fase recente ha registrato un trend espansivo soprattutto nel segmento dell’ufficio (Csil, 2000).

Per valutare correttamente le informazioni fornite bisogna tuttavia considerare che nei mercati “nuovi” le imprese tendono ad esportare più frequentemente percentuali non molto alte del fatturato. Alcune indicazioni in questo senso si possono ricavare dall’incrocio della quota export di fatturato con il primo mercato di destinazione, dal quale emerge che tra le imprese che indicano come primo mercato un paese dell’Europa dell’Est, come la Russia e la Croazia, o un paese “atipico” dell’Europa Occidentale, come la Grecia, prevalgono quelle con percentuali di export inferiori al 20%. Al contrario, tra le imprese che segnalano mercati come la Germania o gli Stati Uniti si incontrano aziende maggiormente export oriented. Evidentemente, si tratta di indicazioni parziali, non esistendo una correlazione necessaria tra quota export totale e quota export nel primo paese di sbocco, che però sono suffragate anche dai casi aziendali analizzati in profondità.

Il processo di diversificazione geografica dei mercati trova conferma nella seconda sezione della Tab. 3.11, in cui la frequenza relativa a ciascun mercato-paese somma le imprese che lo hanno indicato tra i primi quattro mercati in ordine di importanza per fatturato. Francia, Germania e Russia si

4 Per apprezzare, mediante una valutazione comparativa, la mutata composizione del portafoglio-paesi conseguente al processo di diversificazione dei mercati di sbocco si vedano Anastasia (1995) e Guerra (1995).

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confermano ai primi tre posti: oltre il 40% delle imprese segnala tra i primi quattro paesi Francia e/o Germania, poco più di un terzo la Russia. Nelle posizioni successive si registrano alcuni spostamenti che modificano l’ordine della prima graduatoria: salgono Grecia, Croazia, Austria e Belgio, mentre scendono Stati Uniti, Svizzera e Spagna.

Tab. 3.11 - Imprese esportatrici per mercato estero prevalente in termini di fatturato

Primo mercato* Tra i primi quattro mercati Mercato-paese v. a. % Mercato-paese v. a. % Francia 27 23,1 Francia 51 43,6 Germania 26 22,2 Germania 49 41,9 Russia 17 14,5 Russia 40 34,2 Stati Uniti 11 9,4 Grecia 32 27,4 Grecia 8 6,8 Croazia 23 19,7 Spagna 6 5,1 Belgio 21 17,9 Svizzera 4 3,4 Austria 19 16,2 Croazia 3 2,6 Stati Uniti 19 16,2 Polonia 3 2,6 Svizzera 18 15,4 Altri mercati-paese 12 10,3 Spagna 17 14,5 * Il totale non coincide con quello usuale in quanto alcune imprese non hanno fornito il dato.

Ricomponendo le informazioni esposte sino ad ora, si può concludere che le imprese locali nel complesso hanno compiuto dei progressi nella commercializzazione all’estero dei prodotti, segnalati da:

1. l’aumento del livello di apertura internazionale sotto il profilo delle esportazioni e la diffusione dell’export non solo tra le imprese più grandi ma anche tra le imprese di minori dimensioni;

2. la diversificazione geografica dei mercati di sbocco, con l’avvio e/o lo sviluppo delle esportazioni anche in paesi nuovi e caratterizzati da una certa “distanza psichica” rispetto a quelli tradizionali.

L’attuale tendenza allo spostamento di preferenze da parte dei consumatori tedeschi e di altri paesi europei dai mobili classici all’arredamento di stile moderno e la crescente importanza associata all’italian style negli stessi mercati svolgono un ruolo non trascurabile nei processi di internazionalizzazione in corso nei distretti del Livenza e del

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Quartier del Piave. L’apprezzamento del design italiano rappresenta un fondamentale fattore di penetrazione anche nel mercato russo. D’altra parte, nei mercati esteri le imprese distrettuali hanno fatto valere le competenze distintive acquisite nell’area del prodotto-servizio.

L’analisi comparata del comportamento delle imprese dei due distretti evidenzia delle diversità tra il Livenza e il Quartier del Piave, sia per quanto concerne il livello di apertura internazionale, sia in riferimento alla composizione del portafoglio-paesi.

In primo luogo, le imprese liventine manifestano un orientamento all’export più marcato di quelle del solighese, quantificato dalla maggiore presenza di imprese esportatrici e dalla maggiore incidenza della quota export nel fatturato delle imprese (Tab. 3.9). Nel Livenza le imprese che operano anche nei mercati esteri sono il 92,6% del totale, mentre nel Quartier del Piave sono l’82,1%. Inoltre, nel Livenza le imprese che esportano oltre la metà del fatturato sono quasi un quinto, mentre nel Quartier del Piave tale incidenza scende al 5,1%.

Le differenze relative al portafoglio-paesi non riguardano il numero dei mercati esteri (Tab. 3.10) quanto i principali paesi di destinazione dell’export. Scorrendo l’elenco dei primi mercati di sbocco si nota infatti che mentre nel Livenza la graduatoria è simile a quella generale (Francia, Germania, Russia, Stati Uniti, Grecia etc.), nel Quartier del Piave la Russia balza al primo posto, immediatamente seguita da Francia e Germania e poi da Spagna, Polonia e Slovenia.

3.6 I canali distributivi

Nell’ambito del marketing mix, la distribuzione costituisce una leva di particolare rilievo, vista l’evoluzione che ha caratterizzato il sistema competitivo dell’arredamento negli anni ottanta e novanta (Cap. 1).

L’indagine campionaria ha consentito di illustrare le politiche distributive realizzate dalle imprese distrettuali con riferimento alla scelta dei canali di distribuzione. La configurazione dei canali può essere ricostruita analizzando congiuntamente due indicatori:

a. i clienti a cui l’impresa vende in modo diretto o indiretto i propri prodotti;

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b. le figure o strutture che vengono utilizzate per intermediare le vendite.

I clienti possono essere raggruppati in diverse categorie: un’impresa può vendere i propri prodotti ad altre imprese di produzione, a vari tipi di commercianti all’ingrosso, a vari tipi di commercianti al dettaglio, ai consumatori stessi o ad altri tipi di utilizzatori, come ad esempio quelli del contract.

Le relazioni con i clienti possono essere gestite facendo ricorso a una o più figure di intermediari: agenti (pluri o mono-mandatari), strutture specializzate nelle vendite ai mercati esteri come esportatori e trading company, buyer, consorzi tra imprese etc. Oppure possono essere gestite direttamente dall’impresa mediante la costituzione di proprie filiali, di consociate o di joint venture commerciali.

Le scelte compiute dall’impresa in merito al tipo e al numero dei clienti e degli intermediari portano alla selezione dei canali distributivi, che possono essere diretti (in relazione all’acquirente finale) o indiretti e, nel secondo caso, più o meno lunghi in relazione al numero dei diversi operatori (stadi) che li compongono. Tali scelte sono dense di implicazioni strategiche poiché canali variamente configurati si differenziano in merito al livello di impegno (commitment) e di coinvolgimento dell’impresa nel mercato e quindi alla possibilità di presidio del canale distributivo. Le capacità di controllo delle vendite e di presidio informativo del mercato aumentano in genere con il ridursi della lunghezza del canale: un’impresa che cede i propri prodotti a un esportatore (che poi a sua volta li cederà ad altri soggetti) ha maggiori difficoltà a controllare le condizioni di vendita dei propri prodotti e a raccogliere informazioni sulla domanda rispetto a un’impresa che - tramite una rete di agenti esclusivi - vende i prodotti alle aziende della distribuzione al dettaglio; a sua volta, l’impresa di produzione che opera attraverso agenti ha comunque un contatto con i clienti più mediato e indiretto rispetto al caso di un’impresa che effettua le vendite mediante una propria consociata commerciale. Il principio descritto non va però applicato in modo rigido in quanto il livello di presidio dipende anche da altri fattori, in particolare dal tipo di rapporto instaurato con intermediari e clienti, che contribuisce in effetti a qualificare il commitment. Nel caso in cui la qualità del rapporto sia elevata e le relazioni siano di tipo collaborativo, un buon presidio informativo può essere raggiunto anche se il canale distributivo è indiretto e lungo.

Nei sistemi locali del Livenza e del Quartier del Piave le scelte di canale operate dalle imprese sono piuttosto omogenee e chiaramente riassunte dai due seguenti dati:

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- l’82,8% delle imprese vende i propri prodotti a commercianti al dettaglio;

- il 91,0% ricorre ad agenti pluri-mandatari per intermediare le vendite.

Il canale distributivo utilizzato dalla grande maggioranza delle imprese locali è quindi un canale indiretto, composto dai seguenti soggetti:

produttore > agente pluri-mandatario > commerciante al dettaglio

Si tratta del tradizionale canale distributivo tipicamente adottato dalle imprese mobiliere. Rispetto alle alternative possibili, esso implica un livello medio-basso di presidio del mercato da parte dell’impresa. Ricordando la precisazione riportata sopra, le possibilità finali di controllo e presidio informativo del mercato vengono pertanto a dipendere in modo critico dalla natura del rapporto instaurato con agenti e dettaglianti.

La configurazione dei canali sin qui descritta, pur avendo carattere modale, non esaurisce il quadro delle politiche distributive delle imprese dei due distretti. Infatti, esse vendono in media i propri prodotti a 2,2 tipologie di clienti, che variano anche in relazione al mercato geografico e/o al segmento di destinazione. Le strategie di diversificazione produttiva, di estensione della copertura del mercato e di internazionalizzazione sono state sostenute, com’era logico attendersi, da politiche distributive multi-canale. La Tab. 3.12 mostra che il 39,6% delle imprese distribuisce i proprio prodotti (anche) a commercianti all’ingrosso. Per le vendite all’estero il 29,1% delle imprese si rivolge ad importatori-grossisti, mentre in alcuni mercati esteri emerge il ruolo dei gruppi d’acquisto (26,1%). Altri tipi di clienti sono invece meno frequenti: la quota di imprese che vende direttamente ai consumatori o ad altri tipi di utilizzatori non supera in entrambi i casi il 10%.

Un discorso a parte va fatto per le aziende che cedono i propri prodotti ad altre imprese di produzione, localizzate nel distretto (clienti per il 9,0% delle imprese distrettuali), in Italia (9,7%) o all’estero (6,0%). I dati segnalano l’esistenza nei sistemi produttivi locali di una porzione di imprese, seppure minoritaria, che delega il rapporto col mercato a un altro produttore. Appartengono a questa classe alcune delle imprese più deboli sotto il profilo commerciale, imprese che, non essendo in grado di commercializzare la propria produzione, operano di fatto come subfornitori di prodotti finiti.

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Tab. 3.12 - Imprese per tipo di clienti Tipo di clienti Livenza Quartier del Piave Totale

v. a. % v. a. % v. a. % Imprese di produzione distrettuali 9 9,5 3 7,7 12 9,0 Altre imprese di produzione italiane

9 9,5 4 10,3 13 9,7

Imprese di produzione estere 6 6,3 2 5,1 8 6,0 Commercianti all’ingrosso 42 44,2 11 28,2 53 39,6 Importatori-grossisti 28 29,5 11 28,2 39 29,1 Commercianti al dettaglio 77 81,1 34 87,2 111 82,8 Gruppi di acquisto 26 27,4 9 23,1 35 26,1 Consumatori 10 10,5 1 2,6 11 8,2 Altri tipi di utilizzatori 3 3,2 7 17,9 10 7,5

Tab. 3.13 - Imprese per figure e\o strutture che intermediano o effettuano le vendite Figure/strutture Livenza Quartier del Piave Totale

v. a. % v. a. % v. a. % Agenti pluri-mandatari 85 89,5 37 94,9 122 91,0 Agenti mono-mandatari 9 9,5 6 15,4 15 11,2 Strutture specializzate nell’export

14 14,7 7 17,9 21 15,7

Buyer 5 5,3 4 10,3 9 6,7 Consorzi tra imprese 1 1,1 0 0,0 1 0,7 Altri intermediari 2 2,1 0 0,0 2 1,5 Filiali, consociate o joint venture in Italia

1 1,1 1 2,6 2 1,5

Filiali, consociate o joint venture all’estero

9 9,5 3 7,7 12 9,0

Nel caso degli intermediari il livello di diversificazione è minore, come segnala il relativo indice, pari a 1,4. Tra le figure diverse dall’agente pluri-mandatario cui si ricorre per veicolare le vendite si possono ricordare le strutture specializzate nell’export (15,7%), gli agenti mono-mandatari (11,2%) e i buyer (6,7%). Infine, si segnala l’esistenza di imprese che gestiscono direttamente le relazioni con i clienti esteri mediante filiali, consociate o joint venture di vendita (Tab. 3.13). Investimenti diretti di

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questo tipo sono stati effettuati in qualche mercato estero dal 9,0% delle aziende, un dato non trascurabile se si tiene conto del livello di impegno connesso a una tale scelta. È importante sottolineare che si tratta di una politica di canale atta a garantire un miglior controllo delle vendite e un superiore presidio informativo, ma al contempo rischiosa, al punto che in passato era perlopiù reputata prerogativa delle grandi imprese multinazionali. Alla presenza di imprese che hanno saputo attivare politiche distributive evolute si contrappone la persistenza di aziende più deboli sotto il profilo commerciale - incluse nella quota di imprese che cede i propri prodotti ad altre imprese di produzione o a grossisti o che ricorre a più lunghe catene di intermediazione (esportatori, buyer etc.). La prima evidenza dimostra comunque che le imprese distrettuali possono intraprendere percorsi evolutivi orientati a rafforzare la posizione competitiva attraverso un più qualificato presidio dei canali distributivi.

La configurazione dei canali distributivi risulta sostanzialmente simile nelle due aree distrettuali del Livenza e del Quartier del Piave e le differenze che si riscontrano non modificano in modo sostanziale il quadro sin qui esposto5.

Le politiche distributive presentano invece delle differenze tra le classi dimensionali delle imprese. Per quanto concerne i clienti, le imprese di maggiori dimensioni ricorrono più spesso a politiche di diversificazione, atte a ridurre la dipendenza da una sola tipologia. Inoltre, scelgono più frequentemente canali più corti, dimostrando in particolare una maggiore capacità di relazionarsi con i commercianti al dettaglio, che compaiono sempre nel loro portafoglio-clienti, mentre le imprese delle due classi dimensionali minori si rivolgono a tali clienti rispettivamente nell’88,2% e nel 70,8% dei casi. Per contro, alcuni dei comportamenti più “deboli” sotto il profilo del presidio del mercato - come la vendita ad altre imprese di produzione distrettuali e nazionali - sono esibiti solo dalle imprese che non superano la soglia dei 50 miliardi di fatturato. Infine, gli investimenti diretti all’estero in campo commerciale sono stati effettuati con frequenza superiore dalle imprese distrettuali di maggiori dimensioni.

5 Si rileva solo un presidio medio lievemente maggiore dei canali da parte delle imprese del Quartier del Piave, segnalato da un ricorso superiore a canali più brevi (commercianti al dettaglio anziché all’ingrosso) e a intermediari come gli agenti mono-mandatari. Le altre differenze rinvenibili nelle Tabb. 3.12 e 3.13 sono riconducibili al diverso posizionamento nel mercato delle imprese dei due distretti: tra i clienti delle imprese liventine, maggiormente orientate all’export, pesano di più i gruppi d’acquisto, mentre in quelle solighesi, più attive nel contract, i tipi di utilizzatori tipici di questo segmento.

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3.7 La comunicazione di marketing

Una specifica sezione del questionario proposto alle imprese dei due sistemi distrettuali è stata inserita al fine di rilevare le forme o strumenti e i mezzi utilizzati per comunicare i prodotti al mercato o più in generale l’impresa ai suoi pubblici rilevanti. Gli strumenti tipici fondamentali su cui può far leva la comunicazione d’impresa verso l’esterno sono svariati e compongono nel loro insieme il cosiddetto communication mix:

1. la pubblicità,

2. le sponsorizzazioni,

3. le pubbliche relazioni,

4. la promozione delle vendite,

5. la comunicazione (vendita) personale,

6. la presenza alle manifestazioni fieristiche,

7. la comunicazione diretta (direct marketing),

8. la comunicazione attraverso internet.

Rispetto a questi strumenti, solo i primi tre e gli ultimi tre implicano (in genere) problematiche di tipo prettamente comunicativo, mentre i due centrali risultano fortemente integrati con le altre leve del marketing mix, quali le politiche di pricing e di distribuzione. Inoltre, mentre la pubblicità e le sponsorizzazioni coinvolgono eminentemente la comunicazione commerciale, le pubbliche relazioni attengono primariamente alla comunicazione a livello corporate.

Nella nostra indagine l’attenzione è stata focalizzata pertanto sui primi due strumenti e sugli ultimi quattro, rilevando per ciascuno il ricorso o meno da parte delle imprese intervistate. Inoltre, il canale pubblicitario è stato qualificato in relazione ai principali media (quotidiani, riviste, televisione, radio). Analogamente, nel caso della comunicazione diretta, è stato rilevato l’utilizzo dei due mezzi più rappresentativi dell’approccio di direct marketing: il telefono e la posta. Il communication mix, inoltre, è stato indagato distintamente per il mercato italiano e per i mercati esteri.

In entrambi i casi emerge che la comunicazione è sicuramente il punto debole nell’approccio delle imprese ai mercati. Come si vedrà nella sezione conclusiva del capitolo, questo giudizio viene confermato dalle imprese stesse nella autovalutazione dei propri punti di forza e debolezza competitiva. Nonostante la capacità di sviluppare una corretta strategia di

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comunicazione al mercato rappresenti una competenza sempre più critica in un contesto competitivo a complessità crescente, tuttavia questa è un’area su cui, come rivelano anche i casi aziendali analizzati, le imprese non stanno facendo ancora investimenti mirati di tipo strategico. Precisamente, investono più che in passato nella comunicazione di tipo personale al trade al fine di accrescere il livello di integrazione comunicativa del canale distributivo e per questa via migliorare il rapporto con il mercato; la comunicazione diretta al consumatore, al contrario, riceve ancora un’attenzione e un budget limitati nella maggior parte delle imprese.

Entriamo nello specifico delle informazioni raccolte. Per quanto riguarda il mercato italiano, le imprese utilizzano mediamente 2,8 strumenti/mezzi tra quelli elencati nella Tab. 3.14; se però dal calcolo dell’indice di diversificazione dei canali di comunicazione vengono esclusi il sito web e le fiere, il valore scende drasticamente a 0,9.

La Tab. 3.14 evidenzia in particolare tre dati fondamentali:

1. lo strumento di comunicazione che oggi risulta più presente tra le imprese dei due distretti è il sito web, rilevato nell’85,7% dei casi. La forma di comunicazione più recente ha avuto pertanto una rapida diffusione;

2. la partecipazione a fiere di settore si posiziona al secondo posto. Il 69,2% delle imprese partecipa infatti ad almeno un evento fieristico, con preferenza per quelle organizzate in regioni diverse rispetto al Veneto o al Friuli-Venezia Giulia (si ricorda a tal proposito che la più importante fiera italiana di settore ha luogo a Milano);

3. la pubblicità su riviste è il terzo canale di comunicazione adottato, su cui investe il 45,9% delle imprese, con maggiore incidenza tra le imprese operanti nella fascia alta e medio-alta del mercato.

Si può affermare che ad oggi questi sono gli unici tre strumenti di comunicazione utilizzati con una certa frequenza dalle imprese dei due distretti mobilieri, in aggiunta allo strumento “elementare” del catalogo e alla comunicazione veicolata dalla forza di vendita diretta e indiretta (agenti). Le sponsorizzazioni, strumento piuttosto diffuso tra i principali produttori italiani di mobili (si pensi alle sponsorizzazioni nel campo del basket, per esempio), riguardano una quota minoritaria di imprese (18,8%). Ancora meno frequente l’utilizzo del direct marketing postale (13,5%) e della pubblicità su quotidiani (11,3%). La pubblicità radiofonica, la pubblicità televisiva e il telemarketing, infine, sono quasi del tutto assenti dalle politiche di comunicazione delle imprese distrettuali.

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Tab. 3.14 - Imprese per forme di comunicazione utilizzate nel mercato italiano* Forme di comunicazione Livenza Quartier del Piave Totale

v.a. % v.a. % Pubblicità su quotidiani 5 5,3 10 25,6 15 11,3 Pubblicità su riviste 42 44,7 19 48,7 61 45,9 Pubblicità televisiva 0 0,0 1 2,5 1 0,7 Pubblicità radiofonica 1 1,1 2 5,1 3 2,3 Sponsorizzazioni 14 14,9 11 28,2 25 18,8 Telemarketing 0 0,0 0 0,0 0 0,0 Direct marketing postale 18 19,1 0 0,0 18 13,5 Sito web 78 83,0 36 92,3 114 85,7 Fiere in Veneto e Friuli-V.G. 40 42,6 13 33,3 53 39,8

Fiere in altre regioni italiane 58 61,7 20 51,3 78 58,6

* Le percentuali sono calcolate sulle imprese che operano almeno parzialmente nel mercato italiano.

Particolarmente delicata è soprattutto la situazione delle imprese minori, con meno di 10 miliardi di fatturato, che mostrano le maggiori difficoltà a individuare strumenti e canali comunicativi adeguati per la valorizzazione della propria offerta. Infatti, in queste imprese il communication mix è costituito mediamente da 1,9 strumenti, contro i 3,1 delle imprese con fatturato compreso tra 10 e 50 miliardi e i 4,0 delle imprese con oltre 50 miliardi di fatturato; escludendo fiere e sito web, i valori scendono a 0,6 per le imprese minori e a 1,1 e 1,4 rispettivamente per le altre due classi. Anche la partecipazione alle manifestazioni fieristiche risente molto della variabile dimensionale: se consideriamo solamente le fiere fuori regione, che risultano quelle a cui le imprese attribuiscono maggiore importanza, vediamo che vi aderiscono tutte le imprese maggiori, il 61,8% di quelle appartenenti alla classe di fatturato 10-50 miliardi e solo il 43,8% delle altre.

Il quadro delineato può essere utilmente completato con un altro dato: sempre facendo riferimento alle alternative elencate nella Tab. 3.14, quasi un terzo delle imprese considerate (il 30,8%) fa leva unicamente sulle fiere e sul sito web; quest’ultimo è l’unico strumento di comunicazione per il 12,8% delle imprese.

Premesso che nella prevalenza dei casi analizzati la qualità in termini di contenuti dei siti web sviluppati dalle imprese distrettuali non è elevata,

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nonostante non manchino alcune esperienze interessanti6, si possono svolgere due ordini di considerazioni.

La prima è che, dunque, per far conoscere i prodotti al cliente finale quasi metà delle imprese dei due sistemi locali si affida sostanzialmente alle capacità commerciali del proprio personale di vendita e al ruolo comunicativo degli agenti (e del catalogo). Se questo può essere giustificato in condizioni di mercato in cui la domanda è elevata, mostra però tutti i suoi limiti in fasi di mercato meno dinamico e in modo strutturale nella fase attuale, caratterizzata da una elevata complessità nei comportamenti di consumo. In entrambe le situazioni problematiche, la notorietà presso il consumatore costituisce un differenziale non marginale per consentire la tenuta delle vendite; questo soprattutto perché, come è noto, la struttura distributiva del mercato mobiliero italiano è caratterizzata da una scarsa capacità di presidio da parte dei produttori a causa della forte polverizzazione sia dal lato dell’offerta produttiva che dal lato della distribuzione commerciale, del ricorso ad agenti pluri-mandatari, dell’elevata conflittualità di canale.

La seconda considerazione è relativa al nuovo canale comunicativo emergente: il sito web. Questo strumento ha nei due sistemi locali sotto osservazione una diffusione molto alta, al di sopra delle medie nazionali7. Il dato è certamente indicativo di un percorso di diversificazione delle forme comunicative che le imprese hanno ormai intrapreso e che le sta portando a sfruttare le potenzialità di internet per una pluralità di motivi:

a. avere un accesso diretto al mercato e al consumatore, con cui poter interagire direttamente;

b. offrire maggiori servizi informativi ai clienti;

c. sfruttare un canale relativamente poco costoso per accrescere la qualità del rapporto con agenti e punti vendita attraverso la realizzazione di extranet.

Tuttavia, almeno due sono gli aspetti a cui si deve prestare attenzione. Innanzitutto, in molti casi il sito si presenta ancora come una semplice “vetrina”, che non sfrutta nessuna delle potenzialità sopra richiamate e quindi con limitate ricadute positive sulle aziende. In secondo luogo, il sito web diventa un vero strumento di interazione con il mercato solamente se inserito nell’ambito di una 6 Si veda a questo proposito l’approfondimento nel prossimo capitolo. 7 Come riferimento si può utilizzare il dato rilevato nel 2000 dall’Osservatorio Reti e Tecnologie per la Piccola e Media Impresa del TeDIS Center di Venezia: in un campione di 1.009 imprese con oltre 10 miliardi di fatturato appartenenti a 33 diversi distretti industriali italiani le imprese che hanno dichiarato di disporre di un sito web sono state il 69,6%.

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strategia più ampia e impegnativa di comunicazione e di marketing, la quale: da un lato porta a predisporre tutte le risorse aziendali, umane prima di tutto, necessarie per la progettazione e organizzazione dei contenuti, gli aggiornamenti, l’analisi dei dati, la pronta risposta alle richieste; dall’altro prevede le misure appropriate per dare visibilità al sito stesso, attraverso un ulteriore sforzo comunicativo organizzato a livello aziendale o territoriale.

Passando all’analisi relativa ai singoli distretti e facendo sempre riferimento al mercato nazionale, si evidenzia che le imprese del Quartier del Piave mostrano una maggiore attenzione alla comunicazione esterna. In particolare, rispetto alle imprese del Livenza, è più frequente la presenza pubblicitaria sulle riviste specializzate e soprattutto sui quotidiani (25,6% contro 5,3%). Ugualmente, sono più numerose le imprese che hanno investito in qualche forma di sponsorship. Le imprese dell’area liventina sono invece più presenti alle fiere e alcune di esse (19,1%) hanno adottato il direct marketing postale, un dato questo da collegare con la maggiore presenza di produttori nella fascia media, ossia nel segmento di mercato al quale meglio si adatta questa forma di comunicazione. Si sottolinea, infine, che si trovano nel sistema locale del Livenza le 10 imprese, pari al 7,5% del campione totale, che non fanno ricorso ad alcuno strumento di comunicazione tra quelli previsti nella domanda del questionario.

Considerazioni analoghe a quelle fin qui svolte valgono per i mercati esteri, in cui la comunicazione di marketing delle imprese risulta nel complesso ancora più debole, come evidenziano i dati riportati nella Tab. 3.15.

Tab. 3.15 - Imprese per forme di comunicazione utilizzate nei mercati esteri* Forme di comunicazione Livenza Quartier del Piave Totale

v.a. % v.a. % v.a. % Pubblicità su quotidiani 4 4,6 1 3,1 5 4,2 Pubblicità su riviste 27 31,0 10 31,3 37 31,1 Pubblicità televisiva 1 1,1 0 0,0 1 0,8 Pubblicità radiofonica 1 1,1 0 0,0 1 0,8 Sponsorizzazioni 2 2,3 1 3,1 3 2,5 Telemarketing 0 0,0 0 0,0 0 0,0 Direct marketing postale 12 13,8 1 3,1 13 10,9 Sito web 75 85,2 30 93,8 105 87,5 Fiere in paesi esteri 49 55,7 12 37,5 61 50,8

*Le percentuali sono calcolate sulle imprese che operano almeno parzialmente nei mercati esteri.

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Mediamente le imprese usano 1,9 strumenti di comunicazione, che si riducono a 0,5 se escludiamo il sito web e le fiere.

Dopo il sito web, la fiera è il momento privilegiato per presentare i nuovi prodotti ed entrare in contatto diretto con operatori, agenti, importatori: la metà delle imprese che esportano utilizza tale canale. Quasi un terzo delle imprese pubblicizza i propri prodotti sulle riviste d’arredamento, mentre tutte le altre forme comunicative rivestono un’importanza molto bassa. Il 9,2% delle imprese non fa ricorso a nessuno dei canali segnalati e il 61,3% fa ricorso solamente al sito web o alle fiere8.

Per quanto riguarda la comunicazione nei mercati esteri, le imprese dei due sistemi locali non presentano differenze sostanziali.

3.8 Il posizionamento competitivo delle imprese

I principali elementi emersi dall’analisi sin qui condotta si riflettono nella percezione delle imprese relativamente al proprio posizionamento competitivo rispetto alla media dei concorrenti. Alle imprese intervistate è stato infatti chiesto di attribuire un punteggio da 1 a 5 a una serie di fattori di competitività. Nonostante i limiti di un’analisi dei punti di forza e di debolezza basata sull’auto-valutazione, che necessariamente sconta alcune distorsioni percettive, i dati raccolti consentono di fare alcune interessanti riflessioni, con particolare riferimento al tema che qui interessa, ovvero l’approccio ai mercati e il loro presidio.

La Fig. 3.1 riporta i valori medi attribuiti dalle imprese alle diverse variabili fonte di vantaggio competitivo. Da essa risalta un primo dato interessante: i costi di produzione ottengono un punteggio medio (3,34) inferiore alla media semplice dei punteggi relativi a tutto lo spettro di fattori considerati (3,47). Come si vede dalla Tab. 3.16, questo vale per entrambe le aree distrettuali.

È utile confrontare il dato della debolezza percepita dal lato dei costi di produzione con altri fattori che, al contrario, ottengono punteggi superiori alla media: la qualità intrinseca dei prodotti, la varietà nell’offerta di prodotti, il servizio ai clienti, il design. La comparazione mostra infatti un cambiamento nella struttura

8 Va segnalato che molte imprese sostengono che la miglior forma di comunicazione per l’estero sia una forte presenza e notorietà sul mercato nazionale, che consente di far leva sul fattore made in Italy.

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tipica dei vantaggi competitivi dei due distretti, riscontrata anche in altri sistemi produttivi locali (Grandinetti, 1999 e 2000). I principali elementi che hanno consentito lo sviluppo e il successo di queste aree distrettuali storicamente sono stati i ridotti costi di produzione, favoriti dalla disponibilità di una forza lavoro a basso costo e flessibile, ai quali si è aggiunta la capacità di rapido adeguamento alle variazioni quantitative e qualitative della domanda e quindi la capacità di variare l’offerta in base alle richieste del cliente. Si tratta di fattori di competitività non dissimili da quelli tipici della piccola impresa italiana, che però nei distretti hanno assunto maggiore intensità in relazione a una più profonda divisione del lavoro interna, una maggiore specializzazione e un processo collettivo di produzione e diffusione delle conoscenze (Becattini, 1979; Rullani, 1995).

Nella fase attuale questa struttura si riproduce solo parzialmente, in quanto i costi di produzione non garantiscono più un differenziale competitivo rispetto alla concorrenza. L’arrivo sul mercato di imprese operanti in mercati a più basso costo del lavoro è sicuramente una delle cause, anche se nell’arredamento il fenomeno non ha avuto un impatto paragonabile a quello registrato dal settore tessile-abbigliamento. D’altra parte, le stesse caratteristiche della forza lavoro locale sono cambiate, con un minore utilizzo di forme di flessibilità spinta, oltre alla difficoltà di reperire risorse umane ad elevata specializzazione.

La flessibilità, anche se non esplicitamente richiamata tra i fattori di vantaggio competitivo, rimane invece un elemento importante di distinzione dell’impresa distrettuale, che consente di accrescere contemporaneamente sia le dimensioni del portafoglio-prodotti che la capacità di risposta personalizzata rispetto alle esigenze del cliente.

Fig. 3.1 - Posizionamento competitivo medio: auto-valutazione delle imprese distrettuali

3,343,78

3,67

3,92

3,92

3,22

2,44

3,47

costi di produzione

qualità intrinseca

design

servizio ai clienti

varietà offerta

presidio canali

comunicazione

media generale

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I punti di forza nella percezione degli imprenditori intervistati attengono tutti all’area del prodotto-servizio, evidenziando come proprio in quest’area i distretti hanno conseguito un importante traguardo evolutivo rispetto al passato: la qualità intrinseca del prodotto, la varietà, il design e il livello di servizio ai clienti, inteso come rispetto dei tempi di consegna, servizio post-vendita, disponibilità. Questi elementi assumono ancora maggiore rilevanza nel distretto del Quartier del Piave.

Per quanto riguarda la qualità, non è ancora un concetto riferibile all’intera organizzazione e attività aziendale, come dimostra il basso ricorso alla certificazione aziendale prima segnalato. È piuttosto un fattore distintivo del prodotto e del servizio, rafforzato dall’attenzione crescente al design, alla progettazione, alla personalizzazione, all’innovazione di prodotto, che porta ad un maggiore avvicinamento di questi sistemi locali al distretto mobiliero della Brianza, in cui operano i principali esponenti del design italiano nel campo dell’arredamento. Con riferimento al design possiamo tuttavia notare che la varianza dei punteggi assegnati è maggiore rispetto agli altri fattori, ad indicare che l’investimento in progettazione non è uniformemente diffuso: a fronte di alcune imprese che iniziano ad eccellere sui mercati rispetto ai concorrenti, altre si percepiscono ancora in una posizione di notevole debolezza.

Le aree in cui le imprese distrettuali ancora oggi rimangono deboli sono il presidio dei canali distributivi e la comunicazione di marketing. Per entrambe vengono registrate infatti valutazioni inferiori alla media: 3,22 e 2,44. Nel caso della comunicazione di marketing, la percezione da parte delle imprese distrettuali è quindi di un vero e proprio svantaggio.

Tab. 3.16 - Imprese per auto-valutazione dei fattori di vantaggio competitivo

Campione totale Valutazione Costi di

produzione Qualità

intrinsecaDesign Servizio

ai clientiVarietàofferta

Presidio canali

Comuni-cazione

1 - Basso 1,5 0,0 0,7 0,0 0,0 1,5 17,92 - Medio-basso 6,0 3,7 7,5 4,5 3,0 17,2 35,83 - Medio 55,2 28,4 30,6 18,7 22,4 46,3 32,84 - Medio-alto 32,1 53,7 46,3 57,5 54,5 27,6 11,25 - Alto 5,2 14,2 14,9 19,4 20,1 7,5 2,2Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

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Livenza Valutazione Costi di

produzione Qualità

intrinsecaDesign Servizio

ai clientiVarietàofferta

Presidio canali

Comuni-cazione

1 - Basso 2,1 0,0 1,1 0,0 0,0 1,1 15,82 - Medio-basso 6,3 4,2 8,4 6,3 4,2 23,2 41,13 - Medio 62,1 28,4 30,5 17,9 26,3 44,2 29,54 - Medio-alto 26,3 58,9 49,5 62,1 55,8 25,3 11,65 - Alto 3,2 8,4 10,5 13,7 13,7 6,3 2,1Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Quartier del Piave Valutazione Costi di

produzione Qualità

intrinsecaDesign Servizio

ai clientiVarietàofferta

Presidio canali

Comuni-cazione

1 - Basso 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 2,6 23,12 - Medio-basso 5,1 2,6 5,1 0,0 0,0 2,6 23,13 - Medio 38,5 28,2 30,8 20,5 12,8 51,3 41,04 - Medio-alto 46,2 41,0 38,5 46,2 51,3 33,3 10,35 - Alto 10,3 28,2 25,6 33,3 35,9 10,3 2,6Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

È opportuno sottolineare il collegamento necessario tra investimenti in varietà e qualità e comunicazione al mercato. Sotto questo profilo, a fronte di uno sforzo interno di riqualificazione dell’offerta dal punto di vista della gamma e della qualità, le imprese distrettuali nel loro complesso non hanno ancora sviluppato la capacità di trasferire ai clienti e ai consumatori finali la conoscenza degli investimenti effettuati, rischiando di realizzare un prodotto che resta anonimo ai più. Questo porta a riaffermare che la principale sfida che le imprese distrettuali oggi devono affrontare è proprio quella dello sviluppo di un più attento e deciso orientamento al marketing, in termini di costruzione di un rapporto interattivo e collaborativo con i canali distributivi, di comunicazione integrata, di investimenti diretti per rafforzare la presenza sui mercati.

Sono queste sfide che alcune imprese hanno già iniziato ad affrontare, soprattutto con riferimento alla riorganizzazione dei rapporti con intermediari e dettaglianti. Le imprese distrettuali più dinamiche stanno infatti investendo sulla formazione degli agenti, sullo sviluppo di strumenti di comunicazione più efficaci e flessibili basati su internet, sulla costruzione di strumenti formali per alimentare il sistema informativo di marketing a partire da clienti e intermediari; alcune imprese o gruppi industriali hanno anche sviluppato un buon communication mix. In alcuni casi, tali strategie hanno iniziato a dare risultati positivi, in altri la percezione delle imprese

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rimane ancora di debolezza, trattandosi di un processo appena avviato e che necessita ancora di molta attenzione.

La varianza più elevata relativa agli ultimi due fattori considerati, e in particolare alla comunicazione, è indicativa di questa situazione. Prendendo come punto di riferimento il valore centrale (3), indicatore di una situazione di parità rispetto alla concorrenza, il 18,7% delle imprese ritiene che il presidio dei canali distributivi sia un punto di debolezza, mentre il 35,1% lo considera un punto di forza. Nell’area della comunicazione di marketing il bilancio è molto più negativo: il 53,7% delle imprese si ritiene debole e solamente il 13,4% valuta quest’area come un elemento distintivo rispetto ai concorrenti. Tra queste imprese rientrano casi molto visibili di gruppi industriali, ma anche imprese “singole” che hanno saputo valorizzare in modo incisivo la propria offerta.

Rispetto a queste considerazioni generali, il confronto tra i due distretti evidenzia per le imprese solighesi una situazione moderatamente più favorevole rispetto alle imprese del Livenza. Il fatto appare coerente con altre osservazioni emerse nel corso dell’analisi relativamente al portafoglio-prodotti, alla gestione dei canali e alla comunicazione di marketing.

Complessivamente, i dati commentati finora indicano dunque che un segmento abbastanza qualificato di imprese distrettuali ha saputo sviluppare politiche distributive di tipo attivo, mentre è ancora molto ristretto il numero delle imprese che hanno investito in progetti efficaci di comunicazione. Lette in modo inverso, queste evidenze stanno tuttavia a indicare che la strada per un miglioramento dell’approccio al mercato in termini comunicativi e relazionali non è preclusa alle imprese distrettuali, soprattutto se coniugata con una attenta politica di prodotto e servizio al cliente. Deve essere solo imboccata con decisione, eventualmente con il supporto di azioni di assistenza commerciale e di marketing, che potrebbero andare a completare gli eventuali comportamenti emulativi che hanno sempre dimostrato la propria efficacia nei distretti industriali e che potrebbero innescarsi anche in questo caso.

Inoltre, un’opportunità tutta da esplorare è quella di sviluppare forme di cooperazione tra imprese in campo commerciale. Sotto questo profilo, si deve riconoscere che la debolezza dimostrata dalle imprese relativamente alle attività di marketing, spesso determinata dalla disponibilità limitata di risorse da investire, non è stata compensata nei due distretti del mobile dalla ricerca di collaborazioni con altre imprese (Tab. 3.17). Meno del 10% delle aziende ha sviluppato rapporti di collaborazione in campo commerciale con altre imprese di produzione e, nei casi rilevati, si tratta perlopiù di accordi che si inseriscono in un più ampio sistema di relazioni tipico dei molti gruppi

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informali sorti nel distretto. Si conferma dunque ancora una volta la difficoltà delle piccole e medie imprese dei sistemi produttivi locali a sviluppare progetti di cooperazione orizzontale al fine di superare alcuni dei limiti propri delle piccole dimensioni aziendali. Ma anche questo non può essere assunto come un ostacolo insormontabile. L’evoluzione competitiva del distretto è anche legata all’adozione di comportamenti innovativi in merito al tema della cooperazione.

Tab. 3.17 - Accordi di cooperazione in campo commerciale con altre imprese di produzione Tipologia di accordi Livenza Quartier del Piave Totale

v.a. % v.a. % v.a. % Accordi con imprese distrettuali 10 10,5 2 5,1 12 9,0

Accordi con imprese italiane 4 4,2 0 0,0 4 3,0 Accordi con imprese estere 0 0,0 0 0,0 0 0,0 Non esistono accordi 84 88,4 37 94,9 121 90,3

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Cap. 4 I processi evolutivi dei due sistemi distrettuali

La seconda fase della ricerca si è posta l’obiettivo di approfondire le

evidenze emerse dall’analisi quantitativa attraverso lo studio di alcuni casi aziendali. Le interviste effettuate nel corso del 2001 agli imprenditori e ai responsabili commerciali di nove aziende distrettuali, selezionate tenendo conto della varietà delle formule imprenditoriali esistenti e della presenza di elementi di particolare interesse dal punto di vista strategico o comunque di dinamicità rispetto all’approccio al mercato, hanno fornito elementi ulteriori di interpretazione dei dati rilevati attraverso il questionario strutturato e, congiuntamente a questi, hanno consentito di individuare alcuni percorsi evolutivi intrapresi dalle aziende dei due sistemi produttivi del mobile.

Tra i processi in corso, alcuni appaiono particolarmente critici perché su di essi si gioca il rafforzamento del vantaggio competitivo delle imprese e la transizione evolutiva dei distretti:

1. lo sviluppo dei gruppi di imprese;

2. l’evoluzione delle politiche di prodotto;

3. l’evoluzione del rapporto con i canali distributivi;

4. la ricerca di politiche efficaci di comunicazione.

4.1 Formazione e sviluppo dei gruppi aziendali

Come anticipato in precedenza, uno dei più importanti processi avvenuti negli ultimi decenni nei nostri distretti è stato la formazione di gruppi di imprese. Il fenomeno, che è stato osservato in diversi distretti italiani e indicato dalla letteratura come uno dei più interessanti processi evolutivi osservati in questi sistemi produttivi (Corò, Grandinetti, 1999; Grandinetti, 1999), nei distretti del Livenza e del Quartier del Piave ha assunto proporzioni considerevoli. Per quantificarne la rilevanza è sufficiente dire che ben 63 imprese, ovvero il 47,0% delle aziende del campione, ha dichiarato di appartenere a un gruppo. In totale, la ricerca ha rilevato 28 gruppi.

Prima di procedere nell’analisi, è utile fare una breve premessa metodologica. L’indagine quantitativa ha consentito di individuare l’elenco

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dei gruppi e le caratteristiche di base delle imprese consociate. È tuttavia evidente che - per delineare il profilo generale dei gruppi, in relazione a tutte le variabili considerate (imprese componenti, dimensioni complessive, estensione del portafoglio-prodotti e del portafoglio-paesi etc.) - l’analisi deve essere svolta a livello di gruppo. A questo scopo si è proceduto innanzitutto alla ricodifica e all’aggregazione dei dati quantitativi per gruppo. Ma, dato che nel campione non erano presenti tutte le imprese appartenenti ai gruppi, vuoi perché facenti parte della quota di imprese che non ha accettato l’intervista, vuoi perché non rientranti nel sottouniverso di indagine1, è stata condotta un’indagine qualitativa a più ampio raggio mediante la ricostruzione di alcuni case study ed eventualmente attraverso altre fonti informative. L’integrazione di tali informazioni ha reso possibile ricostruire la configurazione generale dei gruppi e le strategie di sviluppo perseguite2.

Il processo di formazione dei gruppi ha preso avvio già negli anni settanta, quando alcune imprese distrettuali (in prevalenza mobilifici) hanno sostituito o affiancato la crescita interna con la filiazione (creazione di imprese ex novo) o l’acquisizione di società esistenti. Con il passare del tempo il ritmo delle iniziative è andato aumentando, seguendo un andamento non lineare ma decisamente progressivo, e si è intensificato negli anni ottanta e novanta. Tale processo ha portato alla formazione di gruppi composti da imprese giuridicamente autonome ma controllate da un unico soggetto economico, anche se non di rado in modo informale (ossia attraverso partecipazioni personali degli imprenditori alle diverse entità aziendali).

Le dimensioni complessive dei gruppi presenti nei due distretti sono estremamente varie: i più grandi sono il Gruppo Doimo, composto da oltre 20 imprese, ed il Gruppo Atma, composto da oltre una decina di imprese; i più piccoli possono essere formati al limite da due sole imprese. Nel novero delle realtà aziendali più importanti si possono includere i gruppi Alf, Arros, Biscontin, Corazzin, Euromobil, Florida, Petrovich, Rigo, SanGiacomo, Santarossa, Setten.

Nella grande maggioranza dei casi la strategia di sviluppo perseguita mediante la formazione dei gruppi è stata di diversificazione omogenea,

1 Nel campione non sono infatti comprese le imprese localizzate in comuni extradistrettuali, le società non di capitali, le imprese operanti nelle fasi intermedie della filiera produttiva. 2 Senza questa integrazione non sarebbe stato possibile, ad esempio, rilevare l’esistenza di eventuali strategie di integrazione verticale, che peraltro sono risultate poco diffuse in ambito locale.

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volta ad ampliare la gamma offerta con l’introduzione di nuove tipologie di prodotto sempre nell’ambito del settore dell’arredamento. Pertanto, in genere, all’interno del gruppo ciascuna impresa è specializzata nella produzione di un particolare tipo di mobile: camere, soggiorni, cucine componibili, camerette, sistemi di imbottito etc3. L’ampiezza del portafoglio-prodotti è ovviamente correlata alle dimensioni del gruppo e generalmente aumenta all’aumentare del numero di imprese. Nei gruppi più grandi possono essere presenti più imprese che offrono i medesimi mobili (ad esempio cucine) differenziando la propria produzione in relazione ad altre variabili, come la fascia di mercato o lo stile (classico o moderno).

Il Gruppo Euromobil, ad esempio, è composto da:

1. Euromobil, la casa-madre del gruppo, fondata nel 1972, produttrice di sistemi cucina;

2. Zalf, rilevata nel 1974, dedita alla produzione di sistemi di arredo per la casa e il contract;

3. Dèsirèe, rilevata nel 1995, produce imbottiti.

Il gruppo nel complesso fattura 110 miliardi (2000) ed occupa circa 220 addetti.

Il Gruppo Florida occupa circa 500 addetti e fattura circa 215 miliardi di lire. È composto dalle seguenti imprese:

1. Florida è la casa-madre del gruppo, fondata nel 1963, produttrice di soggiorni e sale da pranzo;

2. Poletti & C., specializzata nella produzione di camere da letto e armadi;

3. Industria Mobili Profim, che realizza cucine vendute con il marchio Florida;

4. Alberta, imbottiti;

5. Elve, camere e soggiorni;

6. Leader Imbottiti d’Arredamento, imbottiti;

7. Leader, cucine componibili.

Alcune imprese di questo secondo gruppo sono posizionate in fasce diverse di mercato: Poletti, ad esempio, opera nella fascia medio-bassa, Elve in quella media e medio-alta. 3 È comunque possibile che l’offerta di un’impresa includa più tipologie di prodotto, ad esempio sia mobili per la zona giorno che mobili per la zona notte.

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È opportuno notare che solo alcuni di tutti i “gruppi” rilevati possono effettivamente essere definiti tali, dato che in altri casi l’assetto giuridico (informale), dimensionale (ad esempio il fatto che si contino due sole imprese) o strategico e organizzativo (su cui torneremo in seguito) rendono improprio l’utilizzo del termine gruppo, se non in senso lato.

Le imprese appartenenti ai gruppi: i risultati dell’indagine campionaria

Come si è detto, i risultati dell’indagine quantitativa offrono una prima fotografia delle caratteristiche delle imprese consociate e permettono di porre a confronto le imprese facenti parte di un gruppo con quelle non appartenenti a un gruppo.

I gruppi rilevati sono di origine locale, essendo stati costituiti per iniziativa di un’impresa o di un certo numero di imprenditori locali. Infatti, in quasi tutte le situazioni la casa-madre del gruppo e/o l’attuale impresa capogruppo hanno sede nei sistemi produttivi mobilieri delle due provincie. Solo un’impresa tra quelle campionate ha dichiarato di far parte di un gruppo extradistrettuale, più precisamente di un gruppo inglese.

Dei 27 gruppi locali, 19 sono liventini, nel senso che la capogruppo e la maggioranza delle consociate hanno sede nei comuni dell’area del Livenza, mentre gli altri 8 insistono principalmente nel distretto del Quartier del Piave. Nonostante il prevalente radicamento nel contesto locale, qualche gruppo ha affiliato imprese localizzate all’esterno dei confini distrettuali, anche all’estero.

Le imprese appartenenti a un gruppo sono mediamente più grandi di quelle non appartenenti a un gruppo. Come si evince dalla Tab. 4.1, circa la metà delle imprese “singole” non supera i 10 miliardi di fatturato e quasi il 40% dichiara un fatturato compreso tra i 10 e i 25 miliardi. Le imprese dei gruppi, invece, si collocano in quasi il 60% dei casi nella classe 10-25 e sono più numerose anche nelle classi superiori ai 25 miliardi.

I dati raccolti mediante l’indagine campionaria non consentono di quantificare le dimensioni complessive di tutti i gruppi o meglio portano a sottostimarle, dato che non tutte le imprese appartenenti ai gruppi sono presenti all’interno del campione. Le informazioni disponibili consentono comunque di rilevare una dimensione media dei gruppi chiaramente superiore a quella delle imprese singole con tuttavia una distribuzione per classi dimensionali decisamente estesa: i gruppi più piccoli non raggiungono le dimensioni delle imprese singole più grandi; all’estremo opposto, i gruppi più grandi raggiungono dimensioni ragguardevoli, non solo nell’ambito dei

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due distretti ma anche nell’ambito del settore dell’arredamento a livello nazionale.

Tab. 4.1 - Imprese per classe di fatturato e appartenenza o meno a un gruppo Classe di fatturato (miliardi di lire)

Appartenentia un gruppo

Non appartenentia un gruppo

Totale

v. a. % v. a. % v. a. % Fino a 5,0 4 6,3 17 23,9 21 15,7 5,1-10,0 7 11,1 20 28,2 27 20,1 10,1-25,0 37 58,7 28 39,4 65 48,5 25,1-50,0 7 11,1 4 5,6 11 8,2 50,1-100,0 6 9,5 2 2,8 8 6,0 Oltre 100,0 2 3,2 0 0,0 2 1,5 Totale 63 100,0 71 100,0 134 100,0

È possibile differenziare ulteriormente i due aggregati in relazione ad altre variabili incluse nel questionario strutturato.

In primo luogo, nei gruppi si registra una maggiore percentuale di imprese che hanno ottenuto la certificazione di qualità del sistema aziendale secondo le norme ISO 9000 (31,7% contro 18,3%), il che indica tra l’altro un livello più elevato di strutturazione organizzativa.

In secondo luogo, nei gruppi risulta un po’ più diffusa la pratica dell’acquisto di prodotti finiti da altre imprese (71,4% contro 63,4%).

L’analisi del posizionamento delle imprese nelle fasce di mercato mostra poi che le imprese dei gruppi si collocano nella maggioranza dei casi nella fascia media (63,5%, contro il 43,7% delle imprese singole), mentre le singole in quella medio-alta (47,9% contro il 41,3% dei gruppi).

L’appartenenza a un gruppo non incide invece sul dato della propensione all’export, se si prescinde da una numerosità del portafoglio-paesi leggermente superiore, anche per quanto concerne alcuni nuovi mercati. Piuttosto si traduce in una superiore capacità, sempre in termini medi, di presidio dei canali distributivi, correlabile alla maggiore forza contrattuale, alle superiori risorse economiche, alle economie di scala di tipo gestionale e alle sinergie di cui possono godere i gruppi. Tale capacità emerge in particolare:

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a. dalla più diffusa capacità di instaurare relazioni commerciali con la grande distribuzione, in particolare con i gruppi d’acquisto (36,5% contro 16,9%);

b. dalla maggiore presenza di investimenti diretti all’estero (filiali, joint venture o consociate commerciali) (12,7% contro 5,6%).

Per le medesime ragioni, l’appartenenza al gruppo appare correlata positivamente agli investimenti in comunicazione: le imprese dei gruppi presentano un communication mix più diversificato e ricorrono maggiormente alla comunicazione per promuovere le vendite. Si registra infatti una maggiore frequenza della pubblicità su vari media - riviste nazionali (53,2% contro 39,4%) ed estere (33,9% contro 28,1%), quotidiani, soprattutto italiani - delle sponsorizzazioni, della partecipazione a fiere anche estere e del sito web (92,1% contro 78,9%).

Il posizionamento competitivo dei gruppi rispetto alla media dei concorrenti presenta varie analogie con quello del campione complessivo. I principali fattori di vantaggio competitivo attengono all’area del prodotto-servizio (servizio ai clienti, qualità, varietà e design), mentre le aree in cui anche le imprese dei gruppi rimangono mediamente più deboli sono il presidio dei canali distributivi e soprattutto la comunicazione di marketing. Rispetto alle imprese singole, i gruppi evidenziano un posizionamento medio migliore, in particolare per quanto concerne il livello di servizio (che nei gruppi ottiene un punteggio medio di 4,00 contro il 3,85 delle imprese singole e viene pertanto considerato il principale punto di forza), il design (3,76 contro 3,59), il presidio dei canali distributivi (3,29 contro 3,17), la comunicazione di marketing (2,49 contro 2,39). Andando a disaggregare i dati si nota peraltro che i punteggi medi celano una realtà composita: accanto a gruppi più deboli vi sono realtà aziendali dinamiche, che indicano ad esempio tra i loro punti di forza il presidio dei canali (quasi il 40%) e la comunicazione di marketing (circa un quinto).

In conclusione, le imprese dei gruppi dimostrano di essere mediamente più attrezzate delle altre sotto vari aspetti (le dimensioni economiche, l’ampiezza della gamma, il presidio dei canali, la comunicazione di marketing), di avere un maggior potere contrattuale, maggiori risorse, competenze e capacità di investimento che si traducono in un posizionamento relativamente superiore a quello delle altre imprese distrettuali. Tale differenziale competitivo non è però così marcato e il profilo complessivo delle imprese appartenenti ai gruppi non appare radicalmente diverso da quello delle altre imprese.

D’altro canto, la varianza riscontrabile in molti indicatori segnala che le caratteristiche, i comportamenti e le performance modali non interpretano

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in modo univoco l’aggregato dei gruppi. In altri termini, i gruppi non identificano una tipologia di impresa omogenea ma costituiscono un sottoinsieme in cui convivono formule imprenditoriali diverse tra loro.

I risultati dell’indagine campionaria stanno dunque a indicare che lo sviluppo in forma di gruppo rappresenta una opzione strategico-organizzativa che può consentire di conseguire e sostenere un miglior vantaggio competitivo. Tale convinzione è diffusa nei distretti e contribuisce a spiegare la proliferazione dei gruppi, innescata anche da processi di apprendimento per imitazione generatisi in ambito locale. Ma la crescita per linee esterne entro i confini proprietari non costituisce di per sé una condizione sufficiente ad affrontare con successo le sfide competitive nello scenario attuale.

I percorsi evolutivi dei gruppi più strutturati

Queste prime riflessioni, peraltro allineate con i risultati di precedenti ricerche (Guerra, 1992), vengono confermate dagli approfondimenti effettuati, dimostrando come in realtà all’interno della composita classe dei gruppi sia possibile identificare tipologie aziendali diverse in relazione allo stadio evolutivo raggiunto. La tipologia sulla quale riteniamo opportuno concentrare l’attenzione è costituita dai gruppi più dinamici e innovativi, di fatto gli unici che hanno realizzato un processo di sviluppo che ha portato alla costituzione di un gruppo nel significato compiuto del termine.

Il principale obiettivo strategico perseguito dagli imprenditori che li hanno creati è stato la diversificazione produttiva: con successive acquisizioni o filiazioni di mobilifici a produzione diversificata si è puntato ad offrire ai clienti una gamma completa di prodotti per l’arredamento. Si è trattato quindi di una strategia volta a differenziare l’offerta dell’impresa da quella dei concorrenti sotto il profilo della “completezza” e ad imporsi nel mercato in modo da rispondere alla crescente pressione competitiva conseguente al calo della domanda, alla più intensa concorrenza tra produttori e al potere contrattuale dei distributori, elevato e crescente soprattutto nei principali mercati esteri di sbocco dei prodotti distrettuali4.

La formazione del gruppo è stata determinata anche da motivazioni di tipo organizzativo, che possono essere riassunte nella volontà di evitare alcune conseguenze negative o strozzature della crescita dimensionale per linee interne. Tale opzione è riconducibile da un lato alle caratteristiche

4 Pur perseguendo una strategia di differenziazione, tali gruppi hanno prestato attenzione al fattore costo in modo da mantenere un buon rapporto qualità/prezzo.

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tecnologiche del settore, ove le unità di dimensione medio-piccola sembrano essere più efficienti ed efficaci delle grandi; dall’altro è correlabile alle caratteristiche endogene delle imprese locali. L’aumento del volume di affari e delle dimensioni richiede infatti risorse e competenze che le piccole e medie imprese generalmente non possiedono e che sono difficilmente acquisibili in tempi utili nei casi di crescita veloce. È evidente poi, ricollegandosi all’aspetto precedente, che questa esigenza assume una valenza superiore quando le competenze da acquisire riguardano nuove (per l’impresa) tipologie di prodotto.

In definitiva, queste imprese si sono trovate di fronte a due contrapposte esigenze (e quindi a due diversi obiettivi): proseguire lo sviluppo ampliando la gamma produttiva ed evitare i vincoli e le conseguenze negative della crescita dimensionale. Il gruppo è stato la soluzione che ha permesso di “svilupparsi senza crescere”5, ossia di imboccare un percorso di sviluppo, evitando però la crescita delle dimensioni o, per meglio dire, crescendo in modi compatibili con le proprie caratteristiche endogene e in forme scevre da rigidità, complicazioni e diseconomie organizzative e gestionali. L’affiliazione di diversi mobilifici medio-piccoli ha infatti consentito di non rinunciare a vantaggi quali la specializzazione (a livello di singole imprese), la flessibilità, una struttura di costi competitiva. Ma nel contempo l’appartenenza di tali mobilifici a un unico gruppo ha permesso la differenziazione nei confronti dei competitors, ha determinato un maggiore potere contrattuale nei confronti dei clienti, ha consentito di raggiungere la massa critica necessaria per creare un’adeguata organizzazione commerciale ed effettuare investimenti in comunicazione, rendere visibile il marchio, migliorare l’immagine aziendale.

La soluzione organizzativa che è stata adottata si è sostanzialmente basata su due principi: decentramento operativo e centralizzazione delle attività strategiche e di marketing. Le consociate sono generalmente imprese pressoché “complete” e autonome non solo sotto il profilo produttivo ma anche in altre attività della catena del valore, perlomeno a livello operativo. La capogruppo centralizza le attività strategiche e l’interfaccia con il mercato: la pianificazione della strategia, la commercializzazione ed eventualmente anche le politiche di prodotto. Le politiche distributive, soprattutto nei paesi esteri, vengono gestite a livello di gruppo da un’unica società o funzione e tramite una comune rete di vendita; le imprese si

5 L’espressione è stata usata in alcuni lavori (Irer, 1988; Lorenzoni, 1990) per indicare una originale modalità di sviluppo che si riscontra in piccoli e medi gruppi di diversi settori.

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presentano sul mercato con un marchio di gruppo che riunisce i marchi delle singole aziende.

È interessante rilevare che il percorso di sviluppo descritto è stato perlopiù il risultato di un’evoluzione graduale e non priva di contraddizioni, talvolta razionalizzata e razionalizzabile solo in progress o a posteriori. Le prime affiliazioni, quelle che hanno avuto luogo negli anni settanta, nella maggior parte dei casi non sono state realizzate in base a un preciso disegno strategico. Semplicemente, ad un certo punto dello sviluppo alcune imprese distrettuali hanno preferito diversificare gli investimenti, a volte approfittando della possibilità di realizzare vantaggiose acquisizioni di aziende in crisi, limitandosi ad “affiancare” le nuove imprese una accanto all’altra e lasciando che ciascuna lavorasse in modo autonomo. Anche le politiche commerciali erano gestite in modo decentralizzato dalle singole imprese, che pertanto non si presentavano nel mercato come gruppo. In sintesi, la fase generativa ha portato alla formazione di insiemi non strutturati di imprese che possono essere definiti “grappoli”. Il passaggio ad una fase di “gruppo” è avvenuto negli anni ottanta, soprattutto nella seconda metà di questo periodo, quando la crescita ha sollecitato la definizione di una strategia organica ed ha spinto nella direzione di un graduale processo di riorganizzazione del sistema dei rapporti infragruppo.

È opportuno precisare che solo una minoranza dei gruppi ha realizzato compiutamente il processo evolutivo che porta alla costituzione di un vero gruppo. Gli altri hanno attuato solo alcune delle politiche descritte (ad esempio creando un marchio di gruppo senza unificare la rete commerciale) o si trovano ancora allo stadio di grappolo. In questi ultimi casi il percorso di sviluppo compiuto è solo apparentemente simile a quello dei gruppi innovativi ed i risultati raggiunti sono inferiori sia sotto il profilo quantitativo, dato che le dimensioni aziendali, il potere di mercato etc. sono più contenuti, sia sotto il profilo qualitativo, in merito al profilo strategico-organizzativo e all’approccio ai mercati.

L’osservazione dei casi aziendali ha consentito pertanto di integrare l’analisi condotta nel paragrafo precedente e porta a rafforzarne la riflessione conclusiva: lo sviluppo sotto forma di gruppo non costituisce di per sé una condizione sufficiente al raggiungimento di performance superiori se non è accompagnato da una pianificazione strategica e da una strutturazione organizzativa di gruppo chiare e coerenti.

Va comunque detto che qui non si sta proponendo un qualche modello deterministico di ciclo di vita del gruppo. Il percorso evolutivo che abbiamo descritto infatti è di tipo generale e si presta a venire declinato in molte varianti. Inoltre, non costituisce l’unica opzione strategica percorribile. In

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qualche caso, la decisione di non presentarsi nel mercato come gruppo è il frutto di una strategia deliberata del nucleo imprenditoriale, conseguente a coerenti valutazioni di opportunità, ad esempio la volontà di valorizzare la notorietà del marchio della singola impresa presso i distributori.

Il caso che forse meglio esemplifica il percorso di sviluppo realizzato dai gruppi distrettuali approdati a uno stadio evoluto è quello del Gruppo SanGiacomo. La storia del gruppo inizia nel 1968 quando Luciano Biscontin e Gabriele Piovesana si mettono in proprio e fondano il Mobilificio SanGiacomo per la produzione di mobili per soggiorno. Nel corso degli anni settanta l’impresa cresce penetrando inizialmente nel mercato italiano e poi anche in quelli esteri. Nel 1976 si avvia una campagna di acquisizioni con l’acquisto dell’Idealmobili; nel 1979 viene addirittura rilevata l’impresa per la quale Biscontin aveva lavorato come dipendente (la PresottoRino) che versava in uno stato di crisi; nel decennio successivo è la volta della Meson’s (cucine componibili).

Sebbene le acquisizioni inizino a metà degli anni settanta, solo a partire dalla seconda metà degli anni ottanta il vertice aziendale mette a fuoco una strategia e una struttura organizzativa di gruppo. In primo luogo, viene definita in modo chiaro la strategia, centrata sull’obiettivo di differenziare l’impresa dai concorrenti ed imporla nel mercato (presso i distributori) offrendo da un lato una gamma completa di prodotti per l’arredamento, dall’altro la specializzazione e l’esperienza delle aziende monoprodotto. Il gruppo che viene costituito è formato da quattro principali imprese industriali, ciascuna delle quali risulta specializzata nella produzione di mobili per un particolare ambiente della casa: il Mobilificio SanGiacomo realizza mobili per soggiorni, camere e camerette, la PresottoRino mobili per soggiorni, l’Idealmobili elementi componibili, la Meson’s cucine.

Parallelamente si procede alla strutturazione organizzativa del gruppo, individuando le attività la cui centralizzazione consente il conseguimento di economie di scala. Nella metà degli anni ottanta viene creata una società di servizi (la Sipem, che successivamente sarà trasformata in SanGiacomo International), che diviene la sede della Direzione Generale. Presso tale società vengono centralizzate le attività reputate strategiche a livello gruppo: pianificazione strategica, R&D, marketing e commercializzazione dei prodotti del gruppo nei mercati esteri con una rete distributiva ad hoc ed un unico marchio di gruppo, SanGiacomo International.

Inoltre, si avvia un processo di internazionalizzazione effettuando investimenti anche diretti di tipo commerciale. Nel 1988 viene creata una consociata in USA (SanGiacomo Nord America) che si occupa della distribuzione dei prodotti del gruppo nel mercato americano. Nei primi anni

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novanta si realizzano accordi commerciali con partner russi per la vendita dei prodotti del gruppo nel nuovo mercato che si sta aprendo all’Est; in seguito si costituisce la PresottoRino Shatura, una joint venture per la produzione e commercializzazione di cucine in Russia.

Nel medesimo periodo viene avviata la penetrazione di un nuovo segmento di mercato, quello del contract.

Le scelte compiute portano il Gruppo SanGiacomo a diventare negli anni novanta uno dei gruppi leader a livello nazionale nel settore dell’arredamento, il primo nel comparto dei mobili per la casa.

Le vicende recenti del gruppo sono in parte esterne al ragionamento che stiamo svolgendo, ma è comunque utile sintetizzarle. Tra il 1997 ed il 1998, dopo trent’anni di attività comune, i due soci decidono di separarsi ed il gruppo viene diviso: a Piovesana rimangono la SanGiacomo, la Meson’s ed il marchio SanGiacomo. Biscontin, con la PresottoRino e l’Idealmobili dà vita a un nuovo gruppo, denominato Gruppo Biscontin, procedendo anche alla fusione mediante incorporazione delle due imprese produttive.

Per concludere, è fondamentale sottolineare che il processo di formazione dei gruppi non ha inciso solo a livello aziendale, rinnovando le formule imprenditoriali delle imprese interessate, ma ha avuto un forte impatto anche a livello distrettuale, ovvero sul sistema locale di relazioni. Per apprezzarne gli effetti è sufficiente rilevare che nel nostro campione le imprese appartenenti ad un gruppo nel complesso fatturano oltre 1.500 miliardi di lire, pari ai due terzi del fatturato totale delle imprese del campione, ed occupano più di 5.000 addetti, ovvero circa il 60% degli addetti totali. La costituzione dei gruppi ha quindi prodotto in primo luogo un processo di selezione delle imprese e di concentrazione del fatturato e del valore aggiunto distrettuale. E soprattutto ha determinato una vera trasformazione del sistema distrettuale, che è cambiato in direzione di una maggiore gerarchizzazione interna, riorganizzandosi - almeno in parte - intorno ad alcune imprese-leader, ovvero gruppi con strategie e strutture chiaramente definite.

4.2 Le politiche di prodotto

Tra le leve del marketing mix il prodotto è sicuramente la variabile principale su cui le imprese del Livenza e del Quartier del Piave hanno costruito il proprio vantaggio competitivo e su cui hanno investito (e stanno

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continuando a investire), intendendo per prodotto quel mix di beni e servizi che sempre più spesso contribuiscono a formare il sistema di offerta di un’impresa (Normann, Ramirez, 1994). Come si è visto nel capitolo precedente, gli attuali punti di forza delle imprese distrettuali attengono infatti all’area del prodotto, e consistono nella qualità intrinseca dei prodotti, nella varietà offerta (nell’ambito della propria gamma), nel servizio ai clienti e nel design. Tale struttura dei fattori di vantaggio competitivo è il risultato delle strategie attuate negli ultimi anni dalle imprese distrettuali per fronteggiare la crescente complessità dell’ambiente competitivo, in particolare l’intensificarsi della concorrenza e l’evoluzione dei comportamenti di acquisto e consumo. Infatti, le politiche realizzate dalle imprese locali per differenziarsi dai concorrenti e rispondere ai nuovi bisogni dei consumatori si sono focalizzate soprattutto sul prodotto.

Oltre alle strategie di ampliamento della gamma, di cui si è parlato nella sezione dedicata ai gruppi, si segnalano in particolare:

a. le politiche di modularizzazione, volte ad aumentare la varietà offerta;

b. le politiche di integrazione del prodotto sul piano dei servizi offerti ai clienti;

c. le politiche orientate ad aumentare i contenuti di design dei prodotti.

Modularità e offerta di varietà

Come si è detto, una delle principali sfide competitive che attualmente le imprese mobiliere si trovano ad affrontare è riconducibile all’evoluzione della domanda: i consumatori manifestano bisogni sempre più vari, richiedendo soluzioni d’arredamento personalizzate, e sempre più variabili, al punto che ormai nel settore la “moda” cambia sempre più spesso, riducendo il ciclo di vita dei prodotti. Tali espressioni di varietà e di variabilità dei consumatori mal si conciliano con le esigenze di scala della produzione industriale e la rincorsa alla differenziazione interna ed esterna, che è stata messa in atto da molte imprese del settore per inseguire i cambiamenti della domanda, tende ad avere dei costi alla lunga insostenibili, soprattutto nella fascia media di mercato ove i prezzi di vendita devono essere relativamente contenuti. Per soddisfare le aspettative dei consumatori e differenziarsi dai competitors è quindi necessario riuscire a rispondere ad imperativi competitivi (varietà ed efficienza) tradizionalmente letti in termini di trade-off, giungendo a realizzare la mass customization: offrire prodotti personalizzati a costi accessibili alla gran massa dei consumatori (Pine, 1993).

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Per raggiungere tale obiettivo le imprese del Livenza e del Quartier del Piave hanno attuato politiche di modularizzazione (o rimodularizzazione) del prodotto6, ristrutturando l’architettura dei loro prodotti in modo da aumentarne la profondità (varianti) e passando da una logica di modelli chiusi a una di programmi (o sistemi) aperti. A differenza dei tradizionali modelli, che venivano offerti in una o pochissime varianti, definite ex ante dall’impresa produttrice, un programma (o sistema), in virtù della sua architettura modulare, ammette una vasta gamma di varianti. Un programma è infatti un sistema di elementi (moduli) che possono essere combinati in molteplici modi dando vita a un gran numero di configurazioni finali di prodotto, personalizzabili in base alle specifiche del consumatore. L’impresa è quindi in grado di offrire al consumatore un prodotto altamente “customizzato” sulla base dei suoi bisogni e delle sue preferenze, al punto da essere quasi “costruito su misura”. Inoltre, dato che la varietà è ottenuta a partire da un numero finito di moduli che possono essere progettati e realizzati secondo criteri industriali, sfruttando economie di scala statiche e dinamiche, tale prodotto “su misura” può essere venduto a prezzi da produzione di massa, raggiungendo appunto la mass customization.

Nel comparto delle cucine i principi della modularità sono applicati da tempo, anche se recentemente alcune imprese tra quelle intervistate hanno realizzato politiche di rimodularizzazione, volte a razionalizzare ulteriormente l’architettura dei loro prodotti7. Successivamente la concezione

6 Per un approfondimento sul tema della modularità rimandiamo a Baldwin, Clark (1997 e 2000) e Sanchez, Mahoney (1996). 7 Nei mobili per cucine la modularità è individuabile innanzitutto nel singolo mobile-contenitore che, come è noto, è composto da due elementi: il fusto e l’anta. Il fusto è la parte costante: è comune a tutti i modelli ed è relativamente standardizzato, essendo disponibile in genere solo in poche varianti, ad esempio bianco, noce, rovere. Pertanto può essere prodotto secondo criteri industriali che rendono possibile lo sfruttamento di economie di scala. L’anta rappresenta invece la parte variabile che caratterizza e differenzia ciascun modello di cucina. Per esempio, le ante disponibili possono essere una ventina e possono essere montate su ciascuno dei tre fusti. Ognuno dei venti modelli di anta può a sua volta essere offerto in quattro diversi colori o essenze. Ad aumentare ulteriormente la profondità della gamma si può aggiungere la disponibilità di diverse finiture (ad esempio diverse maniglie). Il grado di varietà che tale struttura di prodotto consente di offrire al consumatore è intuitiva e deriva dal numero delle combinazioni che si possono realizzare tra i tre tipi di fusto, i 20 modelli di ante e le quattro varianti di colore o materiale. Ma non basta. Il singolo mobile è in realtà, a sua volta, uno dei tanti moduli che compongono l’ambiente completo. Tali moduli si conformano a misure di larghezza, profondità ed altezza standard e quindi possono essere combinati in modo vario e flessibile dai consumatori. In questo caso, ovvero a livello di ambiente

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modulare del prodotto si è estesa anche ad altre tipologie di mobile, in particolare librerie, armadiature, pareti attrezzate etc; in questi comparti si sono avute alcune delle applicazioni più spinte, anche in seguito all’introduzione del sistema a spalla portante che, rispetto al cosiddetto sistema “a bussolotti” tradizionalmente usato nelle cucine, consente gradi maggiori di libertà compositiva, non essendo vincolato dalla (relativa) rigidità dimensionale del tradizionale mobile-contenitore.

Per esemplificare, si può citare il caso della Poletti, una delle imprese del gruppo Florida, produttrice di camere. In passato l’impresa offriva soprattutto camere di stile classico, che sono tradizionalmente costituite da modelli “bloccati”, disponibili in una sola essenza e con limitatissime varianti dimensionali definite ex ante dall’impresa. Negli ultimi anni l’impresa ha avviato una nuova politica di prodotto, volta ad aumentare la profondità della gamma in modo da soddisfare la crescente domanda di varietà e personalizzazione proveniente dai consumatori, ed ha rinnovato la propria offerta mediante lo sviluppo di programmi d’arredamento modulari di stile moderno. Attualmente la gamma della Poletti è costituita per il 70% da camere di stile moderno, per il 30% da camere di stile classico. Nel classico, l’offerta dell’impresa si compone di 5 modelli bloccati; le camere moderne sono invece costituite da un programma di armadi, 5 tipi di gruppi, composti da comò e comodini ed eventualmente settimanali, tutti abbinabili al programma di armadi, 10 modelli di letti in legno e 15 di letti imbottiti, ugualmente accostabili agli altri mobili della camera.

Sempre nel caso della Poletti, il prodotto nel quale si è avuta la più spinta applicazione dei principi della modularità è il programma di armadi. Il programma è composto da una serie di moduli (fianchi, ante, sia battenti che scorrevoli etc.) disponibili in varie dimensioni (altezza, larghezza e profondità) e in numerose varianti di colore/essenza o relative a determinati particolari. Ad esempio, negli armadi con ante battenti i fianchi sono presenti in tre varianti di serie (noce, ciliegio e bianco) e tre su richiesta. Le ante sono prodotte in tre versioni, che si distinguono ad esempio per la presenza o meno di un profilo, ciascuna delle quali può essere realizzata in due diverse essenze (noce e ciliegio), in 4 colori (bianco, canapa, avorio e acqua marina), in vetro opalino o specchio. Tali moduli sono componibili e possono pertanto essere combinati tra loro in svariati modi. Come si può intuire, il numero di configurazioni finali di prodotto (il numero di armadi diversi) che completo, si ha una modularità per combinazione libera, nella quale tutti i moduli sono intercambiabili e possono essere ricombinati come i mattoncini del Lego. L’effetto finale è un’esplosione della varietà offerta dall’impresa, che consente al consumatore di definire a suo piacimento la disposizione dei vari moduli componenti l’ambiente completo.

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derivano dal calcolo combinatorio dei parametri elencati è elevatissimo e produce una forte dilatazione della varietà offerta. A questa si aggiunge poi la possibilità di abbinare all’armadio diversi tipi di letti e di gruppi, a loro volta componibili in base alle specifiche preferenze espresse dal consumatore.

Politiche di espansione della varietà di questo tipo sono state realizzate praticamente da tutte le imprese intervistate anche se in tempi, modi e gradi diversi. Alcune imprese le hanno avviate da oltre un decennio, altre lo hanno fatto solo negli ultimi anni. Anche il grado di applicazione dei principi della modularità si differenzia, traducendosi in livelli (più o meno elevati) di varietà offerta. In diversi casi le politiche di modularizzazione si sono accompagnate, come nel caso dell’impresa citata, all’estensione o al riposizionamento dal segmento dei mobili classici, tradizionalmente costituiti da modelli bloccati, al segmento dei mobili moderni, ove si è ormai diffusa la logica dei programmi o sistemi modulari.

Prima di concludere è fondamentale ricordare che per raggiungere la mass customization è necessario procedere anche a una riprogettazione delle relazioni con i clienti. Affinché la dilatazione della varietà offerta dall’impresa diventi fonte di vantaggio competitivo è necessario che la fase di progettazione finale del prodotto slitti a valle e coinvolga direttamente il cliente (Grandinetti, Chiarvesio, Guerra, 2002). La soluzione di ciascun consumatore, proprio in quanto personalizzata, non può che essere co-progettata dal consumatore stesso, il quale può scegliere, tra tutte le combinazioni possibili, quella rispondente ai propri bisogni e alle proprie aspettative, assumendo così il ruolo di pro-sumer (produttore-consumatore). Per valorizzare le potenzialità della modularità è quindi necessario che l’impresa fornisca al cliente le informazioni relative alla varietà potenziale offerta e che renda possibile l’attività di co-design attraverso una comunicazione e una cooperazione interattive, effettuate anche con l’intermediazione del distributore.

L’information and communication technology negli ultimi anni ha messo a disposizione diversi strumenti atti a supportare tale interazione. Grazie alle nuove tecnologie è oggi possibile, con investimenti in hardware e software decisamente contenuti, creare nel punto vendita con il consumatore prodotti virtuali personalizzati. Esistono infatti software che consentono di co-progettare con il consumatore la soluzione d’arredamento, componendo elementi presenti nel catalogo virtuale dell’impresa, visualizzare in tempo reale il modello tridimensionale del progetto, generare la distinta e trasmettere l’ordine via internet all’azienda produttrice. Solo a questo punto il mobilificio, dopo aver rigenerato e controllato il progetto, avvierà la produzione o l’assemblaggio del prodotto.

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In questo ambito le imprese distrettuali si stanno però muovendo con maggiore lentezza. Il tema verrà approfondito nei prossimi paragrafi, ma si può comunque anticipare che la comunicazione tecnica ai distributori e i servizi di supporto all’interazione con i consumatori sono aree di intervento alle quali, nonostante la loro importanza critica, le imprese distrettuali hanno dedicato un’attenzione decisamente minore.

Integrazione e personalizzazione del prodotto attraverso i servizi

Un’altra politica di prodotto attuata da varie imprese distrettuali è stata finalizzata a migliorare il livello di servizio al cliente. Per apprezzarne la valenza è opportuno ricordare che in un’ottica di marketing il prodotto viene generalmente definito come un insieme composito e coerente di attributi tangibili ed intangibili a cui l’acquirente attribuisce un valore (d’uso o simbolico) in relazione alla loro capacità di soddisfare i suoi bisogni. Gli attributi tangibili includono le caratteristiche fisiche del prodotto, le prestazioni tecnico-funzionali, il prezzo, il design, il packaging, la versatilità, la componibilità, l’apertura. Gli attributi intangibili identificano invece i servizi che con sempre maggiore frequenza contribuiscono ad ampliare il prodotto: consulenza pre-vendita, personalizzazione, garanzia, condizioni di pagamento, formazione, consegna ed installazione, assistenza post-vendita.

Come rilevato nel Cap. 1, in diverse imprese del settore (e non solo) si registra la tendenza ad un progressivo spostamento di enfasi dagli attributi tangibili ai servizi. A tal proposito si deve ricordare che l’impresa di produzione può - attraverso i servizi - perseguire sia una strategia di differenziazione nei confronti della concorrenza, sia una politica di dilatazione (ulteriore) della varietà, nel caso in cui i servizi risultino declinabili in funzione delle esigenze individuali dei consumatori, nella logica della mass customization.

In linea con tale orientamento generale, varie imprese del Livenza e del Quartier del Piave hanno perseguito politiche di ampliamento del prodotto volte ad integrare il prodotto tangibile con alcuni dei servizi sopra elencati e ad offrire quindi un miglior servizio complessivo al cliente in termini di completezza della gamma, consulenza pre-vendita e personalizzazione (di cui si è già detto in precedenza), riduzione dei tempi di consegna, affidabilità (con riferimento sia ai tempi di consegna che alla qualità del prodotto, ad esempio mediante la certificazione ISO 9000), condizioni di pagamento, formazione all’utilizzo.

Un caso che esemplifica tale politiche è quello della Sacma, impresa produttrice di mobili per ufficio di fascia media e medio-alta, con un

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fatturato realizzato per l’82% all’estero. Le politiche di prodotto attuate da questa azienda hanno puntato proprio ad ampliare e migliorare il servizio offerto al cliente. Fornire un buon servizio al cliente è un obiettivo che porta a riorganizzare e a collegare i processi aziendali (dall’attività di progettazione del prodotto sino al servizio post-vendita) a partire dal cliente, identificato come driver del processo complessivo. Nell’intervista realizzata è stato evidenziato che il prezzo, le caratteristiche fisiche, le prestazioni, il design sono attributi di base del prodotto, indispensabili per restare sul mercato. Per questo i prodotti dell’impresa sono curati nella scelta dei materiali impiegati, rispondono a precise esigenze ergonomiche e alle normative sulla sicurezza, sono componibili e personalizzabili, sono progettati in collaborazione con architetti specializzati al fine di garantire un design di qualità. Ma nella fase attuale gli attributi tangibili del prodotto non vengono considerati più sufficienti per sostenere la competizione e devono essere necessariamente accompagnati da servizi progettati ed erogati con altrettanta cura. Tra i servizi che la Sacma è in grado di offrire ai clienti si possono ricordare:

a. la consulenza pre-vendita, che rende possibile la personalizzazione del prodotto e tiene conto delle specifiche esigenze espresse dal cliente;

b. la garanzia di qualità, assicurata dalla certificazione del sistema qualità aziendale ISO 9001;

c. la puntualità e la riduzione dei tempi di consegna (dalle 8 settimane del passato ora si è giunti a garantire un periodo di attesa che va da una e tre settimane);

d. la consegna diretta e il montaggio del prodotto con propri tecnici;

e. la fornitura di cataloghi tecnici tradotti in varie lingue e con schemi di montaggio facilmente comprensibili (un aspetto che rientra nel concetto di comunicazione aziendale integrata).

Design e sviluppo di nuovi prodotti

L’arredamento italiano è rinomato nel mondo per il design dei prodotti realizzati da un nucleo storico di imprese design-based sviluppatesi nel dopoguerra, soprattutto nel distretto della Brianza. Tali imprese-leader hanno svolto un ruolo trainante nei confronti dei più numerosi followers, che hanno comunque contribuito a diffondere all’estero l’immagine dell’italian style: partendo dalle idee originali degli innovatori, gli imitatori hanno infatti saputo realizzare proposte d’arredamento più economiche e quindi di più

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facile diffusione (Lojacono, 2001). Le aziende del Livenza e del Quartier del Piave tradizionalmente hanno fatto parte di questa seconda categoria.

In un periodo più recente alcune imprese distrettuali hanno però avviato politiche volte ad aumentare il contenuto di design dei loro prodotti, individuando in questo attributo del prodotto un elemento da sviluppare nell’ambito delle strategie di differenziazione. In qualche caso, gli investimenti effettuati in questo ambito hanno condotto anche ad un riposizionamento dell’impresa in una fascia di mercato più alta.

Le imprese che hanno imboccato con decisione e consapevolezza questa strada hanno reputato necessario integrare le risorse e competenze interne con specialisti esterni, coinvolgendo architetti o designer nell’attività di sviluppo dei nuovi prodotti, soprattutto nelle prime fasi del processo. La qualità del rapporto con tali soggetti e in particolare l’interazione comunicativa e la collaborazione rappresentano aspetti essenziali per ottenere risultati positivi.

Come si è visto nel capitolo precedente, la percentuale delle imprese che attualmente indica il design tra i propri punti di forza è interessante, anche se inferiore rispetto ad altri fattori che attengono all’area del prodotto (varietà, qualità, servizio ai clienti), a conferma che la “via al design” è certamente selettiva.

Tra le imprese distrettuali che si distinguono in questo ambito vi è la Move. Nata nel 1954 a Pieve di Soligo come impresa artigianale, ha conquistato progressivamente una posizione di rilievo nella produzione industriale di mobili sia per la zona giorno che per la zona notte. La Move si caratterizza per essere un’impresa dinamica che ha fondato da tempo il proprio vantaggio competitivo proprio sul design e sull’innovazione. A questo fine è stato sviluppato un rapporto di costante interazione con quattro studi esterni a cui è affidata la progettazione dei nuovi prodotti, sia a partire da input aziendali che da proposte del designer. Questa politica di prodotto è stata alla base della strategia di differenziazione della Move, che ha rafforzato la propria presenza sul mercato negli anni novanta, quando ha brevettato ed introdotto in Italia la cabina-armadio, un prodotto che deriva dalla riconcettualizzazione di un’idea di armadio già esistente negli Stati Uniti. Anche nella fase attuale l’impresa è in grado di mantenere una forte tensione all’innovazione di prodotto, come dimostra il numero di nuove idee di prodotto realizzate e portate al mercato in questi ultimi anni.

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4.3 I rapporti con la distribuzione

Nel mercato italiano del mobile il canale distributivo è ancora prevalentemente di tipo tradizionale, caratterizzato dalla presenza di un agente pluri-mandatario e di un dettagliante che intermediano il rapporto tra produttore e consumatore; a questo si abbina l’adozione di una politica di copertura dei punti vendita tendenzialmente intensiva piuttosto che selettiva e la scarsa diffusione di esperienze significative di collaborazione verticale lungo il canale (Grandinetti, Pilotti, Zaghi, 1994).

Nei mercati esteri la situazione appare diversa e variata in merito alla configurazione dei canali, ossia al numero e al tipo di soggetti che separano il produttore dal consumatore, anche se l’intermediazione svolta dall’agente pluri-mandatario rimane frequente. In alcuni mercati-paese il grado di concentrazione della struttura distributiva risulta elevato, per la forte presenza della grande distribuzione al dettaglio (catene proprietarie) e/o della distribuzione associata, soprattutto nella forma dei gruppi di acquisto. Il mercato tedesco, in particolare, è regolato dal potere contrattuale dei gruppi di acquisto, che esercitano anche una significativa influenza nell’orientare le politiche di prodotto delle imprese distrettuali (Drusian, 1996; Csil, 2001a)8. In mercati particolari, come quello statunitense, la strategia di ingresso ha richiesto in alcuni casi la predisposizione di una qualche forma di presidio diretto del mercato, attraverso il coinvolgimento di un partner portatore di conoscenze e relazioni utili per affrontare il mercato9.

I dati raccolti attraverso l’indagine campionaria mostrano che la situazione dei due distretti del Livenza e del Quartier del Piave risulta allineata a quella che caratterizza in modo prevalente il settore a livello nazionale. In particolare, si è visto che le imprese considerano la propria capacità di presidio dei canali distributivi come elemento di debolezza relativa rispetto alla concorrenza. Alla formazione di questo giudizio contribuisce la percezione degli effetti dispersivi determinati da una struttura (ma anche da una politica) distributiva eccessivamente frammentata, come pure delle difficoltà incontrate nell’instaurare un rapporto collaborativo con gli agenti. A fronte di un sistema di imprese che ha ancora scarse capacità di comunicazione diretta con il mercato finale, la distribuzione rimane un

8 Come emerge dalla testimonianza della Mercury, impresa che realizza in Germania il 65% del fatturato. 9 Come nel caso della Move (mobili per la casa), che ha aperto un punto vendita a Los Angeles.

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anello debole soprattutto in termini di gestione dei flussi informativi da e per il mercato.

Lo studio dei casi aziendali mostra tuttavia che le imprese stanno cercando soluzioni al nodo dei canali distributivi, a partire da una piena consapevolezza della criticità del problema. Al riguardo, i percorsi possibili sono due:

1. superare l’intermediazione commerciale e raggiungere direttamente il mercato;

2. investire maggiormente nel rapporto con agenti e dettaglianti per accrescerne la professionalità e la qualità del servizio.

Evidentemente, le due linee di azione risultano complementari e non mutuamente escludentisi nella misura in cui il collegamento diretto con il consumatore è di tipo informativo e non coinvolge la vendita. Relativamente al primo percorso, come vedremo nella sezione dedicata alla comunicazione, si evidenziano alcuni casi di imprese che stanno cercando di instaurare un rapporto non mediato con il consumatore finale, in particolare utilizzando tecnologie nuove come internet. Più frequente è la seconda strategia, che in varie forme è stata osservata in quasi tutti i casi aziendali studiati. In particolare, emergono due varianti: alcune imprese hanno preferito investire sui dettaglianti, discendendo tale scelta dall’adozione di una politica distributiva maggiormente selettiva; altre invece preferiscono concentrarsi inizialmente sugli agenti e rimandare a una fase successiva l’impegno sui punti vendita.

Per quanto riguarda le relazioni con i distributori, una riqualificazione del rapporto viene effettuata sviluppando attività di co-marketing, come le presenze congiunte alle fiere, la definizione comune di campagne promozionali, la collaborazione nella progettazione degli spazi espositivi. Altrettanto interessante è l’impegno dei produttori nella predisposizione di software per la progettazione delle soluzioni di arredo, l’organizzazione di corsi di formazione sull’uso del computer e delle tecnologie di rete, così come sui nuovi prodotti. Relativamente agli agenti, gli investimenti delle imprese sono orientati a favorirne la riqualificazione professionale, con l’obiettivo di trasformare una figura di semplice intermediazione in un consulente, vero ponte informativo tra imprese e dettaglianti. In particolare, data la crescente complessità dei prodotti, aumenta la formazione e sempre più spesso vengono messi a disposizione pacchetti grafici per lo sviluppo dei progetti d’arredamento e la generazione degli ordini.

L’analisi di alcune esperienze aziendali rende più nitido il quadro dei percorsi di evoluzione dei rapporti industria-distribuzione nei due distretti.

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Euromobil è un’impresa che ha attuato spinte politiche di modularizzazione: il suo sistema di cucine è pensato come una matrice che genera innumerevoli possibilità combinatorie e consente di personalizzare ciascuna soluzione d’arredamento sulla base delle richieste della singola unità di consumo. Nel vertice aziendale è altresì chiara la consapevolezza che “gli investimenti in prodotto non bastano: devono andare di pari passo con gli investimenti in comunicazione”. Per valorizzare l’integrazione e la trasversalità dei propri prodotti e consentire ai distributori di sfruttarla, migliorando così il servizio offerto, Euromobil ha quindi predisposto:

a. un catalogo “virtuale”, realizzato in computer grafica con immagini 3D, scaricabile via web anche dai consumatori, volto a evidenziare la molteplicità di soluzioni progettuali;

b. un software destinato ai distributori per progettare in co-design con i consumatori, che oggi risulta però utilizzato solo dal 15-20% dei clienti;

c. alle forme di comunicazione “tecnica” di cui sopra si affiancano attività di formazione ai dettaglianti e di marketing congiunto nei punti vendita, con particolare attenzione alle soluzioni espositive per la valorizzazione del prodotto.

Anche Santarossa sta puntando al miglioramento del servizio e dello scambio informativo con i clienti. Al riguardo è in corso di definizione un progetto che coinvolge la gestione complessiva dell’ordine: attualmente gli ordini sono inviati prevalentemente per fax e talora per e-mail, ma a breve ai distributori sarà fornito un software per la composizione grafica di cucine e programmi integrato con i sistemi di gestione della produzione; tuttavia l’impresa stima che al momento solo una minoranza dei distributori sarà in grado di adottare il software. Con i distributori, d’altro canto, è stato instaurato un buon rapporto collaborativo per quanto concerne la raccolta di informazioni sul mercato e l’effettuazione di test sui nuovi prodotti (alcuni clienti si recano direttamente in azienda per valutare i nuovi modelli).

Presotto, invece, ha puntato soprattutto allo sviluppo di una relazione di partnership con gli agenti, anche se comunque vengono svolte alcune attività in collaborazione con i distributori, come il merchandising. In particolare, vista la complessità del prodotto, conseguente alle politiche di modularizzazione orientate alla personalizzazione, è stato realizzato un pacchetto grafico per lo sviluppo del progetto d’arredamento e la generazione del preventivo e dell’ordine, integrabile con i programmi di produzione: con questo strumento entro due anni gli agenti dovranno essere in grado di trasmettere preventivi ed ordini in elettronico, dopo averli ricevuti in cartaceo dai rivenditori; a questi ultimi non è stato invece

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distribuito il software perché l’azienda ha reputato eccessivamente impegnativa l’attività di formazione che sarebbe stata necessaria per garantirne un uso effettivo ed efficace.

Un ultimo caso che è utile citare è quello della Move, impresa che sta investendo notevolmente sulla riqualificazione della figura degli agenti, tanto che alcuni di essi hanno deciso di divenire monomandatari e lavorare in esclusiva per l’azienda. In particolare, l’impresa ha realizzato presso la propria sede una show-room su tre piani concepita non solo come sala espositiva, ma soprattutto come struttura formativa, per trasferire dal punto di vista sia teorico che pratico la conoscenza del prodotto, della sua tecnologia e dell’intero processo produttivo. I corsi di formazione, predisposti in cinque lingue, sono rivolti ai dipendenti interni, agli agenti e agli importatori; in un prossimo futuro dovrebbero essere estesi ai dettaglianti, che oggi sono percepiti ancora come una realtà distante dall’azienda e difficile da coinvolgere. La formazione in azienda, intensiva e ripetuta almeno una volta l’anno, è uno degli strumenti principali di miglioramento del rapporto con gli agenti. In aggiunta, anche la Move sta investendo sugli strumenti di comunicazione e interazione: in un progetto più generale volto a ridurre al minimo la circolazione di documenti cartacei, è stato predisposto per gli agenti un programma grafico per la progettazione dei prodotti e l’invio dei dati in azienda e una extranet web per l’aggiornamento continuo su prodotti, prezzi, tecnologia, dati statistici e finanziari.

A questo proposito, l’extranet aziendale emerge come uno degli strumenti in fase di sperimentazione nel distretto per riqualificare il rapporto con l’agente: alcune imprese, anche di piccole dimensioni, hanno realizzato aree riservate nel proprio sito web in cui organizzare e mettere a disposizione dei canali di vendita le informazioni più importanti per l’operatività quotidiana, come i listini e i cataloghi aggiornati, lo stato di avanzamento degli ordini, i dati finanziari relativi ai principali clienti etc. Queste aree, non sempre strutturate attraverso l’uso di tecnologie e software avanzati, tuttavia sono concepite dalle imprese che le realizzano come mezzi che consentono di mantenere elevato il livello di aggiornamento dei canali riducendo drasticamente i costi di comunicazione e aumentandone la qualità e la precisione. Ritornando al campione di imprese di questa indagine, 12 su 134 hanno inserito nel sito web un link ad un’area riservata, anche se solo metà di queste hanno dichiarato di utilizzarla realmente. Tra queste, oltre alla già citata Move, possiamo ad esempio segnalare la Mire, che produce arredamento per la casa e realizza un fatturato di circa 20 miliardi. L’impresa, a partire da un sito generico pensato prevalentemente come vetrina, ha deciso di fare un investimento mirato proprio per migliorare la

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comunicazione con gli agenti e i principali distributori, prima esteri e poi anche nazionali e locali. In questo modo, la rete distributiva ha accesso diretto alle principali informazioni aziendali aggiornate quotidianamente a partire dal sistema gestionale.

4.4 La comunicazione di marketing tra debolezza strutturale e nuove opportunità

La comunicazione è un elemento fondamentale delle politiche di marketing delle imprese in un mercato in evoluzione sia dal lato della domanda che dell’offerta. Gli investimenti in prodotto, design, qualità, servizio, per assumere valore e quindi consentire la costruzione di un vantaggio competitivo e, in ultima istanza, la realizzazione di profitti per l’impresa, devono essere comunicati e trasferiti all’utilizzatore finale. Le attività di comunicazione si possono sviluppare sia nei confronti della rete distributiva, che veicola i prodotti e i relativi contenuti informativi al mercato finale, sia in modo diretto nei confronti del consumatore. Come si è già avuto modo di sottolineare in altre parti di questo lavoro, nel settore del mobile la corretta definizione di strategie di comunicazione al consumatore e i relativi investimenti assumono una criticità particolare. A fronte dell’evoluzione dei modelli di consumo, da un lato, e della accresciuta capacità di innovazione e personalizzazione delle imprese dall’altro, la struttura distributiva, altamente frammentata e tradizionale, si è dimostrata infatti una strozzatura rispetto alla capacità di dialogo e scambio informativo tra offerta produttiva e domanda finale.

La comunicazione di marketing: punto debole dei distretti

L’analisi dei dati relativi all’indagine attraverso questionario strutturato svolta nei due distretti del Livenza e del Quartier del Piave ha fatto chiaramente emergere come la comunicazione di marketing costituisca la principale area di debolezza competitiva delle imprese di questi sistemi locali. Questo dato trova del resto un più generale riscontro nelle piccole e medie imprese e nei distretti industriali italiani: in questi, le imprese hanno saputo investire nel processo produttivo e nel prodotto, trovando anche soluzioni innovative ed originali, ma hanno riservato scarsa attenzione alle attività di tipo commerciale e di marketing (Mistri, 1994). Tale consapevolezza non attenua ovviamente la rilevanza del problema.

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Nei due distretti sono comunque presenti imprese che hanno realizzato programmi di comunicazione di un certo impegno, sviluppati in modo continuativo nel tempo utilizzando una pluralità di canali. Tra queste rientrano certamente Euromobil e il Gruppo Doimo.

Euromobil, in particolare, ha puntato a creare un marchio riconoscibile nel mercato attraverso una comunicazione diretta sia al consumatore che alla rete di vendita; per quanto riguarda il primo, realizza con continuità campagne pubblicitarie su riviste settoriali e quotidiani, organizza campagne promozionali sul mezzo televisivo e ha sviluppato un sito web concepito come portale informativo, aggiornato mensilmente, da cui scaricare anche un software per l’auto-progettazione delle soluzioni di arredamento. A questo si aggiungono le sponsorizzazioni di mostre ed eventi artistici, come la mostra di Monet a Treviso, al fine di creare l’immagine di un’impresa attenta anche alla crescita culturale del territorio.

Per quanto riguarda Doimo, la politica di comunicazione si è articolata su due livelli: una di gruppo ed una propria delle singole imprese del gruppo, che definiscono in modo autonomo sia i budget di comunicazione che i canali (dalle riviste al web), affiancando tuttavia sempre al nome dell’azienda il logo “Gruppo Doimo” per segnalare l’appartenenza a una realtà articolata e rafforzare la brand awareness relativa a tutto il gruppo. La più recente iniziativa di gruppo è la sponsorizzazione dello show televisivo “Il grande fratello”, attraverso l’arredamento completo della casa in cui vivono i protagonisti.

Interessante perché peculiare è anche l’esperienza di Presotto. Quest’azienda ritiene che uno strumento di comunicazione particolarmente efficace per contattare direttamente consumatori e clienti siano le fiere. Nell’ambito della fiera di Milano ha realizzato un’iniziativa di co-marketing, denominata H@bitat Multiplay, in collaborazione con la multinazionale francese Thomson Multimedia, che ha fornito le sorgenti audio e video, la belga Kreon per i sistemi di illuminazione, l’italiana Teuco per la doccia-sauna, Tecnogym per la zona fitness etc. Nello spazio di H@bitat Multiplay, ove tutti gli ambienti della casa sono stati arredati con i prodotti Presotto, sono stati applicati avanzati sistemi di domotica, sviluppati da Innovatech, per il controllo e la gestione di tutte le utenze di un’abitazione: le luci, il riscaldamento, il sistema di allarme, la programmazione degli elettrodomestici ed altro. Con questa iniziativa l’impresa ha voluto comunicare ai clienti la propria consapevolezza del potenziale innovativo legato alla domotica, nonché la possibilità di arredare tutti gli ambienti della casa con prodotti multifunzionali (Multiplay appunto), concepiti per il living ma estendibili anche ad altre zone come la cucina e il bagno.

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Al di là di queste esperienze innovative, nella maggior parte delle aziende distrettuali, tuttavia, i budget riservati alla comunicazione sono bassi e questa ha un ruolo marginale o di secondo piano rispetto alle complessive strategie di investimento. Si ricorda, dal capitolo precedente, che quasi un terzo delle aziende intervistate non prevede forme di comunicazione ad esclusione del catalogo e della vendita personale, della partecipazione alle fiere e dello sviluppo di un sito web.

Una novità nel panorama degli strumenti di comunicazione è proprio il sito web, che ormai risulta presente in quasi tutte le imprese intervistate (85,7%) e che in molti casi, come si è detto, rappresenta uno dei pochi strumenti di comunicazione, in particolare per quanto concerne i mercati esteri. La disponibilità di un canale di accesso ai mercati a basso costo può effettivamente oggi costituire una soluzione alle limitate risorse disponibili in molte delle imprese distrettuali a fronte della necessità di far conoscere i propri prodotti a un mercato sempre più vasto, superando anche il “collo di bottiglia informativo” spesso rappresentato dalla distribuzione. Questa possibilità va però messa in relazione con il modo con cui le imprese sviluppano il sito stesso e quindi sfruttano le potenzialità comunicative della rete.

Obiettivo dei prossimi paragrafi è dunque quello di capire come le imprese delle due aree distrettuali si presentano in rete e quali strumenti hanno adottato per informare il mercato e interagire con esso.

Il web come nuovo canale di comunicazione

Il World Wide Web è stato fin dall’inizio oggetto di attenzione proprio da parte dei ricercatori di marketing che hanno intravisto in esso un nuovo canale di comunicazione, completamente diverso rispetto ai tradizionali media della comunicazione di massa, con cui veniva messo a confronto (Micelli, 2000).

Senza voler qui riprendere il dibattito scientifico che si è sviluppato attorno alle potenzialità della rete quale strumento di trasmissione e scambio di informazioni e conoscenze, basta sottolineare che lo studio di elementi specifici del web, quali l’interattività e la multimedialità, ha portato a una revisione profonda dei modelli di comunicazione favorendo lo sviluppo di una concezione totalmente rinnovata dei tradizionali principi del marketing e della strategia d’impresa, con particolare riferimento al ruolo del consumatore finale.

Tralasciando i potenziali di disintermediazione della rete nell’ambito del commercio elettronico, su cui si è aperta un’ampia discussione fin dalle

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origini di internet (Malone, Yates, Benjiamin, 1987; Kalakota, Winston, 1997; Evans, Wurtser, 1999), il web costituisce un ambiente privilegiato nell’ambito del quale ripensare e riprogettare i modelli di interazione e comunicazione delle imprese con il proprio sistema del valore. Più esattamente, la rete si presta a una replicazione dei modelli tradizionali di comunicazione one-to-many tipici del broadcasting attraverso i media tradizionali, ma offre anche e soprattutto la possibilità di avvicinare in modo diverso e diretto i clienti e in particolar modo i consumatori finali, personalizzando i messaggi e instaurando un vero dialogo con loro, precluso nella fase della produzione e del marketing di massa10. In particolare, si caratterizza come un ambiente in cui è possibile affiancare modalità di comunicazione diverse, organizzate e strutturate in funzione di fini e target differenti: alla pubblicazione di contenuti di tipo generale destinati indifferentemente a tutto il pubblico può essere abbinato l’invio di informazioni specifiche a singoli clienti (cosiddetto narrowcasting); inoltre, con questi è possibile dialogare direttamente attraverso la posta elettronica; e infine gli stessi consumatori possono essere messi in contatto tra loro attraverso la predisposizione di forum di discussione, primo mattone per la costruzione di comunità virtuali (Hagel, Armstrong, 1997; Micelli, 2000). Basti pensare al modello di comunicazione di Amazon, per citare l’esempio più noto: a fronte della pubblicazione del catalogo generale e delle recensioni, si possono ricevere mail personalizzate relative alle novità editoriali sui temi di proprio interesse (esplicitati dall’acquirente o emersi da una analisi dei suoi acquisti), ma è possibile diventare anche parte attiva della comunità, inviando le proprie recensioni o consigli sulle letture.

Il modello tradizionale di comunicazione di massa può quindi essere abbinato a una crescente personalizzazione del rapporto con il cliente in una logica di one-to-one marketing, fino a ripensare completamente le geometrie dei flussi comunicativi aziendali, aprendo spazi di interazione diretta fra gli stessi consumatori e fra tutti i soggetti che si interfacciano con l’impresa (marketing many-to-many) (Mandelli, 1998; Hagel, Armostrong, 1997; Micelli, 2000).

Queste specificità della rete offrono evidentemente enormi opportunità alle imprese, che possono limitarsi a fornire informazioni più puntuali e aggiornate al mercato, oppure sviluppare progetti comunicativi complessi, accrescendo il livello di servizio ai clienti, colloquiando direttamente con 10 Tale preclusione derivava dal costo eccessivo di un contatto diretto con il consumatore; d’altro canto, l’impresa della produzione di massa non era nemmeno interessata a coinvolgere il consumatore nei propri processi di progettazione e definizione dell’offerta perché comunque il sistema di produzione poneva dei vincoli alla varietà realizzabile (Rullani, Romano, 1998).

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ogni singolo cliente, individuando un’offerta personalizzata o risolvendo problemi individuali, fino a coinvolgere i consumatori nella valutazione o addirittura nella progettazione di un prodotto.

Con riferimento al mercato finale, un’impresa può dunque concepire la propria presenza in rete, e in particolare il proprio sito web, con diverse finalità:

a. semplicemente “essere in rete” al pari dei concorrenti;

b. veicolare direttamente al cliente diretto (distributore) o indiretto (consumatore) informazioni sull’impresa e sui prodotti in modo più capillare e approfondito rispetto a quanto è possibile con qualunque altro strumento di comunicazione;

c. offrire servizi informativi di assistenza al cliente pre e post-vendita;

d. approfondire e affinare la conoscenza dei clienti raccogliendo informazioni di tipo demografico, socio-economico, culturale, sui gusti, gli interessi e i comportamenti di acquisto, sia utilizzando software di analisi del comportamento di navigazione, sia acquisendo informazioni dirette attraverso la compilazione di form predefiniti o la realizzazione di ricerche di mercato;

e. interagire direttamente con il consumatore, per fornire un supporto diretto nella fase di acquisto, per discutere problemi o per ricevere feedback;

f. aprire uno spazio di comunicazione tra i consumatori per acquisire informazioni e valutazioni condivise sui prodotti, rafforzare l’immagine aziendale e la fedeltà al marchio;

g. vendere direttamente i prodotti superando la distribuzione commerciale.

I diversi obiettivi vengono perseguiti agendo sulle due leve fondamentali di un sito: i contenuti (dal catalogo ai servizi informativi), da un lato, e gli strumenti di comunicazione (posta elettronica, newsgroup, forum etc.), dall’altro. Quanto più ricchi e aggiornati sono i contenuti e i servizi offerti, tanto più il potenziale cliente, che normalmente naviga in rete proprio alla ricerca di informazioni, sarà portato a completare tale processo con l’acquisto, a ritornare nel sito, a sviluppare fedeltà alla marca (Verona, Prandelli, 2001; Di Carlo, 2000).

È evidente che - quanto più il sito si trasforma da canale marginale a strumento di supporto o fondamentale rispetto alle strategie di comunicazione complessive dell’impresa - tanto maggiori devono essere le

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risorse tecnologiche, umane e di budget messe a disposizione dall’azienda per garantire la ricchezza informativa e la qualità e celerità delle risposte e maggiore deve essere l’integrazione con la più complessiva comunicazione corporate organizzata sugli altri media in funzione della strategia globale d’impresa (Di Carlo, 2000).

Il sito web nei distretti del Livenza e del Quartier del Piave

Rispetto ai possibili obiettivi perseguibili, le imprese del settore del mobile non hanno sviluppato strategie di presenza in rete particolarmente complesse o innovative (Lojacono, 2001). In prevalenza, si sono limitate a mettere on-line i cataloghi e poche informazioni, con l’obiettivo principale di “esserci” piuttosto che di sfruttare a fondo i potenziali di comunicazione e interazione offerti, che spesso si limitano alla predisposizione di un indirizzo di posta elettronica di tipo generico ([email protected]/com). Questo anche nei casi di imprese che inseriscono la presenza nel sito nell’ambito di un investimento in comunicazione articolato e impegnativo.

Nella medesima direzione si sono mosse le imprese dei distretti mobilieri del trevigiano e del pordenonese. Come è già stato sottolineato, la diffusione dei siti web è notevole. Il dato riveste però un significato limitato se non è posto in relazione con la qualità della presenza in rete e quindi con la qualità dei contenuti e dell’interazione con il mercato. Per compiere questa valutazione più approfondita sono stati analizzati tutti i siti delle imprese che hanno collaborato a questa ricerca (ricordiamo che - delle 134 imprese del campione - 114 hanno dichiarato di aver sviluppato un sito web), andando a rilevare la tipologia di contenuti presenti (dalla semplice descrizione dell’azienda di tipo statico, con l’indicazione generica della produzione dell’impresa, alla presentazione del catalogo e delle schede di prodotto, alle news di settore, a consigli sull’arredamento della casa fino ai consigli di un esperto) e gli strumenti di comunicazione utilizzati (dalla semplice casella di posta aziendale agli indirizzi differenziati per funzione, alle aree riservate, ai forum). Le informazioni raccolte sono state rielaborate nella matrice di sintesi visualizzata nella Fig. 4.1. Gli assi della matrice sono rappresentati rispettivamente:

1. dai contenuti, secondo una scala ascendente di complessità;

2. dagli strumenti di comunicazione adottati nei siti web delle imprese, strumenti che nel loro insieme possono garantire un livello più o meno elevato di interazione con il visitatore del sito.

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Fig. 4.1 - Complessità dei contenuti e livello di interazione dei siti web delle imprese distrettuali

È opportuno avvertire che la classificazione risente della voluta semplicità del modello di analisi adottato, che da un lato si è basato su valutazioni di presenza/assenza piuttosto che di analisi qualitativa e, dall’altro, ha tralasciato considerazioni pur importanti relative alla grafica o alla navigabilità, per esempio, per concentrarsi sulle dimensioni fondamentali su cui può essere costruito un sito. Tuttavia, si ottiene un quadro piuttosto chiaro delle strategie di comunicazione via web adottate dalle imprese distrettuali. In particolare, emerge distintamente che per la maggior parte delle imprese il sito è concepito come una vetrina o poco più, in cui presentarsi e proporre un catalogo fotografico dei propri prodotti; solo per una minoranza di casi sta diventando strumento di informazione per il cliente che, per esempio, può consultare le schede di prodotto e può chiedere specifiche direttamente all’impresa; infine, sono ancora molto pochi i casi in cui il sito è parte integrante della strategia di comunicazione dell’impresa e

Complessità dei contenuti

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-

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Vetrina

Informazione

Interazione

- +

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viene sviluppato con l’obiettivo di raggiungere e mantenere un rapporto interattivo e continuativo con i clienti di specifici target.

Da questo punto di vista, nel panorama dei siti delle imprese distrettuali, quello di Doimo presenta un valore distintivo che ne rende particolarmente interessante la descrizione. Come nel caso di molti gruppi industriali, Doimo ha scelto di avere un indirizzo di gruppo (www.doimo.it) consentendo al tempo stesso l’accessibilità diretta ai siti delle singole imprese del gruppo. Anche per la comunicazione via web Doimo ha dunque sviluppato una politica su due livelli: a livello di gruppo è stato definito il sito comune, che riporta i link di tutte le aziende e fornisce alcuni primi servizi al cliente, quali la ricerca delle aziende che realizzano i prodotti di cui è in cerca l’utente, l’architetto on-line, motore di ricerca che fornisce alcune possibili soluzioni d’arredamento in risposta alle esigenze del potenziale cliente, la ricerca del punto vendita, la newsletter sulle novità del mondo Doimo; su questa base di servizi comuni le singole aziende del gruppo possono sviluppare una strategia più o meno ricca di comunicazione, in relazione ai propri obiettivi specifici, al mercato servito, alle risorse disponibili. Pur presentando delle differenze, i siti aziendali convergono verso un modello volto alla realizzazione di un ambiente dinamico, continuamente aggiornato, orientato al servizio al cliente e alla fidelizzazione dell’utente. Da questo punto di vista, alla presentazione del catalogo aziendale vengono affiancati servizi informativi di varia natura, dai consigli degli arredatori a quelli sulla manutenzione degli imbottiti.

All’uso del sito in una logica one-to-many tradizionale, Doimo ha dunque abbinato strumenti e servizi propri di un modello di marketing one-to-one, finalizzato a dialogare con il singolo consumatore per fornirgli un servizio e una proposta il più possibile personalizzata. Il sito non è tuttavia solo un canale di offerta al cliente, ma svolge anche due altre fondamentali funzioni per la strategia di marketing di Doimo. Innanzitutto, viene concepito come un canale per acquisire informazioni sul mercato e sui consumatori: l’analisi del comportamento di navigazione, le informazioni rilasciate in fase di accesso ai servizi (luogo di residenza, e-mail etc.) sono dati che, opportunamente trattati, consentono di segmentare il mercato e di calibrare le stesse proposte del sito sulla base delle specificità degli utenti; oltre a questo, l’utenza raggiunta è tale per cui diventa possibile realizzare a basso costo ricerche di mercato ottenendo risultati in termini di risposta migliori, per esempio, di quelli perseguibili con un invio postale di questionari o l’inserimento di moduli nelle riviste di settore. In secondo luogo, il sito ha assunto una importante valenza informativa che consente di superare il collo di bottiglia rappresentato dal commerciante al dettaglio, il quale segue logiche autonome e comunque non sempre risulta

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sufficientemente informato o disponibile nei confronti della clientela. La ricerca di informazioni attraverso il sito comporta un’attenzione e un livello di partecipazione dell’utente maggiore rispetto alla lettura di una rivista e permette di giungere a un maggiore livello di approfondimento nella ricerca di informazioni che precede la decisione di acquisto: nell’esperienza di Doimo, l’utente che ha svolto tutto il percorso di ricerca e alla fine si reca nel punto vendita, nella maggior parte dei casi acquista il prodotto scelto. In queste situazioni, il ruolo del rivenditore deve necessariamente integrarsi alle attività informative già svolte dal produttore: rimane importante, in quanto l’acquisto di un bene problematico come il mobile difficilmente potrebbe essere realizzato on-line, ma perde parte della funzione informativa a cominciare dai gradi di libertà esercitabili nell’orientare la scelta di marca del consumatore.

Infine, l’ultima dimensione in cui vorrebbe collocarsi Doimo è quella del many-to-many o di community. Da questo punto di vista, però, i servizi non vengono sviluppati internamente, ma realizzati attraverso la partecipazione ad un portale verticale, arredamento.it, il cui obiettivo è diventare un punto di aggregazione del settore del mobile in cui gli utenti possono trovare informazioni, news di settore, servizi di progettazione degli interni, consigli pratici e le imprese possono proporsi a un pubblico auto-selezionato di persone in cerca di una soluzione di arredo.

Euromobil è un’altra impresa del distretto che si differenzia per le modalità di utilizzo del sito web, perfettamente integrato con gli obiettivi di comunicazione e immagine dell’azienda. Il sito è stato costruito per trasferire a clienti e consumatori l’immagine di un’azienda contemporaneamente attenta alla tecnologia, all’innovazione, al design e alla cultura. Questi aspetti vengono enfatizzati ancora prima del prodotto: da un lato, la stessa home page del sito recita “Gruppo Euromobil. Design vivo. Sport, design, arte”; dall’altro, le pagine descrittive relative alle aziende del gruppo e ai prodotti in catalogo seguono la presentazione dell’impresa-gruppo. Molto rilievo viene dato alle sponsorizzazioni culturali e agli investimenti in innovazione, sia con riferimento al prodotto che al servizio al cliente e al consumatore. Accanto alla possibilità di scaricare il catalogo per la visualizzazione dei prodotti in tre dimensioni o il plug-in per progettare in rete l’arredamento della propria abitazione, sfruttando al meglio la modularità del sistema di offerta dell’impresa, è anche possibile fare un tour virtuale nel mondo Euromobil accompagnati da Emmy, una cyber-guida. Il tratto distintivo del sito, frequentemente aggiornato e visitato mensilmente da circa 10.000 utenti, è dunque dato dall’obiettivo di comunicare una missione aziendale piuttosto che semplicemente un prodotto.

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Concludendo, a fronte del dato relativo alla ampia diffusione di siti web nelle imprese distrettuali, è importante sottolineare che non necessariamente questo consente di risolvere la debolezza comunicativa delle imprese. Se, da un lato, i risultati ottenibili con lo sviluppo di un sito web non possono essere valutati in termini assoluti, ma solo in relazione alle aspettative delle imprese11, dall’altro è necessario rimarcare che un reale sfruttamento dei potenziali comunicativi di internet non può avvenire senza lo sviluppo di strategie chiare, che portino a predisporre tutte le risorse necessarie a dare visibilità all’azienda, ad attirare il consumatore e ad instaurare con esso un rapporto interattivo (Chiarvesio, 2001).

11 In particolare, per un’impresa che possiede limitate risorse per lo sviluppo di una campagna di comunicazione di tipo istituzionale, la presenza in rete può portare a un importante incremento di visibilità solo per il fatto di essere rintracciabile attraverso un motore di ricerca.

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Conclusioni

Riportando a sintesi il quadro di risultati emersi dalla ricerca si è portati a riconoscere che le imprese distrettuali dei sistemi produttivi del Livenza e del Quartier del Piave hanno saputo reagire alla crescente complessità dello scenario ambientale rinnovando la struttura dei fattori di vantaggio competitivo e migliorando in questo modo la propria posizione.

Nella maggioranza dei casi le strategie attuate a questo scopo hanno puntato alla differenziazione, facendo leva soprattutto sulle variabili relative al prodotto in una visione integrata dello stesso, a comprendere gli attributi tangibili e le componenti di servizio. Varie imprese distrettuali hanno infatti realizzato:

1. strategie di diversificazione delle tipologie di prodotto, volte ad ampliare la gamma e cogliere l’opportunità di presentare alla clientela distributiva un’offerta più completa;

2. politiche di modularizzazione, in modo da estendere la profondità della gamma e consentire nel punto vendita un’offerta con maggiori contenuti di personalizzazione;

3. investimenti diretti a migliorare i contenuti di innovazione, qualità e design dei prodotti;

4. politiche di ampliamento del prodotto sul piano dei servizi agli utilizzatori, sia per i beni del segmento-casa che per quelli rivolti agli altri segmenti del mercato.

Gli attuali punti di forza delle imprese distrettuali attengono pertanto all’area del prodotto e consistono, come si è visto, nell’ampiezza e profondità dei portafogli-prodotto, nella qualità intrinseca dei prodotti, nel servizio ai clienti, nel design.

Le politiche di distribuzione e di vendita, sia nel mercato italiano che in quelli esteri, ove pure sono stati compiuti dei progressi, continuano a mantenere un profilo più tradizionale, mentre la comunicazione di marketing rappresenta il principale punto di debolezza delle imprese locali.

Questo forte orientamento al prodotto in risposta all’evoluzione del mercato è sicuramente un elemento importante per il rinnovamento del vantaggio competitivo delle imprese e dei sistemi locali. Tuttavia, la natura delle sfide competitive che le imprese sono chiamate ad affrontare nel nuovo

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scenario globale, contraddistinto dall’intensificarsi della concorrenza orizzontale e dalla crescente varietà e variabilità dei bisogni e delle aspettative dei consumatori, richiede che sia compiuto un ulteriore salto evolutivo passando a un più articolato e complesso orientamento al marketing.

Diviene dunque necessario sviluppare un approccio al mercato più consapevole, strutturato e organico rispetto a quanto fatto finora anche da molte delle imprese e dei gruppi di maggiori dimensioni. Si tratta in particolare di:

a. far discendere l’approccio al mercato da un quadro di chiarezza strategica dell’impresa;

b. sviluppare un adeguato patrimonio di conoscenze (sistema informativo di marketing) sulle minacce e opportunità dell’ambiente competitivo, sulle caratteristiche specifiche dei diversi mercati geografici, sulla segmentazione degli stessi, sulle caratteristiche della concorrenza;

c. potenziare e qualificare le risorse umane dedicate al marketing, oltre alle competenze di vendita in senso stretto;

d. definire strategie sostenibili di copertura e posizionamento nei diversi mercati, declinando a tal fine le variabili del marketing mix.

Un elemento focale in questo nuovo approccio al mercato è lo sviluppo di un adeguato sistema informativo di marketing. Sotto questo profilo, le imprese devono innanzitutto imparare a codificare le informazioni e le conoscenze di cui già dispongono e che rimangono “sigillate” nelle singole persone (tacite) o “mute” nella massa informe della documentazione aziendale. Un sistema informativo di marketing parte con la razionalizzazione delle informazioni del ciclo ordine-spedizione-fattura; integra il sistema della contabilità analitica per disporre di dati di performance nella forma utile all’analisi competitiva e di mercato (per canali, per prodotti, per mercati geografici, per segmenti); si sviluppa utilizzando e organizzando come fonti informative il personale di vendita dell’impresa, gli agenti, i clienti-dettaglianti, gli altri soggetti del sistema del valore con cui l’impresa risulta collegata; si arricchisce con ulteriori informazioni disponibili o acquistabili (marketing intelligence) e con ricerche di mercato effettuate ad hoc per approfondire temi specifici di interesse dell’impresa.

La costruzione di un adeguato sistema di marketing knowledge management risulta tanto più importante quanto più elevato è il livello di complessità “finale” che l’impresa deve affrontare, come tipicamente accade

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al crescere della varietà dei prodotti offerti e al crescere della varietà dei mercati-paese inclusi nell’ambito competitivo. Nell’approccio ai mercati esteri, in particolare, l’eterogeneità dei mercati-paese rappresenta la dimensione cognitiva critica, in relazione ai modelli di vita e di consumo, ai comportamenti di acquisto, alle caratteristiche delle aziende e delle strutture commerciali al dettaglio e più in generale dei canali distributivi, alla struttura concorrenziale del mercato-paese sia allo stadio della produzione che a quello della distribuzione.

Solo un’adeguata conoscenza del mercato nelle sue articolazioni consente di realizzare un processo di sviluppo dei nuovi prodotti efficace nel cogliere la varietà e la variabilità delle aspettative e delle preferenze dei consumatori, di definire scelte di copertura e posizionamento sostenibili, di impostare politiche di prezzo, di distribuzione e di comunicazione coerenti, valorizzando in questo modo l’importante core di competenze distintive accumulate dalle imprese nell’area del prodotto, del processo produttivo e della flessibilità. A questo proposito, è anche opportuno ricordare che la conoscenza e la capacità di soddisfazione del mercato italiano costituiscono un elemento di vantaggio dei produttori distrettuali rispetto alla competizione internazionale. Infatti, il consumatore italiano è particolarmente esigente nell’acquisto di beni di arredamento (design, ma anche qualità), innovativo ed evoluto: operare in questo contesto significa trovare occasioni di apprendimento maggiori rispetto ai competitors stranieri, che possono essere utilmente giocate per anticipare i tempi in mercati-paese caratterizzati da minore dinamicità dei modelli di consumo. D’altra parte, una conoscenza approfondita degli elementi distintivi che caratterizzano i singoli mercati che compongono il portafoglio-paesi dell’impresa risulta indispensabile per rendere stabile la presenza in ciascuno di essi e aumentare il grado di penetrazione.

Rispetto alle leve fondamentali del marketing mix, si è visto che le imprese hanno investito elettivamente nell’area del prodotto, hanno guadagnato terreno nella capacità di presidio dei canali distributivi, ma devono fare ancora molto nel campo della comunicazione. Per quanto concerne l’aspetto specifico della comunicazione, si tratta di un aspetto cruciale, in quanto la debolezza su questo piano rischia di vanificare gli altri investimenti. Il modello di riferimento deve essere quello della comunicazione integrata d’impresa, che pianifica e gestisce in modo coerente e sinergico i vari pubblici, strumenti e media della comunicazione. In quest’ottica, diviene in particolare decisiva l’integrazione comunicativa del canale di marketing tra gli stadi della produzione, della distribuzione e del consumo. In questo, è bene ricordarlo, un supporto importante può venire dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che favoriscono

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l’interazione e la cooperazione tra i vari attori del canale e più in generale del sistema del valore, siano esse usate per sviluppare attività di co-design con il consumatore o migliorare la qualità delle informazioni distribuite lungo i canali di vendita, ovvero per dialogare direttamente con il mercato supportando le attività svolte dal distributore o superando, nel caso di inerzia di quest’ultimo, la strozzatura informativa del punto vendita.

È utile rimarcare il fatto che le azioni di marketing dispiegate dalle imprese devono discendere da un quadro chiaro di obiettivi e opzioni strategiche. In alcuni casi, si tratta di esplicitare con più chiarezza percorsi già avviati, ma nella maggior parte delle imprese distrettuali si tratta invece di un vero e proprio salto di qualità rispetto all’attuale modus operandi. Per effettuare tale salto l’impresa deve sviluppare competenze nuove, che si differenziano e si specializzano rispetto alle più tradizionali abilità di tipo commerciale.

All’interno dei sistemi produttivi locali del Livenza e del Quartier del Piave è presente un numero qualificato di imprese che ha iniziato ad adottare un approccio più evoluto al marketing. Si tratta di un segmento minoritario, la cui presenza indica tuttavia che un percorso evolutivo di questo tipo è possibile. La ricerca condotta consente di aggiungere che è anche assolutamente necessario.

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Questa pubblicazione è edita nella collana: Profili economici della camera di Commercio. Le precedenti pubblicazioni sono:

1- I problemi finanziari delle PMI trevigiane: aspetti critici e

strategie di intervento (1997) 2- Riforma fiscale e ricapitalizzazione delle imprese (1998) 3- Le nuove sfide per i distretti industriali: sistemi cognitivi e reti

transnazionali (1998) 4- La “rivoluzione” Euro: quali implicazioni per il finanziamento

delle P.M.I.? (1998) 5- Un progetto di marketing territoriale per il distretto di

Montebelluna — Offerta del territorio, contesti competitivi e possibili strategie di rilancio — (1998)

6- Perla Stancari — Immigrati: problema o risorsa? - L’immigrazione di extracomunitari nei territori evoluti con particolare riguardo alla provincia di Treviso — (1999)

7- Le opportunità dell’Euro Nouveau Marchè per le imprese ad alto potenziale di crescita (1999)

8- Guida “Crea la tua impresa a Treviso” (2000). 9- Convegno “E– commerce frontiera del nuovo sviluppo” Tavola rotonda “Marketplace comunità e distretti virtuali. E-

uforia o reali opportunità strategiche di sviluppo.” 10- IL PROGRAMMA “JEV” - Agevolazioni alle imprese che

intendono investire in Europa 11- Le politiche commerciali e di Marketing nel settore

dell’arredamento – Ricerca sui distretti industriali del Livenza e del Quartier del Piave

12- Problematiche di internazionalizzazione dei distretti industriali della provincia di Treviso – in fase di stampa

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Impaginato a cura del Centro stampa della Camera di Commercio di Treviso