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Le periodizzazioni del XX secolo XX secolo

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Le periodizzazioni del XX secoloXX secolo

La storia contemporanea e il presente storico in tre definizioni

• J. Burckhardt, Lezioni sulla storia d’Europa, 1871:«di tutte le scienze, la storia è la più antiscientifica, perché è quella che meno di tutte possiede e può possedere un metodo sicuro e riconosciuto di scelta, ossia l’indagine critica ha un metodo ben preciso, ma l’esposizione no. Essa è ogni volta resoconto di ciò che un’epoca trova notevole nelle altre epoche».

• B. Croce, Teoria e storia della storiografia, 1915: «ogni vera storia è sempre storia contemporanea».

• B. Croce, Teoria e storia della storiografia, 1915: «ogni vera storia è sempre storia contemporanea». La “contemporaneità” non indica un oggetto, un contenuto, una distanza cronologica, ma è il requisito essenziale di ogni autentica storiografia, che trae le sue radici dalla sensibilità del presente: «per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni».

• G. Barraclough, An introduction to Contemporary History, 1964: «la storia contemporanea comincia quando per la prima volta prendono forma visibile i problemi che sono attuali nel mondo di oggi».

Periodizzare

• Quella che può apparire soltanto un’esigenza convenzionale e artificiosa degli storici risponde a una comune domanda di orientamento esistenziale: collocare in un orizzonte spazio-temporale l’esperienza di vita.

• La periodizzazione è un’operazione necessariamente • La periodizzazione è un’operazione necessariamente storica e retrospettiva. Significa:- interrogarsi sul perché gli eventi accaddero quandoaccaddero;- fissare la durata temporale di un processo attraverso i suoi termini a quo e ad quem, cioè individuare i mutamenti che “fanno” epoca e storia (epoch-making).

Il secolo come unità di periodizzazione storica

• La categoria storica di “secolo” non va intesa in senso puramente cronologico (come durata centenaria) ma semantico, cioè in relazione a uno specifico motivo di progresso storico (ad specifico motivo di progresso storico (ad esempio: Settecento “secolo dei Lumi”, Ottocento “secolo delle nazioni”).

• Paradosso del XX secolo: le sue letture “negative” (come vedremo) contraddicono l’idea stessa di “secolo” associata al progresso storico.

• Percorreremo adesso le “rilevanze” del XX secolo, cioè alcune delle sue principali variabili: ideologico-culturali, internazionali, socio-economiche, strutturali-quantitative.

• Nella periodizzazione lo storico si avvale • Nella periodizzazione lo storico si avvale anche delle riflessioni di intellettuali e pensatori che non sono storici di professione.

• Ciascuna periodizzazione introdurrà uno o più temi delle prossime lezioni.

1) Il Novecento come “secolo violento”

• Secolo di Auschwitz e di Hiroshima.

• Alcune opere storiche sul “secolo della violenza”:

- New Cambridge History of Europe, L’età della violenza - New Cambridge History of Europe, L’età della violenza

- Robert Conquest, Il secolo delle idee assassine

- Tzvetan Todorov, Il secolo delle tenebre

- Niall Ferguson, XX secolo l’età della violenza. Una nuova

interpretazione del Novecento

• 10 milioni di vittime nella prima guerra mondiale, 51 nella seconda (l’1% per cento della popolazione del Novecento). Ma soprattutto la percentuale delle vittime civili sale dal 3% della prima guerra mondiale al 50% della seconda (“guerra ai civili”), fin quasi al 100% della guerra jugoslava degli anni Novanta.

• Il problema non è solo quantitativo, ma anche e soprattutto qualitativo. Che cosa distingue dunque la violenza di questo secolo da quella dei secoli precedenti?

1) la violenza è promossa e organizzata direttamente dallo Stato; 2) la violenza viene esercitata in nome di un’ideologia rivoluzionaria. 2) la violenza viene esercitata in nome di un’ideologia rivoluzionaria.

• La violenza degli “Stati ideologici” si caratterizza per la gestione burocratica, pianificata e razionale mediante:

a) l’utilizzazione di mezzi tecnici moderni e industrializzazione della morte; b) lo sterminio di massa grazie a tecniche ad alto contenuto scientifico e la spersonalizzazione del massacro;c) l’introduzione del principio di “colpa collettiva”,in base al quale l’individuo è colpevole per il solo fatto di appartenere a un determinato gruppo considerato collettivamente colpevole, e non per le proprie azioni individuali.

• Lo storico Ferguson individua almeno tre concause: 1) la risoluzione dei conflitti etnici, politici e religiosi in prassi genocidiaria(basti pensare ai sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti) ma anche ai milioni di deportati nei Gulag di Stalin (su 4 milioni di cittadini non russi deportati in Siberia e nell’Asia Centrale, almeno 1,6 milioni morirono per le privazioni subite); 2) la volatilità economica, che definisce «la frequenza e l’ampiezza dell’indice di crescita economica, dei prezzi dei tassi d’interesse e dell’occupazione, con tutte le pressioni e le tensioni sociali connesse»; 3) la questione delle minoranze nazionali prodotta dal «disfacimento degli 3) la questione delle minoranze nazionali prodotta dal «disfacimento degli imperi multinazionali europei che dominavano il mondo all’inizio del secolo, e la sfida dei nuovi Stati-impero emergenti in Turchia, Russia, Giappone e Germania».

• Il filosofo franco-bulgaro Todorov introduce una spiegazione della violenza novecentesca fondata sul progetto di dominio dell’umano di cui è portatore il pensiero scientifico, o meglio, il pensiero “scientista”. Attraverso lo scientismo si arriva alla convinzione che “la verità è una e che il mondo umano deve diventare uno”. La scienza offre sia la legittimazione (appunto“scientifica”) che la tecnica di esecuzione della violenza di massa.

2) Il Novecento come secolo delle “guerre totali”

• La novità delle guerre del XX secolo risiede nel fatto che non sono guerre fondate su una logica di spartizione territoriale, mentre tutte le guerre fino all’Ottocento avevano questo principio: lo Stato vincitore conquistava parte del territorio dello sconfitto, secondo una concezione feudale del possesso del suolo (la terra è del re, e le guerre servono ad aumentare le terre del re).

• Ma la conseguenza di quel modo di fare la guerra era che i contendenti dovevano sopravvivere; ovvero che i sovrani, tra l’altro tutti imparentati tra loro, si rispettavano a vicenda, per cui le guerre non finivano per esaurimento dei contendenti, ma quando era raggiunto l’obiettivo territoriale che ci si era posti. raggiunto l’obiettivo territoriale che ci si era posti.

• Le guerre del XX secolo invece hanno come fine la distruzione dell’avversario: ecco perché sono terribilmente sanguinarie e non finiscono che con la scomparsa fisica del nemico.

• Guerre “totali” proprio perché totale è stata la mobilitazione delle risorse civili, industriali, propagandistiche, oltre che militari, che i due conflitti mondiali hanno messo in campo.

• Ma nel XX secolo la guerra non è riducibile a pura e semplice barbarie e negatività storica: a dispetto della classica tesi liberale dell’inutilità della guerra (cfr. Norman Angell, The greatillusion, 1911, secondo il quale è il commercio internazionale e non la guerra a produrre sviluppo e ricchezza), i due conflitti mondiali sono stati il fattore di mutamento più radicale della storia novecentesca, anche come acceleratore della crescita economica (nasce appunto il concetto di “economia di guerra”) e del processo di globalizzazione.

3) Il Novecento come secolo delle ideologie di massa

• Il “secolo della violenza” e delle “guerre totali “ è il secolo dominato dallo scontro fra le ideologie politiche di massa che ne hanno alimentato le tragedie.

• Nel XX secolo le guerre degli Stati nazionali sono diventate anche guerre ideologiche:- prima guerra mondiale: lo scontro tra la democrazia e gli ultimi residui dell’assolutismo d’antico regime; dell’assolutismo d’antico regime; - seconda guerra mondiale: lo scontro tra fascismo e antifascismo; - guerra fredda: lo scontro tra la liberal-democrazia e il comunismo.

• Le ideologie novecentesche (fascismo, nazismo, comunismo) nascono in risposta alla massificazione della società contemporanea e si presentano come un tentativo di integrazione politica, di “nazionalizzazione delle masse”.

• Le ideologie diventano “religioni politiche”, in quanto trasferiscono il sacro dalle religioni tradizionali alla politica e incarnano una speranza laica di salvezza nella storia, “il desiderio di costruire un paradiso in terra e non nel regno di Dio”.

4) Il Novecento come secolo della “guerra civile”

• Seguendo questo approccio ideologico, lo storico tedesco Ernest Nolte ha interpretato il Novecento come secolo della guerra civile:

– 1917-1945: guerra civile europea; 1945-1991: guerra civile mondiale

• Per Nolte l’inizio di questa guerra civile è la Rivoluzione d’Ottobre nella Russia del 1917, che costituirebbe la radice profonda non solo del conflitto Est-Ovest, ma anche dell’esperienza nazista in Germania.dell’esperienza nazista in Germania.

• Al centro dell’interpretazione di Nolte si trova dunque il rapporto di causalità fra bolscevismo e nazionalsocialismo.

• La “rivoluzione socialista mondiale” avrebbe fatto emergere, per reazione, un partito della resistenza al comunismo nei paesi in cui erano presenti forti partiti comunisti e in cui le forze liberal-democratiche sembravano impotenti a contrastare il “contagio” rivoluzionario.

• All’“estremismo universalistico” della classe si sarebbe contrapposto l’“estremismo particolaristico” della razza: lo “sterminio di classe” anticipa lo “sterminio di razza” e il bolscevismo costituisce il prius logico-fattuale del nazionalsocialismo.

5) Il Novecento come “secolo breve” (1914-1991)

• Nel suo volume The Age of Extremes, 1994 (trad. it. Il secolo breve, 1995) lo storico E.J. Hobsbawm ha periodizzato il Novecento fra due date-spartiacque che non coincidono con le sue scadenze cronologiche: il 1914 (scoppio della Prima guerra mondiale); il 1991 (dissoluzione dell’Unione Sovietica dopo la caduta del Muro di Berlino).

• Il XX secolo viene inoltre suddiviso in tre sottoperiodi: - 1914-1945: l’età della catastrofe, caratterizzata dalle immani tragedie - 1914-1945: l’età della catastrofe, caratterizzata dalle immani tragedie delle due guerre mondiali, dalla depressione economica del 1929, dalla crisi delle istituzioni liberali e dall’affermarsi di sistemi politico-ideologici ad esso alternativi come il comunismo e i fascismi. - 1945-1973: l’età dell’oro (the golden age), ovvero un trentennio di crescita economica e di trasformazioni sociali di intensità senza precedenti.- 1973-anni Novanta: la frana, ovvero una nuova epoca di disordine mondiale, che segna il crollo dell’URSS e degli altri paesi socialisti dell’Europa orientale.

• Il “secolo breve” di Hobsbawm inizia con lo spartiacque della rivoluzione bolscevica del 1917 in Russia, ed è segnato dallo scontro di lunga durata fra comunismo e anticomunismo, fra socialismo e capitalismo.

• La prima fase è appunto una guerra civile ideologica: a differenza di Nolte, non fra nazismo e bolscevismo, ma fra la reazione fascista e le varie forze del “progresso” (di cui, dal 1941, avrebbe fatto parte anche la Russia sovietica).

• Per Hobsbawm il fenomeno dei fascismi appare secondario e “parentetico”: «il decennio ‘35-’45 ha un carattere eccezionale e transitorio, la cui politica internazionale può essere meglio compresa come una guerra civile ideologica internazionale può essere meglio compresa come una guerra civile ideologica internazionale che come una lotta tra stati: una guerra civile tra i discendenti dell’illuminismo settecentesco e i suoi oppositori, una guerra civile perché l’opposizione tra forze fasciste e antifasciste era interna a ogni società, e l’alleanza coi nemici del proprio paese, in entrambi i fronti, era diffusissima.»

• La conclusione di Hobsbawm è il paradosso di un secolo senza progresso (una sorta di “non-secolo”) e il ritorno delle lancette della storia al 1914: la fine del comunismo avrebbe infatti provocato, dopo il 1989, il ritorno dei nazionalismi.

Il secolo della “passione rivoluzionaria”

• Anche per lo storico francese François Furet il XX secolo è stato un “secolo breve” e segnato in profondità dal comunismo. Il suo ultimo volume del 1994, Il passato di un’illusione, è dedicato alla storia dell’“idea comunista nel XX secolo”:

L’illusione non “accompagna” la storia comunista: ne è costitutiva. […] Si spiega perché questa illusione sia potuta scomparire solo con la scomparsa di quello che dava a essa sostanza: era un credo nella salvezza attraverso la storia e poteva cedere soltanto di fronte a una smentita radicale della storia, che privasse di ragion d’essere quel lavoro di ricamo a essa così congeniale.

• Per Furet il comunismo è stato l’ideologia politica che, prima e più di ogni altra nel Novecento, ha risvegliato la “passione rivoluzionaria” non soltanto negli intellettuali ma anche nelle masse, incarnando speranze, utopie, messianismi capaci di resistere e di sopravvivere (anche in Occidente dopo il 1945) alla sua esperienza violenta e repressiva in Unione Sovietica.

• Furet indaga inoltre i rapporti fra il comunismo e le altre “passioni rivoluzionarie” che gli furono “nemiche complici”, fascismo e nazismo, anch’essi orientati alla distruzione dell’ordine liberale-borghese del secolo precedente.

• Anche il fascismo e il nazismo nacquero infatti dalla comune matrice della prima guerra mondiale come movimenti rivoluzionari di massa. A differenza del bolscevismo, tuttavia, coniugarono l’idea di rivoluzione non all’universalismo della classe, ma alla nazione e alla rigenerazione dello Stato come “comunità nazionale”.

La “guerra dei trent’anni” (1914-1945)

• Altri storici, invece, hanno osservato che il trentennio di storia dalla prima alla seconda guerra mondiale non può essere interamente ridotto allo scontro ideologico sovranazionale della “guerra civile europea”.

• Gli Stati non si divisero nettamente secondo le ideologie (fascismo/antifascismo, comunismo/anticomunismo), ma continuarono a stringere alleanze secondo le regole e gli interessi della politica nazionalistica (basti pensare al patto nazi-sovietico dell’agosto 1939)

• Le due guerre mondiali furono provocate non dalle ideologie ma dal nazionalismo • Le due guerre mondiali furono provocate non dalle ideologie ma dal nazionalismo aggressivo degli Stati europei. Segnarono un’epoca di conflitto in due tempi, interrotto soltanto da una breve parentesi di pace negli anni Venti-Trenta: da qui la formula della “seconda guerra dei trent’anni” (coniata dall’opera di Sigmund Neumann, The Future in Perspective, 1946).

• Ma l’intera storia del XX secolo si compone di una mescolanza di fattori geopolitici di potenza e di universalismi ideologici. Ha sottolineato questa dialettica D. Diner, Raccontare il Novecento. Una storia politica (1999, trad. it. 2007), che invita a tenere presenti «sia la breve durata di una guerra civile mondiale dei valori e delle ideologie, sia l’efficacia duratura della prospettiva etnica e di quella geografica»; ma anche a riflettere sulla combinazione di questi elementi e sul fenomeno sorprendente della conversione degli uni e degli altri».

6) Il Novecento come “secolo lungo”

• Il “secolo breve” di Hobsbawm completa la sua periodizzazione (altrettanto nota) dell’Ottocento come “secolo lungo” iniziato con la Grande Rivoluzione (1789-1914).

• Ma si distanzia anche dalla diversa periodizzazione del Novecento come “secolo lungo” avanzata nell’opera di G. Barraclough, Guida

alla storia contemporanea, (Laterza, Bari 1996, ed. orig. 1964), che alla storia contemporanea, (Laterza, Bari 1996, ed. orig. 1964), che colloca l’inizio della contemporaneità nell’ultimo trentennio dell’Ottocento e la sua fine già intorno al 1960.

• Al Barraglough si rifanno altri recenti contributi, che contrappongono alla periodizzazione unitaria di Hobsbawm la visione del Novecento come “secolo spezzato” ed epoca di transizione dalla centralità europea all’unificazione della storia mondiale.

L“epoca lunga” di C.S. Maier(1870-1970)

• C.S. Mayer, Secolo corto o epoca lunga? L’unità storica dell’età industriale e le trasformazioni della territorialità .

• I caratteri della contemporaneità novecentesca risiederebbero: 1) nel principio di territorialità come base dello Stato-nazione, che l’Europa sviluppa al suo interno e impone al resto del mondo con il colonialismo; 2) nel processo di industrializzazione secondo il modello della seconda rivoluzione industriale. rivoluzione industriale.

• Il XX secolo si conclude già agli inizi degli anni Settanta con i processi innescati dalla crisi dell’economia fordista: la prima globalizzazione, la terza rivoluzione industriale, l’internazionalizzazione della produzione, la separazione tra unità produttiva e centro direzionale dell’impresa, la rivoluzione digitale e lo sviluppo di una comunicazione decentrata e non gerarchica su Internet.

• Questi fenomeni distruggono la sovranità degli Stati nazionali e la garanzia di uno spazio territoriale che permetta il controllo della vita pubblica, ovvero separano lo spazio dell’identità dallo spazio della decisione.

Il Novecento come “secolo spezzato” (1870-1945)

• L. Paggi, Un secolo spezzato. La politica e le guerre considera il XX un secolo “aperto” verso l’ingresso in una nuova contemporaneità: il suo spartiacque sarebbe il 1945 e, con la fine seconda guerra mondiale, il tramonto dell’assoluta potenza economica e militare degli Stati europei e la transizione dall’età della catastrofe all’età dell’oro.

• Alla base delle trasformazioni verificatesi nel Novecento ci sarebbe la sfida • Alla base delle trasformazioni verificatesi nel Novecento ci sarebbe la sfida internazionale tra l’economia USA, che va nel segno della planetarizzazione, e le ipotesi a varie riprese affacciate di neo-mercantilismo ovvero di “capitalismo nazionale” di cui è portatrice l’Europa: l’egemonia economica USA, già matura all’inizio del secolo, impiega due guerre mondiali per spezzare queste resistenze europee.

• Gli anni ‘70, con l’apertura delle economie socialiste al mercato mondiale, sarebbero non già una svolta quanto una tappa ulteriore per l’ingresso nella mondializzazione.

Il lungo XX secolo di G. Arrighi

• La storia del capitalismo è storia di cicli di espansione: il loro inizio coincide con l’affermazione di una potenza come guida dell’accumulazione di ricchezza e come centro economico e finanziario del sistema-mondo, che struttura il mondo stesso in un centro e in una periferia.

• Ha quindi luogo un periodo di crescita materiale della ricchezza mondiale e di allargamento del sistema capitalistico; successivamente, a causa di questa medesima crescita e dello sviluppo eccessivo della concorrenza, che diviene talmente aspra da ridurre i tassi di profitto, si ha un periodo di finanziarizzazionedell’economia mondiale. Infatti, gli investitori e i detentori di capitale, in quanto talmente aspra da ridurre i tassi di profitto, si ha un periodo di finanziarizzazionedell’economia mondiale. Infatti, gli investitori e i detentori di capitale, in quanto capitalisti, spostano le loro risorse dove più gli conviene: il trasferimento di capitale da ricchezza materiale (industrie, filoni produttivi etc.) a ricchezza finanziaria è dunque una costante dei cicli di accumulazione del sistema mondo capitalistico, e non un originale processo in corso oggi per la prima volta.

• Arrighi identifica quattro cicli di accumulazione: uno a guida genovese, uno a guida olandese, uno a guida britannica e l’ultimo, a guida statunitense, entrato ormai nella sua fase terminale. In effetti, la vera questione politica al fondo del lavoro di Arrighi è spiegare la crisi dell’egemonia statunitense che allora si stava (e si sta ancora, in parte) vivendo e provare a leggerne le possibili soluzioni.

7) Il Novecento come “secolo della globalizzazione”

• Le relazioni internazionali del XX secolo segnano il progressivo declino dell’Europa e la fine dell’eurocentrismo.

• Dal 1945 l’Europa non è più il centro del mondo, ma la periferia di due imperi mondiali.

• Le due guerre mondiali sono state gli eventi che più di ogni altro hanno accelerato la globalizzazione (36 Stati parteciparono alla prima, 60 alla seconda). la globalizzazione (36 Stati parteciparono alla prima, 60 alla seconda).

• La guerra fredda determina il passaggio da un sistema multipolare eurocentrico a un sistema bipolare mondializzato, diviso fra due superpotenze globali: Stati Uniti e Unione Sovietica.

• Dopo il 1955 anche la guerra fredda, stabilizzatasi in Europa, si globalizza e assume le forme di una competizione per l’influenza sui nuovi Stati che si rendevano indipendenti dal colonialismo europeo.

• Con il processo di “decolonizzazione” le potenze europee (Inghilterra e Francia) rinunciano alla loro proiezione mondiale ed emergono nuove potenze emergenti nel mondo extra-europeo.

8) Il Novecento come “secolo americano”

• La potenza statunitense è stata il principale vettore della globalizzazione nel XX secolo, che è stato largamente influenzato, se non proprio dominato, dalla presenza e dall’influenza dell’american way of life.

• Fra poche settimane ricorrerà il centenario dell’inizio del “secolo americano” e dell’egemonia globale statunitense: il 6 aprile 1917 gli Stati Uniti intervennero nella prima guerra mondiale e ne spostarono gli equilibri Uniti intervennero nella prima guerra mondiale e ne spostarono gli equilibri in favore della Triplice Intesa.

• Il primo a introdurre la definizione di “american century” è stato, nel 1941, non uno storico ma l’editore della rivista Life Henry Luce.

• Dopo la vittoria della seconda guerra mondiale, nella seconda metà del secolo la divisione del mondo in due blocchi ha visto la contrapposizione del modello americano a quello comunista, ma quest’ultimo non ha mai avuto l’appeal necessario per contrastare il primo efficacemente.

• La leadership mondiale americana ha coniugato democrazia e capitalismo (produzione e consumi di massa) ed è sopravvissuta al declino del fordismo e alla (parziale) deindustrializzazione.

• Il potere internazionale USA associa potere militare (hard power) e risorse ideologiche (soft power). Ma soprattutto il potere economico:

1)complesso militare-industriale (armamenti nucleari);2) finanziario: gli USA sono stati per tutto il secolo la potenza creditrice e il dollaro è diventato la principale valuta di creditrice e il dollaro è diventato la principale valuta di riserva internazionale;3) tecnologico (dalla grande manifattura di innovazione alla Silicon Valley).

• Il 2017 potrebbe simbolicamente segnare la fine del secolo americano? È questo il titolo del recente volume del politologo J.S.Nye, che contesta però la tesi del declino americano.

9) Novecento come secolo della “fine della modernità”

• Il teologo tedesco Romano Guardini ha offerto per primo una meditazione sulla fine della modernità dopo la tragedia della seconda guerra mondiale (La fine dell’epoca moderna, 1949).

• Paolo Prodi ne ha ripreso la suggestione e ha ridefinito la storia contemporanea novecentesca come storia della “tarda età moderna”.

• Il Novecento della globalizzazione è il secolo della conclusione della • Il Novecento della globalizzazione è il secolo della conclusione della modernità occidentale. In senso weberiano, registra la chiusura della “gabbia d’acciaio” della razionalizzazione /spersonalizzazione universale sul piano antropologico (famiglia), religioso (dualismo fra il potere sacrale-religioso e il potere politico), geopolitico (dominio dell’occidente sul globo terrestre), politico-istituzionale (Stato moderno), economico (rivoluzione industriale).

• «Oggi il problema di fondo: non quello della modernità storica ormai conclusa ma quello della manipolazione, della creazione di un’umanità che è al di fuori di un discorso essenziale sintetizzabile nel problema della salvezza individuale che ha caratterizzato tutta la storia dell’Occidente».