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LE OPERE PUBBLICHE

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LE OPERE PUBBLICHE!

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La costruzione di un'opera pubblica da parte di un magistrato era considerato un atto importante, alla stregua di una proposta di legge; per questo le opere pubbliche, e in particolare le strade, in età repubblicana prendevano il nome del magistrato che ne aveva curato la costruzione.!Nel primo periodo repubblicano la cura delle opere pubbliche era affidata ai consoli; più tardi i consoli vennero almeno parzialmente sostituiti in questo compito dai censori e dagli edili. !!Rimase tuttavia prerogativa dei consoli l'edificazione dei templi, che spesso avevano fatto voto di costruire nella loro qualità di comandanti dell'esercito, come ex voto per l'aiuto concesso da un dio in guerra. Alle volte in età repubblicana potevano essere eletti dei magistrati straordinari incaricati della costruzione di singole opere pubbliche: così il curator viarum e lege Visellia menzionato come collaudatore di un'opera pubblica tra il 72 e il 68 a.C., o ancora il curator viarum L. Fabricius C.f. che curò la costruzione del ponte Fabricio a Roma, che appunto da lui prese il nome. Altri magistrati straordinari creati per la dedica di aedes sacrae furono i IIviri aedi dedicandae.!!

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Le iscrizioni di opere pubbliche sono naturalmente numerose non solo a Roma, ma anche nelle città provinciali, dove spesso, in mancanza di fonti letterarie, costituiscono le uniche testimonianze scritte per seguire l'evoluzione monumentale e urbanistica. Alle volte l'erezione di opere pubbliche in colonie e municipi dell'Italia e delle province era finanziata dagli stessi magistrati locali in sostituzione, parziale o integrale, della summa honoraria che essi erano tenuti a pagare al momento di entrare in carica.!In età imperiale la costruzione delle opere pubbliche nelle città dell'Italia e delle province poteva essere affidata alle autorità locali come a quelle centrali; si ricorre spesso all'espediente di trasformare l'iscrizione di un'opera pubblica in una dedica all'imperatore.!D'altra parte il diritto di iscrivere il proprio nome su un'opera pubblica era rigidamente regolato; nel Digesto un intero capitolo (L, 10) è dedicato alla regolamentazione della materia; ricordiamo particolarmente L, 10, 3, 2, in cui si afferma che non era lecito iscrivere su un'opera pubblica un nome diverso da quello dell'imperatore o di colui che aveva effettivamente finanziato la costruzione dell'opera stessa.!

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Secondo Vitruvio le opere pubbliche si dividono in tre categorie principali:!- Le opere di difesa, moenia, portae, turres.!- Le opere della religio.!- Le opere compiute per la opportunitas, o per la comodità. Si tratta infatti del gruppo più vasto, che comprende: "Opere per l'igiene, come acquedotti (aquae), fognature (cloacae), bagni (balnea), fontane (lacus, fontes)."Opere per la circolazione, come strade (viae, clivi), e ponti (pontes)."Opere per la vita economica, come piazze per mercati e incontri (fora), luoghi coperti, che assolvevano al medesimo scopo (porticus, atria, basilicae), botteghe (tavernae), mercati e magazzini (horrea, emporia, macella)."Opere per la vita politica, come sedi del Senato o dei consigli municipali (curiae), archivi (tabularia)."Opere per gli spettacoli, come teatri (theatra), anfiteatri (amphitheatra), circhi (circi)."Opere per la cultura, come biblioteche (bibliothecae). "Opere di arredamento urbano, come statue (statuae), archi (arcus), orologi (horologia), obelischi (obelisci), giardini (horti), fontane decorative (nymphea).!!

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Le iscrizioni su opere pubbliche si differenziano nettamente tra di loro per posizione e per grandezza: celeberrima è la bella iscrizione sulla facciata del Pantheon, che ricorda l'erezione dell'edificio a cura di Agrippa. Altre iscrizioni, spesso relative a rifacimenti solo parziali dell'opera, appaiono in posizione secondaria e sono di minori proporzioni.!Alcune opere pubbliche condizionano con la loro natura il tipo di iscrizione: per esempio le strade, la cui epigrafe commemorativa è il milliario, che tuttavia ha la funzione primaria di segnare le distanze; o i fori, la cui iscrizione commemorativa può apparire sulla pavimentazione stessa della piazza; o ancora le porte che si aprono nelle mura, che hanno spesso la stessa iscrizione ripetuta all'interno e all'esterno della porta.!Gli elementi fondamentali delle iscrizioni di questa classe sono:!- Il nome della persona che ha curato l'opera, in nominativo.!- Dipendente da questo soggetto un verbo che indica l'esecuzione dell'opera (fecit, faciundum curavit), il restauro (restituit, refecit), il collaudo (probavit), l'offerta (dedit, in particolare nel caso di privati), la dedica (dedicavit, in particolare nel caso di opere erette da magistrati ex voto).!- Il nome della costruzione, in accusativo, che può essere specifico oppure generico (opus).!- Il motivo della costruzione.!- Lo stato giuridico del terreno sul quale sorgeva l'opera pubblica e eventualmente l'autorità che aveva dato il permesso di eseguire i lavori.!- La somma spesa e la provenienza del denaro.!- Nel caso di restauri, il grado di scadimento dell'opera e il motivo del degrado che avevano reso necessario l'intervento.!- A proposito dei templi può apparire, in caso dativo, il nome della divinità alla quale l'edificio sacro era dedicato, oppure il nome dell'imperatore: in tal caso l'iscrizione assume piuttosto un carattere sacro o onorario.!Da ricordare che in genere nelle iscrizioni di opere pubbliche non appare il nome dell'architetto che materialmente si è incaricato dell'esecuzione dell'opera. I pochi casi in cui il nome è ricordato è ipotizzabile un'influenza greca; non è un caso che molti degli esempi noti di "firma" da parte dell'architetto provengano da Pompei ed Ercolano, città nelle quali l'influenza culturale ellenica fu forte.!

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Dedica di un tempio ad Ercole da parte L. Mummio (144 a.C.)!

Luogo di ritrovamento: Roma, sul Celio.!Edizione: CIL I2 626; ILS 20; ILLRP 122; Gordon, op. cit., pp. 86-87, n°11.!

L(ucius) Mummi(us) L(uci) f(ilius) co(n)s(ul). Duct(u), / auspicio imperioque / eius Achaia capt(a est). Corinto deleto Romam redieit / triumphans. Ob hasce / res bene gestas, quod / in bello voverat, hanc aedem et signu(m) Herculis Victoris imperator dedicat.!

Fotografia dell'iscrizione: Degrassi, Imagines, cit., tav. 61; Gordon, op. cit., pl. 7, n°11.!

Traduzione: Lucio Mummio, figlio di Lucio, console. Sotto il suo comando, i suoi auspici e il suo imperium la Grecia fu conquistata. Distrutta Corinto ritornò a Roma celebrando il trionfo. Per il successo di queste imprese, come aveva fatto voto durante la guerra egli dedica come imperator questo tempio e la statua di Ercole Vincitore.!

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Commento!

Si tratta di un'iscrizione metrica, in versi saturni, relativa alla dedica di un tempio e di una statua ad Ercole che erano stati votati da L. Mummio, durante la guerra acaica: Mummio, console del 146 a.C., aveva in effetti ottenuto il comando della guerra contro la Lega Achea, che si concluse con la completa vittoria romana e la distruzione della principale città della Lega, Corinto.!

Nella nostra epigrafe anzitutto si deve notare l'onomastica del personaggio, che non ha ancora il cognomen, fenomeno frequente in età medio repubblicana nelle famiglie che non appartenevano alla più alta aristocrazia romana. L. Mummio, in seguito alla vittoria sugli Achei, assunse il cognomen ex virtute Achaicus che trasmise ai discendenti. Da notare poi il riferimento al ductus della guerra, ma anche agli auspicia e all'imperium, con riferimento, rispettivamente, alla potestà religiosa e a quella militare del console.!

Il riferimento al ritorno trionfale a Roma non è generico ma al contrario molto specifico: sappiamo che il trionfo era un'importantissima cerimonia della Roma repubblicana, forse di origine etrusca. Il Senato o l'assemblea popolare, attraverso una legge, accordava il diritto di trionfare ad un magistrato che aveva riscosso un successo militare particolarmente significativo. Il comandante e il suo esercito partivano in corteo dal Campo Marzio e penetravano in città dalla porta Triumphalis (si deve notare che questa è l'unica occasione in cui viene consentito di entrare in città a uomini armati), passavano dal Circo Flaminio e dal Circo Massimo, seguivano la via Sacra e attraversavano il Foro; a questo punto il generale vittorioso saliva sul Campidoglio per celebrare un sacrificio. Il corteo era aperto da magistrati e senatori; seguivano i carri che trasportavano il bottino preso al nemico; dal II sec. a.C. in poi si prende l'abitudine di far sfilare a questo punto cartelloni o quadri in cui venivano illustrati i principali eventi della guerra; venivano poi esibiti gli onori conseguiti dal generale nei paesi conquistati, spesso si trattava di corone d'oro votate dalle città greche; seguivano le vittime sacrificali, dei tori bianchi, che potevano raggiungere il numero di alcune centinaia. A questo punto sfilavano i prigionieri di guerra, tra i quali si potevano trovare anche i comandanti o i re dei popoli vinti, che erano stati appositamente risparmiati per esaltare la vittoria romana e per subire l'umiliazione di sfilare in catene davanti al popolo romano: subirono questa triste sorte, tra gli altri, Perseo, Giugurta, Vercingetorige. A questo punto, accompagnato dai littori, arrivava il trionfatore su uno spettacolare carro trionfale, accompagnato dai figli e seguito dagli alti ufficiali che avevano combattuto al suo comando; il corteo era chiuso dai soldati in alta uniforme, che intonavano canti trionfali e lanciavano battute scherzose sul trionfatore.!

È stato notato che il contenuto della nostra iscrizione ricorda da vicino quello che doveva essere il testo di quei cartelloni che venivano fatti sfilare nel corso dei trionfi; è probabile che essa trovasse ispirazione proprio in questi cartelloni trionfali.La frase hanc aedem et signum Herculis Victoris lascia pensare che la nostra iscrizione fosse una sorta di tabella applicata al tempio di Ercole Vincitore. Purtroppo i resti archeologici di questo edificio sacro non sono stati individuati con certezza, anche se esistono diverse ipotesi di identificazione del tempio sul colle Celio di Roma, dal quale proviene l'iscrizione.!

Nell'epigrafe non viene ricordato con quali fondi era stato costruito il tempio ed eretta la statua di Ercole Vincitore; sappiamo tuttavia che L. Mummio raccolse un Grecia un enorme bottino, tra le quali numerose opere d'arte, che Mummio diede in dono a diverse città dell'Italia (il ricordo di questi atti di generosità è registrato in diverse iscrizioni, chiamate tituli mummiani); possiamo presumere che i fondi per l'erezione del tempio venissero proprio da queste entrate.!

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LE OPERE STRADALI Già prima del 250 a.c. per la via Appia e dopo il 124 a.c. per la maggior parte delle altre, le distanze tra le città si contavano in miglia, che erano numerate con le pietre miliari. La moderna parola "miglio" deriva infatti dal latino milia passuum, cioè "mille passi", che corrispondono a circa 1480 metri. La pietra miliare, o miliarum, era una colonna circolare sopra una base rettangolare, detta cippus, infissa nel terreno per oltre 60 cm, alta 1,50 m, con 50 cm di diametro e del peso di oltre 2 tonnellate. Alla base recava scritto il numero di miglio della strada e più in alto indicava la distanza dal Foro di Roma e informazioni sugli ufficiali che avevano costruito o riparato la strada, e quando, nonchè le caratteristiche della strada (se era lastricata o solo in ghiaia e in terriccio). Fu Augusto, divenuto Commissario permanente alle strade del 20 a.c., che pose il Miliarum Aureum (la pietra miliare aurea) nel foro a Roma, una colonna di bronzo dorato, accanto al tempio di Saturno. Tutte le strade iniziavano idealmente da questo monumento in bronzo. Su di esso erano riportata la lista delle maggiori città dell'Impero, e le loro distanze da Roma. Costantino lo chiamò Umbilicus Romae (ombelico di Roma). Tutto venne da allora indicato attravrso le miglia, battaglie comprese, specificando il miglio in cui accadevano. Tutte le distanze erano pertanto calcolate dalla colonna aurea al limite estremo di ogni strada. Da qui l'antico detto per cui "Tutte le strade portano a Roma", perchè al tempo dei Romani era così.

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I primi costruttori di strade sul suolo italico furono però gli

Etruschi. La via Clodia ricalcò almeno in parte un'importante

percorso etrusco che collegava Caere (Cerveteri) a Volsini

novii (Bolsena), e la via Cassia, da Roma a Cortona fu prima

etrusca, e così la via Aurelia che costeggiava il Tirreno. Gli

Etruschi si limitarono però a usare un tufo compatto, mentre i

Romani usarono la selce, molto più dura e resistente, il

cosiddetto basolato romano.

Esistevano presso i Roman vari tipi di strade, dalle strade di

tronchi, alle strade scavate nel tufo come fecero gli etruschi

(ma che i Romani poi ripavimentarono), alle strade

pavimentate in acciottolato (galeratum), alle strade in

basolato romano, le più resistenti in assoluto.

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Con il nome di vie, Viae, venivano indicate le strade extraurbane che partivano da Roma, mentre le strade, Strata, (cioè fatte a strati) erano quelle all'interno di un centro abitato. Le strade erano dovevano durare a lungo e la loro costruzione, eseguite da soldati se in territorio straniero, era molto accurata. I Romani distinguevano: • la via, dove si poteva transitare con i carri, quindi che permetteva il transito di due carri contemporanei in senso opposto (da qui il termine carreggiata). • l'actus, dove si poteva transitare solo a piedi o a cavallo, largo circa la metà della via, dall'iter, dove si poteva andare a piedi o in lettiga ma senza usare animali. • la semita poi era una semi-iter, più piccola. • il callis una stradina tra i monti. • la trames era la via traversa di un'altra via. • il diverticulum una strada che si staccava dalla consolare per arrivare a una località. • bivi, trivi e quadrivi per gli incroci di strade. Si dividevano poi in: • strade pubbliche, dette pretorie e consolari, a seconda se costruite da un pretore o un console • strade private dette agrarie.

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IL NOME E LA TITOLATURA IMPERIALE!Si è detto che gli imperatori compaiono spesso nelle iscrizioni di opere pubbliche, sia che essi si incaricassero del finanziamento dei lavori, sia che l'edificio di nuova costruzione venisse dedicato loro. Questa circostanza ci offre l'occasione di analizzare brevemente il nome e la titolatura degli imperatori così come appaiono nella documentazione epigrafica.!Dobbiamo innanzitutto rilevare come l'imperatore non fosse designato sempre e comunque con gli stessi nomi e gli stessi titoli: questi

potevano variare a seconda del carattere del iscrizione, ufficiale o privato.!Gli elementi fondamentali del nome e della titolatura del princeps sono i seguenti:!- Imperator. Il titolo funge da prenome ed è frequente nelle iscrizioni di Augusto e di Nerone; compare regolarmente da Vespasiano in poi ed è solitamente abbreviato Imp.!

- Caesar. Il cognome di C. Giulio Cesare nella titolatura e nell'onomastica imperiale assume la funzione di gentilizio e compare generalmente al secondo posto. Può designare anche figli e nipoti dell'imperatore regnante e nel corso del tempo diventerà caratteristico degli eredi designati all'Impero.!- Patronimico. Viene espresso con il nome del padre al genitivo (anche del padre adottivo, nel caso di successione per adozione). Nel

patronimico spesso incontriamo l'espressione divi f(ilius), con riferimento all'imperatore divinizzato dopo la sua morte.!- Cognomina. Oltre ai cognomi personali dell'imperatore, che egli portava anche quando era un semplice privato (per esempio Vespasianus, Traianus, Hadrianus), spiccano il cognomen Augustus, che sta quasi sempre all'ultimo posto. Può esser tuttavia seguito dai cognomina ex virtute, in ricordo delle campagne vittoriose condotte dall'imperatore personalmente (è il caso per esempio di

Traiano Parthicus e Dacicus), sia da uno dei suoi generali, sotto gli auspici dell'imperatore stesso (è per esempio il caso di Claudio Britannicus). I cognomi ex virtute potevano essere assegnati all'imperatore anche in riconoscimento di una loro particolare qualità, come per esempio Optimus per Traiano.!

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- Pontifex maximus. Dopo gli elementi onomastici, la funzione di pontifex maximus è generalmente la prima ad essere ricordata nella titolatura imperiale. Gli imperatori furono regolarmente pontefici massimi a partire dal 12 a.C., con Augusto, fino al 377 d.C., quando l'imperatore cristiano Graziano depose questo titolo strettamente legato al culto pagano.!'indicazione dei consolati rivestiti dall'imperatore; alle volte possiamo trovare l'espressione co(n)s(ul) des(ignatus), seguito da un numero maggiore di un'unità rispetto al numero dei consolati: con tale espressione si indicava che l'imperatore avrebbe rivestito il consolato anche nell'anno successivo.!- Consul. Segue l'indicazione dei consolati rivestiti dall'imperatore; alle volte possiamo trovare l'espressione co(n)s(ul) des(ignatus), seguito da un numero maggiore di un'unità rispetto al numero dei consolati: con tale espressione si indicava che l'imperatore avrebbe rivestito il consolato anche nell'anno successivo.!- Censor. La censura fu rivestita da Claudio, Vespasiano e Domiziano; quest'ultimo nell'84 d.C. assunse la censura a vita e la magistratura quindi decadde: gli imperatori successivi ne conservarono le funzioni ma non ne portarono più il titolo.!- Proconsul. Il titolo appare nelle iscrizioni di Traiano e degli imperatori successivi.!- Pater Patriae. Questo titolo venne offerto ad Augusto dal Senato e dal popolo nel 2 d.C. e venne talvolta votato agli imperatori successivi qualche tempo dopo la loro accessione al trono. Il titolo venne rifiutato da Tiberio, in un primo tempo da Nerone, da Vespasiano e Adriano; non lo ebbero Galba, Otone e Vitellio.!- Dominus. Con Adriano inizia ad apparire questo titolo, attestato nelle fonti letterarie sin da Domiziano, anche su iscrizioni e monete. Si alterna in prima posizione con imperator e col tempo andò a sostituirlo.!

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- Tribunicia potestas. L'indicazione della potestà tribunizia, generalmente abbreviata trib. pot., seguita da un numero, è l'elemento che generalmente segue il ricordo del pontificato massimo. La tribunicia potestas, come indica il nome stesso, era il potere del tribuno della plebe, potere che l'imperatore assumeva pur non rivestendo il tribunato della plebe. Il motivo di questa assunzione va ricercato da un lato nella sacrosanctitas propria di chi era investito dei poteri tribunizi; dall'altro nella possibilità che il detentore dei poteri tribunizi aveva di farsi promotore di una iniziativa di legge. La tribunicia potestas assicurava dunque all'imperatore l'inviolabilità (così

potremmo infatti tradurre in questo caso il termine sacrosanctitas): chi attentava alla incolumità del tribuno della plebe diveniva infatti sacer, poteva cioè essere impunemente messo a morte dalla plebe che aveva giurato di proteggere il tribuno. Il tribuno della plebe poteva inoltre convocare i concilia plebis tributa, l'assemblea popolare della plebe, e sottoporre le sue proposte di legge, che, se approvate, divenivano plebiscita. Assumendo la tribunicia potestas l'imperatore diveniva dunque inviolabile e, nello stesso tempo,

aveva la possibilità di condurre a piacimento la sua attività legislativa. La tribunicia potestas era rinnovata di anno in anno e costituisce dunque uno degli indizi migliori per datare un'iscrizione. Ci sono tuttavia alcune avvertenze da fare a questo proposito: in primo luogo si deve ricordare che i tribuni della plebe non entravano in carica il 1 gennaio come i consoli, ma il 10 dicembre; generalmente gli imperatori rinnovavano la propria tribunicia potestas proprio in questo giorno, anche se inizialmente il giorno del rinnovo

corrispondeva a quello dell'assunzione dell'Impero. Inoltre si deve rilevare che alcuni imperatori avevano assunto la tribunicia potestas quando ancora erano solamente coreggenti o eredi designati al trono; quando diventavano effettivamente imperatori non riprendevano da zero il computo delle tribuniciae potestates, ma proseguivano il calcolo.!- Imperator. Dopo la tribunicia potestas si incontra spesso una seconda volta il termine imperator, quasi sempre seguito da un numero:

si tratta delle acclamazioni imperatorie riportate dall'imperatore stesso o dai suoi legati, che combattevano sotto i suoi auspici, in seguito ad una campagna militare vittoriosa. La prima salutazione imperatoria avveniva sempre al momento della proclamazione del principe.!!

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Gli acquedotti sono l’opera più maestosa e originale dell’edilizia dell’antica Roma ”la più alta manifestazione della grandezza romana” secondo Sesto Giulio Frontino, “curator aquarum”, cioè sovrintendente agli acquedotti nel I sec. d. C., grazie al quale, attraverso i suoi scritti, ci sono pervenute notizie molto dettagliate su tutto ciò che riguardava l'approvvigionamento idrico di Roma. Per merito di questi acquedotti, i cittadini dell'antica Roma avevano una fornitura giornaliera d’acqua simile all'attuale. Alcuni si alimentavano con le acque provenienti dall’alta valle dell’Aniene (Anio Vetus , Anio Novus , Aqua Claudia , Aqua Marcia) e resero Roma, in assoluto, la città meglio servita dal prezioso liquido.!

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Fino all’anno 312 a.C. i Romani si accontentarono di usare le acque che attingevano dal Tevere, o ai pozzi e alle sorgenti. Successivamente, col crescere della città, si fece sempre più pressante il problema del rifornimento idrico e, soprattutto in seguito alla diffusione delle terme, i pozzi e le sorgenti non bastarono più.!

Gli acquedotti portavano in città l’acqua delle sorgenti che scaturivano da alture circostanti. La conduttura

stagna correva per lunghi tratti sotto terra, ma quando doveva superare una depressione del terreno veniva sostenuta da mura alte e massicce, e da arcate, sovrapposte anche a due o più ordini. In un primo tempo Roma finanziò la costruzione degli acquedotti con i proventi delle conquiste militari; in età imperiale, invece, addirittura con una quota del bilancio pubblico. Il pesante lavoro era svolto da schiavi,

che in seguito si occupavano anche della manutenzione. I problemi connessi all’attraversamento di corsi d’acqua, furono anch'essi risolti con l’uso dell’arco nei numerosi ponti, alcuni dei quali veramente imponenti e di grandissimo impatto scenografico.!

Gli acquedotti, definiti da Goethe “una successione di archi di trionfo”, sono una maestosa impresa

d’ingegneria idraulica (pochi sanno che percorrono decine di chilometri sottoterra) e una indelebile testimonianza della grandezza di Roma. Inoltre le acque dell’antico acquedotto Vergine ancora oggi alimentano le più celebri fontane di Roma, compresa la fontana di Trevi.!

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