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24 settembre 2003 Carlo Alberto Busi LE NOVITA’ IN MATERIA DI AUMENTO E DI RIDUZIONE DEL CAPITALE PREVISTE NELLA RIFORMA 1) Introduzione; 2) Il divieto di aumentare il capitale fino a che le partecipazioni precedentemente emesse non siano interamente liberate; 3) La delega agli amministratori per l’aumento del capitale nella riforma; 4) L’aumento gratuito del capitale nella riforma; 5) L’aumento di capitale a pagamento. La ratio ispiratrice del diritto di opzione nella s.p.a. e del diritto di sottoscrizione nella s.r.l.; 6) La natura del diritto d’opzione nella s.p.a. e del diritto di sottoscrizione nella s.r.l. e loro disciplina; 7) Cedibilità o meno dei diritti di opzione nella s.p.a. e di sottoscrizione nella s.r.l.; 8) Limiti di legge alla esclusione del diritto di opzione nella s.p.a. e al diritto di sottoscrizione del capitale nella s.r.l. nel caso di perdite; 9) Contenuto della deliberazione di aumento del capitale: in particolare la comunicazione al socio del termine entro cui sottoscrivere l’aumento del capitale; 10) La disciplina transitoria ed il capitale minimo nel caso di riduzione per perdite ex art. 2447,c.c.; 11) La riduzione reale del capitale; 12) La riduzione del capitale per perdite: il concetto di perdita; 13) La tempestività della convocazione. Il nuovo testo dell’art. 2631,c.c.; 14) La predisposizione della relazione sulla situazione patrimoniale ed il suo deposito presso la sede sociale: in particolare la dichiarazione resa dagli amministratori in assemblea riguardante i fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione e l’ampiezza della deroga statutaria riguardo alle modalità di deposito presso la sede sociale prevista per la sola s.r.l.; 15) La competenza dell’assemblea la forma e i quorum nel caso di riduzione ai sensi degli artt. 2446 e 2447, c.c. dopo la riforma; 16) La delega dell’assemblea al consiglio di amministrazione per la riduzione del capitale; 17) Le azioni senza valore nominale; 18) Le azioni postergate nelle perdite. Introduzione Il capitale sociale, per il giurista, non esprime altro che una particolare disciplina del vincolo di indistribuibilità di aliquote ideali dell’attivo, e in questo senso è sicuramente un concetto normativo piuttosto che un concetto tipologico. Recentemente si è sottolineata la vecchiaia e l’usura del concetto di capitale adottato dal nostro ordinamento e si è discusso sull’opportunità di abbandonarlo per adottare il più snello sistema statunitense 1 , ove talvolta non esiste l’obbligo di un capitale nominale rigido, ove è anche consentito emettere azioni senza la necessaria attribuzione del diritto d’opzione ai vecchi azionisti e la distribuzione del dividendo spesso prescinde dal conseguimento di utili calcolati con riferimento alla conservazione di un rigido valore del capitale sociale 2 . Certamente il sistema statunitense permette ai soci di entrare nel mercato semplicemente con un’idea e l’impegno a svilupparla, senza previamente ricercare chi sia disposto a fornire il capitale d’appoggio, 1 V. Enriques – Macey, Raccolta del capitale di rischio e tutela dei creditori: una critica radicale alle regole europee sul capitale sociale, in Riv. soc., 2002, 78. 2 V. Delaware corporation laws annotated, 2000-2001- edition, Dover, Delaware, 2002; Solomon e Palmiter, Corporations, New York, Stati Uniti, 1999; Kostant, Business organizations, Stati Uniti, 1996.

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24 settembre 2003

Carlo Alberto Busi

LE NOVITA’ IN MATERIA DI AUMENTO E DI RIDUZIONE DEL CAPITALE PREVISTE NELLA RIFORMA

1) Introduzione; 2) Il divieto di aumentare il capitale fino a che le partecipazioni precedentemente emesse non siano interamente liberate; 3) La delega agli amministratori per l’aumento del capitale nella riforma; 4) L’aumento gratuito del capitale nella riforma; 5) L’aumento di capitale a pagamento. La ratio ispiratrice del diritto di opzione nella s.p.a. e del diritto di sottoscrizione nella s.r.l.; 6) La natura del diritto d’opzione nella s.p.a. e del diritto di sottoscrizione nella s.r.l. e loro disciplina; 7) Cedibilità o meno dei diritti di opzione nella s.p.a. e di sottoscrizione nella s.r.l.; 8) Limiti di legge alla esclusione del diritto di opzione nella s.p.a. e al diritto di sottoscrizione del capitale nella s.r.l. nel caso di perdite; 9) Contenuto della deliberazione di aumento del capitale: in particolare la comunicazione al socio del termine entro cui sottoscrivere l’aumento del capitale; 10) La disciplina transitoria ed il capitale minimo nel caso di riduzione per perdite ex art. 2447,c.c.; 11) La riduzione reale del capitale; 12) La riduzione del capitale per perdite: il concetto di perdita; 13) La tempestività della convocazione. Il nuovo testo dell’art. 2631,c.c.; 14) La predisposizione della relazione sulla situazione patrimoniale ed il suo deposito presso la sede sociale: in particolare la dichiarazione resa dagli amministratori in assemblea riguardante i fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione e l’ampiezza della deroga statutaria riguardo alle modalità di deposito presso la sede sociale prevista per la sola s.r.l.; 15) La competenza dell’assemblea la forma e i quorum nel caso di riduzione ai sensi degli artt. 2446 e 2447, c.c. dopo la riforma; 16) La delega dell’assemblea al consiglio di amministrazione per la riduzione del capitale; 17) Le azioni senza valore nominale; 18) Le azioni postergate nelle perdite.

Introduzione Il capitale sociale, per il giurista, non esprime altro che una particolare disciplina del vincolo di indistribuibilità di aliquote ideali dell’attivo, e in questo senso è sicuramente un concetto normativo piuttosto che un concetto tipologico. Recentemente si è sottolineata la vecchiaia e l’usura del concetto di capitale adottato dal nostro ordinamento e si è discusso sull’opportunità di abbandonarlo per adottare il più snello sistema statunitense1, ove talvolta non esiste l’obbligo di un capitale nominale rigido, ove è anche consentito emettere azioni senza la necessaria attribuzione del diritto d’opzione ai vecchi azionisti e la distribuzione del dividendo spesso prescinde dal conseguimento di utili calcolati con riferimento alla conservazione di un rigido valore del capitale sociale2. Certamente il sistema statunitense permette ai soci di entrare nel mercato semplicemente con un’idea e l’impegno a svilupparla, senza previamente ricercare chi sia disposto a fornire il capitale d’appoggio, 1 V. Enriques – Macey, Raccolta del capitale di rischio e tutela dei creditori: una critica radicale alle regole europee sul capitale sociale, in Riv. soc., 2002, 78. 2 V. Delaware corporation laws annotated, 2000-2001- edition, Dover, Delaware, 2002; Solomon e Palmiter, Corporations, New York, Stati Uniti, 1999; Kostant, Business organizations, Stati Uniti, 1996.

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sfruttando il credito fino a quando si trova qualcuno disposto a fare credito, ma “alcune recenti vicende (da Enron in poi) inducono ad attente riflessioni prima di decidere l’abbandono del forse rozzo, ma certo assai collaudato, criterio del netto”3. “Certo non si può chiedere alla nostra nozione di capitale sociale di risolvere tutti i problemi di patrimonializzazione delle società, perché essi probabilmente vanno risolti con altri strumenti. Al capitale nominale si può e si deve chiedere di regolare con equilibrio gli interessi molteplici che si appuntano sul patrimonio di destinazione delle società (e in particolare delle società con responsabilità limitata) nelle varie fasi e vicende della vita e delle crisi societarie. Esso è il paradigma della disciplina dell’intero patrimonio netto, è il segnale di efficienza-inefficienza dell’impresa che si accende come un allarme in determinate circostanze e che invita all’adozione di responsabili provvedimenti nel rispetto dell’autonomia degli organismi economici” 4. Inoltre il capitale sociale rappresenta un’informazione anche per i terzi, consentendo agli stessi di valutare con maggior ponderazione l’opportunità di investire nella società5. Il legislatore della riforma, pur mantenendo la struttura base legata al tradizione concetto di capitale sociale, modifica parte delle regole e corollari normativi che lo riguardavano6. Tali modifiche secondo parte della dottrina indebolirebbero la tutela dei creditori, secondo altra dottrina rappresenterebbero un necessario svecchiamento del concetto di capitale sociale che “potrebbe aiutare l’impresa italiana a crescere dimensionalmente (si consideri il noto problema del nanismo delle imprese italiane) e comunque a competere con le imprese straniere”7. Si esamineranno rapidamente le modifiche più rilevanti apportate dal legislatore alla disciplina giuridica del capitale. In primo luogo nelle s.p.a. l’introduzione di una gamma di sfumature tra strumenti rappresentativi di crediti postergati e titoli azionari privilegiati rimettono in discussione la frontiera tradizionale tra capitale di rischio e capitale di credito8. Spetta all’autonomia statutaria di definire con regole precise di volta in volta le specifiche caratteristiche del finanziamento in modo da poter gestire sia i rapporti con i finanziatori nei confronti della società in bonis, sia un’eventuale situazione di insolvenza della società. Per il resto il legislatore conferma anzi esalta (con la nuova disciplina dei conferimenti) la storicità del valore del capitale sociale in quanto “convenzionalmente” fissato nell’atto costitutivo, e conferma la rigidità del capitale stesso. Il capitale è, infatti, destinato a rimanere fisso salvo che la società decida di aumentarlo o diminuirlo, a mezzo di deliberazione – si ritiene anche nel caso di perdita – sempre dell’assemblea straordinaria o eventualmente dell’organo amministrativo, se a ciò espressamente delegato dall’assemblea straordinaria o nell’atto costitutivo da tutti i soci. Il legislatore conferma inoltre l’iscrizione al passivo del capitale sociale che ha l’evidente finalità di creare “un vincolo di indisponibilità” e quindi di impedire che detto importo sia restituito ai soci nel

3 V. Denozza, A che serve il capitale? (piccole glosse a L. Enriques-J.R. Macey)..,in Riv. soc., 2002, 585. 4 V. Fortunato, Capitale e bilanci nella s.p.a., in Riv. soc., 1991, 192. 5 V. Spolidoro, Capitale sociale, in Enc. del dir., IV, aggiornamento, Milano, 2000, 221 ss; Id., Sul capitale delle società di persone, in Riv. soc., 2001, 790 ss. 6 V. De Angelis, Dal capitale leggero al capitale sottile: si abbassa il livello di tutela dei creditori, in Società, 2002, 1456. 7 V. Tombari, La nuova struttura finanziaria delle società di capitali, in Nuovo diritto societario, Italia oggi, inserto del 20.5.2003, 51. 8 V. Lamandini, Società di capitali e struttura finanziaria: spunti per la riforma, in A.a.V.v., Verso un nuovo diritto societario associazione Disiano Preite, Bologna, 2002, 277.

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corso della vita della società. In altre parole, l’iscrizione del capitale nominale al passivo del bilancio ha l’effetto di drenare dall’attività patrimoniale un importo pari al capitale; quindi finché dura la società, potrà essere distribuita ai soci solo la parte del patrimonio netto eccedente l’importo del capitale sociale. Specularmene il capitale sociale rappresenta una ulteriore garanzia patrimoniale per i creditori sociali che possono fare affidamento per soddisfare i loro crediti, su un attivo patrimoniale eccedente le passività per un importo corrispondente all’ammontare del capitale sociale. Per maggior chiarezza in realtà il patrimonio netto (e non il capitale sociale) rappresenta la vera garanzia dei creditori sociali. Il patrimonio netto effettivo è rappresentato dalla differenza tra il valore delle attività e l’ammontare delle passività, escluso il capitale sociale e le riserve. Nelle società di capitali operano due principi. Quello dell’effettività del capitale sociale e quello dell’integrità o intangibilità del capitale sociale. Il principio di effettività, che trova il proprio ambito di applicazione in sede di costituzione del capitale e di aumento dello stesso, comporta che la misura dei valori effettivi dei conferimenti dei soci non debba risultare inferiore alla cifra convenzionalmente fissata come capitale nominale. Prima della riforma tale regola era formulata in maniera più restrittiva; infatti, il valore nominale della singola azione doveva essere coperto dal conferimento del sottoscrittore di quell’azione. Viceversa, con la riforma, tale corollario della regola di cui sopra è venuto meno essendo sufficiente per il legislatore che il capitale complessivo sia coperto. E’ pertanto irrilevante, dopo la riforma, che la copertura della singola azione sia operata con il conferimento del sottoscrittore della stessa o in parte o addirittura completamente da un altro socio. Il principio di integrità del capitale sociale è garantito da una serie di norme tra cui: l’obbligo di formazione e di reintegrazione della riserva legale; il divieto di restituire ai soci il capitale sociale durante la vita della società: come si vedrà in seguito tale regola, un tempo presidiata da sanzioni anche penali per gli amministratori, e dall’obbligo di giustificare la riduzione con l’esuberanza del capitale rispetto all’oggetto sociale, ora è tutelato con il solo diritto di opposizione spettante ai creditori sociali; l’obbligo di reintegrare il capitale sociale se intaccato da perdite superiori al terzo9. Il divieto di aumentare il capitale fino a che le partecipazioni precedentemente emesse non siano interamente liberate L’art. 2438,c.c., ante riforma, richiamato per le s.r.l. dall’art. 2495,c.c. disponeva che "non si possono emettere nuove azioni fino a che quelle emesse non siano interamente liberate"10. La ratio della norma sembra sia quello di impedire abusi nella gestione della società11. Infatti, non corrisponde ad una regola di buona amministrazione della società cercare nuovi capitali fin quando la società ha a disposizione capitali inutilizzati e che potrebbe facilmente reperire chiedendoli ai soci 9 V. sul concetto di perdita: Busi, La riduzione del capitale, in corso di pubblicazione edito Egea; Id., Azzeramento e ricostituzione del capitale nelle s.p.a., 1998, Padova, 1ss. 10 In relazione alla ratio della norma spunto per diverse riflessioni è stato dato dal fatto che questa disposizione è ripresa in contesti diversi, ad es. nel caso di acquisto di azioni proprie o nel caso di acquisto di azioni della controllante da parte della controllata. Nel caso di acquisto di azioni proprie la spiegazione dell’esigenza che le azioni siano interamente liberate può essere ricavata da una preoccupazione che in tal modo la società possa procedere ad una sorta di esonero dall’obbligo di conferimento del socio. 11 V. per un esame più approfondito circa la ratio della norma: Busi, Le novità in materia di aumento e di riduzione del capitale previste nella riforma, in A.a.V.v., La riforma delle società: aspetti di interesse notarile, in corso di pubblicazione edito Utet.

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debitori12. Questa regola di buona amministrazione protegge indifferentemente gli interessi dei soci e dei terzi13. La norma sia prima che dopo la riforma non precisa se il divieto di cui all'art. 2438, c.c., sia applicabile al solo aumento oneroso od anche all'aumento gratuito. Applicando il divieto alla sola ipotesi di aumento oneroso, si potrebbe aggirare il divieto attraverso la realizzazione di versamenti a fondo perduto da parte dei soci in proporzione al diritto d'opzione a ciascuno spettante e poi passati a capitale con una deliberazione di aumento gratuito del capitale stesso. Nonostante l’operazione sopra prospettata in chiave di elusione del divieto, parte della dottrina riteneva che il divieto non potesse trovare applicazione nell'ipotesi di aumento gratuito perché se la ratio della norma è quella di impedire che la società possa richiedere nuovi conferimenti prima che siano stati acquisiti quelli relativi ad un precedente aumento del capitale, detta norma non ha ragione di essere applicata nel caso di aumento gratuito. Infatti, con tale operazione la società non richiede conferimenti ai nuovi soci, ma si limita a far passare a capitale somme che sono già nel suo patrimonio14. Secondo altra dottrina, era necessario valutare la legittimità o meno dell’operazione sulla base delle modalità con le quali si realizzava l’aumento gratuito che potevano essere, per previsione di legge, o l’aumento del valore nominale delle vecchie partecipazioni o l’ emissione di nuove partecipazioni. Solo tale seconda modalità avrebbe comportato l’illegittimità dell’operazione visto che "l'aumento gratuito potrebbe pur sempre dar luogo ad un ingresso di nuovi soci attraverso l'eventuale alienazione a valore pieno delle azioni gratuite da parte dei vecchi soci: in tali ipotesi vi sarebbero soci che hanno versato integralmente il capitale e soci che invece ne hanno versato solo la minima parte"15. Ciò andrebbe contro la ratio della norma di divieto. Sembrava e sembra anche dopo la riforma preferibile ritenere che il divieto riguardi anche l'aumento gratuito. Come rilevato da altra dottrina la lettera dell'art. 2438, c.c., non distingue tra aumenti gratuiti ed aumenti a pagamento16. Inoltre, il mantenimento del divieto alle operazioni di aumento gratuito di capitale sarebbe giustificato per il fatto che costringerebbe la società ad ottenere la liberazione delle azioni, prima di emettere le azioni gratuite. Così inquadrati la ratio e la portata del divieto di cui all'art. 2438, c.c., è possibile verificare se la richiesta di versamenti a patrimonio in pendenza di un aumento del capitale sia da considerarsi operazione elusiva di una norma di legge inderogabile, o, meglio in frode alla legge, come tale sanzionabile con la nullità. Il versamento a patrimonio è operazione che non può rivolgersi se non ai soci (il terzo non avrebbe infatti alcun titolo per poter direttamente o indirettamente vantare diritti su dette somme una volta confuse nel patrimonio sociale) e pertanto i terzi sottoscrittori non ricevono da tale operazione alcun pregiudizio. Parimenti i terzi creditori non possono risultare danneggiati dalla falsa apparenza di un capitale fraudolentemente gonfiato, visto che i versamenti non potranno evolvere in capitale se non attraverso un successivo aumento del capitale, aumento di capitale che, sia se realizzato a titolo oneroso 12 V. Belviso, Le modifiche all'atto costitutivo delle società per azioni, Torino, 1985, 91; Zagra, L'aumento di capitale in presenza di azioni non interamente liberate, in Società, 2000, 443. 13 V. Ferrara-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1999, 623. 14 V. Belviso, Le modifiche all'atto costitutivo delle società per azioni, Torino, 1985, 91, Marchetti, op. cit., 56; Gaffuri, op. cit., 812; Lemmi, op. cit., 1091. 15 V. Cera, op. cit., 172. 16 V. Frè, Società per azioni, in Commentario del cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, 775; Ferrara Jr.-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1987, 562.

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(versamenti in conto futura operazione sul capitale) sia se realizzato a titolo gratuito (versamenti a fondo perduto), troverà in sede di deliberazione lo sbarramento previsto dal divieto di cui all'art. 2438, c.c., ritenuto applicabile ad entrambi i tipi di aumento. Infine, non sembra neppure configurabile una eventuale lesione dei diritti dei soci di minoranza. Infatti, i versamenti debbono essere, come si vedrà in seguito, necessariamente "spontanei" e pertanto non imponibili dalla società ai soci. Di più, se configurabili come a fondo perduto avvantaggiano tutti i soci anche quelli non versanti aumentando il valore patrimoniale delle partecipazioni sociali anche di tali soggetti. Sembra, pertanto, possibile affermare che il versamento non possa aggirare il divieto di cui all'art. 2438, c.c., perlomeno qualora la ratio di detta norma e la sua portata vengano interpretate come sopra. La riforma modifica il disposto dell’art. 2438,c.c. in riferimento alla s.p.a. e detta in materia di s.r.l. una norma autonoma, ossia l’art. 2481 secondo comma, in parte diversa rispetto all’omologa norma della s.p.a. Il nuovo articolo 2438,c.c., si può idealmente dividere in tre parti. La prima parte ripropone il divieto, parzialmente modificato, affermando che “un aumento di capitale non può essere eseguito fino a che le azioni precedentemente emesse non siano interamente liberate”. Il novellato art. 2438,c.c., “non vieta più l’emissione – di azioni -, ma l’esecuzione dell’aumento di capitale, fino a quando le azioni precedentemente emesse non siano interamente liberate. Quindi, la società può deliberare un nuovo aumento del capitale, ma gli amministratori non possono eseguirlo (emettendo e consegnando le nuove azioni e facendo l’attestazione di cui all’art. 2444 codice civile), in pendenza di un precedente aumento non ancora interamente liberato”17. Ma la vera novità della norma è rappresentata dai due incisi del comma successivo che recitano: “in caso di violazione del precedente comma, gli amministratori sono solidalmente responsabili per i danni arrecati ai soci ed ai terzi. Restano in ogni caso salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni emesse in violazione del precedente comma”. Si potrebbe affermare che il legislatore, attraverso il nuovo testo della norma, abbia voluto abbracciare quell’orientamento secondo il quale il divieto di cui all’art. 2438,c.c., sia rivolto esclusivamente agli amministratori in sede di esecuzione della delibera di aumento del capitale18. Incentrando l’attenzione sulla responsabilità degli amministratori si potrebbe dedurre che una responsabilità degli amministratori in tanto si pone in quanto gli amministratori siano in grado di violare la disposizione del primo comma. Il capoverso della norma, ove prevede che restano in ogni caso salvi gli obblighi assunti dai soci con la sottoscrizione delle azioni emesse in violazione del precedente comma, confermerebbe che non solo la deliberazione è valida ed efficace, ma anche che rimangono in essere gli obblighi nascenti dalla sottoscrizione ed in particolare gli obblighi di completamento del versamento dei conferimenti in denaro, con ciò implicitamente denunciando che nella sostanza ha luogo l’aumento di capitale, fino ad arrivare alla constatazione che “a questo punto, tuttavia, chi avesse adempiuto agli obblighi di sottoscrizione di azioni emesse in violazione del comma 1 della norma in esame, potrebbe richiedere e probabilmente ottenere le azioni emesse in violazione del divieto in esame, così che il

17 V. in tal senso Quatraro, L’azione non liberata blocca i possibili aumenti, in Guida al diritto, Il sole-24 ore, Riforma delle società, Dossier n. 3, marzo 2003,19; Modulo, in A.a.V.v., La riforma delle società a cura di Sandulli e Santoro, Torino, vol. 2/II; 906; contra singolarmente Pescatore, in Riforma del diritto societario, a cura di Buonocore, Torino, 2003,117 (trascurando la novità del dato testuale). 18 In tal senso: Associazione Preite, Il nuovo diritto delle società, a cura di Olivieri, Presti, Vella, Bologna, Il Mulino, 2003, 211 che però nel commento dell’omologo art. 2481,c.c., in tema di s.r.l. aderisce al diverso orientamento qui di seguito sostenuto v, pag. 272

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capitale dovrà intendersi aumentato in misura corrispondente alle effettive sottoscrizioni e versamenti”19. Questa possibile interpretazione desta qualche perplessità. Infatti non sembra in grado di spiegare perché la legge abbia voluto precisare che esiste una responsabilità degli amministratori per danni arrecati ai soci ed ai terzi e soprattutto quali possano essere e quando vi possano essere danni per i soci ed i terzi in esito all’esecuzione di un aumento di capitale. Non sembra così automatico che la previsione di una responsabilità in capo agli amministratori renda legittima un’operazione vietata. Nulla impedisce di sanzionare un’ operazione con l’inefficacia o l’invalidità assommando a tale sanzione l’ulteriore sanzione in capo all’autore che ha realizzato detta operazione inefficace o illecita. Concentrando, viceversa, l’attenzione sull’inciso “restano in ogni caso salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni emesse in violazione del precedente comma” si potrebbe rilevare come il legislatore abbia parlato di obblighi ma non di diritti. Questo potrebbe significare che chi abbia ricevuto le azioni emesse in spregio al divieto o forse che, in vigenza del divieto, semplicemente abbia sottoscritto l’aumento non possa ripetere quanto versato o addirittura, se richiesto, debba versare anche i decimi non versati inizialmente senza poter esercitare nessuno dei diritti patrimoniali ed amministrativi legati alla partecipazione sottoscritta. Sarebbe in tal caso più facile configurare un danno in capo ai soci ed ai terzi (in tal caso ad es. i sottoscrittori, non già in origine soci, che non abbiano acquistato lo status di socio con i relativi diritti) danno risarcibile da parte degli amministratori. L’unico dubbio è, qualora il precedente aumento di capitale non venga mai liberato, se le somme versate nelle casse dalla società in esito all’operazione di aumento inefficace restino definitivamente acquisite al patrimonio della società stessa o se, attraverso una successiva deliberazione c.d. di revoca del secondo aumento di capitale, possano essere restituite ai soci. La soluzione più in linea con la funzione sanzionatoria della norma sembrerebbe essere la prima, con la precisazione che il capitale della società risultante dall’operazione sarà indicato, anche ai sensi dell’art. 2444,comma 3°,c.c., calcolando anche le sottoscrizioni “passive” o “congelate”, come in qualche modo accade con le c.d. azioni proprie della società, restando i corrispondenti diritti inutilizzabili da parte dei sottoscrittori. Resta inteso che la mera deliberazione di aumento del capitale, se non sottoscritta da alcuno dei soci, resta validamente deliberata senza comportare alcuna delle conseguenze negative sopra riportate. La disciplina della s.r.l., per scelta o per svista del legislatore, si allontana dalla quella della s.p.a. L’art. 2481,c.c., prevede che “ la decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non siano integralmente eseguiti”. La dottrina in linea con quanto qui già affermato in materia di divieto ex art. 2438,c.c., prevede che “In sintesi, nonostante che aumenti il capitale deliberato, il capitale sottoscritto rimane invariato, i beneficiari dell’aumento non possono acquistare la quota a loro destinata e gli organi sociali devono astenersi da ogni comportamento che presuppone la realizzazione dell’aumento”20 Si è precisato che in forza del testo della norma “la presenza di un socio d’opera è, perciò, di ostacolo all’aumento a pagamento del capitale, trattandosi, il suo, di un conferimento di durata che può essere eseguito solo nei limiti in cui il relativo valore sia stato ammortizzato o coperto con versamenti in denaro”21. 19 V. Modulo, op. cit., 908; A.a.V.v., Il nuovo diritto delle società, a cura di Olivieri, Presti, Vella, associazione Disiano Preite, Bologna, 2003, 211. 20 V.Associazione Preite, Il nuovo diritto delle società, a cura di Olivieri, Presti, Vella, Bologna, Il Mulino, 2003, 272. 21 V. Fazzuti, , in A.a.V.v., La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, Torino, 2003, Vol., 3, sub art. 2481/II, 192.

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La norma non sembra applicabile, con una scelta condivisibile, agli aumenti in natura e di crediti. Infatti, il legislatore si riferisce a conferimenti “dovuti” dai soci e non ancora integralmente eseguiti e tali possono essere i conferimenti in denaro nascenti da sottoscrizioni in tutto o in parte non liberate, ma certo non i conferimenti in natura o di crediti le cui quote corrispondenti devono “essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione”. Il silenzio del legislatore circa la sanzione da applicarsi nel caso di violazione della norma, sia per quanto riguarda la responsabilità degli amministratori che per quanto riguarda le conseguenze sulla validità della delibera, sembra imputabile anche al fatto che in materia di s.r.l. il legislatore ha dettato una norma particolare ossia l’art. 2467 che già tutela il soddisfacimento dei terzi creditori, postergando la soddisfazione dei soci a quella dei creditori ed assente,viceversa, nella s.p.a. Inoltre, la responsabilità degli amministratori discende pianamente dall’applicazione dell’art. 2476, per violazione di un dovere imposto dalla legge. La delega agli amministratori per l’aumento del capitale nella riforma Il legislatore interviene anche in materia di delega da parte dell’assemblea agli amministratori per aumentare il capitale sociale integrando l’originario art. 2443,c.c., in materia di s.p.a. ed ancora una volta dettando per la s.r.l. una norma l’art. 2481,c.c., separata e parzialmente diversa da quella della s.p.a.22. In riferimento all’art. 2443,c.c., si esamineranno le novità recepite dalla norma, ossia la previsione statutaria della delega, la previsione di delega ad aumentare il capitale a pagamento con esclusione o limitazione del diritto d’opzione, in riferimento all’art. 2481,c.c., si esaminerà compiutamente l’introdotta previsione della delega anche per le s.r.l. rinviando per le ulteriori problematiche alla dottrina ante riforma23. Il nuovo art. 2443,c.c. al secondo comma prevede che la facoltà – di delega - ….può essere attribuita anche mediante modificazione dello statuto, approvata con la maggioranza prevista dal quinto comma dell’art. 2441.. La vecchia norma parlava semplicemente di facoltà attribuita anche mediante modificazione dell’atto costitutivo è ciò aveva ingenerato nella dottrina24 il dubbio se in questa circostanza, così come per altre

22 V. Quatraro, Ai gestori facoltà di manovra sul capitale, in Riforma delle società, Guida al Diritto, Il Sole-24 ore, 2003, Dossier n. 3, 21. 23 V. Patriarca, Brevi considerazioni sull’aumento delegato del capitale sociale, in Riv. dir. priv., 1997, 493; Mosco, Le deleghe assembleari nella società per azioni, Milano, 2000, 133; Sacchi, Sulla delega agli amministratori di società a responsabilità limitata della facoltà prevista dall’art. 2443 c.c., in Riv. soc., 1984, II, 852; Pastore, L’aumento del capitale sociale delegato all’organo amministrativo, in Riv. dir. comm., 2000, 531; Nappa, Aumento delegato del capitale sociale e determinazione del sovrapprezzo delle azioni di nuova emissione, in Il nuovo dir., 2000,343; Tondo, Delega agli amministratori per aumento gratuito del capitale?, in Foro it., 1989,V, 145; Ambrosini, Determinazione del sovraprezzo di azioni di nuova emissione, in Società, 1997, 1166; Roveda, Delega agli amministratori ad aumentare il capitale sociale con esclusione del diritto di opzione, in Federnotizie,1990, n. 6,14; Salafia, La delega agli amministratori per l’aumento del capitale e l’emissione di obbligazioni, in Società, 2000,395; Fauceglia, Profili del potere degli amministratori in tema di aumento del capitale sociale, in Giur. Merito, 1985, 626; Pacchi Pesucci, Aumento di capitale: rapporti di forze all’interno della società, in Riv.dir.comm., 1990, 267; Bayardi, Aumento e riduzione del capitale; diritto d’opzione, in Società, 1985, 852; Rovelli, Facoltà degli amministratori di aumentare il capitale nelle s.r.l., in Società, 1994, 1505; Bugani, Delega agli amministratori di aumento di capitale in s.r-l., in Società, 1990, 686; Pasquariello, Sul conferimento di delega agli amministratori di società a responsabilità limitata per l’aumento di capitale sociale, in Giur. Comm., 1996, II, 135; Irrera, Contenuto della motivazione nella esclusione del socio dal diritto di opzione, in Società, 1994, 350. 24 V. Marnetto, nota a Trib. Aosta, decr., 21.10.1989, in Giur. It., I, 2, 790.

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ipotesi ove la legge prevede che la società non possa adottare una certa deliberazione salvo l’atto costitutivo lo consenta v. artt. 2345,c.c., 2487c.c, fosse legittima l’introduzione a maggioranza della modifica, o fosse, viceversa necessaria l’unanimità “in quanto l’espressione atto costitutivo, usata - dalle norme di legge – si riferirebbe al testo originario di esso, alle tavole di fondazione della società25. La nuova norma sembra espressamente legittimare l’introduzione a maggioranza della modifica che introduca la facoltà di delega, visto che la previsione della maggioranza rafforzata, per l’ipotesi in cui la delega contenga anche la facoltà di escludere il diritto di opzione, sembra implicitamente consentire una deliberazione a maggioranza non rafforzata per le altre ipotesi di introduzione “in corsa” della delega. Il nuovo articolo prevede che “tale facoltà – di delega – può prevedere anche l’adozione delle deliberazioni di cui al quarto e quinto comma dell’articolo 2441 – esclusione del diritto d’opzione dei soci per aumento da liberarsi in natura e quando l’interesse della società lo esiga – ; in questo caso si applica in quanto compatibile il sesto comma dell’articolo 2441 e lo statuto determina i criteri cui gli amministratori devono attenersi”. La norma sembra mantenere in capo ai soci la competenza in ordine alla decisione di limitare o escludere il diritto d’opzione, che incide profondamente su uno dei più importanti diritti del socio. Sarà pertanto o l’atto costitutivo o la deliberazione modificativa dello stesso ad indicare le specifiche cause di esclusione del diritto stesso. Quanto sopra sembra si possa evincere dall’inciso “lo statuto determina i criteri cui gli amministratori devono attenersi” e dal principio in base al quale solo il c.d. diritto concreto di opzione, ossia quello riferito ad una concreta deliberazione di aumento del capitale, è suscettibile di essere compresso, in tutto o in parte, in alcune ipotesi ben determinate, mentre il diritto astratto di opzione non è mai sopprimibile in via permanente.E’ chiaro che una delega in bianco all’esclusione del diritto di opzione della durata di cinque anni costituirebbe o comunque si avvicinerebbe ad una soppressione se non permanente, temporalmente significativa del diritto di opzione c.d. astratto. Gli amministratori, pur non avendo il potere di assumere la decisione base in ordine all’eventuale esclusione del diritto di opzione, avrebbero, tuttavia, una competenza di secondo grado, ossia potrebbero valutare in concreto se vi sia o non l’opportunità di procedere all’operazione di aumento, incidendo dunque sulla individuazione circa l’attualità dell’interesse sociale (originariamente individuato dai soci) che porterebbe al sacrificio del diritto d’opzione. Resta il problema di individuare i criteri statutari e, soprattutto, resta l’interrogativo della loro efficacia temporale. Infatti, alcuni criteri sono (vedi definizione del sovraprezzo) per loro natura oscillanti e non possono conservare il proprio significato per lungo tempo. Una prima soluzione al problema sarebbe quella di fissare criteri precisi nello statuto e nel contempo prescrivere un ragionevole limite di tempo entro cui gli amministratori possono avvalersi della delega26. Saranno pertanto i soci a decidere i presupposti che giustifichino la perdita del diritto d’opzione. Se tali presupposti sussisteranno nel momento in cui gli amministratori decideranno di attuare la delega, sarà possibile l’operazione di aumento. Diversamente, no. Ad esempio, qualora la società abbia bisogno di un finanziamento di un determinato gruppo finanziario e ritenga che nella trattativa possa essere rilevante la possibilità offerta ai finanziatori di diventare anche soci della società, delegherà ai propri amministratori l’aumento del capitale affinché siano nelle condizioni di concludere tempestivamente l’operazione. Nel caso di fissazione del sovraprezzo alla 25 V. Cottino, Prestazioni accessorie e poteri dell’assemblea, in Riv. soc., 1962, 16; Buonocore, Le situazioni soggettive dell’azionista, Napoli, 1960, 207. 26 Prima della riforma in tal senso sembra Salafia, op. cit., 399.

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emissione di azioni, la delega potrebbe fissare il prezzo minimo lasciando agli amministratori di aggiornarlo secondo un indice preciso tratto dall’andamento di borsa precedente all’esecuzione, ovvero una delega che consenta correzioni in eccesso o in difetto entro percentuali predeterminate correlate ad andamenti crescenti o decrescenti o altri criteri simili, in relazione alla variazione dei corsi di borsa o dei valori patrimoniali oltre soglie predeterminate27. In ogni caso, sarebbe necessario che “agli amministratori vengano indicati criteri precisi di determinazione definitiva del prezzo, e non indicazioni generiche tali da consentire in concreto una fissazione che si sottragga ai criteri in precedenza proposti ed illustrati dagli amministratori e dalla assemblea accolti”28. Tale soluzione sembra, però, svilire il significato della riforma, configurando una sorta di mini delega che deve trovare attuazione entro termini brevi e prossimi alla previsione o alla introduzione della clausola statutaria di delega. Una seconda soluzione, invece, è quella di applicare interamente la disciplina dettata a tutela del socio dall’art. 2441 sesto comma, riferendola alla deliberazione consiliare. E’ vero che l’informazione data ai soci attraverso il deposito delle relazioni di legge presso la sede sociale ecc. prima della deliberazione consiliare ha una valenza differente rispetto allo stesso adempimento realizzato prima della delibera assembleare di aumento. Infatti, l’informazione che precede la deliberazione consiliare non ha la funzione di preparare alla discussione ed al voto i soci, ma avrà tuttavia la minor funzione di eventualmente provocare una delibera assembleare di revoca della delega o comunque potrà essere base per un impugnazione da parte dei soci di una deliberazione consiliare “che leda i loro diritti” così come dalla riforma espressamente contemplato nel nuovo art. 2388,c.c. Passando alla trattazione della s.r.l. la riforma, a differenza del vecchio testo normativo, prevede espressamente la possibilità che l’aumento del capitale sociale possa essere deliberato, oltre che dall’assemblea dei soci, dagli amministratori, a condizione che ciò sia previsto dall’atto costitutivo o da una sua successiva modificazione. L’art. 2481, 1° comma, recita infatti “l’atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale, determinandone i limiti e le modalità di esercizio” Prima della riforma la giurisprudenza negava la possibilità di applicare analogicamente alle s.r.l. l’art. 2443 c.c., che non era richiamato dall’art. 2495 c.c., in considerazione del più stretto contatto fra i vari organi e per la più diretta partecipazione dei soci alla gestione sociale, propri di questo tipo di società29.Il legislatore della riforma, peraltro, non si limita ad ammettere per la s.r.l. l’aumento di capitale delegato, ma detta una disciplina per certi aspetti più liberale rispetto a quella dettata dal nuovo art. 2443 per le s.p.a.. Infatti, il nuovo testo della norma da ultimo richiamata in materia si s.p.a., prevede che la facoltà di aumentare il capitale sociale:- possa essere esercitata dagli amministratori in una o più volte; - sino ad un ammontare che la disposizione attributiva della facoltà stessa deve predeterminare;- debba essere esercitata entro il limite temporale massimo di cinque anni decorrenti dalla data dell’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto costitutivo della società o della deliberazione che modifica l’atto costitutivo. Al contrario, l’art. 2481 c.c., 1° comma, dettato per le s.r.l., rimette ai soci il potere di stabilire nell’atto costitutivo le condizioni cui gli amministratori dovranno attenersi nell’esercizio della facoltà ad essi

27 V. Trib.,Vicenza, 23.3.1999, in Dir. fall., 2000,II,566. 28 V. Marchetti, Comm. All’art. 22 D.p.r. 10.2.1986, n. 30, in Nuove leggi civ. comm., 1988, 198.. 29 V. Trib. Cosenza, decr., 24.1.1986, in Società, 1986, 637; Trib. Napoli, decr., 1.9.1992, in Società, 1993, 354; Trib. Lecce, decr., 20.2.1990, in Società, 1990, 686; Trib. Udine, decr., 9.4.1994 e App. Udine, decr., 6.7.1994, in Società, 1994, 1505.

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delegata, e ciò sia per quanto attiene ai limiti quantitativi (dell’aumento) e temporali, che alle modalità di esercizio della delega. Secondo la dottrina, l’atto costitutivo potrebbe spingersi sino a conferire agli amministratori ampia discrezionalità nella scelta delle modalità di attuazione dell’aumento di capitale, autorizzandoli a deliberare l’aumento e lasciandoli, al contempo, arbitri di decidere se i sottoscrittori (al limite anche estranei alla compagine sociale) dovranno eseguire il conferimento in danaro ovvero in natura30. Questa interpretazione non sembra condivisibile. La giurisprudenza ha, in passato, affermato (sembra correttamente) sia che l’assemblea non può rimettere agli amministratori di decidere se il deliberato aumento di capitale debba essere eseguito a pagamento o a titolo gratuito, dovendo essere l’assemblea ad identificare i mezzi patrimoniali destinati a confluire nel capitale31. La giurisprudenza ha pure precisato che la scelta se l’aumento a pagamento possa essere liberato in denaro ovvero in natura; spetta solo alla assemblea che deve inequivocabilmente scegliere le modalità attuative dell’aumento stesso32. La tutela legislativa approntata a garanzia della parità di trattamento tra soci, che si spinge sino a prevedere, in determinate ipotesi, come regola l’unanimità, non sembra conciliarsi con una maxi delega che consenta agli amministratori di fare liberamente ciò che credono. Non sembra correttivo sufficiente che tale facoltà di scelta debba essere attribuita esplicitamente nella delibera di delega, e debba ovviamente articolarsi nell’ambito delle modalità previste in generale dall’atto costitutivo per l’attuazione degli aumenti di capitale; il che vale, in particolare, per la possibilità di attuare l’aumento anche mediante offerta di sottoscrizione a terzi e mediante conferimenti in natura. Riguardo alla previsione di delega, sembra che la delega all’aumento di capitale possa essere conferita agli amministratori anche con successiva modifica dell’atto costitutivo. L’art. 2481-bis non contempla espressamente questa possibilità, viceversa prevista nell’art. 2443, in materia di s.p.a.; ma la mancata previsione espressa sembra si possa giustificare proprio in ragione della maggiore autonomia attribuita ai soci di s.r.l. in ordine al contenuto della delega ed in particolare alla mancata previsione di un limite temporale al suo esercizio. In caso di aumento delegato – e ove l’amministrazione sia affidata a più persone - la relativa decisione è di competenza del Consiglio di amministrazione (art. 2475, u.c.); essa “deve risultare da verbale redatto, senza indugio, da notaio, deve essere depositata ed iscritta a norma dell’art. 2436 c.c.” (art. 2481). La lettura coordinata delle norme appena richiamate lascia intendere che la decisione debba essere adottata dagli amministratori secondo le regole del metodo collegiale, anche quando l’atto costitutivo preveda che l’amministrazione sia esercitata disgiuntamente o congiuntamente (con applicazione degli artt. 2257 e 2258 c.c.) e pur in presenza di una clausola statutaria che preveda che le decisioni possano essere adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto. Pertanto la decisione dell’organo delegato potrà essere adottata, anche in quei casi, col voto favorevole della maggioranza degli amministratori ed all’esito di una riunione ritualmente convocata e diretta, essendo gli altri sistemi di decisione incompatibili con la richiesta verbalizzazione notarile, preordinata peraltro al controllo di legalità di cui all’art. 2436. Resta inteso che tali modalità dovranno essere rispettate anche quando la decisione sia adottata dall’amministratore unico. In tal caso, non sembra, viceversa, necessaria la partecipazione del Collegio sindacale, se nominato, all’atto dichiarativo dell’amministratore unico. L’art. 2405, riguarda e non va 30 V. Iannello, op. cit. 31 V. Trib. Milano, decr., 11.12.1985, in Società, 1986, 534. 32 V. App. Trento, 16.3.1999, in Società, 1999,1077.

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oltre l’ipotesi di amministrazione collegiale, poiché soltanto in questo tipo di organo può darsi una fase pre-deliberativa: un coro nel coro, non un coro attorno al protagonista33. L’art. 2481, prevedendo che il verbale notarile deve essere redatto senza indugio, sembra accogliere l’opinione secondo cui il momento della verbalizzazione non deve coincidere necessariamente con il momento dell’accertamento del fatto da documentare (si veda pure l’art. 2375)34. Conseguentemente, il notaio potrà procedere alla redazione del verbale anche dopo lo scioglimento della riunione, purché entro un ragionevole lasso di tempo, corrispondente al massimo a quello necessario per l’adempimento dei conseguenti obblighi di deposito ed iscrizione della deliberazione. L’aumento gratuito del capitale nella riforma Nella vecchia disciplina della s.r.l. non era disciplinato nemmeno per richiamo l’aumento gratuito del capitale35. La relazione al Re (n. 1019) sottolineava che l’art. 2442,c.c., che disciplinava l’aumento del capitale mediante imputazione di riserve nella s.p.a., non era stato richiamato perché “riflette le modalità di aumento proprie del capitale azionario”. Secondo la dottrina, la spiegazione contenuta nella relazione ministeriale valeva in realtà solo con riferimento al secondo ed al terzo comma dell’art. 2442,c.c., Infatti, l’omogeneità di caratteristiche tra vecchie e nuove azioni, richiesta dal secondo comma dell’art. 2442, sarebbe espressione di un principio, dettato dall’art. 2348,comma primo,c.c., esclusivamente per la s.p.a. laddove nella s.r.l. le quote di conferimento dei soci, potrebbero essere di diverso ammontare (art. 2474, comma secondo,c.c.) e caratterizzate, entro certi limiti, da obblighi e diritti diversi, mentre l’alternatività tra emissione di nuove azioni e aumento del valore nominale delle azioni già in circolazione, prevista dal terzo comma, contrasterebbero con il principio di unitarietà della quota di s.r.l. che implicherebbe, nel caso di aumento del capitale, esclusivamente la possibilità di aumento del valore nominale della stessa. Viceversa, il primo comma dell’art. 2442,c.c., non parrebbe rispondere ad una ratio esclusiva della s.p.a. e pertanto ci si troverebbe di fronte ad una lacuna normativa per colmare la quale non resterebbe che far ricorso all’applicazione analogica dell’art. 2442,c.c.36. Contrariamente a quanto ora riportato, parte della dottrina ha sostenuto la natura eccezionale dell’art. 2442 e la conseguente impossibilità di una sua applicazione analogica (art. 14 disp. Prel. c.c.)37. A tale obiezione la dottrina ha controdedotto che sembrerebbe che una disposizione possa essere definita eccezionale solo in base ad una valutazione politico-giuridica, in modo da comprendere quelle leggi la cui applicazione sia pericolosa o inopportuna ai fini di un corretto funzionamento del meccanismo di produzione del diritto. Nel caso di specie, la scelta del legislatore sembrava invece indirizzata solo ad eliminare dal tessuto normativo della disciplina delle società a responsabilità limitata la regola non richiamata. Attribuire a questa scelta

33 V. Giuliani, Delega per l’aumento di capitale nella s.p.a., in Riv. not, 1962, 789. 34 V. sull’argomento Busi, L’assemblea e le decisioni dei soci, cit. 35 V. Busi, Divieto di imputazione a capitale della riserva legale e omologazione parziale, in Notariato, 1996, 255; Calandra Bonaura, L’aumento di capitale nelle società a responsabilità limitata, in A.a.V.v., studi in onore di Gastone Cottino, Milano,Vol. I, 1119. 36 V. Busi, ult. cit. e dottrina e giurisprudenza ivi citati. 37 V. Cera, Il passaggio di riserve a capitale, Milano, 1988,44.

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un ulteriore e più grave significato di divieto di applicazione della regola omessa nel rinvio sembrava una scelta interpretativa arbitraria38. Peraltro, la omissione del legislatore se da un lato poteva leggersi come divieto totale dall’altro poteva leggersi, viceversa, come possibilità di aumentare il capitale utilizzando liberamente, a differenza di quanto accadeva nella s.p.a., sia la parte disponibile che quella indisponibile delle riserve39. Il legislatore prevede ora al primo comma dell’art. 2481-ter che l’aumento può essere attuato imputando a capitale “le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio, in quanto disponibili”. Anche nella s.p.a. il legislatore ha modificato l’originario disposto dell’art. 2442, c.c., sostituendo in tale sede all’originario inciso “imputando a capitale la parte disponibile delle riserve e dei fondi iscritti in bilancio” la medesima formulazione sopra utilizzata per la s.r.l. ossia “le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili”. La vecchia formulazione aveva consentito a parte della dottrina di affermare, proprio in base alla lettera della norma, che tutte le riserve, compresa quella legale, fossero utilizzabili per un operazione di aumento gratuito del capitale. Si era, infatti osservato che “l’ostacolo derivante dalla formulazione dell’art. 2442,c.c., che si riferisce alla parte disponibile delle riserve, poteva essere superato con la considerazione che, se il legislatore avesse voluto qualificare certe riserve come indisponibili, avrebbe parlato di “riserve disponibili” e non di “parte disponibile delle riserve”. La lettera della legge sembrava, invece, dimostrare che ogni categoria di riserve (legali o statutarie) può essere in tutto o in parte disponibile o indisponibile in conseguenza della particolare situazione della singola riserva ed alla sua particolare destinazione40. Sia prima della riforma che dopo, almeno per quanto risulta dai primi commenti, la dottrina sembra ritenere che la riserva legale non sia disponibile41; tuttavia, le motivazioni a supporto di tale affermazione, ora come allora, non sembrano convincenti. Sembra opportuno ricordare che il legislatore, sia per la riserva legale sia per la riserva sopraprezzo, di cui si parlerà successivamente prevede la “indistribuibilità” ai soci non la “indisponibilità” al fine di aumentare gratuitamente il capitale. Si è detto che il divieto di utilizzare la riserva legale in sede di aumento è determinato dal fatto che diversamente, “i valori che devono essere impiegati al fine di salvaguardare e garantire quei valori capitale reputati essenziali per la vitalità dell’impresa passano ad essere essi stessi valori essenziali per la vitalità dell’impresa: insomma da valori che devono garantire diventano valori che devono essere garantiti. Il salto funzionale non può essere più evidente”42. Si è scritto che “se da un lato è pur vero che nel nostro ordinamento non esiste un esplicito divieto di smobilizzo di tale riserva in caso di aumento nominale del capitale, dall’altro è anche vero che, con varie norme, il legislatore si è preoccupato di tutelarne l’integrità ed il principio della sua non distribuibilità ne è l’esempio più significativo. La riserva legale, infatti, risulta costituita da utili che non possono mai essere attribuiti ai soci in quanto vincolati ex lege e, pertanto, corollario del principio di non distribuibilità è quello di indisponibilità”43. Anche la giurisprudenza ha sostenuto che “la 38 V. Busi,ult. cit., 256. 39 Per la soluzione negativa sembra Barbuto, Imputazione a capitale della riserva legale, in Impresa, 1986, 669. 40 V. Busi, op.cit., 258; in tal senso anche Quatraro B.-D’Amora-Israel-Quatraro G., Operazioni sul capitale, Milano, 2001, 550. 41 V. Racugno, Le modificazioni del capitale sociale nella nuova srl, in Guida completa al nuovo diritto societario, inserto di Italia oggi, 1.7. 2003, 211. 42 V. Castellano, Riserve e organizzazione patrimoniale nelle società per azioni, Milano, 2000, 267. 43 V. Fabrizio, Smobilizzo di riserve in sede di aumento del capitale sociale, in Società, 1993, 754.

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imputabilità o meno di una riserva a capitale va verificata alla luce dello scopo in vista del quale il legislatore …ha previsto la indisponibilità. Ciò significa, quindi valorizzare lo scopo per il quale la riserva legale è stata prevista dal legislatore e che non par dubbio essere quello della sua esclusiva finalizzazione a riparare le perdite…D’altronde occorre tener conto che neppure è condivisibile che l’imputazione a capitale addirittura assoggetterebbe la parte del netto ad un vincolo ancora più rigido….. si è, infatti, dimostrata l’infondatezza di tale affermazione con la esaustiva – ed insuperata – considerazione che, mentre la riserva legale è intangibile se non si riduce il capitale sociale, è invece riducibile se la si imputa a capitale, sia pure con l’osservanza della disciplina dell’art. 2445 cod. civ., sicché è ipotizzabile un’operazione suscettibile di privare il capitale del baluardo della riserva, dopo che essa è stata imputata a capitale. Dunque, pur a prescindere da un eventuale scopo fraudolento, è certo che il mutamento di qualificazione determina l’apertura di un varco per la distribuzione della riserva, che invece non si apre affatto, se la riserva non è imputata a capitale”44. Sembra preferibile ritenere ammissibile, anche dopo la riforma, l’imputabilità a capitale della riserva legale per le seguenti ragioni.. L’imputazione a capitale della riserva legale anziché danneggiare i creditori sociali, li agevola sia perché assoggetterebbe la corrispondente aliquota di attivo alla più rigorosa disciplina di variabilità del capitale sociale sia perché imporrebbe nuovi accantonamenti di utili futuri per ricostituire la riserva legale ed in misura proporzionalmente superiore al passato considerata la maggiore entità del nuovo capitale; l’art. 2430,c.c., ove si dispone la reintegrazione obbligatoria della riserva legale qualora venga diminuita per qualsiasi ragione, sembrerebbe ipotizzare varie ragioni di diminuzione della riserva legale non necessariamente per cause obbiettive (copertura delle perdite) ma anche per volontà di qualche organo “viene diminuita; la capitalizzazione della riserva legale può, in determinati casi, rispondere all’interesse della società (si pensi alla necessità di adeguamento del capitale imposto dalla legge per lo svolgimento di determinate attività), potrebbe altresì risultare utile nel caso, ad esempio, in cui la società preveda di emettere successivamente un prestito obbligazionario per un importo pari a quello del capitale aumentato; l’affermazione secondo cui la riserva legale è intangibile se non si riduce il capitale e diventa invece distribuibile se la si imputa a capitale, a mezzo di una riduzione nominale del capitale ex art. 2445,c.c., non sembra corretta: in primo luogo, perché i creditori sarebbero comunque tutelati dal diritto di opposizione; in secondo luogo, perché l’assemblea potrebbe comunque legittimamente procedere alla riduzione del capitale, riducendo parzialmente, sia pure indirettamente, la riserva legale che resterebbe sempre pari ad un quinto del capitale, con la possibilità di distribuire ai soci la riserva per la parte eccedente il nuovo limite proporzionale al diminuito capitale45. Alla luce della riforma sembra, a maggior ragione, confermabile quanto sopra. In primo luogo, perché il legislatore ha rinunciato, nella riduzione volontaria del capitale, al limite dell’esuberanza, ossia alla possibilità di ridurre il capitale volontariamente solo quando lo stesso risulti esuberante per il conseguimento dell’oggetto sociale. La vecchia normativa portava la dottrina ad affermare che il limite dell’esuberanza era dettato dall’interesse generale ad evitare il rimborso ai soci dei conferimenti prima dello scioglimento della società e del soddisfacimento di tutti i creditori. Tale interesse era manifestato non solo dai limiti imposti alla riduzione dallo stesso art. 2445,c.c., ma anche dagli artt. 2623,n.1 che prevedeva sanzioni per gli amministratori quando eseguano una riduzione di capitale in violazione dell’art. 2445, rafforzato dal disposto dell’art. 2623, n. 2, che puniva gli amministratori che comunque restituiscano ai soci palesemente o sotto forme simulate i conferimenti o

44 V. Trib. Napoli, 30.6.1993, in Società & diritto, 1994, 241; Trib. Bologna, 3.12.1995, in Società, 1996, 688; Trib. Cassino, 7.2.1992, in Foro it., 1993,I, 600; Trib. Torino, decr., 8.11.1985, in Impresa, 1986, 671. 45 V. Busi, op.cit., 258.

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li liberino dall’obbligo di eseguirli, fuori del caso di cui all’art. 2445,c.c.46. Come si approfondirà in seguito, il legislatore della riforma elimina con un colpo di spugna tutti i limiti sopra riportati, e attribuisce ai soci la “competenza esclusiva e discrezionale in materia di riduzione volontaria del capitale”. Non solo, ma nella s.r.l. non vi è neppure più l’obbligo, confermato per la s.p.a., di indicare le ragioni e le modalità della riduzione nell’avviso di convocazione. Infine, sia per la s.p.a. che per la s.r.l. “il veto dei creditori sociali è ora espressamente soggetto a scrutinio giudiziale nel merito, sicché la ritenuta assenza di pericolo di pregiudizio per i creditori non costringerà la società a prestare onerosa garanzia per poter dare esecuzione alla delibera in pendenza di opposizione”47. In un quadro normativo dove il legislatore ha lasciato piena discrezionalità ai soci circa il disinvestimento del capitale sembrerebbe “anomalo” che lo stesso intenda, viceversa, mantenere una disciplina di “indisponibilità” delle riserve. Per un principio di simmetria ciò che può distrarsi discrezionalmente dalla destinazione a capitale sembra si possa ugualmente discrezionalmente imputarsi allo stesso. In tale ottica, l’inciso “in quanto disponibili”, riferito alle riserve imputabili a capitale, sembra pertanto da riferire alle “regole dettate dai soci stessi” piuttosto che ad un vincolo di legge. In tale prospettiva, il divieto di imputare a capitale la riserva si potrebbe tuttalpiù considerare dettato “solo a tutela dei soci di minoranza”. Più precisamente, a tutela dell’interesse di detti soci a che la società conservi un nucleo di beni sufficiente per il conseguimento dell’oggetto sociale ed un capitale sufficiente a scongiurare la facile verificazione di una delle ipotesi di cui agli artt. 2446 e 2447, c.c., che potrebbero portare allo scioglimento della società o ad operazioni in qualche modo dirette a diminuire la quota di partecipazione di alcuni soci48. E’ evidente, però, che adottando tale chiave di lettura il problema si sposta eventualmente sulla necessità del consenso unanime dei soci o,viceversa, sulla sufficienza del principio maggioritario49, restando impregiudicata tuttavia la questione della legittimità e fattibilità dell’operazione. La soluzione positiva del problema della imputabilità a capitale della riserva legale consente, tra l’altro, di risolvere un ulteriore e collegato problema, ossia la possibilità di imputare liberamente a capitale la riserva sopraprezzo, problema la cui soluzione diverrà, alla luce della riforma, di fondamentale importanza. Infatti, chi sostiene la non imputabilità a capitale della riserva legale applica tale regime di indisponibilità anche all’intera riserva sovraprezzo, sino a quando ex art. 2431 la riserva legale non abbia raggiunto il limite massimo stabilito dall’art. 2431,c.c.50. Più nello specifico la giustificazione normalmente addotta per spiegare la disciplina di cui all’art. 2431,c.c., è che la riserva legale e la riserva sovraprezzo hanno sostanzialmente la stessa funzione. Si è affermato, prima della riforma, che i soci sono liberi di determinare quanti conferimenti imputare a capitale e quanti a sovraprezzo “ma la legge non consente che questa scelta si risolva in un sostanziale aggiramento della disciplina imperativa, quale si realizzerebbe se i soci potessero

46 V. Busi, Questioni in tema di riduzione del capitale per perdite e per esuberanza, in Vita not., 2001, 1614 e dottrina e giurisprudenza ivi citati. 47 V. Pinnarò, in A.a.V.v., La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, Torino, 2003, sub art. 2482, 197. 48 V. Busi, ult. cit., 1614. 49 V. Busi, L’assemblea e le decisioni dei soci, in corso di pubblicazione edito Cedam. 50 In materia di sovraprezzo vedi recentemente: Comuzzi, La riserva sovraprezzo delle azioni: creazione, distribuzione e impiego, in Dir. e prat. delle società, 2003, n. 11, 37; Odorizzi, Determinazione del sovraprezzo negli aumenti di capitale a pagamento, in Dir. e prat. delle società, 2002, 19; Salafia, Limiti del divieto di distribuzione della riserva da sovrapprezzo azioni, in Società, 2002, 175; Sifoni-Alonzo, Aumento di capitale e determinazione del prezzo delle azioni di nuova emissione, in Società, 2002, 828; Balzarini, Emissione di nuove azioni in sede di aumento del capitale e determinazione del sopraprezzo, In Società, 2002, 186;

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riappropriarsi dei conferimenti effettuati a titolo di sovraprezzo: disciplina imperativa la quale pretende che il capitale sia assistito da un ulteriore aliquota di mezzi propri che tendenzialmente dovrebbe assestarsi nella misura di un quinto del capitale stesso”51. Peraltro, se l’indistribuibilità (e non imputabilità a capitale) del sopraprezzo, nel caso di sovraprezzo obbligatorio finalizzato a rendere equivalenti le posizioni di vecchi e nuovi soci, potrebbe giustificarsi con l’esigenza di evitare operazioni di aggiotaggio, o di pura speculazione, realizzate chiedendo un sovraprezzo che sia immediatamente distribuibile (o imputabile a capitale con aumento gratuito a favore anche dei vecchi soci) che potrebbe nascondere la volontà di speculare sulla buona fede altrui, lucrando sulla percezione di un sovraprezzo la cui ripartizione di fatto diminuirebbe l’apporto di rischio conferito a suo tempo dai vecchi soci (o ne aumenterebbe la partecipazione al capitale)52, non sembra, viceversa, che abbia alcun significato (in particolare nel caso di imputazione al capitale) nel caso di sopraprezzo in sede di costituzione della società o anche in sede di aumento del capitale, qualora accanto al capitale sociale non esista alcun patrimonio aggiuntivo, che potesse giustificare un prezzo di emissione delle azioni o quote superiore al loro valore nominale53. Tuttavia, parte della dottrina sostiene che, per tutte le ipotesi di sovraprezzo, “la ragione della indistribuibilità e inimputabilità a capitale sta tutta nella natura di apporti dei valori di cui si dice, perché in vero non avrebbe senso, da un lato, avvertire l’esigenza di dotare l’impresa comune di altri valori oltre quelli corrispondenti al capitale e nel contempo assoggettarli ad un regime di distribuibilità-imputabilità a capitale. Ma se così è, se, in altri termini, la disciplina del sopraprezzo si spiega nell’ambito di una generale regola che coniuga la natura di apporto del valore con una sua naturale indistribuibilità, è conseguente valutare la distribuibilità- imputabilitità a capitale dei valori in questione come eccezione54. La soluzione non sembra condivisibile. In particolare, nelle s.r.l. “il nuovo art. 2464,c.c., nei suoi primi due commi, sancisce due principi generali, rivolti il primo (il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale) a tutela dei terzi, il secondo (possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica) a tutela dell’autonomia dei soci contraenti. Il significato della norma contenuta nel primo comma può cogliersi attraverso un’opportuna valorizzazione dell’avverbio complessivamente e dell’aggettivo globale. Dal momento che la norma è posta a presidio esclusivamente dell’interesse dei terzi all’integrità del capitale sociale e non intende condizionare in alcun modo l’autonomia contrattuale dei soci in sede di stipulazione dell’atto costitutivo, è necessario concludere, proprio grazie agli anzidetti elementi lessicali, che nella nuova società a responsabilità limitata non sussiste un principio analogo a quello esistente oggi per le società azionarie e codificato nell’attuale art. 2346, c.c., secondo cui ciascun conferimento deve coprire almeno il valore della parte di capitale sottoscritta dal conferente…L’apertura all’autonomia privata appare assolutamente significativa, potendosi ipotizzare, a seguito dell’entrata in vigore della riforma, la piena legittimità di sopraprezzi non proporzionali, di sopraprezzi utilizzati per coprire parte del capitale attribuito ad un altro socio il cui conferimento non risulta all’uopo capiente e, ancora di contratti di società stipulati secondo lo schema dell’art. 1411 c.c. (contratto a favore di terzo), in cui solo uno o più soci eseguono il conferimento necessario per la formazione dell’intero capitale”55.

51 V. Mucciarelli, Il sopraprezzo delle azioni, Milano, 1997, 376. 52 V. Pic, Delle società commerciali, Vol. II, Milano, 1916, 263. 53 V. Salafia, ult. cit.178. 54 V. Castellano, ult. cit., 290. 55 V. prima della riforma: Montesano, Sottoscrizione di azioni a favore di terzi, in Società, 1995,55.

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Quindi, per la s.r.l., sicuramente pieno utilizzo di sovraprezzi, che tali sono nella maggior parte dei casi solo contrattualmente, ma non contabilmente, visto che sono destinati a coprire la partecipazione degli altri soci, e, per la s.p.a., “forse” solo sopraprezzi reali, qualora si ritenga, che l’inciso derogatorio “in nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale” di cui all’art. 2346,c.c., non sia sufficiente a scardinare l’inciso del comma precedente secondo cui “a ciascun socio è assegnato un numero di azioni proporzionale alla parte del capitale sottoscritta e per un valore non superiore a quello del suo conferimento”56. In ogni caso, sovraprezzi contrattuali, attribuiti non per creare una ricchezza aggiuntiva, ma per equilibrare il minusvalore di apporti di altri soci, necessari per la società, ma non valutabili patrimonialmente, o valutabili per un valore esiguo. Se si aggiunge che il sopraprezzo è usato ormai comunemente per coprire le perdite ulteriori in casi di azzeramento del capitale57, si comprende la complessità del fenomeno riassunto genericamente con il termine “sopraprezzo”. Nella maggior parte dei casi sopra previsti il sovraprezzo risulta essere meramente fittizio, (vedi la copertura delle perdite o la copertura dell’altrui conferimento), in altre è finalizzato a equilibrare le partecipazioni o a predisporre un apporto eventuale per pareggiare un conferimento al momento della costituzione della società intangibile e non accertabile nella sua entità, come l’apporto della propria esperienza professionale, di un portafoglio clienti, o di un Know How58, con la prospettiva, una volta avviata la società e valutato il “particolare apporto”, di monetizzarlo in un momento successivo, premiando il socio apportante mediante un aumento gratuito del capitale mediante imputazione a capitale della riserva sopraprezzo costituita unicamente dal socio capitalista. Il nuovo ruolo del sovraprezzo nella riforma delle società, le ragioni sopra esposte, con riferimento alla riserva legale, in materia di revisione legislativa della riduzione volontaria del capitale, la dubbia ammissibilità di una trasformazione della riserva sovrapprezzo in riserva legale (al fine di liberare dal vincolo, una volta integrata quest’ultima, le restanti somme a riserva sopraprezzo, visto che la riserva legale può essere costituita per previsione legislativa solo mediante accantonamento di utili netti annuali), oltre alla “inesistenza” di una norma espressa che vieti non soltanto la distribuzione della riserva, ma anche la sua imputabilità a capitale, sembrano condurre, anche ed a maggior ragione per la riserva sopraprezzo azioni all’affermazione che l’inciso “in quanto disponibili” indicato nella norma di legge si riferisca alle riserve disponibili per l’aumento del capitale, indipendentemente dalla loro particolare fonte di costituzione e soprattutto indipendentemente dalla loro distribuibilità ai soci. Infatti, disponibilità per l’imputazione a capitale e distribuibilità sono concetti tra loro non coincidenti, ma diversi59. In conclusione per indisponibilità delle riserve sembra si debba intendere principalmente 56V. Agostini, La costituzione, i conferimenti e le quote della s.r.l., in "http://www.federnotizie.org/riforma/agostini.htm" ; Felicioni-Ripa, Conferimenti discordanti dalle azioni, in Italia oggi, 2002,27; Grippo, La società a responsabilità limitata, in A.aV.v, La nuova riforma delle società, Roma, 2003, 9; Notari, in A.aV.v., Diritto delle società di capitali, manuale breve, Milano, 2003, 45. 57 V. Busi, Azzeramento e ricostituzione del capitale nelle s.p.a., 1998, 143; Busi, Azzeramento e ricostituzione del capitale nelle società per azioni. Tecniche contrattuali, in Notariato, 1995, 475; Busi, Prelazioni sull’inoptato nelle s.p.a. non quotate, in Notariato, 2001, 401. 58 Circa l’oggetto dei conferimenti : Villa, Srl, porte aperte ai soci lavoratori, in Italia oggi, 14.1.2003, 62; Busani, Nelle srl conferimenti a tutto campo, in Il sole-24 ore, 7.2.2003, 27; De Angelis, Srl, conferimenti stimati dai revisori, in Italia oggi, 20.5.2003, 34; Ginevra, Sì ai conferimenti in natura atipici, in Italia oggi, 25.1.2003, 34. 59 V. Busi, Divieto…, cit., 257; Colombo, in Trattato delle società per azioni, a cura di Colombo e Portale, vol. VII, 1,512; Fortunato, Capitale e bilancio nella s.p.a., in Riv. soc., 1991, 154; Costa, Le riserve nelle società, in Enc. Dir. Vol. XL, Milano, 1227.

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la disciplina statutaria che vincoli la formazione e la destinazione delle riserve stesse, durevolmente sottoponendole a particolari destinazioni60, dovendosi, viceversa, ritenere liberamente imputabili a capitale sia la riserva legale che la riserva sopraprezzo. Il secondo comma dell’art. 2481-ter precisa, in materia di s.r.l. che, in caso di aumento gratuito, la partecipazione proporzionale del socio al capitale rimane invariata. Evidentemente, il legislatore prende atto che può verificarsi un aumento di capitale mediante imputazione di riserve, anche qualora vi siano uno o più soci che godano di una partecipazione privilegiata agli utili di esercizio, o vi siano soci fondatori che si siano riservati nell’atto costitutivo una particolare partecipazione agli utili. In tal caso le delibere che destinano a fondo di riserva la maggior parte degli utili di esercizio e la successiva deliberazione che utilizza detta riserva per un aumento gratuito del capitale sembra opportuno che siano adottate all’unanimità, in quanto potenzialmente lesive dei diritti del singolo socio ex art. 2468,c.c. Ancora, ci si può chiedere se la norma, ove richiede la invariabilità delle partecipazioni al capitale in occasione dell’aumento gratuito, sia derogabile, sia pure con consenso di tutti i soci. La risposta sembra possa essere positiva, perlomeno quando la deroga consenta a chi per contratto sociale dovrebbe beneficiare di una maggior partecipazione agli utili di trasformare con il consenso degli altri soci tale maggior utile in una maggiore partecipazione al capitale, impegnando in tal modo l’utile nell’attività sociale. L’aumento di capitale a pagamento. La ratio ispiratrice del diritto di opzione nella s.p.a. e del diritto di sottoscrizione nella s.r.l. L’art. 2481 bis stabilisce che “in caso di decisione di aumento di capitale sociale mediante nuovi conferimenti spetta ai soci il diritto di sottoscriverlo in proporzione delle partecipazioni da essi possedute”. Viceversa, l’art. 2441,c.c., in materia di s.p.a., rimasto sostanzialmente invariato, dispone che “le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute…coloro che esercitano il diritto di opzione, purchè ne facciano contestualmente richiesta, hanno il diritto di prelazione nell’acquisto delle azioni e delle obbligazioni convertibili in azioni che siano rimaste non optate”. Nei commi successivi la norma prevede poi una serie di cause di esclusione del diritto di opzione e la disciplina dell’operazione in tali ipotesi. La dottrina e la giurisprudenza, già prima della riforma, si interrogavano sulla eventuale diversa valenza del diritto di opzione e/o, ora, diritto di sottoscrizione, nella s.p.a. e nella s.r.l., visto il mancato richiamo nella disciplina della s.r.l. dei commi dell’art. 2441,c.c., successivi al primo (in particolare il quinto comma che prevede nella s.p.a. l’esclusione del diritto d’opzione qualora particolari esigenze della società lo esigano). Dopo la riforma, si è affermato che per la spa, è lo stesso ordinamento, oggi come domani, a pretendere che l’esclusione di tale diritto debba presentarsi come mezzo indispensabile per la realizzazione di uno specifico interesse. Si pensi a un piano di risanamento in cui la ricostituzione del capitale sociale (meglio capitalizzazione del passivo) sia subordinata alla rinuncia del diritto di opzione da parte dei vecchi azionisti, per permettere l’ingresso del creditore banca nel capitale di rischio. In tal caso, lo specifico interesse della società coincide proprio con la buona riuscita del programma e con il risanamento della stessa: solo in tal modo possono essere superati gli angusti limiti dell’art. 2441, quinto comma. Niente di tutto questo nella rinnovata disciplina delle srl, in cui l’interesse della società coincide con quello dei soci, non altro da quello della società. Tant’è che le eventuali limitazioni al

60 V. Weigmann, Le riserve statutarie, in Giur. Comm., 1984, II, 17.

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diritto di opzione degli altri soci promanano dalla clausola inserita all’uopo nell’atto costitutivo, strumento principe con il quale i soci modulano il funzionamento della società sulle proprie esigenze personali. In questa sede come in altri contesti…le norme riflettono la diversa natura dei due tipi societari riformati. Volendo rispolverare al meglio vecchi concetti, nella spa permane un interesse della società che trascende quello dei singoli soci, ciò che rivaluta in parte la teoria istituzionalistica, mentre nella s.r.l. è l’accordo originario, stipulato dal socio al momento del suo ingresso nella società, ad accompagnarlo fino all’uscita, alle stesse condizioni per le quali vi è entrato”61. L’affermazione sopra riportata non sembra condivisibile. Non pare configurabile nella s.p.a. un interesse della società, peraltro tutelato dal legislatore, nei confronti di un diverso interesse del socio e, viceversa, nella s.r.l. un interesse della società coincidente con quello del socio. Come evidenziato dalla dottrina, già prima della riforma, anche l'interesse tutelato dall'art. 2441 nel suo complesso, attraverso la duplice previsione dei diritti di opzione e prelazione è unico ed è quello di "conservare l'equilibrio originario all'interno della società, evitando, se possibile, l'ingresso di terzi nella società e mantenendo, se possibile, le stesse quote di partecipazione in capo ai soci62. A conferma di quanto detto sembra pesare tutta la disciplina delle società di capitali, che appare ispirata al fine di garantire "l'interesse sociale" e non a garantire un eventuale "interesse individuale" di colui che partecipa alla società. Sulla base della considerazione che il diritto di opzione e prelazione nella s.p.a. e il diritto di sottoscrizione nella s.r.l. garantiscono entrambi principalmente un interesse della società ossia il mantenimento degli originari equilibri all’interno della società e di conseguenza la coesione e l’armonia tra i soci, resta da verificare se la disciplina dei due modelli nel caso di aumento a pagamento del capitale si differenzi parzialmente e per quali motivi. Partendo dal secondo quesito, ossia il motivo della eventuale diversa disciplina in materia di aumento a pagamento della s.p.a. rispetto alla s.r.l., sembra si possa affermare che la diversità derivi non tanto in conseguenza della generica invocazione della “valorizzazione dell’elemento personalistico attuata dal legislatore della riforma con riferimento alle s.r.l.”63, quanto piuttosto: in primo luogo, in conseguenza dell’esigenza propria della s.p.a. di conciliare l’interesse sociale alla coesione tra i soci, esaltata dal regime della s.r.l.64, con altri interessi meritevoli di tutela. Infatti, nella s.p.a. non si è “solo in presenza di un interesse delle parti, perché questi grossi organismi economici interessano i terzi e l’economia generale. Il legislatore non può lasciarli in balia di un capriccio o di un malinteso interesse degli stipulanti; l’autonomia privata in questo caso è limitata, limiti nascenti da principi imperativi alla cui attuazione il legislatore non può rinunciare, tra cui la necessità di funzionamento della società con azioni diffuse tra il pubblico”65; in secondo luogo, la riforma della s.r.l. ha mirato, attraverso il rafforzamento del diritto del socio a mantenere immutata la sua posizione e partecipazione nella società, a garantire in qualche modo l’abbassamento della soglia di conflittualità in società. Infatti, le c.d. norme di “antistallo giuridico” (come ad esempio il quorum legale abbassato al 50%66), consentono 61 V. Ripa-Mariani, Diritti di opzione limitati nelle srl, in Italia oggi, 21.2.2003, 29. 62 V. Busi, Prelazione sull’inoptato nelle s.p.a. non quotate, in Notariato, 2001, 387. 63 V. Busani, Srl, un capitale su misura, in Il sole-24 ore, 24.10.2002,29; Becchetti, Società a responsabilità limitata struttura personalistica, in Guida completa al nuovo diritto societario, inserto di Italia oggi, del 7.7.2003, 226; 64 V. Tricomi, Modifiche al capitale con procedimenti ad hoc, in inserto a Guida al diritto, n. 3, marzo 2003, 69. 65 V. Busi, L’assemblea e le decisioni dei soci, in corso di pubblicazione edito Cedam. 66 V. Busi, L’assemblea e le decisioni dei soci,cit.

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sì alla società partecipata pariteticamente di decidere senza il voto della maggioranza, ma con il contrappeso del diritto di recesso per il socio che non vota a favore della proposta. Per cui allo stallo giuridico come causa di scioglimento della s.r.l. si potrebbe sostituire lo scioglimento per impossibilità di conseguire l’oggetto sociali e per il venir meno dei fondi necessari a detto conseguimento, distratti dal patrimonio sociale al fine di liquidare il socio recedente. Pertanto, il legislatore della riformata s.r.l. sembra si sia mosso con grande attenzione rispettando il mantenimento dell’originario peso partecipativo del socio in società. Spiegati i probabili motivi della differente disciplina dell’aumento del capitale a pagamento nella s.p.a. e nella s.r.l., resta da verificare se ed in quali occasioni emergano tali differenze. L’indagine sembra debba muovere dall’esame congiunto della natura del diritto d’opzione nella s.p.a. da un lato e del diritto di sottoscrizione nella s.r.l. dall’altro, passando attraverso l’esame della esclusione di tali diritti per legge per statuto o per delibera, fino ad arrivare all’esame della loro cedibilità. La natura del diritto d’opzione nella s.p.a. e del diritto di sottoscrizione nella s.r.l. e loro disciplina In riferimento alla natura del diritto d’opzione nella s.p.a. sembra condivisibile quell'orientamento dottrinale secondo il quale "il diritto di opzione non esiste. Non esiste come situazione giuridica soggettiva che abiliti il suo titolare a dettare norme. Non esiste come diritto astratto, perché la fattispecie è esaurita dal dovere degli amministratori posto a protezione di un interesse ("sociale" la precisazione è di chi scrive) e non esiste come diritto concreto, perché non si distingue dalla situazione di qualsiasi destinatario di un'offerta ferma di sottoscrizione".67 Venendo all’esame del diritto di “sottoscrizione” spettante al socio nella s.r.l., non si può che condividere l’affermazione di base di parte della dottrina secondo cui la funzione del diritto di sottoscrizione del socio nella s.r.l. è uguale a quella del diritto di opzione-prelazione nella s.p.a. “che si rinviene tradizionalmente nello scopo di: evitare che l’aumento del capitale sociale produca – a causa della sottoscrizione di esso da parte di estranei alla compagine sociale – una alterazione delle partecipazioni sociali, e quindi una riduzione della misura in cui ciascuno dei vecchi soci partecipa alla formazione della volontà sociale ed alla distribuzione degli utili; evitare, di conseguenza, una possibile riduzione o perdita dei diritti connessi ad una determinata percentuale di partecipazione al capitale; consentire al socio di effettuare ulteriori investimenti di capitali nella società, e di evitare – soprattutto in caso di emissione di nuove azioni o quote al valore nominale – che altri si giovino del maggior valore del patrimonio sociale, costituito con utili prodotti negli esercizi anteriori; proteggere i soci da possibili abusi degli amministratori nella collocazione delle nuove quote di partecipazione e di quelle rimaste inoptate”68. Tuttavia, la disciplina del diritto di “sottoscrizione” riconosciuto ai soci della s.r.l. si presenta, nonostante l’identità di ratio, diversa da quella dettata dall’art. 2441,c.c., per il diritto di opzione-prelazione nelle s.p.a. Secondo parte della dottrina la nuova disciplina, infatti, attribuisce “direttamente ed esclusivamente” al socio tale diritto di sottoscrizione in modo proporzionale alla partecipazione posseduta. “I soci quindi non hanno – come in passato – un diritto di opzione, esercitabile nell’ambito

67 V. Piria, op. cit., 554. 68 V. Iannello, Della società a responsabilità limitata – Delle modificazioni dell’atto costitutivo, dattiloscritto Convegno di Bologna del 6.12.2002.

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di una operazione complessa comunque aperta anche ai soggetti terzi, ma godono di un personale diritto di sottoscrizione”69. Più prudentemente, invece di definire l’intervento del legislatore come un intervento sovvertente la vecchia disciplina, sembra corretto affermare che si è colmato un vuoto normativo che aveva originato orientamenti tra loro contrapposti. Infatti, se da un lato, parte della dottrina70 sosteneva che l’omesso richiamo dell’art. 2441, quinto comma, codice civile non escludeva che la norma non richiamata potesse essere applicata analogicamente anche alle società a responsabilità limitata”71, dall’altro lato, parte della giurisprudenza affermava che “nel caso di s.r.l. il diritto di opzione dei singoli soci – era - un diritto assoluto, incondizionato ed inderogabile….del socio stesso uti singulus” che comportava la nullità per illiceità dell’oggetto della deliberazione che lo sopprimeva72. Era sostenuta anche una posizione intermedia secondo la quale l’art. 2495,c.c., non vietava, nell’interesse generale, il limite o l’esclusione dell’opzione ma poneva un divieto a tutela dell’interesse dei soci, come tale derogabile, ma, beninteso, con il consenso dei soci titolari del diritto73. Il legislatore risolve la querelle in favore della tesi della normale insopprimibilità del diritto di sottoscrizione e quindi conferma la c.d. personalità del diritto. La norma “speciale” in tema di sottoscrizione del capitale sembra, peraltro, il naturale corollario del principio generale espresso dal legislatore nell’art. 2468,c.c., nel quale si prevede che “…i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta”. Tuttavia, l’atto costitutivo, come quasi sempre accade nella disciplina della riforma, può prevedere con clausola statutaria, (ma non per ogni ipotesi di aumento, si veda l’espressa esclusione nel caso di riaumento del capitale perduto ex art. 2482-ter su cui si tornerà successivamente), in deroga alla esclusione della sottoscrivibilità dell’aumento da parte di terzi, che l’aumento di capitale possa essere attuato “anche” mediante offerta delle nuove quote a terzi (v. art. 2481-bis). Parte della dottrina, a fronte del disposto della norma citata ha affermato, che “ove quindi tale previsione statutaria manchi, la possibilità dell’ingresso in società di terzi, a seguito di aumento del capitale sociale, dovrà ritenersi assolutamente esclusa”74. Nella diversa ipotesi di clausola statutaria che preveda la possibilità di sottoscrizione dell’aumento di capitale anche da parte di soggetti terzi, il legislatore attribuisce al socio che “non abbia prestato il proprio consenso alla decisione” – e quindi anche al socio astenuto – il diritto di recedere dalla società75. La norma – con la previsione del diritto di recesso - ritenuta non derogabile, intende tutelare il socio “di fronte all’eventualità di veder modificato contro la propria volontà il suo ruolo nella società”76, naturalmente, come si preciserà in seguito, solo 69 V. Tricomi, ult. cit., 69. 70 V. Salafia, Limitazione e soppressione del diritto di opzione nelle società a r.l., in Società, 1994,1609. 71 V. Salafia,ilt.cit., 1611. 72 V. Trib. Torino, 3.6.1986, in Giur. Comm., 1988, II, 242; App. Roma, 21.4.1998, in Società, 1998, 1049.Tr. 73 V. Trib. Ascoli Piceno, decr., 8.10.1987, in Società, 1988, 280; Trib. Udine, decr., 30.3.1993, in Dir. fall., 1993,II, 1115. 74 V. Iannello, op. cit. 75 V. sul valore dell’astensione: Busi, L’assemblea e le decisioni dei soci, in corso di pubblicazione edito Cedam; Carota, Il valore giuridico dell’astensione dal voto, in Contr. e impr., 1999, 337; Rossi, L’astensione dal voto nell’assemblea di società per azioni, in Giur. Comm., 1987,I,537. 76 V. Racugno, op.cit., 210.

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ove allo stesso non sia stata data la possibilità di mantenere tale posizione mediante offerta della sottoscrizione del capitale “in prima battuta”. Pertanto, non sarà più appropriato, con riferimento alla s.r.l., ragionare di “esclusione o limitazione del diritto di opzione/sottoscrizione dei soci sull’aumento di capitale per volontà dell’assemblea “assemblea a ciò legittimata per legge”. Infatti, la regola nella disciplina della riforma è rappresentata dalla intrasferibilità del diritto di sottoscrizione e non sarà pertanto in potere della assemblea di escludere il diritto di sottoscrizione del socio sull’aumento di capitale, qualora l’assemblea non sia a ciò espressamente legittimata in virtù di un espressa clausola dell’atto costitutivo. Vi è poi una seconda previsione legislativa che regola la sottoscrizione dell’aumento non nell’esercizio del diritto di sottoscrizione. Si tratta del 2° comma dell’art. 2481-bis, secondo cui “la decisione – di aumento del capitale – può anche consentire, disciplinandone le modalità, che la parte dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi”. Parte della dottrina ritiene che, anche in questo caso, la possibilità di “aprire” la società a terzi debba essere prevista dall’atto costitutivo77. L’interpretazione restrittiva della norma non sembra condivisibile Infatti, mentre l’esclusione a cui si ritiene si debba equiparare la limitazione del diritto di sottoscrizione pregiudica “direttamente” il diritto del singolo socio al mantenimento della posizione originariamente concordata in società, la previsione di collocare l’aumento anche presso terzi, ma “solo qualora coloro che ne hanno diritto, ossia i soci attuali, non lo abbiano sottoscritto”, pregiudica il socio, però, anche e principalmente in esito ad un suo comportamento giuridico, ossia la rinuncia alla sottoscrizione ad esso spettante per legge. La considerazione di cui sopra sembra legittimare i soci ad adottare tale decisione accessoria alla decisione di aumento, a prescindere dall’esistenza di una clausola statutaria che lo consenta espressamente, con l’avvertenza, però, che, se come consentito dall’art. 2469,c.c., si voglia prevedere l’intrasferibilità delle quote sociali di s.r.l., o assoggettarle ad un particolare regime di “circolazione controllata” – vedi clausole di gradimento – tale disciplina dovrà essere “estesa espressamente anche alle ipotesi di aumento del capitale, e più precisamente al diritto di sottoscrizione”, al fine di evitare che l’aumento del capitale venga utilizzata come un “cavallo di Troia” per aggirare il sistema statutario di intrasferibilità delle partecipazioni sociali. Sembra, infatti, discutibile l’affermazione di parte della dottrina secondo cui la facoltà dell’assemblea di consentire il collocamento del non sottoscritto presso terzi venga meno automaticamente se le partecipazioni sono intrasferibili in forza di clausola dell’atto costitutivo78. Quanto ora affermato, circa la non necessarietà di una espressa previsione statutaria al fine di collocare presso gli altri soci o presso i terzi quanto non sottoscritto dai soci stessi, non sembra contraddetto, ma anzi confermato dalla precisazione che gli altri soci – cioè quelli che hanno sottoscritto per intero la parte dell’aumento di loro pertinenza – e/o terzi possano sottoscrivere “la parte” non sottoscritta da uno o più soci. Parte della dottrina ha affermato che “ciò non significa che non possa farsi luogo al collocamento dell’inoptato nel caso nessuno dei soci sottoscriva l’aumento. La formula, – parte dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci - si spiega con il fatto che il legislatore non ha considerato l’ipotesi che l’aumento non sia, poi, sottoscritto da alcuno di quelli che lo hanno deliberato (o dai cessionari del diritto d’opzione)”79. 77 V. Iannello, cp.cit. 78 V. Fazzutti, in A.a.V.v., La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, Torino, Vol., 3, sub art. 2481/II, 192. 79 V. Fazzutti, in A.a.V.v., La riforma delle società, cit. 191, nota 11.

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L’interpretazione non sembra condivisibile. In primo luogo, il legislatore si riferisce alla parte dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci e in considerazione di quanto detto sino ad ora agli stessi non possono essere parificati i loro aventi causa, in particolare in esito ad una cessione del diritto. Pertanto, la norma sembra prevedere che vi sia “almeno un socio tra quelli originari che sottoscriva”. Questo sembra essere il significato dell’inciso “parte dell’aumento di capitale”. Come rilevato in precedenza il legislatore richiede: - per l’esclusione del diritto di sottoscrizione in favore di terzi in primo luogo la previsione espressa di tale possibilità nello statuto; in secondo luogo, una decisione con i quorum previsti dalla legge o dallo statuto che dia attuazione alla predetta previsione statutaria; - per la previsione che la “parte” dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi la sola deliberazione assembleare. Il legislatore sembra voglia evitare, però, che attraverso la seconda operazione, ossia attraverso la deliberazione di un aumento ipoteticamente destinato ai soci ma con la previsione accessoria della facoltà di collocare anche presso terzi la parte di capitale non sottoscritto, si eluda il disposto del primo comma che richiede per l’esclusione del diritto di sottoscrizione in favore di terzi l’esistenza di una espressa previsione in tal senso nell’atto costitutivo. In conclusione l’inciso “parte dell’aumento non sottoscritto” sembra da interpretare nel senso che una parte dell’aumento debba necessariamente essere sottoscritta da uno o più soci originari. Nel diverso caso di mancata sottoscrizione da parte di tutti i soci originari la sottoscrizione da parte dei terzi sembra certamente legittima quando l’atto costitutivo preveda, ai sensi del primo comma dell’art. 2481-bis, che l’aumento di capitale possa essere attuato anche mediante offerta di quote a terzi, forse ammissibile nel caso di deliberazione adottata all’unanimità in mancanza di espressa previsione nell’atto costitutivo della collocabilità presso i terzi80, forse impugnabile nel caso di deliberazione adottata senza l’unanimità dei consensi in assenza di una espressa clausola statutaria che preveda il collocamento dell’aumento presso terzi. Cedibilità o meno dei diritti di opzione nella s.p.a. e di sottoscrizione nella s.r.l. In ultima analisi, resta da verificare se i diritti di opzione nella s.p.a. e di sottoscrizione nella s.r.l. siano cedibili. In riferimento alla s.p.a., secondo parte della dottrina, sarebbe stata la prassi di emettere cedole e buoni opzione a determinare il convincimento che l'opzione sia cedibile. Come rilevato dalla dottrina, "è legittimo il sospetto che il fenomeno non configuri l'incorporazione di un diritto in un titolo, ma che il titolo abbia per così dire, creato il diritto. La pratica, insomma, ha fatto sì che l'adempimento del dovere d'offerta da parte degli amministratori abbia provocato la germinazione, materializzata in uno strumento cartaceo, di un valore capitale, coincidente con il valore economico della legittimazione a sottoscrivere"81. Secondo la dottrina82, la configurazione prevalente in dottrina del diritto di opzione come diritto potestativo (come un diritto cioè la cui posizione passiva della società consista in un mero stato di

80 In tal senso sembra Racugno, op. cit., 210. 81 V. Piria, op. cit., 554. 82 V. Busi, Prelazione…., 387.

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soggezione) rende ancora maggiori i dubbi circa la circolabilità del diritto stesso, visto che i diritti potestativi sono ritenuti normalmente intrasferibili. Un atteggiamento rigoroso nell'esaminare la fattispecie porterebbe ad affermare che il diritto d'opzione è incedibile, ma tale conclusione sembra insostenibile alla luce della prassi vigente, condivisa da dottrina e giurisprudenza prevalenti, orientate a favore della cedibilità. L'esame svolto sembra consentire il raggiungimento di un obbiettivo minore ma ugualmente importante ossia l'affermazione della legittimità di una clausola statutaria o di una deliberazione assembleare di aumento del capitale che escluda nella s.p.a. la cedibilità del diritto d'opzione, quanto meno ai terzi, con una formula che, per esempio, riservi detto aumento soltanto ai soci attuali, con divieto sia - per gli amministratori - di offrirlo a terzi (in caso, ovviamente, di mancato esercizio da parte di alcuno dei soci del diritto a lui spettante) sia - per i soci - di alienare il diritto d'opzione83. In riferimento alla s.r.l. sembra si debba considerare incedibile il diritto di sottoscrizione. In primo luogo, perché la decisione di collocare il capitale presso terzi deve essere prevista nell’atto costitutivo e/o deliberata dall’assemblea dei soci, sembrando esclusa ogni facoltà di collocamento rimessa alla scelta del singolo socio e attuata mediante cessione del proprio diritto. In secondo luogo, perché il legislatore mostra di ritenere la sottoscrizione da parte di terzi fattispecie configurabile solo eccezionalmente e nel rispetto dei limiti legali. Infatti, non impone le cautele previste per l’esclusione del diritto d’opzione nelle s.p.a.. Ciò trova decisiva conferma nella disciplina del sovraprezzo, che perde comunque obbligatorietà. “L’innovazione è radicale. Dall’esclusione o limitazione del diritto di opzione non discende automaticamente un collegamento tra prezzo di emissione delle nuove partecipazioni e patrimonio netto: la materia è rimessa all’autonomia della società, essendo una facoltà, e non già un obbligo, la previsione di un sovraprezzo, sia che il diritto di sottoscrizione venga riservato ai soci come pure ove l’aumento di capitale debba essere attuato mediante l’offerta delle quote di nuova emissione a terzi”84. Inoltre, a differenza di quanto previsto all’art. 2441,c.c., per la s.p.a., non vi è alcuna tutela del valore economico della quota del socio, non essendo previste né la relazione degli amministratori né una maggioranza rafforzata per l’adozione della deliberazione. Se la risposta negativa al quesito circa la cedibilità del diritto di sottoscrizione sembra da preferirsi, resta il dubbio se a fronte di una particolare struttura societaria che abbia “aperto” ai terzi la sottoscrizione del capitale, mediante la previsione di possibile esclusione del diritto di sottoscrizione a favore di terzi nell’atto costitutivo e nella successiva decisione che attua detta previsione, si possa configurare una implicita concessione al socio di diretta cedibilità a terzi del diritto di sottoscrizione. La risposta sembra debba essere negativa anche in questa ipotesi. Infatti “le modalità e i termini della sottoscrizione del capitale” devono essere decise sempre e comunque dall’assemblea e non possono essere delegate “implicitamente” al singolo socio. Sarà, pertanto, sempre la decisione dei soci a prevedere come le partecipazioni possano essere sottoscritte dai terzi e a quali condizioni economiche. Resta inteso che sarà legittima una decisione dei soci di aumento del capitale che consenta la cessione del diritto di sottoscrizione del capitale da parte dei soci a terzi in presenza di previsione statutaria che preveda la sottoscrivibilità del capitale da parte dei terzi stessi. Limiti di legge alla esclusione del diritto di opzione nella s.p.a. e al diritto di sottoscrizione del capitale nella s.r.l. nel caso di perdite

83 V.De Marchi, Note e spunti in tema di trasferimento del diritto d'opzione in sede di aumento del capitale, in Federnotizie, 1997, n.1, 40 84 V. Racugno,op.cit., 210.

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Nel caso di riduzione per perdite del capitale nella s.p.a., decisa a maggioranza, già prima della riforma si era posto il problema della liceità della contestuale delibera di esclusione del diritto d’opzione presa a maggioranza85. Parte della dottrina ritiene che, in ipotesi di deliberazione assembleare maggioritaria, l’esclusione del diritto di opzione sia ammissibile per i seguenti motivi: 1) l’esclusione non viola alcuna norma di legge: anzi," tanto l’esclusione del diritto d’opzione (consentita dal quinto comma dell’art.2441, c.c., quando l’interesse della società lo esige) che l’emissione di azioni contro conferimenti in natura suppongono la prevalenza dell’interesse della società su quello dei singoli soci: è quindi ragionevole ammettere che un interesse della società alla sua sopravvivenza, espresso appunto dalla deliberazione di aumento di capitale sociale, prevalga su quello dei singoli soci alla liquidazione della società"86; 2) i soci di minoranza sono tutelati nei confronti di un possibile abuso della maggioranza dall’esistenza di una misura del potere di esclusione del diritto di opzione costituita dall’interesse sociale, indicato nell’art.2441, c.c.; 3) l’interesse comune dei soci si potrebbe individuare in una identità di interessi ad uscire dalla società e ad offrire ai terzi il diritto di opzione, a seguito del cui esercizio il capitale verrebbe reintegrato87; 4) il diritto del socio di conservare la propria partecipazione sociale è legato al capitale cui la partecipazione si riferisce e non sopravvive alla perdita di quel capitale88; 5) sacrificio del diritto d’opzione "quando l’interesse della società lo esige" comporta "non la posizione di un’ulteriore positiva esigenza, quanto la riaffermazione di un limite negativo: quello del conflitto di interessi (art.2373). Limite non alla legittimazione della società, si noti, la quale non viola in tal caso nessun diritto soggettivo, ma alla competenza della maggioranza assembleare, cui per il principio dell’autonomia della società è rimessa sovranamente la valutazione dell’interesse sociale, fin quando essa non sia inquinata dal conflitto d’interessi, che esautora e svaluta nei membri componenti la maggioranza la legittimazione a parlare per conto della comunione" 89. Sembra preferibile l’orientamento dottrinale che ritiene impossibile nell’ipotesi di perdita che impone la riduzione del capitale escludere a maggioranza il diritto d’opzione dei soci. "L’esclusione dell’opzione vale, in questo caso, esclusione del socio o grave menomazione della sua partecipazione alla società e non sembra che nel nostro diritto, sia o meno subiettivizzata la posizione del socio, esista un potere discrezionale di esclusione del socio dalla società, fuori dai casi previsti dalla legge"90. "E’ principio generale che nessun soggetto può essere privato del proprio diritto senza il suo consenso, salvo l’eccezionale ipotesi dell’espropriazione per pubblica utilità o per l’esecuzione forzata sul patrimonio del debitore di un titolo adeguato"91. Non si avrebbe una semplice lesione del diritto d’opzione, giacché si tratterebbe di una vera e propria espropriazione del diritto di uno dei soci ad opera degli altri, i quali verrebbero così ad esercitare nei confronti di quello un potere di esclusione che la legge sicuramente non consente. "Si finirebbe col minare il fondamento stesso del contratto di società, che verrebbe rescisso unilateralmente da una parte in danno dell’altra, e quindi del rapporto sociale che da quel

85 V. Busi, Azzeramento e ricostituzione del capitale nelle s.p.a., 77 ss. 86 V. Nobili, in A.a.V.v., Aumenti e riduzioni di capitale, Giuffrè, 1984, 136. 87 V. Nobili, Contributo allo studio del diritto di opzione nelle società per azioni, Giuffrè, 1958, 260. 88 V. Galgano, La società per azioni, cit., 352. 89 V.Mignoli, cit.,230. 90 V. Rosapepe, L’esclusione del diritto d’opzione dei soci, cit. , 87; Battaglia, in A.a.V.v., cit.1251. 91 Così, Salafia, Limitazione e soppressione del diritto di opzione nelle società a r.l., in Società, 1994, 1609 ss.

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contratto trae origine ed alla cui attuazione è indispensabile il rispetto da parte dei soci di un nucleo essenziale di obblighi e diritti reciproci, senza i quali nessun contratto potrebbe sussistere"92. Il contratto di società tende a realizzare uno scopo lucrativo comune a tutti i soci e non sembra compatibile con questo scopo che la società escluda alcuni soci, per realizzare un fine che deve essere di tutti93. Nella nuova disciplina della s.r.l., il legislatore, al fine di rispondere all’esigenza evidenziata nella relazione governativa “di impedire prassi non commendevoli che la prassi ha a volte elaborato per ridurre sostanzialmente o addirittura eliminare la partecipazione di minoranza”, ha previsto, all’art. 2481 bis, che non sia consentita l’esclusione del diritto di opzione nel caso di deliberazione di aumento del capitale per ripianare perdite di oltre un terzo del capitale che lo abbiano ridotto al di sotto del minimo legale. Secondo parte della dottrina, “il dato positivo tradisce sicuramente le intenzioni del legislatore. Delle due, infatti, l’una: o la norma deve essere interpretata restrittivamente, nel senso che riguarda esclusivamente l’ipotesi dell’azzeramento e ricostituzione del capitale sociale, oppure, al contrario, deve trovare applicazione analogica in tutti gli aumenti che mirano, anche attraverso più decisioni, alla ricostituzione del capitale perduto. Se, infatti, il capitale non è interamente perduto, non vi è ragione di distinguere a seconda della sua discesa o meno sotto il minimo di legge”94. In realtà, l’orientamento sopra riportato sembra non tener conto del fatto che la norma sopra citata è integrata dal disposto dell’art. 2482-quater secondo cui “in tutti i casi di riduzione del capitale per perdite è esclusa ogni modifica delle quote di partecipazione e dei diritti spettanti ai soci”. La norma, pertanto, si premura di disciplinare le sole ipotesi in cui, in conseguenza delle perdite, sia necessario ripristinare il capitale per evitare scioglimento e liquidazione della società. La rimozione della causa di scioglimento mediante ricapitalizzazione della società si vuole sia decisa solo dai soci. Probabilmente, il legislatore ha voluto garantire ai vecchi soci di pretendere di sciogliere o trasformare la società qualora non la vogliano ricapitalizzare o, in seconda battuta, di recedere e di ottenere la liquidazione della loro quota al fine di recuperare eventuali somme non emergenti dalla contabilità di bilancio. Il disposto della norma potrebbe viceversa ingenerare il dubbio che tra gli opportuni provvedimenti di cui all’art. 2482-bis non rientri il riaumento del capitale sociale in esito alla riduzione dello stesso. Sembra preferibile ritenere che la contestuale ricostituzione del capitale ridotto per perdite rappresenti un’ operazione che rientra fra gli opportuni provvedimenti di cui all’art. 2482-bis. La ricostituzione del capitale sarebbe, infatti, provvedimento correlato e funzionale alla efficienza operativa ed alla continuazione della attività sociale95. Contenuto della deliberazione di aumento del capitale: in particolare la comunicazione al socio del termine entro cui sottoscrivere l’aumento del capitale.

Nella s.r.l. la deliberazione di aumento del capitale deve indicare le modalità ed i termini entro i quali i soci devono esercitare il diritto di sottoscrizione. Prima della riforma, la dottrina si era chiesta se il mancato richiamo da parte dell’art. 2495 dell’art. 2441, secondo comma, in materia di s.p.a., ove era prevista una formalità pubblicitaria ed un termine

92 V. Rordorf, in A.a.V.v., cit., 1261. 93 V.Carlo, cit., 653. 94 V. Fazzuti, op. cit., 188. 95 V. Trib. Milano, sez. VIII, 5.2.1998, in Giurispr. Milanese, 1998, 318.

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per eseguirla, consentisse alla s.r.l. di dare comunicazione ai soci dell’offerta di opzione, scegliendo la forma ed i termini ritenuti più congrui. A chi invocava l’applicazione analogica alle s.r.l. delle formalità di pubblicazione dell’offerta del diritto di opzione nel B.U.S.A.R.L. e successivamente a mezzo pubblicità nel registro delle imprese, e la conseguente applicazione del termine minimo da assegnare ai soci per l’esercizio del diritto, si obiettava che tale adempimento configurava un’operazione sproporzionata per un organismo più agile ed a ristretta base sociale96. A conforto di tale ricostruzione si adduceva in particolare la più semplice modalità di convocazione dell’assemblea di s.r.l., prescritta dall’art. 2484,c.c.97. In esito a tale affermazione, parte della giurisprudenza affermava che poiché l’art. 2495,codice civile, non richiama il disposto dell’art. 2441, secondo comma e ss. per la società a responsabilità limitata non trova applicazione, salva specifica previsione statutaria, il regime di pubblicazione dell’offerta di opzione previsto dal menzionato art. 2441, secondo comma,98 mentre il termine per l’esercizio del diritto di opzione può essere anche inferiore a quello previsto per le società per azioni, purchè di durata congrua, così da non rendere impossibile o estremamente difficoltoso l’esercizio di tale diritto99. La riforma assegna al socio, per la sottoscrizione dell’aumento termini minimi che non possono essere inferiori a trenta giorni dal momento in cui viene comunicato ai soci stessi che l’aumento di capitale può essere sottoscritto. Il dettato della norma, riferendosi alla comunicazione del termine da cui il capitale “può” essere sottoscritto, evidenzia che può verificarsi l’ipotesi di un aumento del capitale già deliberato, ma che non può essere sottoscritto. Sembra essere il caso previsto nell’art. 2481 capoverso ove si afferma che “la decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti”. In secondo luogo, il termine di 30 gg sembra debba considerarsi inderogabile. Il legislatore ha fatto la sua valutazione circa il tempo necessario per realizzare l’operazione di sottoscrizione. Un termine più breve sarebbe nullo in forza del principio di cui all’art. 2965, codice civile, secondo cui “è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle parti l’esercizio del diritto”. Il termine convenzionale più breve essendo invalido pare vada automaticamente sostituito dal termine minimo legale. Con che modalità può effettuarsi la comunicazione? Parte della giurisprudenza, che si ritiene condivisibile, ritiene che la comunicazione di cui sopra possa avvenire anche direttamente in assemblea, qualora naturalmente vi abbiano partecipato tutti i soci e di conseguenza il dies a quo decorra dalla data della deliberazione100. Altra giurisprudenza ritiene addirittura che la comunicazione possa essere fatta in assemblea anche qualora alla stessa non partecipino tutti i soci, visto che “il socio di una società a responsabilità limitata ha diritto, ex art. 2490, ultimo comma, codice civile, ad esaminare il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea, sicché - il socio -, comunque informato della convocazione dell’assemblea con all’ordine del giorno l’aumento di capitale della società, benché assente alla seduta, 96 V. Santini, S.r.l., in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna, 1971, 11; in giurisprudenza Trib. Napoli, 24.1.1989, in Giur. Comm., 1989, II, 592. 97 V. Bartolucci, Limitazioni del diritto di opzione nelle s.r.l., in Riv. not., 2000, 157. 98 V. Trib. Roma, ord., 8.1.1996, in Società, 1996,698; Trib. Napoli, 24.1.1989, in Giur. Comm., 1989, II, 592. . 99 V. Trib.. Roma, ord., 8.1.1996, in Società, 1996,698; Trib. Piacenza, 4.11.1994, in Arch.civ., 1995,245. 100 V. Trib. Napoli, 24.1.1989,cit.

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ben avrebbe potuto attivarsi, nel non breve arco di tempo a sua disposizione per l’esercizio del diritto d’opzione (30 giorni), per prendere conoscenza del contenuto della delibera assunta al riguardo”101. Tale ultimo orientamento non pare accettabile alla luce della normativa della riforma. L’art. 2481-bis pone a carico della società un obbligo di comunicazione e l’indicazione al plurale dei “termini” dai quali decorre la facoltà di sottoscrivere, conferma che a tutti i soci deve essere fatta la relativa comunicazione. Tali considerazioni sembrerebbero escludere anche che il termine possa comunque decorrere automaticamente dalla pubblicazione dell’offerta di opzione nel registro delle imprese. Secondo parte della dottrina, “l’utilizzo del registro imprese per le srl, per quanto attiene alla comunicazione della possibilità di esercizio del diritto di opzione, deve reputarsi non consentita, dovendosi ritenere non estensibili per analogia le norme che dispongono un dato regime pubblicitario, a tutela dell’efficienza del sistema pubblicitario stesso”102. Ugualmente, sembra da escludere la possibilità di trasferire l’onere di informazione circa il termine iniziale di sottoscrizione dalla società al socio prevedendo statutariamente che il termine di sottoscrizione decorra o dall’iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese, o dall’inserzione nel libro delle adunanze della società. Pare, infatti, che solo la legge possa trasformare un obbligo “di portare a conoscenza” un’operazione in un obbligo di eseguire una formalità che renda “meramente conoscibile” l’operazione stessa. Si è visto in precedenza che il legislatore ha tenuto in particolare considerazione, qualora si operi sul capitale, il principio di uguale trattamento e di mantenimento delle originarie posizioni. Poiché la legge non prevede le modalità dell’avviso, fatta salva l’ipotesi di comunicazione diretta ai soci presenti tutti in assemblea, non può che trattarsi di una comunicazione personale. “Nessuna forma è prevista per essa. Il che aggrava un problema che già di per sé un avviso personale pone.... sembra, infatti, che la parità di trattamento dei soci esiga, non solo che ciascuno abbia a disposizione il medesimo lasso di tempo per la sottoscrizione, ma anche che il termine scada per tutti nello stesso momento. Mezzi di comunicazione diversi da socio a socio, oppure comunicazioni con il medesimo mezzo ma pervenute in tempi diversi, quando non addirittura spedite in tempi diversi, sono fonte di favoritismi e non consentono un controllo della tempestività delle sottoscrizioni degli altri soci. La soluzione del problema sembra possa essere affidata alla disciplina contenuta nell’atto costitutivo. Nell’atto costitutivo sarà necessario inserire l’obbligo per la società di scegliere un modo di comunicazione che renda certo il ricevimento della comunicazione e che ne consenta la recezione a tutti i soci in pari data o perlomeno almeno trenta giorni prima della scadenza del termine indicata nella comunicazione stessa, in parte riproducendo i principi ed il contenuto dell’art 2366,c.c., in materia di convocazione dell’assemblea nelle s.p.a., ove si pone a carico della società l’onere di provare l’avvenuta ricezione dell’avviso di convocazione. Del tutto eventuale, anche nell’ipotesi in cui il diritto di sottoscrizione venga escluso, è la previsione di un sovrapprezzo. La norma, poi, innovando la disciplina precedente, attribuisce all’assemblea la facoltà di stabilire se le partecipazioni eventualmente rimaste non sottoscritte debbano essere offerte in sottoscrizione ai soci oppure a terzi. Ciò significa che, in assenza di una deliberazione ad hoc (ovvero di una apposita clausola statutaria), i soci non potranno vantare alcun diritto di prelazione sulle partecipazioni emesse a fronte dell’aumento

101 V. Trib. Roma, 8.1.1996,cit. 102 V. Busani, Srl, un Capitale su misura, in Il sole-24 ore, 24.10.2002, 29.

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ed in ordine alle quali uno o più soci non abbiano esercitato il c.d. diritto di sottoscrizione (cfr. comma 2, ultimo periodo). La disciplina transitoria ed il capitale minimo nel caso di riduzione per perdite ex art. 2447,c.c. La riforma prevede che la società per azioni debba costituirsi con un capitale non inferiore a 120 mila euro. L’incremento del capitale dagli originari 100 mila euro in realtà non appare particolarmente significativo. Al fine di favorire le società già costituite prima della data 1 gennaio 2004 il legislatore ha previsto, tra le norme transitorie, all’art. 223 ter che “le società per azioni costituite prima del 1 gennaio 2004 con un capitale sociale inferiore a centoventimila euro possono conservare la forma della società per azioni per il tempo stabilito per la loro durata antecedentemente alla data del 1 gennaio 2004”103. Cosa accade però se una società di vecchia costituzione prima di arrivare alla propria naturale scadenza, perde ex art. 2447,c.c., il proprio capitale anche per intero?. L’art. 2447 stabilisce che se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, lo stesso si riduce al di sotto del minimo stabilito, è necessario che gli organi preposti, senza indugio, convochino l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al detto minimo (o la trasformazione della società). Secondo parte della dottrina, “appare evidente come i richiami contenuti nell’art. 2447 non facciano alcun riferimento alle norme transitorie, e ciò sia con riguardo al quantum della perdita che con riguardo al limite minimo della ricostituzione…si deve ritenere che la norma transitoria, in un’ipotesi come quella descritta dal caso, perda la sua efficacia. La norma transitoria, infatti, si riferisce a un capitale esistente nel momento dell’entrata in vigore della riforma che vuole essere agevolato nel passaggio dal nuovo al vecchio. Nel momento in cui le perdite hanno però ridotto lo stesso, una ricostituzione deliberata dall’assemblea comporta la nascita di un nuovo (almeno parzialmente) capitale che, non essendo esistente alla data di entrata in vigore della riforma, non si ritiene debba godere delle agevolazioni previste per tali ipotesi”104. La ricostruzione non sembra condivisibile. E’ vero che l’art. 2447 fa riferimento alla perdita di oltre un terzo del capitale che lo riduce al di sotto del minimo stabilito dall’art. 2327 e nell’inciso finale della norma prevede la ricostituzione del capitale ad una cifra non inferiore al detto minimo; e vero altresì che la norma richiamata indica come capitale minimo centoventimila euro. Tuttavia la disciplina di attuazione e transitoria riveste carattere di normativa eccezionale e come tale deroga alla disciplina generale. Diversamente opinando, si dovrebbe ritenere che, contrariamente a quanto fa la dottrina da ultimo citata, per verificare se la riduzione del capitale è tale da obbligare a una sua ricostituzione, si debba fare riferimento non al capitale proprio della vecchia società (di regola 100 mila Euro o comunque un capitale inferiore a 120 mila euro) ma al limite stabilito per la generalità dei casi (ma non per il caso di specie) dall’art. 2327. Infatti, l’art. 2447,c.c., richiama genericamente l’art. 2327 in materia di capitale 103 Sulle disposizioni transitorie vedi: Miserocchi, Le norme transitorie, in Federnotizie, 2003, n. 1, 24; Caccavale – Tassinari, Nuovo diritto societario: regime transitorio e clausole statutarie, in Notariato, 2003, 163; De Angelis – Feriozzi, Le nuove regole subito nello statuto, in Italia oggi, 18.10.2002, 39; Bellezza, Statuti, la modifica gioca d’anticipo, in Italia oggi, 16.1.2003, 28; Villa, Statuti con adeguamento agevolato, in Italia oggi, 3.6.2003, 26; Ripa – Mariani, Statuti, adeguamenti a maggioranza, in Italia oggi, 1.5.2003, 44; Ripa, Norme transitorie, rapporti in crisi, in Italia oggi, 11.1.2003, 29; Busani, Srl e Spa, la chance del doppio statuto, in Il sole-24 ore, 19.2.2003, 31; Busani, Statuti, uno scivolo per le modifiche, in Il sole-24 ore, 21.2.2003, 25; Busani, Un doppio statuto per gestire la fase transitoria, in Riforma delle società, Guida al diritto, dossier n. 2, 13. 104 V. Villa, Spa, capitale minimo sotto controllo, in Italia oggi, 6.5.2003, 31.

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minimo due volte: la prima, per identificare la perdita che costringe alla riduzione e la seconda, per identificare il capitale da ricostituire. Ragioni di simmetria giuridica sembrano impedire che per la prima verifica si possa invocare il valore di cui alla norma transitoria (ossia 100 mila euro) e nella seconda il valore di cui al novellato art. 2327,c.c. Qualora, poi, si ritenga che in entrambi i richiami il legislatore abbia inteso riferirsi al nuovo valore, si svilirebbe il significato della disciplina di attuazione della riforma, visto che la società si ritroverebbe un capitale già per 1/6 inferiore al minimo di legge. La ricostruzione sopra riportata e qui criticata sembra poi travisare lo stesso dato letterale della norma. Infatti, l’art. 223-ter fa riferimento all’anzianità della società non all’anzianità del capitale. E’ la società costituita prima del 1 gennaio 2004 ad essere interessata dalla norma, non il capitale costituito prima del 1 gennaio 2004. Per sostenere che il capitale ricostituito debba essere pari al nuovo minimo, si dovrebbe affermare che la perdita del capitale di cui all’art. 2447,c.c., comporti l’immediata estinzione della società e la ricostituzione del capitale comporti in realtà la costituzione di una nuova società. Tale ricostruzione pare insostenibile. Sembra, pertanto, che le società costituite prima del 1 gennaio 2004 che, successivamente a tale data, perdano il capitale in modo da rientrare nella previsione dell’art. 2447,c.c., possano ricostituire il capitale sino ad una cifra pari al loro capitale originario (che può quindi essere inferiore ai 120 mila euro ma naturalmente superiore a 100 mila euro). La ricostruzione adottata pare avere conseguenze anche in tema di convocazione dell’assemblea e relativo ordine del giorno. Infatti, la convocazione dell’assemblea recante nell’ordine del giorno la previsione dell’adozione dei soli provvedimenti di cui all’art. 2447, c.c., non consentirà ad una società di vecchia costituzione di elevare l’originario capitale sino al nuovo minimo, essendo necessario che detto adeguamento sia espressamente previsto nell’ordine del giorno stesso. La riduzione reale del capitale La parte del patrimonio netto imputata a capitale può, a certe condizioni, essere ridotta consentendone la riappropriazione da parte degli azionisti105. I soci, riuniti in assemblea straordinaria, potranno infatti ridurre il capitale mediante restituzione o liberazione dall’obbligo di eseguire i conferimenti ancora dovuti (art. 2445). La riduzione del capitale è ora possibile con qualsiasi motivazione e non più solamente per esuberanza rispetto al conseguimento dell’oggetto sociale, permanendo (per la sola s.p.a.) l’obbligo di motivazione delle ragioni alla base della decisione106. “Il legislatore omette, ancora con la riforma, di prevedere come modalità di realizzazione della riduzione reale l’imputazione a riserve disponibili di ricchezza già imputata a capitale107, ma la dottrina traendo convincimento dalla soppressione del riferimento all’esuberanza del capitale rispetto all’oggetto sociale sembra ritenerla senz’altro ammissibile108, anche se in tal caso non venendo 105 Sull’argomento della riduzione del capitale si veda più ampiamente per le problematiche non toccate dalla riforma vedi Busi, Questioni in tema di riduzione del capitale per perdite e per esuberanza, in Vita not., 2001, 1565 ss; per approfondimenti dopo la riforma: Busi, La riduzione del capitale, in corso di pubblicazione, edito Egea. 106 V. Bellezza, Modificazioni statutarie nella società per azioni, in A.a.V.v., La riforma delle spa, in Italia oggi, Serie speciale n. 5, 4.2.2003, 89. 107 V. sull’argomento: Busi, citt. di cui alla nota precedente. 108 V. Spolidoro, La riduzione del capitale sociale, in Federnotizie, 2003, 1, 30.

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restituito immediatamente nulla ai soci, si dovrà parlare di riduzione reale del capitale, ma non del patrimonio, visto che rendendo distribuibili ai soci le somme prima indisponibili, perché vincolate a capitale, le stesse sono solo “potenzialmente” restituibili ai soci stessi. In riferimento all’efficacia della delibera la stessa può essere eseguita solo dopo tre mesi dalla iscrizione nel registro delle imprese, purchè entro tale termine non sia stata fatta opposizione da parte di creditori sociali. Secondo la dottrina la delibera (perlomeno nella s.r.l.) sarebbe da subito valida ed efficace a partire dalla iscrizione nel registro delle imprese, e il capitale sociale – anche in coerenza con quanto disposto all’art. 2436, ultimo comma… andrebbe da subito indicato, anche negli atti, nella misura ridotta. Solo l’esecuzione della effettiva riduzione-restituzione del patrimonio sarebbe differita ad un momento successivo109. La riduzione del capitale per perdite: Il concetto di perdita. Gli articoli 2446 e 2447,c.c., in materia di s.p.a., riprodotti nei loro contenuti quasi integralmente (salvo qualche adattamento marginale) negli omologhi artt. 2482 bis e 2482 ter dettati per la s.r.l. regolamentano la perdita del capitale mantenendo l’originaria impostazione che dedica una prima norma all’ipotesi di perdita meno grave ed una seconda norma all’ipotesi di perdita più rilevante110. Nella prima norma il legislatore ammette, come già prima della riforma, implicitamente l’irrilevanza (ai fini dell’obbligo di ridurre il capitale) di variazioni negative del rapporto tra capitale e patrimonio netto, però entro precisi limiti percentuali. Infatti, solo quando si verifica, in conseguenza di perdite, una diminuzione del capitale sociale superiore al terzo, l’art. 2446,c.c., prescrive agli amministratori di convocare senza indugio l’assemblea per gli opportuni provvedimenti. Più precisamente, gli amministratori devono convocare l’assemblea quando rilevino l’esistenza di una perdita giunta, anche in più esercizi, a incidere sulle riserve e, poi per un terzo sul capitale, ovvero di una perdita che, qualunque ne sia l’entità, intacchi il capitale, superato sempre lo sbarramento di tutte le riserve111, ordinate e annullate per livello di disponibilità. Resta da verificare: 1) se gli utili prodotti in corso di esercizio e quindi non ancora confermati in sede di bilancio annuale, debbano o meno essere considerati come riserve, o comunque come altra voce da ridursi prima del capitale); 2) se i versamento in conto capitale o in conto futuro aumento di capitale fatti dai soci in favore della società debbano essere considerati alla stregua di riserve. Riguardo al primo problema la giurisprudenza non è concorde. Parte di essa ritiene che gli utili di periodo non possano essere utilizzati a copertura delle perdite in forza dei seguenti ragionamenti: la rilevanza giuridica della perdita anche infra esercizio è espressamente prevista dagli artt. 2446 e 2447 c.c., mentre analoga previsione non è riscontrata per il c.d. utile di periodo, cosicché, in presenza di una diversa disciplina (ispirata alla ratio complessiva di conservazione dell’integrità del capitale a tutela dei terzi creditori) non appare possibile inferire dall’analogia meramente contabile della posta la conseguenza del possibile utilizzo”112; gli utili di periodo non possono assumere immediato valore 109 V. Pinnarò, op. cit., 207. 110 Per un’indagine completa sulla riduzione del capitale vedi: Busi, La riduzione del capitale, in corso di pubblicazione, edito Egea. 111 V. Busi, Questioni in tema di riduzione del capitale per perdite e per esuberanza, in Vita not., 2001, 1565 e dottrina e giurisprudenza ivi citate nonchè: Cass., Sez.I, 6.11.1999, n. 12347, in Notariato, 2001, 22, con nota di De Paoli; Trib. Santa Maria Capua Vetere, decr., 31.7.2000, in Giur. nap., 2000, 480; Trib. Genova, 12.2.2003, in Società, 2003, 616; Trib. Roma, decr., 20.2.2001, in Società, 2001, 969 con nota di Fanti; Trib. Udine, decr., 25.8.2000, in Dir. fall., 2001, 428; 112 V. Trib. Milano, sez. VIII, 2.11.1998, in Notariato, 1999, 243; Trib. Roma, decr., 8.11.1999, in Società, 2000, 748.

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giuridico, atteso che non costituiscono affatto il risultato (positivo) di un bilancio redatto nelle rigorose forme previste dal codice civile e che sia stato approvato dall’assemblea”113; gli utili di periodo non costituiscono un risultato definitivamente acquisito, ma una mera spes. “Infatti l’art. 2423-bis c.c. dispone che in bilancio si possono indicare solo gli utili realizzata alla data di chiusura dell’esercizio, perché essi soltanto sono idonei ad implementare le riserve legali e statutarie...Invero, gli utili, di per se, non costituiscono affatto una riserva in senso tecnico e dunque possono essere utilizzati per il ripianamento delle perdite soltanto dopo che sono stati inseriti in una delle riserve previste in bilancio...”114. Sembra preferibile l’orientamento che ritiene utilizzabili gli utili di periodo nell’operazione di copertura delle perdite. “E’ consolidata in dottrina e giurisprudenza la tesi che ritiene che, oltre alla relazione, gli amministratori debbano in realtà sottoporre all’assemblea un vero e proprio bilancio (v. da ultimo App. Milano 19 gennaio 1999) il quale, ancorché infrannuale, va redatto con gli stessi criteri di quello annuale... Ne si comprende come la predetta situazione potrebbe assolvere alla sua funzione, ove fosse redatta, come pure si è detto, in maniera sommaria e approssimativa“115. Resta da stabilire quale incidenza vada riconosciuta alla regola enunciata nel n. 2 dell’art. 2423-bis, c.c., secondo cui “Nella redazione del bilancio si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio”. I sostenitori della inutilizzabilità partono da un’equiparazione sbagliata: la parificazione dell’utilizzazione degli utili di periodo per la copertura delle perdite, alla distribuzione degli stessi ai soci, laddove si tratta di due operazioni diverse. L’utile di periodo resta non distribuibile ex art. 2433 e 2433 bis, ma svolge da subito la propria funzione di ammortizzatore delle perdite. Nemmeno i creditori si giovano della mancata utilizzazione di detta posta attiva. Infatti, qualora non si adoperino gli utili di periodo si abbatte il capitale in misura più consistente e quindi si abbassa la soglia di indisponibilità del patrimonio sociale. Ne deriva che, una volta approvato il successivo bilancio di esercizio e rispettati i vincoli di destinazione, ben potranno i soci deliberare la distribuzione degli utili consolidati, mentre resterà a carico dei creditori il rischio derivante dall’assoggettamento al regime del capitale di una minor parte del patrimonio. Infine, stabilire che gli utili di periodo non sono computabili a copertura delle perdite, significa aumentare le possibilità di manovre della maggioranza che possono estromettere dalla compagine i soci di minoranza che non siano in grado di concorrere al ripianamento delle perdite116. Due chiose a quanto da ultimo riportato. In primo luogo, quanto detto trova applicazione nel solo caso di riduzione del capitale che si basi su un bilancio straordinario. Non pertanto come si preciserà in seguito nel caso di riduzione ex art. 2446, c.c.. In secondo luogo per una corretta rilevazione dell’utile di periodo “sarà necessario anche, con un adeguato ossequio del principio di competenza, siano appostati correttamente, ad es., i ratei e i risconti, escludendo ogni possibilità che nel periodo minore non siano spalmati i costi e ricavi di competenza dell’intero esercizio (si pensi alle sfasature delle imprese stagionali)“117. Riguardo al secondo problema brevemente si deve precisare che solo “i versamenti in conto capitale - e naturalmente a fondo perduto - dei quali non sia certo il collegamento causale con un futuro e ben

113 V. App. Napoli, 13.6.2000, in Notariato, 2000, 561 114 V. App. Napoli, cit. alla nota precedente. 115 Così sembrerebbe Trib. Roma, decr., 17.2.2000, in Foro it., 2001, 748. 116 A favore dell’utilizzo degli utili di esercizio nelle operazioni di ripianamento delle perdite in giurisprudenza: Trib.Roma, decr., 17.2.2000, cit; Trib. Napoli, decr., 11.5.1999, in Riv. not., 2000, 163; Trib. Roma, decr., 6.5.1997, in Società, 1997, 1326; App. Milano, decr., 19.1.1999, in Società, 724; Trib. Napoli, 23.3.1999, in Notariato, 1999, 244; Trib. Roma, decr., 12.11.1999, in Giur. it, 1999, I,2,1241; Trib. Napoli, 27.4.2000, in Notariato, 2000, 560. 117 V. Di Sabato, Questioni in tema di riduzione del capitale per perdite, in Riv. Dir. Impr., 2000, n. 3.

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determinato aumento, non solo possono, ma debbono essere utilizzati a copertura delle perdite...”118 Viceversa, i versamenti in conto futuro determinato aumento del capitale non possono essere utilizzati per la copertura delle perdite non essendo ancora entrati nel patrimonio della società in quanto somma lasciata alla società a titolo di deposito che accompagna una proposta di aumento del capitale fatta dal socio alla società e da questa non ancora accettata119. Infine, i finanziamenti dei soci alla società non possono essere utilizzati dalla società per la copertura delle perdite senza una previa formale rinuncia alla restituzione degli stessi da parte del socio (remissione del debito ex art. 1236 c.c.)120. La tempestività della convocazione. Il nuovo testo dell’art. 2631,c.c. La seconda questione interpretativa riguarda la tempestività della convocazione. Gli artt. 2446 e 2447, c.c., per le s.p.a. e 2482 bis e 2482 ter per le s.r.l. prevedono che nelle ipotesi di perdita del capitale sociale ivi previste gli amministratori debbano senza indugio convocare l’assemblea. L’art. 2631,c.c., genericamente prevede che gli amministratori e i sindaci che omettono di convocare l’assemblea dei soci nei casi previsti dalla legge o dallo statuto, nei termini ivi previsti sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria…Ove la legge o lo statuto non prevedano espressamente un termine, entro il quale effettuare la convocazione, questa si considera omessa allorché siano trascorsi 30 giorni dal momento in cui amministratori e sindaci sono venuti a conoscenza del presupposto che obbliga alla convocazione dell’assemblea dei soci. La sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di un terzo nel caso di convocazione a seguito di perdite… Le norme riscritte nella riforma, in particolare l’art. 2631,c.c., consentono di superare le distorsioni applicative del vecchio art. 2630, comma secondo, n. 2, il quale richiamava nel proprio testo solo l’art. 2446. Tale incompletezza nel richiamo aveva portato parte della dottrina e parte della giurisprudenza121 a ritenere applicabile la norma sanzionatoria ai soli amministratori di s.p.a. e non a quelli di s.r.l., visto che la norma incriminatrice, strutturata con il rinvio alla norma dettata per la s.p.a., ometteva di richiamare espressamente l’art. 2496,c.c., che, in tema di riduzione del capitale sociale, rendeva direttamente applicabili alle s.r.l. le disposizioni dettate per la s.p.a. Pertanto per il divieto di analogia

118 V. Trib. Roma, 17.3.2000, in Foro it., 2001, I, 748; Trib. Roma, decr., 17.2.2000, in Foro it., 2001, 748; contra Trib. Napoli, 10.11.1997, con nota di Balzarini, Autonomia dei principi di chiarezza, verità, e correttezza del bilancio, in Società, 1998, 791; vedi anche Giletta, Questioni a margine dei provvedimenti ai sensi dell‘art. 2447 c.c., in Società, 2003, 554. 119V. sull’argomento: Busi, Versamenti e finanziamenti dei soci nelle operazioni notarili, in Notariato, 2000, 360 e dottrina e giurisprudenza ivi citati; Busi, Problemi di qualificazione dei versamenti del socio alla società, in Notariato, 1999, 545; Rubino De Ritis, Gli apporti spontanei in società di capitali, Torino, 2001; Mantera e Marrese, Versamenti in conto capitale e a fondo perduto, in A.a.V.v., Statuti societari e controllo di legalità, Torino, 2002, 219; Ferri Jr, Investimento e conferimento, Milano, 2001; Ragno, Versamenti in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale e prestiti subordinati effettuati dai soci, in Giur. comm., 2000, I, 763; Parella, Versamenti in denaro dei soci e conferimenti nella società di capitali, Milano, 2000; Gennari, Adozione, con il voto di soggetti non legittimati, di delibera per il ripianamento delle perdite mediante versamenti dei soci, in Società, 2002, 366; Smussi, Versamenti dei soci a copertura delle perdite d’esercizio, in Dir. e prat. delle società, 2001, n. 14-15, 43; in Giurisprudenza: Cass. Civ., Sez.III, 6.7.2001, n. 9209, in Società, 2002, 35; App. Milano, 31.1.2003, in Giur. it., 2003, I,2,1178. 120 Sottoriva, Copertura di perdite mediante utilizzo di crediti postergati, in Società, 2002, 600; contra Trib. Monza, ord., 6.7.2001, in Società, 2002, 600.. 121 V. Cass. Pen., Sez. V, 8.10.1997, in Riv trim. dir. pen., econ., 1999, 183; Cass. Pen.,sez.V, 11.2.1998, in Dir. Pen e proc., 1998, 748; Cass.Pen. , 21.1.1999, in Cass. Pen., 2000,755; Trib. Pinerolo, 4.2.1999, in Giur. Comm., 1999, II, 401; Trib. Grosseto, Sez. pen., 20.12.1999, in Società, 2000, 1251.

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nell’applicazione di norme penali, (ossia il ricorso all’operazione che si compie risalendo da una norma espressa ad un principio in essa contenuto e dal quale è dato ridiscendere alla formulazione di una norma inespressa, quella che appunto contiene la regola del caso analogo a quello espressamente disciplinato), si dava luogo ad un vuoto penalistico. Vuoto che si riteneva non potesse essere colmato nemmeno attraverso l’interpretazione estensiva, che è il risultato della scoperta, fatta dall’interprete, che sotto l’espressione letterale della singola disposizione di legge si cela un contenuto più ampio, che per quanto non chiaramente enunciato vi è appunto incluso122. A questo orientamento se ne contrapponeva un altro che per ragioni equitative riteneva applicabile l’art. 2630, comma 2,n.2, anche agli amministratori di s.r.l., motivando ciò per effetto dell’art. 2446,c.c., che estende, con riferimento all’ipotesi di riduzione di capitale, la disciplina della s.p.a. alla s.r.l., precisando che il richiamo contenuto nell’art. 2630,c.c., al solo art. 2446 e non anche all’art. 2496 trova ragione nel fatto che è l’art. 2446 a dettare il precetto primario che vincola sia gli amministratori delle s.p.a. che quelli delle s.r.l.123. Il rinvio al solo art. 2446 aveva posto l’ulteriore problema dell’applicabilità della norma all’ipotesi di perdita più grave di cui all’art. 2447, c.c.. Questa volta la giurisprudenza aveva però optato per l’applicazione dell’art. 2630,secondo comma, n.2 anche all’ipotesi di cui all’art. 2447,c.c.,ritenendo che in effetti tra gli artt. 2446 e 2447,c.c., disciplinanti due aspetti dello stesso fenomeno intercorre un rapporto di specialità, in cui il quid pluris è rappresentato dalla riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. Sicché quest’ultima ipotesi altro non costituiva che il completamento della precedente124. Il nuovo sistema normativo rende espressamente applicabile il sistema sanzionatorio sia alla s.p.a. che a tutte le ipotesi di riduzione del capitale per perdite della s.r.l., chiarendo ulteriormente che in mancanza, ove la legge o lo statuto non prevedano espressamente un termine, entro il quale effettuare la convocazione questa si ritiene omessa trascorsi trenta giorni dal momento in cui amministratori e sindaci sono venuti a conoscenza del presupposto che obbliga alla convocazione dell’assemblea. Nella prassi si tenderebbe a calcolare i trenta giorni a partire dalla data dell’approvazione del bilancio, ma in realtà non può negarsi che la norma non parla di notizia della perdita certa ed approvata dall’assemblea e pertanto l’obbligo di convocare l’assemblea senza indugio sembra non seguire l’andamento dell’esercizio sociale annuale, potendo la perdita emergere anche infrannualmente125, e potendo tale contingenza negativa, costituire presupposto per la convocazione126. Peraltro risultando il nuovo illecito amministrativo punibile a titolo sia di dolo sia di colpa, rileverà anche la mancata percezione, ascrivibile a colpa, dei presupposti, il verificarsi delle perdite, che rendono attuale l’obbligo di convocazione in capo ad amministratori e sindaci127 La norma precisa però che il criterio sussidiario dei trenta giorni acquista rilevanza nella sola ipotesi in cui la legge o lo statuto non prevedano un termine di convocazione diverso. Ci si deve chiedere pertanto se per previsione statutaria si possa indicare un termine per la convocazione superiore ai trenta giorni dalla notizia della perdita del capitale. La risposta sembra debba 122 V. Cerqua, Omessa convocazione dell’assemblea e responsabilità degli amministratori, in Dir. e prat., 1999, n. 19, 19. 123 V. Cass.pen., Sez.V, 21.2.2000, in Giur. It.,2001,II,125. 124 V. Cass. Pen., Sez.V, 5.2.1988, in Impresa, 1990, in Impresa 1990, 208, con nota di Caraccioli. 125 V. Cass., Sez.I, 23.6.1998, n. 6283, in Giust. Civ., 1999,179.. 126 V. Orsi, Assemblea:omessa convocazione dopo trenta giorni, in Guida al dir., 2002, n.16, 74. 127 V. I nuovi illeciti penali a cura di Giunta, Torino, 2002, 126.

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essere negativa. Infatti, a differenza di altre ipotesi, si pensi alla convocazione dell’assemblea per la sostituzione degli amministratori mancanti o dei sindaci, le norme in materia di riduzione impongono agli amministratori la convocazione dell’assemblea “senza indugio” e pertanto un maggior termine fissato statutariamente potrebbe configgere con detta norma. Il termine dei trenta giorni sembra sia ugualmente inderogabile in forza di previsione statutaria per l’ipotesi di convocazione di cui all’art. 2367,c.c.(convocazione su richiesta della minoranza), per quella di cui all’art. 2487 (nomina dei liquidatore e attribuzione dei relativi poteri), e per quella di cui all’art. 2386,c.c. (cessazione dell’intero consiglio di amministrazione). La predisposizione della relazione sulla situazione patrimoniale ed il suo deposito presso la sede sociale: in particolare la dichiarazione resa dagli amministratori in assemblea riguardante i fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione e l’ampiezza della deroga statutaria riguardo alle modalità di deposito presso la sede sociale prevista per la sola s.r.l.

L'art. 2446, primo comma, cod. civ., dispone che gli amministratori devono presentare all'assemblea una relazione sulla situazione patrimoniale con le osservazioni del collegio sindacale. Al contrario, nell'ipotesi di cui all'art.2447, c.c., il legislatore non fa alcun riferimento alle relazioni di amministratori e sindaci, né ad un loro deposito presso la sede sociale, limitandosi a sancire che gli amministratori debbano senza indugio convocare l'assemblea.Isolata giurisprudenza128 ha sostenuto l'inapplicabilità della disciplina dell'art. 2446, c.c., alla diversa ipotesi prevista dall'art.2447, c.c., ragionando che solo nel primo caso sarebbe necessaria una cognizione preventiva per decidere se optare direttamente per la riduzione del capitale o se assumere altri opportuni provvedimenti. Nel caso di perdita integrale del capitale tale esame non sarebbe necessario visto che l'assemblea non può far altro che ridurre il capitale. Dottrina e giurisprudenza consolidate ritengono, viceversa, che gli obblighi d'informazione posti a tutela dei soci e in qualche modo anche dei creditori sociali, vadano a maggior ragione garantiti, attraverso le formalità e gli adempimenti prescritti dall'art.2446, c.c., anche nella diversa e più grave ipotesi prevista dall'art.2447, c.c..129 Infatti, i soci debbono poter verificare, attraverso la situazione patrimoniale e le relative relazioni, l'effettiva esistenza delle perdite, e debbono essere messi nella condizione di scegliere se ricapitalizzare o meno la società od eventualmente trasformarla, conoscendo le ragioni della perdita130. Accertata l'applicabilità della disciplina di cui all'art. 2446, c.c., anche nel caso di perdita del capitale di cui all‘art 2447,c.c., si è discusso circa l'interpretazione da dare alla norma, che sembra prevedere la redazione della sola "relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale" (e non anche la redazione della vera e propria situazione patrimoniale). La dottrina 131 ha, 128 V. Trib. Milano, 25.1.1954, in Foro it., 1955, 147. 129 In tal senso: De Acutis, Riduzione obbligatoria del capitale per perdite e situazione patrimoniale di riferimento, nota a Trib.Rovigo, decr.14.4.1995 e App. Venezia, decr.2.8.1995, in N.G.C.C., 1995, 1, 992; Salafia, L'informazione ai soci per la riduzione del capitale conseguente a perdite, in Società, 1996, 750; Fimmanò, Il Napoli Calcio vende i suoi campioni e deposita un bilancio di riduzione " fresco di giornata", in Riv. not., 1994, 1462; Id., Il bilancio di riduzione, in Giur.comm., 1994, 1, 1097; Montagnani, Profili attuali della riduzione del capitale sociale, in Riv.dir.civ., 1993, 2, 50 ss.; Fabrizio, Operazioni di riduzione del capitale per perdite, nota a Trib. Cassino, decr.,9.6.1993, in Società, 1993, 1377; Cass., 13.2.1969, n. 484, in Giur. it., 1969, 1, 628 , secondo la quale le modalità procedimentali previste dall'art.2446 c.c., sono proprie di ogni ipotesi di riduzione del capitale sociale per perdite; Trib. Rovigo, decr.14.4.1995, in N.G.C.C, 1995, 990; Trib. Napoli, 10.6.1994, in Riv.not., 1994, 1453; Trib. Cassino, decr.9.6.1993, in Società, 1993 1375; Trib. Torino, 18.5.1991, ivi, 1991, 1404; Trib. Genova, 29.9.1990, ivi, 1991, 216; App. Milano, 14.6.1991, ivi, 1991, 1663; Trib. Cassino, decr., 18.11.1988, in Giur. Merito, 1990, 283; App. Milano, 15.5.1981, in Foro Pad.,1981, 253. 130 Montagnani, op.cit., 50 ss. 131 Così Salafia, in nota a Trib. Verona, decr., 14.3.1985, in Società, 1986, 163.

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pero, evidenziato che la relazione degli amministratori può svolgere la sua funzione soltanto se la situazione, che deve illustrare, sia concretizzata in un documento, nel quale la condizione del patrimonio e la dinamica dell'esercizio siano rappresentate. Dovrebbe, quindi, ritenersi che, implicitamente ma chiaramente, la legge imponga agli amministratori di sottoporre all'esame dell'assemblea la situazione patrimoniale132 della società insieme con una relazione illustrativa. Entrando nel vivo delle dispute giurisprudenziali e dottrinali in tema di situazione patrimoniale si deve dar conto del problema della cosiddetta "anzianità" della stessa. La legge non indica quale debba essere la massima distantia temporis intercorrente tra la deliberazione assembleare di riduzione del capitale e la data di stesura della situazione patrimoniale. Tuttavia, la riduzione, deve essere disposto solo in proporzione delle perdite accertate. E' necessario evitare che il capitale sociale venga ridotto sulla base di dati non più attuali in conseguenza di una ripresa della società, o di un aggravamento della sua crisi. Diversamente: nel primo caso si realizzerebbe " un' espropriazione dei soci di minoranza, privati del valore delle azioni corrispondenti al capitale residuo"133, nonché nell'ipotesi in cui detti soci non concorrano alla reintegrazione del capitale interamente perso, in una esclusione degli stessi dalla società, nonostante il loro diritto quali possessori di azioni, sia pure private di gran parte del loro valore, di continuare a partecipare alla stessa134; nel secondo caso la ricostituzione del capitale non sarebbe effettiva ma solo "apparente", con conseguente pregiudizio per i terzi (in particolare i creditori). Per evitare inconvenienti sembra possibile scegliere due strade: richiedere la redazione di una situazione patrimoniale il più aggiornata possibile, o dar conto nella relazione accompagnatoria degli amministratori delle eventuali discrepanze tra detta situazione (solitamente ed inevitabilmente vecchia di qualche mese) e la situazione economica reale della società alla data della riunione assembleare. Parte della giurisprudenza135 sembra ritenere che l'esigenza di ridurre o azzerare il capitale in proporzione di perdite effettive possa essere soddisfatta solo attraverso la redazione di una situazione patrimoniale relativa ad una data il più vicino possibile alla data della decisione assembleare. Quando si trattava di precisare quale situazione patrimoniale poteva considerarsi sufficientemente vicina e quindi attuale si seguivano criteri empirici e si dichiarava necessario che la redazione della situazione non fosse anteriore di oltre sessanta o novanta giorni rispetto al giorno in cui l'assemblea veniva chiamata a deliberare l'azzeramento del capitale136. Tale orientamento non è, però, fondato su alcun dato

132 Parte della dottrina ritiene che oltre alla relazione “gli amministratori debbano sottoporre all’assemblea un vero e proprio bilancio” . In tal senso Di Sabato, cit., 687. Sul punto si veda in Giurisprudenza Cass.; 7.3.1992, n.2764, in Società, 1992, 935; Cass., 4.5.1994, n. 4326, ivi , 1994, 1355; App. Genova 20.7.1987, ivi, 1988,71; Trib. Roma, decr., 16.5.1986, ivi, 1986, 1317. 133 V. Cass.,7.3.1992, n.2764, cit.,588. 134 V. Cass.,13.2.1969, n.484,cit.,628. 135 Si va dalla prescrizione che la situazione sia stata approvata "in tempi assai recenti" così Trib.Cosenza, decr.8.2.1994,in Società,1994,1071, alla generica previsione che la situazione deve essere aggiornata: v. Trib.Udine, decr.10.1.1995, in Società, 1995,676; Trib. Rovigo, decr.14.4.1995, cit.,989; Trib.Torino,decr.5.10.1988, in Società,1988,1289; Cass., 13.2.1992, n.2764, cit.,938.Per una esposizione generale dell'argomento vedi Salafia, L'informazione ai soci per la riduzione del capitale conseguente a perdite, in Società, 1996, 749 ss., Carbonetti, Riduzione del capitale per perdite: questioni ancora controverse in tema di situazione patrimoniale, in Riv. dir. comm., 1997, II, 11 ss.. 136 V. Trib. Napoli, decr.21.2.1992, in Dir.fall.,1993,2,240; recentemente , però, il Tribunale di Napoli ha portato tale termine a quattro mesi, vedi decr.23.5.1996, in Società, all. al n.8 del 1996; implicitamente Trib. Milano, decr.10.10.1984, in Società, 1985, 305 che considera nulla una riduzione del capitale perchè basata su una situazione patrimoniale vecchia di tre mesi e App. Milano, 31.1.2003, cit., 1179, che pur essendo rimasta fedele alla rigida posizione espressa ripetutamente dalla giurisprudenza onoraria del tribunale di Milano che aveva affermato il limite massimo di sessanta giorni (cfr., massime

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normativo positivo 137 e la sua adozione sembra, pertanto, arbitraria. Altra giurisprudenza e parte della dottrina ha tentato di reperire aliunde nella legge un riferimento temporale certo circa il grado di aggiornamento richiesto per la situazione patrimoniale. Si è ritenuto applicabile per analogia il termine di quattro mesi previsto dalle nuove disposizioni di legge in tema di fusioni, od il termine di quattro, od eccezionalmente sei mesi, previsto dall'art.2446 c.c.138. Nemmeno tale orientamento pare immune da critiche. Infatti,l'espressa previsione di un termine in materia di fusione sembrerebbe dimostrare che il legislatore, ove lo ha ritenuto opportuno (nella fusione non nella riduzione-azzeramento), ha fissato positivamente il livello di aggiornamento delle situazioni patrimoniali. L'opportunità di tale indicazione per la fusione nascerebbe dalle peculiari (e pertanto non comuni ad altre operazioni) esigenze di tale operazione, ossia " garantire omogeneità, oltre che di contenuto, anche di aggiornamento tra le situazioni patrimoniali che le due o più società coinvolte debbono redigere e, in secondo luogo, di tutelare il diritto d'informazione non soltanto dei soci della singola società, ma anche quello dei soci dell'altra - come tali terzi - e dei creditori"139. Nemmeno condivisibile sembra l'applicazione del termine di cui all'art.2446, secondo comma. "Il riferimento all'assemblea che approva il bilancio, convocata, quindi, ai sensi dell'art.2364, secondo comma, c.c., entro quattro o sei mesi dalla chiusura dell'esercizio, ha lo scopo diverso di indicare il termine ultimo entro il quale l'assemblea conserva il potere-dovere di ridurre il capitale e superato inutilmente il quale gli amministratori ed i sindaci debbono chiedere al tribunale di provvedere in sostituzione dell'assemblea"140. In conclusione, in assenza di una espressa presunzione di legge non sembra corretto ritenere, né che una situazione patrimoniale risalente nel tempo non sia più rispondente alla realtà, né che una situazione patrimoniale redatta otto giorni prima dell'assemblea sia necessariamente esatta. Infatti, nel caso di società inattiva anche un vecchio bilancio può fungere da base dell'operazione, mentre un unica operazione economica realizzata il giorno prima dell'assemblea può assorbire od aggravare la perdita141. Ad avviso di chi scrive, deve essere "attuale" non la situazione patrimoniale in sé, bensì la relazione sulla stessa degli amministratori, sulla quale il legislatore ha posto l'accento nell'art.2446, c.c..

del Trib. Milano, in Riv. soc., 1982, 1029) ha giudicato priva di rilievo la differenza temporale di soli 18 giorni in più rispetto ai 60 comunemente accettati nella prassi adottata nei procedimenti di omologazione. 137 Vedi in dottrina: De Acutis, cit., 994; Fimmanò, Riduzione del capitale per perdite e situazione patrimoniale aggiornata, nota a Trib. Napoli, decr.,21.2.1992, in Dir.fall., 1993, 2, 243; Marchetti, La data di riferimento della situazione patrimoniale nella riduzione del capitale per perdite, in Riv.soc., 1982, 776. 138 In dottrina: Fimmanò, Il bilancio di riduzione, cit.,1111; in giurisprudenza: Trib.Verona, decr.22.7.1993, in Società, 1994, 72 ; Trib.Napoli, decr.23.5.1996, in Società,1996, All.al n.8,3; Trib.Napoli,decr.,6.8.1996, in Società,1997,All.al n.1,4; Trib. Napoli, decr., 1.10.1998, in Società, 1999, 346, con nota di Albanese, Riduzione e azzeramento del capitale sociale e diritto d’opzione dei soci, in Società, 1999, 346; Trib. Napoli, 2.7.1996, in società, 1996, 1203; Trib. Roma, 27.12.1994, in Gius, 1995, 359; Trib. Firenze, 6.7.1995, in Notariato, 1996, 23; App. Roma, 29.1.1994, in Riv. not., 1994, 879; Cass., 7.3.1992, n. 2764, in Vita not., 1993, 344. 139 De Acutis, cit., 994. 140 De Acutis, cit., 994. 141 Emblematico il caso del Napoli Calcio che aveva venduto pochi giorni prima della riunione assembleare i propri giocatori riducendo sensibilmente le proprie perdite (v. Trib. Napoli, 10.6.1994, in Riv.not., 1994,1452.

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Sono gli amministratori che in tale documento devono dichiarare (sotto la propria responsabilità) che la situazione patrimoniale, riferita a qualsiasi data (non anteriore all'approvazione dell'ultimo bilancio), corrisponde a realtà.142 Si potrebbe addirittura affermare che, visto il generale dovere di informazione gravante sugli amministratori per le loro stesse funzioni (art.2392,c.c.), e visto l’art.2429 bis, c.c., che fà obbligo agli amministratori di indicare nella relazione corredante il bilancio i fatti di rilievo verificatisi dopo la chiusura, il semplice richiamo, nella relazione, ai dati di un precedente bilancio possa valere come dichiarazione implicita di conformità alla realtà dello stesso e di mancata verificazione di fatti successivi che ne abbiano modificato le risultanze. Nella relazione si potranno indicare i fatti di rilievo, naturalmente non tali e di tale complessità da stravolgere la situazione patrimoniale societaria, che si siano verificati tra la data a cui risale la situazione patrimoniale e la data del suo deposito presso la sede della società143 (otto giorni prima) 144. Una conferma di quanto ora affermato è data dal legislatore della riforma che ha inserito nel disposto dell’art. 2446,c.c., e dell’art. 2482-bis la prescrizione che “nell’assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione”. Il legislatore, infatti spinge l’obbligo di attualizzazione della relazione sino alla data stessa della riunione assembleare. La norma sembra, però, da coordinare con il principio del diritto di informazione del socio 145.

142 In tal senso implicitamente App.Milano, decr.,21.3.1988, in Riv.not.,1988,1370, secondo cui" In mancanza di prova alcuna circa eventuali rilevanti variazioni della situazione prospettata nel bilancio lo stesso deve ritenersi ancora conforme alla realtà"; ed esplicitamente, App.Milano, decr.29.8.1996, in Società, 1997,186,. secondo cui ex artt.2446 e 2447, codice civile, l’attualità della relazione sulla situazione patrimoniale sottoposta all’assemblea dagli amministratori ai fini della proposta di riduzione del capitale sociale non deve superare i quattro mesi prima della data della deliberazione; tuttavia, ove il presidente del c.d.a. offra, in corso di assemblea, precisazioni alla data dell’assemblea stessa, tale dichiarazione costituisce sostanzialmente una certificazione dell’attualità della situazione patrimoniale di cui al bilancio anteriore a quattro mesi e risponde pertanto ai requisiti richiesti dall’art.2446, c.c., con conseguente omologa della delibera di riduzione del capitale. In tal senso anche: Angelici, Riduzione del capitale sociale per perdite e situazione patrimoniale della società, in Studi e materiali, Vol. 5, Milano, 1998, 58. In senso contrario Trib. Milano, decr., 15.6.1996, in Foro pad., 1997, 269, poi riformato dal decreto di cui sopra.. 143 V. Trib. Milano, 9.7.1987, in Giur. it., 1988, I,2,1697; Trib. Milano, 19.5.1983, in Foro it., Rep. 1984, voce Società, 670 che confermano l’orientamento secondo il quale l’omessa rappresentazione nella relazione degli amministratori dei fatti di rilievo verificatisi tra la redazione del documento contabile e la pubblicazione di tale relazione pregiudicherebbe la chiarezza e la precisione del documento contabile cui la relazione viene allegata e Cass., 7.3.1992, n. 2764, cit., che rileva come eventi migliorativi della situazione patrimoniale della società realizzatisi tra la data di redazione della situazione patrimoniale e la data di redazione della relazione degli amministratori incidono sulla legittimità della deliberazione di riduzione del capitale. V. anche App. Milano, 11.3.1986, in Società, 1986, 862; App. Milano, 21.3.1988, in Società, 1988, 651. 144 Secondo Trib. Milano, 25.7.1988, in società, 1989, 33 "Il termine di 8 giorni prima dell'assemblea va calcolato tenendo conto anche dell'ora fissata per l'assemblea". Diversamente Cass.15.3.1995, n.2968, in Guida norm. del Sole 24 ore,dell'1.7.1995,19 e App.Milano,14.6.1991, in Società, 1991, 1662 per le quali "la previsione del deposito durante gli otto giorni che precedono l'assemblea, impone, in difetto di previsioni che autorizzino di passare a un calcolo a ore, ovvero di assegnare influenza alla frazione di giorno, che detto deposito sia eseguito non oltre lo spirare del nono giorno anteriore a quello dell'assemblea, quale che sia l'orario della sua celebrazione, dato che solo in tale situazione il giorno dell'assemblea risulta preceduto da otto giorni di deposito". Secondo Trib. Avellino, 14.8.1998, in Nuovo dir., 1999, 747, “non è violata la legge se l’avviso del deposito della relazione pervenga ai destinatari in prossimità dell’assemblea, ove l’avviso di convocazione della stessa, con indicato l’oggetto, arrivi ai soci prima degli otto giorni, perché costoro, usando l’ordinaria diligenza e recandosi alla sede della società, possono esaminare il contenuto della relazione. Circa l’importanza del rispetto degli 8 giorni vedi: App. Cagliari, decr., 11.12.1992, in Impresa, 1993, 1568, con nota di Cherubini, Ricostituzione del capitale azzerato per perdite e tutela dei soci di minoranza.

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E’ evidente che “la ratio dell’art. 2446,c.c., nel richiedere il preventivo deposito della relazione degli amministratori per almeno otto giorni, muove dal presupposto dell’indispensabilità dell’adempimento per l’espressione di un voto consapevole da parte di tutti i soci”146 Al fine di coordinare il diritto di informazione del socio, garantito dal previo deposito, con l’obbligo degli amministratori di relazionare sui fatti di rilievo successivi alla redazione della relazione sembra opportuno operare un distinguo tra “fatti rilevanti che incidono sulle prospettive future della società e quindi sulla previsione di andamento della società ad es. stipulazione di un importante contratto” e “eventi straordinari che incidano sulla entità della perdite, da ritenersi perciò aumentata ovvero, al contrario, diminuita o addirittura azzerata e che quindi modifichino in maniera rilevante la situazione economica della società”. Nel primo caso l’assemblea potrà senza alcun problema deliberare la riduzione del capitale. In altre parole l’aggiornamento delle prospettive avrà la funzione di chiarire ai soci quale sia l’opportuno provvedimento da adottare. Nel secondo caso, ossia, qualora tra la data del deposito della relazione (otto giorni prima) e l'assemblea si verifichino eventi straordinari che modifichino in maniera rilevante la situazione economica della società, nonostante un diverso orientamento dottrinale ritenga che anche in tal caso si possa immediatamente ridurre il capitale147 tenendo naturalmente conto dei nuovi fatti che incidono sulla perdita, per evitare sia proposta e deliberata una riduzione del capitale in modo frettoloso e nonostante possa non esservi più corrispondenza con la situazione reale, ed al fine di garantire ai soci il diritto di informazione, consacrato dall’obbligo del previo deposito della relazione presso la sede sociale, sembra preferibile ritenere che debba essere predisposta dagli amministratori una nuova relazione sulla situazione patrimoniale da esporre e commentare in assemblea (naturalmente con le osservazioni del collegio sindacale).

145 V. sul punto ampiamente Busi, L’assemblea e le decisioni dei soci, cit.; Busi, Il presidente dell’assemblea, in Il nuovo diritto delle società, Italia Oggi, in corso di pubblicazione; Cass., sez. I, 17.1.2001, n. 560, in Giur. It, 2001, I, 1179 con nota di Breida; Cass., Sez.I, 11.5.1998, n. 4734, in Società, 1998, 1291; Trib. Milano, 28.6.2001, in Giur. It., 2001, 2323, con nota di Weigmann; Trib. Firenze, ord., 25.6.1996, in Società, 1996, 1321; App. Milano, 31.1.2003, cit., 1179; Trib. Milano, 25.2.2002, in Giur.it., 2002, 1215, con nota di Spiotta; App. Milano, 2.12.1994, ivi, 1995, I, 2, 463; Trib. Torino, 29.12.1998, in Giur. it., 1998, I,2, 1668, con nota di Fiorio; Trib. Ancona, decr., 16.6.1993, in Società, 1994, 65, con nota di Cupido; in dottrina: Costi, Note sul diritto di informazione ed ispezione del socio, in Riv. Soc., 1963,70; De Gregorio, Note sul diritto di informazione dell’azionista, in Riv. Soc., 1959, 643; Fico, Violazione al diritto del socio a prendere visione del bilancio, in Società, 1998, 1292; Traisci, Riflessioni in tema di diritto del socio all’informazione. Esperienze giuridiche a confronto, in Riv. Dir. comm., 1997, 497; Foschini, Il diritto dell’azionista all’informazione, in Riv. Dir. civ., 1961, 284; Silvetti, Assemblea di società per azioni, in Giur. Comm., 1974, I, 353; Montagnani, Diritti di informazione controllo individuale e controllo giudiziario nelle società prive di collegio sindacale, in Riv. dir. civ., 1983, 359; Galgano, Sul diritto di ispezione dell’azionista, in Rass. dir. civ., 1987, 430; Angelici, La novella tedesca sulle società a responsabilità limitata, in Riv. dir. comm., 1981, I, 185; Dabormida, Partecipazione sociale e diritto all’informazione del socio nelle piccole società di capitali, in Verrucoli, Poteri dell’imprenditore e diritto all’informazione nella gestione dell’impresa, 1987, 447; Piselli, Note in tema di informazione dell’azionista, in Giur. comm., 1996,II, 841; A.a.V.v., L’informazione societaria, Milano, 1982, Vol. I e II, ove sono raccolti diversi contributi tra cui Visentini, L’informazione societaria e gli azionisti, pp. 93 ss; Casella, L’informazione in assemblea, pp. 635 ss; Foschini, L’integrazione dell’informazione nel dibattito assembleare, pp.803 ss; Chiaraviglio, Informazioni in assemblea, pp. 659 ss.; Belviso, L’informazione dei soci nelle società con azioni quotate (art. 130 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), in Riv. soc., 2000, 630; Ragusa Maggiore, Diritto dell’azionista all’informazione e documenti giustificativi del bilancio, in Dir. fall., 1962, II, 45; Campobasso, Obbligo di comunicazione delle partecipazioni azionarie ed informazione degli azionisti, in Giur. comm., 1978, I, 50 ss. 146 V. App. Milano, 19.9.2000, in Giur. it., 2001,I,2,1203; App. Roma, decr., 9.2.1998, in Nuovo dir., 2000, n.11, 889; Trib. Cassino, 11.1.1989, in Nuovo dir., 1989, con nota di Bronzini; Trib. Bassano del Grappa, 20.9.1996, in Società, 1997, 209. 147 V.Associazione Preite, Il nuovo diritto delle società, a cura di Olivieri, Presti, Vella, Bologna, Il Mulino, 2003, 279.

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In tal caso qualora tutti i soci, uti singuli, dichiarino in assemblea di ritenersi adeguatamente informati e di rinunciare, pertanto, al termine di deposito di cui all'art.2446 ( e quindi al proprio diritto d'informazione) sarà possibile deliberare immediatamente la riduzione148; viceversa, se anche uno solo dei soci dichiari di non rinunciare al proprio diritto al deposito, l'assemblea potrà deliberare a maggioranza il rinvio della seduta, e non essendo vincolata dal termine dell'art. 2374, c.c., determinarlo in modo da osservare l'intervallo minimo del deposito 149. Nell'ipotesi di assemblea non totalitaria sarà, invece, necessario, per rispettare il diritto di informazione dei soci, riconvocare ex novo l'assemblea, entro i limiti di tempo necessari all'espletamento dei relativi adempimenti 150. La sola disciplina della s.r.l. prevede poi che “se l’atto costitutivo non prevede diversamente” copia della relazione e delle osservazioni devono rimanere depositate presso la sede della società per almeno 8 giorni prima dell’assemblea perché i soci possano prenderne visione. Secondo parte della dottrina l’inciso iniziale in un interpretazione ampia, ma forse più vicina al dato letterale potrebbe arrivare ad esentare gli amministratori dal previo deposito. Tale dottrina ha precisato che “con una disposizione esclusiva per la s.r.l., tipo in cui non di rado tutti i soci sono anche amministratori o esprimono un amministratore (spesso a sua volta amministratore di una società socia della s.r.l.) e quindi sono ben informati sulla situazione patrimoniale, l’atto costitutivo può esentare dal previo deposito della documentazione citata presso la sede sociale. L’esenzione - è bene precisare - può concernere il solo deposito (previsto nell’interesse dei soci) e non anche la presentazione della documentazione in assemblea (prevista nell’interesse generale): senza di che la deliberazione di riduzione non potrebbe validamente adottarsi, in quanto mancherebbero i necessari riferimenti sulla entità della perdita e le possibilità per controllare la ricorrenza del presupposto di legittimità della riduzione“151. E’ opportuno precisare che anche questa norma sembra vada coordinata con il diritto all’informazione del socio, diritto tutelato dal legislatore con la previsione, di cui all’art. 2479 ter, dell’invalidità delle decisioni prese in assenza assoluta di informazione del socio. Sembra, pertanto, opportuno che già lo statuto preveda come correttivo del mancato deposito dei documenti informativi presso la sede sociale l’obbligo di lettura degli stessi in assemblea. Infatti come correttamente rilevato dalla dottrina “la validità e l’utilità dell’informazione in sede assembleare postulano la conoscenza delle relazioni degli organi sociali: conoscenza da acquisirsi attraverso la lettura ogniqualvolta consti che la conoscenza non sussista in parte cospicua dei partecipanti”152 Anche la giurisprudenza nell’affermare che non si può imporre agli amministratori o al presidente dell’assemblea l’incombenza di dare lettura, a richiesta, di tali documenti, pone a base di tale

148 V. Trib. Genova, 29.9.1990, in Società, 1991,214; Trib.Napoli, 10.6.1994, cit.,1452. 149 V. Trib . Napoli, citato alla nota precedente,1458. Come rilevato da Trib. Bologna, 4.5.1998, in Foro it., 1999, 1015, l’aggiornamento della situazione patrimoniale a 5 giorni prima dell’assemblea prova per tabulas l’inosservanza del termine di legge. V. anche la diversa opinione di Giletta, op. cit., 557. 150 V. sempre Trib. Napoli, cit., 1458. 151 V. Associazione Preite, Il nuovo diritto delle società, a cura di Olivieri, Presti, Vella, Bologna, Il Mulino, 2003, 279. 152 V. Chiaraviglio, op. cit., 664.

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affermazione l’esistenza di un obbligo di deposito che esaurisce ogni dovere di pubblicità e di informazione dei soci153. Di conseguenza, mancando il deposito, per disposizione statutaria, sembra, a chi scrive, riprenda vita l’obbligo di lettura dei documenti in assemblea. Parte della dottrina, forse proprio nel timore di lesione del diritto di informazione del socio, interpreta restrittivamente la norma affermando che la deroga prevista nell’atto costitutivo “possa riguardare solo la diversa forma di accesso o di comunicazione di tali informazioni (ad es. spedizione per posta, o con altri strumenti, al domicilio di ciascun socio, ovvero accesso ad un sito internet della società ove quei documenti risultino accessibili, ecc)..“154. Altra dottrina pur se a titolo meramente esemplificativo indica come contenuto della deroga la previsione “che la relazione sia inviata ai soci o ad esempio che i termini di deposito siano più brevi”155. Tali letture non sembrano condivisibili. Infatti, già la giurisprudenza aveva equiparato la conoscenza mediante recapito della documentazione al domicilio del socio al deposito presso la sede sociale156 e quanto all’interpretazione minimalista della norma che ritenga riducibile ma non eliminabile il termine di deposito, in considerazione della discussione circa l’interpretazione dell’inciso derogatorio analogo e generico di cui alla vecchia norma in materia di convocazione dell’assemblea di s.r.l. sembra che il legislatore, se tale fosse stato la sua reale intenzione, non avrebbe omesso di precisare, come fà all’art. 2479-bis,c.c., che il termine deve essere comunque tale da assicurare la tempestiva informazione dei soci. Il legislatore prevede nell’art. 2446, c.c. e nell’art. 2482-bis che il collegio sindacale (o per la s.p.a. il comitato per il controllo sulla gestione) deve formulare le proprie osservazioni sulla relazione degli amministratori. Secondo parte della giurisprudenza l’adozione della diversa dizione osservazioni non autorizza ad attribuire loro un significato ed una valenza ridotti rispetto alle relazioni ex art.2446, c.c.. Più ragionevole sembra, viceversa, ritenere che la necessaria continuità di controllo del collegio sindacale rende sufficienti le sole osservazioni, sul presupposto che queste sono state comunque precedute dalla stesura della relazione ex art.2429, c.c.. In altre parole secondo tale giurisprudenza il collegio sindacale, deve redigere una relazione ex art.2429, c.c., riguardante la situazione patrimoniale e successivamente fare le osservazioni ex art.2446, c.c.. Queste ultime presuppongono la prima. Rappresentano uno sviluppo ed un aggiornamento della relazione157. Tale ricostruzione sottolinea il ruolo centrale, nel caso di perdite, della relazione degli amministratori e delle osservazioni del collegio sindacale. E’ attraverso questi strumenti (e non attraverso la predisposizione di una situazione patrimoniale a ridosso dell’assemblea) che secondo il legislatore si

153 V. Cass. Civ., Sez.I, 4.2.1992, n. 1211, in Giur.it., 1992, I,1, 1441, con nota di Cottino; App. Milano, 25.3.1986, in Società, 1986, 54; Mignoli, Piccoli problemi: omessa lettura della relazione e del bilancio, in Riv. soc., 1979, 724; Sasso, Le società per azioni: il bilancio, Torino, 1981, 392. 154 V. Pinnarò, in A.a.V.v., La riforma delle società a cura di Sandulli e Santoro, Torino, 2003, Vol. 3, 212. 155 V. De Angelis, in La riforma delle srl e delle cooperative, Insero di Italia Oggi, 3.2.2003, 37. 156 V. App. Milano, 25.3.1986, cit., 629. 157 App. Venezia, decr., 13.11.1997, in Foro it., 1998, I, 2,584, afferma che il mancato deposito presso la sede delle osservazioni del collegio sindacale comporta mancata omologazione.

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può accertare l’attualità della situazione patrimoniale e la sua conseguente idoneità a fungere da base per l’operazione di riduzione del capitale.158 Parte della giurisprudenza e della dottrina ritenevano che la mancanza di uno o di tutti i documenti indicati nel paragrafo precedente, o l’irregolarità degli stessi, fosse da reputarsi causa di nullità - e non di mera annullabilità - di deliberazioni assembleari.159 Tale nullità: secondo alcuni sarebbe stata conseguenza semplicemente dell’applicazione delle disposizioni generali di cui agli artt.1418 e ss., c.c., che prevedevano il regime di nullità in caso di contrasto della delibera con norme imperative, dovendosi applicare la particolare disciplina di cui agli artt.2377 e 2379 solo in ipotesi limitate e particolari di vizi della delibera160; secondo altri sarebbe stata conseguenza della lesione dei diritto dei soci alla compiuta informazione sulla situazione patrimoniale e finanziaria della società, in funzione dell’informato e ponderato esercizio del diritto di voto in assemblea, e dalla violazione del principio della necessaria corrispondenza tra la riduzione del capitale operato dalla società e le effettive perdite dalla stessa subite, corrispondenza richiesta dal legislatore a salvaguardia dell’integrità del capitale sociale e quindi, sopratutto, a tutela dei terzi 161. Il primo orientamento non sembrava accettabile. La giurisprudenza di legittimità aveva, infatti, più volte ribadito che "per principio generale, la violazione di ogni norma di legge, anche di norme imperative, comporta la semplice annullabilità della deliberazione, in deroga al principio generale codificato dall’art.1418, c.c."162. Anche il secondo orientamento non sembrava condivisibile. E’ vero che si sarebbe potuto parlare di nullità, accanto ai casi espressamente previsti nell’art.2379 (impossibilità o illiceità dell’oggetto), nelle ipotesi in cui le norme di legge fossero state dettate a tutela dell’interesse generale, o di diritti inderogabili e irrinunciabili dei soci, ma è altrettanto vero che il mancato rispetto del procedimento, di per sé non avrebbe violato, né il principio dell’integrità del capitale sociale, né i diritti patrimoniali dei soci; infine il diritto all’informazione dei soci, essendo rinunciabile dagli stessi, se non rispettato, non avrebbe potuto determinare la grave conseguenza della nullità della delibera. Sembrava quindi preferibile ritenere annullabile163 la deliberazione di riduzione od azzeramento per perdite del capitale sociale nel caso di mancata osservanza delle formalità previste dalla legge.

158 Così Trib. Napoli, decr.,6.12.1995, in Società,1996, 460. In tal senso sembra fosse già Cass., 13.2.1969, n. 484, in Foro it., 1970, I, 628 secondo cui “la legge richiedendo, in caso di diminuzione del capitale sociale…la convocazione senza indugio dell’assemblea indirettamente esige che la relazione degli amministratori rifletta la situazione della società all’atto in cui l’assemblea è chiamata a deliberare e non già la situazione patrimoniale (nel caso esaminato di 2 mesi prima) …che potendo essere anteriore di alcuni mesi può nel frattempo aver subito modificazioni”. 159 In giurisprudenza: Trib. Rovigo, decr.,14.4.1995, cit.,989; Trib., Cassino, decr.,9.3,1993, ivi,1993,1374; Trib. Cassino, decr.,3.7.1991,ivi,1991,1704; Trib.Milano, decr.,10.10.1984, ivi,1985,305; Trib.Milano,11.10.1983,ivi,1984,556. In dottrina: Fimmanò, Riduzione del capitale....,Dir.fall.,1993,240 ss.,in particolare 250.. 160 V. Ferrara jr., Gli imprenditori e le società, Giuffrè, 1984,465. 161 V. Trib.Milano, 10.10.1984, cit., 305. 162 V. per tutte Cass., 22.7.1994, n.6824, in Società, 1994, 1491; Trib. Bologna, 4.5.1998, cit.. 163 In tal senso in giurisprudenza: Trib.Messina, decr.,13.10.1993, in Dir.fall. 1994, II, 1001; Trib.Genova, 29.9.1990, in Società, 1991, 214; Trib.Verona, 9.7.1988, ivi, 1988, 1270; Trib.Torino, 5.8.1988, ivi, 1281; in dottrina: Colombo, Controllo omologatorio e vizi delle delibere di riduzione del capitale, nota a Trib.Napoli, decr.,6.12.1995, in Società, 1996, 460; il quale alla nota 2 precisa che:"l’annullamento è previsto solitamente con riferimento al mancato deposito della relazione: ma la soluzione deve essere la medesima anche nel caso di mancata redazione"; Cintioli, Ricostruzione del capitale sociale e controllo del giudice dell’omologazione, in Dir.fall., 1994, 1001; Quatraro-D’Amora, cit,325,

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Dopo la riforma per la s.p.a. l’affermazione sembra confermabile. Nella s.r.l. alla regola base dell’impugnabilità delle decisioni dei soci che non siano prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo per tre mesi dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni si aggiunge la previsione dell’impugnabilità delle decisioni prese in assenza assoluta di informazione per il maggior periodo di tre anni (equivalente in certo modo della vecchia nullità). Si potrebbe ritenere che la mancata lettura in assemblea dei documenti non depositati per clausola statutaria comporti assenza assoluta di informazione del socio. Tale conclusione non sembra condivisibile. Anche in tale ipotesi il termine di impugnazione sarà il più breve termine di tre mesi. Ad avviso di chi scrive164, sembra che il legislatore, abbia utilizzato il termine “informazione” al posto di convocazione, senza intendere riconoscere al socio stesso quel diritto all’informazione preassembleare che spesso, vigente la vecchia normativa, gli era stato negato. Sembra che il legislatore abbia voluto usare un termine più generico di quello tecnico di “convocazione”, vista la possibilità di “decisione presa al di fuori della tradizionale “riunione assembleare collegiale”, e considerata la possibilità per la società di prevedere statutariamente una modalità “libera” di convocazione o, meglio, di “avviso” al socio circa la riunione assembleare. Questa lettura sembra confermata dal dato letterale della norma che disciplina l’ impugnazione della decisione per “assenza assoluta di informazione”, infatti, “assenza assoluta di informazione” sembra potersi interpretare solo come ignoranza totale della riunione assembleare o della decisione non collegiale assunta dai soci con metodo non collegiale. La competenza dell’assemblea la forma i quorum nel caso di riduzione del capitale ai sensi degli artt. 2446 e 2447, c.c. dopo la riforma. Il legislatore ha considerato la fattispecie perdita di oltre un terzo del capitale “estremamente grave, da allarme rosso”165 come denota l’obbligo di convocare l’assemblea senza indugio, quindi anche nel corso dell’esercizio, e l’abbreviazione dei termini per il deposito della relazione (e della situazione patrimoniale) degli amministratori e le osservazioni del collegio sindacale, affinché in sede assembleare si possa non solo informare sulle cause della perdita, ma soprattutto proporre l’adozione degli opportuni provvedimenti, dal momento che l’assemblea deve essere messa nelle condizioni di reagire alla perdita non solo di prenderne atto. “Non sarebbe infatti adeguato un simile sistema di allarme per poi limitarsi a dare la mera informazione”166. Al solo fine di determinare la competenza dell’assemblea e senza entrare nel merito della riconducibilità delle operazioni infra citate al concetto di “opportuno provvedimento” è necessario indagare quali operazioni siano state indicate, a ragione o torto, dalla dottrina come rientranti in tale concetto.

sembrano,invece,ritenere che la mancanza di uno dei documenti , richiesti dall’art.2446,c.c., comporti la nullità della delibera, mentre il mancato od irregolare deposito dei documenti comporti l’annullabilità della stessa. 164 V. Busi, Assemblea e decisioni dei soci, cit. 165 V. Tantini, Riduzione del capitale deliberata dall’assemblea ordinaria che approva il bilancio, accertando (per la prima volta) perdite irreversibili di oltre 1/3, in Contratto e impr., 2002, 912. 166 V. Tantini, op. cit., 916.

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Parte della dottrina prima della riforma riteneva che gli opportuni provvedimenti potessero consistere: nella riduzione del capitale, nel rinvio di tale decisione all’esercizio successivo167, per chi ammetta l’assorbimento parziale della perdita in un aumento del capitale sociale tale da ricondurre la perdita (che pure rimane immutata) al disotto del terzo del capitale aumentato168, o una riduzione parziale del capitale di entità tale da portare le perdite all’interno del limite di tolleranza169, pur senza assorbirle integralmente, nell’adozione di provvedimenti di tipo gestorio normalmente riservati all’organo amministrativo quali la chiusura di stabilimenti e di uffici, riduzione di personale170, modifiche dell’oggetto sociale e trasformazione della società in altro tipo sociale, fusione per incorporazione171, riduzione e contestuale aumento del capitale172, con versamenti dei soci a fondo perduto173. Come si evince chiaramente dalla precedente elencazione tutte le operazioni sopra citate costituiscono o determinano anche una modificazione dello statuto sociale, fatta eccezione per: il rinvio a nuovo della perdita, l’adozione di provvedimenti di tipo gestorio, i versamenti a fondo perduto. In riferimento al rinvio a nuovo della perdita come sostenuto dalla dottrina ci si trova di fronte ad una “non - deliberazione, appunto perché rimette al futuro qualunque decisione”174 Addirittura secondo parte della dottrina tale rinvio non dovrebbe nemmeno constare da una formale deliberazione175.

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167 Sull’ammissibilità di tali operazioni vi è in dottrina assoluta concordia: v. Cerrai, in A.a.V.v., Diritto commerciale, Bologna, 1993, 420; De Acutis, Capitale diminuito di oltre un terzo per perdite e opportuni provvedimenti ex art. 2446, primo comma c.c., in Vita not., 1995, 574 ss; Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1995, 686; Colombo, Il bilancio e le operazioni sul capitale, in Giur comm., 1984,I,841; Maurizi, Capitale e riduzione ier perdite, in Riv. dir. comm., 1992,I, 465; Montagnani, op. cit., 37; Teti, Capitale nominale e ordinamento delle società azionarie, Napoli, 1986, 177; Nobili, Problemi in tema di riduzione del capitale, in A.a.V.v., Aumenti e riduzioni del capitale, Milano, 1984, 130; B. Quatraro, D‘Amora, Israel, G.Quatraro, Operazioni sul capitale, Milano, 2001, Tomo, I, 733; Tantini, op. cit., 916; Minniti, Studi su alcuni casi di riduzione del capitale, in Vita not., 1987, 896; Atlante e Mariconda, La riduzione del capitale per perdite, in Riv. not., 2002, 37 ss.

V. M. Atlante, La tutela del socio e la riduzione del capitale nella s.p.a., in Riv. not., 1974, 1239; Fenghi, La riduzione del capitale, Milano, 1974, 64. 169 V. Patriarca, Nota di commento a Trib. Vicenza, decr., 28.3.1985, in N.g.c.c., 1985,I, 666. 170 V. Abbadessa, L’assemblea: competenze, nel Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 3*, Torino, 9; anche se in forma dubitativa, Calandra Bonaura, Gestione dell‘impresa e competenze dell‘assemblea nelle società per azioni, Milano, 1985, 117, nota 64. 171 V. Trib. Milano, 22.9.1995, in Società, 1996, 803, secondo cui “L’art. 2501, comma 2, c.c., consente la partecipazione alla fusione di una società in virtuale stato di liquidazione, in dipendenza di perdite ingenti, a condizione che il patrimonio netto dell’altra società partecipante all’operazione (nella specie, la società incorporante) sia idoneo ad assorbirla, costituendo in tal caso la fusione un “provvedimento opportuno” e idoneo, ai sensi dell’art. 2446,c.c., a rimediare alla situazione di crisi resa evidente dalla perdita accertata”. Sull’argomento vedi: Busi, Orientamenti giurisprudenziali in tema di modificabilità del procedimento di fusione, in N.g.c.c., 1996,II, 202. 172 V. Trib. Milano, Sez. VIII, 5.2.1998, in Giur. Milanese, 1998, 318, secondo cui “fra i provvedimenti ai sensi dell’art. 2446 c.c. rientrerebbe, oltre la copertura delle perdite, anche la ricostituzione del capitale sociale”. 173 V. Colombo, Pretesa inammissibilità di copertura di perdite senza operare sul capitale, nota a Trib Roma, decr., 14.7.1998, in Società, 1999, 340; Luoni, Brevi note in tema di riduzione del capitale per perdite, nota a app. Roma, 21.1.1999, in Giur. it., 1999, 1239; Nazzicone, Principi consolidati sulla riduzione del capitale per perdite, nota a Trib. Napoli, 25.2.1998, in Foro it., 1999, I, 1039. 174 V. Nobili, op. cit., 131.

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Sembra, pertanto, chiara la scarsa rilevanze di tale scelta di opzione da parte dei soci nell’economia della ricostruzione della competenza, dei quorum e della forma dell’assemblea chiamata ad adottare gli “opportuni provvedimenti”. Riguardo ai provvedimenti gestori la dottrina maggioritaria, prima della riforma, escludeva decisamente che tra gli opportuni provvedimenti potessero rientrare operazioni aventi ad oggetto la gestione della società, visto che le stesse per legge erano di competenza degli amministratori. Si faceva, eccezionalmente e solo da parte di dottrina minoritaria, salva la possibilità che fosse l’atto costitutivo a riservare in tal caso la decisione circa i provvedimenti gestori all’assemblea e/o la possibilità che fosse l’organo amministrativo a sottoporli volontariamente alla decisione dell’assemblea, a norma dell’art. 2364, primo comma, n. 4, con competenza per legge dell’assemblea ordinaria in entrambi i casi sempre e solo in collegamento con la decisione di rinviare a nuovo la perdita. La riforma sembra porre una pietra tombale sulla possibilità che tra gli opportuni provvedimenti vengano ricompresi atti gestionali, qualora la società interessata sia una s.p.a. Infatti, “riguardo alle competenze dell’assemblea ordinaria delle società prive di consiglio di sorveglianza, la novità più rilevante è costituita dalla limitazione introdotta rispetto agli atti di gestione. Com’è noto, l’art. 2364, n. 4...dispone che l’assemblea delibera sugli oggetti attinenti alla gestione della società riservati alla sua competenza dall’atto costitutivo o sottoposti al suo esame dagli amministratori. Nel nuovo testo risulta soppressa la facoltà già concessa agli amministratori di devolvere la decisione all’assemblea, e allo statuto è riconosciuta soltanto la possibilità di stabilire che il compimento di particolari atti sia subordinato alla autorizzazione dell’assemblea (art. 2364, n.5): il che significa che la volontà dei soci può essere soltanto chiamata a concorrere (e in via subordinata) con quella degli amministratori, giammai a sostituirsi a essa. Fa da pendant alla disposizione testè richiamata la regola generale fissata nell’art. 2380-bis, comma 1 (nuovo testo), secondo la quale la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori”176. “Solo la legge, e non più lo statuto, può attribuire ai soci la decisione sul compimento di atti gestionali...Insomma, con la riforma si rafforza la separazione dei ruoli e dei compiti degli organi sociali: ad una competenza gestoria dell’assemblea che si riconosce limitata e specifica ne corrisponde invece una ampia e generale in capo agli amministratori, derogabile dalla legge ma non dai soci. Viene in tal modo ulteriormente evidenziata la netta separazione dei ruoli e delle competenze degli organi sociali, accentuando ancor più rispetto a prima, con il venir meno della possibilità di introdurre diverse articolazioni ad opera dell’atto costituito, l’esclusiva attribuzione all’organo amministrativo dei compiti gestionali”177 L’attribuzione “per legge” della competenza alla assemblea circa operazioni gestionali, vista la sua eccezionalità rispetto ai principi sopra enunciati, sembra debba essere “esplicita” e non “interpretativa”, ossia da trarre da un riferimento in sé assolutamente generico come quello fatto agli “opportuni provvedimenti”. Alla domanda se gli amministratori potranno ancora, di loro iniziativa, sottoporre alla discussione assembleare la scelta di operazioni gestionali nel caso di perdita la risposta sembra debba essere

175 V. Ferrara - Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1994, 634; Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1992, 632. 176 V. Abbadessa, L’assemblea nella s.p.a.: competenza, in Nuovo diritto societario, insero di Italia oggi del 9.6.2003, 109; Santosuosso, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 102; Pescatore, in A.a.V.v., La riforma del diritto societario, Torino, 48; Marchetti, La sovranità si affievolisce, in Il Sole-24 ore, 22.10.2000; Fico e Gori, L‘assemblea nelle società per azioni, Milano, 2003, 5. 177 V. Busani, La riforma limita la competenza gestorio dell’assemblea, 2003, 30.

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negativa, anche alla luce della perentorietà della Relazione nella quale si legge che “gli amministratori non possono, di propria iniziativa, sottoporre all’assemblea operazioni attinenti alla gestione sociale: Ad avvalorarla potrebbe aggiungesi la considerazione che, venuta meno la funzione di consentire il discarico dalla responsabilità (verso la società) propria dell’attuale sistema di approvazione assembleare, non avrebbe più alcuna utilità la ricerca dell’approvazione assembleare178. In ogni caso è certo che l’eventuale deliberazione assembleare sollecitata dagli amministratori non li vincolerà circa la decisione finale, che sarà comunque una decisione dell’organo amministrativo. Non si potrà pertanto mai parlare di opportuno provvedimento adottato dall’assemblea. In riferimento alla s.r.l. il principio di base resta sempre che nel silenzio del contratto costitutivo e/o dell’ordine del giorno l’assemblea convocata ex art. 2446,c.c., non può travalicare le proprie competenze, relative appunto alla modifica del contratto, all’organizzazione sociale, non alla gestione dell’impresa179. Infine riguardo alla deliberazione assembleare in sessione ordinaria che deliberi come opportuno provvedimento l’effettuazione di versamenti a fondo perduto è illegittimo annoverare tra gli "opportuni provvedimenti" che l'assemblea può assumere ai sensi dell'art. 2446, c.c., la reintegrazione del capitale mediante apporti spontanei dei soci180. La precisazione che tale deliberazione valuterebbe l'opportunità d'una reintegrazione senza operare sul capitale, ma non la imporrebbe181, se vale a salvare la deliberazione dall'accusa di invalidità per violazione del principio di responsabilità limitata dei soci182, non regge all'obiezione che gli "opportuni provvedimenti cui accenna l'art. 2446, c.c., debbano consistere in atti dispositivi dell'assemblea183 (che ovviamente, possono essere anche diversi da operazioni sul capitale: ad esempio, modifiche dell'oggetto sociale, liquidazione anticipata della società184) e non in meri auspici, quale sarebbe la manifestazione della speranza che i soci effettuino versamenti a copertura delle perdite"185.

178 V. Sarale, Il nuovo volto dell’assemblea sociale, in A.a.V.v., La riforma delle società a cura di Ambrosini, Torino, 2003, 41. 179 V. Montagnani, op. cit., 37; De Acutis, op. cit., 576. 180 In tal senso anche Angiello, Dei versamenti a fondo perduto, in conto capitale e in conto futuro aumento di capitale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, 1396 il quale pur essendo favorevole alla prassi del ripianamento delle perdite senza passare per il procedimento di cui agli artt. 2446 e 2447 ritiene che ricomprenda i versamenti a fondo perduto tra quegli "opportuni provvedimenti" sui quali dovrebbe deliberare l'assemblea ai sensi dell'art. 2446, si giungerebbe alla conclusione che nella ipotesi prevista dall'art. 2447 detti versamenti non potrebbero ritenersi ammissibili potendo l'assemblea decidere solo sulla riduzione del capitale e il contemporaneo aumento del medesimo o la trasformazione della società. 181 In tal senso Spada, Reintegrazione del capitale reale senza operare sul nominale, in Giur. comm., 1978, I,42. 182 Su tale invalidità vedi: Pacitto, Società di capitali: profili applicativi dell'imposta di registro sui versamenti a copertura delle perdite d'esercizio, in Riv. dir. fin.,1985, I, 304; Malguzzi, Contributi allo studio dei versamenti dei soci di società di capitali problematiche di diritto societario e tributario, in Riv. dott. comm., 1989, 40. 183 V. De Acutis, Capitale diminuito di oltre un terzo per perdite e opportuni provvedimenti ex art. 2446, primo comma c.c., in Vita not., 1995, 574 ss. 184 V. in senso contrario De Acutis, op. cit., 578 secondo il quale rientrano tra gli opportuni provvedimenti solo quelli in grado di incidere direttamente sulla perdita e sulla sua copertura. 185 V. Carbonetti, op. cit., 1622; non sembra viceversa che tra gli opportuni provvedimenti si possano ricomprendere atti di natura gestionale quali alienazioni di rami d'azienda o di immobili della società. Ciò perchè da nulla sembra si possa evincere che nell'ipotesi di crisi della società i poteri gestionali si trasmettano all'assemblea dei soci.

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In conclusione consistendo il rinvio a nuovo della perdita in una non deliberazione, non potendo rientrare di norma eventuali provvedimenti gestori tra le competenze dell’assemblea e comunque tra le operazioni opportune di competenza dell’assemblea e non potendo l‘assemblea deliberare con efficacia cogente nei confronti dei soci una copertura delle perdite con versamenti a fondo perduto sembra che l'assemblea convocata senza indugio ai sensi dell'art. 2446, primo comma, debba essere sempre quella straordinaria, e secondo la dottrina “di ciò non si è mai dubito”186, in quanto, l’assemblea è chiamata a deliberare su una situazione di crisi il cui superamento può realizzarsi attraverso modifiche dell'originario contratto sociale (art. 2365, c.c.)187. Le possibili alternative sarebbero: innanzitutto, la previa convocazione “interlocutoria” di una assemblea ordinaria nella quale illustrare lo stato del capitale con la proposta di riconvocarsi in sede straordinaria per deliberare “gli opportuni provvedimenti” salvo che l’assemblea ordinaria stessa non deliberi di attendere gli sviluppi della situazione rinviando a nuovo la perdita. Tale possibilità contrasta, però, con la testuale dizione della norma che prevede un’unica assemblea da convocarsi “senza indugio”, evitando proprio quegli indugi che il legislatore peraltro sanzionava prima della riforma all’art. 2630 n. 2 e ora all’art. 2361,c.c., quantificando ora, peraltro, il ritardo con un termine breve. “In altre parole, posta l’evidente volontà legislativa che la situazione sia portata al più presto a conoscenza dell’assemblea affinché prenda gli opportuni provvedimenti (poiché altrimenti l’urgenza posta agli amministratori non avrebbe scopo), non si vede perché tale solerzia preliminare debba essere vanificata dalla necessità di riconvocare una nuova assemblea in sede straordinaria, per deliberare sulla sorte del capitale”188. L'assemblea straordinaria deve essere convocata con un ordine del giorno che genericamente indichi "provvedimenti di cui all'art. 2446, c.c." come tale in grado di adottare tutti i provvedimenti che comportino modificazioni del contratto sociale, che si ritengano adottabili in questa sede189. Non convince l'affermazione di altra dottrina, che rappresenterebbe la seconda alternativa a quanto qui sostenuto, secondo cui "nell' ipotesi di cui all'art. 2446, c.c. tocca agli amministratori scegliere se convocare l'assemblea ordinaria, per informarla della situazione, o quella straordinaria a cui proporre la riduzione del capitale"190. Si ritiene, infatti, che gli amministratori a mezzo dell'ordine del giorno non possano limitare la libertà dell'assemblea di scegliere tra tutte le alternative possibili191. Per lo stesso motivo non sembra condivisibile l'orientamento dottrinale più rigoroso secondo il quale gli opportuni provvedimenti presi dall'assemblea "straordinaria" sarebbero "legittimi in quanto prospettati ai soci in sede di convocazione, non potendosi ritenere sufficiente un ordine del giorno che 186 Così Montesano, La riduzione del capitale ex art. 2446 è di competenza dell’assemblea straordinaria, in Società, 1995, 816; contro isolata dottrina v. Tantini, op. cit., 912 ss. 187 V. Salvato, op. cit., 38, Battaglia, in La riduzione del capitale sociale in misura superiore ad un terzo, A.a.V.v., in Società, 1983, 739. 188 Bellini, Perdite e reintegrazione del capitale sociale note agli articoli 2446-2447 del codice civile, in Arch. civ., 1991, 392. 189 V. Forte-Imparato, Aumenti e riduzioni di capitale, Napoli, 1992, 305; Santini, Società a responsabilità limitata, in Comm. del c.c., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1984, sub art. 2496, 209, nota 7. 190 V.Weigmann, voce Società per azioni, in Dig. delle disc. priv., sez. comm., 1997, 356. 191 V. Busi Azzeramento ..., 36; sottolinea come l'avviso di convocazione delimiti la competenza di qualsiasi assemblea M. Atlante, in Riv. not., 1974, 1242.

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faccia generico riferimento agli opportuni provvedimenti."192. Ad avviso di chi scrive l'ordine del giorno sembra debba far necessariamente riferimento generico agli "opportuni provvedimenti", liberamente adottabili dall'assemblea, sembrando legittima e corretta una aggiunta e precisazione, peraltro non vincolante per l'assemblea, delle modalità dell'operazione, così come proposte dall'organo amministrativo, nel solo caso in cui le stesse siano, sì in parte occasionate o collegate alla riunione assembleare ex 2446, ma di contenuto "diverso ed ulteriore rispetto a quanto l'assemblea deve deliberare in riferimento alla crisi della società". Si pensi all'ipotesi di deliberazione dell'assemblea straordinaria che non si limiti a ridurre e ricostituire il capitale sino all'originaria consistenza, ma deliberi un ulteriore aumento del capitale sociale in conseguenza del quale il capitale finale della società risulti superiore a quello originario193. Sembra pertanto corretto ritenere che il riferimento di legge agli "opportuni provvedimenti" riguardi quanto necessario per superare la crisi determinata dalla perdita e non possa riferirsi alle ulteriori operazioni sociali deliberate nel contesto dell'assemblea di cui all'art. 2446 ma riguardanti operazioni diverse dagli “opportuni provvedimenti” solo occasionalmente adottate in detta assemblea. Sia che le gravi perdite siano state rilevate in corso di esercizio, sia che risultino dal bilancio di esercizio, la legge impone, dopo il rinvio a nuovo della perdita, di provvedere alla riduzione del capitale se la situazione persiste alla chiusura dell’esercizio successivo: se cioè ad un anno di distanza dalla fine dell’esercizio in cui la perdita fu rilevata il patrimonio netto risulta ancora inferiore di oltre un terzo rispetto al capitale nominale; riduzione che dovrà essere in misura pari alle perdite accertate. Prima della riforma era discusso circa quale assemblea fosse competente a deliberare la riduzione del capitale ai sensi dell’art. 2446,secondo comma. Il dubbio era conseguenza dell’ambigua formulazione della norma194. Infatti, l’art. 2446, secondo comma, c.c. si limitava ad indicare che se nell’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo “l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione alle perdite accertate”. La norma montava a cavallo di due principi generali: da un lato l’assemblea deputata ad approvare il bilancio era quella ordinaria ex art. 2364,c.c., dall’altro l’assemblea alla quale la legge demanda la competenza a modificare l’atto costitutivo era quella straordinaria ex art. 2365, c.c. Secondo parte della dottrina la norma era da leggersi nel senso che “l’assemblea ordinaria, competente ad approvare il bilancio, è anche competente in via eccezionale, al verificarsi di certi presupposti previsti minuziosamente ed inderogabilmente dal legislatore a ridurre il capitale”195. Le motivazioni erano le seguenti: la decisione più delicata (e cioè l’accertamento e la determinazione della misura della perdita del capitale) viene presa in sede di (e con l’) approvazione del bilancio. In definitiva, con tale delibera (di approvazione del bilancio), che spetta all’assemblea ordinaria, la perdita

192 V. Montagnani, Profili attuali della riduzione del capitale sociale, in Riv. dir. civ., 1993, 30 e 53. 193 V. Trib. Roma, 16.5.1986, in Società, 1986, 1317. 194 V. Ferri, Riduzione del capitale per perdite attuato con deliberazione dell’assemblea ordinaria, in Riv. dir. civ., 1979, II, 279. 195 Mongiello, Ancora sulla riduzione del capitale per perdite deliberata dall'assemblea ordinaria che approva il bilancio e la seconda direttiva C.E.E. in materia di società, in Giur. mer., 1981,88 ss; Tantini, op cit., 913; V. in dottrina: Tantini, Riduzione del capitale per perdite deliberata dall'assemblea ordinaria che approva il bilancio, in Giur. comm., 1979, II, 1101; Frè, Società per azioni, in Comm. c.c. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, 830; 138; Scardillo, Questioni in tema di assemblee di società di capitali, in Giur. mer., 1993, 1251; in giurisprudenza: Trib. Verona, decr. 23.10.1997, in Società, 1998, 325; Trib. Pavia, 28.12.1990, in Società, 1991, 521; Trib. Oristano, decr. 1.3.1979, e App. Cagliari, decr. 23.3.1979, in Giur. comm., 1979,II, 1101.

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del capitale è definitivamente accertata, restando solo da deliberare sui suoi effetti (la riduzione del capitale e la conseguente riduzione - normalmente - del valore nominale delle azioni). L’obbligatorietà della riduzione, che rende superfluo il ricorso alle maggioranze più elevate proprie dell’assemblea straordinaria. In questa fattispecie la riduzione del capitale, una volta accertata con l’approvazione del bilancio la perdita, è un mero atto di accertamento contabile, che ha il limitato effetto di riportare il capitale sociale nominale al livello del capitale esistente, dunque una delibera di contenuto meramente ricognitivo, priva di qualsiasi contenuto dispositivo196. “La delibera, beninteso se correttamente adottata, non incide (in modo potenzialmente discriminatorio) sulle situazioni soggettive degli azionisti, perché la riduzione del capitale si traduce (salvo il caso delle azioni di risparmio, o delle azioni postergate nelle perdite) in una generalizzata riduzione (del valore) della partecipazione sociale..., senza che la delibera di riduzione possa determinare alcuna disparità di trattamento tra azionisti..”197. La dottrina desume automaticamente ed erroneamente (come si vedrà in seguito) dalla affermata competenza dell’assemblea ordinaria la non necessarietà della verbalizzazione notarile198. Altra parte della dottrina e della giurisprudenza riteneva, viceversa, che nell'ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 2446,c.c., la competenza a deliberare la riduzione fosse dell'assemblea straordinaria199. Ne a diversa conclusione doveva indurre l'espressione utilizzata dal legislatore "assemblea che approva il bilancio" visto che il disposto di legge andava inteso "nel senso che questa assemblea costituisce il limite temporale massimo entro il quale deve essere presa la decisione di riduzione del capitale. Pertanto gli amministratori avrebbero dovuto convocare contestualmente l'assemblea in forma ordinaria per approvare il bilancio ed in forma straordinaria per la riduzione del capitale200. Per suffragare ulteriormente questa interpretazione la dottrina connetteva il secondo comma al primo ed agli artt. 2436 e ss. c.c. In tal senso si osservava che anche gli artt. 2446, primo comma, 2436 e 2447 c.c. non menzionano mai l’assemblea straordinaria, ma si riferiscono sempre genericamente all’assemblea. Quindi in tutte queste norme il criterio di distribuzione delle competenze per le varie deliberazione deve essere desunto dagli artt. 2364 e 2365 c.c.201. Inoltre, si era affermato che non vi era ragione “di attenuare quelle garanzie che la legge ha predisposto per l’adozione di una deliberazione che incide immediatamente sulla posizione dei soci”202. 196 V. Tantini, op. cit., 2002, 914. 197 V. Tantini, op. cit., 2002, 915. 198 V. Tantini, op. cit., 2002, 918; Mongiello, op. cit., 90. 199 In tal senso: in dottrina Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1995, 691; Salvato, op. cit., 35; Salafia, Approvazione del bilancio e riduzione del capitale, nota a Trib. Verona, decr., 12.10.1989,in Società, 1990, 653; Ferri, Riduzione del capitale per perdite attuato con deliberazione dell'assemblea ordinaria, in Riv. dir. civ., 1979, II, 279; Montesano, La riduzione del capitale ex art. 2446 è di competenza dell'assemblea straordinaria, in Società, 1995, 816; Montagnani, op. cit., 31; Maurizi, Capitale e riduzione per perdite, in Riv. dir. comm., 1993, 486; Marasà, Modifiche del contratto sociale e modifiche dell'atto costitutivo, in Tratt. delle S.p.A., Torino, 1993,3, nota 1; Buttitta, Spunti in tema di riduzione del capitale, in Vita not., 1987, 634; Teti, Sul capitale nominale e l'ordinamento delle società azionarie, Napoli, 1986, 196; Ferro Luzzi, Nota a App. Cagliari, decr., 23.3.1979,in Riv. not., 1979, 73; in giurisprudenza: Trib. Milano, 9.1.1992, in Foro it., 1992, I,c. 3133;Trib. Udine, 2.11.1993, in Società, 1994, 372; Trib. Napoli, 13.10.1994, in Società, 1995,814. 200 V. Zagra, Competenza dell'assemblea ordinaria alla riduzione del capitale per perdite, nota a Trib. Verona, 23.10.1997, in Società, 1998, 326. 201 V. Salafia, Approvazione del bilancio e riduzione del capitale nota a Trib. Verona, decr., 12.10.1989. 202 V. Ferri, op. cit., 281.

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Infine si era detto che “se la società non può più attendere che la situazione migliori e deve necessariamente prendere un decisione, non è affatto detto che questa decisione debba essere necessariamente la riduzione del capitale sociale. Ben potrebbe la società adottare un provvedimento diverso: ad es. quello della reintegrazione del capitale sociale o quello della trasformazione della società o quello dello scioglimento della società 203. Una terza soluzione intermedia tra le due precedenti era stata proposta da altra dottrina. Tale dottrina aveva affermato che “naturalmente, la riduzione del capitale continuerà ad avere carattere di modifica dell’atto costitutivo, e la relativa deliberazione dovrà essere osservante della forma e della pubblicità propria delle deliberazioni modificative dell’atto costitutivo; tuttavia proprio il suo carattere di doverosità induce il legislatore a disporre che la riduzione del capitale sociale potrà essere deliberata dalla stessa assemblea che approva il bilancio, in altre parole - secondo la più attendibile interpretazione - non solo coevamente all’approvazione del bilancio ma anche con le stesse maggioranze, che sono poi quelle previste per le deliberazioni di competenza dell’assemblea ordinaria, richieste per l’approvazione del bilancio, e anche in mancanza di un suo inserimento tra le materie poste all’ordine del giorno“204. Il legislatore della riforma lascia inalterata la disciplina del secondo comma dell’art. 2446,c.c. limitandosi ad adattare la norma di legge alla modifica della suddivisione di competenze tra organi e a precisare che “l’assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale”. Il legislatore aggiungendo il termine “ordinaria” alla precedente indicazione “l’assemblea che approva il bilancio” sembra precisare inequivocabilmente che l’approvazione del bilancio resta di spettanza dell’assemblea ordinaria e non viene pertanto attratta nella disciplina delle modificazioni del capitale e quindi alla competenza dell’assemblea straordinaria per il solo fatto di essere operazione preliminare e contestuale alla riduzione del capitale. Altro sono infatti le ipotesi di riduzione del capitale previste dall’art. 2446, primo comma, e 2447, rispetto all’ipotesi di riduzione prevista dall’art. 2446, secondo comma. Nelle prime due ipotesi menzionate infatti i bilanci straordinari con le relative relazioni costituiscono “una semplice rilevazione contabile redatta dagli amministratori e non di per sé sottoposta ad approvazione assembleare“205. Come sostenuto dalla dottrina tra la deliberazione di riduzione del capitale e l’approvazione del bilancio infra-annuale, sul quale la prima viene varata, non esiste un nesso occasionale ma ne esiste, invece, uno rigorosamente funzionale perché l’una e l’altra sono profili imprescindibili dello stesso astratto oggetto del deliberare e quindi della inscindibile ed unitaria determinazione volitiva206 Nei due casi previsti dall’art. 2446, primo comma e 2447, c.c. si avrà pertanto una unica deliberazione quella di riduzione del capitale di cui la situazione patrimoniale e le relazioni relative costituiscono un mero presupposto. Viceversa, nel caso di riduzione prevista dall’art. 2446, secondo comma, come ora meglio ribadito dal legislatore con l’aggiunta della precisazione “ordinaria” abbiamo una prima deliberazione che è quella

203 V. Ferri, op. cit., 281. 204 V. Belviso, Le modificazioni dell’atto costitutivo nelle s.p.a., in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, Torino, 1985, Vol. 17, 138. 205 V. Trib. Monza, ord., 21.5.2001, in Società, 2001, 1077. 206 V. Busi Azzeramento e ricostituzione del capitale nelle s.p.a., Padova, 1998, 59; Landolfi, Validità, invalidità ed efficacia delle delibere assembleari, in Società, 1992, 1175.

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di approvazione del bilancio a cui si aggiunge la riduzione del capitale quest’ultima in qualche modo secondaria rispetto alla prima. “E’ importante notare che l’accertamento della situazione patrimoniale è affidato al bilancio dell’esercizio: sicché deve ritenersi privo di rilievo, rispetto all’obbligo di riduzione del capitale, l’andamento della gestione nel periodo intercorrente tra la chiusura dell’esercizio stesso e la riunione dell’assemblea per l’approvazione del relativo bilancio. Solo la confusione tra l’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 2446, in cui la perdita emerge in corso di esercizio attraverso un bilancio straordinario, e quella di cui al comma 2, espressamente riferita alla chiusura dell’esercizio e al relativo bilancio, potrebbe indurre l’interprete a richiedere in questa seconda ipotesi la predisposizione di una situazione patrimoniale aggiornata in base alla quale deliberare la riduzione del capitale. L’obbligo di ridurre il capitale e l’eventuale provvedimento di riduzione giudiziale sono correlati al bilancio di esercizio: al proposito non sembra si possa prescindere da una previa approvazione assembleare del bilancio, senza la quale esso non ha che un significato informativo”207. Nel caso di cui all’art. 2446, secondo comma, la deliberazione di approvazione del bilancio mantiene piena autonomia rispetto alla riduzione, anzi ne condiziona la fattibilità. Chiarito il significato dell’inserzione del termine “ordinaria” si può affrontare il problema della forma prima (verbale notarile o meno) e successivamente della competenza e relativi quorum della deliberazione di riduzione. Riguardo al primo problema, trattasi di un falso problema. Il legislatore della riforma prevede che “il notaio che ha verbalizzato la deliberazione di modifica dello statuto.., verificato l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge, ne richiede l’iscrizione nel registro delle imprese...” Il principio desumibile dalla norma è che tutte le modifiche dello statuto devono passare attraverso la verbalizzazione ed il relativo controllo notarile indipendentemente dal fatto che la modifica sia stata deliberata dall‘assemblea ordinaria o straordinaria. La indifferenza della competenza notarile rispetto all’organo deliberante la modificazione dello statuto si cogli con ancor maggior evidenza nella correzione che il legislatore della riforma apporta alla norma previgente. Infatti, il vecchio art. 2411, c.c., ora sostituito dall’art. 2436,c.c., recitava “il notaio che ha verbalizzato la deliberazione dell’assemblea”. La nuova norma recita, invece, più genericamente, “il notaio che ha verbalizzato la deliberazione di modifica dello statuto”. In altre parole la competenza come verbalizzatore, ma sopratutti il controllo di legalità svolto dal notaio si applicano a tutte le modifiche dello statuto sia che esse siano deliberate dall’assemblea straordinaria, sia da quella ordinaria, sia come previsto dall’art. 2446, secondo comma dal consiglio di sorveglianza. Il legislatore proprio al fine di ricomprendere nell’ambito del controllo notarile le modifiche statutaria deliberate da organi diversi dall’assemblea ha soppresso il riferimento alla “assemblearità” della deliberazione. Quanto all’affermata inutilità del controllo notarile nel caso di deliberazione obbligata di riduzione nel caso di cui all’art. 2446,c.c., la stessa è palesemente contraddetta dalla stessa dottrina che la sostiene. Tale dottrina, infatti, afferma prima che la deliberazione non è pericolosa per i diritti dei soci “beninteso se correttamente adottata”, implicitamente riconoscendo la possibilità che da un’operazione scorretta o comunque maldestra possa derivare un danno alla posizione dei soci. La stessa dottrina scrive, poi, che tale operazione “normalmente” non può determinare alcuna disparità di trattamento, salvo però i casi di riduzione in presenza di azioni di risparmio, o delle azioni postergate nelle perdite (vedi infra). Si dovrebbe, pertanto al fine di garantire gli azionisti in tali ipotesi, prevedere in intervento

207 V. Figà - Talamanca, Bilanci e organizzazione dei poteri dispositivi sul patrimonio sociale, Milano, 1997, 253.

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“eccezionale” del notaio che non potrebbe, però, a tal punto essere che rimesso al buon senso dei soci che lo richiedano volontariamente. In realtà, la giurisprudenza insegna che i due luoghi canonici di scontro tra i soci sono rappresentati dall’adunanza riguardante l’approvazione del bilancio e da quella riguardante la riduzione del capitale. Addirittura, si potrebbe riflettere se il notaio che verbalizza la deliberazione di riduzione del capitale debba estendere il proprio controllo alla deliberazione di approvazione del bilancio, visto che tale deliberazione costituisce l’antefatto giuridico su cui si fonda la successiva deliberazione di riduzione del capitale, con il rischio che l’invalidità di tale deliberazione travolga inevitabilmente la collegata deliberazione di riduzione del capitale208. Resta ora da verificare se l’operazione di riduzione sia di competenza dell’assemblea in sessione straordinaria oppure in sessione ordinaria. Prima della riforma la dottrina, sopra riportata, sosteneva la competenza dell’assemblea ordinaria anche e soprattutto in virtù del fatto che l’obbligatorietà della riduzione avrebbe reso superfluo il ricorso alle maggioranze più elevate proprie dell’assemblea straordinaria. Le nuove norme in tema di quorum assembleari richiedono un ripensamento del problema. In materia di s.p.a. il nuovo articolo 2369,c.c., fà salva la possibilità che lo statuto stabilisca per l‘assemblea ordinaria “maggioranze più elevate” rispetto a quelle di legge “tranne che per l’approvazione del bilancio..”. In considerazione di tale nuovo quadro normativo sembra che il quesito da porre non riguardi più tanto se competente sia l’assemblea ordinaria o quella straordinaria quanto piuttosto se la competenza spetti, salvo quando deliberi il consiglio di sorveglianza, “all’assemblea ordinaria con i quorum propri della deliberazione di approvazione del bilancio o piuttosto all’assemblea straordinaria”. La prima soluzione avrebbe come innegabile vantaggio di uniformare i quorum deliberativi riguardanti approvazione del bilancio e riduzione del capitale evitando che si riesca ad approvare solo la prima delle due delibere o che si approvino entrambe le delibere ma con il voto contrario di un socio (che si sia così riservato l’impugnazione della relativa delibera) in sede di approvazione del bilancio, socio che abbia poi votato a favore della successiva riduzione. Ancora meglio si potrebbe pensare ad una votazione congiunta delle due deliberazioni. La seconda soluzione sarebbe, viceversa, suffragata dalle motivazioni tradizionali sopra riportate. Nell' ipotesi più grave di perdita di cui all'art. 2447, c.c., ugualmente l'assemblea dovrà essere straordinaria dovendo tra l'altro provvedere alla rimozione dello stato di scioglimento della società e alla conseguente rimodificazione dell'oggetto o la ripresa dello stesso209. L’art. 2482-bis, in materia di s.r.l., dopo aver riproposto nella sua prima parte il disposto del primo comma dell’art. 2446,c.c. prevede nella seconda parte che “l’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio deve ridurre il capitale”. Restando acquisita la competenza del notaio in materia di verbalizzazione della riduzione del capitale per i motivi sopra esposti è necessario verificare se all’operazione si applichino i quorum propri delle modificazioni dell’atto costitutivo (ex assemblea straordinaria) o quelli residuali per le operazioni un tempo di competenza dell’assemblea ordinaria. A tenore della norma la riduzione obbligatoria del capitale sociale è ora di competenza della assemblea convocata per l’approvazione del bilancio, e non più dunque dell’assemblea che approva il bilancio.

208 V. App. Milano, 31.1.2003, cit., 1178; App. Milano, 19.9.2000, cit., 1202; Cass., 18.8.1993, n. 8760, in Dir. fall., 1994, II, 448; Cass., 6.11.1999, n. 12347, in Società, 2000, 943; Trib. Napoli, 20.11.1996, in Società, 1997, 439; Trib. Milano, 13.1.1983, in Banca b.t.cr., 1983, II, 328; App. Bologna, 29.1.1977, in Giur. comm., 1977, II, 840; Trib. Bologna, 27.6.1974, in Giur. comm., 1975, II, 222. 209 Così: Spada, op. cit., 44; Busi, Azzeramento ..., 32; Cenni, I versamenti fuori capitale dei soci e la tutela dei creditori sociali, in Contr. e Impr., 1995, 1152.

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Secondo parte della dottrina “la dizione prescelta per la s.r.l. fa tesoro della elaborazione della dottrina e giurisprudenza dominante, secondo la quale le deliberazioni di approvazione del bilancio e di riduzione del capitale sono distinte ed indipendenti tra loro e che la seconda vada presa al più tardi dall’assemblea (ossia in occasione dell’assemblea) chiamata ad approvare il bilancio“210. La scelta di attribuire la competenza della riduzione all’assemblea straordinaria non sembra però in questo caso particolarmente traumatica per la facilità di deliberazione dell’assemblea stessa. Infatti, nel caso della s.r.l., le decisioni che nel sistema ante riforma sarebbero state di competenza dell’ assemblea ordinaria possono ora essere adottate con il voto favorevole della maggioranza del capitale presente pari ad almeno la metà. Le modifiche dell’atto costitutivo richiedono il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale. Di conseguenza si potrebbe verificare che, essendo l’assemblea di s.r.l. normalmente partecipata dall’intero capitale sociale, nel primo caso (ex assemblea ordinaria) la delibera sia adottata con il 50,01% del capitale nel secondo (modifiche dell’atto costitutivo) sia sufficiente, invece, il 50 per cento. In questo modo, si rovescia quel tradizionale assetto di quorum meno impegnativi quando si trattano materie ordinarie e di quorum più esigenti quando sono sul tappeto questioni straordinarie. Una diversa soluzione, eventualmente adottata per s.p.a. ed s.r.l. circa la competenza a deliberare la riduzione del capitale non sarebbe comunque contraria a logica. Bisogna infatti ricordarsi che nella s.p.a. non si è solo in presenza di un interesse delle parti, perché questi grossi organismi economici interessano i terzi e l’economia generale. Il legislatore non può lasciarli in balia di un capriccio o di un malinteso interesse degli stipulanti; l’autonomia privata in questo caso è limitata, limiti nascenti da principi imperativi alla cui attuazione il legislatore non può rinunciare, tra cui la necessità di funzionamento della società con azioni diffuse tra il pubblico La delega dell’assemblea al consiglio di amministrazione per la riduzione del capitale Nel caso in cui le azioni emesse dalla società siano senza valore nominale, lo statuto, una sua modificazione ovvero una deliberazione adottata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria possono prevedere che la riduzione del capitale di cui al precedente comma sia deliberata dal consiglio di amministrazione. Si applica in tal caso l’articolo 2436. Parte della dottrina ha manifestato i propri dubbi circa la necessità di distinguere l’ipotesi di delega prevista dallo statuto, da quella introdotta con modificazione dello statuto stesso e dall’ulteriore ipotesi di delega conferita con una deliberazione dell’assemblea con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria211. In realtà il disposto della norma ha inteso fugare i dubbi circa la legittimità di una deliberazione che, senza modificare lo statuto, deleghi la riduzione di cui all’art. 2446, secondo comma, al consiglio di amministrazione. Infatti, per l’omologa delega ad aumentare il capitale la giurisprudenza riteneva che il conferimento agli amministratori della delega esigesse una deliberazione espressa di modifica dell’atto costitutivo da parte dell’assemblea straordinaria che introducesse nello statuto l’attribuzione della facoltà delegata agli amministratori. La facoltà (statutaria) non poteva conferirsi implicitamente mediante una deliberazione con la quale si attribuisse direttamente agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale212. Si sottolineava che le modificazioni dello statuto devono realizzarsi materialmente sullo 210 V. Pinnarò, op. cit., 215. 211 V. Spolidoro, La riduzione del capitale sociale, in Federnotizie, 2003, n.1, 33. 212 V. Trib. Verona, 22.7.1993, in Società, 1994,350; App. Milano, decr., 23.7.1988, in Giur. It., 1988, 1,II, 617; Trib. Aosta, decr., 21.10.1989, in Giur. It., 1989, 1;II, 790; Trib. Vicenza, decr., 27.10.1989, in Società, 1990, 508.

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statuto e devono produrre una variazione destinata ad essere resa pubblica, come prescrive l’art. 2436, codice civile, requisiti che mancano ad una deliberazione cosiddetta implicita che, proprio per essere intrinseca ad altra deliberazione, finisce con il non apparire e quindi con il non essere conosciuta. Si era ulteriormente argomentato che la (v. espressamente in tal senso dopo la riforma l’art. 2436,c.c.) subordinazione degli effetti delle deliberazioni all’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese impedirebbe di adottare contestualmente la deliberazione introduttiva della delega nello statuto e quella di aumento del capitale. La dottrina aveva però criticato tale orientamento affermando che con l’estremo formalismo di una simile argomentazione si pregiudicava il principio di economicità dell’attività sociale impedendo di conseguire con un’unica deliberazione, ciò che si realizzerebbe normalmente con un complesso di atti. La dottrina aveva aggiunto che era sostanzialmente ingiustificato vietare la deliberazione “diretta” di delega nell’ipotesi in cui la facoltà di cui all’art. 2443,c.c. venisse comunque attribuita nelle stesse forme e dallo stesso organo – assemblea straordinaria – competente ad apportare quella modifica dell’atto costitutivo213. Aveva poi sottolineato che la delibera assembleare necessaria e sufficiente era sempre una sola, visto che, se fosse esistita la clausola di delega nell’atto costitutivo, l’assemblea non avrebbe dovuto delegare alcunché, atteso che la facoltà di procedere all’aumento sarebbe stata esercitata dagli amministratori direttamente in virtù della clausola214. La riforma ha tenuto conto delle critiche sopra riportate ed ha previsto che la delega possa essere attribuita con deliberazione “secca” senza obbligare l’assemblea ad introdurre una clausola statutaria che potrebbe esaurire la sua portata precettiva nell’attuazione di una singola ed unica operazione. Ha comunque richiesto gli stessi formalismi normalmente necessari per modificare lo statuto “deliberazione adottata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria” recependo quell’insegnamento che condiziona l’ammissibilità delle c.d. delibere implicite all’adozione nella delibera formalmente adottata di tutti i requisiti di validità necessari per quella implicita, tanto per quanto attiene al procedimento di formazione, quanto per quello che riguarda la pubblicità della delibera stessa (vedi la previsione delle maggioranze proprie dell’assemblea straordinaria e la previsione di applicazione dell’art. 2436,c.c.)215. Peraltro, se il legislatore non avesse adottato questa soluzione normativa la affermata (v. art. 2436,c.c.) subordinazione degli effetti delle deliberazioni all’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese avrebbe impedito di adottare contestualmente la deliberazione introduttiva dello delega nello statuto e quella di aumento del capitale. Le azioni senza valore nominale La possibilità di emettere azioni senza l’indicazione del valore nominale sembra possa influenzare le operazioni di aumento e di riduzione del capitale216. Per quanto riguarda l’aumento gratuito ove si prescinda dall’indicazione del valore nominale delle azioni, il passaggio di riserve a capitale sarà sempre di per sé privo di qualsiasi incidenza sulle azioni: 213 V. Rossi, Delega agli amministratori per l’aumento del capitale: il caso Falck, in Società, 1988, 1284. 214 V. Verde, Delega dell’assemblea agli amministratori per l’aumento del capitale…, in Riv. dir. comm., 1989, II, 392. 215 V. Cottino, nota a App. Milano, in giur.ir., 1989, 1,II, 617; Grisenti, Note sull’art. 2377, ultimo comma c.c. e sulle deliberazioni implicite nelle società di capitali, in Riv. soc., 1962, 1018. 216 V. Marchetti, iLa costituzione, i conferimenti e le modifiche dell’atto costitutivo, a cura di Danovi, Milano, 2003, 123; Figà Talamanca, Il valore nominale delle azioni, Milano, 2001, 1 ss; Id, Azioni proprie, annullamento libero, in Italia oggi, 19.2.2003, 27.

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non occorrerà ne emetterne di nuove, né modificare quelle in circolazione, la cui parità contabile verrà ad adeguarsi direttamente al nuovo ammontare del capitale. In altre parole, basterà deliberare l’aumento del capitale gratuito: le azioni rimarranno dello stesso numero ma rappresenteranno una frazione in più del capitale. La dottrina si è chiesta se il valore nominale implicito, ideale, delle azioni, cioè il quoziente tra capitale e numero delle azioni debba essere pari all’Euro o multiplo di Euro, rispondendo negativamente al quesito217. Maggiori dubbi suscita la legittimità di un aumento del capitale a pagamento attuato senza emissione di nuove azioni con aumento del “valore nominale implicito” delle azioni senza valore nominale, già esistenti, in particolare qualora detta operazione venga adottata a maggioranza. Infatti, i soci si troverebbero “costretti ad eseguire i conferimenti necessari per l’aumento delle azioni da loro possedute: difatti, se un socio non eseguisse il suddetto conferimento, gli amministratori potrebbero esperire nei suoi confronti l’apposita procedura prevista dagli artt. 2344, c.c…la quale, ove nei termini prescritti non riesca la vendita delle partecipazioni dovute, ha quale epilogo l’estinzione della partecipazione sociale con obbligo di corrispondente riduzione del capitale sociale. E ciò a ben vedere, comporta che, nel caso di specie, un socio che non possa o non voglia procedere al versamento supplementare si troverà escluso dalla società a seguito di una deliberazione a maggioranza”218. Per la validità dell’operazione sembra pertanto necessario che “tutti i soci contestualmente - deliberino l’aumento - e lo sottoscrivano nelle identiche proporzioni - di cui all’originaria partecipazione – perché altrimenti può esservi chi sottoscrive o chi no e con la necessita di emettere nuove azioni per variare i rapporti sociali”219. Anche in caso di riduzione del capitale la mancanza si valore nominale delle azioni favorisce la par condicio tra i soci. Non sarà più necessario ricorrere a sistemi (sorteggio nel caso di riduzione per esuberanza) o incorrere in situazioni (sacrificio dei resti in caso di riduzione per perdite) che possano dare luogo a disparità di trattamento tra azionisti220. Le azioni postergate nelle perdite. L’art. 2348, c.c., prevede espressamente che si possano creare “ azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite”. Con questa norma il legislatore riconosce la piena legittimità delle azioni postergate nelle perdite, ossia di azioni privilegiate nel senso di essere postergate rispetto alle azioni ordinarie nella sopportazione delle perdite. La norma risolve la querelle della legittimazione di tali azioni pur in presenza del divieto di patto leonino, di cui all’art. 2265,c.c.221. Già prima della riforma la dottrina222 e la giurisprudenza223

217 V. Marchetti, op. cit., 123. 218 V. Maccarone, Aumento del capitale a pagamento attuato con aumento del valore nominale di azioni già esistenti, in società, 1998, 1282; in giurisprudenza: Cass., 22.1.1994, n. 654, in Foro it., 1995, I, 257. 219 V. Marchetti, op. cit., 124. 220 V. Santoro, in A.a.V.v., La rifirma delle società…, a cura di Sandulli e Santoro, cit., 128. 221 V. Sull’argomento: Abriani, Il divieto del patto leonino, Milano, 1994,1 s.s.; Millozza, Alcune questioni particolari: utili e perdite, patto leonino, in Società, 1986, 263; Piazza, voce Patto leonino, in Enc. Del dir., Milano, XXXII, 528; Id, La causa mista credito società, in Contr. e impr., 1987, 805; Sbisà, Circolazione delle azioni e patto leonino, in contr. e impt., 1987, 824; Spezia, Il divieto del patto leonino, in Arch. Civ., 1991, 993; Ciuffi, Finanziaria regionale e patto leonino, in Giur. Comm., 1995, II, 478; Minervini, Partecipazioni a scopo di finanziamento e patto leonino, in Contr. e impr., 1988, 771; Tedeschi, Sul divieto di patto leonino, in N.g.c.c., 1995,I, 1169.

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sostenevano la ammissibilità di tali azioni in virtù della considerazione che non si può parlare in questo caso di violazione del principio del patto leonino in quanto il concetto stesso di postergazione nelle perdite è ben diverso da quello di esclusione dalle perdite, implicando soltanto una minore probabilità di subire gli effetti del cattivo andamento degli affari sociali. Inoltre, per i creditori della società sarebbe assolutamente irrilevante che vi siano azioni meno esposte all’erosione in caso di perdite, visto che per costoro sarebbe assolutamente indifferente il profilo della distribuzione interna delle perdite tra i soci224. Sotto il profilo operativo la postergazioni può essere totale o parziale: la prima comporta che le perdite colpiscano la categoria azioni ordinarie prima delle azioni privilegiate, e che quindi il valore nominale delle azioni ordinarie colpite per prime si possa anche azzerare, senza che sia intaccato il valore delle azioni delle altre categorie; successivamente se le perdite non sono state del tutto eliminate, viene ridotto il valore delle azioni privilegiate. Se invece la postergazioni è parziale, la perdita intaccherà le azioni ordinarie fino ad un determinato ammontare e poi aggredirà anche le azioni privilegiate nelle forme e nei modi previsti dallo statuto. Il legislatore non si premura, però, di dettare alcuna regola in materia di eventuale ricapitalizzazione della società, e più in generale in materia di trattamento dei soci ordinari colpiti dalla perdita nei confronti di soci postergati nelle perdite che abbiano conservato in tutto o in parte la loro partecipazione. La prima considerazione che sembra si possa fare è che ove la riduzione non sia obbligatoria, si pensi alla perdita inferiore ad un terzo del capitale (riduzione c.d. facoltativa) o alla assemblea chiamata ad adottare opportuni provvedimenti per perdita superiore al terzo che possa però rinviare all’anno successivo la riduzione del capitale al permanere della perdita (art. 2446, primo comma), la eventuale delibera di riduzione del capitale dovrà essere assunta anche con il voto favorevole dell’assemblea speciale degli azionisti ordinari. Più difficile sembra la soluzione del problema ove la perdita superiore al terzo, non si riassorba nell’anno successivo e vada quindi ridotta obbligatoriamente, ma non sia tale da richiedere un provvedimento di cui all’art. 2447,c.c. Si potrebbe ipotizzare una clausola statutaria che, previa riduzione del capitale obbligatoria, preveda una limitazione del diritto di voto in capo agli azionisti privilegiati in riferimento alla successiva deliberazione di ricostituzione del capitale esclusivamente sino all’importo di capitale originario “deliberazione obbligatoriamente in votazione tra i soci ordinari e con esclusione del relativo diritto di opzione dei soci privilegiati”. La soluzione sembra se non obbligata, perlomeno sostenibile in forza del nuovo disposto dell’art. 2351,c.c., che parla di azioni “con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Che la riduzione per perdite non sia una condizione meramente potestativa sembra indubitabile.

222 V. Atlante e Mariconda, La riduzione del capitale per perdite, in Riv. not., 2002,66; Rordorf, Azioni e quote di società postergate nella partecipazione alle perdite, in Società, 1995,88; Ianniello, Inammissibili le azioni privilegiate nelle perdite, in Società, 457; contra: Marasà, Le società, Società in generale, in Tratt. Dir. priv., diretto da Iudica e Zatti, Milano, 1991, 189; Dalmartello, Gambino, Jager, Azioni privilegiate e partecipazione alle perdite, pareri pro veritate, in Giur. Comm., 1979, I, 369; Guglielmucci, Le azioni postergate nelle perdite, in Giur. Comm., 1980, I, 832. 223 V. Cass., Sez.I, 29.10.1994, in N.g.c.c., 1995, I, 1161; Trib. Verona, decr., 9.2.1989, in Società, 1989, 738; Trib. Udine, decr., 23.1.1993, in Società, 1993, 532; Trib. Trieste, decr., 2.6.1994, in Società, 1995, 87; contra: Trib. Udine, decr., 5.12.1997, in Società, 1998, 455. 224 V. Atlante e Mariconda, La riduzione del capitale per perdite, in Riv. not., 2002, 66.

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L’operazione si fonda sul presupposto che il diritto di opzione sulle nuove azioni emesse per ricostituire il capitale sino all’importo originario sia riservato ai titolari delle azioni ordinarie con preferenza rispetto ai titolari di quelle postergate nelle perdite. “Il che varrebbe a far sì che i titolari delle azioni colpite dalle perdite siano messi in condizione di mantenere la loro precedente percentuale di partecipazione sociale e di evitare il rischio di estromissione dalla società, sia pur sopportando l’ulteriore esborso occorrente per la sottoscrizione del capitale reintegrato”225. Parte della dottrina ritiene illegittima l’esclusione del diritto d’opzione nei termini di cui sopra motivando che “è ben vero che il diritto di opzione può essere escluso (e la misura della partecipazione alla società può essere conseguentemente alterata) quando l’interesse della società lo esige; ma in base a una verifica dell’interesse della società da farsi in concreto in relazione a ciascuna operazione di aumento di capitale. Nel nostro caso, viceversa, l’alterazione della misura della partecipazione sarebbe una conseguenza automatica del meccanismo di differente incidenza delle perdite sulle due categorie di azioni; conseguenza del tutto indipendente dall’interesse della società configurabile al momento della riduzione del capitale”226. L’obiezione non sembra condivisibile. In realtà “la clausola è volta a mantenere inalterate le posizioni in seno alla società in conformità con la ratio che ispira la normativa sul diritto d’opzione…la clausola regolante il diritto d’opzione, lungi dal costituire deroga alla disciplina inderogabile dell’art. 2441, codice civile, sembra costituire puntuale applicazione del disposto di legge”227. Il diritto di prelazione sulle azioni inoptate sembra, invece, debba spettare indistintamente a tutti gli azionisti sia ordinari sia privilegiati. Possono sorgere dubbi in ordine al momento in cui gli azionisti privilegiati debbano esercitare la prelazione, visto che la richiesta di prelazione dovrebbe essere contestuale all’esercizio del diritto di opzione di cui gli azionisti privilegiati non godono in forza di clausola statutaria, ma “l’impasse può essere superata o chiedendo anticipatamente anche ad essi se intendono eventualmente esercitare - la prelazione - o informandoli successivamente che esistono azioni inoptate e assegnando un termine, pari a quello previsto dall’art. 2441,c.c., per comunicare se intendano avvalersi di questo diritto”228. Infine, l’ultima situazione che si può presentare nella prassi è quella di una perdita ex art. 2447,c.c., che può comportare eventualmente lo scioglimento della società o la sua trasformazione in altro tipo o modello societario. In tal caso sembra opportuno distinguere tra: da un lato situazione di perdita che richieda l’azzeramento del capitale, situazione che non sembra presentare particolari problemi, visto che la perdita integrale del capitale parifica la posizione di soci ordinari e soci privilegiati che congiuntamente delibereranno ai sensi di legge; dall’altro lato situazione di perdita che incida o solo o comunque prevalentemente sulle azioni ordinarie. Si è osservato che in tali ipotesi i correttivi sopra enunciati sempre e comunque legati ad un utilizzo del diritto d’opzione che presuppone una ricostituzione del capitale non sarebbero efficaci. Unica soluzione sembrerebbe una totale esclusione di ogni diritto di voto dei soci privilegiati nel caso di riunione assembleare chiamata a deliberare ex art. 2447,c.c. Sembra preferibile ritenere che nessun correttivo vada apportato nel caso di perdite ex art. 2447, c.c..

225 V. Rordorf, op. cit., 91. 226 V. Gugliemucci, op. cit.,889. 227 V. Bonavera, Azioni privilegiate nella riduzione per perdite, in Società, 1989, 740. 228 V. Tedeschi, Azioni privilegiate e partecipazione alle perdite, in Giur. Comm., 1\980, 838.

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La decisione di sciogliere la società o quella di continuarla trasformando la società in altro tipo, dotandola di nuovi patti sociali, sembra debba spettare a tutti i soci di qualunque categoria essi siano, così come pure la decisione di deliberare la ricapitalizzazione della società, che, una volta adottata potrà rimettere in gioco il meccanismo di correzione del diritto di opzione sopra descritto in relazione alla perdita ex art. 2446,c.c. Due ulteriori riflessioni sono richieste alla luce della prassi già formatasi anteriormente alla riforma. Normalmente, il socio postergato nella perdita, non vuole coprire le perdite non assorbite con l’azzeramento di riserve e capitale e richiede l’inserimento di una clausola nello statuto che accolli tale perdita ulteriore ai soci ordinari che intendano ricapitalizzare la società. Sulla legittimità di tale clausola è necessario interrogarsi. Sicuramente la stessa non contrasta con il c.d. patto leonino. Difatti, il socio privilegiato partecipa alle perdite che ne azzerano il valore della partecipazione. Pertanto, il socio garantisce con il proprio apporto i creditori sociali, né gli si potrebbe imporre di coprire anche la perdita ulteriore, visto il principio della responsabilità limitata che caratterizza le società di capitali. L’accordo, in realtà, incide sulla collegata operazione di ricostituzione del capitale, ma in tale situazione, così come in sede di originaria costituzione della società, sembra che, in forza delle norme riformate, sia possibile che il socio (ordinario) versi somme in nome e per conto del socio privilegiato. Né tale versamento sembra imposto al socio ordinario che sarà comunque libero di non partecipare ad una ricapitalizzazione che, in forza di detta pattuizione sia per lui troppo onerosa. Viceversa, la clausola che realizzi una postergazione totale nella perdita del socio privilegiato, gravando l’azionista ordinario dell’obbligo di versamenti ulteriori al fine di mantenere indenne il socio privilegiato dalla perdita, sarà illegittima per violazione del principio di responsabilità limitata del socio, oltre che per contrarietà al divieto del patto leonino. La disciplina della s.r.l. non prevede espressamente la possibilità di quote postergate nelle perdite, anzi l’art. 2468,c.c., nel prevedere la possibilità di privilegi o meglio di “attribuzione ai soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili” sembrerebbe escludere implicitamente la possibilità di attribuire ai soci altri diritti come ad es. la postergazione nelle perdite. La dottrina ha precisato che “all’emissione di quote postergate nelle perdite osta, comunque, il disposto dell’art. 2482 quater”229, per il quale in tutti i casi di riduzione del capitale per perdite è esclusa ogni modificazione delle quote di partecipazione e dei diritti spettanti ai soci. La soluzione non sembra condivisibile. In primo luogo la possibilità che un socio conferisca anche per gli altri soci, l’ammissibilità di conferire la propria opera230 e comunque di conferire tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica sembrano richiedere una regolamentazione della partecipazione alle perdite elastica e non rigida, al fine di consentire a chi a conferito l’opera di subire le perdite per ultimo, o di regolare la partecipazione alle perdite anche in considerazione dell’esborso iniziale in sede di costituzione. In secondo luogo l’articolo 2482 quater intende riferirsi alle modificazioni delle quote eventualmente conseguenti al contenuto della deliberazione assembleare adottata con quorum diversi dall’unanimità, non a modifiche che trovino la propria fonte e ragione nell’atto costitutivo. Anzi, la norma parla, non solo di immodificabilità della quota, ma anche di immodificabilità dei diritti, e pertanto, si dovrà tuttalpiù ritenere che in esito anche ad un eventuale azzeramento di capitale al socio privilegiato che sottoscriva la ricostituzione del capitale perso debbano essere assegnate nuovamente quote privilegiate e non ordinarie, non potendo l’assemblea con deliberazione maggioritaria modificarne i diritti.

229 V. Fazzuti, ult. cit., 60, nota 26. 230 V. sull’argomento Cass., 21.1.2000, n. 642, in Società, 2000, 697.

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L’affermazione di cui sopra è condivisa da parte della dottrina in forza di un ragionamento che si ispira ai principi della riforma. Si è scritto, infatti, “che la lettera della legge sembrerebbe contraria all’ammissibilità del patto in discorso, ma una tale soluzione - consentita nelle s.p.a. dall’art. 2438, comma 2 - sarebbe difficilmente compatibile con il ruolo centrale attribuito dalla riforma ai rapporti contrattuali tra i soci, per essere invece ispirata a discutibili ragioni di tutela paternalistica del socio debole dalla sola s.r.l.”231.

231 V. Associazione Preite, Il nuovo diritto delle società, a cura di Olivieri, Presti, Vella, Bologna, Il Mulino, 2003, 281.