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LE MODIFICHE ALLA CONFERENZA DI SERVIZI
I TERMINI
Iniziando l’ esame delle innovazioni portate dalla legge 15 alla conferenza di
servizi, viene subito all’ attenzione che puntuali modifiche sono state introdotte nei
tempi di lavoro della conferenza, cadenzati più dettagliatamente, con l’ evidente
intento di fornire maggiori certezze rispetto alla precedente disciplina, che per
questo aspetto, consentiva una dilatazione dei tempi di lavoro della conferenza in
contrasto con gli scopi dell’ istituto.
Infatti, mentre nel contesto normativo della legge 241, l’ articolo 2 sancisce il
fondamentale principio di certezza dei termini dell’ azione amministrativa, e, in
particolare fissa il momento di decorrenza del termine entro cui deve concludersi il
procedimento, dal suo inizio di ufficio o dal ricevimento della domanda se il
procedimento è ad iniziativa di parte, proprio nell’ istituto che dovrebbe costituire lo
strumento principale di semplificazione del procedimento amministrativo anche
attraverso la riduzione dei tempi di azione dell’ amministrazione, si riscontravano
sostanziali difficoltà al riguardo. Precedentemente alla legge 15, nella scansione
dei tempi della conferenza mancava l’ indicazione del termine entro il quale dopo la
indizione della conferenza dovesse essere convocata la prima riunione, momento
dal quale prendevano a decorrere i successivi termini. Poteva, quindi, verificarsi il
caso di conferenze indette ma i cui lavori non giungevano a conclusione,
quantomeno in tempi compatibili con i principi enunciati nel ricordato articolo 2.
Essenziale, per osservare il principio della certezza dei termini del procedimento, è
stata l’ introduzione del comma 01 all’ articolo 14-ter. La disposizione fissa un
termine iniziale al procedimento in conferenza, stabilendo che la prima riunione è
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convocata entro 15 giorni dalla data di indizione, elevabili a trenta in caso di
particolare complessità dell’ istruttoria. Da questo momento cominciano a
decorrere gli altri termini puntualmente contemplati per le altre fasi della
conferenza, tra cui il termine per la convocazione della prima riunione, ridotto ora a
cinque giorni dai dieci giorni precedentemente previsti.
Parimenti ispirata al desiderio di fare chiarezza sui tempi e sulle procedure di
convocazione, è la disposizione introdotta al comma 2 dell’ articolo 14, relativo alla
conferenza decisoria, che, modificando la precedente disciplina, assegna alle
amministrazioni che vi sono tenute il termine di trenta giorni per far pervenire gli
assensi di propria competenza, facendoli decorrere da un momento agevolmente
accertabile, quello della ricezione della richiesta.
Nella precedente formulazione i termini erano apparentemente più ridotti, essendo
fissati in quindici giorni, ma prendevano a decorrere dall’ inizio del procedimento.
Dunque erano solo formalmente più brevi, attesa la difficoltà di stabilire sempre
con certezza il momento di inizio del procedimento destinato a confluire nella
conferenza, ovvero potevano risultare eccessivamente brevi per alcune delle
amministrazioni interpellate rendendo poco realistico il rispetto del termine.
Insieme alle modifiche necessarie per garantire un procedimento con termini certi
per il suo inizio e la sua conclusione, sono stati opportunamente prolungati i termini
della conferenza in presenza di momenti particolarmente impegnativi dell’
istruttoria, anche per la rilevanza degli interessi tutelati.
In particolare, al comma 4 dell’ articolo 14-ter, si dispone che in caso sia richiesta
la valutazione di impatto ambientale, il termine (novanta giorni) fissato dal comma
3 resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all’ acquisizione della
pronuncia sulla compatibilità ambientale, integrando, così, la precedente
disposizione che si limitava a stabilire che se la V.I.A. non fosse intervenuta nel
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termine previsto per l’ adozione del relativo provvedimento, l’ amministrazione
competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei
trenta giorni successivi, termine prorogabile una sola volta di trenta giorni.
Questa formulazione aveva fatto nascere perplessità sul significato da attribuire
alla locuzione “relativo provvedimento”, se si riferisse ai termini per la conclusione
del procedimento in conferenza, oppure ai termini del procedimento di VIA, come
sarebbe sembrato più verosimile. La disposizione lasciava intendere che,
all’interno del procedimento di approvazione di un progetto, la conferenza avesse
già iniziato i suoi lavori, cosicché se non fosse stata acquisita la V.I.A. nei novanta
giorni stabiliti per il termine dei lavori, ciò dovesse avvenire in sede di conferenza
nei successivi trenta giorni, anche se la normativa in materia ambientale, nei casi
in cui sia richiesta l’ acquisizione della V.I.A., prevede, esplicitamente o
implicitamente, che i termini dei procedimenti sono sospesi per un periodo
equivalente. La novella interviene a fare chiarezza, e coerenza nei termini.
IL DISSENSO PREVENTIVO E LA CONVOCAZIONE DELLA CONFERENZA
DECISORIA
Prima della modifica, il comma 2 dell’ articolo 14 non contemplava la possibilità di
un manifesto dissenso nei termini stabiliti per il riscontro, ma si limitava a stabilire
l’obbligatorietà della indizione nel caso del mancato ottenimento di atti di
competenza delle altre amministrazioni. Non erano espressamente disciplinate le
conseguenze di una opposizione, sicché si oscillava tre le tesi di un effetto
preclusivo al successivo iter del procedimento - che, peraltro, appariva in evidente
contrasto con il nuovo principio della deliberazione finale della conferenza a
maggioranza e non più all’unanimità come era stato fino alla modifica introdotta
con la legge 340 - e l’altra, più aderente allo spirito della conferenza, quale
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strumento di velocizzazione del procedimento teso a conciliare più interessi
pubblici e superare eventuali contrasti, che riteneva obbligatoria la convocazione
anche nel caso di espressa contrarietà di una o più amministrazioni, assimilando
questo caso al mancato riscontro agli assensi richiesti.
Invero, in favore dell’ ipotesi di una obbligatoria indizione potevano giocare due
fattori, da un lato la considerazione che il sistema costruito dalla legge 340
prevedeva la determinazione a maggioranza e non più all’ unanimità; infatti
laddove sia necessario conseguire l’ unanimità delle amministrazioni partecipanti
per addivenire alla determinazione conclusiva, si può sostenere che un solo
dissenso, anche se espresso prima della stessa indizione della conferenza, ne
palesa anticipatamente l’ esito e, quindi, l’ inutilità. A diversa conclusione si poteva
giungere dopo l’ introduzione del principio dell’ assunzione della deliberazione a
maggioranza. Infatti, nel computo generale il dissenso preventivo poteva non
risultare determinante. Da qui la conclusione, in assenza di una espressa
disciplina, che un preventivo dissenso non poteva essere preclusivo e che,
dunque, la conferenza dovesse essere obbligatoriamente indetta.
Nella relazione che ha accompagnato la presentazione dello schema del disegno
di legge, si manifesta l’ intento di fare chiarezza in proposito, specificando che la
modifica si prefigge di raggiungere due obietti:
“precisare, superando i dubbi interpretativi emersi in materia, e ripristinando il
parallelismo con il dissenso all’interno della conferenza, che il dissenso preventivo
al di fuori della conferenza non può avere effetti preclusivi; rendere facoltativo, in
tal caso, il ricorso alla conferenza, posto che l’amministrazione proponente
potrebbe condividere le valutazioni a espresse da quella dissenziente e non
trovare utile il ricorso alla conferenza”.
La modifica introdotta, contemplando l’ipotesi del preventivo dissenso, non ne fa
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discendere l’effetto dell’obbligatorietà della conferenza, ma lascia alla
discrezionalità dell’amministrazione che ha l’iniziativa di stabilire se proseguire o
meno nel procedimento.
A ben guardare, la scelta di rimettere all’apprezzamento dell’amministrazione
procedente se proseguire o meno, è coerente con il principio che il dissenso deve
sempre essere congruamente motivato, anche quando non è manifestato
all’interno della conferenza. Solo in presenza di una esplicita enunciazione dei
motivi di contrasto, l’amministrazione che sta operando può effettuare una effettiva
valutazione circa l’opportunità di proseguire o meno, anche alla luce di quanto
emerge dall’esame delle ragioni che hanno determinato all’opposizione una delle
amministrazioni coinvolte. E’ dunque un motivo di ragionevolezza dell’azione che
spinge a ritenere necessaria la motivazione di questo “dissenso”, anche se non si
tratta di quel dissenso in senso proprio, che è quello manifestato all’interno della
conferenza ed è disciplinato dal 1° comma dell’articolo 14-quater, ma più
propriamente dovrebbe esser definito manifestazione di volontà contraria.
Infatti, anche se definito dissenso, non può averne le medesime caratteristiche per
il diverso contesto in cui viene in essere, come si è detto, al di fuori della
conferenza, e quindi senza che sia stato possibile, per l’amministrazione che lo ha
espresso, conoscere le risultanze delle varie posizioni che vengono manifestate in
conferenza dagli altri interlocutori.
Semmai un motivo di perplessità potrebbe derivare dall’ aver previsto solo la
discrezionalità, anziché la obbligatorietà della conferenza anche in presenza di un
preventivo dissenso. Infatti, nel rinnovato modulo procedimentale introdotto dalla
legge 15, la determinazione di conclusione della conferenza deve essere adottata
non più a maggioranza, bensì tenuto conto delle posizioni prevalenti espresse . Se
da un lato si può sostenere che l’amministrazione procedente può decidere di non
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indire la conferenza perché condivide le argomentazioni dell’amministrazione
preventivamente dissenziente, rispondendo così ad un sano principio di
economicità dell’ azione, dall’altro si preclude alle altre amministrazioni coinvolte di
formulare le proprie osservazioni in favore dell’ulteriore iter del procedimento.
Infatti, se le altre amministrazioni fossero messe in grado di conoscere i motivi del
dissenso preventivo e di esprimersi su di esso, potrebbero contribuire a
configurare un’ ipotesi di posizione prevalente favorevole.
Occorre, dunque, osservare, circa la tutela delle posizioni favorevoli all’adozione
del provvedimento, che questo interesse suscettibile di determinare una posizione
di prevalenza, che potrebbe trovare modo di esser soddisfatto con una favorevole
conclusione della conferenza, verrebbe compromesso dalla mancata indizione
della conferenza medesima.
IL DISSENSO POSTUMO
Nella precedente formulazione del comma 7 dell’articolo 14-ter, malgrado la regola
posta dal primo comma dell’articolo 14-quater, che stabilisce nella conferenza la
sede in cui il dissenso deve essere espresso, era consentito manifestare un
dissenso “postumo”, che, unitamente alla previsione dell’impugnativa della
determinazione conclusiva, costituiva il rimedio concesso all’amministrazione in
disaccordo il cui rappresentante non ne aveva espresso definitivamente la volontà
in sede di conferenza.
Questa contraddizione con la regola sopra enunciata veniva spiegata come una
deroga fisiologica alla rigidità della regola, introdotta dalla stessa legge 340, che
aveva segnato una netta distinzione tra la posizione delle amministrazioni
cosiddette silenti e assenti, consentendo alle prime di sanare la mancata
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espressione in sede di conferenza da parte del proprio rappresentante con il
dissenso notificato successivamente alla conclusione dei lavori, e sanzionava le
assenti considerandone acquisito, e assorbito nel provvedimento finale conforme
alla determinazione conclusiva della conferenza, l’atto di assenso comunque
denominato di loro competenza. Il venir meno della seconda parte del comma 7
dell’art. 14-ter ha sostanzialmente parificato le posizioni delle amministrazioni
silenti e quelle delle assenti. Infatti la disposizione del successivo comma 9 rimane
ferma, con la ulteriore previsione riguardante le amministrazioni assenti, e
stabilisce che il provvedimento finale conforme alla determinazione della
conferenza sostituisce ogni atto di assenso comunque denominato delle
amministrazioni partecipanti o assenti, ma regolarmente invitate.
E’ venuta ora meno la possibilità di esprimere un dissenso postumo, così come la
espressa previsione della possibilità di impugnare la determinazione conclusiva
della conferenza, e questo certamente comporterà una partecipazione più attiva e
costruttiva ai lavori della conferenza, poiché alle sole posizioni manifestate con
argomentazioni esaustive può essere collegata la possibilità di influenzare in
maniera determinante le conclusioni finali, che, si ricorda, vanno assunte sulla
base delle posizioni prevalenti.
Non è venuta meno, anzi, si presenta come seconda opportunità, per
l’amministrazione che abbia manifestato un dissenso preventivo, la possibilità di
svolgere ulteriori argomentazioni in sede di conferenza, qualora essa venisse
comunque indetta .
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L’ ISTRUTTORIA IN CONFERENZA E IL PROVVEDIMENTO FINALE
La conferma del principio di conformità tra conclusioni della conferenza e
provvedimento finale, non dovrebbe proporre particolari elementi, tali da far
tornare a riflettere sull’ equazione di necessaria corrispondenza tra determinazione
e provvedimento finale, anche se Il passaggio da una determinazione conclusiva
presa sulla base della maggioranza formatasi in sede di conferenza, ad una
conclusione frutto di una valutazione delle posizioni prevalenti, consente qualche
spunto di riflessione.
Innanzitutto questo aspetto non appare particolarmente interessante per quanto
concerne la conferenza istruttoria, atteso che in essa non è presente un confronto
anche potenzialmente conflittuale tra più amministrazioni che devono recare
ciascuna il proprio formale contributo destinato a confluire nel provvedimento
finale, come nell’ ipotesi della conferenza decisoria di cui al comma 2, ma è
nettamente prevalente il momento dell’esame di vari interessi pubblici coinvolti in
un procedimento. La conclusione di questo tipo di conferenza può anche non
portare all’adozione di un provvedimento.
Nel caso della conferenza interprocedimentale, contemplata nel comma 3, le
conclusioni raggiunte dovrebbero avere l’ effetto di impegnare le amministrazioni
partecipanti nei singoli procedimenti connessi che, se definiti a loro volta mediante
conferenze di servizi decisorie, dovrebbero mantenere la coerenza con l’esito
dell’esame congiunto.
Pari considerazioni possono svolgersi per la conferenza preliminare, al termine
della quale gli atti adottati, anche se sostanzialmente condizionanti le successive
iniziative ed attività, non postulano alcuna conformità con i provvedimenti che
potranno sortirne in prosieguo, che saranno, del caso, ascritti alla successiva
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conferenza decisoria.
Conclusi i lavori della conferenza, l’Amministrazione procedente adotta, secondo le
regole a questo fine stabilite, la determinazione finale. Questa determinazione,
non è però l’atto conclusivo del procedimento.
Potrebbe in primo luogo chiedersi se al termine dei lavori il provvedimento previsto
dal procedimento avviato debba comunque essere adottato, anche se non
condiviso proprio dall’Amministrazione procedente.
A questo riguardo è, inoltre, appena il caso di osservare che l’organo competente
all’adozione del provvedimento finale potrebbe non essere quello che ha
partecipato ai lavori della conferenza, e ci si può chiedere, quindi, se ci sia la
possibilità che, ritenendo le risultanze della conferenza non confacenti per
l’interesse pubblico affidato alle sue cure, assuma un decisione in difformità alle
conclusioni della conferenza, o addirittura decida di non adottare il provvedimento.
Occorre, però tenere presente che nelle ipotesi di procedimento a istanza del
privato quest’ultimo ha comunque diritto a vederlo concluso.
Stando al tenore letterale del comma 9, sembrerebbe che il provvedimento finale
dovrebbe essere adottato in stretto automatismo con il contenuto della
determinazione finale, conforme ad essa. La norma, però, si preoccupa di
collegare l’effetto di sostituzione di tutti gli atti di assenso, comunque denominati,
alla conformità del provvedimento finale alle risultanze della conferenza, e non ad
imporre l’ adozione o la conformità, semplicemente in caso di difformità, o
addirittura in assenza, non potrà, ovviamente, verificarsi l’ effetto sostitutivo.
Non sembra vi siano motivi per non ritenere applicabile la disposizione della
lettera e) del comma 1 dell’articolo 6 della legge 241, introdotta con l’articolo 4
della legge 15. Questa norma, infatti, dispone che “l’organo competente per
l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del
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procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal
responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel
provvedimento finale”.
Conseguenza di ciò sarebbe l’impossibilità che un provvedimento non conforme
alle risultanze della conferenza non favorevoli all’emanazione del provvedimento,
si sostituisca agli atti di assenso comunque denominati delle amministrazioni
partecipanti alla conferenza stessa, previsti dal tipo di provvedimento. Mentre per
le amministrazioni che nel procedimento in conferenza erano dissenzienti, sarebbe
comunque fatto salvo il ricorso, avverso siffatto anomalo provvedimento finale, ai
rimedi giurisdizionali, che si devono ritenere loro pur sempre spettanti, al di là della
soppressione della seconda parte del comma 7 dell’articolo 14 ter che le facultava
espressamente all’impugnativa della determinazione finale, peraltro nella diversa
ipotesi di determinazione finale contrastante col dissenso, ma coerente con le
posizioni favorevoli all’ adozione.
LA NATURA GIURIDICA DELLA CONFERENZA
Alcune delle modifiche introdotte sembrano poter riaccendere il dibattito sulla
natura giuridica della conferenza.
La tesi di semplice modulo organizzativo e procedimentale e non di autonomo
organo o ufficio speciale della pubblica amministrazione era apparsa suscettibile di
riesame alla luce delle novità recate dalla legge 340 del 2000, in particolare per la
sostituzione del sistema dell’ unanimità per raggiungere il consenso necessario per
adottare la determinazione conclusiva, con il sistema della maggioranza delle
posizioni espresse in conferenza.
Il passaggio dall’ unanimità alla maggioranza introduce, in nome dell’ efficienza un
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deciso rilievo del momento decisionale, nel quale può individuarsi un significativo
spostamento di competenze dalle altre amministrazioni all’ amministrazione
procedente, che può pervenire alla conclusione della conferenza con una
determinazione difforme dalle manifestazioni di volontà espresse dai dissenzienti.
Dunque, la conferenza viene assimilata sempre più, almeno nella sostanza, ad un
organo collegiale straordinario che decide a maggioranza, separandosi dagli
avvisi espressi dalle amministrazioni originariamente competenti, che vengono
assorbiti in una nuova volontà che si manifesta nella determinazione conclusiva
della conferenza e sostituisce tutti gli assensi richiesti, anche quelli delle
amministrazioni dissenzienti. Questa separazione dalle amministrazioni di origine
per acquisire una completa autonomia era sembrato, altresì, suggellato dalla
previsione di una immediata - e discussa - esecutività per la determinazione
adottata a maggioranza. Questa caratteristica veniva indicata a conferma della
natura meramente dichiarativa del provvedimento finale che, comunque,
l’amministrazione procedente è tenuta ad adottare per farne conseguire gli effetti
costitutivi, in quanto solo con l’ emanazione dell’ atto si producono gli effetti
giuridici attesi.
Proprio per questo evidente carattere dichiarativo della decisione assunta in
conferenza, la norma consentiva di impugnare direttamente la determinazione
conclusiva della conferenza. Con la legge 15 si è proceduto a sopprimere ogni
riferimento alla esecutività della determinazione finale, ed è venuta meno la
possibilità di impugnativa per la soppressione della seconda parte del comma 7
dell’ articolo 14-ter. Da ciò, peraltro, non sembra possano discendere spunti per
riconsiderare la natura dichiarativa del provvedimento finale, in primo luogo perché
la soppressione dell’ espressa impugnabilità della determinazione conclusiva
appare irrilevante, restando, comunque, a disposizione dell’ amministrazione
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dissenziente gli strumenti della tutela giurisdizionale, ma più sostanzialmente per
via del nuovo sistema stabilito per pervenire alla determinazione.
Appare utile, per poter tornare alle considerazioni sulla natura giuridica della
conferenza, passare attraverso una riflessione sul nuovo modello della
determinazione adottata sulla base delle “ posizioni prevalenti “ e non più a
maggioranza. Il comma 6bis dell’articolo 14-ter, con formulazione che appare
suscettibile di generare più di qualche dubbio interpretativo, disciplina la
conclusione della conferenza stabilendo che l’ amministrazione procedente adotta
la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche
risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in
quella sede. Una prima immediata evidenza è che l’amministrazione che procede è
tenuta a valutare la preponderanza dei consensi rispetto ai dissensi, ma questa
non é più una prevalenza numerica, bensì di rilevanza. La conseguente
osservazione è che la decisione finale potrà anche essere il frutto di posizioni
numericamente minoritarie. Si abbandona, quindi, il criterio della maggioranza di
tipo soggettivo, nel senso che ad ogni soggetto corrisponde un voto, per riferirsi
alla natura e alla importanza delle attribuzioni di ciascuna amministrazione con
specifico riferimento alle questioni in esame.
Con siffatte premesse è interessante definire il compito che spetta
all’amministrazione procedente.
La definizione delle posizioni prevalenti richiede che siano chiarite le perplessità in
ordine alle caratteristiche che gli interessi tutelati devono possedere per emergere
nella comparazione con gli altri valori messi a confronto. Innanzitutto occorre
distinguere tra le ipotesi in cui sia un interesse qualificato o non qualificato ad
essere chiamato in causa in posizione dissenziente o favorevole. Nel primo caso la
soluzione del conflitto sarà affidata alla specifica procedura di superamento del
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dissenso dell’ articolo 14-quater se dissenziente, non potendo configurarsi
prevalenza di alcun altro interesse di fronte ad un interesse qualificato in posizione
contrastante. Mentre nell’ ipotesi di interesse qualificato in posizione favorevole,
nella valutazione di prevalenza tra interessi dovrà aversi riguardo ad un insieme di
fattori, tra i quali la particolare natura dell’ interesse certamente differenzierà per la
sua importanza la posizione dell’ amministrazione che lo esprime, e condizionerà
le conclusioni del procedimento in conferenza, che potrà discostarsi dalla
posizione dell’ interesse “qualificato” solo in misura marginale, e, comunque non
tanto da porvisi in contrasto.
Di fronte ad interessi non qualificati si amplia la possibilità di valutazioni autonome
dell’ amministrazione procedente.
Le posizioni che confluivano nella maggioranza erano ciascuna la manifestazione
di una valutazione degli interessi pubblici curati nell’ambito delle proprie
competenze da ogni singola amministrazione, e, quindi al miglior livello ipotizzabile
di competenza possibile, e, al di fuori delle ipotesi di dissenso superabile solo con
la procedura aggravata, il computo di una maggioranza, sia pure mitigata da
considerazioni di importanza delle amministrazioni, per quanto ciò si sia ritenuto
possibile, costituiva tutto sommato una procedura agevole.
Ora la determinazione conclusiva non è più la sommatoria delle singole posizioni,
ma nemmeno sembra debba necessariamente essere la semplice sintesi delle
posizioni prevalenti. Ora l’ amministrazione responsabile del procedimento dovrà
avere riguardo alle singole posizioni assunte in sede di conferenza, tenendo conto
delle specifiche competenze in relazione al potere di ciascuna amministrazione di
poter influire sull’ esito del procedimento in base alle leggi del settore di cui si
tratta. Inoltre, avendo sempre come riferimento il provvedimento da adottare, non
si deve trascurare il rilievo delle posizioni assunte dagli enti esponenziali delle
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comunità locali.
L’ amministrazione procedente deve tenere conto delle posizioni prevalenti, ma
non certo pedissequamente, bensì alla luce di tutto quanto è emerso durante i
lavori, ivi compreso quanto specificamente ricollegabile alle posizioni che,
espresse in conferenza, hanno sovrastato le altre sia per la importanza degli
interessi curati in riferimento al caso in esame, sia in funzione del risultato
collegato al procedimento aperto. Su queste basi deve effettuare una valutazione,
di cui illustrerà il percorso logico nella motivazione della determinazione
conclusiva.
Ci si potrà certamente trovare di fronte a risultati che sostanzialmente
ripropongono posizioni ben definite in conferenza, come a determinazioni
conclusive frutto di un’ autonoma elaborazione dei vari elementi decisionali offerti
dalla conferenza alla valutazione dell’ amministrazione procedente, e si potrà
assistere al fenomeno di vedere cedere ed affievolire esigenze pur sempre
finalizzate alla tutela di interessi pubblici - con esclusione degli interessi sensibili -
ma giudicate meno rilevanti nel confronto aperto in conferenza.
La nuova formula di conclusione dei lavori in conferenza sembra portare a
identificare nella determinazione conclusiva una nuova manifestazione dell’
amministrazione procedente, autonoma rispetto alle posizioni espresse in
conferenza.
L’ affidamento ad un’ unica amministrazione della identificazione di una soluzione
che, emergendo sulle altre assurga a migliore cura dell’ interesse pubblico
generale, e sia la giusta composizione degli interessi coinvolti nel procedimento,
propone una nuova veste all’ istituto accentuandone l’ importanza, e, forse,
ripropone perplessità che sembravano superate anche in tema di contenzioso.
Non c’è dubbio, infatti, che con l’ introduzione del sistema a maggioranza la
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conferenza si avvicinava sempre più nella sostanza ad un organo straordinario per
il quale, pur non essendo disciplinata espressamente, si riteneva fossero
applicabili i principi degli organi collegiali, ora sembrano accentuarsi caratteristiche
che la allontanano ancora più decisamente dal semplice modulo procedimentale.
Al termine dei lavori della conferenza, la determinazione conclusiva assume una
sua identità che appare il frutto di una volontà autonomamente formatasi, sia pure
alle condizioni stabilite dal comma 6bis dell’ articolo 14-ter.
E’ all’ amministrazione procedente che è affidato espressamente il compito di
adottare la determinazione di conclusione del procedimento, ma questo dato non
può porre in ombra la considerazione che ciò è consentito in quanto opera in sede
di conferenza, ove, pur se le valutazioni e gli apprezzamenti formulati nel corso dei
lavori risalgono alle amministrazioni che li hanno espressi, l’atto conclusivo va
ascritto alla conferenza, che assorbe le competenze delle altre amministrazioni e si
manifesta quindi come una entità in grado di assumere proprie determinazioni,
autonome rispetto alle amministrazioni partecipanti.
L’ osservazione, aderente alla tesi finora prevalente sulla natura giuridica della
conferenza, che è pur sempre l’amministrazione che procede ad adottare la
determinazione conclusiva utilizzando lo strumento della conferenza - che resta
dunque relegata alla natura di semplice modulo procedimentale, al quale non può
essere fatta risalire la definitiva manifestazione della volontà, che risale
all’amministrazione - consente, però, di osservare che in tal caso si deve
ammettere che si è verificato un decisivo spostamento di competenze dalle altre
amministrazioni verso l’ amministrazione procedente, atteso che questa non si
limita più a comporre dissidi e posizioni in una operazione di computo di
maggioranza, ma può assorbire e rielaborare dette posizioni in una nuova
manifestazione separata dalle altre posizioni, e anche se dovesse conformarsi ad
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una di esse, manterrebbe formalmente la propria autonomia, frutto di un percorso
volitivo reso esplicito nella obbligatoria motivazione della determinazione
conclusiva.
I LAVORI DELLA CONFERENZA E L’ ARTICOLO 10 bis DELLA LEGGE 241
Questione che può dibattersi in tema di conferenza di servizi è la relazione tra la
conferenza e la comunicazione dei motivi ostativi all’ accoglimento dell’ istanza
disciplinata dal comma 10bis della legge 241, introdotto dalla legge 15.
La nuova disposizione prevede che nei procedimenti ad istanza di parte il
responsabile del procedimento o l’ autorità competente, prima della formale
adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i
motivi che ostano all’ accoglimento della domanda.
Occorre preliminarmente chiedersi se questa norma sia applicabile o meno alla
conferenza di servizi, e, se lo è, in quali termini e in quale momento è destinata ad
agire.
La norma colloca il momento del preavviso prima dell’ adozione di un
provvedimento, e la conferenza conclude i suoi lavori con l’ adozione di una
determinazione che tale non è, anche a non accogliere la tesi della conferenza
quale semplice modulo procedimentale, e riconoscendole una diversa e più
incisiva natura giuridica.
Non c’è dubbio che solo con la chiusura dei lavori e l’ adozione della
determinazione conclusiva si completa la fase istruttoria affidata alla conferenza.
Quindi, la comunicazione dei motivi ostativi all’ accoglimento dell’ istanza e all’
emanazione del provvedimento richiesto può avvenire solo una volta che siano
esauriti i lavori della conferenza. Nei dieci giorni successivi al ricevimento di
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questa comunicazione gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro
osservazioni, eventualmente corredate da documenti.
La idoneità di questi elementi aggiuntivi a far rivedere le determinazioni dell’
amministrazione dovrebbe portare all’ adozione del provvedimento richiesto da
parte dell’ amministrazione competente.
Occorre, peraltro definire quale ulteriore fase dovrà essere attivata, e a seguito di
quale iter procedimentale dovrà sopraggiungere il provvedimento.
Innanzitutto si deve stabilire a chi affidare l’ apprezzamento degli ulteriori elementi
forniti. La soluzione che appare più ovvia è che a delibare questi elementi siano le
amministrazioni presenti in conferenza, ivi comprese, in special modo, quelle che
hanno determinato il maturare di una posizione prevalente negativa, non potendosi
immaginare che l’ amministrazione procedente, e meno che mai la sola autorità
competente all’adozione del provvedimento se diversa, possa autonomamente
determinarsi all’ adozione dell’atto. E questo anche in considerazione del fatto che
la determinazione finale della conferenza è il frutto di un percorso valutativo
complesso delle posizione prevalenti espresse durante i lavori, reso palese nella
motivazione. La conferma della posizione assunta dalla conferenza o la sua
modifica in senso favorevole all’adozione del provvedimento, non può non
ripercorrere il percorso logico consacrato nella motivazione, e, quindi, non potrà
prescindere dalla riconsiderazione di ciascuna posizione da parte delle
amministrazioni originariamente partecipanti rivista alla luce delle nuove
osservazioni e documenti. Questo postula una riconvocazione della conferenza e
la riapertura dei lavori.
La natura istruttoria del procedimento in conferenza suggerirebbe, peraltro, anche
per economicità dell’ azione amministrativa, che la comunicazione alla parte del
preavviso di rigetto venga fatta in pendenza dei lavori della conferenza, prima della
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determinazione conclusiva, in modo da non dover procedere successivamente ad
una riconvocazione o addirittura ad una nuova indizione, che, in contrasto con lo
spirito di semplificazione dell’ istituto, comporterebbe una dilatazione consistente
dei tempi del procedimento, anche per via della interruzione dei termini. prevista
dal terzo periodo del comma 1 dell’ articolo 10bis.
In favore di questa tesi si può osservare che la comunicazione dei motivi ostativi è
prevista dalla norma affinché l’istante possa fornire apporti in precedenza
pretermessi perché mal valutati o solo successivamente procacciati o venuti in
essere. Solo con l’acquisizione di questi elementi la fase istruttoria , come
ridisegnata dalla nuova norma, può definirsi completa, e potrà prendere avvio la
fase decisoria
Così delineata l’ interazione tra la disciplina della conferenza di servizi e la
comunicazione dei motivi ostativi all’ accoglimento dell’istanza, si può osservare
che essendo limitata l’ operatività della norma ai procedimenti ad istanza di parte,
possono essere interessati sia i procedimenti in conferenza istruttoria che in
conferenza decisoria. Infatti, anche se il procedimento in conferenza istruttoria è
in genere attivato su iniziativa di una amministrazione, non può escludersi che
venga preordinato anche per l’ adozione di un provvedimento ad istanza di parte,
questa ipotesi é più frequente, se non la norma, per la conferenza decisoria. Non
appare, invece applicabile la disposizione alla conferenza preliminare, anche se
ordinariamente ad istanza di parte. Le caratteristiche stesse di questa conferenza
proprio in forza della sua connotazione, lo escludono. Infatti essa è esclusivamente
preordinata a verificare quali siano le condizioni affinché possano maturare i
presupposti per l’ ulteriore iter favorevole del procedimento che porterà
successivamente all’ adozione dei provvedimenti finali, e, in buona sostanza già
attua in seno all’ istituto della conferenza ciò che la disposizione dell’ articolo 10bis
19
si ripromette di ottenere nei procedimenti ad istanza di parte.
LA CONFERENZA PRELIMINARE
La competenza della conferenza di servizi preliminare, regolata dal comma 1 dell’
articolo 14-bis, è stata estesa alla realizzazione di insediamenti produttivi di beni e
servizi, verosimilmente per la particolare dimensione strutturale che questi
insediamenti con il relativo indotto di opere stanno assumendo, e, in correlazione,
viene consentito che l’ interessato - che prima doveva formulare una documentata
richiesta, ciò significando un dettagliato progetto - può produrre la sua richiesta
anche presentando un più agevole studio di fattibilità in assenza di un progetto
preliminare.
Il comma 3bis dell’ articolo 14-bis, introdotto dall’ articolo 9 della legge n°15,
stabilisce che il dissenso espresso in sede di conferenza preliminare da
un’amministrazione preposta alla tutela di un interesse sensibile, con riferimento
alle opere interregionali, è sottoposto alla disciplina per il superamento del
dissenso di cui all’ articolo 14-quater, comma 3.
I motivi che hanno suggerito di far ricorso alla procedura di superamento del
dissenso dettata principalmente per la conferenza decisoria dall’ articolo 14-quater,
sono evidentemente da ricercarsi nella considerazione che posizioni contrarie di
amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, riproposte in sede di
conferenza decisoria porterebbero comunque all’ attivazione della procedura
aggravata per il superamento del dissenso. Quindi, considerato il contenuto
sicuramente impegnativo che assumono in conferenza preliminare le pronunce di
tali amministrazioni, appare inutile e sicuramente in contrasto con il principio di
economicità, consentire la prosecuzione dell’iter sino alla conferenza decisoria.
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La disposizione del comma 3bis fa esplicito riferimento alle opere interregionali,
delimitando il campo di intervento della norma a queste sole opere di maggiore
impatto territoriale. Restano, in tal modo, fuori da questa disciplina le opere
pubbliche di minori dimensioni, anche se non si potrebbe escludere a priori che
possano esservi opere di inferiori dimensioni territoriali e di maggiore impatto
ambientale o su altri interessi sensibili. In siffatta ipotesi, non potendo azionarsi la
procedura aggravata di superamento del dissenso perché non contemplata
espressamente dal comma 3bis per queste opere minori, la conferenza preliminare
deve concludere i propri lavori secondo l’ ordinaria procedura, fatto salvo, poi,
quanto successivamente si verificherà in sede di conferenza decisoria definitiva
IL SUPERAMENTO DEL DISSENSO
Il dissenso costituisce la patologia della conferenza di servizi, attesa la sua natura
di modulo di semplificazione procedimentale in cui, attraverso il coordinamento e
la contestuale valutazione di tutti gli interessi pubblici coinvolti in un procedimento,
la composizione e la unificazione in una unica manifestazione di consenso finale
delle diverse posizioni dovrebbe costituire la naturale conclusione, anche se
nell’attuale riordino dell’ istituto questo risultato non viene più conseguito all’
unanimità come nel modello originario ma portando ad unità le posizioni prevalenti
espresse nel confronto tra le amministrazioni partecipanti.
Il superamento del dissenso, che ha sempre costituito un momento di particolare
complessità della disciplina dell’ istituto, viene ora regolato dal comma 6-bis
dell’articolo 14-ter, che definisce la fase conclusiva della conferenza nell’ ipotesi
che non siano stati espressi dissensi qualificati, e dall’ articolo 14-quater che è
rubricato “ effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi“, e contiene la
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minuziosa disciplina per il superamento del dissenso qualificato.
Il dissenso, che si ricorda, può essere di due tipi, ordinario o qualificato, che si
possono distinguere secondo due criteri, uno oggettivo, che ha riguardo all’
interesse pubblico che viene curato dall’ amministrazione da cui viene manifestato,
in base al quale è qualificato il dissenso espresso da un amministrazione preposta
alla cura di interessi cosiddetti sensibili, ed un criterio soggettivo, che tiene conto
in particolare dell’ ente pubblico da cui promana per attingere ad una procedura
aggravata o meno, e prescinde dalla natura degli interessi tutelati, potendo
riguardare nel caso di regione o provincia autonoma qualsivoglia materia di
propria competenza. Ovviamente i due criteri possono anche ricorrere in un
medesimo soggetto.
Le caratteristiche, menzionate dal comma 1 dell’ articolo 14-quater, che il dissenso
deve possedere perché vi siano collegati gli effetti previsti, non sono mutate a
seguito delle modifiche introdotte dalla legge 15, mentre sostanziali modifiche sono
state apportate alla disciplina del superamento del dissenso.
L’elenco delle amministrazioni che curano interessi sensibili - che, in base al
criterio oggettivo di definizione del dissenso, esprimono un dissenso qualificato in
funzione degli interessi affidati alla loro tutela, e superabile esclusivamente
attraverso il ricorso alla procedura aggravata dell’ articolo 14-quater - viene
integrato con quelle preposte alla tutela del patrimonio storico artistico e della
pubblica incolumità (art.14-bis, commi 2 e 3bis; art.14-ter, comma 5 art. 14-quater,
comma 3).
Il dissenso ordinario, formalmente manifestato in sede di conferenza, può ora
essere superato dall’amministrazione procedente, che adotta la determinazione
conclusiva sulla base dei criteri indicati nel sopra ricordato comma 6-bis, senza
possibilità di alcuna opposizione da parte dei dissenzienti, essendo stato
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soppressa la seconda parte del comma che consentiva i rimedi a sanatoria all’
amministrazione che non avesse manifestato compiutamente la propria volontà
prima della chiusura dei lavori della conferenza
Non si può adottare la determinazione conclusiva dei lavori della conferenza
qualora il dissenso provenga da una regione o da una provincia autonoma, e si
dovrà fare ricorso alla procedura di superamento del dissenso disciplinata dall’
articolo 14-quater, in quanto in questi casi è la natura del soggetto che qualifica il
dissenso, indipendentemente dall’ interesse che viene curato. Infatti in queste
ipotesi la natura del dissenso non si qualifica per la particolarità degli interessi
tutelati, ma è la procedura sempre aggravata che si riconosce al soggetto a
qualificarne il dissenso.
La particolare posizione riconosciuta a questi soggetti dall’articolo 14-quater nella
dettagliata e persino minuziosa regolamentazione del procedimento per il
superamento del dissenso, è certamente conseguenza dell’ esigenza di tenere
conto della nuova situazione conseguente alla modifica del titolo V della
Costituzione e della compatibilità con i principi della superabilità del dissenso delle
regioni espresso nelle materie di propria competenza. Infatti, prima della recente
modifica, nel modello prodotto dalla legge 340, le uniche amministrazioni titolari
del potere di remissione della decisione alla seconda istanza erano quelle preposte
alla cura di interessi sensibili. Ma la sentenza 206 del 2001 della Corte
Costituzionale ha fatto emergere questa anomalia con riferimento alla posizione
delle regioni per la mancata previsione di un meccanismo di valutazione di
secondo- grado dei motivi del dissenso espresso dalla regione Già dalle prime fasi
di esame del disegno di legge, la compatibilità delle sue disposizioni con il nuovo
assetto costituzionale era apparso un argomento da affrontare preliminarmente.
Successivamente alla approvazione dello schema da parte del Consiglio dei
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Ministri, il 21 dicembre 2001, il disegno di legge si arricchì di una consistente
quanto indispensabile limitazione alla portata delle disposizioni della legge n°241,
acquisendo un rinnovato articolo 29 della legge 241, e la consequenziale
disposizione dell’ articolo 22.
Verificare, alla luce del rinnovato titolo V della Costituzione se la materia del
procedimento e dell’ azione amministrativa rientrasse o meno nella potestà
legislativa dello Stato, è apparso di rilevante importanza. Tant’é che già in sede di
dibattito parlamentare era emerso che non risultava agevole rinvenire alcuna
indicazione che facesse ritenere nel suo complesso riconducibile alla sfera di
competenza statale la disciplina generale dell’ attività amministrativa.
L’ impatto di queste norme sul rapporto tra la società, il cittadino e la Pubblica
Amministrazione porterebbe ad una istintiva risposta affermativa per la loro
attinenza al principio della parità di trattamento, dell’imparzialità dell’ azione
amministrativa e del buon andamento, che in buona sostanza garantiscono che a
ciascuno, e su tutto il territorio nazionale, sia riconosciuto il livello essenziale delle
prestazioni concernenti i propri diritti civili e sociali, intesi questi come l’ insieme
delle pretese che ognuno può vantare nei confronti dell’ autorità amministrativa.
Tale fondamentale ma ridotto ambito di intervento, è quello più realisticamente
configurabile come limite di operatività della legislazione statale di principio. I livelli
essenziali, rinvenibili nell’ attuazione dei principi costituzionali sopra ricordati, che
certamente riguardano le garanzie che devono essere riconosciute al cittadino nei
riguardi dell’ azione amministrativa, costituiscono la configurazione concreta dell’
intervento possibile per la legislazione statale che, laddove li stabilisca a livello
nazionale, definisce il livello essenziale della prestazione che il cittadino ha il diritto
di pretendere e di ottenere da qualsivoglia amministrazione pubblica.
In questo senso il comma 2 dell’ articolo 29 della legge 241 come modificato dalla
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legge 15, limita il vincolo delle regioni e degli enti locali nella regolazione delle
materie disciplinate dalla medesima legge 241 al rispetto del “ sistema
costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’ azione amministrativa
così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge”
La situazione paradossale venutasi a creare per le consistenti modifiche alla legge
241, quale disciplina generale del procedimento amministrativo nel modificato
quadro normativo, ha comportato anche per l’ istituto della conferenza di servizi
sostanziali aggiustamenti apportati al disegno di legge nel corso dell’ iter
parlamentare, in specie per gli aspetti riguardanti i momenti di confronto tra lo
Stato e le altre componenti della Repubblica.
LA PROCEDURA DI SUPERAMENTO DEL DISSENSO Art.14-quater.
La procedura di superamento del dissenso disciplinata dal ripetuto articolo 14-
quater è articolata sostanzialmente in un riesame dei lavori della conferenza che si
sviluppa in uno o addirittura due ulteriori gradi di intervento. Il primo livello di
intervento è affidato o a soggetti che si possono definire sovraordinati, nel caso
del Consiglio dei Ministri quando si verta in tema di contrasto tra amministrazioni
statali, ovvero in posizione definibile di terzietà nei casi di dissenso che vedono
coinvolte regioni o altri enti locali.
In tale contesto una interessante particolarità della nuova procedura è costituita
dall’introduzione, tra i soggetti cui viene demandata la composizione del dissenso,
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano - “ Conferenza Stato-regioni “ e della “Conferenza
Unificata” di cui all’ articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n° 281.
La peculiarità è certamente costituita dall’ attribuzione a questi organi,
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eminentemente consultivi, di rilevanti competenze decisionali. Poteri decisori della
controversia originata dal dissenso, ma sostanzialmente di amministrazione attiva
- anche se limitati alla fase istruttoria del procedimento che verrà poi concluso dall’
autorità cui è demandata l’adozione del provvedimento finale ove previsto - atteso
che il loro intervento deve essere sostitutivo della determinazione conclusiva non
adottata in sede di conferenza di servizi e rinviata alla istanza di secondo grado.
E’ indubitabile che entrambe le Conferenze, per l’ espletamento dei loro compiti
istituzionali, acquisiscono costantemente i più disparati elementi attinenti i rapporti
di cooperazione tra Stato, regioni e altri enti locali, e questo le pone in un’ ottica
privilegiata ai fini del superamento dei contrasti che tra questi soggetti si
manifestano nella sede della conferenza di servizi, così come la loro composizione
garantisce la presenza di tutti i soggetti che ordinariamente operano nei settori di
interesse.
Il ruolo affidato alle due Conferenze è apparso sin dal primo momento suscettibile
di stimolare l’ interesse per il procedimento che vi si svolge.
In primo luogo, l’attenzione viene sollecitata sulla natura delle Conferenze e dell’
atto che adottano in questa fase dedicata al superamento del dissenso. Per
entrambe le Conferenze possono svolgersi le medesime riflessioni. Innanzitutto è
bene ricordare che la Corte Costituzionale, ha avuto modo di pronunciarsi sulla
Conferenza Stato regioni, chiarendo che il raccordo e la collaborazione tra lo Stato
e le regioni costituiscono il fine che si persegue in Conferenza, e la elevano al
rango di sede privilegiata di concertazione e dialogo, ma pur sempre “mera sede
di concertazione e di confronto, anzitutto politico, ma non solo, tra Governo e
regioni” (1).
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 1)Corte Costituzionale sentenze 116/1994 - 206 - 2001
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Questo dovrebbe fugare ogni dubbio sulla possibile ipotesi di Conferenza quale
organo che interviene decidendo della controversia affidatale adottando un atto
avente natura di provvedimento, che si sostituisce alla determinazione conclusiva
della conferenza di servizi che manca.
In effetti la decisione che, secondo la lettera della norma, la Conferenza è
chiamata ad adottare, riguarda la scelta tra le diverse posizioni espresse in
conferenza di servizi, ma non ricondotte ad unità di determinazione conclusiva per
l’ effetto sospensivo del dissenso qualificato emerso in detta sede. Quindi, quando
interviene, ne conserva le medesime caratteristiche, vale a dire che costituisce il
momento finale della fase istruttoria dopo la quale sarà il provvedimento previsto al
termine del procedimento gestito con la conferenza di servizi a determinare gli
effetti giuridici attesi. Peraltro, promanando dalla Conferenza Stato-regioni o dalla
Conferenza unificata, la decisione assume le caratteristiche degli atti da queste
adottati, e, nel caso specifico, andrebbe assimilata alle intese.
In particolare, per quanto riguarda le modalità che portano alla sua adozione, nel
silenzio della legge circa questa fase, non si ritenere che si possa fare riferimento
alla medesima procedura prevista per i lavori in conferenza di servizi, e, quindi
dovrebbe trovare applicazione la disciplina per esse dettata dal decreto legislativo
281 del 1997.
A tale riguardo l’ articolo 2 del decreto legislativo 281 alla lettera a) del comma 1
contempla, tra i compiti della Conferenza Stato-regioni, che promuove e sancisce
intese, ai sensi dell’ articolo 3; alla successiva lettera g), che adotta i
provvedimenti che sono ad essa attribuiti dalla legge. Ritenere che la decisione
affidata alla Conferenza dall’ articolo 14-quater sia riferibile alla prima ovvero alla
seconda indicazione di compit,i comporta conseguenze in ordine alle modalità di
adozione della stessa, che sono differenti. Ma l'aspetto più rilevante è costituito dal
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fatto che in entrambe le ipotesi è previsto l’ assenso del Governo che è
componente della Conferenza. Pertanto, anche nelle ipotesi di dissenso che non
veda tra le parti in contrasto amministrazioni statali, il governo interviene nella fase
decisoria. Analoghe considerazioni possono essere svolte per la Conferenza
unificata.
Per quanto riguarda la competenza a dirimere il dissenso, essa è ripartita
dall’articolo 14-quater tra il Consiglio dei Ministri e le due Conferenza citate, cui
viene affidata l’adozione della decisione sostitutiva della determinazione che non è
stato possibile adottare in sede di conferenza di servizi. Ciò avviene sulla base di
un criterio misto che ha riguardo all’ente da cui promana il dissenso e alla materia
su cui verte il contrasto.
La competenza alla decisione è affidata al Consiglio dei Ministri nel solo caso di
dissenso espresso da un'amministrazione preposta alla tutela di un interesse
sensibile (ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o
alla tutela della salute e della pubblica incolumita'), ed il contrasto è tra
amministrazioni statali.
La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano è competente a dirimere la controversia, e ad
assumere la determinazione sostitutiva, in caso di dissenso espresso da
un'amministrazione preposta alla tutela di un interesse sensibile, o di dissenso
espresso da una regione o da una provincia autonoma in una materia di propria
competenza, e verte tra un'amministrazione statale e una regionale o tra piu'
amministrazioni regionali. La competenza della Conferenza Stato-regioni è
dunque attivata quando almeno una delle parti in controversia è una regione
La Conferenza unificata, è competente a dirimere la controversia, e ad assumere
la determinazione sostitutiva, nel caso di dissenso espresso da
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un'amministrazione preposta alla tutela di un interesse sensibile, e la controversia
verta tra un’ amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti
locali, e nel caso di dissenso espresso da una regione o da una provincia
autonoma in una materia di propria competenza, e verta tra una regione o
provincia autonoma e un ente locale. La competenza della Conferenza Unificata è
attivata quando almeno una delle parti in controversia è un ente locale.
Il procedimento sostitutivo è avviato a cura dell’amministrazione procedente che
deve provvedere a rimettere la decisione all’organo di secondo grado, secondo la
ripartizione di competenze sopra descritta, entro dieci giorni, che evidentemente
decorrono dal momento in cui il motivato dissenso è stato formalmente notificato a
detta amministrazione ovvero verbalizzato agli atti della conferenza di servizi.
Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione
e' assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente del Consiglio dei Ministri,
della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata, valutata la
complessita' dell'istruttoria, decida di prorogare tale termine per un ulteriore
periodo non superiore a sessanta giorni.
Se entro i termini fissati, ed eventualmente prorogati, per la conclusione del sub-
procedimento, la Conferenza Stato-regioni o la Conferenza unificata non provvede
- ipotesi non del tutto improbabile, attesi i meccanismi decisionali che per queste
Conferenze impongono il voto per corpi, e, quindi sostanzialmente una intesa tra il
governo e le rappresentanze istituzionali delle regioni e degli enti locali - si verifica
un ulteriore spostamento di competenze. In questo caso, infatti, il potere di
decidere viene rimesso al Consiglio dei Ministri, che viene interessato dal Ministro
per gli affari regionali al quale compete prendere atto della conclusione infruttuosa
dei lavori delle Conferenze.
Il Consiglio dei Ministri, assume la determinazione sostitutiva nei successivi
29
trenta giorni.
Qualora si verta in materia non attribuita alla competenza statale ai sensi
dell'articolo 117, secondo comma, e dell'articolo 118 della Costituzione, la
competenza si sposta, invece, alla competente Giunta regionale ovvero alle
competenti Giunte delle province autonome di Trento e di Bolzano, che
devono assumere la determinazione sostitutiva nei successivi trenta giorni.
Nel caso in cui nella controversia vi siano più amministrazioni regionali
interessate, si deve ritenere che la Giunta regionale alla quale affidare l’adozione
della determinazione sostitutiva, debba essere quella della regione che ha indetto
la conferenza di servizi, e non si debba propendere per una soluzione che
attribuisca tale competenza in base a valutazioni concernenti la prevalenza degli
interessi pubblici coinvolti, sia per la evidente difficoltà a stabilire riferimenti certi al
riguardo, in special modo nelle ipotesi in esame, che vedono il coinvolgimento di
enti di pari dignità, e il confronto di competenze tutte allo stesso modo
costituzionalmente garantite, sia nella considerazione che, almeno di norma, l’
interesse pubblico prevalente coincide con l’ amministrazione che indice la
conferenza, anche nel caso vi sia la partecipazione di altre amministrazioni
portatrici di interessi definiti sensibili.
Malgrado la remissione della decisione alla competente giunta regionale, può
verificarsi che anche in tale sede non si riesca a comporre il dissenso e si debba
proseguire nell’ iter procedurale sostitutivo, che approda, così in ulteriore istanza
al Consiglio dei Ministri.
Non sfugge la peculiarità di questo passaggio di competenze dalle Conferenze al
Consiglio dei Ministri. Le due Conferenze sono organismi ordinariamente
consultivi, cui sono stati affidati compiti decisori in questa materia proprio in
ragione della loro composizione, che può contare sul più ampio spettro di
30
rappresentanza degli enti potenzialmente interessati alla risoluzione del dissenso.
Ma la esigenza di portare comunque a conclusione il procedimento, una volta
accertato che malgrado la possibilità offerta di un confronto dei vari interessi nella
sede istituzionalmente più idonea per tale operazione, non poteva che riportare al
Consiglio dei Ministri la decisione finale.
In Consiglio dei Ministri la deliberazione è assunta in una composizione allargata ai
Presidenti delle regioni interessate.
In merito a questa partecipazione pare opportuno ricordare che nella precedente
formulazione del comma 4 dell’ articolo 14-quater, nell’ ipotesi di dissenso
espresso da una regione, le determinazioni del Consiglio dei Ministri erano
adottate con l’ intervento del Presidente della giunta regionale interessata, che
veniva invitato a partecipare alla riunione del Consiglio dei Ministri, per essere
ascoltato, senza diritto di voto.
La rinnovata disposizione prevede che il Consiglio dei Ministri delibera con la
partecipazione dei Presidenti delle regioni interessate, e non mantiene l’ esplicita
esclusione dal diritto di voto, e quindi, poiché la partecipazione all’organo collegiale
senza l’ anzidetta limitazione non può che avvenire nella pienezza delle sue
manifestazioni, deve ritenersi che ai Presidenti delle regioni partecipanti spetti a
pieno titolo il diritto di voto.
Nulla è previsto nel caso sia la Giunta di una provincia autonoma a far spirare
infruttuosamente il termine deliberandi e, escludendo l’ ipotesi di una dimenticanza
del legislatore, deve verosimilmente ascriversi la mancanza di una espressa
disciplina al riguardo alla decisione di non interferire con la particolare autonomia
loro riservata. Questa riflessione va, altresì, estesa all’ analoga situazione in cui sia
coinvolta una regione a statuto speciale, con la conseguenza che non dovrebbero
trovare applicazione nei loro confronti le disposizioni per il superamento del
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dissenso nel terzo grado del procedimento riferite alle regioni a statuto ordinario.
Le difficoltà in cui si è trovato il legislatore a disciplinare l’esercizio del potere
sostitutivo con disposizioni destinate ad operare in prossimità delle competenze
regionali, traspaiono evidenti non solo dalla macchinosità del procedimento ma
anche dalla necessità di stabilire la salvaguardia delle competenze delle regioni,
delle province autonome e delle regioni a statuto speciale. Nei commi 3-quater e 3-
quinquies sono contenute due disposizioni ispirate a questa esigenza. Nella prima
delle due viene previsto che, in caso di dissenso tra amministrazioni regionali, le
procedure sostitutive non si applicano nelle ipotesi in cui le regioni interessate
abbiano ratificato, con propria legge, intese per la composizione del dissenso ai
sensi dell'articolo 117, ottavo comma, della Costituzione, anche attraverso
l'individuazione di organi comuni competenti in via generale ad assumere la
determinazione sostitutiva in caso di dissenso.
Con la seconda si fanno salve le attribuzioni e le prerogative riconosciute alle
regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano dagli
statuti speciali di autonomia e dalle relative norme di attuazione.
Non subisce modifiche il comma 5 che regola l'ipotesi in cui l'opera sia sottoposta
a VIA, nel qual caso in presenza di provvedimento negativo continua a trovare
applicazione l'articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge 23 agosto 1988, n.
400, introdotta dall'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.
303, che assegna alla competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri la
possibilità di deferire al Consiglio dei Ministri, ai fini di una complessiva valutazione
ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, la decisione di questioni sulle
quali siano emerse valutazioni contrastanti tra amministrazione a diverso titolo
competenti in ordine alla definizione di atti e provvedimenti
Si può osservare che la complessa procedura prevista per il superamento del
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dissenso sta a dimostrare l’ importanza attribuita all’ istituto della conferenza di
servizi, al quale sempre più sembra voler essere riconosciuto il ruolo di modello
elettivo di procedimento amministrativo, e ci si deve, pertanto augurare che le
modifiche introdotte, giustificate dal mutato quadro costituzionale, non aggravino la
sua applicazione, che per quanto concerne le altre fasi, appare ora più agevole e
rapida, malgrado l’ appesantimento della procedura in presenza dei dissensi
qualificati.
LE ALTRE MODIFICHE INTRODOTTE ALLA CONFERENZA
Alcune modifiche, forse apparentemente di portata meno rilevante di quelle sopra
illustrate, ma non per questo meno interessanti, recate dalla legge 15, riguardano:
-introduzione dell’ informatica per la gestione dei lavori della conferenza,
articolo 14 comma 5bis;
la conferenza può essere convocata e svolta avvalendosi degli strumenti
informatici disponibili, secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle amministrazioni
coinvolte, in base ad accordi che potranno essere presi tra le amministrazioni
medesime sia nella fase preliminare alla conferenza, sia in sede di conferenza. In
questo caso si dovrebbe procedere in deroga alla regola del comma 1 dell’ articolo
14-ter che prescrive la maggioranza dei presenti per le deliberazioni riguardanti
l’organizzazione dei lavori della conferenza, e raggiungere una intesa unanime.
-una necessaria operazione di coordinamento in materia di lavori pubblici;
la legge 340 aveva abrogato i commi da 7 a 14 dell’articolo 7 della legge 109 del
1994 (legge Merloni), disponendo, peraltro con un inciso al comma 3 dell’ articolo
14, che per i lavori pubblici continuava a trovare applicazione l’ articolo 7 della
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legge 109 del 1994 che proprio con le disposizioni dei commi abrogati disciplinava
la conferenza di servizi per i lavori pubblici.
L’ articolo 8 della legge 15 ha soppresso l’ inciso che faceva salva l’applicazione
delle disposizioni della legge 109, riportando all’ interno della legge 241 la
disciplina della conferenza di servizi anche in tema di lavori pubblici.
-una più ampia partecipazione di soggetti privati alla conferenza di servizi;
All’ articolo 14-bis, che disciplina la conferenza preliminare, è stata inserita la
possibilità per l’ interessato - che prima doveva presentare un progetto
documentato - di accompagnare la sua richiesta anche presentando un più
agevole studio di fattibilità, in assenza di un progetto preliminare per la
realizzazione di insediamenti produttivi di beni e servizi, verosimilmente per la
particolare dimensione strutturale che questi insediamenti con il relativo indotto di
opere stanno assumendo.
L’ allargamento della platea dei partecipanti alla fondamentale fase istruttoria dei
lavori in conferenza con l’ apertura ai soggetti privati è attuato in due punti. Nel
comma 5 dell’ articolo 14, e con l’ introduzione dell’ articolo 14-quinquies.
La disposizione del menzionato comma 5 estende al concessionario, previo
consenso del concedente, la possibilità di indire la conferenza nel caso di
concessione di lavori pubblici. In aderenza alle perplessità emerse in sede di
dibattito parlamentare per una troppo ampia partecipazione di soggetti privati,
viene limitata la sfera di partecipazione del concessionario, facendo
espressamente salvo in capo al concedente il diritto di voto, con espressione,
peraltro equivoca, atteso il rinnovato sistema di formazione della determinazione
conclusiva per posizioni prevalenti. Si deve, quindi intendere, al riguardo, che il
solo concedente e non anche il concessionario è titolato a formulare osservazioni,
proposte e, comunque intervenire nei lavori in sede di conferenza con effetti sulla
34
formazione delle sue conclusioni.
Particolarmente interessante è l’ introduzione dell’ articolo 14 quinquies, che regola
la conferenza di servizi in materia di finanza di progetto.
Con disposizione analoga a quella del comma 5 dell’ articolo 14, in caso di
conferenza indetta per l’ approvazione del progetto definitivo in relazione alla quale
trovino applicazione le procedure degli articoli 37-bis e seguenti della legge 11
febbraio 1994, n. 109, viene prevista la convocazione anche dei soggetti
aggiudicatari di concessione, individuati in base all’ articolo 37-quater, siano essi lo
stesso promotore o altro soggetto aggiudicatario, ovvero le società di progetto che,
una volta costituite ai sensi dell’ articolo 37-quinquies, subentrano all’
aggiudicatario nel rapporto contrattuale di concessione, divenendo esse
concessionarie.
Come previsto dal comma 5 dell’ articolo 14 nei confronti dei concessionari, anche
l’ articolo 14-quinquies stabilisce che gli aggiudicatari di concessione e le società di
progetto sono convocati “senza diritto al voto”. Anche in questo caso si possono
riproporre le considerazioni sopra svolte al riguardo, aggiungendo che, malgrado
tale limitazione, si deve ritenere utile l’ ammissione ai lavori della conferenza di
questi soggetti, attesa la rilevanza che il “project financing” ha assunto nello
scenario giuridico italiano, incluso tra le fonti di finanziamento indicate nel
programma delle opere pubbliche, e ormai definito un motore dell’ economia della
finanza territoriale. La partecipazione di questi soggetti, anche se non è suscettibile
di influire formalmente sul meccanismo di formazione delle determinazioni dell’
amministrazione procedente, fornirà, proprio per la complessità dei progetti, nell’
immediatezza dei lavori e non solo su base documentale, elementi che
confluiranno tra quelle specifiche risultanze della conferenza che devono essere
tenute in considerazione per addivenire alla determinazione conclusiva.
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LA LEGGE 14 MAGGIO 2005, N.80
La legge n°80 del 14 maggio 2005, convertendo il decreto legge n°35 del 2005,
ha introdotto all’ articolo 3 il comma 6 bis con il quale è stato sostituito l’ articolo 2
della legge 241. Il comma 4 del rinnovato articolo 2 dispone che nei casi in cui
leggi o regolamenti prevedono per l’adozione di un provvedimento l’acquisizione di
valutazioni tecniche di organi o enti appositi, i termini entro cui devono concludersi
i procedimenti, come rimodulati ai sensi dello stesso articolo, sono sospesi fino all’
acquisizione delle valutazioni stesse. I termini possono essere sospesi anche in
caso si debbano acquisire informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità
non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non
direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. L’ ultimo periodo
del comma stabilisce che “si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2”.
Quest’ ultimo periodo di chiusura del comma 4 richiama il comma 2 dell’ articolo
14, che prevede la convocazione obbligatoria della conferenza di servizi nel caso
di mancata acquisizione di intese, concerti, nulla osta o assensi richiesti ad altre
amministrazioni pubbliche dall’ amministrazione competente all’ adozione di un
provvedimento che li contempli.
La disposizione sembra che intenda parificare, quanto alle conseguenze in termini
procedurali, le due ipotesi di mancata acquisizione dei contributi necessari per il
corretto prosieguo dell’ istruttoria contenute nel comma 2 dell’ articolo 14 e quella
introdotta con il comma 4, stabilendo che in entrambi i casi lo strumento per il
sollecito superamento delle difficoltà procedurali sia la conferenza di servizi. In
effetti le due ipotesi non sono del tutto assimilabili, infatti si differenziano per i
termini allo spirare dei quali convocare la conferenza. Nel caso dell’articolo 14
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comma 2, la conferenza deve essere indetta quando non ottenga gli atti richiesti
entro trenta giorni, mentre nel caso del comma 4 dell’articolo 2 i termini per l’
acquisizione degli atti possono essere prorogati per un periodo non superiore a
novanta giorni nei casi previsti nella prima parte del comma stesso, mentre per i
casi contemplati nella seconda parte, la sospensione è facoltativa e non vi è una
precisa indicazione dei termini di proroga, per cui, per via del rinvio ai commi 2 e 3
si deve ritenere che in tali casi la proroga debba essere contenuta entro un termine
non superiore a quello previsto per la conclusione del relativo procedimento, ove
stabilita, o, comunque non superiore ai novanta giorni indicati nel comma 3 cui si fa
rinvio.
L’articolo 20 della stessa legge, rubricato “silenzio assenso”,ai commi 1 e 2,
prevede che nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti
amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a
provvedimento di accoglimento della domanda, salvo che l’amministrazione non
comunichi all’interessato il provvedimento di diniego, ovvero non proceda ad indire
una conferenza di servizi entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza.
Questa possibilità di convocare una conferenza di servizi non costituisce
certamente una nuova figura di conferenza di servizi, quanto piuttosto appare una
possibilità, offerta all’amministrazione competente all’adozione del provvedimento,
per completare una istruttoria riguardante un atto non ancora completamente
istruito, in ordine alla cui adozione appare possibile il formarsi di una valutazione
negativa, ovvero, o anche, sia da completare l’istruttoria con la valutazione delle
situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati -comma 2- e la sede della
conferenza appaia la più idonea , vuoi per la possibilità di un esame più
approfondito per via del procedimento di più ampio respiro, sia per l’indubbia
dilatazione dei termini per la definizione del procedimento.
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Con l’ introduzione di questa nuova disposizione, e più ancora della previsione
della obbligatorietà della conferenza anche nelle ipotesi contemplate dal nuovo
comma 4, appare evidente il convincimento del legislatore sulla valenza generale
del ricorso allo strumento della conferenza qualora occorra superare un contrasto
o difficoltà nel procedere della fase istruttoria, sicché può dirsi che oramai
costituisce non solo un istituto di carattere generale, ma il procedimento ordinario
nei casi di cui al comma 4.