Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche...

23
1 Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può parlare di nascita dell’industria chimica in Italia prima della fine del secolo XIX se al termine “industria” si dà una definizione complessiva basata sull’efficienza dei motori, sulla quantità di prodotto, sull’incidenza di questi sulla qualità della vita, per non parlare dei modi e dei rapporti di produzione. É vero che, nel procedere del secolo, una parte della popolazione verrà sempre più impiegata nel settore industriale, ma nell’Italia dell’Ottocento l’industria non incide nel complesso della società che resta profondamente agraria. Solo alla fine del secolo il paese ha una base industriale, ma il sorpasso del prodotto interno privato dell’attività industriale rispetto a quella agricola si avrà solo nel 1933 durante il fascismo 1 . Partendo da questa definizione generale si può dire che l’industria chimica italiana sia l’ultima venuta nel processo di industrializzazione di un paese che risulta già un late-comer da un punto di vista economico. Per lo sviluppo industriale chimico occorrevano prima le infrastrutture e una fitta rete di domanda da parte di altri settori produttivi. L’Italia al momento dell’unificazione politica era priva di una reale consistenza economica e tecnologica. Le aspettative riposte nell’unificazione si basavano sugli esempi esteri in cui l’abolizione delle barriere doganali sembrava favorire il decollo industriale. Nella semplice unificazione politica si vedeva la possibilità di una prosperità nazionale, si potevano ottenere mercati più vasti e più libertà nelle attività economiche. Teorie tecnologico-liberali propagandate anche dalle Società di incoraggiamento e dai Congressi degli scienziati italiani che si erano tenuti quasi ininterrottamente dal 1839 fino al 1847. Partenza difficile poiché i sette stati preunitari avevano un diverso sistema di riscossione dei tributi, diverse tariffe doganali, diverse monete, diversi debiti pubblici, sia in volume sia in modalità di origine, e diverse strutture amministrative. Solo in Toscana, ad esempio, vi erano 24 sistemi monetari 2 ; per passare da Mantova a Parma (60 km) vi erano sette dazi differenti e il transito commerciale sul fiume Po, unico fiume completamente navigabile, era gravato fino al 1849 dagli esorbitanti diritti di passaggio del Ducato di Modena. 1 Prodotto interno privato, 1861: agricoltura 57,8%; industria 20,3%. 1933: agricoltura 28,4%; industria 31,5%. Da R. Romeo, Breve Storia della grande industria in Italia 1861-1961, Il Saggiatore, Milano, 1988, tabelle pp. 325-326. 2 S. Clough, Storia dell’economia italiana dal 1861 ad oggi, Cappelli, Bologna, 1965, p. 28.

Transcript of Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche...

Page 1: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

1

Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente

di Nicoletta Nicolini

Le infrastrutture Non si può parlare di nascita dell’industria chimica in Italia prima della fine del secolo XIX se al termine “industria” si dà una definizione complessiva basata sull’efficienza dei motori, sulla quantità di prodotto, sull’incidenza di questi sulla qualità della vita, per non parlare dei modi e dei rapporti di produzione. É vero che, nel procedere del secolo, una parte della popolazione verrà sempre più impiegata nel settore industriale, ma nell’Italia dell’Ottocento l’industria non incide nel complesso della società che resta profondamente agraria. Solo alla fine del secolo il paese ha una base industriale, ma il sorpasso del prodotto interno privato dell’attività industriale rispetto a quella agricola si avrà solo nel 1933 durante il fascismo1. Partendo da questa definizione generale si può dire che l’industria chimica italiana sia l’ultima venuta nel processo di industrializzazione di un paese che risulta già un late-comer da un punto di vista economico. Per lo sviluppo industriale chimico occorrevano prima le infrastrutture e una fitta rete di domanda da parte di altri settori produttivi. L’Italia al momento dell’unificazione politica era priva di una reale consistenza economica e tecnologica. Le aspettative riposte nell’unificazione si basavano sugli esempi esteri in cui l’abolizione delle barriere doganali sembrava favorire il decollo industriale. Nella semplice unificazione politica si vedeva la possibilità di una prosperità nazionale, si potevano ottenere mercati più vasti e più libertà nelle attività economiche. Teorie tecnologico-liberali propagandate anche dalle Società di incoraggiamento e dai Congressi degli scienziati italiani che si erano tenuti quasi ininterrottamente dal 1839 fino al 1847. Partenza difficile poiché i sette stati preunitari avevano un diverso sistema di riscossione dei tributi, diverse tariffe doganali, diverse monete, diversi debiti pubblici, sia in volume sia in modalità di origine, e diverse strutture amministrative. Solo in Toscana, ad esempio, vi erano 24 sistemi monetari2; per passare da Mantova a Parma (60 km) vi erano sette dazi differenti e il transito commerciale sul fiume Po, unico fiume completamente navigabile, era gravato fino al 1849 dagli esorbitanti diritti di passaggio del Ducato di Modena.

1 Prodotto interno privato, 1861: agricoltura 57,8%; industria 20,3%. 1933: agricoltura 28,4%; industria 31,5%. Da R. Romeo, Breve Storia della grande industria in Italia 1861-1961, Il Saggiatore, Milano, 1988, tabelle pp. 325-326. 2 S. Clough, Storia dell’economia italiana dal 1861 ad oggi, Cappelli, Bologna, 1965, p. 28.

Page 2: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

2

Parlando di infrastrutture non si possono trascurare i trasporti ferroviari i cui progressi erano molto lenti. È del 1839 la prima ferrovia, la Napoli-Portici con un percorso di sette km e su cui re Ferdinando II non sale per paura, segue poi la Milano-Monza nel 1840 di 13 km, la Padova-Mestre nel 1842 di 35 km, il collegamento a ponte Venezia-terraferma con 80.000 pali, fatto nel 1846, la Torino-Moncalieri nel 1848 di 8 km. Al momento dell’unificazione vi sono in complesso 1.729 km di ferrovia, di cui 850 nel Piemonte e solo 100 nel Regno delle due Sicilie, rispetto ai 53.416 km in America in pari data3. La presenza di manodopera a buon mercato fornita dalla campagna, che dedicava alle attività industriali un tempo discontinuo, non faceva indubbiamente da incentivo per la meccanizzazione. Un confronto evidente dello scarso impiego di macchinari lo possiamo vedere nello scenario dei dipinti toscani di Giovanni Fattori rispetto alle contemporanee fotografie scattate in America, dove si assiste a una fase già strutturata. Vi erano, inoltre, pochi investimenti in imprese ad alta intensità di capitale per unità lavorativa. Per strade, scuole, ferrovie, porti, imprese siderurgiche non vi era l’offerta di capitali sul mercato interno e gli investimenti dall’estero, a parte le speculazioni, erano alquanto timidi. La terra era una forma di investimento sicura e di prestigio, i proprietari terrieri o gli strati più ricchi erano attirati dalla città, dalla burocrazia, dalle professioni, con risparmi tutt’al più in titoli pubblici e una netta separazione tra ambiti imprenditoriali e politici. Il capitale, in quanto anonimo, incuteva sospetto. Tab 1: Le società anonime 1869 17 1873 143 1896 583 1913 3069 Per di più vi era sicuramente un’avversione verso gli industriali da parte dei negozianti abituati a trattare con i salnitrai, categoria di cui non si aveva molto rispetto: «non c’era una concorrenza fra industriali, ma c’era una guerra spietata del commerciante al fabbricante. Il primo considerava il secondo come una specie di nemico che bisognava combattere e cercar di deprimere in tutti i modi possibili. [...] Era per me una sofferenza, quando ero costretto di presentarmi nello studio di qualcuno di tali negozianti patrioti [sic e corsivo nel testo]. Ritenendo costoro l’industriale come uno sfruttatore e poco meno un essere spregevole, lo accoglievano sgarbatamente e si compiacevano di umiliarlo con un contegno cinico e beffardo»4. E dall’altra parte vi era l’orgoglio del fabbricante

3 R. Romano, Industria: storia e problemi, Einaudi, Torino, 2a ed., 1976, p. 35. 4 G. Candiani, Memorie, Hoepli, Milano, 1902, p. 172.

Page 3: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

3

«[prestiti dalle banche?] Chi mi avrebbe prestato fede? Oltre a ciò, il sentimento della mia dignità, ch’io tenni sempre alto e vivissimo fin da giovinetto, fece sì ch’io percorressi la mia carriera industriale sempre faticosamente, colla sola forza del lavoro e con la più costante assiduità»5. In pratica i finanziatori italiani facevano propria la frase di Rothschild che diceva: «vi sono tre modi per perdere denaro: le belle donne, il gioco d’azzardo e gli ingegneri; i primi due sono più piacevoli, ma il terzo è più sicuro»6. Naturalmente gli ingegneri erano visti non come classe professionale ma come simbolo dell’industrializzazione. La situazione delle lavorazioni chimiche nella fase preindustriale Peculiarità dell’industria e istruzione tecnica La caratteristica dell’industria chimica, basata sulla reazione chimica come strumento produttivo, richiede un approfondimento dell’organizzazione economica per due motivi. Il primo è insito nella stessa struttura di questo tipo di industria il cui ciclo di produzione, non unitario, tende ad ottenere prodotti diversi da quelli desiderati. Ciò implica una cura maggiore nell’utilizzazione dei sottoprodotti o dei residui di lavorazione da parte della stessa o di altre industrie7. Ma lo sfruttamento più razionale e completo di tutti i beni, principali e secondari, ha bisogno di uno sviluppo industriale, esteso e collaudato, e naturalmente di infrastrutture adeguate. La seconda ragione è collegabile al miglioramento dei cicli di produzione: gli stessi beni possono sorgere da processi completamente diversi e dall’impiego di materie prime differenti. Sta nella migliore utilizzazione dei prodotti congiunti la capacità di determinare la prevalenza di un ciclo produttivo rispetto ad un altro e definirne la convenienza. Questo allargamento ramificato dei prodotti manifatturieri, questo aiuto scambievole tra diversi rami industriali sarebbe stato possibile con un’adeguata divulgazione dell’insegnamento scientifico e tecnico, la cui condizione era considerata essenziale per comprendere e migliorare i metodi di fabbricazione. E sarà purtroppo una raccomandazione disattesa per tutto l’Ottocento. Più volte infatti si individuava questa esigenza come una delle fondamentali per il progresso delle industrie chimiche, ma la mancanza di un ambiente o di una “coscienza chimica”, come veniva chiamata, collegata all’accrescimento delle conoscenze e al livello di preparazione scientifica, non spingeva a compiere quelle scelte istituzionali che avrebbero dovuto puntare sulla 5 Ivi, p. 227. 6 R. Romano, Industria: storia e problemi, cit., p. 33. 7 A volte si è fatta confusione anche da parte degli industriali su quale fosse il prodotto principale e quale il secondario. Luigi Gabba, delegato della provincia di Milano per l’Esposizione di Vienna del 1873, osserva sorpreso «che cinque fabbricanti di nero animale e di colla esposero le ossa come un cascame: cascame per vero molto prezioso perché costa 20, 25 e 30 franchi il quintale anche senza il bisogno di ricorrere alla loro redenzione mediante la chimica». Da L. Gabba, La chimica e le industrie chimiche in Relazione dei Giurati Italiani sulla Esposizione di Vienna del 1873, fasc. XVI, Regia Stamperia, Milano, 1874, p. 46.

Page 4: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

4

formazione dei chimici industriali, degli ingegneri chimici e soprattutto della mano d’opera specializzata. La “coscienza chimica” si appoggiava necessariamente sull’insegnamento, senza la cui organizzazione e spinta non si poteva aspirare ad uno sviluppo razionale dell’industria stessa. L’insegnamento tecnico di secondo grado si istituisce solo nel 1860; ancora nel 1868 gli studenti della sezione “arte delle miniere e metallurgia” sono tre in tutta Italia contro i 310 alunni di “agraria”. La sezione “chimica” degli istituti tecnici, presente in quasi tutte le grandi città, resta completamente deserta, «il che – come sottolinea Pietro Maestri in un quadro dell’Italia economica negli anni ’70 – venne a provare o che il paese non ne avesse compresa l’utilità oppure che quella precorresse i bisogni del paese nelle condizioni presenti dell’industria»8. Senza entrare nel merito del ruolo dell’insegnamento sullo sviluppo industriale della chimica, si ricorda che in Italia al momento dell’unificazione vi erano 17 milioni di analfabeti (su un totale di 20 milioni di popolazione di età maggiore di 5 anni), che i laureati in ingegneria chimica nella Scuola di applicazione di Torino (istituita nel 1862) fino al 1883 erano solo cinque9 e che solo nel 1910 si imposterà l’insegnamento di “applicazioni della chimica” a Roma e Napoli con incarico gratuito in quest’ultima sede. Per rimanere nell’insegnamento superiore, prima del 1867 ogni università italiana doveva avere due cattedre di chimica (inorganica e organica) che, successivamente, per ragioni di economia verranno fuse in quasi tutte le sedi in un unico corso di chimica generale. Le attività sperimentali e pratiche si riducevano a parte del primo anno, comprendendo tutte le analisi possibili svolte in laboratori che avevano dotazioni peraltro insufficienti e non corrispondenti al numero degli iscritti. Solo alla fine del secolo scaturirà il convincimento (anche tra i chimici) che «il chimico puro non è completo se la sua educazione scientifica non è in lui coordinata con la conoscenza del modo nel quale la sua scienza stessa si irradia nelle applicazioni»10. Questa relazione tra scienza ed economia, da acquisire come una cognizione scientifica indispensabile all’istruzione della stessa figura professionale, aveva sempre trovato poca fortuna presso il Consiglio superiore della pubblica istruzione, dove predominava la tendenza purista riguardo alle università e si respingeva in queste qualunque accenno alle applicazioni. Non era più accettabile che il chimico si rendesse del tutto indipendente dal movimento industriale. Era questa l’opinione di Stanislao Cannizzaro11, ma gli sforzi individuati per assecondare tale principio erano in contrasto con la posizione ufficiale che sosteneva la necessità di “una sola chimica” considerata già sufficiente.

8 P. Maestri, L’Italia economica nel 1869, Civelli, Firenze, 1870, p. 146. 9 R. Maiocchi, Il ruolo delle scienze nello sviluppo industriale italiano, in Storia d’Italia, Annali Einaudi, vol. 3, Torino, p. 892. 10 S. Cannizzaro, Atti del 1° Congresso Nazionale di Chimica Applicata (Torino, 4-9 settembre 1902), Bona, Torino, 1903, pp. 85-86. 11 Ivi, p. 86.

Page 5: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

5

In Italia vi era un Politecnico a Milano con un corso supplementare di chimica, qualche cosa si faceva al Museo industriale di Torino, ma non un ciclo completo, e per un insegnamento più specifico si doveva ricorrere alla Scuola superiore di agraria che dipendeva però dal Ministero dell’industria, agricoltura e commercio12. L’esempio significativo della Germania di fine secolo era sotto gli occhi di tutti. Per merito delle sue scuole e degli istituti di chimica, che fornivano dirigenti e tecnici di ottimo livello, la cultura in Germania assumeva quasi un valore sociale alla base del rinnovamento produttivo, i cui risultati erano invidiati da tutti gli altri stati. Ma il riferimento continuo alle strutture tedesche giustificava, in modo forse eccessivo, le cause di uno stentato decollo dell’industria chimica italiana con una sorta di rimbalzi tra responsabilità istituzionali e industriali. In realtà non era tanto il bisogno di elevare il livello scientifico, ma era la sua gestione ad essere completamente assente. «I professori tedeschi sono stati costretti a compiere prima di ogni altro l’educazione del mestiere di chimico prima di destinare questo chimico agli studi originali e superiori»13. In Italia invece era proprio il chimico che, privo di mestiere, non era in grado di comprendere e farsi comprendere dall’ingegnere costruttore di impianti, forse perché di fatto non c’erano ingegneri chimici o forse perché non c’erano impianti. Responsabilità esclusiva dello Stato? Non del tutto, contribuiva anche la scarsa pressione degli industriali, poco convinti dell’influenza della scienza sull’industria e poco sensibili ad un piano d’investimento economia-istruzione. Anzi, la riottosità di costoro ad assumere personale tecnico era fin troppo manifesta. Solo se strettamente necessario erano disposti a prendere alle proprie dipendenze personale estero poiché si temeva, oltre tutto, che questa iniziativa avrebbe condotto a un’invadenza di personale qualificato straniero, di cui l’industria chimica sembrava al momento esente, ma l’esperienza nel campo tessile, tintorio e nelle vetrerie faceva temere il peggio. Come sosteneva Alessandro Rossi nel 1873, si sarebbe potuto risparmiare un terzo dei salari se l’industria in generale avesse potuto emanciparsi da «una così gravosa importazione di uomini»14, ma non si andava oltre la dichiarazione d’intenti. Il livello delle produzioni e i confronti La frammentazione geografica del territorio italiano prima dell’Unità rende difficile il confronto tra le lavorazioni chimiche. Non ci sono statistiche industriali e, anche se ci fossero, il confronto non sarebbe attuabile per la diversità dei metodi e delle condizioni di rilevamento, ma un’idea qualitativa del tipo di lavorazioni chimiche presenti nei diversi Stati può essere fornita dalle esposizioni industriali. In mancanza di altri riferimenti, le esposizioni sono le uniche testimonianze dello sviluppo industriale,

12 La relazione sull’insegnamento della chimica nelle università e negli istituti superiori era stata presentata da Luigi Gabba alla Società chimica di Milano nel 1901 e nel 1902. In considerazione dell’importanza dell’argomento si deliberò di portarla, con lo stesso oratore, al primo congresso italiano di chimica applicata tenuto a Torino nel settembre del 1902. Atti del 1° Congresso nazionale di Chimica applicata (Torino, 4-9 settembre 1902), Bona, Torino, 1903, pp. 64-107. 13 S. Cannizzaro, Atti del 1° Congresso nazionale di chimica applicata, cit., p. 103. 14 A. Rossi, Relazione dei giurati italiani sulla Esposizione di Vienna del 1873, fasc. XVI, Regia Stamperia, Milano, 1874, p. 80.

Page 6: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

6

sono materia di osservazione, sono raccolta di perfezionamenti, sono l’istituzione di confronti. La loro utilità era vista, anche allora, non solo nell’incoraggiamento dato ai manifattori con ricompense e lodi, ma servivano al pubblico per conoscere il numero, l’importanza, le condizioni e i bisogni delle fabbriche che esponevano i prodotti. Queste mettevano in vista vari tipi di “manufatti” intesi in senso lato, prodotti chimici, oggetti artistici, macchine, strumenti scientifici e agrari ed anche animali domestici. Oltre alle pubbliche esposizioni, ordinate e predisposte a spese dei vari governi, vi sono quelle organizzate dalle Accademie o dalle Società di incoraggiamento. Non tutti i sette stati preunitari italiani hanno la stessa attenzione verso lo sviluppo economico: si passa dalle esposizioni meglio preparate del Regno sabaudo (che giungono anche a 1.784 espositori) alle poche decine di articoli esposti nei Ducati estensi; il solo stato del tutto inerte a mettere in mostra prodotti dell’agricoltura, manifattura e belle arti è il Ducato di Parma e Piacenza15. Che cosa si può dire delle lavorazioni chimiche o, meglio delle allora chiamate “arti chimiche”? Con il quadro delle difficoltà descritte non ci si può aspettare molto. Cavour che guida il Piemonte nel momento difficile dell’unificazione, pur essendo impegnato sul piano economico, sceglie per l’industria una politica di libero scambio, ma nelle condizioni in cui questa si trova è tutto da creare o da rifondare. L’improvviso allargamento dei mercati costringeva ad una scelta «o cedere il campo alle importazioni straniere o perfezionarsi ed ingrandirsi»16. Nonostante questa alternativa, che privilegerà di fatto le zone del Nord in cui vi sono isole a produzione meccanizzata, trascurando la debole attività manifatturiera del Sud, si preferisce percorrere una terza via, e cioè ricoprire il ruolo di rifornimento di materie prime che si raccolgono e si esportano senza alcuno sforzo applicativo. Così per il rame toscano di cui solo 1/5 viene trattato in Italia, così per lo zolfo siciliano che viene riversato greggio sul commercio estero, ecc.17. Analizzando i premiati in un campione di esposizioni, si rileva ancora di più questa tendenza18: c’è l’attività estrattiva di acido borico, ma non ci sono fabbriche di borati, c’è lo zolfo, ma non l’acido solforico, e quando questo è presente è destinato a un mercato limitrofo di candele steariche, c’è lo sciroppo di limone che si esporta ma non l’acido citrico. Succede anche l’inverso: una delle attività che avrà una certa rilevanza nell’esportazione, i fiammiferi, si baserà su materie prime importate, dai

15 L’Esposizione Italiana del 1861, Giornale Illustrato, Bettini, Firenze, 1862, pp. 22-23, 28, 30, 39, 46-47, 53-54. 16 Relazione dei giurati, Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861, vol. II, Barbera, Firenze, 1864, p. 425. 17 T. Kempt, L’industrializzazione in Europa nell’800, Il Mulino, Bologna, 1988, p. 209. 18 Giudizio della Regia Camera di Agricoltura e di Commercio, 1844 Quarta Esposizione d’industria e di belle arti al Real Valentino, Stamperia Reale, Torino, 1845; Giudizio della Camera d’Agricoltura e di Commercio, 1850 Quinta Esposizione d’industria e di belle arti al Castello del Valentino, Pons, Torino, 1851; Rapporto generale della Pubblica Esposizione dei Prodotti naturali e industriali della Toscana fatta in Firenze nel novembre 1850, Casa di Correzione, Firenze, 1851; Elenco dei premiati nella Esposizione industriale aperta in Genova per cura del Municipio e della Camera di commercio nel febbraio 1854, Pellai, Genova, 1857; Relazione dei giurati, Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861, vol. II, Barbera, Firenze, 1864; Il Palazzo di Cristallo, Album dell’Esposizione Universale di Londra nell’anno 1851, Cosmorama, Milano, 1851; Official Descriptive Catalogue Published by Order of the Royal Italian Commission, International Exhibition 1862, Kingdom of Italy, Trounce, London, 1862.

Page 7: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

7

fuscellini di legno al clorato di potassio, al minio e allo stesso fosforo19. Per le piccole fabbriche di vetrerie, di sapone, di candele, per le tintorie ecc. non vi è nemmeno una fabbrica di carbonato di sodio, pur essendo il suolo italiano ricchissimo di saline, dove il sale si ottiene semplicemente con l’evaporazione dell’acqua di mare senza sfruttamento dell’acqua di cristallizzazione. Forse più che l’elenco delle lavorazioni che mancano, rispetto agli stati esteri, è più semplice avere un’idea dell’impegno nella produzione chimica ricavandola dai produttori premiati in due esposizioni a confronto. Prendiamo ad esempio l’esposizione di Torino del 1850. Nella classe delle arti chimiche i premiati (solo i premiati) sono20: 2 Espositori di candele e cera 3 di zolfanelli 1 di saponi 2 di acidi minerali (+2 integrati in cui si vede che i produttori di candele fabbricano

acido solforico per il proprio bisogno ma non in eccesso) 1 di prodotti farmaceutici 20 di vino, olio, salame 14 di inchiostri e colori (biacca e ocre) 6 varie Mentre nell’esposizione di Genova del 1854, organizzata per inaugurare la ferrovia Genova-Torino, abbiamo21: 3 Espositori di candele e cera 2 di zolfanelli 9 di saponi 23 di vino ed olio 8 di farmacia (dove vi erano produttori di salsapariglia, di capsule gelatinose e di

linimenti per cavalli) 6 di colori (compresi acido gallico, sciroppo di carruba, cremor tartaro) 8 di confetti e paste alimentari 17 varie (anche animali imbalsamati) Come si vede le sezioni di chimica comprendevano un ampio spettro di espositori e tra questi, tra i produttori di salami e di linimenti per cavalli, venivano premiate manifatture che richiedevano «molto lavoro manuale e poca forza motrice», per cui erano «molto consentanee alle condizioni del nostro paese»22.

19 Per l’industria dei fiammiferi si veda N. Nicolini, Il pane attossicato. Storia dell’industria dei fiammiferi in Italia 1860-1910, DSE, Bologna, 1998. 20 Giudizio della Camera d’Agricoltura e di Commercio, 1850 Quinta Esposizione d’industria e di belle arti al Castello del Valentino, cit., pp. 65-83. 21 Elenco dei premiati nella Esposizione industriale aperta in Genova per cura del Municipio e della Camera di Commercio nel febbraio 1854, cit., pp. 119-130. 22 Atti parlamentari Camera, XIII legisl., sess. 1876-77, Trattato di Commercio Italia-Francia, doc. n. 140, p. 133.

Page 8: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

8

Ma si può avere un’ulteriore idea qualitativa della situazione delle lavorazioni chimiche al momento dell’unità d’Italia, osservando il numero degli addetti dichiarati dalle manifatture presenti all’Esposizione nazionale di Firenze del 1861, numero espresso in unità23: numero addetti capitale annuo in lire cere, oli illumin. e fiammiferi

825 4074000

sale, saline, iodio 806 2741000 prodotti “applicati a domestica economia” [candele e saponi]

468 4241000

prodotti chimici [acidi minerali, soda, esplosivi]

456 3705000

prodotti arte tintoria e pittorica

156 942000

colle e vernici 86 255600 Amido 40 332000 metallurgia fisico-chimica 13 3700 Anche per questi dati non è possibile fare dei raffronti con le unità di personale impiegate in tempi successivi, ma si sottolinea il valore interno delle cifre a questa data. L’Italia al momento dell’unificazione è interessata a piccole lavorazioni chimiche con conduzione artigianale delle unità produttive. Considerando che il totale delle industrie saponiere, ad esempio, era circa 200 e che la più importante (Ugo Conti di Livorno) impiegava una ventina di lavoranti, si può dedurre che la forza lavoro impiegata in ciascuna fabbrica raggiungeva in media le due unità. Ai fiammiferi, la cui fabbrica più prestigiosa è la Albani di Torino in cui lavorano 300 unità di personale, preso in parte dai ricoveri di mendicità, e ai saponi, si aggiunge qualche prodotto farmaceutico, tra cui i sali di chinina di cui si è pronti ad intravedere un reddito immediato, determinato dalle opere di bonifica e dalla costruzione di ferrovie in un territorio dove la malaria imperava. Misera chimica e misere industrie in cui si riconosce dagli stessi giurati dell’esposizione fiorentina del 1861 che le «nostre consumazioni sono tuttavia tributarie della industria straniera anco per quei prodotti che han fondamento di origine nelle stesse produzioni del nostro suolo [e si vede] il proprietario di una materia prima, nessun altro studio esercitarvi d’intorno, che quello di farla raccogliere per darla all’esportazione, onde poi tornino sui nostri mercati i prodotti che derivano da quella, composti o elaborati da altre officine»24.

23 Relazione dei Giurati, Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861, cit., p. 494. 24 Relazione dei Giurati, Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861, cit., vol. II, p. 412.

Page 9: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

9

Poniamo l’attenzione, ad esempio, sul processo più famoso di gran parte dell’Ottocento, il Leblanc25, e consideriamone i composti: in Italia vi era pochissimo acido solforico, il sale era sottoposto a monopolio senza alcuna facilitazione per le industrie, di carbonato industriale non si parlava (ancora si estraeva il carbonato naturale dalla salsola sativa e quello industriale veniva importato), come veniva importato l’acido cloridrico allo stesso prezzo dell’acido solforico. Così era per l’acido borico toscano esportato, e importato come borace, e per lo zolfo siciliano, il cui modo trasandato di sfruttamento era talmente irritante da essere penalizzato nell’Esposizione universale di Londra del 1862. Gravissima la motivazione addotta in quella occasione, significativa del livello di cieco e irrazionale sfruttamento di una risorsa: «Non ignoravano i giurati che l’industria è tuttora in cattivo stato, né ignoravano che il metodo dei calcaroni, oltre a moltissimi inconvenienti, offre quello di produrre una perdita enorme che si valuta per lo meno uguale al terzo del prodotto. Di fronte a tale stato di cose – così si dichiarava nella relazione sull’esposizione londinese – i giurati furono concordi nel riconoscere che l’avere la natura collocato nel suolo siciliano copia inesauribile di zolfo non costituisce merito all’uomo, e che al raccoglierlo e metterlo in commercio, se fa difetto la bontà dei metodi e l’accuratezza dell’industria, è sufficiente premio un prodotto così vistoso come quello che se ne ritrae»26. La Giuria internazionale pertanto non accordava nessuna distinzione onorifica, «ricompensa dell’ingegno e dell’industre solerzia degli esponenti», rilevando inoltre con biasimo che ancora non vi erano studi sulle condizioni stratigrafiche e geologiche del terreno. Fatto ancora più grave tenuto conto di un’industria tanto lucrosa da rappresentare una metà del valore di tutta la produzione mineraria italiana. L’acido solforico prodotto a Torino dalle piriti delle miniere di Brosso (Ivrea), di cui erano proprietari gli Sclopis, prestigioso nome dell’industria chimica del periodo, era destinato alle fabbriche locali di acido stearico e non aveva indotto nessun altro tipo di industria, mentre Giuseppe Candiani, futuro grande industriale chimico, nella metà del secolo era alle prese con un quantitativo modesto di soli 33 chilogrammi giornalieri di arsenito di rame, unica e modesta produzione, nei vecchi locali a Porta Vercellina a Milano27. Non si può pertanto che concordare con lo sconfortato giudizio dei commissari delle esposizioni che lamentavano l’insufficienza delle arti chimiche. In complesso è una produzione finalizzata ad un solo prodotto o in qualche caso leggermente integrata ai propri fini (zolfanelli-colla-gelatina-sapone-acidi necessari a queste trasformazioni oppure pirite-acido solforico) ma senza produzioni in eccesso tali da aprire un mercato di “mutua consumazione”.

25 La reazione parte dal cloruro di sodio (il sale comune) con l’acido solforico. Tra i prodotti che si originano compare l’acido cloridrico che, prima di essere parzialmente recuperato con le torri di Gossage nel 1840, fluiva libero nell’atmosfera attorno alle fabbriche. 26 Reale Comitato dell’Esposizione Internazionale di Londra [1862], Relazioni dei Commissari speciali, vol. IV, Stamperia Reale, Firenze, 1867, pp. 49-53. 27 G. Candiani, Memorie, cit., p. 174. L’arsenito di rame aveva causato a Candiani un avvelenamento insidioso durato qualche anno.

Page 10: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

10

«Tacere o dissimulare, o peggio negare la nostra povertà sarebbe sciocca superbia; confessarla e non ricercarne le cagioni sarebbe un volerla rendere perpetua»28. Così affermano i giurati delle arti chimiche nell’Esposizione del 1844 a Torino ma, come si è già visto, purtroppo ancora nel 1861 a Firenze il giudizio non viene modificato: «Abbenchè ci sia ingrato ufficio questo del ricordare la manchevolezza delle nostre chimiche industrie, toccandone la meschinità parte a parte [...] la nostra miseria in fatto di industrie chimiche deve essere confessata anche ulteriormente»29. Questo non era solo l’accorato richiamo di esperti del settore ma rispecchiava una diffusa sfiducia da parte del pubblico verso la competenza industriale nazionale tanto è vero che gli imprenditori italiani, per poter vendere più agevolmente i loro pochi prodotti, dovevano nobilitarli con l’imitazione di marchi e confezioni straniere. Un’industria in dettaglio: Larderello Saponi, vetri, sale, allume, salnitro, zucchero erano i principali prodotti industriali fino all’inizio dell’Ottocento. Prodotti diversi ma accomunati da semplici processi che potevano includere l’uso dei forni o la distillazione o la purificazione per cristallizzazione o diverse combinazioni dei tre. I processi industriali rispecchiavano gli identici procedimenti usati nei laboratori, come era identica la fonte di energia, cioè la legna30. I metodi di produzione accennati non erano veri e propri processi di fabbricazione, ma una serie ripetuta di trasformazioni fisiche che, nel caso delle ultime sostanze citate, purificavano una materia già esistente. Se mettiamo a confronto la raffinazione del sale marino o dell’allume o dello zucchero con quella dell’acido borico, vediamo che seguono sostanzialmente lo stesso ciclo produttivo, inoltre gli impianti dell’acido borico utilizzavano l’esperienza centenaria consolidata di questi processi. Ma tra la scarsità delle industrie chimiche, l’industria boracifera di Larderello indubbiamente si distaccava dalla norma per la sua capacità estrattiva che sfruttava non più la legna ma direttamente la forza del vapore. Il vapore a Larderello era presente dappertutto e giustamente Francesco de Larderel aveva pensato di metterlo a profitto per l’evaporazione delle soluzioni. Avrebbe potuto osare di più? Forse non agli inizi, quando il quantitativo di acido borico prodotto era già sufficiente per il mercato ma, nonostante la sua idea, avanzata già nel 183031, di poter impiegare il vapore come forza motrice, si dovrà aspettare il 1867, quando il figlio Federigo sostituì i bindoli tirati dai cavalli con i primi pompatori mossi a vapore. Sostituzione lenta perché nel 1874 era

28 Giudizio della Regia Camera di Agricoltura e di Commercio, 1844 Quarta Esposizione d’industria, cit., p. 113. 29 Relazione dei Giurati, Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861, cit., pp. 419-420. 30 Nelle lavorazioni in Italia si continua ad utilizzare anche nell’Ottocento questo tipo di combustibile, mentre in Inghilterra, già dal 1615, è vietato l’uso per le fornaci a causa sia dell’aumento del prezzo per eccessiva domanda sia della diminuzione della materia prima. 31 F. Larderel, Memoria sull’acido boracico scoperto in Toscana e sulle sue applicazioni, in G. Mori, Per la storia dell’iniziativa industriale in Italia nel secolo XIX, Annali dell’Istituto Gian Giacomo Feltrinelli, anno II, 1959, p. 618.

Page 11: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

11

ancora una pratica poco diffusa, sebbene fosse presente a Travale nello stabilimento Coppi e Hall dove collaborava anche Emilio Bechi32. Un passo avanti nella produzione si compì con la perforazione artesiana. Venne suggerita da Giuseppe Gazzeri nel 1838 in una lettera polemica al direttore, apparsa sul Giornale di Commercio, in opposizione al dilagante entusiasmo verso l’industria Larderel, lettera da leggere più come un invito ad appropriarsi della ricchezza del sottosuolo, a disposizione di tutti, aumentando la concorrenza. Considerando che Larderel possedeva molti lagoni e poco terreno, sarebbe stato possibile per i proprietari dei territori limitrofi trarre profitto dall’opportunità “d’un numero indefinito di soffioni e di lagoni artificiali, alcuni dei quali potrebbero anche formarsi a spese dei già esistenti”33. Una corrente di studio geologica dell’epoca era persuasa che l’acido borico non fosse distribuito in ammassi isolati sotto ciascun soffione ma facesse parte di un unico immenso deposito. Per questo motivo, perforando, si poteva accedere al “grande magazzino” in qualunque punto si fosse voluto34. L’intuizione di Gazzeri, probabilmente scaturita dalle analoghe trivellazioni per la ricerca del carbone, fonte energetica fondamentale per la fusione del ferro nei forni di Follonica, verso cui erano puntati gli interessi granducali35, venne messa in pratica con successo da Vincenzo Manteri nel 1840 con una semplice trivella a mano, poi con una trivella artesiana, fornita dall’amministrazione di Follonica, intorno al lago di Monterotondo, dove si fonderanno poco dopo gli stabilimenti Durval36. Henri Durval infatti, “stretto dalla penuria di vapori”37 e, vedendo nella trivellazione la soluzione ai suoi problemi, utilizzò i getti artificiali per il riscaldamento delle caldaie, metodo più efficiente rispetto alla complicata costruzione dei lagoni coperti.

32 C. H. Kurtz, Die Borsäurefabrikation in Toscana, Jahresbericht über die Leistungen der chemischen Technologie, vol. XX, 1874, pp. 452-453. La Società Anonima Borica Travalese si era costituita nel 1861 con un capitale di 700.000 lire e sede a Firenze. L’anno precedente aveva ottenuto al pubblico incanto dal Tribunale di I istanza di Siena la liberazione dei lagoni e soffioni della Bandita detta della Travalese (vicino Montieri) con una perizia di Emilio Bechi. Lo scopo della Società, che sarà posta in liquidazione nel 1875, era lo sfruttamento dei lagoni e la produzione di borace ed altri prodotti per il commercio. In Archivio Centrale dello Stato, Ministero agricoltura industria e commercio, Divisione credito e previdenza, Industrie, banche e società, b. 45. 33 G. Gazzeri, “Giornale del Commercio, Arti e Manifatture”, 1938, a. I, n. 31, 1° agosto, p. 2. 34 D. Casanti, Nota sull’acido borico della Maremma Toscana, “Il Nuovo Cimento, Giornale di Fisica, di Chimica e Scienze affini”, T. III, 1856, p. 111. 35 Per la storia della geologia toscana, si veda P. Corsi, La scuola geologica pisana, in Storia dell’Università di Pisa, vol. 2, Giardini, Pisa, 2001, pp. 889-927. 36 La proprietà del Lago fu contesa a lungo da Larderel e da Durval. I tribunali diedero ragione a quest’ultimo concedendo a Larderel il permesso di usufruire delle acque per alimentazione di una sola caldaia, mentre Durval ne aveva sette riscaldate dal vapore di 15 fori di trivellazione. Durval, unico a rispondere nelle deposizioni scritte dell’Inchiesta Industriale, produceva nel 1872 250.000 kg di acido l’anno e lo vendeva in Inghilterra. Avrebbe prodotto di più se non ci fossero stati dazi d’introduzione per il ferro. La sua industria soffriva per le enormi spese di trasporto, per la mancanza di strade e per la difficoltà a trovare «capioperai in un luogo privo di industria e fra gente indisciplinata». Cfr. Atti del Comitato dell’inchiesta industriale, Deposizioni scritte, categoria 1588, Stamperia Reale, Roma, 1872, p. 8; Statistica del Regno d’Italia – Industria mineraria, Relazione degli Ingegneri del Real Corpo delle Miniere, Tip. Tofani, Firenze, 1868, pp. 219-220. 37 Statistica del Regno d’Italia – Industria mineraria, Relazione degli Ingegneri…, cit., p. 217.

Page 12: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

12

La trivellazione apre effettivamente un altro periodo nell’industria dell’acido borico ma Francesco Larderel non si mostra molto fiducioso nelle possibilità offerte dalla nuova pratica. Nel suoi Cenni sulla produzione dell’acido borico del 1858 attribuisce alla sonda artesiana un’azione sovente infeconda: «Accade spesso che dei vapori, a cui la macchina ha dato sfogo, si presentano con una forza di tal natura da far concepire le più grandi speranze, ma anche ben presto diminuiscono di loro intensità e scompaiono poi totalmente. Finalmente questi vapori, fino ad ora almeno, non hanno potuto essere utilizzati che come agente calorifero per la concentrazione; mai hanno potuto alimentare un lagone, e per conseguenza non si è potuto averne direttamente acido borico; e solo hanno potuto indirettamente contribuire alla produzione»38. In attesa quindi dell’intensa collaborazione tra scienza e industria, che avverrà alla fine del secolo, la situazione dell’acido borico a Larderello mostrava segni di stanchezza. Pur continuando a ricevere premi nelle esposizioni industriali per la grandiosità della struttura e per l’ordinamento sociale degli opifici, incominciavano a rendersi più esplicite alcune critiche per il fatto che da qualche anno fosse un’industria stazionaria39. Ma già nell’esposizione del 1861 a Firenze si era rilevato che si adoperavano «elementarissimi procedimenti di scienza, onde alimentare con un prodotto impuro, al 16 o al 18 per 100 le fabbriche altrui, e riacquistare anco pel nostro bisogno trasmutato in borace con la soda di Francia»40. Nonostante il grido di «si faccia senno!» perché si aumenti la produzione, si tolga il monopolio e si ribassi il prezzo, vista la presenza ormai definitiva dei borati naturali41, l’industria procedeva con i suoi bindoli a cavalli, senza utilizzare i residui42, e senza fabbricare prodotti più puri. Non è un caso che Fausto Sestini nel 1877, accompagnando i propri studenti a visitare Larderello e Montecatini, istituì un parallelo tra le due realtà e sottolineando la «meravigliosa miniera, ottimamente scavata, macchinari moderni, i più recenti perfezionamenti, valenti tecnici alla direzione» affermava

38 F. De Larderel, Cenni sulla produzione dell’acido borico in Toscana, Tip. Giulio Sardi, Livorno, 1858, p. 15. Negli scritti dell’epoca si è posto l’accento sul fatto che De Larderel avesse pensato, prima di Gazzeri, di sfruttare la perforazione artesiana e ne fosse stato sconsigliato da Payen durante la visita nel 1835 a Larderello. Lo scienziato in realtà era rimasto impressionato dai soffioni in generale, dal difficile lavoro degli operai e dallo scampato pericolo di Brugnelli, suo accompagnatore, che aveva rischiato scottature gravissime per il terreno cedevole. Cfr. A. Payen, Acide borique des suffioni de la Toscane, Annales de Chimie et de Physique, III serie, T. I, 1841, p. 255; F. De Larderel, Notice sur la production de l’acide boracique en Toscane, Comptes Rendus Hebdomadaires des Séances de l’Académie des Sciences, XXIII, 1846, p. 353. 39 Relazione dei Giurati, Esposizione agraria e industriale della città di Pisa per le province di Pisa e Livorno (maggio 1868), Tip. Nistri, Pisa, 1870, p. 213. 40 Relazione dei Giurati, Esposizione Italiana tenuta in Firenze nel 1861, cit., p. 290. 41 F. Selmi, Enciclopedia di Chimica scientifica ed industriale, v. III, Un. Tip. Ed., Torino-Napoli, 1869, pp. 305-306. 42 Il primo concime azotato con il 50% di solfato d’ammonio non proviene da Larderello ma è fabbricato a Travale da Coppi e Hall. Cfr. R. Nasini, I soffioni boraciferi e l’industria dell’acido borico in Toscana, in Atti del VI Congresso internazionale di chimica applicata (Roma 1906), vol. I, G. Bertero e C., Roma, 1907, p. 619.

Page 13: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

13

«a Montecatini la natura domata, utilizzato mirabilmente tutto quello che dalla terra poteva trarsi; a Larderello la natura brutale, l’incompleta utilizzazione dei tesori che uscivano dal suolo, a Montecatini la sapiente direzione, a Larderello nessuna direzione, tutto lasciato in balìa dei pochi operai»43.

L’amore di Francesco Larderel, come più volte da lui stesso dichiarato, per «quei luoghi e l’industria» che gli avevano dato «fama e sostanze»44 non è da mettere in dubbio. L’ex commerciante di stoffe aveva raggiunto un patrimonio personale considerevole, «con un’attività e uno stile di vita nuovi tanto più spudorata e pesante se vista nella sua essenza di totale appropriazione di ogni elemento produttivo, di esproprio assoluto, non soltanto in senso strutturale (materie prime, forza-lavoro, territorio) ma anche in misura ideologica, arrivando a pretendere un forzoso riconoscimento della popolazione nel nuovo paese»45.

Francesco Larderel nel 1841 produceva 750.000 kg di acido borico senza la spesa di macchine, di materie prime, di combustibile. Una condizione idilliaca che avrebbe potuto sfruttare con maggiore impegno da un punto di vista della strategia d’impresa. Prima della scoperta, alla fine del secolo XIX, dei giacimenti di boracite di Stassfurt, di boronatrocalcite dell’America meridionale e di colemanite della California, la Toscana era l’unica produttrice mondiale di acido borico. Per quasi tutto il secolo l’industria di Larderello si è sentita appagata dal poco efficiente livello di utilizzazione delle risorse che non l’hanno spinta in investimenti di processo, in mutamenti strutturali o di strategia. Nonostante le sollecitazioni dei chimici, Francesco Larderel, ma anche i suoi eredi, non erano giunti al massimo della produzione, sia nella ricerca di ottimizzazione dei processi sia nell’utilizzazione dei residui, probabilmente per l’esclusività di vendita ai Lloyd’s, avvenuta nel 1847 che, se salvò i Larderel dai debiti e garantì loro guadagni sicuri, spense ogni stimolo alla ricerca. Contrariamente al suo desiderio di essere riconosciuto come grande fabbricante, Francesco Larderel, sicuramente di grande capacità intuitiva, si mosse con grande abilità e successo nell’economia del Granducato, privilegiando le attività speculative e legando il proprio nome all’aristocrazia e alla grande borghesia toscana46.

43 R. Nasini, I soffioni e i lagoni della Toscana e l’industria boracifera, Tip. Ed. Italia, Roma, 1930, p. 2. 44 F. De Larderel, Apologia del conte cavaliere Francesco de Larderel, Vignozzi e Nipote, Livorno, 1846, in R. Nasini, I soffioni boraciferi…, cit., 1907, p. 597; L. Pescetti, La famiglia de Larderel conti di Montecerboli, Stab. Poligr. Toscano, Livorno, 1940, p. 42; F. De Larderel, Cenni sulla produzione…, cit., p. 10. 45 L. Guiotto, La fabbrica totale, paternalismo industriale e città sociali in Italia, Feltrinelli, Milano, 1979, p. 96. 46 Per una analisi più approfondita della chimica a Larderello si veda N. Nicolini, L’empirismo organizzato: la Chimica a Larderello nell’Ottocento, in M. Ciardi e R. Cataldi [a cura di], Il calore della terra. Contributo alla storia della Geotermia in Italia, ETS, Pisa, 2005, pp. 225-246.

Page 14: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

14

Industrie chimiche insalubri La legge Nel 1888 alla Camera dei deputati si discusse un progetto di riforma, presentato da Crispi l’anno precedente al Senato, secondo cui lo Stato si sarebbe assunto il difficile compito di tutelare l’igiene e la sanità pubblica47. Questa proposta di legge era ripresa dal Codice della pubblica igiene di Depretis, il quale aveva presentato il medesimo Codice al Senato nel 1886, spinto da Agostino Bertani, un radicale sensibile ai problemi sociali, ma successivamente lo dovette ritirare48. Depretis aveva trovato molte resistenze nelle approvazioni delle riforme proposte, volute in particolare da Berti, Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio dal 1881 al 1884, e le ritirò quasi tutte, tranne la legge sul lavoro dei fanciulli dell’11 febbraio 1886, da cui venne stralciata la parte riguardante il lavoro femminile che si sarebbe discussa solo nel 1902, e il riconoscimento delle Società di Mutuo Soccorso del 15 aprile 1886. Le riforme erano piuttosto morbide, ma per la maggior parte della borghesia parlamentare erano fin troppo evidenti i pericoli e i costi di ogni forma di legislazione sociale. Ma non erano i danni dei fumi delle ciminiere delle industrie a turbare la coscienza sociale di Crispi. Oltre a motivi di carattere politico vi era una forte preoccupazione per le ricorrenti epidemie di vaiolo, scarlattina, difterite e tifo. Il problema delle epidemie era stato rilevato da Stanislao Cannizzaro nella relazione sulla proposta di legge circa la tutela dell’igiene e della sanità pubblica presentata al Senato il 15 marzo 188849. Ma ormai si era convinti che «né l’individuo, né il comune è libero di vivere in quelle condizioni malsane, le quali agevolano lo sviluppo e la diffusione delle numerose infezioni che affliggono l’uman genere; poiché così facendo si nuoce non solo a se stessi, ma ai vicini e ai lontani»50. Non è quindi un diritto dello Stato provvedere all’igiene ma diventa un suo preciso dovere costringendo i cittadini e i Comuni a farlo. Prevenire e combattere, non solo per il valore delle vite umane risparmiate ma anche per i danni economici, privati e pubblici, che in questo modo possono essere evitati. O, meglio, prevenire per non reprimere secondo la formula di Crispi. Due 47 La prima legge sanitaria italiana è del 20 marzo 1865. Unificando le leggi degli antichi stati del Regno, si limitava alle norme generali dell’ordinamento dei servizi. Il Regolamento dell’8 giugno 1865 e successive modifiche (6 settembre 1874 e 4 gennaio 1877) provvedevano in realtà a definire questioni di competenza legislativa. Altri tentativi compiuti da Giovanni Lanza nel 1873 e da Giovanni Nicotera nel 1876 non portarono a nessun risultato. Da G. Saredo, Codice dell’igiene, Un. Tip. Ed., Torino, 1896, pp. IV-V. 48 A. Depretis, Codice della pubblica igiene, presentato al Senato il 13 aprile 1886. Atti parlam. Senato, legisl. XV, sess. unica 1882-1886, doc. n. 286, p. 2. 49 Atti parlam. Senato, legisl. XVI, 2° sess., doc. n. 7A. Cannizzaro, chimico di grande reputazione, era stato nominato senatore nel 1871 secondo la categoria 18. 50 Efficace è il tentativo di attualizzare l’elegia dell’eunomia di Solone sotto il profilo ecologico fatta da Weeber, in particolare il verso «entra così nella casa il malanno di tutti». K. W. Weeber, Smog sull’Attica, Garzanti, Milano, 1990, p. 146.

Page 15: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

15

funzioni del tutto nuove, nuove per Crispi solo in questo campo, che lo Stato sembra assumersi con le migliori intenzioni, istituendo già nel 1887 una direzione di sanità pubblica nell’amministrazione centrale, seguita dai laboratori di chimica e di microscopia applicata all’igiene51, e soprattutto aggiungendo al personale amministrativo «cultori speciali dei vari rami di igiene, non solo per dare consigli e fare proposte ma altresì per vigilare costantemente sull’andamento della salute pubblica»52. Accanto ai 71 articoli sulla sanità marittima, l’assistenza medica, chirurgica e ostetrica nei comuni, la vigilanza zooiatrica, l’esercizio delle professioni sanitarie, l’igiene delle bevande e degli alimenti, sulle misure necessarie contro la diffusione delle malattie infettive nell’uomo e negli animali, sulla polizia mortuaria, sulle norme per i regolamenti locali dei comuni con le relative spese e contravvenzioni, nella legge Crispi ci sono prescrizioni sul suolo e sull’abitato. Aria, acqua e terra non ritornano come ultimi costituenti dei corpi secondo la filosofia alchimistica, ma l’aria, l’acqua e la terra sono visti in funzione di un ambiente igienico in cui l’uomo cresce e opera. Il concetto di “previdenza” era emerso già nell’introduzione del Codice della pubblica igiene di Depretis «dalla cognizione e dalla preoccupazione di tutto ciò che può condurre ad offesa della pubblica salute»53. Il compito dello Stato, pertanto, come custode e tutore, sarebbe stato quello di esigere di essere informato su ciò che vi fosse di malsano in tutti i punti del territorio nazionale e di stimolare iniziative adeguate. Non era più consentito affidarsi all’azione privata perché non sempre «provvida in ogni luogo, né sempre illuminata e disinteressata», ma vi era la convinzione che l’igiene pubblica dovesse essere comandata [cors. nel testo] poiché la suprema e ordinata azione dello Stato dovesse procurare l’adempimento d’indeclinabili prescrizioni54. Sembra opportuno a questo punto riportare alcuni stralci dell’articolo 38 della legge sulla sanità di Crispi del 1888, e cioè la parte riguardante le industrie insalubri, poiché le intenzioni espresse nella loro chiara formulazione non corrisponderanno alla sensibilità dei focosi animi industriali. «Le manifatture che spandono esalazioni insalubri, o possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti, saranno indicate in un elenco diviso in due classi. La prima classe comprenderà quelle che dovranno essere isolate nelle campagne e lontane dalle abitazioni, la seconda quelle che esigono speciali cautele per l’incolumità del vicinato. L’elenco, compilato dal Consiglio superiore di sanità, sentito il Ministero d’agricoltura, industria e commercio, sarà approvato dal Ministro dell’interno e servirà di norma per l’esecuzione della presente legge. Le stesse regole indicate per la formazione del primo elenco saranno eseguite per inscrivervi le fabbriche o manifatture che posteriormente siano riconosciute insalubri. Un’industria o manifattura, la quale sia inserita nella prima classe, potrà essere permessa

51 La Direzione della sanità pubblica al Ministero dell’Interno viene istituita con R. D. 3 luglio 1887 n. 4707 e viene soppressa con R. D. 21 giugno 1896 n. 247, affidando i servizi alla Direzione generale dell’Amministrazione civile presso lo stesso Ministero. I laboratori di indagini tecniche e sanitarie, destinati a perfezionare nello studio dell’igiene pubblica medici, ingegneri, veterinari e farmacisti, vengono fondati con R. D. 27 novembre 1887 n. 5103. Quest’ultimo decreto in realtà si riferisce alla creazione di corsi di perfezionamento di ingegneria sanitaria presso l’Università di Roma, ma i laboratori di cui si parla, istituiti per i corsi pratici, sarebbero serviti nello stesso tempo per le indagini richieste dalla Direzione della sanità pubblica. 52 S. Cannizzaro, Atti parlam. Senato, doc. n. 7A, cit., p. 5. 53 A. Depretis, Codice della pubblica igiene, cit., p. 2. 54 Ibidem.

Page 16: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

16

nell’abitato, quante volte l’industriale che l’esercita provi che, per l’introduzione di nuovi metodi o di speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato. Chiunque vorrà attivare una fabbrica compresa nel sopraindicato elenco, dovrà entro 15 giorni darne avviso per iscritto al prefetto» 55. La razionalità della distinzione in due classi, come sosteneva la commissione alla Camera, era molto opportuna per graduare «le cautele all’entità del danno e non creare all’attività degli industriali vincoli e restrizioni maggiori di ciò che sia strettamente richiesto dalla tutela della pubblica igiene»56. Inoltre si confidava che i vantaggi derivanti alle industrie, perché potessero lavorare entro l’abitato, avrebbero spinto gli industriali a ricercare processi sempre meno dannosi per la salute, sperando che il governo fosse altrettanto disponibile ad istituire premi e a divulgare i progressi della tecnologia. Difficoltà chimiche Il 1888, quindi, è un anno importante non perché gli si possa attribuire la nascita di una coscienza ecologica statale, non sussistevano nemmeno i presupposti, ma semplicemente perché lo Stato decide di assumere in prima persona la tutela della pubblica salute. E in questo la chimica aveva una parte di primo piano per vari motivi. Le industrie chimiche presentavano una suddivisione di comparti ed una complessità di materiali e metodi di lavoro che non si riscontravano in altre industrie, complessità che veniva inoltre aumentata dalle nuove scoperte scientifiche, responsabili di cambiamenti profondi nel ciclo di produzione. Ed era anche vero che le sostanze e i prodotti di un’industria chimica erano indubbiamente molto più nocivi di qualunque altro prodotto di altri stabilimenti, tanto più che nei reattori industriali si ottenevano prodotti secondari di natura sconosciuta o poco studiata. Inoltre l’industria chimica comprendeva spesso in una sola unità produttiva molte sorgenti associate di pericolo, presenti invece separatamente in industrie non chimiche. Allo stesso tempo veniva affidato alla chimica lo studio della composizione dell’ambiente igienico, le sue variazioni in condizioni diverse e gli effetti sull’organismo umano, sugli animali, sulle piante e per questo si approntavano analisi e metodiche. Doppiamente protagonista quindi sia perché responsabile degli effetti negativi sia perché responsabile del controllo di questi. E il secondo non era un compito semplice. La ricerca nell’aria dei gas di fabbrica presentava difficoltà di ordine pratico perché i metodi conosciuti si dimostravano inefficaci nel dosaggio di componenti “mefitiche” nell’atmosfera. Quali erano in primo luogo? Per rispondere a questa domanda era necessario definire in precedenza che cosa s’intendeva per aria salubre. Solo in questo modo si era in grado di distinguere un’aria pura da un’aria inquinata. Sconsolatamente, ancora nel 1903, i chimici si dichiareranno impotenti di fronte ad analisi quantitative riguardo alle impurità in quanto

55 Legge 22 dicembre 1888, n. 5849, Titolo III. 56 Commissione Relazione Disegno di Legge “Tutela igiene e sanità pubblica”, rel. Panizza, Atti parlam. Camera, legisl. XVI, 2° sess 1887-1888, doc. n. 160°, p. 15.

Page 17: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

17

«i metodi adoperati non servono per dosare e nemmeno per ricercare la pluralità dei componenti quando siano diffusi in grandi quantità di aria libera. Per cui la ricerca nell’aria dei gas di fabbrica, che presenta grandi difficoltà, non è un compito assolvibile per vari dei medesimi e lo è da poco e appena pel più pericoloso tra essi: l’ossido di carbonio»57.

Nessuno dei procedimenti fino ad allora adottati soddisfaceva le esigenze della pratica igienica o per scarsa sensibilità ed esattezza o per eccessiva complicazione, tanto più che la presenza di sostanze interferenti influiva sui risultati. Un mezzo ancora valido per rivelare presenze di gas era l’olfatto o le cartine imbevute di tornasole o meglio ancora il danno arrecato alle foglie, ai tessuti, agli oggetti metallici, o la diminuita trasparenza dell’aria o la lordura prodotta sui muri. Non c’era dubbio che i fumi recavano molestia e detrimento della salute ma in particolare «possono riuscire materialmente dannosi contaminando l’atmosfera, intercettando le irradiazioni solari, imbrattando la biancheria, nuocendo ai vegetali ed alterando il valore dei foraggi. Una produzione esagerata di fumo può cambiare l’atmosfera al punto da modificare lo stato meteorologico e da rendersi per esempio impossibile l’esercizio della fotografia»58.

spiacevole evento viste le prospettive proprio allora aperte dai primi apparecchi portatili Kodak. Era giusto allora fidarsi del naso? Di potente capacità rivelatoria rimaneva il più efficace strumento di analisi. Reattivo squisito ma infido, purtroppo il naso non aveva capacità “oggettive” di attendibilità. I risultati potevano variare da sostanza a sostanza ed erano influenzati dalla temperatura, dalle condizioni di salute, da sensibilità individuali e dall’assuefazione. Tenuto anche conto che “i grandi nasi” preferivano dedicarsi alla manipolazione di fragranze olfattive per l’industria profumiera francese, molto più remunerativa, la scienza dell’olfatto aveva scarso futuro, privata anche delle persone adatte. Il “fiato della fabbrica” interessava solamente in quanto componente di atmosfere profumate a fini commerciali59. Che cosa rimaneva a questo punto? Persi i grandi nasi e imperfette le analisi chimiche, rimanevano le tracce che i fumi e i gas corrosivi lasciavano al loro passaggio, l’intristimento delle foglie o l’annerimento delle vernici a base di biacca. A nulla serviva l’aumento dell’altezza dei camini, benché fosse il mezzo più semplice per la dispersione del fumo misto a vapori corrodenti. Sistema curioso poiché gli effetti dei danni con il suo contributo non si limitavano alla zona circoscritta alla fabbrica ma risultavano maggiormente diffusi per l’allargamento della propria zona d’influenza. Dietro “la politica delle alte ciminiere”, secondo Karl W. Weeber, si celava solo il postulato enunciato da San Floriano, protettore dei vigili del fuoco, cui era attribuita la massima: vadano pure a fuoco le case altrui, purché sia risparmiata la mia60.

57 I. Guareschi, Nuova Enciclopedia di Chimica, vol. VII, Un. Tip. Ed., Torino, 1902, p. 850. 58 Ivi, p. 909. 59 Nel 1884 la successione armonica creata per un profumo da Des Esseintes comprendeva anche «il fiato delle fabbriche» come stridore di modernità. Da A. Corbin, Storia sociale degli odori, A. Mondadori, Milano, 1983, p. 280. 60 K. W. Weeber, Smog sull’Attica, cit., p. 57.

Page 18: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

18

Nonostante la conoscenza del cambiamento organolettico del vino prodotto da uve esposte ai fumi di fabbrica, si proponeva per le industrie insalubri una soluzione che ricalcava un modello empirico, già riscontrato in tempi antichi, che si riduceva all’“allontanamento” dai luoghi abitati61. Il criterio era uguale in tutta Europa, sull’onda del binomio odore-danno. Ma «l’odore non è punto dimostrato insalubre» o perlomeno non si riteneva sufficientemente dimostrato il carattere di nocività specifica per molti di essi visto che, se riportato agli operai, «essi non ne risentono, si abituano subito con tutta facilità; anzi il soggiorno continuo in atmosfere pregne di odori, smorza in essi poco a poco l’olfatto e li rende insensibili alle emanazioni professionali, però conservando gli abiti impregnati degli effluvi propri del lavoro, possono comunicarli agli altri senza accorgersene»62.

Il sospetto che fosse l’operaio e non la fabbrica a dover essere allontanato sorse spontaneo quando, nel caso di impossibilità di correzione dei metodi lavorativi, usando altri prodotti meno sgradevoli, si consigliava di praticare le operazioni moleste nei locali maggiormente internati e di circondarsi di alberi d’alto fusto che, rallentando la circolazione d’aria, avrebbero purificato l’atmosfera e riparato in parte dal diffondersi delle emanazioni, le quali d’altronde avrebbero impregnato gli abiti ma anche gli operai sempre di più. Si insisteva nell’aspetto degli odori, poiché questi di fatto guidavano le lamentele del vicinato persistendo ancora a fine Ottocento una teoria dura a morire, la teoria del miasma, secondo cui la malattia o la minaccia del morbo erano collegate all’aria maleodorante in relazione al semplice principio che «tutto ciò che puzza uccide»63. La regola era quindi allontanare la causa del disagio. Mentre era più semplice definire la nuova distanza dei cimiteri, tassativamente stabilita con la legge sanitaria di Crispi a 200 metri dall’abitato, non era così facile per gli stabilimenti industriali perché gli interessi vivi della struttura economica opponevano una vivace resistenza. Come si fa a determinare una distanza uguale per tutti? Impossibile. «I limiti dell’isolamento sono affatto relativi, e devono subordinarsi a molte altre circostanze pratiche, specialmente alla natura dei metodi di lavorazione ed alle condizioni d’esercizio in genere»64. Così raccomandava nel 1902 Icilio Guareschi nella sua Enciclopedia. Non era semplice la domanda ma lo diventava la risposta. Reazioni: «Non si può mettere in non cale l’interesse grandissimo che ha il paese di salvaguardare i bisogni dell’industria nazionale e di propugnare il progresso»65.

61 I Greci confinavano i negozianti di formaggio e i conciatori all’esterno delle città. Da I. Guareschi, Nuova Enciclopedia di Chimica, vol. VII, cit., p. 928; altri esempi in P. Brimblecombe, Trasformazioni di una minaccia, in A. Caracciolo e G. Bonacchi [a cura di], Il declino degli elementi, Il Mulino, Bologna, 1990, pp. 139-157. 62 I. Guareschi, Nuova Enciclopedia di Chimica, vol. VII, cit., p. 929. 63 A. Corbin, Storia sociale degli odori, cit., p. 322. 64 I. Guareschi, Nuova Enciclopedia di Chimica, vol. VII, cit., p. 908.

Page 19: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

19

L’iter legislativo della legge sanitaria di Crispi del 1888 prevedeva un regolamento, stilato dal Consiglio superiore di sanità con il parere del Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio, in cui venivano suddivise le industrie nelle due classi. Il Consiglio superiore di sanità, infatti, nella persona del suo direttore generale Pagliani, elabora nel 1892 un progetto di classificazione il cui spirito mira a garantire l’industria, intervenendo solo in caso di provato pericolo per la salute pubblica. Nell’elenco non vengono comprese le industrie insalubri che trattano materie esplosive e infiammabili, per il cui impianto si doveva chiedere licenza al prefetto e «che non si possono ritenere insalubri. Inoltre – come viene specificato nel novembre del 1892 dal Ministero dell’interno a quello dell’Agricoltura – nella classifica si intese considerare le industrie in quanto esercite in vere manifatture o fabbriche, tralasciando quelle che possono esercitarsi nelle comuni abitazioni. Infine si assicura di esservi portata la massima attenzione a non ferire gli interessi del commercio per eccessivo desiderio di tutela della salute pubblica. In ogni caso con uno studio accurato e minuzioso si sono controbilanciati gli eventuali danni sanitari con quelli che ne possono venire al commercio»66. L’elenco stilato viene trasmesso al Consiglio superiore del Ministero d’agricoltura, industria e commercio per le opportune modifiche e, nel giugno 1893, viene integrato da alcune proposte di Ernesto De Angeli, cui era stato affidato l’incarico da parte del ministero stesso. L’industriale chiede il rinvio della discussione nella sessione autunnale per un completo esame della situazione in attesa della presa di posizione dell’ambiente industriale67. Con calma l’elenco passa all’esame delle Camere di commercio. Il 25 settembre 1893 la Camera di commercio di Milano nomina una commissione speciale per studiare le proposte basate su entrambi gli elenchi e già il 30 ottobre conclude i lavori68. La commissione milanese approva le aggiunte all’elenco fatte da De Angeli e ne propone altre, non per aumentare il numero delle industrie ma «per dare all’elenco stesso quella chiarezza necessaria affinché non possano aver luogo vessazioni o ingiuste interpretazioni ed equivoci da parte dell’autorità tutoria a danno degli industriali»69. Fermo restando quindi i principi generali espressi dal Consiglio superiore di sanità e dal Ministero d’agricoltura, la Camera di Milano manifestava un’attenzione maggiore verso i vari criteri di insalubrità e di pericolo, comprendendovi inconvenienti e danni derivanti da

65 V. Sclopis, Istanza della ditta Sclopis e C. alla Commissione della Camera di Commercio per la classificazione delle industrie insalubri, L. Roux, Torino, 1894, p. 13. 66 Lettera Ministero Interno a Ministero Agricoltura, Industria e Commercio, 17 nov. 1892, in Archivio Centrale dello Stato, Ministero Interno, Direzione generale sanità pubblica, Atti amm. 1867-1900, b. 239. 67 Archivio Centrale dello Stato, Ministero interno, Direzione generale sanità pubblica, Atti amministrativi 1867-1900, b. 239. 68 Nella commissione vi era, tra gli altri, Giuseppe Candiani che, dopo Sclopis di Torino, era il più grande industriale italiano di acidi forti. I relatori erano Luigi Gabba, professore di chimica al Politecnico di Milano, che si occupava di analisi di prodotti industriali e di problemi connessi con l’insegnamento, e Guglielmo Körner, assistente di Kekulé a Gand e di Cannizzaro a Palermo, che insegnava dal 1867 alla Scuola di Agricoltura di Milano. 69 Camera di Commercio di Milano, Sulla determinazione delle industrie da dichiararsi insalubri, Stab. Tip. P. B. Bellini, Milano, s.d. [1893], p. 4.

Page 20: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

20

odori, dalle acque di rifiuto industriali, da fumi, da polveri, da incendi e esplosioni. Inoltre si prendevano in considerazione gli effetti nocivi nei confronti degli operai. A Torino intanto l’agguerrita commissione della Camera di commercio locale, che aveva già chiesto, tra l’altro, un’ulteriore dilazione per lo studio del problema, è pronta per un’offensiva in grande stile, intenzionata a «tutelare quegli interessi industriali che inopportunamente fossero compromessi»70. Chiamando a far parte della commissione anche Ermenegildo Rotondi, chimico al Museo Industriale, e Vincenzo Fino, chimico in una scuola torinese, la Camera ribadisce che «la legge in questione debba essere applicata con larghi criteri se non si vuole recare grave danno ad una fonte di ricchezza nazionale e se non si vuole accentuare maggiormente il disagio economico nel quale ci troviamo»71.

La commissione torinese, stupita di fronte a tanta rigidità di legge, ritenuta ancora più severa della legislazione francese, che già dal 1810 aveva suddiviso le industrie in tre classi secondo la nocività, si preoccupa di non intralciare l’industria nel suo periodo iniziale. Considerato che già la legge di Pubblica Sicurezza provvedeva alle industrie pericolose e considerando che la legge proposta provvede anche ai canali di scarico delle acque inquinate, la Camera riprende e sottolinea la differenza tra la molestia e l’insalubrità: questa non è assoluta ma relativa alle condizioni nelle quali si esercita una determinata industria. La posizione non era nuova. Già nel 1877 la Commissione consultiva sugli istituti di previdenza aveva distribuito un questionario a varie prefetture per poter affrontare il problema del lavoro delle donne e dei fanciulli nelle fabbriche. Tra le varie domande proposte, una si riferiva alla individuazione delle industrie insalubri dove lavorassero donne e bambini. Il riassunto delle risposte metteva in luce la mancanza di industrie insalubri “propriamente dette”, ma dal momento che alcuni giudicavano insalubri le fabbriche di fiammiferi, altri le cartiere o le concerie o le solfare o le fabbriche di biacca ecc., si arrivava alla conclusione che «le risposte a questo quesito sono subordinate ai concetti generali che ciascuno ha intorno a questo soggetto»72. La Camera torinese insisteva: non si poteva iscrivere con leggerezza un’industria alla prima classe, senza pensare che, così facendo, si sarebbe pregiudicata la possibilità di continuare taluni esercizi, aprirne dei nuovi che sarebbero potuti essere fonte di benessere economico e «si renderebbero impossibili taluni centri industriali che in realtà, come lo prova l’esperienza del passato, non recarono nocumento alla salute pubblica»73. Il ceto industriale non aveva fiducia nemmeno nell’azione dell’autorità comunale per la possibilità di scelte arbitrarie. Insomma, l’iscrizione delle industrie nella prima classe

70 Camera di Commercio di Torino, Sulle industrie da dichiararsi insalubri a termini della vigente Legge sulla Sanità Pubblica, Adunanza 26 gennaio 1894, Gazzetta del Popolo, Torino, 1894, p. 2. 71 Ibidem. Nella commissione vi era anche l’industriale Vittorio Sclopis. 72 Annali Ministero Agricoltura, Industria, Commercio, Div. Ind. Comm., Ricerche sopra la condizione degli operai nelle fabbriche, vol. 103, Botta, Roma, 1877, p. 8. 73 Camera di Commercio di Torino, Sulle industrie da dichiararsi insalubri, cit., p. 3.

Page 21: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

21

«può essere la rovina, può ledere interessi gravissimi e dar mezzo, nei piccoli centri specialmente, ad odiose vessazioni per ragione di partito, a scapito del benessere pubblico, e ciò a nome dell’igiene; [...] del resto è nell’interesse degli stessi industriali di porsi in condizioni di essere molestati il meno possibile dalle esigenze dell’igiene [...]. Non è assolutamente il momento d’inceppare con misure restrittive lo sviluppo industriale italiano o di sofisticare troppo sulla possibile salubrità di un’industria»74. La conclusione dell’analisi torinese consisteva nella proposta di trasferimento di quasi tutte le industrie della prima classe alla seconda per i motivi che possiamo così riassumere: 1° le industrie lavoravano con prodotti “depurati” e quindi assolutamente innocui, solo

l’acido solforico «nuoce un po’ unicamente perché trascina vapori arsenicali»75; 2° la produzione industriale in Italia era insignificante: a Torino, per esempio, la maggior

fabbrica di prodotti chimici produceva in un anno quanto talune fabbriche inglesi in una settimana. Di conseguenza anche gli stessi danni erano insignificanti;

3° le emanazioni potevano essere sgradevoli o moleste, ma non era dimostrabile la loro insalubrità;

4° il buon stato di salute e la longevità degli operai era la prova migliore dell’innocuità dell’industria. Inoltre vi erano motivi di tradizione, come nel caso delle concerie, «da sempre ritenute immuni dalle infezioni epidemiche»76;

5° era riconosciuta la convenienza di utilizzare i residui di lavorazione; 6° i quantitativi limitati non facevano estendere le emanazioni irritanti al vicinato

perché limitavano la loro azione agli operai; 7° nel caso non fossero stati sufficienti i motivi precedenti si sarebbero potute

aggiungere le ragioni di ordine pubblico che avrebbero reso pericoloso l’allontanamento.

Non era un caso che si desiderassero spostare nella seconda classe tutte le industrie di prodotti chimici di base, i concimi e i mordenti. A Torino vi era una forte associazione di conciatori che raccoglieva una lunga tradizione industriale, c’erano le fabbriche della Dinamite Nobel e della Torinese Colla e Concimi, con i primi manifesti pubblicitari sui muri cittadini, e soprattutto vi era Vittorio Sclopis, la cui forte influenza si era fatta sentire anche nell’ambito della commissione. Sclopis, la cui importante famiglia produceva acidi forti fin dal 1812, ritenne doveroso per di più rincarare le troppo morbide, a suo giudizio, valutazioni della Camera di commercio, stampando un’istanza personale in cui si contestava che le emanazioni provenienti dalle fabbriche di acidi potessero avere un’influenza nociva sui vegetali e sull’uomo. Secondo Sclopis la presenza di tali stabilimenti avrebbe favorito al contrario l’incremento demografico. Sottolineava inoltre che

«nei luttuosi periodi di invasione colerica non ebbe a verificarsi alcun caso di colera tra gli operai e la mortalità nella regione prossima alla fabbrica fu minore che nelle altre parti della città, [...] anzi sarebbe quasi dimostrato che le esalazioni acide di questo genere d’industrie possano avere un’influenza benefica sull’igiene pubblica»77.

74 Ivi, pp. 3-4. 75 Ivi, p. 6. 76 Ivi, p. 9. 77 V. Sclopis, Istanza della ditta Sclopis, cit., p. 12.

Page 22: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

22

Non spiegando perché i fumi dovessero essere catturati se avevano un così benefico influsso, Sclopis, nella sua difesa, si chiedeva come veniva giustificata la misura gravissima a danno «della libertà dell’industria, della libera concorrenza, del progresso dell’ingegno umano» [cors. nel testo]. Le parole forti erano mitigate da uno stupore accorato: perché l’industria chimica veniva segregata dal consorzio umano78? In questo quadro di grande effervescenza, apparve un articolo anonimo sul “Bollettino Chimico-Farmaceutico”, in cui si cercava di invitare la classe farmaceutica italiana a prendere parte attiva nella «grave questione». Pur affermando «Non vorremmo che per una esagerata cura della igiene stessa si strozzassero o si mettessero impacci a industrie fiorenti, così da porle in condizioni da non potere sostenere la concorrenza coll’estero e soprattutto, ripetiamo, non troppo zelo; altrimenti finiremo col crepare tisici per un eccesso di igieniche cure [cors. nel testo]»79,

il “Bollettino” plaudiva alla solerzia della Camera di commercio milanese e appoggiava in linea generale le conclusioni della stessa commissione. Ma soprattutto tentava di razionalizzare l’elenco delle industrie insalubri non sulla base di nomi di materie prime o di prodotti finiti, nomi non definitivi che oltre tutto dovevano essere distinti a seconda dei processi, ma sulla «natura degli inconvenienti diversi che le industrie stesse arrecano alla salute del vicinato, limitando la classificazione a definiti gruppi, a seconda dei prodotti sviluppati e delle conseguenze inerenti alle varie lavorazioni»80. Tenuto conto di questo criterio, ad esempio, nella prima classe si potevano comprendere le diverse industrie che avrebbero dato luogo a inquinamento delle acque, a sviluppo di gas deleteri e a pericoli d’incendio e scoppio. Questa classificazione “moderna” delle fabbriche insalubri avrebbe effettivamente snellito la classificazione senza il ricorso a continue aggiunte di prodotti dovute a nuovi metodi di lavorazione, nuove materie prime o nuove utilizzazioni dei prodotti secondari. Ma il “Bollettino” e la Camera milanese rimarranno le uniche voci dissonanti che, senza arrivare a proporre un discorso sui limiti di tolleranza o del quantum di nocività dei fattori generali d’insalubrità, di cui non si sarebbe capito neanche il significato, risultavano consapevoli della ristrettezza degli elenchi proposti senza una legislazione per la vita interna della fabbrica.

78 Ivi, p. 14. 79 Anonimo, Le industrie nocive alla salute pubblica, in “Bollettino Chimico Farmaceutico”, 1893, fasc. 24°, dicembre, p. 3. Con una punta velenosa l’anonimo estensore dell’articolo mette in luce la stranezza dell’incarico dato a Ernesto De Angeli per la compilazione dell’elenco: «Eccezion fatta per l’industria da esso esercitata, non ha né può avere per le altre numerose industrie la competenza tecnica e scientifica che si richiede per studiare e riferire sull’importante argomento»; dal “Bollettino”, cit., p. 4. Ernesto De Angeli, già presidente dell’Associazione fra gli utenti di caldaie a vapore, che toccava anche problemi di prevenzione, si era adoperato per formare nel 1894 a Milano l’Associazione degli industriali d’Italia con lo scopo di prevenire gli infortuni sul lavoro. 80 Ivi, p. 14. Per una breve storia della contestazione ecologica, si veda G. Nebbia, Energia Ambiente Popolazione. Quaderni di Storia Ecologica per un progetto alternativo di ricerca, Coop. Un. Ed. Sc. Pol., Milano, 1994.

Page 23: Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l ... · Le lavorazioni chimiche nell’Ottocento in Italia e l’ambiente di Nicoletta Nicolini Le infrastrutture Non si può

23

Intanto la Camera di commercio di Torino venne appoggiata da altre Camere, da Udine a Palermo, con relazioni che sostenevano il diritto di maggior riguardo verso le industrie, le quali «non devono essere molestate al di là dei limiti di una assoluta necessità»81. Relazioni che il Ministero dell’Agricoltura si affrettò a trasmettere al Ministero dell’interno per le pressioni del caso e che vennero tenute in considerazione per stilare l’elenco ufficiale82. Questo fu pubblicato il 21 aprile 1895 ma non era molto diverso dal primitivo elenco83 e, se prendiamo ad esempio la lunghissima puntualizzazione del lavoro legislativo che riguardò le industrie dei fiammiferi, possiamo anche sostenere che le fabbriche di prodotti chimici, sia che si trovassero inserite nella I o nella II classe, non si sono mai dovute spostare da dove fossero originariamente impiantate.

81 “Atti Camera di Commercio di Udine”, 1894, a. VI, n. 1, aprile. 82 Le maggiori proteste vengono dalle concerie che riusciranno a rimanere nella II classe. Il Ministero d’agricoltura e industria ringrazierà ufficialmente il Ministero dell’interno per aver tenuto conto delle osservazioni fatte. Lettera Ministero agricoltura a Ministero interno, 1.4.1903, in Archivio Centrale dello Stato, Ministero interno, Direzione generale sanità pubblica, Atti amministrativi 1867-1900, b. 239. 83 Il numero di industrie di prima classe nel primo elenco della Sanità era 55, in quello di De Angeli 57, in quello di Milano 88, cifra in assoluto più alta e distinta da quella di Torino con un numero di sole 20. Nell’elenco finale della Sanità il numero era di nuovo 55. La suddivisione delle industrie insalubri in due classi verrà leggermente modificata con D. M. 14 marzo 1903. Nel frattempo si chiedeva alle giunte comunali, su proposta dell’ufficiale sanitario, di determinare con un elenco apposito le speciali cautele da osservare negli stabilimenti insalubri. Risponderà solo il Comune di Torino con il regolamento del 1° dicembre del 1907.