Le funzioni del disegno kellog c

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IL DISEGNO IL DISEGNO IL SIGNIFICATO DELL’ESPRESSIONE GRAFICO- PITTORICA NELL’ESPERIENZA DI CRESCITA DEL BAMBINO NELLA PRIMA INFANZIA Cristina Casaschi 1. INTRODUZIONE Immaginiamo, proprio nel senso di utilizzare un’immagine come un ausilio visivo, il bambino come una stella a più punte, ognuna delle quali è sede di una determinata funzione psichica: IO Immaginazione-intuizione Emozione-sentimento Emozione-sentimento Pensiero sensazione Questa stella può rappresentare non solo un bimbo, ma ciascuno di noi (Assagioli). A seconda della fase evolutiva che attraversa, la stella utilizza strade, strumenti, strategie differenti, grazie alle quali brillano e risplendono ora l’uno, ora l’altro raggio di luce da cui è costituita, fino a creare un’armonia d’insieme, una “luce intellettual piena d’amore” (Dante) Le punte della stella sono a contatto con il mondo, e da esso vengono sollecitate; tale occasione d’incontro, che potremmo definire in termini un poco meccanicistici stimolo, viene accolto, elaborato, metabolizzato, trasformato. Lo scarabocchio prima, il disegno poi, sono “momenti storici” in cui questi processi dinamici di reciproco scambio tra l’io e il mondo, che il bambino vive come quotidiana avventura e scoperta, si catalizzano e si esprimono. Dunque, un po’ è vero, contrariamente a quanto abitualmente si tiene a sottolineare, che i prodotti grafici e i disegni dei bambini sono come fotografie; non sono tuttavia “fotografie” di ciò C. CASASCHI 6 marzo 2004 1

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IL DISEGNO

IL DISEGNO IL SIGNIFICATO DELL’ESPRESSIONE GRAFICO-

PITTORICA NELL’ESPERIENZA DI CRESCITA DEL BAMBINO NELLA PRIMA INFANZIA

Cristina Casaschi

1. INTRODUZIONE

Immaginiamo, proprio nel senso di utilizzare un’immagine come un ausilio visivo, il bambino come una stella a più punte, ognuna delle quali è sede di una determinata funzione psichica:

IOImmaginazione-intuizione

Emozione-sentimento

Emozione-sentimento

Pensiero sensazione Questa stella può rappresentare non solo un bimbo, ma ciascuno di noi (Assagioli). A seconda della fase evolutiva che attraversa, la stella utilizza strade, strumenti, strategie

differenti, grazie alle quali brillano e risplendono ora l’uno, ora l’altro raggio di luce da cui è costituita, fino a creare un’armonia d’insieme, una “luce intellettual piena d’amore” (Dante)

Le punte della stella sono a contatto con il mondo, e da esso vengono sollecitate; tale

occasione d’incontro, che potremmo definire in termini un poco meccanicistici stimolo, viene accolto, elaborato, metabolizzato, trasformato.

Lo scarabocchio prima, il disegno poi, sono “momenti storici” in cui questi processi

dinamici di reciproco scambio tra l’io e il mondo, che il bambino vive come quotidiana avventura e scoperta, si catalizzano e si esprimono.

Dunque, un po’ è vero, contrariamente a quanto abitualmente si tiene a sottolineare, che i prodotti grafici e i disegni dei bambini sono come fotografie; non sono tuttavia “fotografie” di ciò

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che è stato ritratto in termini oggettuali, ma fotografie del processo di incontro fra un Io e un Tu, fra un Io e un contenuto intrapsichico, fra un Io e il Mondo delle Cose e delle Esperienze.

Dunque, sempre, il disegno o lo scarabocchio sono espressioni del sé, ma di elementi varii di

questo sé che si integrano, si sovrappongono, si alternano, si rincorrono… Su tali elementi si sono concentrati i più autorevoli studi sullo sviluppo e sul significato del

tratto e del prodotto grafico dell’infanzia, ma in questa prospettiva è inevitabile la settorialità; c’è chi si è concentrato nello sviscerare l’aspetto simbolico, chi i segnali di progresso cognitivo, chi la prospettiva di orientamento spaziale, chi nell’analizzare i contenuti emotivi o i criteri estetici…

L’analisi perde di vista la sintesi, si guarda la stella solo da una prospettiva particolare, e si perde di vista la bellezza complessa e misteriosa della sua luce.

Il primato dell’educazione sulla psicologia, se di primato si può parlare, è che agli educatori è

dato il privilegio di incontrare l’Altro da Sé, in questo caso il bambino, come un tutto, in una prospettiva olistica che contempli la complessità delle dinamiche psichiche, fisiche, emotive, cognitive che si dipanano, dando vita ad un tutto unico ed irripetibile.

In sintesi, perché apprezziamo la stella nella sua luce, occorre che sappiamo fare, per un

attimo, buio intorno, come quando si spengono le candeline del compleanno; fuor di metafora, di fronte al bambino l’educatore, oltre a dovere e volere comprendere – ma su questo in questi ultimi anni si è tanto lavorato nella costruzione della professionalità educativa - occorre sviluppare quella che Jhon Keats (concetto ripreso poi da Bion) definiva la “capacità negativa”, ovvero la capacità di tollerare di non sapere e non comprendere.

Dobbiamo recuperare la dimensione dell’accoglienza e del silenzio. Dobbiamo rieducarci a contemplare le stelle.

2. TRE ESEMPLIFICAZIONI

Il Piccolo Principe (cfr. pagg. successive) I primi due capitoli parlano da soli. E contengono un insegnamento esplicito, essenziale e

diretto sull’espressività infantile e sul suo rapporto con un mondo adulto distratto. Francesco Nel mio primo lavoro di classe, era una prima elementare in cui entravo come supplente a

lungo termine, assegnai un disegno da compiere; si trattava di un bimbo che saltellava allegro con l’ombrello aperto sotto la pioggia. Tutti i bimbi consegnarono il proprio lavoro tutto tinteggiato, allegro, pieno di colori... Di Francesco mi era stato detto che era un bambino difficile, aveva da poco perso il papà ma anche precedentemente a questo evento luttuoso dava segnali di allerta, avevo insomma strutturato nei suoi confronti un “pregiudizio”, dettato dalle migliori intenzioni di potergli venire in aiuto, ma pur sempre un pregiudizio. Quando venne a consegnarmi la sua scheda, notai che il cielo era bigio, lo sfondo grigio, l’ombrello nero… Miscelando la mia infarinatura psicologica al mio pregiudizio, con voce suadente, piena di ipotesi che facilmente potrete immaginare, gli chiesi come mai avesse colorato tutto con tinte così cupe. Candidamente mi rispose che il suo ombrello era nero, e che quando piove il cielo è grigio. Fine del commento. Tra 25 bimbi e una maestra, Francesco era stato l’unico fedele al messaggio rappresentato nel disegno, ed io mi

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ero inventata chissà cosa... Insieme a quello che esporrò subito oltre, quella fu la più grande lezione che ricevetti sul disegno infantile, e sulla psicologia applicata all’educazione.

G.B. In quei tempi una psicologa accompagnava il nostro percorso professionale con momenti

formativi, e io le chiesi se poteva aiutarci ed insegnarci ad interpretare i disegni dei bambini (la tentazione dello psicologismo incombeva già allora…).

Lei mi rispose che non era uno strumento utile per noi, che lo lasciassimo agli studi psicoterapeutici, che, nel nostro quotidiano, noi avevamo tali e tanti strumenti e occasioni di incontro con il bambino, le sue problematiche e le sue risorse che l’interpretazione dei disegni avrebbe solo potuto portarci fuori strada, spingendoci a classificare e a guardare un prodotto invece che una Persona. Lì per lì mi risentii ma mi fidai, e, dopo tanti anni, avendo approfondito gli studi in materia, posso solo essere grata di quel richiamo alla cogenza ed al valore della quotidianità, annotazione che rivolgo anche a chi legge, da tenersi come cornice di tutto quanto in modo più tecnico andrò ora ad accennare.

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3. LE FUNZIONI DEL DISEGNO

Le funzioni che lo scarabocchio e il disegno assolvono per il bambino possono essere, nell’ottica olistica sopra tracciata, così sintetizzate:

∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗

∗ ∗

Piacere ludico Piacere motorio Piacere visivo Espressività Elaborazione della conoscenza Comunicazione

Quindi il disegno è al tempo stesso:

Segno, ovvero una “spia” dell’evoluzione del bambino Strumento, ovvero un mezzo per svilupparla

Percezione Memoria Fantasia Cinestesi vengono potenziati da questa attività Creatività Comunicazione di sé Ma attenzione: il SEGNO, per sua natura, svela e vela, quindi non è mai esaustivo, rimanda ad

altro, è uno degli indicatori che illuminano la scena. Dunque il disegno acquista un’importanza formativa non solo in termini di “espressione” e

“rappresentazione”, ma anche in quanto attraverso di esso il bambino “arriva ad elaborare ed esporre in maniera sintetica alcuni soggetti e problemi che affiorano disordinatamente da più parti del mondo circostante e che il bambino riesce ad isolare e rappresentare con strutture più organiche e corrette” (A.. Oliverio Ferraris)

Inoltre il disegno può avere – e non solo per il bambino - anche valore catartico, e non si aggiunge altro su questo importante e delicato aspetto rimandando il lettore ad approfondimenti necessari ma non inseribili in una relazione che, come la presente, intende solo offrire spunti, sollecitare domande e non certo esaurire le risposte.

L’espressione grafica del bambino ha una sua sintassi che segue criteri associativi ed

analogici, ove i criteri logici e consequenziali, euclidei e cronologici che orientano l’adulto sono in secondo piano, quando non del tutto assenti. Ciò non inficia, anzi esalta l’espressività, ma per avvicinarvisi occorre parlare la stessa lingua del bambino e rispettare la sua grammatica espressiva.

Altrimenti sarebbe come leggere Shakespeare attraverso una traduzione approssimativa (ma senza andare lontano: avete mai letto le istruzioni di funzionamento di un attrezzo tradotte in italiano maccheronico? Sebbene le parole utilizzate siano italiane, il significato complessivo della spiegazione risulta spesso del tutto incomprensibile!)

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4. LE “REGOLE” DELLA MODALITÀ ESPRESSIVA

Osserviamo le fasi di sviluppo di questo meraviglioso processo che più frequentemente possono essere osservate nel corso della scuola materna

a. SCARABOCCHIO (18-20 mesi)

L’essere umano lascia traccia; all’inizio giochiamo con le tracce sonore (pianto, gorgoglio, lallazione…) e ne traiamo soddisfazione, ma la traccia sonora, seppure spesso immediatamente efficace per attirare l’attenzione dell’adulto, passa e va, e la traccia si dissolve.

Poi accade “L’incontro fortuito di un gesto con una superficie che lo registra” (Widlocher in Quaglia), sulla sabbia, sul foglio… ed inizia un gioco tra sé e sé, il cui ruolo sociale è ancora di là da venire. L’energia e l’entusiasmo sono grandi, il controllo motorio limitato, e nel gioco ci si allena, e tutto il corpo partecipa …

Circa sei mesi dopo l’inizio dello scarabocchio, avviene un fatto importantissimo: il bambino, in termini che tecnicamente definiremmo di feed-back, collega la propria sensazione cinestetica al segno prodotto.

Così inizia a controllare i propri movimenti in rapporto al segno grafico che vuole lasciare con sempre maggiore intenzionalità.

Da questo punto in poi si svilupperanno: ∗ ∗

Il disegno espressivo L’imitazione della scrittura (intenzionalità sociale imitativa)

Ciò che lo affascina della scrittura è la ritmicità del tratto: Paul Klee affermava “…Prendere una linea per passeggiare…” Gioco, piacere puro, motorio, visivo (R. Kellog), globale del corpo inteso come unità

biopsichica. La variabilità individuale, quella che poi definirà lo stile personale, è evidente fin dall’inizio (il

tratto più leggero e limitato nello spazio, o più marcato e centrale od espansivo indicano già tratti temperamentali, emerge la modalità globale di atteggiarsi nei confronti della realtà.

Siamo alla base dello sviluppo estetico attraverso il quale, secondo Read, potrà esservi integrazione ed organizzazione tra percezione, cognizione ed emozione.

Verso i 2 anni appaiono segni circolari, ad angolo, vi è ancora la tendenza a non staccare la matita ed a superare i margini del foglio.

Per R. Kellog, una delle studiose più appassionate del disegno infantile, anche se forse non la più autorevole (si veda bibliografia per avere altri utili riferimenti in merito) il bambino a due anni possiede tutto “l’alfabeto” grafico necessario per le successive fasi di sviluppo, che conterranno in sé gli esiti delle fasi precedenti; esso è composto da 20 segni (definiti schematismi) fondamentali ed universali, che poi il bambino compone in varie successive formazioni, tra cui i “mandala” di archetipica e junghiana memoria, secondo l’autrice e la sua scuola di riferimento, segno d’armonia e proporzione.

A 2 anni e mezzo la matita non scivola più seguita dallo sguardo ma lo sguardo, esprimendo l’intenzionalità psichica ed espressiva, guida riccioli, cerchi multipli, ripetizione di forme, forme aperte che si chiudono…

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Importante è l’acquisizione del doppio controllo, cioè del controllo della partenza e dell’arrivo, per cui le forme iniziano a definirsi i modo compiuto.

b. STADIO PRESCHEMATICO

(Per Lowenfeld da 4 a 7 anni, per altri autori, con altra definizione ma medesime caratteristiche identificate, dai 3 anni)

Verso i 3 anni (ma anche a 2 e mezzo nelle situazioni di stimolo) il bambino inizia a usare il disegno per esprimere sensazioni interne vissute intensamente.

La forma chiusa esprime una unità-oggetto, a volte anche una unità-esperienza Aumentano i tracciati verticali, che secondo la quasi totalità degli autori indicano un aumento

dell’assertività, dell’affermazione di sé, aspetto che concorda con la fase di sviluppo e di “ingresso nel mondo sociale e di comunità”

Appaiono i “quadrati”, i “soli” ed il bambino nomina ciò che rappresenta, cercando la presenza e la condivisione da parte dell’adulto.

E’ evidente il desiderio di dirsi, di raccontare di sé, tanto è vero che lo stesso “disegno” viene, a distanza di poco tempo, raccontato in un modo, o in un altro.

In questa fase si sviluppano due atteggiamenti: RIPETIZIONE – consolidamento di un tema o di un modello grafico individuato per il piacere del riprodurre, per il piacere di rivedere un soggetto familiare e per sentirsi sicuro - e VARIAZIONE del tema, fascino della novità, dell’esplorazione, della sperimentazione.

Non cambia tanto, dunque, la natura del tracciato quanto il significato espressivo che il bambino gli attribuisce e che vuole iniziare a condividere.

L’era del disegno vero e proprio avviene nel passaggio tra il realismo “fortuito” (somiglianza casuale con il soggetto rappresentato) a quello “intenzionale”, cioè il bambino inizia a correggere, costruire, completare la forma.

A cavallo del compimento del quarto anno abbiamo rappresentatività organica, lo schema della figura umana (di cui tratteremo oltre), qualche lettera dell’alfabeto.

Si inserisce, a vari livelli, l’uso del simbolo. In questa fase il bambino utilizza una sintassi analogica, quindi pochi tratti indicano uno o più

oggetti; inoltre il bambino “vede” gli aspetti della realtà che sente corrispondenti, da cui si sente “colpito”, e “vede” ciò che è aiutato a guardare.

Tale “sguardo” va educato, accompagnato, è insito e naturale nell’uomo ma non è affatto automatico che si compia, si spalanca in una compagnia, e ogni educatore sa bene che questo è compito specifico della sua esperienza quotidiana.

Il bambino, poi, a volte “ignora” nella sua espressione grafica (giustamente secondo la sua grammatica interna) aspetti che a noi possono sembrare importanti, così come, viceversa, mostra elementi che non dovrebbero vedersi secondo la prospettiva grafica dell’adulto (fenomeno della trasparenza), o infine sottolinea aspetti all’eccesso.

Il tutto per ottimizzare e rendere essenziale la resa espressiva. A volte conosce molti più particolari di quelli che disegna, e non li inserisce non perché non

ne sia capace “cognitivamente”, o “graficamente” (tanto è vero che se gli si richiede esplicitamente di aggiungere particolari è, a suo modo, in grado di farlo), ma perché sono superflui in rapporto all’espressività desiderata. Anche la trasparenza viene presto superata, su forzatura dell’adulto, attenendosi maggiormente all’oggetto, ma ciò a scapito di quello che il bambino vuole esprimere (scuole sovietiche di qualche anno fa, copia dal vero, assenza del fenomeno della trasparenza)

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Il bambino disegna non quel che vede ma quel che sa, quello che vive.

c. SCHEMATISMO

A 6\7 anni secondo la letteratura, anche a 5 secondo la mia esperienza, entriamo nella fase (queste classificazioni sono formali, esclusivamente funzionali alla comprensione del dipanarsi di un processo) del cosiddetto

Questa è la fase del cosiddetto “realismo intellettuale”nome che nella nostra esperienza non rappresenta bene la complessità dell’atto creativo, ma che è definito così in contrasto con il successivo passaggio, quello del “realismo visivo” (rappresentazione fedele, geometria euclidea, età successive).

Appare la linea di terra laddove prima le forme erano fluttuanti (segno di una progressione logica), si evidenziano le cosiddette “rappresentazioni canoniche” per le quali ogni oggetto ha una preferenziale forma di rappresentazione che ne esprime l’aspetto “dinamico” (persona e casa di fronte, pesce, animali, automobili di profilo…).

La bidimensionalità del foglio viene facilmente superata, e su un A4 (sebbene sarebbe sempre bene proporre formati diversi ai bambini) si può raccontare una storia completa.

In fondo, anche in ambito artistico la prospettiva, per intenderci, ratificata e formalizzata da L. B. Alberti è una delle modalità per esprimere la profondità e la spazialità; avvicinare il bambino a modalità artistiche non convenzionali in termini di prospettiva tradizionale, aiuta il bambino a esplorare ulteriormente queste ricerche espressive ora per lui naturali.

Secondo Gardner possiamo riconoscere bambini “narrativi”, che dal disegno prendono spunto per sviluppare una storia, un racconto, un’interazione comunicativa con un adulto disposto ad ascoltare, e i bambini “grafici”, che indugiano nel segno grafico, e lì si appagano.

Alcune figure simboliche, seppure non presenti nel concreto esperienziale del bambino (dinosauri, coocodrilli, astronavi…) vengono “utilizzate” per esprimere contenuti emotivi.

Lo stereotipo, utile per esprimere in certo modo fattori conoscitivi e di accrescimento e per fornire sicurezza, in questa fase diventa problematico laddove segnala una estrema povertà di stimoli e soprattutto quando si fissa in modo immodificabile; in tale caso blocca l’avanzamento evolutivo, è frenante e regressivo.

Gli stereotipi tratti dai cartoni animati giapponesi o simil tali, a mio giudizio, sono quanto di più deleterio posa esserci, sono la morte dell’espressività.

Questa fase da molti autori è definita “l’età d’oro” dell’espressività infantile; ricordando che il bambino non tende tanto a rendere riconoscibile l’oggetto, quanto l’esperienza del soggetto.

Ed ora qualche accenno ad aspetti specifici

5. IL COLORE

Immaginazione, emozione ed affettività sono gli ispiratori dell’uso del colore; l’incontro con la realtà e l’esperienza amplifica ed arricchisce tale utilizzo. Il bambino conosce il colore del cielo, e se lo disegna arancione ha nella maggior parte del caso ottimi motivi per farlo, che non appartengono alla logica fotografica cui erroneamente spesso ci riferiamo.

Uno pseudo-realismo troppo precoce può esprimere rigidità (il prato sempre verde, così come dello stesso verde le foglie dell’albero); molto più interessante rispetto al correggere, o, se

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volete, suggerirgli il colore giusto per le foglie, è far fare al bambino esperienza delle foglie in autunno, toccandole, guardandole, rotolandovicisi….

Di contro, spesso ad un certo punto il bambino percepisce il colore come una “proprietà” contingente dell’oggetto, e questo giustifica anche alcuni schematismi a cui il bambino sceglie di attenersi (il cielo è azzurro, sempre e comunque).

Se il bambino pare interessato ad esprimersi attraverso il colore, occorre però che anche del colore puro, in termini di materia e percezione, possa fare esperienza, e allora sarà importante il materiale che gli offriremo; matita o pennarello facilitano la traccia, il segno, la costruzione della forma, il pennello che scorre riempiendo una superficie ampia di colore è tutt’altra cosa, PROVARE PER CREDERE, e l’invito a provare non è demagogico, è un augurio sincero di poter esperire in prima persona l’esperienza che vogliamo permettere ai bambini di vivere.

Il monocromatismo va guardato con attenzione, mia figlia colora tutto di rosa, ma perché lei si sente “lolissssssima!!!” (rosissima), e non è una scelta univoca; se il colore diventa una prigione, occorre approfondire la lettura dello stato di possibile incrinatura del benessere del bambino.

L’assenza del colore od il limitarsi costantemente ad uno o due colori, contro i cinque mediamente usati in un disegno, può essere indice di fatica nell’apertura alla relazione interpersonale e sociale.

Allo stesso modo vanno guardate con attenzione le costanti cancellature del proprio prodotto attraverso l’uso del colore o del tratto forzato (fino magari a bucare il foglio…).

Sui colori molti autori concordano; ad esempio il nero è letto generalmente come segnale di tristezza, o depressione, o periodo cupo, ma è grave e generalizzante, oltre che improprio, arrischiarsi in associazioni ardite. A volte, seppure ciò possa sembrare banale (ma prima di dirlo invito a verificare!) il nero è scelto perché è il pennarello che lascia la traccia più netta, o perché è quello che scrive meglio, o perché la mamma scrive sui suoi fogli in nero…

Inoltre l’uso del colore è condizionato dal contesto ambientale di riferimento (es. etnia). Il discorso sul colore, così come tutto ciò che qui è solo in abbozzo, merita un ben più

articolato approfondimento, che si invita tutti a percorrere, partendo non tanto dalla lettura dei disegni infantili, ma dal proprio rapporto con il cromatismo.

6. USO DELLO SPAZIO E PROPORZIONI TRA LE FORME

La modalità di uso dello spazio del foglio che il bambino applica spesso è segno dello stile personale, e si ritrova nel tempo, a volte è legato a vissuti momentanei.

In ogni caso, un uso dello spazio ampio, arioso e armonico è indizio di una buona e ben integrata facoltà percettiva.

Ogni età poi ha parametri di osservazione diversi; se ad esempio un bimbo piccolo, nella fase dello scarabocchio, esce dal foglio, ciò può essere segno di un naturale impaccio motorio, o meglio di un non ancora compiuto coordinamento oculo-manuale; se la stessa manifestazione appare in un bambino più grande, essa può per esempio indicare un’insofferenza al senso ed all’esperienza del limite, e ad esempio una mal tolleranza dell’autorità, o in altri casi ancora può essere indice di insicurezza e bisogno di essere “condotti per mano”, quindi è molto difficile classificare; Quaglia afferma: “Nulla può essere più dannoso e controproducente di una lettura frammentaria o dei singoli elementi del disegno.”

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L’uso di uno spazio ristretto e limitato corrisponde un poco al rappresentare la figura umana, che spesso in termini proiettivi rappresenta sé, come piccolissima; potrebbe essere segnale di disistima di sé così come di disorientamento.

La preferenza delle parti superiori od inferiori del foglio, così come la sinistra e la destra, secondo gli studiosi è legata a precise condizioni emotive o di rapporto con il mondo (es. sinistra più melanconico e legato al passato e all’esistente, destra più fiducioso e proiettato in avanti), ma le variabili sono tali e tante che è difficile acquisire l’elemento da osservare in modo così puro da poterlo considerare altamente significativo una volta eliminate le variabili di contesto; ad esempio, se un bambino è mancino, alcuni di questi parametri vanno modificati.

Sul centro possiamo invece dire con un certo margine di attendibilità che è indizio di centratura del sé e dei propri sentimenti (torniamo all’esempio degli scarabocchi)

È interessante anche osservare la progressione del disegno; ad esempio è stato notato che il primo personaggio che viene disegnato (poniamo per esempio nel disegno della famiglia) è il personaggio valorizzato, cioè a cui si dà grande importanza, da notarsi anche i personaggi omessi! (ad esempio, anche se io non credo nella gelosia fraterna a tutti i costi, l’assenza di un fratellino!!)

Solitamente l’aspetto valorizzato è posto al centro della scena, e frequentemente diventa il “centro d’azione” intorno a cui si sviluppa l’ispirazione.

Anche le proporzioni hanno la loro pregnanza, se un fiore ed una casa sono alti uguali, ciò può ad esempio esprimere che entrambi sono tenuti in pari considerazione dal bambino, e non che non conosce cognitivamente la differenza di proporzione reale tra i due oggetti! L’arte bizantina da questo punto di vista insegna!

A volte invece, disegnarsi molto grandi, oltre all’evidente considerazione di sé, può viceversa esprimere un atto compensatorio.

7. LINEA

La linea contiene in sé una potente carica di espressività dinamica; molti autori nella fase dello scarabocchio, a volte anche onomatopeico, parlano di linee “buone” e di linee “cattive”, dove per linee buone si intendono quelle più morbide, tondeggianti, per linee cattive quelle aspre, spezzate, tese ed appuntite.

Da Anna Oliverio Ferraris :“Vi sono alcune semplici regole generali di interpretazione valide per i tracciati dei disegni (…): il benessere e il rilassamento allargano e arrotondano i movimenti ed i rispettivi tracciati; la vitalità si esprime in segni ricchi ed abbondanti spinti verso l’alto; il malessere restringe, comprime; l’aggressività esaspera, spezza determinando punte e svolazzi; la sensibilità affina e diversifica i movimenti, dando al tratto un piacevole chiaro-scuro. (…) In generale la forza e l’intensità del tratto sono indicativi sia dell’energia del soggetto che dello stato emotivo al momento dell’esecuzione del disegno”.

8. OMINO (es. 17)

La struttura di base dell’omino appare tra i tre ed i quattro anni. All’inizio la testa rappresenta il tutto, e ciò dipende sia da ragioni cognitive (la forma chiusa

esprime un senso compiuto), sia perché la testa è sede importante di contatto con l’esterno attraverso gli occhi, che sono il primo polo d’attrazione esterno per il neonato.

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A volte contiene anche l’ombelico e da essa si dipartono gli arti superiori che, quale altro canale privilegiato di interazione con il mondo, spesso hanno mani grandi e piene di dita, rappresentate come il sole, e come la testa stessa.

Secondo alcuni studi la testa è spesso grande perché valorizza l’identità consapevole del bambino, secondo altri perché “ci devono stare tante cose”, secondo altri ancora perché è da essa che il bambino parte, le altre parti vengono sacrificate in base allo spazio disponibile.

Successivamente, dalla testa si dipartono le braccia, che terminano con mani a “sole” (tondi con innumerevoli “raggi-dita”); la mano indica il rapporto d’incontro, anche sensoriale, con il mondo; una loro sistematica assenza, sposata ad altri indizi di ritiro, va approfondita.

Quando compaiono anche le gambe, e ciò accade in modo buffo e interessante quando ad esempio le gambe sono lunghissime (da gigante delle 7 leghe), abbiamo il cosiddetto omino “girino”, che rappresenta ciò che dell’uomo per il bambino è essenziale dire.

Il tronco non svolge secondo la percezione del bambino una funzione attiva nei confronti del vivere le proprie esperienze, e dunque viene “by-passato”, seppure il bambino sappia di averlo.

Spesso compare quando va rappresentato un particolare abbigliamento (colletto, bottoni, tasche), perché se esso va evidenziato, diventa utile rappresentare il tronco.

Ciò accade verso i 4, 4 anni e mezzo. A 5 anni il bambino-omino è in piedi (segno dell’acquisizione di un sempre più compiuto

orientamento spaziale), e appaiono le orecchie, spesso grandi per il piacere della scoperta. Compare il collo e le proporzioni diventano mediamente tali per cui l’altezza è circa quattro volte la larghezza.

La rappresentazione di profilo e del movimento appare verso la fine della fase preschematica ed utilizza sia il protendersi in avanti, che il ribaltamento, che rappresentazioni complesse. La progressione dell’orientamento laterale non è contemporanea per tutte le parti del corpo; prima si girano i piedi, poi gli arti, solo infine la testa.

Interessante tenere d’occhio eventuali ripetuti “incapsulamenti” (in macchina, in un uovo, in una cabina, che saltano la corda) dei protagonisti dei disegni; possono essere indicatori di una necessità di difesa o una tendenza all’isolamento.

Secondo le ricerche effettuate, risulta che la figura umana è il soggetto più rappresentato dai bambini, seguito da animali, case, mezzi di trasporto (automobili, aerei, barche), fiori, ma questa evidenza appartiene alla quotidianità di ogni educatore! Voi lo sapete già!

9. LA POSIZIONE DELL’ADULTO

Il desiderio comunicativo del bambino va accolto con estrema cura ed attenzione, come un dono prezioso potente e fragile al tempo stesso.

L’educatore in particolare, ma a questo andrebbero formati anche i genitori, deve essere consapevole che qualunque commento dell’adulto lascia traccia.

Quando ad esempio lo scarabocchio è ancora un gioco “tra sé e sé”, l’ingerenza dell’adulto che valorizza eccessivamente, o chiede spiegazioni, fa leva sul piacere che il bambino prova nella ricompensa in termini di gratificazione, e quindi rischia di far migrare il piacere dall’atto stesso alla gratificazione che l’adulto rispetto a questo dà; successivamente invece, nella fase dello scarabocchio significante e del disegno, spesso il bambino cerca nell’adulto un interlocutore, che però deve imparare a porsi in ascolto della lingua del bambino imparando a comprenderla e senza volerla tradurre o codificare nella propria; ad esempio, pensiamo a quanto detto sulla grammatica del

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IL DISEGNO

disegno, e su quante volte noi entriamo a sproposito dicendo “manca questo, quest’altro è troppo grande, ma non è di questo colore!…”. Nella scuola materna sono tali e tante le occasioni di apprendimento e verifica dello stesso che almeno l’area del disegno libero può essere mantenuta scevra da queste forzature!

Il bambino impara in fretta ad adeguarsi all’immagine che l’adulto gli propone, ma l’adulto spesso ha la presunzione di proporre un modello “più adeguato” magari solo perché non coglie il valore del Mistero che gli sta d’innanzi.

Notate ad esempio come spesso è diversa l’espressività contenuta nei disegni liberi o in quelli “su consegna”! Se il bambino vuole accontentare l’adulto, perderà di vista il suo desiderio espressivo.

La paura di sbagliare frena lo slancio espressivo e spinge al conformismo. Utile invece proporre incontri con materiali ed esperienze artistiche vere, cariche di umanità e stimolanti.

Rispetto al porre domande chiuse, dunque, è molto meglio se l’adulto invita il bambino a “raccontargli” il disegno, e se lo dota di materiali e strumentalità adeguate a poter esprimere la sua espressività in modo sempre più compiuto e libero (tipi di carta, tipi di materiali che colorano, tipi di materiali che permettono di rappresentare le forme, possibilità e posizioni per l’utilizzo dei materiali…).

Così, va rispettato senza continue interruzioni, il momento di “reverie” in cui il bambino si trova quando disegna con particolare impegno; sono momenti “magici” in cui il bambino è tutto assorto in un’attività di consolidamento dell’esperienza preziosissima…

Un giorno dell’inverno 1882-83, tornando dalla Certosa di Bologna, fui costretto da una pioggia dirotta a riparare sotto il portico che conduce a Meloncello….” (Quaglia).

Così Corrado Ricci, futuro storico e critico d’arte, ci esprime la pregnanza e la concretezza di un’incontro (grazie al quale avrà modo di osservare dei disegni di bimbi che faranno nascere in lui tutto un interesse) all’inizio del suo libro sull’arte infantile; se sapremo porci di fronte al bambino e alle sue creazioni con questo stupore così presente da essere identificabile in un momento preciso, così forte da farci mettere da parte i nostri preconcetti e i nostri schemi, così puro da mostrarci che nelle piccole cose sono presenti le meravigliose, il mondo del disegno infantile ci si spalancherà innanzi.

La condizione più importante per favorire l’espressività del bambino è garantire l’esistenza di un ambiente vivo, che appassioni prima di tutto me adulto, e di vivere insieme delle esperienze (quanto è che non ci cimentiamo in una pittura o in un disegno libero?)

Non si tratta dunque di “studiare” i disegni, ma di un Io e un Tu che condividono un’esperienza, cioè che, insieme, vanno incontro alla vita ricordando che, come diceva R. Guardini citando Goethe, non si cammina solo per arrivare, ma anche per vivere, mentre si cammina.

10. BIBLIOGRAFIA

La bibliografia sul tema è vastissima e ricca di sfaccettature; a volte presenta anche una “manualistica che illude una facile ed immediata interpretazione del disegno, non sempre quindi utile; si indicano dunque pochissimi titoli tra i più recenti o i più significativi; alcuni dei più stimolanti sul tema sono difficilmente reperibili perché fuori edizione.

Il testo “Solo lo stupore conosce” riguarda la ricerca scientifica, ma con un’attenzione allo sviluppo creativo del pensiero, anche se in ambito scientifico, tale per cui la si propone come una validissima

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IL DISEGNO

lettura di arricchimento personale per ogni educatore, seppure non immediatamente pertinente al tema.

Si suggerisce anche la lettura o ri-lettura de Il piccolo principe di Alexandre de Saint-Exupéry.

Scuola Materna: relazione e creatività, a c. di Rosi Rioli,Milano, Diesse, 1993

M Bersanelli, M Gargantini.Solo lo stupore conosce in L’avventura della ricerca scientifica Milano, Bur, 2003

D. Goleman Lo spirito creativo Milano, Rizzoli, 1999 V.Lowenfeld L’arte del vostro bambino Torino, La Nuova Italia, 1960 C. A.Malchiodi Capire i disegni infantili Centro Scientifico Editore, 2003 A.Oliverio Ferrarsi Il significato del disegno infantile Bollati Boringhieri, 1978 R.Quaglia Manuale del disegno infantile in Storia, sviluppo, significati Bologna, Utet,

2003 Read H. Educare con l’arte Comunità, 1969 Vigotskij L. S.Immaginazione e creatività nell’età infantile Editori Riuniti, 1973

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