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lE FontI DEl DIrItto AmmInIStrAtIVo SommArIo 1 Il sistema delle fon: introduzione. 2 La Costuzione e le altre fon di rango costuzionale. 3 Le fon primarie. 4 Le fon dell’Unione europea. 5 Le fon secondarie: profili generali. 6 I regolamen. 7 Le ordinanze. 8 Gli statu de- gli en territoriali e degli en pubblici. 9 I tes unici e i codici. 10 Le norme in- terne e le circolari. 11 La consuetudine e la prassi amministrava. 1 Il SIStEmA DEllE FontI: IntroDuzIonE Il termine «fonte» implica un’idea di origine, derivazione. Si qualificano, pertanto, fon del dirio tu gli a e/o i fa produvi di dirio (leggi, decre etc.) e i mezzi araverso i quali il dirio viene portato a conoscen- za dei ciadini. Fon del dirio italiano sono: — la costuzione (e le altre fon di rango costuzionale); — le fon europee, ossia i Traa istuvi dell’Unione europea, i regola- men, le direve e le decisioni. Si traa di a che, una volta immessi nell’ordinamento nazionale occupano una posizione di preminenza ri- speo alle altre fon del dirio; — le fon primarie, tra cui le leggi ordinarie dello Stato e gli a aven forza di legge (decre legislavi e decre legge); — le fon regionali; — le fon cd. secondarie, ossia regolamen, ordinanze e Statu; — la consuetudine. Vi sono, poi le fon che vengono recepite all’interno del sistema naziona- le in virtù dell’appartenenza dell’Italia alla comunità Internazionale. In tali casi sono necessarie specifiche procedure interne di adaamento (si pen- si, ad es., al procedimento con cui l’Italia si conforma ad un Traato inter- nazionale). Capitolo 2

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lE FontI DEl DIrItto AmmInIStrAtIVo

SommArIo 1  Il sistema delle fonti: introduzione.  2  La Costituzione e le altre fonti di rango costituzionale.  3  Le fonti primarie.  4  Le fonti dell’Unione europea.  5  Le fonti secondarie: profili generali.  6  I regolamenti.  7  Le ordinanze.  8  Gli statuti de-gli enti territoriali e degli enti pubblici.  9  I testi unici e i codici.  10  Le norme in-terne e le circolari.  11  La consuetudine e la prassi amministrativa.

1  Il SIStEmA DEllE FontI: IntroDuzIonE

Il termine «fonte» implica un’idea di origine, derivazione. Si qualificano, pertanto, fonti del diritto tutti gli atti e/o i fatti produttivi di diritto (leggi, decreti etc.) e i mezzi attraverso i quali il diritto viene portato a conoscen-za dei cittadini.

Fonti del diritto italiano sono:

— la costituzione (e le altre fonti di rango costituzionale);— le fonti europee, ossia i Trattati istitutivi dell’Unione europea, i regola-

menti, le direttive e le decisioni. Si tratta di atti che, una volta immessi nell’ordinamento nazionale occupano una posizione di preminenza ri-spetto alle altre fonti del diritto;

— le fonti primarie, tra cui le leggi ordinarie dello Stato e gli atti aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti legge);

— le fonti regionali;— le fonti cd. secondarie, ossia regolamenti, ordinanze e Statuti;— la consuetudine.

Vi sono, poi le fonti che vengono recepite all’interno del sistema naziona-le in virtù dell’appartenenza dell’Italia alla comunità Internazionale. In tali casi sono necessarie specifiche procedure interne di adattamento (si pen-si, ad es., al procedimento con cui l’Italia si conforma ad un Trattato inter-nazionale).

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2  lA coStItuzIonE E lE AltrE FontI DI rAnGo coStItuzIonAlE

La costituzione è la legge fondamentale dello Stato; essa racchiude le nor-me e i principi generali relativi all’organizzazione, al funzionamento ed ai fini dello Stato.

La Costituzione italiana è una costituzione votata, cioè adottata volontariamente e libe-ramente dal popolo attraverso un apposito organo (assemblea costituente); rigida, os-sia modificabile solo a mezzo di leggi emanate con procedimenti particolari; lunga, in quanto, oltre alle norme sull’organizzazione statale contempla anche i principi fonda-mentali dello Stato; scritta.

Rientrano poi nelle fonti di rango costituzionale:

— le leggi di revisione costituzionale, che incidono sul testo costituzionale modifican-do, sostituendo o abrogando le disposizioni in esso contenute, secondo lo speciale procedimento di cui all’art. 138 Cost.;

— le altre leggi costituzionali, ossia quelle espressamente definite tali dalla Costituzio-ne, quelle che derogano ad una disposizione costituzionale senza abrogarla e, infi-ne, ogni altra legge che il Parlamento voglia approvare con il procedimento aggra-vato di cui all’art. 138 Cost.

3  lE FontI PrImArIE

A Elencazione

Sono fonti soggette soltanto alla Costituzione e per questo definite primarie:

a) le leggi ordinarie del Parlamento: disciplinano le materie espressamen-te riservate allo Stato (art. 117 Cost.) e sono soggette alla Costituzione e ai vincoli derivanti dall’ordinamento europeo e dagli obblighi interna-zionali;

b) i decreti-legge del Governo: sono atti del potere esecutivo, i quali han-no provvisoriamente valore e forza di legge (60 giorni), a causa dell’ur-genza e della necessità che li ha determinati: tale valore e forza sono loro eventualmente conservati se il Parlamento li converte in legge (en-tro 60 giorni). Essi decadono del tutto, e l’atto è posto nel nulla, se non sono convertiti in legge dal Parlamento entro il termine prescritto;

c) i decreti legislativi del Governo: sono gli atti legislativi emanati dal Governo (nella forma del decreto, che è l’atto tipico del potere esecu-tivo) su leggi di delega del Parlamento; poiché derivano la loro effica-cia da una fonte primaria di 1° grado, si considerano fonti primarie di 2° grado;

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d) i decreti legislativi di attuazione degli Statuti delle regioni ad autono-mia speciale: si tratta di decreti del Governo, ad esso delegati dalle leg-gi costituzionali dello Stato con cui sono adottati gli Statuti delle Regio-ni speciali: per questo motivo sono inclusi tra le fonti primarie di 1° gra-do e non di 2° grado (come i decreti legislativi delegati da leggi ordina-rie del Parlamento);

e) gli Statuti delle regioni ordinarie: a seguito delle modifiche introdotte dalla L. cost. 22 novembre 1999, n. 1, si tratta di leggi regionali appro-vate con un procedimento rafforzato, soggette solo alla Costituzione;

f) le leggi regionali: sono le leggi emanate dalle Regioni, nell’esercizio del-la potestà legislativa riconosciuta loro dalla Costituzione (art. 117 Cost.) e soggette alla Costituzione e ai vincoli derivanti dall’ordinamento dell’UE e dagli obblighi internazionali;

g) le leggi delle Province di trento e bolzano: sono anch’esse leggi ordi-narie emanate dalle Province suddette, nell’esercizio dell’autonomia le-gislativa loro riconosciuta dalla legge costituzionale di adozione dello Statuto della Regione Trentino Alto-Adige.

b Principio di legalità e riserva di legge

ll principio di legalità è uno dei cardini dell’ordinamento costituzionale ita-liano.

Esso va inteso in diverse accezioni:

— gli atti dei pubblici poteri non possono contenere disposizioni in con-trasto con la legge (cd. supremazia della legge);

— gli atti dei pubblici poteri devono essere autorizzati dalla legge ( lega-lità in senso formale);

— gli atti dei pubblici poteri devono essere disciplinati compiutamente dalla legge (cd. legalità in senso sostanziale).

Il principio di legalità in senso sostanziale è espressamente statuito solo in materia penale (art. 25 Cost.) e si rivolge al legislatore, imponendogli di disciplinare in modo compiuto una determinata materia in modo da delimitare la discrezionalità dei pub-blici poteri o addirittura da annullarla (vincolando, così, il potere a quanto fissato nella legge).

Si ha riserva di legge quando una norma costituzionale riserva alla legge la disciplina di una determinata materia, escludendo il potere regolamenta-re del Governo.

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Si possono distinguere riserve:

— assolute, che escludono la possibilità di regolare certe materie con fonti di grado se-condario, riservando tale disciplina alla legge o ad atti aventi forza di legge;

— relative, in base alle quali l’intervento della legge è previsto solo per definire le ca-ratteristiche fondamentali della disciplina, lasciando spazio alle fonti secondarie di intervenire per definirla compiutamente;

— di legge costituzionale, quando la materia è affidata a leggi costituzionali (ad es. ar-ticoli 71, 116, 132, 137 co. 1). In tal caso la riserva è sempre assoluta;

— di legge formale, quando si riferiscono solo alla legge formale, approvata dal Parla-mento, e non anche agli atti equiparati o alla legge regionale (ad es. articoli 77 e 78);

— rinforzate, quando la Costituzione, nel riservare la materia alla legge, fissa ulteriori limiti che riguardano il contenuto (es. l’art. 16 Cost. permette al legislatore di porre dei limiti alla libertà di circolazione, ma solo con norme che dispongano «in genera-le per motivi di sanità o di sicurezza») o quando una materia può essere disciplina-ta solo con un procedimento specifico (ad es., i rapporti tra Stato e Chiesa);

— implicite, quando non sono espressamente previste dalla Costituzione (ad esempio l’articolo 72 Cost., nel riservare alcune leggi al procedimento ordinario, a maggior ragione vuole escludere dall’ambito delle materie da esse disciplinate interventi di fonti secondarie).

4  lE FontI DEll’unIonE EuroPEA

A Gli atti giuridici dell’uE

Con l’adesione dell’Italia all’Unione europea, la categoria delle fonti prima-rie si è ampliata, includendo anche gli atti posti in essere dalle istituzioni europee.

Il diritto europeo si distingue in:

1) originario, con riferimento ai trattati istitutivi delle Comunità europee, compresi i successivi Trattati di modifica, nonché ai principi generali del diritto (diritto non scritto);

2) derivato, comprensivo degli atti giuridici emanati dalle Istituzioni euro-pee. Questo comprende i regolamenti, le direttive, le decisioni, le rac-comandazioni e i pareri.

In particolare:

— i regolamenti sono atti normativi aventi carattere generale ed astrat-to, obbligatori e direttamente applicabili in tutti gli Stati membri;

— le direttive, invece, vincolano lo Stato membro a cui sono indirizzate solo in ordine al risultato da raggiungere, lasciando ferma l’autonomia

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dello stesso per quanto riguarda la forma e i mezzi con cui darvi attua-zione. Le direttive, quindi, non hanno efficacia diretta negli Stati mem-bri ma necessitano di un atto di recepimento.

Esistono però alcune categorie di direttive ad efficacia diretta: quelle che impongo-no obblighi di non fare; quelle confermative di norme già previste dal Trattato UE; quelle aventi un contenuto sufficientemente chiaro e preciso, tale da non richiede-re l’emanazione di ulteriori atti (direttive dettagliate o self executing);

— le decisioni pure sono obbligatorie in tutti i loro elementi; se invece designano i destinatari, sono obbligatorie solo nei confronti di questi. La decisione, dunque, può assumere due forme: la prima, rivolta agli Stati membri; la seconda, indirizzata a singoli individui, quindi a desti-natari determinati.

La prevalente dottrina ha elaborato la tesi secondo cui l’efficacia dipende dal tipo di decisione considerata: se la decisione ha come destinatari singoli individui, è obiet-tivamente efficace anche per il carattere di atto amministrativo che assume in que-sto caso; se, invece, è rivolta agli Stati membri, questi sono obbligati ad adottare prov-vedimenti di attuazione, ma, a differenza delle direttive, non sono liberi di scegliere la forma o il mezzo di esecuzione essendo già tutto previsto dalla decisione. Questo aspetto rende la decisione obiettivamente efficace e immediatamente applicabile;

— le raccomandazioni e i pareri, infine, sono atti privi di efficacia vinco-lante e precettiva: il discrimen tra queste due categorie è rintracciabile nella circostanza per cui le raccomandazioni sarebbero moniti ed esor-tazioni agli Stati membri mentre i pareri sarebbero da considerarsi come l’espressione di un’opinione su una data questione.

I rapporti tra l’ordinamento italiano e l’ordinamento dell’Unione europea sono stati im-postati inizialmente in base al principio della separazione degli ordinamenti giuridici.Tuttavia, è stata la stessa dinamica dell’integrazione europea che ha reso anacronistica questa impostazione. Mentre il processo di integrazione procedeva, fu evidente che l’or-dinamento nazionale non poteva essere considerato totalmente distinto da quello euro-peo; il potere delle istituzioni europee di emanare disposizioni vincolanti per gli Stati membri in determinati settori (le cd. norme self-executing, vale a dire i regolamenti) non-ché le sentenze della Corte di Giustizia che attribuivano una efficacia diretta anche a mol-te disposizioni contenute nei Trattati istitutivi, imponevano un ripensamento del rappor-to intercorrente tra ordinamento nazionale ed europeo.La tesi attualmente prevalente in dottrina è quella del rapporto di integrazione tra i due ordinamenti, esplicitamente affermato anche dalla più recente giurisprudenza costitu-zionale con la formula degli «ordinamenti coordinati e comunicanti».

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b l’esecuzione degli obblighi dell’uE e il ruolo delle regioni

Per lungo tempo l’ordinamento italiano ha proceduto ad adeguarsi alle di-rettive europee con singoli provvedimenti normativi emanati ad hoc.

Ricordiamo la L. 9 marzo 1989, n. 86, (cd. legge la Pergola) contenente norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea, alla quale è da ricondurre un importante strumento per rendere più snello ed efficace il recepimen-to delle direttive: la cd. legge comunitaria.La legge La Pergola è stata soppiantata dalla l. 4 febbraio 2005, n. 11 (cd. legge Butti-glione), la quale ha conservato lo strumento della legge comunitaria per garantire l’adem-pimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (fase discendente), e disciplinato il processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti dell’Unione europea (fase ascendente).

Il nostro Paese attualmente si conforma all’ordinamento europeo in base a quanto previsto nella l. 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea), che ha abrogato la L. 11/2005 ed ha introdotto due distinti provvedimenti (art. 29):

— la legge di delegazione europea, da presentare al Parlamento entro il 28 febbraio di ogni anno, riguardante solo deleghe legislative e autoriz-zazioni all’attuazione in via regolamentare;

— la legge europea, strumento solo eventuale, non essendo indicata un termine specifico per la sua presentazione al Parlamento, che riguarda le disposizioni modificative o abrogative di norme interne oggetto di procedure di infrazione o di sentenze della Corte di giustizia, quelle ne-cessarie per dare attuazione agli atti dell’Unione europea e ai Trattati internazionali conclusi dall’Unione e quelle emanate nell’ambito del po-tere sostitutivo.

In questo contesto, inoltre, anche alle regioni spetta un ruolo attivo nel procedimento che porta all’adozione degli atti dell’Unione europea e nella successiva fase di recepi-mento di tali atti, ex art. 117, comma 5, Cost. Tale partecipazione di sostanzia:

— nella cd. fase ascendente, ossia all’iter procedurale che porta alla formazione da parte delle istituzioni dell’Unione europea degli atti normativi;

— nella cd. fase discendente, cioè nel momento in cui diventa necessario dare attua-zione nel nostro Stato agli atti normativi dell’Unione europea.

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5  lE FontI SEconDArIE: ProFIlI GEnErAlI

La categoria delle fonti secondarie comprende tutti gli atti espressione del potere normativo (o autonomia normativa) della pubblica amministrazio-ne statale (Governo, Ministri, Prefetti etc.) o di altri enti pubblici (enti ter-ritoriali ed altri enti). Si tratta, quindi, di atti formalmente amministrativi, anche se sostanzialmen-te normativi: rappresentando lo strumento normativo tipico per orientare l’azio-ne della P.A., essi costituiscono le fonti specifiche del diritto amministrativo.

Le fonti secondarie si distinguono in regolamenti, ordinanze e statuti e, in quanto atti amministrativi, sono soggette alle leggi e a tutti gli atti di pari grado e forza.

Quindi esse:

— non possono derogare né contrastare con le norme costituzionali;— non possono derogare né contrastare con tutti gli atti legislativi ordinari (fonti pri-

marie): perciò si dice che non hanno forza né valore di legge, ma solo forza norma-tiva: cioè, non possono equipararsi alle leggi, ma nei limiti di esse, hanno una loro forza giuridica quali fonti di diritto;

— possono modificare le leggi ordinarie solo se una di queste abbia delegificato una materia, autorizzando atti del potere esecutivo (di solito regolamenti) a disporre norme (in quella materia) che hanno la stessa forza di quelle emanate con la legge.

6  I rEGolAmEntI

A nozione e limiti

I regolamenti sono atti formalmente amministrativi, poiché emanati da organi del potere esecutivo e, al tempo stesso, sono sostanzialmente nor-mativi in quanto contenenti norme giuridiche idonee ad innovare l’ordina-mento giuridico in merito.Il fondamento della potestà regolamentare è riposto nella legge: gli organi amministrativi possono emanare regolamenti solo quando una legge attri-buisca loro tale potere. Principale norma attributiva del potere regolamen-tare è costituita dall’art. 17 l. 400/1988, che rappresenta una sorta di clau-sola generale.

I regolamenti non possono:

a) derogare o contrastare con la Costituzione, né con i principi in essa contenuti;

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b) derogare o contrastare con le leggi ordinarie, salvo che sia una legge ad attribuire loro il potere, in un determinato settore e per un determinato caso, di innovare an-che nell’ordine legislativo («delegificando» la materia);

c) mai regolare le materie riservate dalla Costituzione alla legge (ordinaria o costitu-zionale);

d) derogare al principio di irretroattività della legge (la legge, invece, può derogarvi, in quanto tale principio è sancito da una norma, l’art. 11 disp. prel. al c.c., contenuta in una legge ordinaria);

e) contenere sanzioni penali, per il principio della riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.);

f) i regolamenti emanati da autorità inferiori non possono mai contrastare con i rego-lamenti emanati da autorità gerarchicamente superiori;

g) regolare istituti fondamentali dell’ordinamento (C.d.S., atti norm., n. 72/1998).

b classificazione

A seconda dei soggetti pubblici che li emanano, i regolamenti si distinguo-no in:

— regolamenti statali, se vengono emanati da organi dello Stato. Questi, a loro volta si distinguono in:

— governativi, se deliberati dal Governo ai sensi della L. 400/1988;— ministeriali, se emanati da singoli componenti del Governo o dal suo

Presidente;— non governativi, se emanati da autorità amministrative inferiori (Pre-

fetto, comandante di porto etc.). Tali regolamenti, a differenza di quel-li governativi, hanno portata settoriale e la loro efficacia è limitata al territorio nella cui sfera ha competenza l’autorità che li ha emanati;

— regolamenti non statali, se vengono emanati dagli enti territoriali, quali Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane. Possono anche essere emanati da altri enti od organi, quali Ordini e Collegi professionali, Came-re di commercio, industria, artigianato e agricoltura. La potestà regola-mentare è attribuita anche alle Autorità amministrative indipendenti, che sono enti od organi pubblici dotati di sostanziale indipendenza dal Gover-no e caratterizzati da autonomia organizzativa, finanziaria e contabile.

A seconda che siano destinati ad operare nell’ordinamento generale o in un ambito ristretto, i regolamenti si distinguono in:

— regolamenti esterni: sono espressione del potere di supremazia di cui l’esecutivo dispone verso tutti i cittadini e chiunque altro si trovi nel ter-

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ritorio dello Stato. Sono fonti del diritto e la loro violazione costituisce violazione di legge;

— regolamenti interni: regolano l’organizzazione interna di un organo o di un ente, obbligando solo coloro che fanno parte dell’ufficio, organo od ente. Sono espressioni del potere di autorganizzazione dell’ente o dell’or-gano stesso, perciò non sono fonti del diritto e la loro violazione non costi-tuisce vizio dell’atto emanato dall’organo o ente, salvo casi eccezionali.

A seconda del contenuto, i regolamenti si distinguono in (art. 17 L. 400/1988):

— regolamenti di esecuzione (art. 17, comma 1, lett. a), destinati a speci-ficare una disciplina di rango legislativo con norme di dettaglio. Sono gli unici ammessi ad operare nell’ambito di una riserva assoluta di legge;

— regolamenti di attuazione e di integrazione (art. 17, comma 1, lett. b), volti a completare la trama di principi fissati da leggi e decreti legislati-vi. Tali regolamenti non possono, tuttavia, regolare materie riservate alla competenza regionale (per le quali il compito di specificare la legislazio-ne statale di principio spetta, ex art. 117 Cost., alle leggi regionali);

— regolamenti indipendenti: la lett. c), comma 1, dell’art. 17 della L. 400/1988 autorizza il Governo a disciplinare materie in cui l’intervento di norme primarie non si sia ancora configurato, purché non si tratti di materie soggette a riserva assoluta o relativa di legge;

— regolamenti di organizzazione (art. 17, comma 1, lett. d), che discipli-nano l’organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministra-zioni secondo disposizioni dettate da legge, cui l’art. 97 Cost. riserva la disciplina di queste materie. Tale tipologia di regolamenti non gode di autonomia, in quanto può avere natura esecutiva o attuativo-integrati-va a seconda che la disciplina di rango legislativo abbia maggiore o mi-nore estensione;

— regolamenti delegati o autorizzati, detti anche regolamenti di delegi-ficazione (art. 17, comma 2), che sono emanati in base ad apposite leg-gi che autorizzano i regolamenti ad introdurre una determinata disci-plina di una specifica materia che andrà a sostituire quella di rango le-gislativo che, pertanto, si ha per abrogata dal momento dell’entrata in vigore di quella regolamentare. Tale procedimento di delegificazione non è ammesso nelle materie coperte da riserva assoluta di legge;

— regolamenti di riordino (art. 17, comma 4ter, introdotto dall’art. 5 L. 69/2009), con i quali si provvede al periodico riordino delle disposizio-

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ni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state og-getto di abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto nor-mativo o sono comunque obsolete. Ciò ai fini di una migliore conoscen-za delle fonti normative secondarie.

I regolamenti sono impugnabili?I regolamenti sono atti formalmente amministrativi e come tali possono essere impugnati innanzi al T.A.R.Ciò che, in concreto, ostacola la loro impugnabilità è il fatto che non ledono in via immediata la sfera giuridica di un soggetto e, quindi, non sussiste (di solito) un concreto interesse a ricorrere da parte del privato.Pertanto, colui che ha interesse alla eliminazione di un regolamento o di una norma in esso contenuta, non può impugnare di per sé il regolamento, ma l’atto emanato dalla P.A. in esecuzione del regolamento, allorché tale atto venga a ledere diretta-mente la sua sfera giuridica. In occasione di tale impugnazione, potrà impugnare congiuntamente anche il regolamento di cui l’atto lesivo è applicazione (cd. doppia impugnativa).In quei casi, invece, in cui il regolamento disponga anche in concreto e sia pertanto immediatamente lesivo di una posizione soggettiva, di un amministrato è ammissibile l’impugnativa diretta ed immediata del regolamento stesso.

7  lE orDInAnzE

Per ordinanze si intendono tutti quegli atti che creano obblighi o divieti ed in sostanza, quindi, impongono ordini.Le ordinanze, per essere fonti del diritto, devono avere carattere norma-tivo, e cioè creare delle statuizioni precettive generali ed astratte.Esse non possono contrastare con la Costituzione e le leggi ordinarie e non possono mai contenere norme penali.

La dottrina prospetta la seguente classificazione:

1) ordinanze previste dalla legge per casi ordinari (ad es.: i provvedimen-ti prezzo del Comitato ministeriale per la programmazione economica);

2) ordinanze previste dalla legge per casi eccezionali di particolare gravi-tà, in cui sarebbe impossibile l’utilizzazione e l’osservanza delle norme ordinarie (bandi militari, ordinanze del Prefetto, ordinanze eccezionali in caso di calamità pubbliche e catastrofi nazionali);

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3) ordinanze di necessità o libere emanate per far fronte a situazioni di urgente necessità. La legge attribuisce solo il potere, ma non prevede i casi concreti in cui esercitarlo né pone limiti precisi (salvo quelli risul-tanti dalle leggi costituzionali e dai principi generali dell’ordinamento) al contenuto di tali ordinanze.

Le ordinanze di necessità presentano i seguenti caratteri:

— sono atipiche, nel senso che per la loro emanazione la legge, che ne attribuisce il potere, fissa solo i presupposti (necessità e urgenza), mentre lascia all’autori-tà amministrativa un’ampia sfera di discrezionalità circa il loro contenuto;

— presuppongono il pericolo di un danno grave e l’indifferibilità dell’intervento urgente che costituisce presupposto di legittimità dell’ordinanza;

— sono straordinarie, nel senso che il ricorso ad esse è possibile solo ove la situa-zione di pericolo non possa essere fronteggiata con atti tipici;

— la loro efficacia nel tempo è limitata, in quanto esse possono avere efficacia solo fin quando perdura la necessità che ne ha legittimato l’emanazione;

— trovano fondamento esclusivamente nella legge;— non possono, in nessun caso, derogare a norme costituzionali o ai principi ge-

nerali dell’ordinamento e disciplinare materie coperte da riserva assoluta di leg-ge;

— debbono essere adeguatamente motivate (Corte cost., 14-4-1995, n. 127) e van-no pubblicizzate con mezzi idonei laddove siano destinate ad avere efficacia nei confronti della generalità dei soggetti o di più soggetti determinati.

Fra i soggetti legittimati ad emettere ordinanze di necessità e di urgenza vi sono, ad es., i Sindaci, rispettivamente in veste di rappresentanti della comunità locale (art. 50 T.U. enti locali) e di ufficiali di Governo (art. 54 T.U. enti locali).I presupposti imprescindibili per l’esercizio di tale potere sono: la contingibilità; l’impreve-dibilità; l’urgenza; la temporaneità. Di conseguenza non può essere adottata un’ordinanza contingibile ed urgente per fronteggiare situazioni prevedibili che, invece, potrebbero es-sere fronteggiate e disciplinate con i mezzi ordinari (t.A.r. lazio, roma, 9-5-2017, n. 4681).La mancanza di tali presupposti, come pure l’assenza di elementi istruttori e di motiva-zione in grado di rappresentare un’effettiva situazione di «grave pericolo» che minac-cia l’incolumità dei cittadini, rendono l’ordinanza contingibile e urgente illegittima (t.A.r. Sardegna, sez. I, 4-5-2018, n. 406; t.A.r. campania napoli, sez. V, 28-6-2018, n. 4303).

8  GlI StAtutI DEGlI EntI tErrItorIAlI E DEGlI EntI PubblIcI

Lo Statuto è un atto normativo che in genere disciplina l’organizzazione di un ente e le linee fondamentali della sua attività. È, quindi, espressione di una potestà organizzatoria a carattere normativo, che può essere attribuita o allo stesso ente sulla cui organizzazione si sta-

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tuisce (in questo caso si parla di autonomia statutaria), oppure ad un or-gano o ente diverso (cd. etero-Statuti).

In particolare si distingue tra:

— Statuti regionali. Gli Statuti delle Regioni ordinarie, ai sensi dell’art. 123 Cost., sono leggi regionali rinforzate, cioè approvate con un procedi-mento rafforzato (due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi ed eventuale sottoposizione a referendum po-polare), non soggette ad alcun visto. Gli Statuti delle Regioni speciali hanno, invece, la forma della legge costituzionale, adottata dal Parla-mento con il procedimento di cui all’art. 138 Cost.;

— Statuti degli enti locali. L’art. 6 del D.Lgs. 267/2000 (Testo Unico degli enti locali) ha riconosciuto espressamente a Province e Comuni la po-testà di adottare un proprio Statuto. Tale riconoscimento, in perfetta armonia con i principi sanciti dalla Costituzione in tema di autonomie locali ex artt. 5 e 128, risulta conforme all’art. 114, che delinea gli enti locali quali enti autonomi «con propri statuti, poteri e funzioni secon-do i principi fissati dalla Costituzione»;

— Statuti degli altri enti pubblici. Hanno, infine, potestà statutaria molti enti pubblici. Di regola, gli Statuti di tali enti — che possono avere carat-tere di norme interne — sono adottati dagli enti stessi ed approvati da un ente superiore (Stato o Regione): tale approvazione ha la funzione di atto di controllo e condiziona l’efficacia dello Statuto stesso.

Per quel che riguarda l’impugnazione degli Statuti si applica, trattandosi di fonti formal-mente amministrative e sostanzialmente normative, il regime della doppia impugnati-va (dello Statuto e dell’atto esecutivo).L’atto amministrativo violativo della previsione statutaria, attesa la forza normativa di quest’ultima, andrà considerato viziato per violazione di legge.

9  I tEStI unIcI E I coDIcI

I testi unici sono gli atti che raccolgono e coordinano disposizioni origi-nariamente comprese in atti diversi, per semplificare il quadro norma-tivo.

È possibile distinguere fra testi unici:

— normativi (innovativi, delegati o di coordinamento), se modificano o abrogano le disposizioni legislative esistenti;

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Page 13: lE FontI DEl DIrItto AmmInIStrAtIVo - simone.it · Le direttive, quindi, non hanno efficacia diretta negli Stati mem- bri ma necessitano di un atto di recepimento. Esistono però

— compilativi (non innovativi o di mera compilazione), se si limitano a rac-cogliere in un unico atto le norme già esistenti, lasciando immutata la legislazione vigente.

Esistono, poi, i testi unici misti, aventi cioè ad oggetto non solo il coordinamento di di-sposizioni di fonte primaria (potestà legislativa delegata) ma anche la raccolta di dispo-sizioni di rango secondario (potestà regolamentare delegificante).

10  lE normE IntErnE E lE cIrcolArI

Tutte le pubbliche amministrazioni emanano norme relative al funzionamento dei loro uffici, o relative alle modalità di svolgimento della loro attività. Queste norme, le quali hanno come destinatari soltanto coloro che fanno parte di una determinata amministrazione, sono qualificate dalla dottrina norme interne.Le circolari amministrative rappresentano la categoria più importante e controversa di norme cd. interne.La circolare è un atto non avente carattere normativo, mediante il quale l’amministrazione fornisce indicazioni in via generale e astratta in ordine alle modalità con cui dovranno comportarsi in futuro i propri dipendenti ed i propri uffici (CASETTA). In sostanza, essa rappresenta un mezzo di comunicazione o notificazione di un atto amministrativo: ecco perchè, in realtà, sarebbe più corretto parla-re di norme interne, ordini, direttive notificate mediante circolare.In quanto tali, le circolari non vincolano erga omnes, ovvero non costitui-scono fonte del diritto ma mera fonte «direttiva» per gli uffici dipendenti dalla pubblica amministrazione emanante. È utile, comunque, ricordare che, stante il carattere «conoscitivo» delle cir-colari e della funzione che esse assolvono, non è consentita la loro impu-gnazione — salvo rari e documentati casi — in sede giurisdizionale; detta impugnazione può infatti essere proposta nei confronti del provvedimen-to cui esse si riferiscono.

In genere si distingue tra i seguenti tipi di circolare:

1) organizzativa, contenente disposizioni sull’organizzazione degli uffici;2) interpretativa, recante l’interpretazione di leggi e regolamenti al fine di assicurar-

ne l’uniforme interpretazione nell’ambito dell’apparato amministrativo;3) regolamento o normativa, recante precetti (norme di azione) vincolanti per le azio-

ni successive dell’amministrazione. Si tratta di norme interne, come tali non vinco-lanti all’esterno e quindi prive di efficacia lesiva all’esterno. In ogni caso, si segnala

Le fonti del diritto amministrativo 23

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che parte della dottrina e della giurisprudenza hanno riconosciuto la possibilità di attribuire a tale tipologia di circolari un «valore normativo esterno»;

5) informativa, tesa a informare su determinati atti o problemi, come la situazione nor-mativa o l’orientamento della giurisprudenza, e, quindi, a fornire notizie utili per l’esercizio dell’attività amministrativa.

11  lA conSuEtuDInE E lA PrASSI AmmInIStrAtIVA

La consuetudine è la tipica fonte del diritto non scritta: essa consiste nella ripetizione di un comportamento da parte di una generalità di persone, con la convinzione della giuridica necessità di esso.

Essa consta di due elementi essenziali:

— un elemento oggettivo: il ripetersi di un comportamento costante ed uniforme per un certo periodo di tempo (cd. diuturnitas o usus);

— un elemento soggettivo: la cd. opinio iuris ac necessitatis, cioè la convinzione della giuridica necessità del comportamento. Sulla necessità di questo secondo requisito non tutta la dottrina è concorde: molti autori, infatti, ritengono che il semplice usus sia condizione necessaria e sufficiente per il sorgere di una consuetudine.

La prassi amministrativa si concreta, invece, in un comportamento costan-temente tenuto da un’amministrazione nell’esercizio di un potere, ma in difetto della convinzione della sua obbligatorietà.

Essa non costituisce fonte del diritto e la sua inosservanza non configura una violazione di legge, ma può essere sintomo, se non sorretta da adeguata motivazione, di eccesso di potere (CASETTA).

GlossarioConsuetudine: in base al rapporto con le norme di diritto «scritto», si distinguono tre tipi di consuetudine:a) la consuetudine praeter legem, che riguarda materie non disciplinate dalla legge: questo tipo

di consuetudine è senz’altro ammessa dall’ordinamento (lo si deduce a contrario dall’ar t. 8 delle disp. prel. al codice civile);

b) la consuetudine secundum legem, che ha efficacia solo se espressamente richiamata dalla legge; è prevista dall’ar t. 8 disp. prel. cod. civ., secondo cui «nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati»;

c) la consuetudine contra legem, che importa comportamenti contrari alle norme di legge. Essa è inammissibile, perché in base all’ar t. 15 disp. prel. cod. civ. le leggi possono essere abro-gate solo da altre leggi posteriori, quindi non può un uso porre nel nulla la legge.

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