Le emozioni sono passi di danza - Marianella Sclavi

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di Wilma Massucco per raccontare i movimenti “lenti e profondi” che non fanno rumore un altro modo Le emozioni sono passi di danza intervista a Marianella Sclavi esperta di Arte di ascoltare e gestione creativa dei conflitti Marianella Sclavi ha sessantatré anni e da sempre è incuriosita da tutto ciò che non conosce. Iscritta alla facoltà di Sociologia a Trento, scopre ben presto che, per quan- to interessante, la sociologia non parla né di rivoluzioni né di come cambiare la società, e Marianella è interessata soprat- tutto a questo: ci sono cose marginali che cambiano il mondo, e il messaggio più interessante e più vero può nascere dagli ultimi. Per questo motivo, pur essendo di estrazione borghese, inizia a dedicarsi alle lotte operaie e nel 1972 scrive il suo primo libro, Lotte operaie alla Pirelli-Bicocca di Milano e all’OM Fiat di Brescia. Nel frattempo si sposa, ha due figli, parte- cipa al movimento studentesco del ’68, alla vita politica e alle manifestazioni sindacali. Di questo periodo ricorda in modo parti- colare l’attentato a Piazza della Loggia, a Brescia: era il 28 maggio 1974 quando una bomba viene fatta esplodere in un cestino portarifiuti, proprio durante quella manifestazione della CGIL a cui Marianella non partecipa perché la sera prima un improvviso malore della madre la costringe a tornare a casa. In quell’attentato muoio- no, tra gli altri, tre dei suoi più cari amici. Come è avvenuto il passaggio dalle lotte operaie e dal movimento studen- tesco del ’68 alla gestione dei conflitti? Movimento studentesco, lotte operaie, pic- chetti davanti alle fabbriche… alla fine ho concluso che la retorica della sinistra era molto astratta, si accontentava di slogan, mentre io avevo un interesse più pratico. Il movimento della sinistra non mi convinceva fino in fondo: qual era davvero la differenza tra una fabbrica capitalista e una fabbrica socialista? Certo, i ritmi di lavoro erano meno estenuanti, ma dal punto di vista della libertà di scegliere... Non mi sembrava molto strano che Majakovski, per esempio, sia rimasto affascinato da New York e ho meditato molto sul suo suicidio. Il socialismo reale e in generale i movimen- ti rivoluzionari, pieni di buone intenzioni, di fronte alla difficoltà di costruire una linea comune e terreni condivisi fra molti inte- ressi e punti di vista diversi finiscono con l’affidarsi a una dinamica paranoica, del tipo «chi non è con me è contro di me, questo è vero e questo è falso, solo noi abbiamo la risposta»: questa è la fine del pensiero, perché non si è più disposti a ragionare sulla complessità. Lo slogan che avevo coniato allora e al quale ancora credo era: «Abbiamo fal- lito per mancanza di umorismo». Con l’umorismo si possono tenere insieme gli opposti, con un senso di leggerezza e di gioco; si riescono a vedere le tante facce di una situazione complessa; si mantiene la capacità di ridere di se stessi e degli altri; si riconoscono i propri limiti senza sentirsi in dovere di essere un leader. Ero molto convinta dell’importanza del- l’umorismo a livello sociale, ma a quel tempo in Italia nessuno mi dava retta. E quindi, siccome l’Italia non era ancora pronta a recepire questo messaggio, ho deciso di trasferirmi negli USA, dove già stavano studiando l’argomento. Mio marito ha capito che il mio bisogno di trasferirmi a New York non era una fuga ma nasceva da una motivazione personale profonda, esistenziale, e per questo è stato disposto a lasciare tutto, incluso il suo lavoro, per sostenermi nella scelta. Era il 1984 quando io e la mia famiglia ci siamo trasferiti a New York, dove siamo rimasti fino al 1991. 62 BUDDISMO e SOCIETà numero 124

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"Di solito si prende molto sul serio quello che si prova, e si assume che una certa emozione definisca la nostra identità. In realtà io non sono quell’emozione, io sono quella persona che mette in atto la danza di quell’emozione, ma posso anche cambiare quella danza ....."Intervista di Wilma MassuccoPubblicata su Buddismo & Società No. 124: http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/InternaTesto.php?A=1672&R=1&C=124&K=%2B%28%2Bwilma%20%2Bmassucco%29%20&K1=Chi è Marianella Sclavi: http://www.eugad.eu/wiki/index.php?title=Marianella_Sclavi

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di Wilma Massucco

per raccontare i movimenti “lenti e profondi” che non fanno rumore ma continuano i l lavoro costruttivo della nonv iolenza e della pace un altro modo

Le emozionisono passi di danza

intervista a Marianella Sclaviesperta di Arte di ascoltare e gestione creativa dei conflitti

Marianella Sclavi ha sessantatré anni e da sempre è incuriosita da tutto ciò che non conosce. Iscritta alla facoltà di Sociologia a Trento, scopre ben presto che, per quan-to interessante, la sociologia non parla né di rivoluzioni né di come cambiare la società, e Marianella è interessata soprat-tutto a questo: ci sono cose marginali che cambiano il mondo, e il messaggio più interessante e più vero può nascere dagli ultimi. Per questo motivo, pur essendo di estrazione borghese, inizia a dedicarsi alle lotte operaie e nel 1972 scrive il suo primo libro, Lotte operaie alla Pirelli-Bicocca di Milano e all’OM Fiat di Brescia. Nel frattempo si sposa, ha due figli, parte-cipa al movimento studentesco del ’68, alla vita politica e alle manifestazioni sindacali. Di questo periodo ricorda in modo parti-colare l’attentato a Piazza della Loggia, a Brescia: era il 28 maggio 1974 quando una bomba viene fatta esplodere in un cestino portarifiuti, proprio durante quella manifestazione della CGIL a cui Marianella non partecipa perché la sera prima un improvviso malore della madre la costringe a tornare a casa. In quell’attentato muoio-no, tra gli altri, tre dei suoi più cari amici.

Come è avvenuto il passaggio dalle lotte operaie e dal movimento studen-tesco del ’68 alla gestione dei conflitti?Movimento studentesco, lotte operaie, pic-chetti davanti alle fabbriche… alla fine ho concluso che la retorica della sinistra era molto astratta, si accontentava di slogan, mentre io avevo un interesse più pratico. Il movimento della sinistra non mi convinceva fino in fondo: qual era davvero la differenza tra una fabbrica capitalista e una fabbrica socialista? Certo, i ritmi di lavoro erano

meno estenuanti, ma dal punto di vista della libertà di scegliere... Non mi sembrava molto strano che Majakovski, per esempio, sia rimasto affascinato da New York e ho meditato molto sul suo suicidio. Il socialismo reale e in generale i movimen-ti rivoluzionari, pieni di buone intenzioni, di fronte alla difficoltà di costruire una linea comune e terreni condivisi fra molti inte-ressi e punti di vista diversi finiscono con l’affidarsi a una dinamica paranoica, del tipo «chi non è con me è contro di me, questo è vero e questo è falso, solo noi abbiamo la risposta»: questa è la fine del pensiero, perché non si è più disposti a ragionare sulla complessità.Lo slogan che avevo coniato allora e al quale ancora credo era: «Abbiamo fal-lito per mancanza di umorismo». Con l’umorismo si possono tenere insieme gli opposti, con un senso di leggerezza e di gioco; si riescono a vedere le tante facce di una situazione complessa; si mantiene la capacità di ridere di se stessi e degli altri; si riconoscono i propri limiti senza sentirsi in dovere di essere un leader.Ero molto convinta dell’importanza del-l’umorismo a livello sociale, ma a quel tempo in Italia nessuno mi dava retta. E quindi, siccome l’Italia non era ancora pronta a recepire questo messaggio, ho deciso di trasferirmi negli USA, dove già stavano studiando l’argomento. Mio marito ha capito che il mio bisogno di trasferirmi a New York non era una fuga ma nasceva da una motivazione personale profonda, esistenziale, e per questo è stato disposto a lasciare tutto, incluso il suo lavoro, per sostenermi nella scelta. Era il 1984 quando io e la mia famiglia ci siamo trasferiti a New York, dove siamo rimasti fino al 1991.

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per raccontare i movimenti “lenti e profondi” che non fanno rumore ma continuano i l lavoro costruttivo della nonv iolenza e della pace

In quegli anni scrissi A una spanna da terra - Una giornata di scuola negli Stati Uniti e in Italia e i fondamenti di una metodologia umoristica, un libro incen-trato sul confronto tra la metodologia di studio in una scuola americana e quella in una scuola italiana. Inviai questo libro alla casa editrice Il Mulino, di Bologna, dove fu esaminato da dieci sociologi italiani che non esitarono a bocciarlo: uno di loro mi telefonò per chiedere se ero disposta a togliere la parte sull’umorismo. Poi è stato pubblicato da Feltrinelli (1989), e da allora il libro è diventato un testo di riferimento di numerosi insegnanti e presidi e questo mi fa un enorme piacere.

In cosa consiste la metodologia umo-ristica da lei sviluppata per la gestio-ne dei conflitti?Tutti noi viviamo in mondi possibili o cor-nici all’interno delle quali diamo alcune premesse per scontate, senza esserne consapevoli. Poiché spesso le premesse implicite di una persona sono diverse da quelle di un’altra, ecco che quando interagiamo non ci incontriamo, o peggio ancora ci scontriamo. Se al contrario ci lasciamo spiazzare dall’altro e ci permet-tiamo di stupirci quello è il momento della verità, è il momento in cui possono emer-gere le nostre premesse implicite, e noi possiamo prenderne consapevolezza.In questo sta il valore dell’umorismo: la battuta umoristica cambia il senso di tutto quello che hai compreso fino a quel momento; tu pensavi che ci fosse solo un modo di guardare quella situazione, in realtà ce n’erano due. Ed erano veri entrambi i modi di guardare.Per rendersi disponibili allo “spiazzamento”,

e per sviluppare l’approccio umoristico, occorre la capacità di ascoltare e di osser-vare, occorre l’ascolto attivo: si tratta di un modo diverso di connettersi al mondo che possiamo imparare (quando non ce l’ab-biamo innato), e che ci permette di uscire dalla nostra cornice, di rompere lo schema, di cambiare il punto di vista all’interno di un contesto, di cambiare quel contesto.

Si parla tanto di empatia, lei invece supporta anche l’exotopia: può spie-garci la differenza?L’empatia ha a che fare con la capacità di mettersi nei panni degli altri, mentre l’exo-topia ha a che fare con la capacità di rico-noscersi diversi dagli altri. Con l’exotopia non mi limito a vedere e a sentire quello che mi aspetto di vedere e di sentire. Osservo l’altro permettendogli di essere diverso da me. Accetto di essere smenti-to, spiazzato. È una scelta esistenziale, è un cammino in altri mondi per conoscere se stessi. Questo principio vale anche nei processi interculturali: è solo agli occhi di un’altra cultura che la nostra cultura si svela in modo completo e profondo.

Come descriverebbe le emozioni?Io definisco le emozioni come “passi di danza”. Mi spiego. Se uno mi dà intenzionalmente un pugno, si configura uno scenario del tipo “aggres-sore-vittima”. Se rispondo con un altro pugno, collaboro con la danza proposta dall’altro. Se non reagisco e faccio la vittima collaboro comunque a quella danza, cioè si crea comunque la configurazione “vin-citore-vinto” in cui l’altro ha vinto. L’unico vero modo per non collaborare è quello di proporre una danza diversa, e indurre

Marianella Pirzio Biroli Sclavi insegna Etnografia Urbana alla I Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Svolge corsi di “Ascolto del territorio” (metodologie di progettazione inclusiva o partecipata) a Ingegneria Ambientale dell’Università di Trento, alla Trento School of Management, al master di Social Planning del Politecnico di Milano e in vari corsi di specializzazione sulla Cooperazione Internazionale. È consulente in programmi di risanamento dei quartieri in crisi, in programmi di progettazione degli spazi pubblici con gli abitanti, con incarichi dei comuni di Torino (1998-2002), Bolzano (2004), Bologna (2005). Ha scritto, tra gli altri: La Signora va nel Bronx (1994 e 2000, Bruno Mondadori, maggio 2006); A una spanna da terra. Una giornata di scuola negli Stati Uniti e in Italia e i fondamenti di una metodologia umo-ristica (1989, Bruno Mondadori, Milano, 2005); Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte (2000, Bruno Mondadori, Milano, 2003); Avventure urbane. Progettare la città con gli abitanti (Eleuthera ed, Milano 2002, M.Sclavi et al, con postfazione di Giancarlo De Carlo).

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l’altro a cambiare danza. Le tecniche della nonviolenza si basano proprio su questo principio: contrappongo alla forza della violenza fisica la forza morale, cioè sposto la danza dal piano fisico a quello morale.Questo principio vale anche per le emo-zioni in generale. L’invidia, per esempio, non è l’emozione provata da una persona individualmente, ma è il risultato della collaborazione a una danza in cui c’è una persona che si dà delle arie e ce n’è un’al-tra che si sente sminuita. Se chi si dà delle arie cambia modo di essere e assume ad esempio un atteggiamento di modestia, l’altro – che prova invidia – si sente spiaz-zato, perché non c’è più la collaborazione alla danza “superiore-inferiore”, e di rifles-so sarà indotto a non provare più invidia. Di solito si prende molto sul serio quello che si prova, e si assume che una certa emozione definisca la nostra identità. In realtà io non sono quell’emozione, io sono quella persona che mette in atto la danza di quell’emozione, ma posso anche cambiare quella danza. Quando si può dire di aver fatto un’esperienza?L’esperienza non è relativa a ciò che accade, ma a come io osservo e ascolto ciò che accade.Faccio un’esperienza quando imparo qual-cosa. Ma per imparare mi devo esporre, devo vincere la paura di essere ferito.

Per lei cosa significa saper dialogare?Per me sa dialogare chi ama lo spiaz-zamento reciproco, chi ha il gusto della scoperta e riesce a scoprire se stesso e l’altro in modo diverso da come si aspet-tava. Il che richiede anche creatività.

Si possono applicare le logiche del-l’ascolto attivo anche in un processo che interessi la convivenza tra citta-dini come quello della riqualificazio-ne urbana?Per mettere in pratica l’ascolto attivo occorre assumere che l’altro sia intelligen-te e che quello che dice abbia un senso: questo è un principio che può essere applicato anche in un contesto urbano. A Modena, per esempio, ho seguito un’attività di Progettazione Partecipata (che si è conclusa proprio in questi giorni)

applicata all’area delle Ex Fonderie, una fabbrica dismessa in centro città con un alto valore storico e sociale per la citta-dinanza. In un primo momento l’ammini-strazione comunale voleva abbattere le Ex Fonderie per costruire appartamenti e uffici ex novo, ma poiché la cittadinanza ha manifestato un forte desiderio della salvaguardia del valore storico di questo centro, l’amministrazione comunale mi ha contattato per aiutarla a gestire la situa-zione. Da lì ha preso piede un progetto di ampio respiro, realizzato attraverso la tecnica dell’Open Space Technology, e di quello che chiamo “Confronto Creativo” (traduzione di Consensus Building).Si tratta di un processo partecipato, in col-laborazione con gruppi variegati di cittadi-ni, che non significa: decido un progetto, e poi chiedo agli altri cosa ne pensano. Significa: decido un progetto attraverso un processo di apprendimento comune e reciproco. Per fare questo occorre creare le condizioni e gli spazi perché gli individui, coinvolti in prima persona nella risoluzione di un conflitto, possano interagire senten-dosi a proprio agio, senza timore di perde-re la faccia, e al contrario stimolati a inter-venire e a essere notati come protagonisti individuali. Non è un modo solo soddisfa-cente, ma stupefacente, nel senso che abbiamo dimostrato che le persone, se messe nella condizione giusta, possono impegnarsi collettivamente e creativamen-te in progetti complessi.

Secondo lei ciascuno di noi ha una missione da compiere?A me in passato hanno dato spesso della presuntuosa, mi rendo conto che il mio atteggiamento di intransigente indipen-denza può dare fastidio, ma a riguardo sono convinta che se senti qualcosa e vuoi portare avanti quello che senti devi crederci tu in prima persona e poi andare fino in fondo. Sono convinta che ciascu-no di noi ha delle potenzialità e ha anche il dovere di manifestare e realizzare quelle potenzialità. Se non le metti a frutto, non è che semplicemente non ti sei realiz-zato; è che hai mancato al tuo dovere come essere umano.

È religiosa?Non so... Agnostica?

un altro modo

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