Le Cronache di un Camposcuola - Allegati · UN CAPELLO BIONDO O UNO STIVALE UN ANELLO FINTO OPPURE...

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Le Cronache di un Camposcuola ALLEGATI Allegato A - ClueNarnia 1

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Le Cronache di un Camposcuola

ALLEGATI

Allegato A - ClueNarnia

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Allegato B - Grande Caccia al Tesoro di Narnia

QUESTI OGGETTI DOVETE PORTARE SE LA CACCIA AL TESORO VOLETE INIZIARE:

·QUALCOSA CHE LUCCICA

·QUALCOSA DI LISCIO

·QUALCOSA DI RUVIDO

·QUALCOSA DI TRASPARENTE

·QUALCOSA DI TONDO

·QUALCOSA DI LIQUIDO

·QUALCOSA CHE PROFUMA

·QUALCOSA CHE PUZZA

·QUALCOSA CHE SCRIVE

·QUALCOSA DI VERDE

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Ci sono delle rane, speciali, che ogni giorno raddoppiano il proprio volume.

Una di esse, buttata in un pozzo appena nata, in 20 giorni ha riempito completamente il pozzo. Dopo quanti giorni il pozzo sarebbe stato pieno se le rane appena nate buttate fossero state due ?

RISPOSTA__19___________________________________________

!

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DI NUOVO A GIRO VI VOGLIAMO MANDARE

UNA GRANDE FOGLIA DOVETE TROVARE TROVATE UNA GHIANDA O UN FIORE ROSSO

UNA FOGLIA DI QUERCIA O UN PEZZO D'UN OSSO. TROVATE UNA CHIOCCIOLA O UN ALTRO ANIMALE

UN CAPELLO BIONDO O UNO STIVALE UN ANELLO FINTO OPPURE UNA SPIGA

UN BISCOTTO DOLCE OPPURE UNA RIGA UN SASSO ROTONDO OPPURE UN CHIODO

UNA CARAMELLA O UN UOVO SODO UN CD DI MUSICA OPPURE GLI OCCHIALI UN PEZZO DI CACIO OPPURE GIORNALI

CINQUE GLI OGGETTI CHE SONO SUFFICIENTI PER IL TESORO FUORI DAI DENTI.

Ultima prova ti aspetta per raggiungere la meta Indovina, indovinello, rispondi in modo snello.

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Fa rima con fortuna Una è argentea, e l'altro è color oro.

Tu sai dirmi chi sono costoro?

Quando viene una, va via l'altro. risposta_____luna__________________________

Non rispondi? Non sei scaltro?

Non lo sai? Ti dirò che una

fa rima con la buona fortuna.

Il tempo scorre... Cuor che batte nel taschino,

cuor che batte sulla torre

tutto il giorno ci discorre,

della notte e del mattino. risposta_______orologio________________________

Ci ricorda premuroso,

come il tempo sia prezioso.

Che cos'è?

Inizia…finisce… Comincia quando il gran caldo finisce,

quando il gran caldo comincia, finisce.

Se non hai capito cosa è, risposta_______scuola________________________

ascolta bene me!

Tu conosci bene questa parola: ……….

Grande e grosso…ma… Nasco bianco, fresco e bello

con la faccia da monello,

del bel sole ho un gran terrore: risposta____pupazzo di neve_________________

mi distrugge in poche ore.

Ho la testa, ma non ragiono:

insomma, chi sono?

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ALLA FINE DELLA CACCIA ORA SIETE CERCATE DOVE MENO VI ASPETTERETE

ED UN TESORO TROVERETE. IL TESORO È NASCOSTO, E’ IN UN LUOGO OSCURATO

DOVE TUTTO E’ APPESO, STESO E PIEGATO

INDOVINA COS'E' E VAI LI' A CERCARE VAI SUBITO, CORRI !! NON ASPETTARE!!

!

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Allegato C - Gli Elementi di Cair Paravel - Impariamo a volare costruendo l’aquilone

DOVE VOLANO... GLI AQUILONI!

Il sogno di volare In italiano si chiamano «aquiloni», con il nome del vento di tramontana. I cinesi li chiamano «uccelli del vento», i polacchi «cavallo alato», i francesi «cervo volante», i portoghesi «Papagajo». Comunque li vogliamo chiamare, gli aquiloni rappresentano in ogni cultura degli oggetti speciali, capaci di tenere piccoli e grandi incantati col naso all’in su e di far sognare la magia del volo. L'aquilone (kite in inglese) è forse uno dei più antichi oggetti volanti che l'uomo abbia inventato per sfidare la gravità terrestre. In alcuni Paesi del mondo ha un significato particolare, anche religioso, in altri è semplicemente un gioco per bambini o un mezzo per fare sport, come i recenti kite-surf, una specie di windsurf che utilizzano un aquilone invece che una vela. In effetti anche il deltaplano e il parapendio possono essere paragonati a degli aquiloni, perché come gli aquiloni sfruttano il vento e di questi hanno anche la forma.

Dalla Cina, attraverso l’Oriente, fino a noi La tradizione vuole che il primo aquilone sia stato costruito in Cina circa 2500 anni fa (intorno al IV secolo a.C.), ma il motivo ispiratore della sua invenzione non è del tutto chiaro: c’è chi sostiene che fu inventato per imitare il volo degli uccelli, lo svolazzare delle foglie al vento o lo sventolare delle vele delle barche. Altri invece affermano che la nascita dell’aquilone sia stata suggerita da un evento del tutto casuale: un contadino si trovava nei campi ad arare la terra quando un’improvvisa raffica di vento sollevò dalla sua testa il cappello che usava per ripararsi dal sole. Il contadino fu talmente rapido di riflessi da riuscire ad afferrare la cordicella del cappello impedendogli di volare via. Il cappello cominciò a svolazzare in alto, proprio come un aquilone. Il contadino, incantato e divertito dal fenomeno, lo mostrò agli abitanti del villaggio e ciò suggerì loro l’invenzione dell’aquilone. Certo è che gli aquiloni inizialmente avevano uno scopo ben diverso da quello odierno cui siamo soliti pensare, infatti erano usati quasi esclusivamente in ambito militare, ad esempio per segnalare pericoli ai soldati e per chiedere rinforzi, oppure per lanciare polvere da sparo e piccoli razzi. Erano costruiti con bambù (materiale adatto a volare perché resistente e flessibile) e seta preziosamente decorata con simboli mitici, molto bella ma altrettanto fragile e facilmente deperibile, caratteristiche che ne facevano un oggetto particolarmente costoso. Col tempo, la stoffa fu sostituita dalla carta, materiale sempre fragile ma più economico e comune. Così cambiò anche lo scopo dell’aquilone e si affermò il suo ruolo ludico: gli aquiloni diventarono ben presto uno dei passatempi più comuni di bambini e adulti che diventarono esperti sia nel farli volare che nel costruirli. Ma ben presto anche in Giappone gli aquiloni furono considerati oggetti speciali, quasi magici, perché capaci di avvicinare la terra al cielo. La costruzione degli aquiloni diventò un’arte che combinava complesse strutture con raffinate

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decorazioni. Vi si raffigurano personaggi delle leggende popolari, o simboli di buona fortuna e di longevità, come fiori, rondini, tartarughe e gru. Dalla Cina l’aquilone si diffuse in tutto il continente asiatico fino alle lontane isole dell’Oceano Pacifico. L’aquilone arrivò in Giappone tra il 794-1185 d.C., portato dai monaci Buddisti, e furono denominati «Falchi di carta», traduzione letterale del loro nome cinese. Si narra che gli aquiloni fossero utilizzati in Giappone inizialmente come veicolo di messaggi ed erano un mezzo particolarmente sicuro ed efficace per la consegna di comunicazioni attraverso i fossati o gli antri dei castelli. Il Giappone è il paese al mondo che ha meglio affinato le tecniche di costruzione e che presenta la maggiore varietà di aquiloni. La ragione dello straordinario sviluppo di questa arte proprio in Giappone è dovuta alla reperibilità delle materie prime ottimali per la costruzione dell’oggetto, come carta giapponese, bambù e canapa, le quali, utilizzate secondo l’abilità degli artigiani giapponesi, hanno dato vita a esemplari diversi per gusto e forma. La tradizione legata al volo degli aquiloni è talmente radicata in Giappone che presso alcune scuole elementari sono previste ore di insegnamento di costruzione e volo degli aquiloni con lo scopo di trasmettere ai giovani un’arte che si tramanda da secoli di generazione in generazione. Viaggiando attraverso l’Oriente, l’aquilone volò fino in Europa dove arrivò 17 secoli dopo rispetto alla sua nascita in Cina, grazie ai racconti di Marco Polo che, nel suo «Milione», narrava della strana usanza cinese di affidarsi all’interpretazione del volo degli aquiloni per conoscere la sorte delle spedizioni marittime: quando una nave doveva intraprendere un viaggio, l’equipaggio costruiva un grande aquilone cui appendeva un uomo (si dice folle o ubriaco, perché erano gli unici disponibili a sottoporsi all’esperimento) e veniva fatto volare in una notte di vento. Se l’aquilone fosse salito verso l’alto la spedizione avrebbe avuto buon esito, diversamente l’equipaggio avrebbe rimandato il viaggio perché le condizioni erano avverse. In Europa l’uso dell’aquilone trovò applicazione anche nella scienza: nel 1749 Alexander Wilson, meteorologo scozzese, utilizzò un aquilone per vari esperimenti meteorologici tra cui la misurazione della temperatura in quota; lo scienziato e inventore americano Benjamin Franklin usò un aquilone per i suoi esperimenti sulla conduzione dell’elettricità e l’italiano Guglielmo Marconi usò un aquilone per alzare fino a 120 metri l’antenna che permise il primo collegamento radio transoceanico.

Aquilone portafortuna Leggende raccontano che gli aquiloni venivano usati per allontanare gli spiriti cattivi: decorati con volti mostruosi o demoniaci, avevano il compito di proteggere la casa, o di assicurare ai suoi abitanti salute e serenità. Esiste una tradizione in Cina chiamata «fang huiqi» (scacciare la sfortuna). Il modo di procedere è il seguente: prima di far volare l’aquilone, il proprietario vi scrive sopra tutte le sofferenze, preoccupazioni e calamità che lo affliggono. Dopo averlo Lanciato, l’uomo ne taglia la corda facendolo scomparire nel cielo, nella speranza che anche tutte le sfortune spariscano con lui. Se però l’aquilone cade nel cortile di un’altra famiglia, la sfortuna ricadrà su di essa. Il proprietario dell’aquilone sarà dunque tenuto a far visita alla famiglia che ha ricevuto l’oggetto, portando dei doni e ponendo le proprie scuse, in modo da avere

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indietro l’aquilone. In caso contrario, la famiglia in questione dovrà distruggere e bruciare l’aquilone per scacciare da sé la cattiva sorte. Ancora oggi in oriente il volo dell’aquilone è portatore di buon auspicio: ad esempio, quanto più vola in alto, tanto più porterà fortuna al suo proprietario; oppure, alla nascita di un figlio maschio bisogna lanciare un aquilone con il nome del bimbo, assieme alla raffigurazione del guerriero leggendario Kintaro, o del valoroso eroe Ushiwakamaru, al fine di assicurare al neonato forza e salute.

Un gioco e uno sport Oggi gli aquiloni sono un gioco semplice, diffuso in tutto il mondo, che piace un po’ a tutti, grandi e piccoli, perché fanno sognare il volo e con i loro colori e la loro leggerezza portano felicità.Il volo degli aquiloni è diventato anche un vero e proprio sport. Le competizioni sono suddivise per tipologia di aquilone (2 o 4 cavi) e possono essere individuali, in coppia (pair) e in squadra (team) composta da più di due atleti. L'«aquilonismo» acrobatico è molto praticato in Francia e negli Stati Uniti, è diffuso in Canada, nel Regno Unito e anche in Italia esiste un buon numero di praticanti e di gruppi aquilonistici. In tutta Italia inoltre sono organizzate numerose feste e sagre per fare onore al volo degli aquiloni.

Come è fatto un aquilone? La velatura (1) costituisce la superficie dell’aquilone e può essere di carta oleata o velina, di cellofan, sacchetti per l’immondizia, stoffa, seta.La nervatura (2) è lo scheletro dell’aquilone su cui è tesa la vela. È composto da longheroni (nella lunghezza) e traverse (nella larghezza). La controventatura (3) è costituita da un filo che segue il perimetro dell’aquilone e, legata alla nervatura, la rinforza e la mantiene nella configurazione voluta.La briglia (4) è costituita da almeno 2 fili e distribuisce sull’aquilone le forze di trazione.Le briglie hanno funzioni importantissime: ripartire in maniera uguale la tensione nella struttura dell’aquilone, riducendo il rischio di rottura e presentare al vento l’aquilone in una posizione adeguata. Il tipo più comune di briglia è quella a due fili legati all’aquilone in due punti del longherone. Si può impiegare una briglia a tre fili che, essendo legata anche agli estremi della traversa, dà un equilibrio maggiore all’aquilone. La lunghezza dei fili, il loro numero, il punto di aggancio al cavo o il fissaggio alla struttura varia in relazione al tipo di aquilone e all’intensità del vento.Il filo di ritenuta (5) collega l’aquilone all’operatore e gli trasmette tutte le vibrazioni e gli impulsi. Il mulinello (6) permette di svolgere e riavvolgere il filo di ritenuta.

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! ! La coda (7) non è solamente un ornamento dell’aquilone, essa stabilizza il volo, ancora l’aquilone in cielo impedendo buschi movimenti. Può essere costituita da semplici strisce di carta larghe 2-3 cm, una catena di anelli oppure un tubo.Attenzione alla coda perché: – più il vento è forte, più la coda deve essere pesante;– maggiori sono le dimensioni dell’aquilone, più lunghe devono essere le code;– se l’aquilone gira su se stesso significa che la coda non è abbastanza pesante, bisogna allungarla;– se l’aquilone non prende quota, la coda è troppo pesante, bisogna accorciarla.

Tanti tipi di aquilone Esistono molteplici tipi di aquilone. Ecco i più conosciuti:

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– Aquiloni statici

L'aquilone statico è controllato da un unico cavo (monofilo) che rimane in aria in una posizione fissa (statica). Esistono un'infinità di aquiloni statici che vanno dai classici «rombi» di carta fino a grandissimi e complicatissimi aquiloni che richiedono mesi di lavoro per essere costruiti ed altrettanti per essere testati.

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Romboide o Aquilone americano

Drago

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Ala del vento

– Aquiloni acrobatici L'aquilone acrobatico è invece controllato da due o quattro cavi e, a differenza dello statico, esegue acrobazie (trick) nel cielo.

– Aquiloni da trazione L’aquilone da trazione ha letteralmente lo scopo di «trasportare» chi lo manovra che sta, a sua volta, a bordo di una «tavola». Un aquilone associato all'utilizzo di una tavola da acqua permette la pratica del kite surf, associato ad una tavola da snowboard diventa kite- snow ma può essere utilizzato anche con un buggy, uno speciale carrellino, o un mountain board, una particolare tavola da skate, utilizzabile su terreni sconnessi o sabbia battuta.

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Allegato D - Storie degli Animali Parlanti di Narnia (da rappresentare…)

Il falco pigro (Bruno Ferrero, Ma noi abbiamo le ali) Un grande re ricevette in omaggio due pulcini di falco e si affrettò a consegnarli al Maestro di Falconeria perché li addestrasse. Dopo qualche mese, il maestro comunicò al re che uno dei due falchi era perfettamente addestrato.

"E l'altro?" chiese il re.

"Mi dispiace, sire, ma l'altro falco si comporta stranamente; forse è stato colpito da una malattia rara, che non siamo in grado di curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo dell'albero su cui è stato posato il primo giorno. Un inserviente deve arrampicarsi ogni giorno per portargli cibo". Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di ogni tipo, ma nessuno riuscì a far volare il falco.

Incaricò del compito i membri della corte, i generali, i consiglieri più saggi, ma nessuno potè schiodare il falco dal suo ramo.

Dalla finestra del suo appartamento, il monarca poteva vedere il falco immobile sull'albero, giorno e notte.

Un giorno fece proclamare un editto in cui chiedeva ai suoi sudditi un aiuto per il problema.

Il mattino seguente, il re spalancò la finestra e, con grande stupore, vide il falco che volava superbamente tra gli alberi del giardino. "Portatemi l'autore di questo miracolo", ordinò.

Poco dopo gli presentarono un giovane contadino.

"Tu hai fatto volare il falco? Come hai fatto? Sei un mago, per caso?" gli chiese il re.

Intimidito e felice, il giovane spiegò:"Non è stato difficile, maestà. Io ho semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è reso conto di avere le ali ed ha incominciato a volare".

Gli animali dell'eremita (fonte non specificata) Si racconta di un vecchio anacoreta eremita: una di quelle persone che per amore a Dio si rifugiano nella solitudine del deserto, del bosco o delle montagne per dedicarsi solamente alla orazione e alla penitenza. Molte volte si lamentava di essere sempre occupatissimo. La gente non capiva come fosse possibile che avesse tanto da fare nel suo ritiro. Ed egli spiegò: "devo domare due falconi, allenare due aquile, tenere quieti due conigli, vigilare su un serpente, caricare un asino e sottomettere un leone". Non vediamo nessun animale vicino alla grotta dove vivi. Dove sono tutti questi animali?

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Allora l'eremita diede una spiegazione che tutti compresero. "Questi animali li abbiamo dentro di noi". I due falconi, si lanciano sopra tutto ciò che gli si presenta, buono e cattivo. Devo allenarli prché si lancino solo sopra le buone prede… Sono i miei occhi Le due aquile con i loro artigli feriscono e distruggono. Devo allenarle perché si mettano solamente al servizio e aiutino senza ferire… Sono le mie mani E i conigli vanno dovunque gli piaccia, tendono a fuggire gli altri e schivare le situazioni difficili. Gli devo insegnare a stare quieti anche quando c'è una sofferenza, un problema o qualsiasi cosa che non mi piaccia… Sono i miei piedi La cosa più difficile è sorvegliare il serpente anche se si trova rinchiuso in una gabbia con 32 sbarre. È sempre pronto a mordere e avvelenare quelli che gli stanno intorno appena si apre la gabbia, se non lo vigilo da vicino, fa danno… E' la mia lingua L'asino è molto ostinato, non vuole fare il suo dovere. Pretende di stare a riposare e non vuole portare il suo carico di ogni giorno… E' il mio corpo Finalmente ho necessità di domare il leone, vuole essere il re, vuole essere sempre il primo, È vanitoso e orgoglioso…

Questo è... il mio cuore

Il pinguino colorato (Bruno Ferrero, Storie belle e buone) Quando mise fuori la testa dall'uovo, fu accolto dalla felicità di tutti. La comunità dei pinguini dell'Isola Azzurra si strinse intorno a Priscilla e Dagoberto, i suoi genitori, che avevano gli occhi luccicanti e non stavano più nel frac per l'orgoglio. Perché Filippo era davvero un bel neonato di pinguino. Aprì il becco ed emise un robusto vagito. Tutti i pinguini presenti applaudirono. "È un ottimo segno!" disse lo zio Fortebecco. "È impaziente di affrontare la vita". Filippo, in effetti, partì alla carica della vita con una gran dose di energia. Appena le sue zampette furono abbastanza robuste, si allontanò dallo sguardo premuroso dei genitori per infilarsi fra i più discoli dei piccoli pinguini della comunità. Erano tutti più anziani di lui, ma nessuno lo batteva in coraggio e temerarietà.

Fu Filippo il primo piccolo di pinguino che osò scivolare dalla punta del grande iceberg fino al mare, anche se poi non potè sedersi per due settimane a causa del bruciore sotto la coda.

Fu sempre Filippo, il coraggioso piccolo pinguino, che portò via la colazione all'enorme e spaventoso tricheco Baffodiferro.

Nella banda dei "pinguini irsuti", chiamati così perché si rifiutavano sistematicamente di lasciarsi pettinare le piume del capo dalle loro mamme, Filippo divenne l'incontrastato boss.

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"Perché sei sempre così agitato, Filippo mio?", gli chiedeva la mamma, un po' in ansia per quel figlio che cresceva così scapestrato.

Con gli amici, Dagoberto era sinceramente preoccupato: "Quel monello ha bisogno di una bella strigliata!" Così spesso, alla sera, Dagoberto, Priscilla e Filippo rappresentavano, senza volerlo, la versione pinguinesca del processo di Norimberga. "E' tutta colpa tua!". "No, tua!". "E' colpa di Filippo!". La mamma piangeva, papà sbatteva la porta e Filippo gridava: "Non ne posso più!".

I colori della vita Un giorno il pinguino Filippo se ne stava sdraiato su una roccia a picco sul mare ed osservava annoiato il formicolio dei pinguini della comunità. Sembravano tutti felici; lui, invece si sentiva pieno di amarezza. "Che barba! Un posto tutto bianco, grigio e nero. Dove nessuno si fa i fatti suoi... Deve pur esserci un paese colorato. Pieno di gente colorata. Potrei diventare anch'io pieno di colori... Non ne posso più di questa camicia bianca e di questo ridicolo frac!" E, impulsivo com'era, si lasciò scivolare giù dalla roccia, si tuffò tra le onde e nuotò via dall'Isola Azzurra.

Approdò alla Terraferma. Gli avevano sempre raccomandato di evitare il litorale. I pinguini si tenevano prudentemente alla larga dagli anfratti in ombra degli scogli, dove le onde infrangevano con violenza rabbiosa, e foche, piccoli cetacei e altri predatori si acquattavano per far strage degli imprudenti.

"Adesso sono libero e faccio come mi pare", si disse Filippo. Si arrampicò a fatica e si incamminò sulla spiaggia. Un forte sbattere d'ali alle sue spalle lo mise in guardia. Un giovane cormorano aveva deciso di attaccarlo. Ma Filippo era robusto e dotato di un becco forte e tagliente. Lottarono per un po', facendo volare piume da tutte le parti. Filippo ci mise tutta la sua rabbia. Il cormorano cominciò a perdere sangue da una ferita alla gola e si spaventò. Si ritirò dal combattimento e volo via lamentandosi e imprecando. "Aah!", fece Filippo, gonfiando il petto con soddisfazione. Alcune gocce di sangue del cormorano erano finite sulle sue piume bianche. Il pinguino guardò le macchie rosse e disse: "Bene! Comincio ad essere colorato". Ondeggiando, ma più che mai risoluto a continuare la sua esplorazione, Filippo si inoltrò tra le rocce. "Ehi, amico!!", Una voce alle sue spalle lo fece voltare di scatto. Era pronto di nuovo a combattere, ma di fronte si trovò solo un gabbiano giovane e inoffensivo. "Ti ho visto sistemare il cormorano", disse il gabbiano. "Sei un duro, tu". "Certo", rispose Filippo.

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"Ti invito a pranzo", insinuò furbescamente il gabbiano. "Che cosa vuoi dire?". "Andiamo a rubare le uova dai nidi delle rondini di mare, che ne dici? In due non oseranno farci niente". Fecero una scorpacciata di uova. Le povere rondini di mare tentarono invano di difendere i loro nidi. I due briganti mulinavano ali e becchi. Alla fine, Filippo si guardò il petto: era tutto macchiato dal giallo e arancione dei tuorli d'uovo. "Altri colori!", si disse. "Questa è vita". Dietro di lui, si sentiva solo il disperato pigolare delle rondini di mare, che piangevano i nidi e le uova distrutti.

Il grande salto Si installò in una grotta di ghiaccio azzurra, e ne fece il suo covo. Un gruppetto di gabbiani e perfino un'otaria con un occhio solo lo riconobbero come capo banda. Le scorribande del gruppetto furono ben presto temute da tutti. Filippo veniva chiamato semplicemente "Il pinguino colorato". Infatti la sua elegante livrea bianca e nera era sparita sotto i segni delle imprese che aveva affrontato. Oltre il rosso del sangue e il giallo delle uova rubate, c'erano tracce verdi, azzurre e anche ciuffi di pelo argentato, che gli erano rimasti attaccati dopo un' epica lotta contro un Husky randagio. Ma che serviva essere diventato davvero il primo pinguino a colori, se non poteva farsi ammirare dai suoi vecchi amici e dalla sua famiglia? Il pensiero dell'Isola Azzurra prese a torturarlo. Anche se non voleva ammettere, sentiva un bel po' di nostalgia dell'allegra comunità dei pinguini. "Avere una vita colorata non è proprio come me la immaginavo", si diceva sempre più spesso. Quella esistenza di fughe, attacchi, lotte e brigantaggio non gli piaceva più tanto.

Un mattino riprese la via del mare e tornò a casa I primi pinguini dell'Isola Azzurra che incontrò erano dei piccoli che giocavano sulle lastre di ghiaccio galleggianti. Appena lo videro si misero a strillare e scapparono gridando: "Un mostro! Un mostro!". Gli adulti fecero largo al suo passaggio, ma non per fargli onore. Lo guardavano tutti con una sorta di ribrezzo. "Ma perché? Idioti, sono io, non mi riconoscete?", brontolava Filippo. "Filippo, figliuolo, lo sapevo che saresti tornato". La mamma naturalmente lo riconobbe, ma non osò abbracciarlo. "Ma in che stato sei...". "Bentornato, Filippo", gli disse anche il papà. Ma non lo toccò. Le comari tutt'intorno borbottavano: "Che disgrazia! Poveri genitori...". Per la prima volta nella sua vita, a Filippo venne voglia di piangere. Improvvisamente comprese che i suoi colori continuavano a tenerlo lontano; lo rendevano straniero alla comunità dell'Isola Azzurra. Mentre lui, solo adesso, si accorgeva che soltanto lì poteva essere veramente felice.

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Ma come si fa a tornare indietro? "Papà", chiese. "Vorrei cancellare questi colori e ricominciare, se è possibile". Dragoberto esitò, poi guardò Filippo negli occhi e disse: "C'è un mezzo solo: devi tuffarti dalla Grande Cascata. Laggiù l'acqua è così violenta e rapida che nessun colore può resistere. Ma è tremendamente rischioso. Ci vorrà il tuo coraggio. Te la senti di farlo?". "Si, papà". La voce si sparse in un attimo. Nel giro di pochi minuti c'erano tutti, grandi e piccoli, intorno alla grande cascata. Non riuscirono a trattenere un "Oh!" sincero quando in alto, dove il fiume precipitava in mare con un fragoroso boato, apparve Filippo. Sembrava così piccolo lassù. Rimase un attimo fermo a concentrarsi, poi spiccò il salto. Un salto stupendo, come se improvvisamente gli fossero spuntate le ali. La corrente lo ghermì come un fuscello e lo scagliò violentemente nel mare ribollente e schiumante. Il pinguino sparì nel vortice. Tutti trattennero il fiato. Poi ad un tratto Filippo riemerse. La forza stessa dell'acqua lo proiettò in alto e tutti videro che le sue piume erano diventate immacolate e che i colori erano scomparsi. Allora esplosero in un festoso: "Urrà!", che coprì perfino il tuonare dell'acqua.

L'esperienza nascosta nel racconto:

Il pinguino Filippo è annoiato dalla vita di tutti i giorni che è soltanto "bianca, grigia e nera". Sono molti i ragazzi di oggi che considerano noioso ciò che è normale.

La cultura in cui sono immersi è sempre alla ricerca di eccitanti per i sensi, per la mente, per lo spirito. Questa ricerca travolge limiti e regole. Filippo cerca i colori, li trova diventando ingiusto, ladro, cattivo.

Soltanto quando è davvero diventato colorato si accorge del prezzo da pagare: l'insoddisfazione personale e soprattutto l'allontanamento dalla sua famiglia e dalla comunità.

È il prezzo del male, del peccato: essere tagliati fuori, perdere l'identità.

Ma nella comunità dell'Isola Azzurra c'è il modo di cancellare tutto, di ricominciare. E' quello che succede nella Chiesa: Dio ci dà la possibilità di cancellare tutti i colori sbagliati. Bisogna solo avere il coraggio di buttarsi nella Grande Cascata dell'Amore infinito di Dio che è il Sacramento della Riconciliazione.

Per il dialogo:

L'educatore deve aiutare i ragazzi a percepire il significato simbolico della storia del pinguino Filippo e a riflettere contemporaneamente sulla realtà che anche loro stanno vivendo. Lo può fare con alcune domande:

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- Perché il pinguino Filippo decide di partire dalla sua isola? - Vi è mai venuta la voglia di "mollare tutto"? Quando? Perché? - Secondo voi, che cosa sono i colori che Filippo cerca? - Di che tipo sono i colori che Filippo trova? Vi ricordano qualcosa? - Ci sono certe cose che i ragazzi di oggi desiderano ma che, secondo voi, sono un male? Ne sapete ricordare qualcuna? - Perché Filippo non viene riconosciuto e accettato nella sua comunità? - Nella nostra comunità parrocchiale c'è qualche modo particolare per riconoscere di aver sbagliato e per riaccettare quelli che riconoscono di aver commesso il male?

Per l'attività:

I ragazzi possono fare l'esame di coscienza con un cartellone sul quale si trovano i "colori sbagliati": (il rosso dell'ira, il giallo dell'invidia, il viola delle parolacce, il rosa della pigrizia, ecc...)

Anche la Bibbia racconta...

L'evangelista Giovanni (13, 21-30), racconta il tradimento di Giuda e lo conclude con queste parole:

"Egli subito uscì. Ed era notte". Il peccato è uscire dalla luce della comunità degli amici di Gesù ed entrare nella notte.

Lo stagno e le oche (Bruno Ferrero, Cerchi nell'Acqua) C'era una volta, in un angolo di campagna verde ed incontaminato, un laghetto di acqua verde e limpidissima. Era un laghetto minuscolo, quasi uno stagno, ma il cielo si specchiava dentro la sua acqua pura e lo trasformava in un gioiello incastonato nel morbido tappeto dei prati. Il sole di giorno, la luna e le stelle di notte si davano appuntamento nel limpido specchio d'acqua. I salici della riva, le margherite e l'erba delle colline tremavano di gioia per quel riflesso di cielo caduto a terra, che trasformava quel remoto angolo di mondo in un piccolo paradiso. Ma un giorno, schiamazzando e starnazzando, arrivò sulle sponde dello stagno uno stormo di grasse e prepotenti oche. I loro imperiosi "qua, qua" e i loro robusti becchi sconvolsero il silenzio e la pace dello specchio del cielo. Le oche erano creature pratiche, non badavano certo al sussurro del vento e ai riflessi dell'acqua limpida. Si tuffarono a decine nello stagno e cominciarono ad andare in fondo alla caccia di cibo. "Mangiare e ingrassare" era il loro motto. Sguazzavano, sporcavano, strepitavano. Piume e spruzzi volavano da tutte le parti. Granchi, pesciolini e tutti gli animaletti che vivevano nel laghetto in un battibaleno sparirono nel vorace gozzo delle insaziabili oche. La polvere finissima depositata sul fondo, sconvolta e smossa, invase l'acqua. La sera, quando il silenzio ritornò tra le colline, la prima stella cercò invano la sua casa sulla terra, e la luna non poté specchiare il suo volto d'argento sulla terra. Lo stagno era solo una distesa di fanghiglia maleodorante e senza vita. Lo stagno era morto.

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Il vento portò notizia alle nubi e le nubi alle stelle, alla luna e al sole. Tra le foglie dei salici piangevano i pettirossi e le allodole. In quell'angolo di campagna il cielo non si sarebbe specchiato mai più.

I bruchi (Bruno Ferrero, Il volo di Vel) C'era una volta un gelso centenario, pieno di rughe e di saggezza, che ospitava una colonia di piccoli bruchi. Erano bruchi onesti, laboriosi, di poche pretese. Mangiavano, dormivano e, salvo qualche capatina al bar del penultimo ramo a destra, non facevano chiasso. La vita scorreva monotona, ma serena e tranquilla.

Faceva eccezione il periodo delle elezioni, durante il quale i bruchi si scaldavano un po' per le insanabili divergenze tra la destra, la sinistra e il centro. I bruchi di destra sostengono che si comincia a mangiare la foglia da destra, i bruchi di sinistra sostengono il contrario, quelli di centro cominciano a mangiare dove capita. Alle foglie naturalmente nessuno chiedeva mai un parere. Tutti trovavano naturale che fossero fatte per essere rosicchiate.

Il buon vecchio gelso nutriva tutti e passava il tempo sonnecchiando, cullato dal rumore delle instancabili mandibole dei suoi ospiti. Bruco Giovanni era tra tutti il più curioso, quello che con maggiore frequenza si fermava a parlare con il vecchio e saggio gelso. "Sei veramente fortunato, vecchio mio", diceva Giovanni al gelso. "Te ne stai tranquillo in ogni caso. Sai che dopo l'estate verrà l'autunno, poi l'inverno, poi tutto ricomincerà. Per noi la vita è così breve. Un lampo, un rapido schioccar di mandibole e tutto è finito". Il gelso rideva e rideva, tossicchiando un po': "Giovanni, Giovanni, ti ho spiegato mille volte che non finirà così! Diventerai una creatura stupenda, invidiata da tutti, ammirata...".

Giovanni agitava il testone e brontolava: "Non la smetti mai di prendermi in giro. Lo so bene che noi bruchi siamo detestati da tutti. Facciamo ribrezzo. Nessun poeta ci ha mai dedicato una poesia. Tutto quello che dobbiamo fare è mangiare e ingrassare. E basta". "Ma Giovanni", chiese una volta il gelso, "tu non sogni mai?". Il bruco arrossì. "Qualche volta", rispose timidamente. "E che cosa sogni?". "Gli angeli", disse, "creature che volano, in un mondo stupendo". "E nel sogno sei uno di quelli?". "...Sì", mormorò con un fil di voce il bruco Giovanni, arrossendo di nuovo. Ancora una volta, il gelso scoppiò a ridere. "Giovanni, voi bruchi siete le uniche creature i cui sogni si avverano e non ci credete!". Qualche volta, il bruco Giovanni ne parlava con gli amici. "Chi ti mette queste idee in testa?", brontolava Pierbruco.

"Il tempo vola, non c'è niente dopo! Niente di niente. Si vive una volta sola: mangia, bevi e divertiti più che puoi! "Ma il gelso dice che ci trasformeremo in bellissimi esseri alati...". "Stupidaggini. Inventano di tutto per farci stare buoni", rispondeva l'amico. Giovanni scrollava la testa e ricominciava a mangiare. "Presto tutto finirà...scrunch... Non c'è niente dopo...scrunch... Certo, io mangio..scrunch, bevo e mi diverto più che posso...scrunch... ma...scrunch...non sono felice...scrunch.

I sogni resteranno sempre sogni. Non diventeranno mai realtà. Sono sono illusioni", bofonchiava, lavorando di mandibole. Ben presto i tiepidi raggi del sole autunnale cominciarono

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ad illuminare tanti piccoli bozzoli bianchi tondeggianti sparsi qua e là sulle foglie del vecchio gelso. Un mattino, anche Giovanni, spostandosi con estrema lentezza, come in preda ad un invincibile torpore, si rivolse al gelso. "Sono venuto a salutarti. È la fine. Guarda sono l'ultimo. Ci sono solo tombe in giro. E ora devo costruirmi la mia!". "Finalmente! Potrò far ricrescere un po' di foglie! Ho già incominciato a godermi il silenzio! Mi avete praticamente spogliato!

Arrivederci, Giovanni!", sorrise il gelso. "Ti sbagli gelso. Questo...sigh...è...è un addio, amico!", disse il bruco con il cuore gonfio di tristezza. "Un vero addio. I sogni non si avverano mai, resteranno sempre e solo sogni. Sigh!".

Lentamente, Giovanni cominciò a farsi un bozzolo. "Oh", ribatté il gelso, "vedrai". E cominciò a cullare i bianchi bozzoli appesi ai suoi rami. A primavera, una bellissima farfalla dalle ali rosse e gialle volava leggera intorno al gelso. "Ehi, gelso, cosa fai di bello? Non sei felice per questo sole di primavera?". "Ciao Giovanni! Hai visto, che avevo ragione io?"sorrise il vecchio albero. "O ti sei già dimenticato di come eri poco tempo fa?".

Parlare di risurrezione agli uomini è proprio come parlare di farfalle ai bruchi. Molti uomini del nostro tempo pensano e vivono come i bruchi. Mangiano, bevono e si divertono più che possono: dopotutto non si vive una volta sola? Nulla di male, sia ben chiaro. Ma la loro vita è tutta qui. Per loro, la parola risurrezione non significa nulla. Eppure non sono felici...

Prima modalità: unica storia in diverse modalità rappresentative di recitazione (regista insoddisfatto, mimi e cinema muto, musical, ...) Seconda modalità: unica storia in diverse modalità rappresentative non di recitazione (gioco, attività, programma televisivo, ...)

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Allegato E - La fiera dei giochi delle Driadi (medaglie)

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