Le Cronache Di Artrid

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CLASSE III A Scuola Secondaria I Grado Paritaria “Rosa Venerini” Via Matteotti, 21 - 60121 Ancona LE CRONACHE DI ARTRID I Divinatori, popolo a cui appartenevano, erano per tradizione gente pacifica ma purtroppo erano oppressi ormai da decenni, da quando cioè il padre del re Vibertio V aveva iniziato a perseguitare questa gente per il loro credo: veneravano infatti lo stesso Dio dei folletti, Garrus, una divinità primordiale e pura. Artrid e sua madre, seguiti dal folletto, raggiunsero il castello del re, eretto su una grande collina nella città capitale di Rocca di Piombo: volevano reclamare giustizia. Le guardie del palazzo li scortarono dinanzi al sovrano, il grasso e ripugnante Vibertio; il folletto intanto tossiva forte: gli spiriti sono allergici al piombo, materia di cui erano fatte porte e infissi della città. In tal modo Vibertio V si era garantito da qualsiasi tipo di contatto con queste creature fatate. Il re stava bevendo avidamente un boccale di birra, alcune gocce della bevanda gli colavano lungo i suoi numerosi menti. Accolse Artrid e la madre con un rumoroso rutto: «Perché questi insulsi individui sono qui a disturbare il mio pasto ?!» domandò. Rispose un suo dignitario, forse un ambasciatore, con una voce acuta e sibiliante: «Sono Divinatori, sono qui per reclamare giustizia per la morte del padre, il re Marrott dei Divinatori». Il re era adirato, non tollerava la vista dei Divinatori, tantomeno di nobili di quella gente, quali erano Artrid e sua madre Howena, chiese quindi: «Che cosa vogliono?!». Howana intervenne: «Mio marito è stato ucciso. Perché? Ho il diritto di sapere la verità!». Il "Re Bufalo", così il tiranno veniva soprannominato dal popolo, era viola in faccia: «Come osa questa miserabile donna dei Divinatori offendermi e parlarmi in questo modo?! Tuo marito è stato giustiziato dal mio boia perché reclamava l'indipendenza del suo popolo». Il re sogghignò e proseguì: «Ho un’idea: guardie, portate questa donna a lavoro nelle cucine. E il ragazzo....». Il sovrano indicava Artrid e Howana intervenne subito: «Maestà vi prego, risparmiate

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Elaborato per il progetto Scrittori di classe della classe 3°A della Scuola secondaria paritaria di 1°Grado "R. Venerini" di Ancona.

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CLASSE III A

Scuola Secondaria I Grado Paritaria “Rosa Venerini”

Via Matteotti, 21 - 60121 Ancona

LE CRONACHE DI ARTRID

I Divinatori, popolo a cui appartenevano, erano per tradizione gente pacifica ma

purtroppo erano oppressi ormai da decenni, da quando cioè il padre del re Vibertio V

aveva iniziato a perseguitare questa gente per il loro credo: veneravano infatti lo

stesso Dio dei folletti, Garrus, una divinità primordiale e pura.

Artrid e sua madre, seguiti dal folletto, raggiunsero il castello del re, eretto su una

grande collina nella città capitale di Rocca di Piombo: volevano reclamare giustizia.

Le guardie del palazzo li scortarono dinanzi al sovrano, il grasso e ripugnante

Vibertio; il folletto intanto tossiva forte: gli spiriti sono allergici al piombo, materia di

cui erano fatte porte e infissi della città. In tal modo Vibertio V si era garantito da

qualsiasi tipo di contatto con queste creature fatate.

Il re stava bevendo avidamente un boccale di birra, alcune gocce della bevanda gli

colavano lungo i suoi numerosi menti. Accolse Artrid e la madre con un rumoroso

rutto: «Perché questi insulsi individui sono qui a disturbare il mio pasto ?!» domandò.

Rispose un suo dignitario, forse un ambasciatore, con una voce acuta e sibiliante:

«Sono Divinatori, sono qui per reclamare giustizia per la morte del padre, il re

Marrott dei Divinatori». Il re era adirato, non tollerava la vista dei Divinatori,

tantomeno di nobili di quella gente, quali erano Artrid e sua madre Howena, chiese

quindi: «Che cosa vogliono?!». Howana intervenne: «Mio marito è stato ucciso.

Perché? Ho il diritto di sapere la verità!». Il "Re Bufalo", così il tiranno veniva

soprannominato dal popolo, era viola in faccia: «Come osa questa miserabile donna

dei Divinatori offendermi e parlarmi in questo modo?! Tuo marito è stato giustiziato

dal mio boia perché reclamava l'indipendenza del suo popolo».

Il re sogghignò e proseguì: «Ho un’idea: guardie, portate questa donna a lavoro nelle

cucine. E il ragazzo....».

Il sovrano indicava Artrid e Howana intervenne subito: «Maestà vi prego, risparmiate

mio figlio, è ancora troppo piccolo per capire». Il re rise: «Invece lo prenderò, serva.

Voglio vedere come combattono questi inutili Divinatori».

Quella notte, in una fredda stanza dell’immenso palazzo, Artrid pianse. Tornò però,

bussando con energia alla sua porta, quella ragazzina che lo aveva salvato dalle

grinfie del bambino dai capelli rossi: «Sono Justea, la figlia del Principe Comandante

delle Armate Reali, vivo anche io in questo posto. Vuoi un po' d'acqua?». Artrid le

aprì e fece cenno di sì con la testa. Non parlarono più fino a quando lei non se ne

andò.

Il folletto nel frattempo era rimasto sempre lì a fianco a lui e disse: «Beh ragazzo, è

ora che io mi presenti! Mi chiamo Rilk e sono qui per aiutarti. Ti ridarò ciò che ti

spetta di diritto: tu sei il discendente dell'ultimo re giusto e potente, il grande Goriot

XVI Ferterek, il cui trono fu usurpato dal bisnonno dell'attuale re. Ti farai valere

come soldato e diventerai un potente comandante. Alla morte di Vibertio saprai

quello che dovrai fare».

E così fu. Dopo anni di brillante ed intenso addestramento, Artrid si fece valere sul

campo di battaglia fermando l'invasione degli Orientali e conquistando Fragarnok, la

capitale del Regno delle Steppe, sempre sostenuto da un piccolo gruppo di folletti

comandati da Rilk, che lo proteggevono da tutti i suoi nemici. Questi folletti, infatti,

intervenivano sempre quando un pericolo poteva colpire alle spalle Artrid.

Nel frattempo anche Justea era rimasta accanto ad Artrid e trovava mille scuse per

incontrarlo, così la loro amicizia era diventata sempre più forte, anzi, non sapevano di

essersi già innamorati …

Nell'anno 261 dopo l'usurpazione del trono, Artrid venne nominato generale

dall'anziano Vibertio, che si arrese all’evidenza del suo innato talento per le arti della

guerra.

A seguito di ciò, durante la spedizione di quell’anno verso la conquista dei regni

orientali, nel giorno 11° del mese caloroso Vibertio V morì nella sua stessa armatura,

soffocato dalla calura e stanco del lungo viaggio.

Artrid e l'esercito rientrarono nella città due settimane dopo, proprio quando l'erede di

diritto del Re, il principe Draconio, era affacciato alla grande balconata del Palazzo

Reale. Qui venne proclamato re, ma nessuno lo amava e lo riconosceva come tale.

La folla acclamava l'ormai trentaquattrenne Artrid, chiedendo che fosse lui a salire al

trono per le sue gesta. Rilk disse: «È giunto il tuo momento».

Artrid reclamò il suo trono tra le grida entusiaste della maggioranza del popolo ma

molti militi volevano ancora Draconio al potere. Nella città si diffuse allora il caos:

da una parte i sostenitori di Artrid e dall'altra quelli del principe. Per lunghi mesi

molte ingiustizie avvennero in città per ordine di Draconio stesso: le donne venivano

rapite, i bambini uccisi e le case rase al suolo.

Lo stesso principe si macchiò di questi infami delitti, rapendo la bellissima ed

innocente lady Justea per averla in moglie.

Decisero di porre fine a quella tremenda situazione scontrandosi nei campi che

circondavano la città. Le forze di Artrid erano numericamente inferiori ma avevano il

popolo ed una preziosa risorsa dalla loro parte.

I folletti infatti, invisibili alle armate di Draconio, iniziarono a sferrare colpi a

ripetizione spingendo i nemici verso il fossato della città e rendendo così possibile

all'esercito di Artrid annientarli: la città poté così ritrovare la tanto attesa giustizia

Rimaneva però ancora salvare la dolce fanciulla, Justea. Artrid la ritrovò distesa a

terra nel campo di battaglia straziato, si era infatti liberata dalla torre in cui era

imprigionata ed era accorsa lì per portare il suo aiuto all’amico. Ora respirava appena,

era pallida, tremava e non riusciva più ad alzarsi perché aveva partecipato al

combattimento ricevendo un forte colpo alla nuca.

Il sole del crepuscolo in quel momento illuminava le mura della città e dove giaceva

la ragazza vi era una rosa, sopravvissuta al pesante passo della cavalleria. Artrid la

raccolse con eleganza e la porse a Justea, inchinandosi al suo cospetto:

«Ho sempre pensato a te dal giorno in cui ti ho incontrato» disse, «tu mi hai difeso

dalle angherie di quel ragazzino tanti anni fa e tutte le volte che sei venuta a cercarmi

io ho provato la vera felicità». La prese poi tra le sue braccia e la portò in città per

farla curare dai medici di corte.

Nel mese nevoso dello stesso anno 261 Artrid venne proclamato Re, dando inizio ad

un’era di pace e prosperità accanto Justea, diventata sua moglie, alla sua anziana

madre Howena e ai folletti, ormai liberi di farsi vedere da tutti. Dalla città venne

eliminata ogni traccia di piombo ed eretta una grande statua al Dio Garrus, per questo

fu chiamata Rocca di Garrus. Era appena nata la nuova dinastia dei Jurtridiani.