Le cinque Domeniche di Quaresima nella...
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Le cinque Domeniche di Quaresima nella pittura
Momento introduttivo di preghiera
MESSAGGIO DEL CONCILIO VATICANO II AGLI ARTISTI, 8 DICEMBRE 1965
“Ora a voi tutti, artisti che siete innamorati della bellezza e che per essa lavorato: poeti e uomini di lettere, pittori, scultori, architetti, musicisti, gente di teatro e cineasti... A voi tutti la Chiesa del Concilio dice con la nostra voce: se voi siete gli amici della vera arte, voi siete nostri amici! Da lungo tempo la Chiesa ha fatto alleanza con voi. Voi avete edificato e decorato i suoi templi, celebrato i suoi dogmi, arricchito la sua liturgia. L’avete aiutata a tradurre il suo messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure, a rendere comprensibile il mondo invisibile. Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutate di mettere il vostro talento al servizio della verità divina! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione. E questo grazie alle vostre mani... Che queste mani siano pure e disinteressate! Ricordatevi che siete i custodi della bellezza nel mondo: questo basti ad affrancarvi dai gusti effimeri e senza veri valori, a liberarvi dalla ricerca di espressioni stravaganti o malsane. Siate sempre e dovunque degni del vostro ideale, e sarete degni della Chiesa, la quale, con la nostra voce, in questo giorno vi rivolge il suo messaggio d’amicizia, di saluto, di grazie e di benedizione.”
PREGHIERA DI S. FRANCESCO DI ASSISI
Lodi di Dio Altissimo
Tu sei santo, Signore Dio unico, che compi meraviglie.
Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei altissimo. Tu sei Re onnipotente, tu Padre santo,
Re del cielo e della terra. Tu sei Trino e Uno, Signore Dio degli dei,
Tu sei bene, ogni bene, sommo bene, Signore Dio, vivo e vero.
Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà. Tu sei pazienza.
Tu sei bellezza. Tu sei mansuetudine Tu sei sicurezza. Tu sei quiete.
Tu sei gaudio e letizia. Tu sei speranza nostra. Tu sei giustizia. Tu sei temperanza.
Tu sei ogni nostra sufficiente ricchezza. Tu sei bellezza. Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore. Tu sei custode e difensore nostro. Tu sei fortezza. Tu sei refrigerio.
Tu sei speranza nostra. Tu sei fede nostra . Tu sei carità nostra. Tu sei completa dolcezza nostra.
Tu sei nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
Preghiera di s. Francesco di Assisi
I DOMENICA DI QUARESIMA:
“Le tentazioni di Gesù nel deserto”
Ivan N. Kramskoij ( Novaya Sotnya 1837 / S. Pietroburgo 1887 )
Pittore e critico d’arte russo, uno dei maggiori maestri del ritratto realistico: famoso il suo
ritratto di L. N. Tolstoj dipinto nel 1872. Eminente teorico e critico d’arte.
La sua opera più conosciuta raffigura Gesù tentato nel deserto , fu dipinta nel 1872 ed è
custodita a Mosca presso la Galleria Tret´jakov.
Uno sguardo al dipinto
Papa Benedetto XVI iniziava il Messaggio per la Quaresima 2006 con la seguente riflessione:
” La Quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della
misericordia. È un pellegrinaggio in cui Lui stesso ci accompagna attraverso il deserto della
nostra povertà, sostenendoci nel cammino verso la gioia intensa della Pasqua. Anche nella “valle
oscura” di cui parla il Salmista (Sal 23,4), mentre il tentatore ci suggerisce di disperarci o di
riporre una speranza illusoria nell’opera delle nostre mani, Dio ci custodisce e ci sostiene. Sì,
anche oggi il Signore ascolta il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di amore. Come
in ogni epoca, esse si sentono abbandonate. Eppure, anche nella desolazione della miseria, della
solitudine, della violenza e della fame, che colpiscono senza distinzione anziani, adulti e
bambini, Dio non permette che il buio dell’orrore spadroneggi. Come infatti ha scritto il mio
amato Predecessore Giovanni Paolo II, c’è un “limite divino imposto al male”, ed è la
misericordia.”
Anche solo un primo sguardo al dipinto ci permette di intuire che alle spalle di Kramskoij
sta un mondo segnato dalla prova, dalla fatica, come pure dalla pietà e dal senso della dignità
umana. Si riesce, anche, a comprendere la capacità del pittore ad interpretare le caratteristiche
psicologiche e soprattutto la spiritualità del popolo russo.
Il Cristo tentato rappresenta la tenacia d’animo e la fortezza interiore: è il nuovo Adamo
cosciente che Dio ha posto un limite al male, ed è la sua misericordia. Scriveva ancora Benedetto
XVI nel suo messaggio: “Anche oggi lo sguardo commosso di Cristo non cessa di posarsi sugli
uomini e sui popoli”…cosciente che “Il progetto divino ne prevede la chiamata alla salvezza”.
Kramskoij aveva già ritratto i volti provati dalla fatica ma sereni dei contadini russi.
Egli condivide la spiritualità del suo contemporaneo Dostojevskij le cui opere sono pervase dalla
presenza continua del senso ultimo della vita.
Il volto di Cristo, nel dipinto, ci attira in modo particolare perché è proprio il ritratto della
prova, del combattimento interiore e del digiuno. Dai Vangeli emerge un elemento: gli occhi di
Gesù dovevano essere davvero penetranti e quasi magnetici: chi li aveva visti non se ne
dimenticava più. Ora gli occhi sono rivolti verso la terra, o meglio, verso sé stesso: per prepararsi
al dono di sé stesso sulla croce Gesù deve affrontare, come uomo, le prove della vita, la
solitudine, la paura di non farcela, la tentazione della fuga e dell’abbandono…
Il senso ultimo passa dal deserto.
Esaminiamo il deserto. Gesù è solo: personifica il paesaggio che lo circonda. E’ un Cristo
fattosi deserto: l’essenzialità dell’ambiente roccioso avvolge Gesù tentato. Con questo ambiente
costituito da pietre Gesù deve fare i conti e dare priorità alla fame del cuore.
Il senso dell’infinito, della trascendenza ci viene suggerito, nel dipinto, da una visione dal
basso: ci troviamo nel deserto e su una montagna. Il pittore aveva presente la figura del profeta
Elia sul monte di Dio, una figura rappresentata spesso nelle icone liturgiche russe.
Sullo sfondo all’altezza delle mani di Gesù, si nota l’alba di un nuovo giorno. La
quaresima è come un inizio di un nuovo giorno, in attesa della nostra redenzione e in
preparazione all’alba del mattino di Pasqua.
La vittoria di Gesù sulla tentazione è garanzia della nostra, scriveva S. Leone Magno:
“Egli ha combattuto perché noi combattessimo, egli ha vinto perché anche noi, come lui,
potessimo vincere”.
II DOMENICA DI QUARESIMA:
“La Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor”
Beato Angelico Vicchio del Mugello 1395 / Roma 1455
Fra’ Giovanni da Fiesole, detto Beato Angelico, si forma nell'ambiente culturale fiorentino
influenzato da artisti come Brunelleschi e Donatello.
Nel convento domenicano di S. Marco dipinge in ogni cella momenti della vita di Gesù come
stimolo alla riflessione ed alla preghiera per il monaco che la occupa.
Dipinge assiduamente e le sue opere abbelliscono le maggiori chiese fiorentine, molte tele gli
vengono commissionate da privati. Il Vasari loda la vita esemplare ed il disinteresse che anima
la sua arte, tanto che ogni guadagno va a favore del convento.
Pochi anni prima di morire si trasferisce, per alcuni lavori, a Roma dove si spegne, nel convento
di Santa Maria sopra Minerva, nel 1455.
La memoria liturgia del Beato Angelico, patrono degli artisti, è celebrata ogni 18 febbraio.
Uno sguardo al dipinto
L’ affresco raffigurante la “Trasfigurazione di Gesù” è stato dipinto dall’Angelico nella cella
numero 6 del corridoio est del convento di San Marco a Firenze.
E’ tutto giocato sui bianchi luminosi della mandorla di luce e dei suoi abiti, di un biancore
indicibile, quasi a fare eco a quanto scrive l'evangelista Marco: "...le sue vesti divennero
splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche" (Mc 9,3)
Come attraverso un'icona Gesù guarda diritto davanti a sé, le braccia aperte, a
somiglianza e prefigurazione della sua postura nella crocifissione, con una serietà assorta, che
ci appare terribile ed insieme carica di un indicibile amore per l'Umanità, che queste braccia
aperte sembrano voler accogliere ed abbracciare.
Siamo davanti ad una pagina "abbagliante", tradotta in un bagliore di bianchi, specie
nella qualità dei toni raggiunti dalla figura del Cristo trasfigurato nella piena luce di Dio Padre.
Oltre la mandorla, le figure di Mosè a sinistra e di Elia a destra, la Legge ed i Profeti.
Sotto di loro il Beato Angelico ha dipinto le
figure di Maria e di San Domenico
(riconoscibile dalla stella, vista da sua
madre prima della sua nascita, secondo le
più note agiografie), quali presenze in
preghiera e contemplazione, oltre lo spazio
ed il tempo in cui questa scena verrebbe a
collocarsi.
In primo piano, inginocchiati e abbagliati da una
luce insostenibile, Pietro, Giacomo e Giovanni,
ognuno con la sua modalità di reazione fatta di
fremiti, di bagliori accecanti, di paura, tutti e tre
in questa prefigurazione del Golgota, monte della
crocifissione futura di Gesù, ma allo stesso tempo
anticipo della risurrezione di Lui, che passa
attraverso la sua passione.
Il centro compositivo resta il Signore Gesù: le braccia aperte, lo sguardo divinamente
insostenibile, nella sua maestà di luce, punto d'incontro tra la croce e la gloria, l'umanità e la
divinità, l'eterno presente della Scrittura, (Mosè ed Elia), quello della santità, (Maria di Nazaret
e S. Domenico) e quello della Storia, (i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni).
Nei tempi di prova splende la Luce abbagliante della verità e della gloria, come anche il
profeta Isaia ci ricorda: "alzati, rivestiti di Luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore
brilla sopra di te..."(60,1-2). E questo accade anche per chi, come i discepoli, resta inadeguato,
debole, appesantito, ma è tuttavia visitato dalla grazia.
Tutto ciò, il Beato Angelico ce lo dice con la sua tavolozza colorata dagli angeli: le figure dei tre
discepoli, infatti, oltre a manifestare nella loro gestualità la propria inadeguatezza, sono
appesantiti da colori che ne sottolineano la corporeità, la pesantezza, la dimensione "terrestre",
che è loro propria, che è propria di ciascuno di noi umani, finché siamo su questa terra.
III DOMENICA DI QUARESIMA:
“La Samaritana”
don SIEGER KÖDER (1925 – 2015)
Sieger Köder nasce il 3/01/1925 a Wasseralfingen, Germani. Durante la II guerra mondiale è
mandato in Francia a combattere ed è fatto prigioniero. Tornato dalla prigionia, frequenta la
scuola dell'Accademia dell'arte di Stoccarda.
Dopo anni d’insegnamento di arte e di attività come artista, Köder intraprende gli studi teologici
per il presbiterato e, nel 1971, è viene ordinato prete cattolico. Dal 1975 al 1995, è parroco di
Hohenberg. Gli anni del suo ministero sono fra i più prolifici come ispirazione per le opere d'arte.
C’è completa sinergia fra il Köder ministro e l’artista. "Rivela" la profondità del messaggio
cristiano attraverso le metafore, spargendo luce e colore sulla vita e sulla storia umana.
L'arte di Köder è caricata pesantemente della sua esperienza personale della guerra.
Uno sguardo al dipinto
“Signore, dammi di quest’acqua…”: fin dal III secolo la scena della samaritana al pozzo
di Sicar, compare nelle rappresentazioni artistiche; e lungo i secoli gli artisti hanno sempre
raffigurato la samaritana in piedi e Gesù, generalmente, seduto, in alcuni casi sono
rappresentati altri personaggi, uno dei quali è Pietro.
In ebraico pozzo si dice “bar” e rimanda alla seconda parola della legge mosaica ossia
“barà” che significa creare. Siamo, quindi, davanti ad un tema battesimale: l’acqua del pozzo è
intesa come capace di creare; il battesimo è una nuova creazione.
Nell’interpretazione di questo episodio evangelico dataci da don Koder una donna si
affaccia a un pozzo; l’acqua in fondo al pozzo riflette due volti, quello della donna e quello di
Gesù; si vedono in evidenza le pareti del pozzo e il cielo che circonda la figura della samaritana.
Samaritana che indossa un abito di color rosso; il profeta Isaia aveva scritto: “Quand’anche i
vostri peccati fossero rossi come la porpora diventeranno come la lana” (1;18).
Dall’alto del pozzo lo sguardo della donna è rivolto verso Gesù; mentre nell’immagine riflessa
Gesù guarda la samaritana. Se capovolgiamo il quadro la samaritana rivede sé stessa, mentre
Gesù continua a guardarla.
Dall’alto in basso: la samaritana guarda Gesù
Nel colloquio con Gesù la samaritana cerca in tutti i modi di sfuggire, di cambiare discorso, ma
alla fine deve ammettere: “Venite a vedere un uomo...” ossia un uomo che non mi ha rinfacciato
il mio passato, non mi tratta da ex ma da qui in avanti mi vuole aiutare sinceramente e
autenticamente. Esiste per tutti il punto di non ritorno: se lo si supera è finita ma, per molti, se
non si arriva lì non è possibile un cammino di conversione.
Dal basso verso l’alto: la samaritana vede sé stessa mentre Gesù continua a guardarla
Nessuno ha suggerito alla samaritana di andare in città a raccontare il suo incontro con Gesù
alla gente: è stata una sua libera iniziativa. Perché lo ha fatto? Nel profondo – ossia di mano in
mano che parlava con Gesù – la samaritana ha visto nella propria coscienza sé stessa.
IV DOMENICA DI QUARESIMA:
“Il cieco nato”
Doménikos Theotokòpoulos, “EL GRECO” Creta, 1541 - Toledo 1614
E’ tra le figure più importanti del tardo Rinascimento spagnolo ed è spesso considerato il primo
maestro del Siglo de Oro.
Nacque a Creta, allora parte della Repubblica di Venezia. Diventato maestro d’arte nella pittura
delle icone si trasferisce nel 1567 a Venezia per trovare sbocchi di mercato e confrontarsi con le
botteghe di Tiziano, Bassano, Tintoretto e Veronese. Nel 1570 si reca a Roma, dove apre una
propria bottega. Durante il soggiorno in Italia modificò il suo stile in modo sostanziale,
arricchendolo con elementi tratti dal manierismo e dal Rinascimento veneziano. Nel 1577 si
trasferisce a Toledo, in Spagna, dove vive e lavora fino al giorno della morte.
È famoso per le sue figure umane sinuosamente allungate e per i colori originali e fantasiosi di
cui spesso si serviva, frutto dell'incontro tra l'arte bizantina e la pittura occidentale.
Uno sguardo al dipinto
Il quadro, conservato a Parma presso la Galleria Nazionale, risale al 1575 circa; siamo subito
dopo il Concilio di Trento, ossia in piena riforma protestante, controriforma e riforma della
Chiesa cattolica.
Il suo contenuto risente della Contro-Riforma: vi si allude alla Chiesa Cattolica che apre gli
occhi alla vera Fede mentre un uomo a torso nudo, di spalle, indica la direzione diametralmente
opposta e qualcuno lo segue con lo sguardo.
Lo scrittore H. Miller così si esprime: “La nostra meta non è mai un luogo ma un nuovo modo
di vedere le cose”.
La Fede è anche un nuovo modo di vedere le cose, di considerare la realtà, di dare un giudizio
sui fatti, e di guardare a Cristo. Guardare e vedere non sono sinonimi: hanno un contenuto
differente. Dice il vocabolario della lingua italiana Devoto Oli:
“GUARDARE” vuol dire “soffermare lo sguardo su qualcosa o qualcuno”
“VEDERE” significa “percepire con gli occhi”, richiede cioè un’operazione anche mentale.
Nel Vangelo il verbo greco “guardare”, a proposito di Gesù, è impiegato in tre varianti:
guardare attorno: quando Gesù gira attorno i suoi occhi tutti ammutoliscono intimoriti e/o
affascinati.
guardare dentro: gli occhi di Gesù impressionavano quando “guardava dentro” alle persone
quasi a voler arrivare al loro cuore.
guardare in alto: per rivolgere la preghiera al Padre suo.
Anche il cieco guarito del Vangelo proposto per la IV Domenica di Quaresima, Anno “A” compie
il cammino di Gesù:
Si guarda attorno: e si ritrova solo, abbandonato dai genitori, circondato da diffidenza e
curiosità, accusato e allontanato dalle autorità; è guarito ma non vede nessuno attorno a sé.
Si guarda dentro: e scopre che la sua solitudine è l’unico male che non si può vincere da soli, ci
vuole un altro. Per lui Gesù è dapprima un uomo, poi un profeta, poi un timorato di Dio e infine
il Signore.
Guarda in alto: “Io credo, Signore” e gli si prostrò innanzi. Ha compreso che per Gesù voleva la
pena rischiare tutto, ha visto in Gesù il suo Signore.
V DOMENICA DI QUARESIMA:
“Lazzaro”
fra’ Sebastiano Luciani, “SEBASTIANO DEL PIOMBO” Venezia 1485 - Roma 1547
Nelle sue opere sono evidenti le influenze avute durante la sua formazione che avviene, da
Giovanni Bellini e Giorgione. Nel 1511 si stabilisce a Roma, dove dal 1515 inizia una
collaborazione artistica con Michelangelo. Nelle sue opere unisce i colori caldi tipici della scuola
veneziana con la chiarezza del disegno anatomico michelangiolesco.
Dal 1520-1530, dopo la morte di Raffaello nel 1520, diventa il ricercato ritrattista di Roma.
Nel 1531 Papa Clemente VII gli conferisce il posto, ben remunerato, di custode del sigillo
papale, chiamato “piombino”, da qui il suo soprannome Del Piombo.
Durante gli ultimi 17 anni della sua vita la sua produzione artistica si riduce notevolmente,
proprio per l'agiatezza economica raggiunta.
Muore a Roma nel 1547 e viene sepolto nella chiesa di Santa Maria del Popolo.
Uno sguardo al dipinto
Questo dipinto è custodito a Londra presso la National Gallery.
Osserviamo l’atteggiamento dei vari personaggi dell’episodio:
MARTA è la persona attiva, intraprendente, che non si rassegna alla morte del fratello,
avanza delle obiezioni, anzi delle ipotesi che hanno il sapore del rimprovero: “Se tu fossi stato
qui…” Nel dipinto è la donna che sta in piedi alla destra di Gesù; reagisce animatamente come
è tipico del suo carattere pratico e impulsivo. E’ amica di Gesù, lo stima, è sua discepola, ma
deve compiere un salto di qualità, deve entrare nella fede, credendo al mistero della vita
nascosto in Gesù. La vera domanda di fronte al mistero della morte non è mai “Perché?”,
nemmeno di fronte alle tragedie più assurde, bensì “Che senso ha?” “Come fare perché non
accadano altre tragedie?” “Cosa va cambiato in me e attorno a me?” “Quale atteggiamento
assumere perché trionfi la vita, si raggiungano la felicità e la serenità?”.
MARIA nel dipinto è in ginocchio davanti a Gesù, in una posa che esprime adorazione e
trasporto. Persona di poche parole, silenziosa, sa ascoltare molto ma non rinuncia a cercare il
senso degli avvenimenti pur senza trovarlo. In attesa di qualcosa di nuovo da parte di Gesù.
DISCEPOLI non comprendono Gesù che non si affretta a raggiungere Lazzaro, malato. Poi,
quando lui si decide a partire, fanno resistenza per paura mentre alcuni di loro,
sopravvalutando le proprie forze, si dichiarano pronti a morire con lui. Anche loro faticano a
cogliere il senso pasquale di ciò che sta per accadere: per loro Lazzaro sta dormendo mentre
Gesù ha parlato di morte. Difficilmente c’è sintonia, nel Vangelo, tra il modo di pensare di Gesù
e quello dei discepoli: anche questo è motivo di solitudine per Gesù.
GESÙ va al sepolcro e piange solidarizzando in tal modo col dolore di Marta e Maria, non
con la loro disperazione. Nel dipinto Gesù assume una posa energica e risoluta suscitando
un’ondata di sgomento fra i presenti. “Lazzaro, vieni fuori”: solo un amore spinto fino alla
passione, capace di affrontare i fraintendimenti, fa “venir fuori”, dona la vita, aiuta a crescere,
fa maturare gli altri.
LAZZARO esce dalla tomba avvolto parzialmente da bende e teli funerari ma con un fisico
muscoloso, virile che anticipa i nudi di Michelangelo.
PIETRO la persona a destra di Gesù che mostra i palmi delle mani, fa da collegamento fra
i due gruppi contrapposti dei credenti e dei miscredenti, rappresentati da coloro che si coprono
il volto e il naso per il fetore; sono gli scribi e i farisei riconoscibili dai vestiti e dai lineamenti
caricati in senso negativo.
Il pittore ha immaginato che la Resurrezione di Lazzaro avvenga a Roma, sulle rive del Tevere,
ed in un flusso tenebroso di luce si vede in lontananza, dietro alle sacre figure, la sponda del
fiume, con delle donne che vanno a lavare i panni (un semplice episodio di vita quotidiana): si
vedono in lontananza. In primo piano giganteggiano le figure sacre, e Gesù sembra un antico
romano, un oratore, un uomo che sta pronunciando una sentenza che resterà solenne nella
storia; e di fronte a lui Lazzaro, che si risveglia dalla tomba, e sembra un titano, un pugile, che
è stato colpito duramente, ma che è ancora forte e potente.
La luce che pervade il paesaggio, ma anche la scena inferiore, ricorda molto la pittura veneziana
di Giorgione. L'illuminazione, creata da un cielo nuvoloso dal quale filtra una luce polarizzata,
crea effetti chiaroscurali che danno grande risalto ai colori delle vesti dei personaggi.
L'alternanza di luci e ombre molto incise, insieme al vario cromatismo della scena, rendono
questo dipinto uno dei migliori esempi di quella pittura tonale, nata a Venezia in quegli anni.
Momento conclusivo di preghiera
Dall’ omelia di papa Giovanni Paolo II durante la celebrazione della Parola con il mondo della Cultura e dell’Arte presso la Chiesa della Santa Croce a Varsavia, 13 giugnio 1987
3. Esprimo dunque la gioia che durante questo mio pellegrinaggio in Patria, mi viene dato di incontrarmi con l’ambiente degli uomini della cultura, dell’arte, della multiforme e molteplice creatività artistica. Adam Chmielowski, il beato frà Albert, disse: “l’essenza dell’arte è l’anima che si esprime nello stile”. Ognuno di voi rende una particolare testimonianza all’uomo: a ciò che è la giusta dimensione della sua esistenza. “Non di solo pane vivrà l’uomo” (Mt 4, 4). Anche se ci rendiamo conto di quanto siano importanti i problemi del pane, quanto dipenda da essi, nella vita dell’intera umanità e di tutte le nazioni - nella vita delle singole persone e famiglie - queste parole di Cristo ci convincono: “non di solo pane”. Non di solo pane. L’uomo ha ancora un’altra dimensione dei bisogni, e un’altra dimensione delle possibilità. La sua esistenza viene determinata dall’intimo rapporto con la verità, il bene e il bello. L’essenziale per una persona umana è la trascendenza - e ciò che essa comporta: un’altra fame. La fame dello spirito umano. Perciò Cristo dice (e ricordiamo che lo disse al demonio mentre era tentato): “non di solo pane . . . ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4). I bisogni umani si uniscono alla dimensione del verbo - Logos - e dunque della verità. Essi si uniscono anche con la dimensione dell’Ethos: e dunque della libertà guidata dalla verità. La fame della libertà viene saziata definitivamente per mezzo dell’amore! Il pane . . . e la Parola. Economia e Cultura. Esse forse si escludono? Si combattono reciprocamente? No, semplicemente si completano. Tuttavia dalla posizione della pienezza dell’uomo bisogna, che anche l’economia partecipi alla cultura. Che le sia essenzialmente subordinata. Questo infatti significa: il primato di ciò che è più profondamente umano. Parlando agli scrittori, un anno prima di morire, il Primate Wyszynski disse: “La parola, che è un dono di Dio, deve essere piena di sole e curativa. Oltre venti anni fa si è tenuto a Jasna Gora il primo convegno del dopoguerra degli scrittori cattolici. Dovevo parlare loro. Davanti agli occhi mi si presentò in modo chiaro l’immagine di Lazzaro, giacente alla porta di una grande residenza, dove un ricco, vestito di bisso, banchettava lautamente. Quest’uomo povero, coperto di piaghe, moriva di fame poiché non gli avevano dato niente dalla tavola del ricco, solamente i cani leccavano le piaghe di Lazzaro. Mi era venuta con insistenza nella mente allora quest’analogia, tanto adatta ai creatori della cultura, agli scrittori: questo è un compito nobile e terapeutico - lambire le ferite dell’uomo sconfitto, curare la nazione, curare gli uomini”. 4. Leggiamo della prima comunità raccolta intorno agli apostoli, che “spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore” (At 2, 46). L’Eucaristia costituisce il centro di questa comunità che si raccoglie accanto agli apostoli. L’Eucaristia è il memoriale della morte e della risurrezione di Cristo. Proclama e rinnova la sua prima venuta redentrice - ed annunzia quella seconda: definitiva. E’ il santissimo Sacramento della nostra fede. Cristo sazia la più profonda fame dell’essere umano. Proprio così è la fame dell’amore. Ed Egli è colui che “amò sino alla fine”. 5. La comunità raccolta accanto agli apostoli, assidua “nella frazione del pane”, cerca allo stesso tempo di guardare sé stessa, la propria vita e vocazione, alla luce di queste parole su Cristo. E contemporaneamente parlano dell’Eucaristia. È sufficiente solo riceverla? La Eucaristia è il cibo - dunque bisogna vivere di essa. Lo spirito umano vive della verità e dell’amore. Da qui nasce anche il bisogno della bellezza. Disse il poeta: “Che cosa sai della bellezza? . . . È la forma dell’amore” (C. Norwid). E questo è l’amore creativo. L’amore che elargisce l’ispirazione. Provvede i motivi più profondi nell’attività creativa dell’uomo. Come lontano va qui Norwid, mentre dice: “Poiché la bellezza è per incantare il lavoro - il lavoro, Per risorgere”. Come lontano va il nostro “quarto poeta vaticinatore”! È difficile resistere alla convinzione, che con queste parole egli è diventato uno dei precursori del Vaticano II e del suo ricco insegnamento. Sapeva leggere così profondamente il mistero pasquale di Cristo. Tradurlo con tanta precisione nel linguaggio della vita e della vocazione cristiana. Il rapporto tra bellezza - lavoro - risurrezione: il midollo stesso dell’“esse et operari” cristiano. 6. “Che cosa sai della bellezza? . . . È la forma dell’amore”. La vostra vocazione, cari fratelli e sorelle, è la bellezza. Creare oggetti belli. Trarre la bellezza nella molteplice materia della creatività umana: nella materia delle parole e dei suoni, nella materia dei colori e delle tonalità, nella materia dei blocchi scultorei o architettonici, nella materia dei gesti con cui si esprime e parla questa particolarissima materia del mondo visibile quale è il corpo umano. “Che cosa sai della bellezza? . . . È la forma dell’amore”.