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NOTE LA FONTE SACRA DI LOCRI DEDICATA A PAN ED ALLE NINFE. La scoperta recenti ss ima di una grotta sa - cra, messa in luce nella contrada Caruso-Polisà a Locri dagli scavi della Soprintendenza alle An- tichità della Calabria, porta elementi nuovis- simi per la storia e per la religione di que sta antica città, la cui vita è intimamente conne ssa alle vicende politiche della Magna Grecia. Si tratta (figg. 1-2) di una cavità praticata nella roccia tufacea del luogo, alta circa m. 4, che si apre a metà del pendìo della riva destra del torrente Caruso. Abbondanti stalattiti, for- mate dalle infiltrazioni d'acqua che ancor oggi si rinnovano come un tempo, tappezzano le pa- reti della grotta. Dentro la grotta è rimasto in situ un altare formato da tre blocchi irrego- lari di tufo teneris simo su cui è la vera ara, sa- gomata con rozze cornici e con i due corni pri- mitivi che limitano il campo destinato alle of- fert e. Due imponenti tubature fittili, di m. 0,68 di diametro, facilitavano, a diverso livello, lo scarico dell'acqua che filtrava attraverso la roc- cia e si raccoglieva entro il bacino sotto stante (fig. 2) 1). Come si vede, un apparato topo grafico sempliciss imo, che bene corrisponde a quanto conosciamo di queste grotte-fonti sacre special- mente note dalla pendice settentrionale del- l'Acropoli di Atene. Le due grotte, ad oriente ed occidente di questa pendice, conservano trac- ce di ex -voto infissi nella roccia, mentre alcune iscrizioni documentano il culto che era partico- larmente onorato in quel luogo; non soltanto Pan e le Ninfe , ma anche Eros ed Afrodit e sono venerati su quel lato dell'Acropoli che scavi recenti hanno ormai completamente rive- lato alla scienza 2). A Locri, oltre alla grotta, le tubature e l'altare sono gli unici indizi topo- grafici che attestano un luogo di culto attorno ad una sacra fonte. Dobbiamo quindi ricorrere allo studio del materiale fittile rinvenuto nella grotta per iden- l) Lo scavo della grotta sacra, condotto nel mag- gio 1940 - XVIII dalla Soprintendenza alle Antichità della Calabria, ha avuto l'appoggio autorevole ed ap- pa ssionato dell' Eccellenza il Pref etto di Reggio Cala- bria che, attraverso l'Ente Provinciale pel Turismo, ha voluto far int egrare con un contributo speciale i fondi della Soprintendenza, ed ha così reso possibile una esplorazione veramente completa della zona. Il pro- ' pri etario del terreno, Dott. Giacomo Scaglione, ha ri- tificare il culto od i culti che quivi erano ce- lebrati. * * * Il materiale pm carattenstICo, che costitui- sce l'assoluta novità di questa stip e sacra, è formato anzitutto da la str e fittili rettangolari di diverse dimensioni con tr e testine femminili disposte in alto a rilievo. Dall' enorme quantità di que sti pinahes nuovissimi, scegliamo qual- cuno degli esemplari più interes santi e completi. Quello della fig. 3 è di una matrice sufficiente- mente fresca; ai lati , la tavoletta è limitata da due tir si; verso l'orlo sup eriore essa diminui sce di spessore per dar luogo a tre test e fe mminili, con kalathos sul capo, dall'identica acconciatura; i capelli, divi si sulla fronte, scendono lunghi ed intrecciati ai lati del collo sulle spalle (alt. 0,20, largh. 0,09). Pur essendo identica la matrice, non è difficile scorgere nel volto centrale un tentativo di caratterizzare i tratti fi sionomici con qualche colpo di stecca. Ma è un ca so ' qua si unico, chè gli altri tipi invece ripetono tutti l'identico stampo. L'orlo superiore della tavol etta ha una spiccata ondulazione corrispon- dente alle tre teste, non sempre mantenuta però negli altri esemplari . Posteriormente le tavo- lette, che sono a doppia lamina, hanno un foro triangolare piuttosto grand e, de stinato eviden- temente per appenderle ad una parete. Non credo sia difficile identificare le tre te ste femminili con quelle delle Ninfe, divinità di sa- cre fonti spesso rappresentate in triadi e fre- quentemente adorate in Sicilia proprio so tto que- sta forma. Basta ricordare il rilievo di Camàro e quello , più piccolo ma non meno caratteri- stico, di Siracusa 3) . La somiglianza di questo tipo di teste con quello dei rilievi di Camàro e di Siracusa è tale da non permettere dubbi di sorta; non è poi da trascurare la notizia di Timeo fr . 83 che identifica queste Ninfe con le Korai o le Metères, e le rende tutte simili tra di loro. Questo spiegherebbe anche la confu- all'indennizzo spettantegli per l'occupazione del terreno. 2) P. MINGAZZINI, I culti delle grotte sacre dal lato nord dell'Acropoli, BolI. Studi Storico ':: religiosi, 1921; W. JUDEICH, Topographie von Athen 2, 1931, p. 302; O. BRoNEER, in Hesperia, 1932, pp. 31 sgg., 1933, p. 60 sgg.; Arch. Anz., 1933, p. 193. 3) P. E. ARIAS, Sul culto delle Ninfe a Siracusa, in Rendic. Acc. Linc., 1936, p. 605 sgg. ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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NOTE

LA FONTE SACRA DI LOCRI DEDICATA A PAN ED ALLE NINFE.

La scoperta recentissima di una grotta sa­cra, messa in luce nella contrada Caruso-Polisà a Locri dagli scavi della Soprintendenza alle An­tichità della Calabria, porta elementi nuovis­simi per la storia e per la religione di questa antica città, la cui vita è intimamente connessa alle vicende politiche della Magna Grecia.

Si tratta (figg. 1-2) di una cavità praticata nella roccia tufacea del luogo, alta circa m. 4, che si apre a metà del pendìo della riva destra del torrente Caruso. Abbondanti stalattiti, for­mate dalle infiltrazioni d'acqua che ancor oggi si rinnovano come un tempo, tappezzano le pa­reti della grotta. Dentro la grotta è rimasto in situ un altare formato da tre blocchi irrego­lari di tufo tenerissimo su cui è la vera ara, sa­gomata con rozze cornici e con i due corni pri­mitivi che limitano il campo destinato alle of­ferte.

Due imponenti tubature fittili, di m. 0,68 di diametro, facilitavano, a diverso livello, lo scarico dell'acqua che filtrava attraverso la roc­cia e si raccoglieva entro il bacino sotto stante (fig. 2) 1). Come si vede, un apparato topo grafico semplicissimo, che bene corrisponde a quanto conosciamo di queste grotte-fonti sacre special­mente note dalla pendice settentrionale del­l'Acropoli di Atene. Le due grotte, ad oriente ed occidente di questa pendice, conservano trac­ce di ex-voto infissi nella roccia, mentre alcune iscrizioni documentano il culto che era partico­larmente onorato in quel luogo; non soltanto Pan e le Ninfe, ma anche Eros ed Afrodite sono venerati su quel lato dell'Acropoli che scavi recenti hanno ormai completamente rive­lato alla scienza 2). A Locri, oltre alla grotta, le tubature e l'altare sono gli unici indizi topo­grafici che attestano un luogo di culto attorno ad una sacra fonte.

Dobbiamo quindi ricorrere allo studio del materiale fittile rinvenuto nella grotta per iden-

l) Lo scavo della grotta sacra, condotto nel mag­gio 1940 - XVIII dalla Soprintendenza alle Antichità della Calabria, ha avuto l'appoggio autorevole ed ap­passionato dell' Eccellenza il Prefetto di Reggio Cala­bria che, attraverso l'Ente Provinciale pel Turismo, ha voluto far integrare con un contributo speciale i fondi della Soprintendenza, ed ha così reso possibile una esplorazione veramente completa della zona. Il pro- ' prietario del terreno, Dott. Giacomo Scaglione, ha ri-

tificare il culto od i culti che quivi erano ce­lebrati.

* * *

Il materiale pm carattenstICo, che costitui­sce l'assoluta novità di questa stipe sacra, è formato anzitutto da lastre fittili rettangolari di diverse dimensioni con tre testine femminili disposte in alto a rilievo. Dall'enorme quantità di questi pinahes nuovissimi, scegliamo qual­cuno degli esemplari più interessanti e completi. Quello della fig. 3 è di una matrice sufficiente­mente fresca; ai lati, la tavoletta è limitata da due tirsi; verso l'orlo superiore essa diminuisce di spessore per dar luogo a tre teste femminili, con kalathos sul capo, dall'identica acconciatura; i capelli, divisi sulla fronte, scendono lunghi ed intrecciati ai lati del collo sulle spalle (alt. 0,20, largh. 0,09). Pur essendo identica la matrice, non è difficile scorgere nel volto centrale un tentativo di caratterizzare i tratti fi sionomici con qualche colpo di st ecca. Ma è un caso ' quasi unico, chè gli altri tipi invece ripetono tutti l'identico stampo. L'orlo superiore della tavoletta ha una spiccata ondulazione corrispon­dente alle tre teste, non sempre mantenuta però negli altri esemplari. Posteriormente le tavo­lette, che sono a doppia lamina, hanno un foro triangolare piuttosto grande, destinato eviden­temente per appenderle ad una parete.

Non credo sia difficile identificare le tre teste femminili con quelle delle Ninfe, divinità di sa­cre fonti spesso rappresentate in triadi e fre­quentemente adorate in Sicilia proprio sotto que­sta forma. Basta ricordare il rilievo di Camàro e quello, più piccolo ma non m eno caratteri­stico, di Siracusa 3) . La somiglianza di questo tipo di teste con quello dei rilievi di Camàro e di Siracusa è tale da non permettere dubbi di sorta; non è poi da trascurare la notizia di Timeo fr. 83 che identifica queste Ninfe con le Korai o le Metères, e le rende tutte simili tra di loro. Questo spiegherebbe anche la confu-

n~nciato all'indennizzo spettantegli per l'occupazione del terreno.

2) P. MINGAZZINI, I culti delle grotte sacre dal lato nord dell'Acropoli, BolI. Studi Storico'::religiosi, 1921; W. J UDEICH, Topographie von Athen 2, 1931, p. 302; O. BRoNEER , in Hesperia, 1932, pp. 31 sgg., 1933, p. 60 sgg.; Arch. Anz., 1933, p. 193.

3) P. E. ARIAS, Sul culto delle Ninfe a Siracusa, in Rendic. Acc. Linc., 1936, p. 605 sgg.

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TAV. L I ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

Fig. 3. Pinax, rin venuto a Locri.

Fig. 6. P a n, a ltorilievo rinvenuto a Locri.

Fig. 4. Pinax, rin venuto nella Fonte aera di Locri.

Fig. 7. E ros, rinvenuto a Locri.

TAV. L V.

Fig. 5. Pinax, rin venuto nella Fonte acrn di Locri .

Fig. 8. Testa muliebre, rinvenuta a Locri.

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sione che spesso avviene tra queste figure for­nite di Kalathos che si sogliono identificare co­m e Kore o Demeter, e che sono frequenti spe-cialmente in Sicilia. .

Se, poi, l'interpretazione di Ninfe data a quest e t est e lasciasse ancora qualche dubbio, basterebbe, per confermarla, esaminare l'altro pinax della fig. 4 (alt. 0,145, largh. 0,07) dove, nella parte inferiore, si apre una grotta natu­rale entro la quale è seduto, con le zampe ca­prine incrociate, il braccio destro portato sulla spalla sinistra e la testa inclinata a sinistra, un Paniskos dai lunghi capelli, che punta il brac­cio sinistro sul piccolo altare rettangolare che gli sta al fianco. La grotta ha in alto, ai due angoli, due rozze e consunte antefisse leonine, m entre ai lati di Pan sono impressi sull'orlo due dischetti quasi creati dall'impronta d'un polpastrello di dito, che forse vogliono rappre­sentare i timpani al suono dei quali spesso danza il dio Pan.

E sul carattere acquatico di queste tre divi­nità c'informa anche la t erza tavoletta della fig. 5 (alt. 0,15, largh. 0,08), dove nella parte inferiore, entro un riquadro trapezoidale, è un toro androprosopo, dal volto solennemente bar­bato di prospetto - visto però nel dorso -, per­fettamente di profilo. La divinità del fiume, che scorre proprio pochi metri al disotto della grotta, è rappresentata in questa figura animalesca che trova la sua espressione fin dall'età arcaica nei tipi di Acheloo passati in Sicilia nella rappre­sentazione notissima del Gela. Ed il capro che esce dal fianco di un'altra tavoletta (alt. 0,061, largh. 0,05) conferma questa unione religiosa di Pan e delle Ninfe sulla quale si è insistito sopra.

Un'altra rappresentazione di Pan è. quella dell'altorilievo della fig. 6 (alt. 0,16, largh. 0,11) dove il dio nudo e barbato siede su di un alto masso entro la grotta, e tiene con le mani al petto la siringa. Il volto è agitato da una smor­fia di grande freschezza e vivacità, mentre il corpo si aflloscia pesantemente accentuando la natura ferina di questa divinità silvestre. L'as­senza di convenzionalismo di questo rilievo non si riscontra invece nell'altro Pan barbato e con cornucopia (alt. 0,13) che è prodotto di uno stampo consunto. È interessante rilevare come il Pan della fig. 6, creazione tipicamente elleni­stica, trovi confronto in una statuetta marmorea di Corinto che doveva servire per fontana e che lo riproduce in maniera assai simile 4).

Fra la immensa quantità di materiale fit-

tile che è apparso da' questo deposito sacro, vanno segnalati altri tipi statuari che denotano la vastità di concezione e la varietà dell'indu­stria fittile locrese di età ellenistica. In una delle grotte fittili che studieremo più oltre - e proprio in quella della fig. lO - è apparsa una graziosa statuetta di Eros acefalo (fig. 7) alato, con la lepre nel braccio sinistro (alt. 0,172), mentre dalla massa delle statuette emerge l a Menade semisdraiata (lung. 0,18, largh. masso 0,075) che posa il capo sul braccio sinistro pie­gato e si distende voluttuosamente sulla pelle ferina gettata sul masso roccioso.

Oltre alle solite numerosissime statuette nu­de femminili sedute, con kalathos in capo - le cosiddette « pupe» dell'Orsi che sono forse da identificare con Afrodite o con lo hierodoulai del tempio - ed alle numerose statuette panneg­giate femminili del tipo della grande Ercola­nese, una gran quantità di testine di tutti i tipi rende vario quanto mai il materiale sca­vato. Tra queste, una si leva particolarmente per il tono della linea entro cui si racchiude il volto, e per la cura di tutti i particolari che contribuiscono a darle un aspetto divino (fig. 8 alt. 0,10, prof. 0,10). La chioma è cinta in alto da un cercine, ed è violentemente ma ordi­natamente agitata in modo da assumere un aspetto serpentino; entro il cercine, la chioma è resa soltanto da solchi incisi regolari e non con masse plastiche come nel resto del capo; posteriormente poi, essa si raccoglie entro un sakkos che copre la nuca. La testa doveva es­sere inserita a parte, come dimostra il taglio netto sotto il collo. La costruzione larga del volto, i tratti ampi e solenni, l'agitazione della chioma, son tutti caratteri che fan pensare ad una divinità come Kore od Afrodite più che ad una Ninfa.

• • • Tra le più caratteristiche novità che ha of­

ferto lo scavo!è quella della scoperta di pic­coli e grandi modelli fittili di fonti sacre, di notevole varietà e interesse. Il più piccolo di essi (fig. 9, alt. 0,27) è sagomato a caverna con due aperture ogivali concentriche; sulle pa­reti di fronte, oltre alle numerose felci che de­notano la località umida, sono due maschere leonine consunte. Esternamente, impostato sulla gobba della prima- caverna, è un colletto alto 6 cm. che forma il bacino di raccolta dell'acqua

4) Amer. Journ. Arch. , 1938, p. 364, fig. 2. Cfr. del resto il tipo in S. REINACH, R epert. stato gr. et rom., III, p. 21, lO; V, p. 25, 5.

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TAV. LXVI.

Fig. 9. Modello fittil e di Fonte Sacra, Fig. lO. Mod ello fittil e di Fonte aera, rinvenuto a Locri. rinvenuto a Locri.

Fig. 11. Modello fittil e di Fonte aera, rinvenuto a Locri.

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LE ARTI --------------------------------------------- 179 ------

che filtra così per stillicidio entro la grotta, pro­prio come avveniva nella realtà nell'antro sco­perto. I bacini di raccolta sono due, l'interno lie­vemente più alto dell'esterno, onde permettere che l'acqua possa scorrere in basso e defluire.

Non molto diverso, per quanto più ampio e più originale, il modello fittile della fig. l (alt. 0,47, largh. masso 0,35, prof. esterna 0,28) sug­gerisce numerose osservazioni; l'apertura della caverna (largh. 0,21) è a quattro archi ogivali concentrici. Sulla fronte di tre di essi sono ma­schere leonine destinate a fingere bocche di getto d'acqua, mentre dappertutto nella caverna finte stalattiti dànno la sensazione 'della selvag­gia umidità del luogo resa anche, più evidente dalle finte incrostazioni conchiglifere. Dietro la caverna è pure un bacino di raccolta diviso in tre parti e frammentario. La forma è fresca, non a stampo, il modello è frutto di lavoro ori­ginale di stecca, di una concezione personale e geniale.

L'ultimo modello della fig. Il rappresenta pure una fonte monumentale; si tratta di un edifizio rettangolare coperto da un tetto di t e­goloni con antefisse leonine, entro il quale si apre, inferiormente, il bacino di raccolta el­lissoidale diviso in due piani sulla parete ver­ticale. Sotto le antefisse leonine, un'altra fila di antefisse, di cui esistono solo visibili tracce, costituiscono le bocche di getto della fonte, che sono in comunicazione col serbatoio dell'acqua; questo è formato da una cavità orizzontale ci­lindrica praticata nello spessore dell'edicola in alto, con un'apertura circolare sul tetto. Qui, dunque, oltre che per stillicidio e trasudamento nell'interno del bacino di raccolta, l'acqua usciva dalle bocche con un vero e proprio zampillo.

Lo studio di altri tre modelli fittili, ancora più grandi ed originali dei precedenti, attual­mente al restauro, potrà offrire elementi posi­tivi per la storia monumentale di queste fon­tane ellenistiche tanto diffuse nei santuari più 'celebri dell'antichità, ed eredi sicure di quelle case-fontane di età arcaica che sono oggi ben conosciute dopo le scoperte di Lemno (). D'altro

5) A proposito delle scoperte di Lemno e delle case­fontane fittili si cfr. MUSTILLI, in Ann. Se. Areh. lt. Atone 1938; si ricordi poi la fonte ellenistica di Nidri a Leu­cade (Areh. Anz., 50, 1935, p. 211), quella di Sicione (Areh. Anz., id. p. 211) e lo studio dello sviluppo delle fontane monumentali di Erna (Lange in Areh. Anz., 35, 1920, pp. 100 sgg.). Si aggiunga per la nostra fonte, la menzione della scoperta d'un frammento di maschera leonina importante per supporre che anche essa possedesse un prospetto architettonico. Nei modelli fittili qui de­scritti propenderei a vedere un residuo molto arcaico nella duplice o triplice divisione dei bacini di raccolta

lato, potrà anche essere illuminata, da questi modelli, l'architettura ,monumentale dei grandi ninfeP'dell'Asia Minore.

* * * Tutto questo complesso di scoperte qui ra­

pidamente passato in rassegna, porta un con­tributo importantissimo alla conoscenza di Lo­cri Epizefirii ellenistica.

Dall'esame accurato delle note di scavo di questa fonte sacra, e dall'analisi del materiale fittile qui riprodotto in piccola parte, emergono due fatti fondamentali; la fonte sacra sorge al di fuori delle mura di cinta della città, vicino al torrente Caruso, e sul pendìo della collina sulla quale doveva essere la città ellenistica 6) ; essa non è stata lungamente in vita, poichè l'evoluzione delle terrecotte dimostra chiaramen­te che breve fu il periodo del suo splendore . Crediamo dunque probabile che la fonte abbia vissuto nella prima metà del II secolo a. C. e che sia stata aperta dopo il sacco di Locri del 205 a. C. e del 200 a. C. ad opera di Pleminius (LIv., XXIX, 9, lO sgg., 17, 19 sgg.). La va­rietà del materiale, l'esistenza delle cosiddette Ercolanesi e delle statuette tipo Tanagra tra il materiale fittile, dimostrano una forza non co­mune d'influenze elleniche, comprensibile anche per la fama del suo santuario. Se si pensa che ' nel 171 a. C. Locri dà a Roma due triremi per la guerra contro Perseo (LIV., XLII, 48, 7), e che essa è in intimo contatto con la Grecia madre, si può ben attribuire la fonte alla prima metà del II secolo a. C., quando ormai le lotte tra Pino e Roma, tra Annibale e Roma, di cui Locri era stata parte attiva con alterna vicenda, erano sopite in un benessere di cui ci è giunta l'eco attraverso la tradizione letteraria. D'altro lato, il nuovo materiale ' fittile locrese mostra motivi ellenistici talmente ' evoluti da non per­mettere di arretrare maggiormente ' nel tempo il deposito sacro .

La povertà delle notizie sul culto delle Ninfe nella Magna Grecia è estrema; un accenno d'uno

dell'acqua. Su questi modelli monumentali ritornerò con un lavoro completo quando sarà ultimato il restauro di tutti; indispensabile è tener presente, per questo pro­blema, lo studio di B. DUNKLEY, in Ann. Br. Seh. Athens, 1938-XXXVI, pp. 142-204.

6) Sul sito dove sorgeva la città ellenistica credo di aver trovato indizi importanti con la scoperta del tea­tro in contrada Pirettina, al quale verranno dedicate future campagne di scavo. Ora, la contrada Pirettina non è in linea d'aria lontana da quella Caruso-Polisà; inoltre il pianoro al disopra della contrada Caruso è ricco di frammenti ellenistici di ogni specie.

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scolio teocriteo ad un culto di Ninfe presso Si­-bari, un altro in terra messapica, un terzo a Cuma, un quarto ad Ischia. La tradizione lette­raria e figurativa non ricorda un simile culto a Locri; ma a chi ben guardi, non può sfuggire la notizia d'un culto delle Cariti o, più proba­bilmente secondo una congettura del Diehl ' ), delle Muse, quale ci è attestato da PIND., 01., X, 14 e frg. 1406,63 sgg. (Diehl). Noi crediamo che la Grotta sacra delle Ninfe e di Pan sia una continuazione ellenistica d'un culto antichis­simo locrese, che getta qualche bagliore di luce sia su un pinax con Eros ed Mrodite f), sia sulle sporadiche ma frequenti notizie sui tlmtflt­"à ~(1pa'"Ca e sull'uso della prostituzione sacra. L'abbondanza di queste figurette nude di hie­rodoulai che si son trovate alla Mannella, e che nella nostra stipe si ripetono con uno stanco schema arcaico ormai stereotipato, dim9stra che il culto di queste Ninfe ~ra connesso con un culto erotico, panico e dionisiaco, di cui la poe­sia di Stesicoro, di Senocrate, di Teano e di Nossis doveva celebrare la voluttuosa grazia.

Lo studio di questa ricchissima stipe sacra, che qui si è adombrato nelle sue idee essenziali, dimostra che Locri, anche in età repubblicana, mantiene vivo il suo carattere ellenico e lo in­fonde in u.na sel·ie di opere fittili che hanno anche carattere originale. Dall'epoca dei pina­kes arcaici in poi, sembrava che le officine fit­tili locresi avessero sempre taciuto . Risorge in­vece l'industria fittile nel II secolo a. C., con motivi geniali che .fanno di Locri una delle cit­tà italiote -più degne della passione dell'archeo­logo .

PAOLO ENRICO ARIAS.

VASI ATTICI CON FIGURE ROSSE DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DI GENOVA-PEGLI.

Nel Museo Civico d'Archeologia Ligure di P egli esiste una bella raccolta di vasi Greci. Alcuni di essi provengono dagli scavi della ne-

7 Si veda PAULy-WISSOVA, Real Encykl. Altertumwiss, XIII, 2, p. 1355, s. v. Lokroi Epizephyrioi (W. Adfather).

8 Q. QUAGLIATI, in Ausonia, 1908, p. 190.

NOTA. - Sento il dovere di ringraziare qui pubblicamen­te i professori e colleghi Cons. Naz. G. Q. A. Giglioli della R. Università di Roma, Dott. Martin Robertson del Br. Mus., Dott. Ernst Wedeking c Nicola Mossolow dell'Ist.i­tuto Archeologico Germanico, Prof. Costantino Bulas della R. Università di Cracovia, Dott. Elena Zevi (Roma), e Prof. Nina Sardo (Palermo) che mi furono larghi del loro aiuto fornendomi notizie e fotografie o facendo per me ricerche.

cropoli di Genova e sono stati già pubblicati c studiati 1); altri, quelli della collezione lasciata alla città di Genova da S. A. R. il Principe Odo­ne di Savoia, sono tutt'ora inediti e per la mas­sima parte quasi ignoti agli studiosi, nonostant e vi siano fra essi pezzi di grande interesse. Credo quindi di non fare cosa iI?-utile segnalando qui il gruppo artisticamente più importante, quello cioè dei vasi attici con figure ros'se.

Cronologicamente in testa alle serie sta una pelike di stile severo 2), nella quale una sola figura per ciascun lato spicca sul fondo intera­mente nero del vaso (figg. 1,2). Nessuna dc­corazione all'infuori di un breve tratto di mean­dro aperto al di sotto delle figure e di una linea rossa un poco più in basso.

I personaggi sono due satiri, dalle orecchie equine, dalla folta barba e dalle sp esse soprac­ciglia, come ama rappresentarli l'arte del prin­cipio del V secolo a. C. L'uno di essi, stante, itifallico, ha gettato sulle spalle a guisa di man­tello lo himation, che cade in lunghe p ieghe facendo un magnifico sfondo alla figura.

Il secondo invece, interamente nudo, siede su una roccia stringendo fra le braccia tese il ginocchio sinistro. E la posizione vivace ed ela­stica che si ritroverà più tardi nell'Ares del fregio di Partenone e nell'Ares Ludovisi.

Quanto mai caratteristico è il modo con cui sono indicati i particolari anatomici, espressi con tratti neri o a vernice diluita. Le digita­zioni del gran dentato sono formate da due serie di V contrapposti per il vertice, l'arcata epigastrica è indicata stranamente da una sp e­cie di occhiello il cui contorno superiore si pro­lunga in basso fin quasi all'anca segnando il termine delle costole, la cresta iliaca è a tri­plice curva. È facile riconoscere sia nello stile generale, sia appunto in queste caratteristiche molto personali dell'artista la mano del « Pit­tore di Berlino » 3).

Anche il trattamento del panneggio, e sp e­cialmente il modo in cui le pieghe del manto del satiro stante terminano inferiormente con

In particolar modo ringrazio il Comm. Orlando Gros­so Direttore dell'Ufficio di Belle Arti e Storia del Comune di Genova per le grandi agevolazioni ('he sempre mi concesse.

l) PARIBENI, in Ausonia, V, 1910, p. 13; RIZZO, N oI. Se., 1910, p. 157.

2) Alt. m. 0,305; diamo alla bocca m.0,142. 3) BEAZLEY, J. H. St. , XXXI (1911), p. 76 sg., e

XLII (1922), p. 70 sg.; V. A., p. 31 sg.; A. V., pp. 76-88 e 469-471; Der Berliner Maler (1930); Mon. Piot., XXXV (1935-36), p. 64 sg.; RICHTER, Red figured Athenian Vasel in the Metropolitan Museum of Art, New York, 1937, I, p.38.

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