Le Apparenze

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Racconto inedito su carta di Alessandro Berselli

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“Le apparenze”di Alessandro Berselli (febbraio 2007)

Odio il carnevale.

E la gente che si diverte.

Quelli che ridono, quelli che cantano, quelli che bevono.

Le persone che stanno bene.

Quelli che sono felici, o che fingono di esserlo, in fondo basta esserne convinti, che differenza c’è?

Li osservo e li odio.

Profondamente, irrazionalmente, fosse per me li ucciderei tutti.

Li prenderei giù dai loro maledetti carri e se avessi una pistola, BANG!, non avrei uno scrupolo che fosse

uno a farli fuori, quegli idioti!

Prendete quella, per esempio.

Se ne sta lì, a dominare la scena, e come mi guarda, poi.

Sarà perché è bella, sarà perché è giovane, e soprattutto sarà perché crede di avere tutta la vita davanti.

Che illusa, mio Dio.

E pensate che ne conosco persino il nome.

Annalisa Malagoli, classe quarta A.

Una mia allieva, una delle più brillanti.

Una a cui della filosofia non gliene frega niente, ma se le chiedi una cosa, TAC!, la sa.

E’ questo che non sopporto.

Impara le cose che non le interessano, e le impara anche bene.

Ti spiega i concetti, e fa persino delle osservazioni.

Sensate, pertinenti, argute ed azzeccate.

Io annuisco e le dico BRAVA, e mi costa non poco doverglielo dire.

Le dico BRAVA e poi le do sette, ma lo so che si merita nove.

Bel lavoro Annalisa, bel lavoro.

La prossima volta ti interrogo su Heidegger, chissà che non riesca a toglierti quel sorriso impertinente dalla

faccia, Cristo.

La maschera che indossi, Annalisa, la conosco bene.

E’ “La persistenza della memoria”, il quadro di Dalì.

Gli orologi molli, il tempo visto come soggettività della percezione umana, un’intuizione geniale, non c’è che

dire.

E le sue amiche non sono certo da meno.

Incappucciate come “Gli amanti” di Magritte, o avvolte in svolazzanti foulard come le donne della De Lempicka.

“Buongiorno professore, ma da cosa si è vestito?”

La “Guernica”, Annalisa, io sono la “Guernica”.

Sono la guerra, la morte, la distruzione.

Sono l’espressione più abietta della natura umana.

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“Ma perché un quadro così triste professore? Perché non si è vestito da “Colazione sull’erba”, o da un

qualcosa di Gauguin?”

Non è il caso, Annalisa, credimi, non è il caso.

E intanto i carri continuano a passare.Mi buttano coriandoli, caramelle e stelle filanti.Un deficiente vestito da diavolo mi sputa addosso e se la ride.Crede che non l’abbia riconosciuto, quello stupido.

“Bergamini, con te facciamo i conti lunedì!”

Ma il diavolo niente, e imperterrito, ride, e sputa, e mi manda a quel paese.Affari tuoi, Bergamini, affari tuoi.Voglio proprio vedere a cosa si riduce la tua baldanza senza la maschera, quando ti chiamo alla lavagnae ti faccio parlare dell’esistenzialismo e della metafisica.Quando cominci a balbettare, a implorare con lo sguardo, e sperare che ti rimandi al posto.Anche con un quattro, al limite, l’importante è che finisca il supplizio.In realtà non credo che lo farò.Non credo proprio che ti rimanderò al posto, mi piace troppo quando sudi, e ti tocchi le mani, e cerchi lerisposte.Non le hai le risposte, Bergamini, non le hai mai avute e mai le avrai.Rassegnati, quindi.Rassegnati.

Il carro si allontana.Vedo altre maschere, altri quadri, altra gente in processione.Ed è come se non ci fossero, Annalisa, perché tutto, della mia attenzione, rimane su di te.Sulla Persistenza della memoria.Sei scesa da quell’enorme drago di cartapesta, adesso, e fumi una sigaretta lasciando che la cenere cadasu quelle due lancette sciolte.Ridi, e questo lo sai, non posso sopportarlo.Mi chiedo cos’è che ti diverte tanto.Stai ridendo di me?Stai ridendo del mio vestito?Stai ridendo di questa mia inadeguatezza ad essere quello che vorrei essere?

Quando non insegno, non valgo nulla.Quando non dispongo di una cattedra, di un’aula, di una lavagna o di un registro, non valgo davvero unaccidenti di niente.Eppure dovreste vedermi quando sono in quella scuola.Quando spiego, interrogo, e sento il destino di quei mocciosi racchiudersi nelle mie mani.La loro paura quando il dito scorre sui cognomi.Alberoni.Baldazzi.Benassi.E’ bellissimo.Il dito scorre e ogni tanto gli occhi si alzano a guardare le vostre facce.Avete paura.Cercate di capire a che lettera sono arrivato.Solo che non serve a nulla, perché poi il dito risale, e poi si ferma, e poi continua, e poi si ferma.

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Tomasini.Suppini.Rizzoli.La faccio durare due minuti questa cosa, non un secondo di più, non un secondo di meno.Poco, direte voi, ma provate a contare.Lasciate passare centoventi secondi e pensate a quel dito.A quella salita, a quella discesa, e ai momenti in cui si ferma.Ambarabaciccicoccò, tre civette sul comò, che facevano l’amore, con la figlia del dottore, il dottore si ammalò,amba-ra-ba-ci-ci-co-cò.Monari.Giusto in mezzo.

Annalisa non ha paura mentre il dito sale, e poi scende.E’ sicura.Anzi, sono quasi certo che spera di essere chiamata.Per umiliarmi.Per dimostrarmi: non m’incanti!Io ti conosco professore, e so bene il ruolo che stai recitandoFai andare su e giù quel dito, ti atteggi a grand’uomo, ma fuori di qui, quando sei nel buio della tua cameretta,che cosa sei, professore?Uno che legge i “filosofi”?Uno che legge Kant, Hegel, Marx, Sant’Agostino?Dio mio, che tristezza.La gente vive e tu leggi i filosofi, professore.E’ come se ti vedessi.Luci basse, musica classica, qualcosa che si scalda sul fuoco.Sei una natura morta, ecco che cosa sei.Nient’altro che una natura morta.

Hai ragione, Annalisa.Sono un quadro da poco, una copia mal fatta, nient’altro che una riproduzione.Con gli altri il gioco regge, ma con te no, tu oramai hai già capito tutto.A te non la si fa.Troppo furba, troppo scaltra, troppo tutto.Ti odio, Annalisa, Dio quanto ti odio.

Adesso sei da sola.Aspetti il tuo ragazzo, i tuoi amici, i tuoi compagni.Per questo ti raggiungo.Per parlarti.Per spiegarti.Per dirti le mie ragioni.

“Dammi un bacio, Annalisa, solo un bacio, per favore”

No, questo non posso dirlo.Annalisa non capirebbe.Si prenderebbe gioco di me, forse, o magari avrebbe paura.Si allontanerebbe.Cercherebbe qualcuno che potesse aiutarla.

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“Fatti accarezzare, dai, ti chiedo solo questo”

Ma anche stavolta la frase non se ne esce.Rimane solo un pensiero, un desiderio, un qualcosa che è meglio tenere nascosto.Ci incamminiamo da qualche parte, e lo facciamo senza parlare.Le persone ci guardano, urlano cose oscene, si danno di gomito, ma va bene così.Qualsiasi cosa pur di non dover tornare a casa a leggere tutti quegli inutili libri di filosofia, da solo, al buio,con la roba che si scalda sul fuoco.Tanto, a cosa serve?A capire la vita, forse?A stare un pochino meglio con sé stessi?Che illuso che sono stato, a pensare che nello studio del pensiero potessero esserci quelle risposte cheda solo ero incapace di trovare.Stupido e illuso.

“Professore, vede questa?”

Si, la vedo Annalisa.E’ una pistola, di quelle che si usano per giocare.Uno scherzo di Carnevale.

“No, professore, non è uno scherzo. E’ una pistola vera. E’ di mio padre. E’ carica e può sparare”

Una pistola vera.Di quelle che fanno male.Di quelle che uccidono, se le usi a dovere.E cosa ci fai con una pistola vera?Vuoi forse far fuori qualcuno?Qui, durante il Carnevale?

“Mi voglio ammazzare, professore, e voglio farlo questa sera. Voglio farlo davanti a lei”

Ammazzarti?Tu?Annalisa Malagoli, classe quarta A?E perché?

“Perché io ho nulla di quello che lei ha, professore”

Non ho la sua sicurezza.Non ho la sua determinazione.Non ho il suo ingegno, la sua cultura, la sua conoscenza della natura umana.Lei possiede la filosofia, professore.Il dono del sapere.Conosce le cose, e ha il privilegio di poterle spiegare.Io vivo di niente.Di persone con le quali rido ma di cui alla fine non me ne frega nulla.Quegli stupidi dei miei amici.Gente inutile, ragazzine, bambocci perduti nella loro immaturità.Non è così che io voglio essere.

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“Io voglio essere come lei, professore”

Solo che so che non lo sarò mai.Per questo voglio morire.Per non dovermi confrontare con una sconfitta annunciata.Per non essere una perdente.

“Dammi quella pistola”

Ma Annalisa non me la da.Piange, indietreggia, e si porta la canna proprio dritta alla testa.

“Stai fermo, professore. Stai fermo. Ti prego, non fare un passo”

Annalisa, Cristo santo.Vorrei parlarti, vorrei spiegarti, vorrei dirti che è quello che hai detto è tutto sbagliato.Ma non mi viene niente.Ti guardo, e non mi viene in mente niente.Non una frase, non un pensiero, nemmeno una parola.Riesco solo a restarmene fermo, come in attesa che tu prema il grilletto.

“Buttala via, dai. Morire non serve a niente”

Ha ragione professore.Morire non serve a niente.Ma perlomeno ci dispensa dal fatto di dover continuare a vivere, e per come mi sento adesso le assicuroche non è affatto poco.

“Tanto lo so che non ti ucciderai”

Annalisa chiude gli occhi, spinge il dito sul grilletto.Si asciuga le lacrime, si prepara a sparare.Prega, saluta le cose che vede, sorride a un bambino vestito da Zorro.Si inginocchia.Si ferma.Appoggia la pistola.

“Non ce la faccio, professore, non sono nemmeno capace di morire”

E’ piccola Annalisa, piccola come probabilmente non è mai stata prima.Non so cosa fare, se avvicinarmi o restare in silenzio, è come se tutto, in me, fosse sbagliato.Inadeguatezza, incapacità di comportarmi.La storia della mia vita, così come è sempre stato.

L’ultimo carro della sfilata ci passa vicino, e lo fa lentamente, quasi recasse con sé il suo carico di morte.Non c’è più gioia, non c’è più festa, solo anime dolenti a condividere insieme il loro dolore, la loro sofferenza,la triste condizione della non appartenenza a nulla che possa avere un senso.Annalisa non fa eccezione, perché nessuno fa eccezione.E’ un mal comune mezzo gaudio, una presa d’atto collettiva, un modo come un altro per cercare disopravvivere.

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Buon carnevale, professore, bel vestito, urla qualcuno.E in quella maschera che si allontana è come se improvvisamente trovassi una ragione a quella pistola chenon ha sparato, così uguale a quella finestra che ogni mattina richiudo, dopo aver guardato il vuoto edessermi chiesto :”Chissà com’è, volare nel nulla”, chissà se le cose acquistano un senso, uno scopo, unobiettivo, o rimangono come sono, incomprensibili domande a cui spero, prima o poi, di poter dare risposta.

“Alzati, Annalisa, non restare lì per terra”

Vattene a casa, che domani ti interrogo.Scegli un argomento, studiatelo a modo, e che vada a quel paese quel maledetto sette, che stavolta il novelo prendi sul serio.

“D’accordo professore, lo farò”

Ti allontani, verso la piazza vuota.Non c’è più nessuno, solo carta, e bottiglie, e girandole che bruciano.Buon carnevale, professore, hanno detto quei ragazzi.Chissà.Che magari alla fine avevano davvero ragione loro.