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1 al sâs 34 - anno XVII - II semestre 2016 Le “10 righe” “Partendo dal recupero della documentazione storica comunale, in sintonia con il programma della Provincia che con la valorizzazione e promozione della storia documentata del territorio vuole realizzare gli archivi dell’area metropolitana, si può ipotizzare la creazione di un Centro di Documentazione Storica con una sede dedicata da stabilire che comprenda: archivio storico comunale, biblioteca specializzata in storia locale, museo della civiltà contadina, sala incontri, sede di una rivista di storia locale che ritrovi le storie e i luoghi del paese perché possano diventare patrimonio e memoria di tutti. Tutto gestito da un gruppo di studi formato da coloro che, per formazione professionale o profonda conoscenza e amore per il nostro Comune, abbiano la volontà di valorizzare e promuovere la storia del territorio”. STORIA NATURA CULTURA 34 anno XVII - II semestre 2016

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1al sâs 34 - anno XVII - I I semestre 2016

Le “10 righe”“Partendo dal recupero della documentazione storica comunale, in sintonia con

il programma della Provincia che con la valorizzazione e promozione della storia

documentata del territorio vuole realizzare gli archivi dell’area metropolitana, si può

ipotizzare la creazione di un Centro di Documentazione Storica con una sede dedicata

da stabilire che comprenda: archivio storico comunale, biblioteca specializzata

in storia locale, museo della civiltà contadina, sala incontri, sede di una rivista di

storia locale che ritrovi le storie e i luoghi del paese perché possano diventare

patrimonio e memoria di tutti. Tutto gestito da un gruppo di studi formato da coloro

che, per formazione professionale o profonda conoscenza e amore per il nostro

Comune, abbiano la volontà di valorizzare e promuovere la storia del territorio”.

storIa natura cultura

34anno XVII - II semestre 2016

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sommario

semestrale di storia, natura, cultura

Rivista edita dal Gruppo di Studi “PROGETTO 10 RIGHE”con il patrocinio dell’Assessorato alla cultura del Comune di Sasso Marconi

Responsabile editoriale: Luciano Bondioli

Direttore Responsabile: Gabriele Mignardi

Condirettore: Luigi Ropa Esposti

Progetto grafico: Elena Gentilini

Impaginazione: Elena Gentilini

Redazione Direzione Amministrazione: Sasso MarconiAutorizzazione del Tribunale di Bologna n. 7035 del 24luglio 2000

Fotocomposizione e stampa: Digi Graf - Casalecchio di Reno (Bo), via Cimarosa 40.

La riproduzione di illustrazioni ed articoli pubblicati sulla rivistaè riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazionedell’editore. Del contenuto degli articoli sono responsabili a tutti glieffetti di legge gli autori degli stessi. il gruppo di studi ringrazia gli amiciche hanno collaborato gratuitamente alla stesura della pubblicazione.

LA COPERTINA

In copertina: da Monte Venere (965 m) si ammirano le cime di Monterumici (561 m) e di Monte Adone (654 m) che svettano sopra le nuvole (foto di Emilio Veggetti).

Gruppo di studi “Progetto 10 righe”Sasso MarconiAssociazione di volontariato culturale senza fini di lucrovia Borgo di Colle Ameno 32 - 40037 Sasso Marconi BO

Presidente: Cinzia CavallariVice Presidente: Sabrina Carlini

Componenti del Direttivo: Gianni Beccaro, Sabrina Carlini, Cinzia Cavallari, Elena Gentilini, Paolo Michelini, Luigi Ropa Esposti, Rino Ruggeri

Comitato di Redazione: Sabrina Carlini, Cinzia Cavallari, Elena Gentilini, Paolo Michelini, Luigi Ropa Esposti

Il Gruppo di Studi è nato il 25 agosto 1999 e si è costituito Associazione il 26 settembre 2001.

Si ringrazia lo Studio Bolelli (via Bertocchi 30, Bologna - 051 6194950) per la consulenza e assistenza fiscale e amministrativa

Tutti possono partecipare e sono gradite critiche, commenti e suggerimenti. Vorremmo espandere le nostre attività con il vostro contributo.

Per informazioni telefonare ai numeri 347 4641321 oppure 338 1797724; e-mail [email protected] informazioni aggiornate sulle attività del nostro Gruppo visitate il sito: www.10righe.org

Succede a Sassoa cura di Glauco Guidastri

Dal “Progetto intergenerazionale: le radici e le ali” del 1997 nasce il Gruppo

di studi “Progetto 10 righe”Brillantino Furlan

Ricerche sul campo stimolate dal conferecital “Camminare nella storia”

del 2016: l’oratorio di Santa Maria delle Calegare a

Pieve del Pino e Palazzo Prada a GrizzanaMauro Filippini

La guerra vissuta da una bambina:una sveglia in fuga

Franca Foresti

«Quelle strane etichette»: breve storia degli ex libris

Piero Paci

La dodicesima letteraPiero Paci

“La dolce e saggia” SASSO MARCONILuciano Marini

Alla scoperta del secolare Castagneto di Mezzana: il castagno

fonte essenziale di cibo per molte popolazioni rurali

Paolo Michelini

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Due maioliche di Colle AmenoPiero Paci

Ricordi della mia infanziaLa dura vita contadina nelle

nostre campagne nei ricordi di Giuseppe Serra (parte seconda)

Giuseppe Serra

Ricordi di guerra vissuti da una diciassettenne

… eravamo “cinni” incoscienti e sempre affamati

Maria Serra

La Piazza(Piazza dei Martiri della

Liberazione)Giovanna Bassi

C’era una volta una piazzaGianni Pellegrini

Grazie a Guglielmo Marconi dopo molti anni ci siamo incontrati

Cecilia Pelliconi Galetti

Fasci di luceCecilia Pelliconi Galetti

A la fèn dl’ovra (alla fine dell’opera)

a cura di Luigi Ropa Esposti

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rubriche

a cura di Glauco Guidastri

Luglio 2016: riaperto lo svincolo ex-casello autostradaleDopo anni di attesa, sono stati effettuati i lavori di sistemazione dello svincolo d’immissione sulla Nuova Porrettana situato nella zona dell’ex-casello autostradale. I lavori hanno comportato: l’eliminazione della barriera in cemento che impediva ai veicoli provenienti da Vado/Cinque Cerri di proseguire sulla Nuova Porrettana in direzione Casalecchio (costringendoli invece a percorrere la rotonda sul Ponte Nuovo e a rientrare facendo lo stesso tragitto in senso contrario), il rifacimento della pavimentazione stradale e il posizionamento di barriere guard-rail e di apposita segnaletica verticale e orizzontale.

3-4 settembre 2016: due concerti e una mostra di icone sacre per il millenario di San LeoAnche la città di Sasso Marconi si è unita alle celebrazioni organizzate sul territorio regionale per ricordare il millenario della traslazione di San Leo. Le cronache narrano che nel 1016 l’imperatore tedesco Enrico II

Succede a Sasso

tentò di traslare a Spira, in Germania, il corpo di San Leo. Ma a Voghenza (nel Comune di Voghiera, nei pressi di Ferrara) i cavalli che trainavano il carro si imbizzarrirono, costringendo l’imperatore a lasciare il corpo del Santo in un luogo, poi chiamato San Leo di Voghenza, dove le ossa del santo sono tuttora custodite in un santuario.A mille anni da questi avvenimenti, a Sasso Marconi, dove esiste una località chiamata San Leo (si tratta di una piccola borgata sorta attorno all’omonima chiesetta dove, secondo la tradizione, è custodita una reliquia di San Leo dalle qualità taumaturgiche, con cui era usanza benedire i bambini afflitti da pustole alla bocca), sono state organizzate una serie di iniziative culturali concentrate nel week-end del 3-4 settembre. E’ stata allestita una mostra di icone sacre curata dal parroco di San Leo, Don Gian Luca Busi, seguita dal concerto per pianoforte “Icone sonore”; è stata poi organizzata un’escursione partendo dalla chiesa di San Leo fino alla Rupe (dove, un tempo, lavoravano tagliapetre e scalpellini, di cui San

Fig.1. 4 settembre 2016: le celebrazioni per il millenario di San Leo; il concerto dell’Ensemble Vocale Odhecaton nella chiesa di San Leo (foto Luigi Ropa Esposti).

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Leo era il patrono) ed è stato eseguito il concerto “I Fiamminghi e l’Italia - la polifonia vocale in Europa tra XV e XVI sec.”In questo modo, si è voluto favorire la riscoperta della figura di San Leo e far conoscere le ragioni storiche, culturali e sociali che hanno portato alla presenza di una chiesa dedicata al Santo nell’omonima località, arroccata sulle colline che sovrastano Sasso Marconi. Alle celebrazioni sassesi ha partecipato anche il Sindaco di Voghiera Chiara Cavicchi (Fig.1).

14 settembre 2016: la Notte Circolare di Sasso MarconiIl 14 settembre scorso Sasso Marconi ha vissuto la sua ‘notte circolare’: una serata dove momenti di spettacolo, mercatini tematici e altre iniziative green, hanno contribuito a portare l’attenzione sui temi del riciclo e della lotta allo spreco. Momento culminante della serata la sfilata di auto d’epoca in piazza, che ha accompagnato il pubblico in un affascinante viaggio attraverso la storia del design e del made in Italy. Un viaggio iniziato negli anni ‘30 con la mitica Topolino, e arrivato fino ai giorni nostri con la Tazzari, un’auto alimentata elettricamente (interamente costruita in Italia nello stabilimento di Imola), che, sintetizzando tecnologia e rispetto per l’ambiente, ha simbolicamente indicato la strada verso il futuro. Tra le auto parcheggiate nella centrale Piazza dei Martiri c’erano autentici pezzi di storia italiana come la 500, la Lancia Fulvia e l’Autobianchi A112.

La presenza, a bordo di ogni vettura, di una modella, acconciata e vestita in stile coerente con l’epoca della rispettiva automobile, ha contribuito a rendere ancor più realistico questo excursus storico, allargandolo alla storia del costume e della moda (gli abiti erano stati realizzati con stoffe riciclate dagli studenti della Libera Università delle Arti di Bologna, mentre le acconciature erano state curate da Indirà Group) (Fig.2). La serata si è chiusa con la consegna del Premio “Città di Sasso Marconi” per la comunicazione ambientale a Hossein Farmani, fotografo e gallerista di fama internazionale, premiato per il suo lavoro di tutela dell’ambiente attraverso la fotografia.

30 settembre, 1-2 ottobre 2016: i 50 anni del Circolo Filatelico “Guglielmo Marconi”Il Circolo Filatelico “G. Marconi”, associazione di Sasso Marconi che dal 1966 promuove l’opera di Guglielmo Marconi attraverso iniziative legate alla filatelia, al mondo delle Poste e Telecomunicazioni e alla storia del territorio, ha festeggiato i 50 anni di attività con una serie di eventi rivolti agli appassionati di filatelia e storia marconiana, ai cittadini e alle scuole.Le celebrazioni si sono aperte con una matinée a teatro dedicata ai ragazzi delle scuole medie. Ospite d’onore il prof. Francesco Paresce, nipote di Guglielmo Marconi e scienziato di fama internazionale, che ha tenuto una lectio magistralis sul tema “L’eredità marconiana nelle moderne tecnologie di

comunicazione”, ripercorrendo le tappe salienti della vita di Marconi e parlando delle moderne applicazioni delle scoperte marconiane.

Sabato 1 ottobre, nella Sala mostre comunale, è stata inaugurata la mostra “Circolo Filatelico G. Marconi: cinquant’anni di storia attraverso

Fig.2. 14 settembre 2016: la locandina della “Notte Circolare”.

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Gruppo di Studi “Progetto 10 Righe” ha organizzato due conferenze, dedicate a fatti storici e curiosità locali. La prima (19 ottobre in Sala ‘Renato Giorgi’) ha contribuito a ricostruire la vicenda del bombardiere B 26 Marauder, l’aereo dell’esercito alleato abbattuto il 10 luglio 1944 sulle colline di S. Silvestro (Lama di Reno frazione di Marzabotto), durante la seconda guerra mondiale. Oltre a ripercorrere le fasi di quel drammatico episodio, la conferenza è stata l’occasione per ricordare le difficili condizioni di vita dei civili

sottoposti ai bombardamenti negli anni della guerra (Fig.5).Il 29 ottobre, nel Salone delle Decorazioni del Borgo di Colle Ameno, la seconda conferenza ha portato l’attenzione sulle ville storiche presenti nel territorio di Sasso Marconi, dove si contano una trentina di residenze di epoche diverse (si va dal ‘400 ai primi del ‘900), realizzate con un’inaspettata varietà di stili: un interessante viaggio virtuale alla scoperta di un patrimonio culturale e architettonico sconosciuto ai più (Fig.6).

le iniziative più importanti”, con documenti storici, pezzi provenienti da collezioni private, cimeli marconiani e riproduzioni funzionanti di apparecchiature marconiane (Fig.3).L’inaugurazione è stata seguita dalla presentazione della pubblicazione speciale realizzata dall’associazione in occasione del cinquantenario. Chi ha partecipato a queste iniziative non avrà potuto fare a meno di cogliere la vivacità e la passione che animano il Circolo sassese e che hanno permesso a questa piccola realtà - con

le 17 pubblicazioni tematiche edite e la partecipazione ad eventi filatelici e marconiani di rilievo nazionale - di affermarsi a livello nazionale come il Circolo più attivo per quanto riguarda Guglielmo Marconi e le sue scoperte (Fig.4).

Ottobre 2016: conferenze dedicate all’abbattimento del bombardiere alleato B26 Marauder a Lama di Reno e alle ville storiche bolognesiAnche quest’anno, in occasione della Festa internazionale della Storia, il

Fig.3. 1 ottobre 2016: 50° anniversario del Circolo Filatelico “G. Marconi”. Allestita nella sala Renato Giorgi una interessante mostra di documenti storici e cimeli marconiani (foto Sergio Marchioni).

Fig. 4. 1 ottobre 2016: 50° anniversario del Circolo Filatelico “G. Marconi”. Presentazione della pubblicazione speciale realizzata dall’associazione in occasione del cinquantenario; da sinistra il

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Fig.5. 19 ottobre 2016: la locandina della conferenza dedicata all’abbattimento di un bombardiere alleato su Lama di Reno, intitolata: “Quel 10 luglio del 1944”.

Fig. 6. 29 ottobre 2016: la locandina della conferenza dedicata alle ville storiche di Sasso Marconi, intitolata: “Un sabato in villa”.

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22 ottobre 2016 e 19 febbraio 2017:due mattinate ecologiche per ripulire dai rifiuti le aree fluviali del RenoDue mattinate ecologiche sono state organizzate ad ottobre e febbraio, consentendo di liberare dai rifiuti alcune porzioni del lungofiume Reno. La prima (22 ottobre 2016) si è svolta nell’ambito di “Puliamo il Mondo”, l’iniziativa promossa a livello nazionale da Legambiente, cui la città di Sasso Marconi aderisce ormai da sei anni. Nell’occasione, una ventina di volenterosi cittadini (tra cui i volontari del Circolo “SettaSamoggiaReno” di Legambiente e dell’Associazione Alpini di Sasso/Casalecchio, e gli operatori

dell’Ufficio Ambiente del Comune di Sasso Marconi) hanno ripulito l’area fluviale situata in località Scaletto, nei dintorni della pista di motocross, raccogliendo una cinquantina di sacchi di rifiuti e alcuni quintali di ingombranti (tra pneumatici, materassi, elettrodomestici e pezzi metallici) (Fig.7). La seconda mattinata ecologica (19 febbraio 2017) è stata promossa da Legambiente, dal Comune di Sasso Marconi,, dall’associazione “I Compagni di Ulisse” e dalla sezione bolognese della Federazione Pesca Sportiva, e ha visto le operazioni di pulizia concentrarsi nella zona attorno al Lago di Porziola.

Fig. 7. 22 ottobre 2016: alcuni dei partecipanti alla mattinata ecologica (foto Ufficio Stampa Comune di Sasso Marconi).

31 ottobre 2016: inaugurata la pista pedonale che collega Sasso Marconi al borgo di FontanaDal 31 ottobre un nuovo percorso pedonale collega Sasso Marconi alla frazione di Fontana. Si tratta di una pista lunga circa 700 metri, nata dalla riqualificazione di un preesistente sentiero che, costeggiando il lungofiume Reno, favorisce il collegamento tra il capoluogo e il borgo di Fontana, consentendo ai pedoni di bypassare la trafficata SS 64 Porrettana. Gli interventi hanno portato alla sistemazione della pavimentazione - realizzata in

cemento e in calcestre (un materiale granulare ottenuto da roccia calcarea, stabilizzato e drenante) - del sottopasso ferroviario, lato Fontana, e della scala di accesso al percorso, lato capoluogo, (situata nei pressi dell’edicola votiva dedicata alla Beata Vergine del Sasso, in località Fosso del Diavolo). La scala è stata completamente rifatta utilizzando una struttura in metallo e recuperando parte della preesistente scalinata in pietra. Con l’occasione, sono state restaurate anche due antiche opere architettoniche situate lungo il percorso: un lavatoio e una fontanella, un tempo utilizzate dagli abitanti di Fontana per il lavaggio della

Fig.8. 31 ottobre 2016: un tratto della pista pedonale che collega Sasso Marconi al borgo di Fontana (foto Luigi Ropa Esposti).

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biancheria e l’approvvigionamento di acqua. La pista è completamente illuminata e quindi utilizzabile anche di sera, ed è fruibile anche in bicicletta imboccando il lungofiume Reno da via Ponte Albano (Fig.8).

11 novembre 2016: in visita a Sasso Marconi il senatore cinese Zhu YuhuaIl senatore della Repubblica Popolare Cinese Zhu Yuhua è venuto in visita privata a Sasso Marconi. Già vicepresidente del China Corporate United Pavilion (uno dei padiglioni

di Expo Milano 2015), Yuhua è anche presidente dell’Associazione Cina-Italia, fondata nel 1992. Si occupa da molti anni della promozione degli scambi culturali e commerciali tra i due Paesi e presiede anche l’unico Ferrari Club della Cina (che vanta 65 mila iscritti). Dopo aver incontrato il sindaco Stefano Mazzetti e la Giunta comunale, il senatore Yuhua ha visitato l’ufficio turistico InfoSASSO per un assaggio di prodotti del territorio e, successivamente, ha visitato il Museo Marconi a Villa Griffone (Fig.9).Il senatore ha lasciato la nostra

Fig.9. 11 novembre 2016: il senatore cinese Zhu Yuhua in visita al Museo Marconi (foto Sergio Marchioni).

città con la promessa di tornare per valutare la possibilità di promuovere, nel suo Paese d’origine, il nostro sistema di imprese locali e le opportunità turistiche offerte dal territorio appenninico.

4 gennaio 2017: la scomparsa di Luciano Bombetti, storica figura nel campo del socialeIl 4 gennaio 2017 ci ha lasciato Luciano Bombetti, figura nota a Sasso Marconi dove era da tempo attivo nel campo del sociale. Bombetti ha curato per anni la COPAPS, la cooperativa sociale con sede in via

Maranina, che svolge attività agricole con finalità di recupero sociale di minori svantaggiati. Lo ricorderemo per la sua grande umanità e per il grande lavoro che ha fatto nella promozione sociale, dedicando il suo tempo all’attività agricola, al recupero dei fabbricati della cooperativa e soprattutto all’attività di sostegno dei ragazzi ospiti della cooperativa. Erano tantissimi gli amici che hanno partecipato al funerale tenutosi nella chiesa di San Nicolò di Lagune, e in particolare i suoi ragazzi della COPAPS per i quali è stato come un padre (Fig.10).

Fig.10. 4 gennaio 2017: la scomparsa di Luciano Bombetti, figura di spicco della COPAPS (foto proprietà famiglia Ventura).

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5 febbraio 2017: la scomparsa di Giuseppe Tomas, ex Vicesindaco di Sasso Marconi Il 4 febbraio Sasso Marconi si è scoperta più povera a causa dell’improvvisa scomparsa di Giuseppe Tomas. Originario della Campania, Tomas aveva trovato la sua “seconda casa” qui a Sasso Marconi dando un contributo prezioso alla crescita civile e democratica della nostra città. Ha ricoperto diversi incarichi amministrativi (Vice Sindaco, Assessore, Consigliere comunale) con passione, competenza e senso di responsabilità. Con immutata passione è stato attivo tra le fila

dell’ANPI, l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (ricoprendo anche l’incarico di Presidente della sezione sassese) e ha poi rivolto il suo impegno a favore del Centro sociale “Casa dei Campi”. In tutti i settori - politica, associazionismo e volontariato - in cui ha declinato il proprio impegno civile, Giuseppe Tomas ha improntato la propria attività alla ricerca del bene comune, sostenendo con convinzione e correttezza i valori in cui credeva: il rispetto del prossimo, la difesa della memoria, la tutela dei diritti insindacabili delle persone e dei lavoratori (Fig.11).

Fig.11. 5 febbraio 2017: la scomparsa di Giuseppe Tomas; una sua foto durante le celebrazioni del 70° anniversario della Liberazione (foto Sergio Marchioni).

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storia

Brillantino Furlan

Anno 1997: l’idea del “Progetto intergenerazionale: le radici e le ali”Nel 1997, Marco Bentivogli (1) (Fig.1), responsabile regionale dei giovani della FIM (Federazione Italiana Metalmeccanici) all’interno della CISL (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori) (allora aveva 27 anni), voleva verificare se e come fosse possibile far lavorare giovani e anziani assieme, in armonia, senza le continue divergenze che di solito nascono fra generazioni diverse, non solo in seno alla famiglia ma anche nel sindacato. Questa idea prese il nome di “Progetto intergenerazionale: le radici e le ali”. Riguardava giovani lavoratori metalmeccanici e anziani pensionati della FNP (Federazione Nazionale Pensionati) e venne accettata e promossa dal sindacato CISL di Bologna. L’obiettivo era quello di sperimentare la possibilità di realizzare dei micro-progetti a livello locale, basati sulle opportunità concrete di un intreccio e collaborazione tra generazioni diverse, funzionale all’attività sindacale e sociale nei luoghi di lavoro e nelle comunità locali.

Dal “Progetto intergenerazionale: le radici e le ali” del 1997 nasce il Gruppo di studi “Progetto 10 righe”

Il 13 ottobre 1997 un gruppo di dodici volontari, composto da giovani e anziani iscritti alla CISL, si mette in viaggio in direzione di Amelia, nella provincia di Terni in Umbria, un comune di 11.000 abitanti (Fig.2).Veniamo ospitati presso il “Romitorio”, sede della scuola di formazione per dirigenti CISL (2) (Fig.3). Arriviamo proprio all’ora di pranzo e alle ore 15 iniziamo la prima lezione con la docente Viviana Ballini della scuola permanente di formazione sindacale FNP-CISL. Quest’ultima spiega in sintesi cosa dovranno fare le dodici “cavie”. Per iniziare il dialogo, ognuno dice il suo nome e la provenienza. Poi l’insegnante ci dà l’incarico di fare un disegno, dargli un titolo, metterlo per terra e cercare di accoppiarlo con un altro disegno con il quale abbia affinità. Io disegno il letto sinuoso di un fiume, segnato nel mezzo con due frecce orientate da sinistra verso destra. A questo disegno do il titolo “tranquillità illusoria”. Per più di dieci minuti è tutto uno spostamento di fogli, perché tutti cercano di individuare il disegno gemello più affine al proprio. Alla fine torna la

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quiete, e io mi trovo accoppiato con un disegno rappresentante un sole con delle fitte sbarre, e al centro si innalza una palma: è intitolato “indefinita ampiezza”.I vari autori dei disegni devono mettersi assieme e interpretare il disegno dell’altro. Loretta, giovane sindacalista, è la mia prima compagna di viaggio in questi test. Ora bisogna spiegare cosa significa il disegno dell’uno e dell’altro, scrivendo le proprie impressioni sul foglio stesso. Un altro compito, assegnato il giorno seguente, consiste nello scrivere il titolo di un brano di musica abbinato

al disegno. Si va avanti con continui esercizi da svolgere, da soli, in due, in quattro, e così via, per tutti i cinque giorni dalle nove del mattino fino all’ora di cena.Il risultato delle cinque giornate di esperimenti è il seguente. L’unico modo per fare lavorare assieme giovani e anziani è quello di trovare un progetto in comune. Significa non mettere troppo in evidenza le capacità di un singolo, bensì quelle del gruppo come totalità, dove ognuno deve sentirsi orgoglioso di quello che sta facendo, poiché il singolo ha dei limiti, ma il gruppo non ha limiti.

A Sasso Marconi si mettono a frutto gli insegnamenti ricevuti ad AmeliaAl ritorno da Amelia, si costituisce un gruppo di lavoro intergenerazionale a Porretta Terme e uno a San Giorgio in Piano. Nell’ottobre 1998 Emilio Poltronieri, noto sindacalista del Bolognese incaricato del progetto intergenerazionale, mi invita a Porretta Terme per incontrare il gruppo locale nella sede della CISL. Si discute, tra l’altro, come organizzare il concerto di Natale nella chiesa dei Padri Cappuccini di Porretta.Emilio Poltronieri mi esorta a formare un gruppo a Sasso Marconi per realizzare il progetto intergenerazionale. Gli prometto che farò del mio meglio. Basandomi su quello che avevo imparato, mi metto subito alla ricerca di persone che mi possano dare una mano. Il mio primo pensiero è rivolto a chi, come me, faceva parte della Federazione Pensionati a Sasso Marconi. A costoro spiego la storia e l’obiettivo del progetto intergenerazionale, e chiedo se qualcuno sia propenso a creare un nucleo simile a quelli costituiti a Porretta e a San Giorgio in Piano.Si dichiarano disponibili i seguenti pensionati:- Luciano Bondioli, che aveva ricoperto incarichi a vari livelli nelle ACLI prima, e nella CISL poi. Si era interessato a vario titolo di politiche giovanili e in passato era stato educatore nel gruppo Arcobaleno che operava a Casalecchio di Reno. Era membro del direttivo dell’associazione “Amici della Valle del Reno” dell’Università Primo Levi. Conosceva bene il tessuto politico del Comune di Sasso Marconi; era bravo

nelle relazioni sociali e riusciva a coinvolgere la gente comunicando le proprie opinioni. - Valerio Brecci, che coordinava varie attività sportive, conoscitore del territorio e della storia locale, faceva parte dell’associazione sportiva CSI di Sasso Marconi, di cui diventerà poi presidente.- Isidoro Fini, che era un veterano del sindacato. Aveva riportato alla luce i resti della Chiesa di San Giorgio a Vizzano (distrutta dai tedeschi negli ultimi mesi del 1944) e organizzava, nella ricorrenza di San Giorgio ogni 24 aprile, la celebrazione di una Messa sui vecchi ruderi seguita da un festa assieme a tutti i parrocchiani. - io, Brillantino Furlan, che avevo maturato varie esperienze nell’escursionismo con il CAI, avevo conoscenze della flora e dei sentieri del territorio, ero impegnato in organizzazioni di volontariato.

Dalla teoria alla pratica: le prime iniziative culturali fanno riferimento alla storia localeDato che all’epoca non esisteva a Sasso Marconi una sede CISL per le riunioni, ci incontriamo una sera nella casa di Isidoro Fini, per ragionare sulle possibilità organizzative di realizzare dei micro-progetti. Dovevamo attenerci a delle regole ben precise: percepire i vari problemi del territorio, analizzarli attentamente e sceglierne uno da affrontare proponendo soluzioni realizzabili in poco tempo. Contemporaneamente dovevamo creare una rete intercomunicante fra le varie anime

Fig.1. Una foto del sindacalista Marco Bentivogli della FIM (Federazione Italiana Metalmeccanici) CISL (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori) che nel 1997 ebbe l’idea di realizzare il “Progetto intergenerazionale: le radici e le ali” finalizzato a far lavorare assieme in armonia giovani e anziani (foto tratta dal web: www.firstonline.info/Blog/marco-bentivogli).

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del sindacato (la FIM “Federazione Italiana Metalmeccanici” con la FNP “Federazione Nazionale Pensionati”) nell’ambito del Comune, aggregando elementi nuovi residenti nel luogo.Occorreva sviluppare le seguenti attività: trovare un posto dove lavorare, stabilire le date di ritrovo per scambiarci le notizie, comunicare le attività avviate e consigliarci reciprocamente per superare gli ostacoli incontrati (anche psicologici).Poi bisognava decidere quale membro del gruppo doveva svolgere una certa azione e chi un’altra, questo per non incorrere in perdite di tempo nel caso che in due facessero la stessa cosa.Partendo da questi “paletti” nella

riunione del 15 gennaio 1999 ci siamo trovati d’accordo sulla proposta di organizzare, nella primavera dello stesso anno, alcune serate di incontro intergenerazionale, ossia due conferenze che avrebbero preso spunto dalla storia locale.I primi argomenti sarebbero state “le cose da vedere”, come ad esempio: l’antica via dei pellegrini verso Roma che passava per Sasso Marconi, poi, l’acquedotto romano scavato oltre 2000 anni fa, che dal torrente Setta ancora oggi porta l’acqua a Bologna. Tra i relatori proponiamo personalità di profonda esperienza e cultura: il prof. Renzo Zagnoni del Centro studi Valle del Reno e l’ing. Giuseppe Coccolini, autore del libro “L’acquedotto romano di Bologna”.

Decidiamo di informare l’Assessorato alla Cultura del Comune, e di avvertire tramite un apposito volantino lavoratori e pensionati di Sasso Marconi, studenti e insegnanti delle scuole (Fig.4).Al termine della riunione ci lasciamo avendo ognuno un compito ben definito da svolgere.Durante i nostri primi contatti, incontriamo il dott. Giancarlo Dalle Donne, laureato in Storia Contemporanea. Anche lui accetta di collaborare con noi al progetto intergenerazionale. Luciano Bondioli fa da tramite con i responsabili del Comune affinché Dalle Donne per le sue ricerche possa accedere ai documenti originali dell’archivio storico comunale. Grazie all’attività e

all’impulso di Giancarlo Dalle Donne il Comune gli affida un incarico per il riordino dell’archivio e, al termine di questo lavoro, della durata di molti mesi, nel 2000 viene creato un archivio storico organizzato in modo razionale e organico, visitato da studenti e ricercatori interessati (nella rivista “al sâs - storia, natura, cultura” Giancarlo ha pubblicato molti articoli storici, frutto delle sue ricerche in archivio).

Nasce l’idea di costituire un gruppo di ricerca storica localeIl 29 aprile 1999, in casa di Luciano Bondioli partecipiamo a una riunione. Sono presenti: Bondioli stesso, Emilio Poltronieri, Giancarlo Dalle Donne, Valerio Brecci, Isidoro Fini ed io. Si

Fig.2. Sulle colline di Amelia, Comune in provincia di Terni (Umbria), sorge il “Romitorio”, dove si svolse nel 1997 il “Progetto intergenerazionale: le radici e le ali” della durata di cinque giorni (foto tratta dal web: csm.provincia.terni.it).

Fig.3. Il “Romitorio” nel Comune di Amelia (Terni), sede della scuola di formazione per dirigenti sindacali della CISL, é nato nel 1979 dalla ristrutturazione di un antico luogo di raccoglimento e preghiera dei frati francescani (foto tratta dal web: www.alvecchiogranaro.it).

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collegamento. Addio Marco Bentivogli, la tua splendida idea del “Progetto intergenerazionale” cambiava volto. Peccato! Ci eravamo persi per strada: il nome era sparito, ma la collaborazione fra anziani e giovani continuava. Quella del 29 aprile è stata una riunione decisiva, perché dovevamo trovare il modo per inserirci nel tessuto di Sasso Marconi. L’obiettivo di trovare un progetto comune che coinvolgesse giovani e anziani era fondamentale. Ci siamo resi conto che venivano risvegliate energie nascoste che non si pensava nemmeno di avere. In più, se nel corso della realizzazione si cercava di lavorare in

discute sulle possibilità di costituire un gruppo di ricerca storica locale. Era molto difficile trovare un aggancio con il progetto intergenerazionale, poiché questa sigla all’esterno del contesto sindacale avrebbe avuto una presa molto modesta. Visto che non si poteva operare nell’ambito del tessuto sociale, decidiamo di agire nell’ottica della ricerca storica locale, all’interno della Pro Loco di Sasso Marconi. Era il modo migliore per avvicinarci all’interesse di tutta la comunità, uscendo dalle problematiche trattate dal sindacato (solidarietà - disagi sociali - pensioni).Il mondo sindacale si allontanava, mio malgrado, non essendoci temi di

Fig.4. Questo volantino invita i cittadini a partecipare, nel maggio 1999, ad un’iniziativa culturale organizzata dal Gruppo Intergenerazionale di Sasso Marconi, consistente in due conferenze aventi come argomento vicende di rilievo della storia locale (volantino fornito da Brillantino Furlan).

Fig.5. Il 25 agosto 1999 si costituisce ufficialmente il Gruppo di studi “Progetto 10 righe”, che adotta come manifesto programmatico dieci righe di intenti contenute nel programma politico del nuovo Sindaco Marilena Fabbri: sono i dieci obiettivi che il Gruppo si propone di perseguire nel futuro.

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gruppo il risultato diventava ancor più coinvolgente; invece, se si ragionava da singoli l’energia veniva sciupata nei sentimenti umani, come invidia, antipatia, etc., che erano atteggiamenti nocivi per il progredire del gruppo e del suo progetto comune.Dopo quell’incontro si sono succeduti numerosi altri incontri tra aprile e agosto 1999 nella sede della Pro Loco nella Casa dei Campi di Sasso Marconi, durante i quali vennero invitate numerose altre persone interessate al progetto. Nel corso degli incontri, e dopo molte discussioni, si definirono gli obiettivi del nuovo gruppo e la sua denominazioneE’ nato così il Gruppo di studi “Progetto 10 righe” che si è costituito ufficialmente il 25 Agosto 1999 all’interno della Pro Loco di Sasso Marconi, con presidente Luciano Bondioli. Il Gruppo agisce nel volontariato culturale e opera nei settori di: natura, ambiente, territorio, storia e tradizioni. E’ impegnato nel promuovere iniziative in collaborazione con le altre associazioni e gruppi di studi del territorio. Il nome “Progetto 10 righe” deriva dal programma politico formulato dal nuovo Sindaco di Sasso Marconi Marilena Fabbri che, in dieci righe, viene adottato come manifesto programmatico del Gruppo ed elenca gli obiettivi che ci si propone di perseguire nel futuro (Fig.5).La prima uscita ufficiale del Gruppo è in occasione della “Fira di sdaz” 1999 a Pontecchio, durante la quale viene allestito uno stand all’interno del borgo di Palazzo de’ Rossi con esposizione di foto storiche del territorio.

30 ottobre 1999: presentazione del neonato Gruppo di studi “Progetto 10 righe”, nascita della rivista “al sâs - storia, natura, cultura”Per promuovere lo sviluppo del Gruppo di studi, in sintonia con la politica del Comune, decidiamo di organizzare una “Giornata di approfondimento” in data 30 ottobre 1999 presso il Centro Convegni della Ca’ Vecchia di Sasso Marconi. Non ho mai visto tanto entusiasmo e tanta energia sprigionarsi dai volontari come nell’organizzazione di quell’iniziativa. I volantini con l’elenco delle attività programmate vengono distribuiti a mano in grande quantità e appesi in ogni luogo del territorio (Fig.6).Bondioli sembra un vulcano in eruzione: contatta personaggi del Comune, della Provincia, degli enti locali, studiosi ed esperti nelle tematiche di storia, natura e cultura, affinché siano presenti alla Ca’ Vecchia. Durante la “Giornata di approfondimento”, oltre al discorso di apertura del Presidente Luciano Bondioli (Fig.7), riscuotono vivo apprezzamento gli interventi del Sindaco Marilena Fabbri, di Marco Macciantelli (Assessore alla Cultura della Provincia di Bologna) e di Cristiana Branchini (Assessore alla Cultura di Sasso). Suscitano interesse gli interventi di personaggi di rilievo, studiosi di storia, natura e tradizioni locali: Giancarlo Dalle Donne, Manuela Rubbini, Renzo Zagnoni, Francesco Fabbriani, Valerio Brecci, Laura Dell’Aquila, Ugo Guidoreni, Franca Foresti Cavina, Daniele Ravaglia, Adriano Simoncini e altri (Figg. 8 e 9).

Fig.6. Questo è il volantino contenente l’elenco dei lavori previsti nella “Giornata di approfondimento” programmata per il 30 ottobre 1999 presso la Ca’ Vecchia di Sasso Marconi, durante la quale il neonato Gruppo di studi “Progetto 10 righe” viene presentato al pubblico e alle autorità.

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Nel corso della manifestazione il Sindaco Marilena Fabbri consegna un attestato di benemerenza a Giorgio Bertocchi (all’ora all’età di 73 anni) (Fig.10), considerato da tutti la “memoria” storica di Sasso, per le accurate ricerche e testimonianze documentate nei suoi scritti (purtroppo l’8 settembre 2003, per l’aggravarsi di una malattia cardiaca Giorgio è venuto a mancare, a 77 anni) (3).Dopo il convegno di ottobre si discute del nome da dare alla rivista e, fra le varie ipotesi, compaiono anche “Il Sasso”, “Gente del Sasso”, “La porta

dell’Appennino” e “Radici”. Alla fine prevale la soluzione dialettale che connota maggiormente il territorio: “al sâs”.Prima della fine dell’anno viene pubblicata la rivista semestrale “al sâs - storia, natura, cultura” Numero “0” distribuita dall’Amministrazione Comunale a tutte le famiglie di Sasso Marconi in allegato al giornalino del Comune distribuito nel dicembre 1999 (Fig.11). Nell’ultima pagina della rivista Luciano Bondioli, elenca “I nostri progetti per il 2000”, molti dei quali sono stati e vengono tuttora realizzati.

Fig.7. Il Presidente del Gruppo Luciano Bondioli pronuncia il discorso di apertura della “Giornata di approfondimento” del 30 ottobre 1999. A destra nella foto Manuela Rubbini (foto fornita da Luciano Bondioli).

A partire dal numero “1” di “al sâs”, e nei numeri successivi, diversi personaggi appassionati di storia, natura, cultura e tradizioni locali aderiscono al “Progetto 10 righe” e iniziano a collaborare con la redazione della rivista. Oltre al responsabile editoriale Luciano Bondioli, e al direttore Francesco Fabbriani (iscritto nell’albo dei giornalisti), figurano come condirettori: Luigi Ropa Esposti (geometra dipendente del Comune di Sasso Marconi, appassionato di storia locale, di natura ed escursionismo) e Rino Nanni (era

stato Sindaco del Comune di Vergato, poi eletto alla Camera dei Deputati; purtroppo è venuto a mancare a seguito di un malore il 15 febbraio 2001, all’età di 73 anni) (4).Come componenti del coordinamento e della segreteria del Gruppo di studi “Progetto 10 righe” figurano: Giancarlo Dalle Donne (responsabile del settore “storia”), Brillantino Furlan (responsabile del settore “natura”), Franca Foresti Cavina, Gianni Beccaro, Gerda Klein, Danilo Malferrari e Giorgio Pratellini.Risultano come collaboratori: Gian Lorenzo Calzoni, Cinzia Cavallari,

Fig.8. 30 ottobre 1999: nella foto, da sinistra: Luciano Bondioli, il Sindaco Marilena Fabbri, Giancarlo Dalle Donne e Manuela Rubbini (foto fornita da Luciano Bondioli).

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Mara Cini, Adelmo Garuti, Umberto Fusini, Laura Lamma, Alberto Macchi (purtroppo venuto a mancare

nel gennaio 2016 a 72 anni), Paolo Michelini, Piero Paci, Pierangelo Pancaldi, Gianni Pellegrini, Cecilia

Fig.9. 30 ottobre 1999: nella foto, da sinistra: Giorgio Bertocchi e Renzo Zagnoni (foto fornita da Luciano Bondioli).

Pelliconi Galetti, Nicoletta Raggi, Luca Rossi e Manuela Rubbini.Negli anni successivi collaborano alla rivista: Sabrina Carlini, Francesco Faraone ed Elena Gentilini, e diventa direttore responsabile il giornalista Gabriele Mignardi.

Anno 2001: il Gruppo diventa un’Associazione autonoma, le iniziative culturali realizzateLa proposta di trasformare il Gruppo di Studi in un’associazione autonoma, uscendo dalla Pro Loco, viene suggerita da Luciano Bondioli e Giancarlo Dalle Donne. La proposta

viene presentata al Direttivo il 2 agosto 2001, durante una riunione che ha avuto luogo all’esterno della casa di Dalle Donne, all’ombra di un albero di fichi. Bondioli ci presenta un foglio e ci chiede di sottoscriverlo; nel medesimo, in qualità di Presidente, lui si impegna a svolgere tutta la prassi burocratica necessaria. Io ho firmato controvoglia quel documento, poiché mi sentivo molto legato alla Pro Loco e uscirne mi sembrava una perdita per tutto il Gruppo. Il mio sogno era ancora quello del “Progetto intergenerazionale”, che in parte era svanito, e pensavo che

Fig.10. 30 ottobre 1999: il Sindaco Marilena Fabbri consegna un attestato di benemerenza a Giorgio Bertocchi per gli accurati lavori di ricerca storica effettuati sul territorio di Sasso Marconi e per le testimonianze documentate e pubblicate nei suoi scritti (foto di Sergio Marchioni).

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restare nell’ambito della Pro Loco significasse la sopravvivenza.La nascita dell’Associazione verrà poi formalizzata il 26 settembre 2001. Non ho aderito come socio fondatore, per non tradire sia la Pro Loco sia il mio ideale dell’Intergenerazionale. Ciononostante ho continuato a collaborare con grande passione a tutte le iniziative promosse dall’Associazione.Fra queste particolarmente significativa e gradita è stata la realizzazione delle passeggiate sul territorio intitolate: “Guardandoci attorno”, che si svolgevano seguendo il motto: “riscopriamo la lentezza”. Lungo il percorso ci si fermava a parlare di tutto ciò che ci circondava. Il botanico dava informazioni sulle piante, citava il loro nome scientifico, ne descriveva l’importanza e l’uso. Il geologo raccontava l’origine delle montagne e delle vallate, la composizione delle rocce e delle argille sulle quali si snodava il percorso. Lo storico forniva cenni sulla toponomastica (ossia l’origine dei nomi locali), raccontava la storia degli edifici antichi e delle chiese.Da alcuni anni l’associazione, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune, organizza passeggiate intitolate “A passo di musica”, allo scopo di coniugare natura, storia e tradizioni locali con la musica. Sono passeggiate sul territorio, o visite guidate di luoghi storici, che si concludono con un concerto nel quale si esibiscono dal vivo artisti di talento.Oltre alle passeggiate, vengono organizzate interessanti conferenze

su diversi argomenti che riguardano storia e tradizioni del passato, e si partecipa annualmente alla “Festa Internazionale della Storia” coordinata dall’Università degli Studi di Bologna. I relatori, oltre ai volontari dell’Associazione, sono persone del luogo, ma anche esperti e docenti dell’Università. Il pubblico partecipa numeroso, vivamente interessato a scoprire il proprio passato.L’Associazione “Progetto 10 righe”, ha realizzato anche altre iniziative culturali, come i “Progetti didattici” presso le scuole primarie e secondarie. Vengono tenuti brevi corsi in aula durante i quali sono illustrate agli studenti e agli insegnanti le vicende storiche e gli aspetti naturalistici dei luoghi più significativi del territorio, cui si fanno seguire passeggiate e visite guidate nelle località descritte (ad esempio: “Alla scoperta della Rupe”; “Palazzo de’ Rossi”; “Il Borgo di Colle Ameno”; “L’Acquedotto romano di Bologna”; “Scoprire e conoscere la natura”; “Le fonti della Storia”, “Guglielmo Marconi e le onde elettromagnetiche”, ecc.).Un’altra importante iniziativa è nata dalla collaborazione dell’associazione Gruppo di studi “Progetto 10 righe” con la Fondazione Guglielmo Marconi, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Sasso Marconi, e si è concretizzata nel promuovere l’addestramento di alcuni volontari affinché avessero la competenza necessaria per condurre visite guidate al Museo Marconi di Villa Griffone a Pontecchio. A partire dal 2001, cinque componenti dell’associazione, dopo un breve corso formativo, hanno

Fig.11. Copertina della rivista semestrale “al sâs - storia, natura, cultura” Numero “0” che viene pubblicata dal Gruppo prima della fine dell’anno 1999 e viene distribuita dall’Amministrazione Comunale a tutte le famiglie di Sasso Marconi.

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iniziato ad esercitare regolarmente questa attività di volontariato, su chiamata della segreteria del museo, e mediamente ogni anno vengono condotte molte decine di visite per un totale di alcune migliaia di visitatori.Nel 2005, a seguito di un lungo

lavoro di preparazione durato circa quattro anni, con la collaborazione di studiosi ed esperti, il Gruppo di studi “Progetto 10 righe” ha realizzato la “Guida turistica di Sasso Marconi”, pubblicata con il patrocinio e il contributo del

Fig.12. Copertina della “Guida turistica di Sasso Marconi” con allegata la “Carta turistica di Sasso Marconi” in scala 1:25.000: un volume di 304 pagine a colori, con 17 monografie di approfondimento e la descrizione di 41 percorsi escursionistici, pubblicato dal Gruppo nel 2005.

Comune. E’ nato un volume di 304 pagine a colori, con 17 monografie di approfondimento, la descrizione di 41 percorsi escursionistici, con allegata la cartografia del territorio in scala 1:25.000 (Fig.12).

Qui è stata descritta per sommi capi la storia dalle origini del Gruppo di studi “Progetto 10 righe”, nato da un’idea di incontro fra la generazione degli anziani, le “radici”, e quella dei giovani, le “ali”.Sono trascorsi ormai 17 anni da quel lontano 1999 in cui il Gruppo si è costituito, anni di intenso impegno nel volontariato culturale, con l’intento di dare concretezza ai 10 meravigliosi obiettivi scritti nel manifesto programmatico, finalizzati a valorizzare storia, natura, e tradizioni del territorio, evitando che questo ricco patrimonio debba cadere nell’oblio.Nel frattempo poche “radici” sono rimaste. Alcune si sono seccate e hanno cessato l’attività per problemi di età, di lavoro, di salute e famiglia. Altre lavorano ancora oggi con massimo impegno per portare linfa e nutrimento alla pianta, ma sentono il peso dell’ineluttabile trascorrere degli anni.Le “ali” finora hanno volato energicamente, hanno raggiunto mete che inizialmente erano inimmaginabili, però anche loro, per le stesse cause sopra citate, stanno denunciando sintomi di stanchezza.Cosa ci riserva il futuro? Nessuno lo può pronosticare. L’unica cosa che si può dire con certezza è che oggi scarseggiano (e invece nel

volontariato culturale sarebbero assolutamente necessarie) le “ali” giovani, dotate di passione ed entusiasmo, che possano continuare a volare lontano e raggiungere nuovi, importanti e luminosi traguardi.

Note(1) Marco Bentivogli, nato a Conegliano (Treviso) il 7 aprile 1970, nel 1994 a 24 anni entra nel sindacato FIM CISL e si occupa subito di giovani, come coordinatore dei lavoratori “under 35”. Nel periodo dal 1998 al 2001 acquisisce esperienza seguendo alcune aziende di Bologna, poi diventa Segretario Provinciale. Nel 2001 si sposta ad Ancona, seguendo le principali aziende locali nel settore metalmeccanico. Nel 2008 approda alla Segreteria Nazionale. In qualità di Segretario Nazionale si occupa di democrazia industriale e di partecipazione dei lavoratori alla gestione strategica d’impresa. Il 13 novembre 2014 viene eletto Segretario Generale. A giugno 2016 esce il suo libro dal titolo “Abbiamo rovinato l’Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato” [NdR].(2) Romitorio significa “luogo appartato”, distante dal caos della vita nelle città, allo scopo di favorire la riflessione, lo studio, e lo scambio di esperienze fra le persone. La FIM (Federazione Italiana Metalmeccanici), all’interno della CISL, è l’unica federazione di categoria che ha una scuola per dirigenti sindacali, e la sua sede è appunto il Romitorio di Amelia (Terni), nato nel luglio 1979 dalla ristrutturazione di un antico luogo di raccoglimento e preghiera dei frati francescani [NdR].(3) Giorgio Bertocchi nato in località Fontana di Sasso Marconi l’11 gennaio 1926, ha sempre vissuto a Sasso, dove ha svolto per molti anni l’attività di portalettere. Autodidatta, fin da giovane iniziò a interessarsi della vita economica e sociale del suo paese, a reperire notizie e documenti per conoscerne la storia, passando gran parte del suo tempo negli archivi. Il suo grande desiderio era quello di poter pubblicare il materiale frutto delle sue

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approfondite ricerche, così riuscì a collaborare con numerose riviste, fra cui “Il Carrobbio”. Nel 1974 pubblicò un’opera importante: la “Guida del Comune di Sasso Marconi”, con allegate la carta turistica del territorio e la carta topografica di Sasso. Giorgio era cultore ed esperto di ceramiche, passione che aveva maturato con lo studio delle maioliche settecentesche di Colle Ameno, e riuscì a pubblicare vari articoli sull’argomento che lo fecero apprezzare anche a Faenza, patria della ceramica. Inoltre condusse molte ricerche sulla vita di Guglielmo Marconi e della sua famiglia, collaborando con il professor Alfeo Giacomelli (docente presso il Dipartimento di Discipline Storiche dell’Università di Bologna). Purtroppo l’interessante raccolta di queste ricerche, di notevoli dimensioni, per diversi motivi, non riuscì mai a venire alla luce. Il Gruppo di Studi “Progetto 10 righe” dopo il convegno del 30 ottobre 1999 mantenne con Giorgio Bertocchi frequenti contatti, e gli fu proposta la carica di Presidente Onorario dell’Associazione che lui accettò volentieri. (Vedere nelle rivista “al sâs” n. 1 /1° semestre 2000, l’articolo di Mara Cini: “Storie di un borgo speciale: gli scritti di Giorgio Bertocchi nella biblioteca di Sasso”, pag. 41, e nella rivista “al sâs” n. 8 /2° semestre 2003, l’articolo di Francesco Fabbriani e Luciano Bondioli “Ricordando Giorgio”, pag. 3) [NdR].(4) Rino Nanni nasce il 5 maggio 1928, in località Serrini nel Comune di Vergato, in una famiglia di mezzadri. La famiglia si trasferisce per alcuni anni a Sasso Marconi, in località Ganzole, dove Rino frequenta le scuole elementari, poi a Badolo, finché non torna a Vergato nel 1942. Rino lavora nei campi con i suoi genitori. Nel 1944, a 16 anni, viene rastrellato dai tedeschi e destinato a costruire trincee e ripari per la

“Linea Gotica”, mentre nello stesso tempo svolge compiti di staffetta partigiana. Dopo la liberazione, nell’aprile 1945, in una Vergato distrutta dai bombardamenti, svolge lavori come taglialegna, manovale e muratore. Nel 1946 si iscrive al Partito Comunista Italiano e l’anno successivo entra nell’organo dirigente del partito, come responsabile dei giovani. Lavora di giorno e studia di notte. Ha un particolare interesse per lo studio della storia del nostro territorio e l’analisi delle vicende politiche locali. Nel 1951, dopo avere assolto il servizio militare, partecipa alle elezioni amministrative di Vergato e viene eletto Sindaco, ha solo 23 anni, è tra i sindaci più giovani d’Italia. Nelle elezioni del 1956 gli viene confermato l’incarico. Nel maggio del 1958 il suo partito lo candida nelle elezioni alla Camera dei Deputati. Viene eletto e dà le dimissioni da Sindaco: a 30 anni risulta essere il deputato più giovane d’Italia. Terminato il suo mandato alla Camera, torna a coprire incarichi nel Comune di Vergato e nelle istituzioni della Provincia di Bologna. Nelle elezioni comunali del dicembre 1985 viene di nuovo eletto Sindaco di Vergato. Luciano Bondioli racconta di averlo conosciuto, grazie ad amici comuni, nel marzo 1999 e che, dialogando con lui, aveva perfezionato l’idea di dar vita ad un gruppo di volontari che si impegnasse per il recupero delle tradizioni e della storia del nostro territorio. Da quel momento Rino fu sempre partecipe e attivo nell’organizzazione e realizzazione di tutte le iniziative. Lo ricordiamo come persona modesta ma determinata, rispettoso di tutti e delle idee altrui; grazie ai suoi giudizi, sempre equilibrati, riusciva a comporre ogni controversia: un vero amico che non si può dimenticare (vedere nella rivista “al sâs” n. 3 /1° semestre 2001, l’articolo di Luciano Bondioli “Caro Rino”, pag. 4) [NdR].

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storia

Mauro Filippini

Dal 27 settembre al 3 novembre 2016 si sono succedute a Sasso Marconi sei serate in cui il ricercatore storico Giancarlo Dalle Donne esponeva fatti avvenuti nelle frazioni di Sasso Marconi negli ultimi 3 secoli e l’attrice Mirella Mastronardi recitava una propria drammatizzazione di alcuni di questi fatti.Durante l’esposizione venivano letti documenti di quel periodo in cui risultavano i nomi delle antiche famiglie del luogo e talvolta i nomi di località non più riconoscibili facilmente al giorno d’oggi.

Ricerca dell’oratorio di “Santa Maria delle Calegare”, proprietà della nobile famiglia Ratta, situato a Pieve del PinoNella prima metà dell’Ottocento, tra i possidenti della zona che si estende fra Pieve del Pino e Sabbiuno compare il marchese Benedetto Ratta, proprietario di diverse case tra le quali Ca’ della Valle, il Casone e Le Calegare.Ca’ della Valle e il Casone sono presenti nella Carta Topografica della provincia di Bologna della seconda metà dell’Ottocento nella

Ricerche sul campo stimolate dal conferecital “Camminare nella storia” del 2016: l’oratorio di Santa Maria delle Calegare a Pieve del Pino e Palazzo Prada a Grizzana

zona di Sabbiuno (autore: Facchini) (Fig.1). Le stesse case sono presenti nella Carta Tecnica Regionale attuale (Fig.2).Oggi queste case sono normali abitazioni civili.Le Calegare invece si trova nel Comune di Pianoro, poco oltre il confine con Sasso Marconi e Bologna, nella parrocchia di Pieve del Pino, come risulta dalla Carta Tecnica Regionale (Fig.3).A pagina 84 del Piano Strutturale Comunale del 2008 dei Comuni di Loiano, Monzuno e Pianoro compare l’oratorio di S. Maria delle Calegare tra gli edifici scomparsi (Fig.4).Dal terzo tomo de “Le chiese parrocchiali della diocesi di Bologna” del 1849, a proposito dell’oratorio, risulta che la famiglia Ratta possedeva nei suoi pressi una “elegante villereccia abitazione” (Fig.5).Dalla mappa del Facchini della seconda metà dell’Ottocento, già citata, risultano due case vicino a Le Calegare, chiamate entrambe Casa Ratta (Fig.6). Oggi le due case sono chiamate Fornacetta e Canovetta (Fig.7).

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Marcello Tossani è il proprietario di Canovetta, quella che sembra essere stata la più importante delle due, e che oggi è sede dell’agriturismo “Pian delle Vigne”.Negli anni immediatamente successivi all’ultimo conflitto mondiale, il sig. Tossani, che allora era un ragazzo,

abitava già alla Canovetta e ricorda benissimo le donne che recitavano il rosario nell’oratorio di S. Maria delle Calegare presso cui egli era solito andare a giocare.Oggi sono visibili i resti dell’oratorio la cui struttura è stata modificata con successive trasformazioni (Fig.8).

Che non si tratti di un semplice edificio accessorio lo dimostrano la forma della finestra e il rosso bolognese che rimane ancora sugli stipiti della porta e della finestra (Fig.9).Nel borgo de Le Calegare, molto vicino all’oratorio, attualmente c’è anche una villa (Fig.10). Sarà forse questa la “elegante villereccia abitazione” posseduta dalla nobile famiglia Ratta o è invece la Fornacetta o la Canovetta?Comunque è da escludere che siano Ca’ della Valle o il Casone in quanto distanti alcuni chilometri.Sulla facciata della casa c’è una formella di ceramica dedicata alla Madonna di S. Luca (Fig.11).Un esperto, consultato a suo tempo

dal sig. Tossani, ipotizzò che questa fosse stata commissionata in una ventina di pezzi, in cui il nome del santo venne erroneamente scritto come ‘Lucca’ (pare che ‘Lucca’ fosse la forma dialettale di Luca). In questa ipotesi, chi ordinò le ceramiche potrebbe essere stato un proprietario di tante case (magari lo stesso Ratta) che le voleva dotare tutte di queste formelle. In realtà l’immagine della B.V. di San Luca con la denominazione di derivazione dialettale “San Lucca” è diffusa in tutta la montagna bolognese.Sarebbe interessante proseguire la ricerca per verificare l’eventuale presenza dello stemma della famiglia Ratta (Fig.13) sulle facciate degli edifici sopra descritti.

1

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Fig. 1. Nella Carta Topografica della provincia di Bologna risalente alla seconda metà dell’Ottocento nella zona di Sabbiuno appaiono le case: Ca’ della Valle e il Casone (mappa tratta dal web: http://badigit.comune.bologna.it/mappe/257/library.html, autore: Facchini).Fig. 2. Gli stessi edifici sono evidenziati nell’attuale Carta Tecnica Regionale (mappa tratta dal web: http://geoportale.regione.emilia-romagna.it/it/mappe/cartografia-di-base/carta-tecnica-regionale).

Fig. 3. Nell’attuale Carta Tecnica Regionale del Comune di Pianoro appare Le Calegare nella parrocchia di Pieve del Pino (mappa tratta dal web: http://geoportale.regione.emilia-romagna.it/it/mappe/cartografia-di-base/carta-tecnica-regionale).

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Ricerca di testimonianze della nobile famiglia RanuzziNel territorio di Sasso Marconi molto importante in quell’epoca fu anche la nobile famiglia dei senatori conti Ranuzzi, dove possedevano, tra l’altro,

il palazzo Dall’Armi (ampiamente documentato dalla ricercatrice storica Manuela Rubbini nell’articolo pubblicato in “al sas” n.1 / 1° semestre 2000 pag. 99, intitolato: “una ricerca sulla storia della famiglia Ranuzzi”).

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Fig. 4. Nel Piano Strutturale Comunale di Loiano, Monzuno e Pianoro del 2008 a pag. 84 l’oratorio di S. Maria delle Calegare è citato fra gli edifici scomparsi (tratto dal web: http://www.uvsi.it/index.php?option=com_content&view=category&id=87&Itemid=123).

Fig. 5. Nel terzo tomo de “Le chiese parrocchiali delle diocesi di Bologna” del 1849 sono citati i due oratori di S. Maria di Calzano e di S. Maria delle Calegare con accanto un’ “elegante villereccia abitazione” della famiglia Ratta (tratto dal web: http://www.chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/schedaca.jsp?sercd=65158).

Fig. 6. Nella mappa citata in Fig. 1, risalente alla seconda metà dell’Ottocento, risultano due case chiamate Casa Ratta vicino a Le Calegare (mappa tratta dal web: http://badigit.comune.bologna.it/mappe/257/library.html, autore: Facchini).Fig. 7. Le stesse case oggi nella Carta Tecnica Regionale sono denominate Fornacetta e Canovetta; quest’ultima oggi è sede dell’agriturismo “Pian delle Vigne” (mappa tratta dal web: http://geoportale.regione.emilia-romagna.it/it/mappe/cartografia-di-base/carta-tecnica-regionale).

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Nel Comune di Grizzana Morandi c’è un’interessante testimonianza della presenza dei Ranuzzi.In località Prada, vicino alla Carbona di Vergato, c’è un grande palazzo, “Palazzo Prada”, purtroppo in stato di abbandono, che riporta ancora le insegne dei Ranuzzi.Al capitolo “Il borgo” del sito http://www.davantialcamino.it/grizzana.

html risulta che:“Il cinquecentesco edificio rurale del Palazzo, anticamente chiamato il Brolo (l’orto), raro esempio di edificio agrario signorile, appartenne fino a tutto il Settecento alla famiglia Ranuzzi di Prada il cui stemma, datato 1680, compare ancora sul portale dell’edificio.”Sulla porta di Nord-Ovest del Palazzo

Fig. 8. Gli attuali resti dell’oratorio di S. Maria delle Calegare modificato da successive trasformazioni (foto Mauro Filippini).

Fig. 9. Particolari della finestra (a sinistra nella foto) e dello stipite della porta (a destra) presenti negli attuali resti dell’oratorio di S. Maria delle Calegare (foto Mauro Filippini).

Fig. 10. Fotografia dell’attuale villa che sorge nel borgo Le Calegare vicino ai resti dell’oratorio (foto Mauro Filippini).

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Prada è presente lo stemma della famiglia Ranuzzi (Figg.13 e 14).Cercando il nome “Ranuzzi” in Internet in wikipedia al seguente link: https://it.wikipedia.org/wiki/Ranuzzi si trova la storia della famiglia Ranuzzi e lo stemma (Fig.15).Si nota che lo stemma è molto simile

a quello fotografato sulla porta di Nord-Ovest, confermando quindi la presenza dei Ranuzzi a Prada di Grizzana.Invece lo stemma sulla porta di Nord-Est è diverso (Fig.16) e varrebbe la pena individuare la famiglia di appartenenza.

Fig. 11. Formella in ceramica dedicata alla Madonna di San Luca presente sulla facciata della villa nel borgo Le Calegare (foto Mauro Filippini).

Fig. 12. Stemma della nobile famiglia Ratta (tratto dal web: http://badigit.comune.bologna.it/books/dolfi/scorri.asp?Id=651)

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Fig. 13. Porta nord-ovest del Palazzo Prada, di proprietà della nobile famiglia Ranuzzi, che sorge in località Prada nel comune di Grizzana Morandi, vicino alla Carbona di Vergato (foto Mauro Filippini).

Fig. 14. Particolare della porta nord-ovest del Palazzo Prada dei Ranuzzi dove appaiono le incisioni dello stemma famigliare e le date 1680 e 1642 (foto Mauro Filippini).

Fig. 15. Stemma della nobile famiglia Ranuzzi (tratto dal web: https://it.wikipedia.org/wiki/Ranuzzi).

Fig. 16. Sulla porta nord-est del Palazzo Prada è inciso, con la data 1674, uno stemma differente da quello dei Ranuzzi; varrebbe la pena di individuare la famiglia di appartenenza (foto Mauro Filippini).

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memorie

Franca Foresti

Riporto di seguito il racconto dei momenti drammatici vissuti durante la seconda guerra mondiale da mia cognata Ivonne Cavina, che in quegli anni era una bambina.

Sono nata alla Lama di Reno, nel Comune di Marzabotto, pochi mesi prima dell’inizio della seconda guerra mondiale e i miei ricordi di bambina, i miei primi ricordi, sono legati a quel

La guerra vissuta da una bambina:una sveglia in fuga

terribile periodo che tanto dolore ha portato nella nostra valle.Nella mia memoria non ritrovo giochi sull’aia davanti a casa o lunghe sere di veglia passate con i nonni vicino al camino, ma sento ancora nelle orecchie la voce della mamma che mi urla di correre, mentre mi trascina nel rifugio perché gli aerei bombardano.Qualche volta, quando gli aerei alleati si abbassavano a mitragliare, la

mamma, terrorizzata, lasciava la mia mano e correva avanti, e il babbo, che sempre si fermava a sistemare le bestie prima di venire in rifugio, mi raggiungeva, mi prendeva in braccio e mi portava al riparo.

Nel 1943, il 27 novembre, la frazione di Lama di Reno subì un pesante bombardamento perché gli Alleati volevano colpire la cartiera che in quel periodo lavorava per i tedeschi (1) (Figg.1 e 2). Morirono operai e abitanti del paese.

Un giorno arrivò la notizia che lo zio Carlo, il fratello maggiore di mio padre, era morto in combattimento. Capii che la parola morto, che spesso sentivo ripetere, significava qualcosa di molto brutto, perché tutti in casa piangevano.Le cose peggioravano sempre più.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, sui monti attorno a Marzabotto si era formata la brigata partigiana “Stella Rossa” (Fig. 3) al comando di Mario Musolesi, detto ‘il Lupo’. Iniziò così la guerriglia partigiana: gli uomini della Brigata compivano azioni di disturbo contro le colonne nemiche che risalivano verso il nord e ingaggiavano veri e propri combattimenti con i tedeschi, che rispondevano con rappresaglie contro la popolazione, rappresaglie che sarebbero culminate nel massacro di Monte Sole nel settembre-ottobre 1944.

Spesso in paese arrivavano quei soldati che parlavano in un modo così diverso dai miei famigliari e vedevo

stendere un lenzuolo bianco sopra la mia casa.

Era il segnale per gli uomini della Lama di fuggire, di nascondersi.

Sentivo qualcosa nella gente che mi era attorno che non riuscivo a capire: era la paura che invadeva tutti, paura che mi sarebbe entrata dentro e non mi avrebbe più lasciato per molto tempo.Un giorno il babbo sparì. La mamma disse: «Il babbo è andato a lavorare lontano. Viene a casa fra un po’».

I tedeschi lo avevano rastrellato assieme ad altri uomini del paese e portato a lavorare a Borgoforte, lungo il Po.

Di quei giorni lontani due episodi sono stampati nella mia memoria in modo vivissimo.Io sono in braccio a mia mamma Alma, le stringo il collo e non riesco neanche a piangere, ma solo a tremare, perché quegli uomini così strani, diversi dagli uomini del paese, urlano e ci spingono dentro il rifugio, poi ci fanno uscire, poi ancora entrare, tante e tante volte, con tutta l’altra gente della Lama, e anche le donne urlano e pregano.

Alma, la madre di Ivonne, racconta:I tedeschi avevano preso un ragazzo e dicevano che era un partigiano. Gli avevano legato sulla schiena una cassetta di munizioni e lo facevano girare in mezzo a noi e chiedevano chi erano i suoi parenti.

Fig.1. La targa in marmo su un muro di cinta della Cartiera di Marzabotto in Lama di Reno ricorda i terribili bombardamenti aerei subiti dallo stabilimento il 27 novembre 1943 (foto Paolo Michelini).

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Avevano piazzato una mitragliatrice davanti all’entrata del rifugio dove ci facevano entrare. Poi ci facevano uscire di nuovo. Sempre urlando. I parenti del ragazzo erano lì, ma per fortuna non dissero niente. Se avessero parlato saremmo stati tutti uccisi perché i tedeschi dicevano che aiutavamo i partigiani. Quando se ne andarono si trascinarono dietro quel povero ragazzo che non tornò mai più.

Prosegue il racconto di Ivonne:L’altra giornata che non dimenticherò

mai è quella in cui venne l’ordine di lasciare la Lama. In famiglia c’eravamo io, la mamma, i nonni paterni, il fratello più giovane del babbo, due zie e i loro figli, due ragazzini un poco più grandi di me: in tutto nove persone.Il tempo per preparare le nostre cose era poco e non avremmo potuto tornare indietro. Avevamo un carro, ma le bestie, il cavallo e i buoi, se li erano già presi da tempo i tedeschi.Ricordo che in ogni parte della casa si sentiva gridare, c’era una confusione incredibile.

Fig.2. La cartiera IRIS a Lama di Reno dopo il bombardamento alleato del 27 novembre 1943 (da “Prima degli unni a Marzabotto, Monzuno, Grizzana, di Luigi Arbizzani).

Fig.3. Gruppo di partigiani della brigata Stella Rossa fotografati a Monte Sole nell’estate 1944 (da “Prima degli unni a Marzabotto, Monzuno, Grizzana, di Luigi Arbizzani).

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Le donne caricavano sul carro della roba e poi la scaricavano quando trovavano qualcosa di più importante da prendere con noi.Così piangendo, urlando, pregando, mentre il nonno cercava di dare ordini a tutti senza che nessuno lo ascoltasse, sul carro vennero caricati materassi, coperte, pentole, qualche vestito e sacchi di roba da mangiare. Sopra a tutto fecero sedere il nonno, che non poteva camminare, poi fecero salire me e anche un’oca. La mamma mi aveva messo in mano

la sveglia e mi aveva detto: «Tieni stretta la sveglia, non farla cadere, ho solo quella e non la lascio ai tedeschi! E non piangere perché quelli lì sono uomini cattivi che ammazzano la gente».Così, disperati, lasciammo la nostra casa e i nostri bei campi, con le donne che, sostituendosi alle bestie, tiravano il carro a turno.A Sasso Marconi i tedeschi ci fermarono. Presero lo zio e lo portarono via con altri uomini. Noi pensavamo che lo avrebbero mandato a lavorare come mio padre.

Fig.4. Sasso Marconi, Borgo di Colle Ameno: facciata della Villa Davia fotografata nel 2006. Nell’anno 1944 l’edificio fu sede del comando tedesco e prigione di smistamento degli uomini rastrellati nelle zone a ridosso della Linea Gotica (foto Elena Gentilini).

Fig.5. Un posto di blocco con soldati tedeschi alle porte di Bologna, dove venivano eseguiti i controlli su tutte le persone e i mezzi che accedevano al centro (Foto Villani, Bologna).

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Lo zio era stato catturato, ci avevano rubato i materassi, avevamo dimenticato la farina, ma eravamo riusciti a raggiungere Bologna e pensavamo di essere lontani dal pericolo. Mia madre disse: «Adesso vediamo dove andremo a stare». Io ero stanchissima. Ormai dormivo in piedi. Solo allora la mamma mi guardò e disse: «Ma hai ancora in mano la sveglia!»Erano passate tante ore da quando avevamo lasciato la nostra casa alla Lama. Avevamo fatto più di venti chilometri di strada. Per tre volte ero stata caricata e scaricata dal carro come un sacco di patate. Avevo avuto tanta paura, ma in tutta quella confusione ero riuscita ad obbedire all’ordine della mamma: “Impedire ai tedeschi di catturare la nostra sveglia”.

Nota(1) Sergio Spirandelli, La cartiera della Lama dai conti di Panico ad oggi, “al sâs” N.13/ I semestre 2006, pag. 83

Il presente articolo, arricchito con note ed immagini, é tratto dalla rivista “al sâs” N.4/ II semestre 2001, che é andata esaurita da tempo e ormai é introvabile.

Venne, invece, portato a Colle Ameno (Fig.4) da dove, attraverso una piccola finestra, riuscì a fuggire assieme a un amico. Altri uomini, che erano con lui, vennero poco tempo dopo fucilati.

Poi i tedeschi vollero vedere cosa c’era sul carro: fecero scendere il nonno e me e buttarono tutto per aria. Io avevo una grandissima paura, ma non piangevo, forse non respiravo neanche e stringevo forte forte la sveglia.Dopo averci preso i materassi ci lasciarono ripartire.La mamma e le zie rimisero tutto sul carro compreso il nonno, l’oca e me.A Pontecchio venimmo di nuovo fermati e di nuovo fummo fatti scendere e tutto venne buttato all’aria. E di nuovo la mamma e le zie ricaricarono tutto sul carro, e di nuovo sopra a tutto rimisero il nonno, l’oca e me.Anche all’entrata in città i tedeschi ci fermarono, ma diedero solo un’occhiata veloce al nostro carro (Fig. 5).Finalmente eravamo a Bologna.

All’arrivo a Bologna l’oca si avvelenò mangiando le foglie di un oleandro, così non poté essere cucinata e fu gettata via.

Guardammo le nostre cose e ci accorgemmo che invece del sacco della farina avevamo caricato quello degli stracci che servivano per pulire casa e stalla. Questo significava una perdita grave, perché in quel periodo la farina era un bene prezioso, ma nessuno si disperò.

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cultura

Testo e fotografie di Piero Paci

Una brevissima premessaPrima di entrare nel magico e complesso mondo degli ex libris, ho voluto anteporre al titolo «Quelle strane etichette», in ricordo di «Quella strana pubblicità», che è un bel catalogo di successo uscito nel lontano 2003 a cura di Massimo Gatta (1) e che documenta la raccolta delle etichette o semplici

«Quelle strane etichette»: breve storia degli ex libris

volantini disegnati dallo stesso Leo Longanesi per la pubblicità dei libri delle collane da lui dirette. Anche in questo caso, come nel nostro che vedremo in seguito, questi contrassegni col tempo e con le mode mutarono destinazione e divennero oggetti ambiti di raccolta per raffinati collezionisti, tanto richiesti da essere ricercati e

Fig. 1. Impresa della famiglia Branderburg (collezione privata).Fig. 2. Impresa della famiglia Knabensberg (collezione privata).

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faticosamente classificati, per poi confluire in una nutrita antologia che però ancor oggi, come allora, non è certamente completa e sicuramente non lo sarà mai. Ciononostante viene comunemente riconosciuta dagli esperti un corpus unico di grande impatto emotivo e altrettanta suggestione visiva.L’argomento è comunque troppo vasto per poterlo affrontare in modo dettagliato all’interno di un singolo articolo. In questa sede mi atterrò quindi ad una rapida carrellata, giusto per stimolare nel lettore la curiosità verso un approccio prevalentemente collezionistico.

Gli ex librisLa definizione di ex libris fornita da Wikipedia conferma l’origine latina della locuzione, che sta per “dai libri” e si riferisce sostanzialmente ad una sorta di etichetta personalizzata ornata di figure e di motti, che si applica ad un libro per indicarne il proprietario.Può essere un contrassegno visibile nella parte interna della copertina, in materiale cartaceo, ma anche in cuoio o pergamena, o sotto forma di firma autografa o di timbro a inchiostro, a fuoco, a lacca od altro. È un elemento para testuale di fondamentale valore storico e

documentale, che ci permette di conoscere l’itinerario del libro a causa delle dispersioni per passaggi ereditari e vendite, le vicissitudini della biblioteca di appartenenza e le successive collocazioni.Fino a non molti anni fa, in effetti, pochi erano in Italia coloro che conoscevano esattamente il significato e la forte valenza bibliofilo-artistica del termine ex libris. Esso è dunque sostanzialmente l’indicazione di proprietà che il possessore di una biblioteca pone sul cartone o sul foglio di guardia di ogni volume. Si tratta di un uso vecchio quasi quanto le raccolte di libri, come il

conseguente piacere di raccoglierli.Prima della invenzione della stampa il possessore di un volume scriveva spesso sul foglio di guardia, oltre al proprio nome, una frase, alcuni versi, qualche volta un intero sonetto o un’ode. Alcuni di questi ex libris primitivi sono curiosissimi: se ne incontrano di ironici e di morali. C’è chi afferma che i libri sono per gli amici più che per sé, e possono essere preghiere cortesi rivolte sempre agli amici affinché non dimentichino di rendere il libro al suo legittimo proprietario. Insomma nei loro multiformi aspetti racchiudono infiniti motivi di comunicazione, tanto che

Fig. 3. Ex libris inciso da Dürer per Lazarus Spengler (1515) (collezione privata).Fig. 4. Ex libris di Giovanni Battista Ferretti (1601) (collezione L. Battistelli, Milano).

Fig. 5. Ex libris della famiglia Grassi di Bologna (collezione privata).Fig. 6. Ex libris della famiglia Sampieri di Bologna (collezione privata).

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è difficile se non impossibile poterli degnamente classificare. In omaggio ad un consumismo imperante, queste etichette, con relativi motti, sono oggi prodotti in serie e si acquistano già belle confezionate senza nemmeno chiedersi se si possano adattare alla propria personalità o alla propria cultura.

Uno sguardo al passatoGli ex libris nacquero quasi certamente parallelamente all’aumento della diffusione del libro, a sua volta conseguenza dell’invenzione della stampa. Ebbero l’obbiettivo pratico di

dare maggior decoro alla proprietà del volume, e quindi maggiore possibilità di distinzione, al fine di rendere più difficile il furto. Con molta probabilità nacquero in Germania, assai accurati e di fattura artistica, non solamente perché là ebbe origine la stampa dopo il perfezionamento dell’arte tipografica, messa a punto da Gutenberg tra il 1439 e il 1450, ma perché in quel paese si sviluppò la xilografia (o silografia: antico metodo di stampa che riproduceva scritti e disegni attraverso una matrice di legno duro inciso a mano).Agli ex libris si dedicarono insigni

artisti, vissuti tra il Quattrocento e il Cinquecento, come Martino Schoen, Michael Wolgemut ed Albrecht Dùrer, il più grande di tutti. Ovviamente col mutare dei governi e delle scuole cambiarono anche gli ex libris, esprimendo nuove tendenze di gusti letterari ed artistici di molte generazioni. Sappiamo che è dunque dalla Germania che provengono i due più antichi finora conosciuti, di autore anonimo, entrambi silografici, datati approssimativamente intorno al 1470. Il primo, muto e con testo calligrafico di appartenenza, è dedicato al monaco cistercense

Hildebrand Brandenburg. Raffigura un angelo che regge lo stemma su cui sono visibili le insegne della famiglia Brandenburg, cioè un toro con l’anello infilato nelle narici (Fig.1). L’altro è una silografia e appartenne ad Hans Knabensberg detto Jgler, un cappellano della famiglia bavarese Von Shoenstett, il cui nome possiamo rintracciarlo impresso in caratteri gotici nel cartiglio “Hanns Igler das dich ein Igel kuss” (Hanns Igler ti dà un bacio da riccio) sotto il quale vi è un ramoscello ed un porcospino o riccio: Igel in tedesco vuol dire appunto porcospino (Fig.2). Questo esemplare

Fig. 7. Ex libris della famiglia Sacchetti di Roma (collezione privata).Fig. 8. Ex libris D. De Auria Montis Aldei, della famiglia dei conti Doria di Montaldeo (collezione privata).

Fig. 9. Ex libris di Francesco Riccardi di Vernaccia (collezione privata).Fig. 10. Firma autografa di appartenenza di Spirito Giuseppe Riccardi (1675-1744) (collezione privata).

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degli anni 1470-80 presenta in sé già i tratti dei moderni ex libris: un formato rettangolare incorniciato con una figura al centro in rapporto semantico col nome del proprietario iscritto nel cartiglio.Alla tecnica silografica, negli ultimi anni del XV secolo andò gradualmente affiancandosi la calcografia o incisione su rame; una ingegnosa applicazione dell’antica arte orafa per sbalzare i metalli. È una tecnica a incavatura che, per la versatilità data dalla sottigliezza del segno, dai chiaroscuri, dalle sfumature a mezzo tinto, meglio si sarebbe adattata alla ricchezza ornamentale del barocco

che si stava preparando, e del successivo rococò.Dalla fine del Cinquecento a tutto il Seicento gli ex libris si presentavano quasi sempre con lo stemma araldico privo di annotazioni, oppure con il motto proprio della famiglia che stava ad indicare un intendimento morale o ideale proprio della committenza. Rigidi ed austeri apparivano nel Cinquecento gli stemmi, come quello appartenuto nel 1548 al vescovo di Tortona, poi divenuto cardinale Giovanni Francesco Gambara, così come lo erano quelli tedeschi (Fig.3), mentre nel Seicento erano ricchi ed elaborati nel disegno, con

la comparsa di cappelli cardinalizi, mitre, elmi piumati e corone nobiliari.Nel 1601 si ha il primo ex libris italiano con data. E’ appartenuto a Giovanni Battista Ferretti, giureconsulto e letterato ferrarese, inciso in rame da Giuseppe Maria Carena, in grande formato (Fig.4). Di questo cimelio esiste un solo esemplare, scampato per miracolo, poiché della biblioteca di quel dotto non c’è più traccia e forse è stata distrutta da un incendio. Risale al 1550 la stampa del più antico, sembra, appartenuto a Niccolò Pilli di Pistoia. Gli ex libris italiani del XVII secolo, finora conosciuti, sono circa un centinaio.

Il Settecento, secolo di grandi trasformazioni sociali e culturali, allargò l’interesse per l’ex libris anche a fasce sociali che lo utilizzarono per motivi di lavoro o di passione; interesse che si estese anche in America. Da unico monopolio di conventi e castelli, la costituzione di biblioteche diventò una possibilità effettiva anche per una borghesia di studiosi, avvocati, notai, medici, architetti, letterati, scienziati, mercanti con velleità intellettuali, etc.. Verso la fine del secolo, forse in contrapposizione al gusto carico imperante, presero a diffondersi piccole etichette tipografiche con il

Fig. 11. Timbro di Francesco Maria Zambeccari (1682-1767) su manoscritto di fine sec. XVII (ex collezione privata Piero Paci, ora nella raccolta Manoscritti A dell’Archiginnasio, segn. A.2946).Fig. 12. Timbro dell’incisore Claude Olivier Gallimard (1720-1774) (collezione privata).

Fig. 13. Ex libris di Syston Park della famiglia Beckford di Londra (collezione privata)Fig. 14. Ex libris di Felice Calvi (1822-1901) (collezione privata)

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semplice nome e cognome del titolare o della biblioteca, a volte preceduto dal titolo nobiliare, oppure era possibile trovare dai cartolari etichette anepigrafi con piccole cornici o disegni geometrici sulle quali veniva apposto il nome manualmente e avevano il doppio uso di ex libris o carta da visita.Di questo secolo ho scelto alcuni esemplari: delle famiglie Grassi (Fig.5) e Sampieri (Fig.6) di Bologna, Sacchetti di Roma (Fig.7), Doria di Montaldeo (Fig.8), Riccardi di Vernaccia di Firenze (Fig.9) e altri con firme o timbri di appartenenza

(Figg.10, 11 e 12). Soltanto con la Rivoluzione Francese e con i moti libertari dell’inizio Ottocento, gli ex libris si svincolarono dal loro passato storico per iniziare ad essere alla portata di tutti gli studiosi e lettori.Anche per l’Ottocento e oltre scelgo altri esemplari: della Beckford Collection di Londra (Fig.13), di Felice Calvi (Fig.14), di Grace Whitney Hoff (Fig.15) e di Diana Russel (Fig.16). Purtroppo con la Restaurazione ritorneranno araldici e bisognerà attendere la fine del XIX secolo per vedere la nascita dell’ ex libris

moderno, come lo conosciamo oggi. E fu infatti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento che avvenne il suo rinnovamento, riportato in auge non solo come marchio di proprietà, ma anche come collezionismo di grafica autonoma. Allora nacquero associazioni di raccoglitori un po’ in tutta Europa, ed in particolare nelle riviste d’arte, un equivalente di ciò che oggi chiameremmo d’avanguardia, e si iniziò a guardare con curiosità ed attenzione a questa forma di arte applicata.

Nel primo Novecento abbiamo “l’epoca d’oro degli ex libris” grazie al simbolismo dell’Art Nouveau nelle sue diverse espressioni nazionali (Figg.17, 18 e 19) (2). È anche vero che i tempi stessi aiutarono perché cadde la distinzione tra arti maggiori e minori, ed artisti di grande rilievo si dedicarono alla produzione di mobili, manifesti, stoffe, oggetti, libri, etc., imprimendo gusto creativo anche in orizzonti che prima non venivano contemplati e rimanevano, semmai, a un livello di superbo artigianato.

Fig. 15. Ex libris di Grace Whitney Hoff (1862-1938) (collezione privata).Fig. 16. Ex libris di Diana Russell presente nel King’s College di Cambridge (collezione privata).

Fig. 17. Ex libris di Daniel Vogelmann (collezione privata).Fig. 18. Ex libris del dr. Miendert Niemeijer (1902-1987) compositore di scacchi e mecenate olandese (collezione privata).

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Gli ex libris oggiLe raccolte esistenti sono ragguardevoli, come quella del British Museum che conta circa centomila esemplari, mentre a Milano andrebbe visitata quella del milanese Achille Bertarelli (1863-1938), custodita nel museo del Castello Sforzesco. E tante sono le collezioni eseguite da artisti di tutto il mondo, realizzate con tecniche di ogni tipo.Appositi incontri e convegni vengono periodicamente organizzati per favorire scambi e dibattiti culturali. Potrei fare molti nomi di artisti specializzati in questo settore, ma ricorderò il più amato e il più grande di tutti, il pittore e incisore di origine ebraica Michel Fingesten (1884-1943), un maestro degli ex libris erotici, peraltro molto ricercati (3) e

il collezionista e bibliofilo bolognese Remo Palmirani (1943-2005), direttore di una nota collana dedicata agli ex libris europei ed autore di una raccolta dedicata alla Massoneria (2002), che alla sua morte lasciò agli eredi ben trentamila pezzi (Fig.20).All’estero la letteratura degli ex libris conta oltre un centinaio di volumi ed alcune decine di riviste. In Italia, già nel 1902 il sopra citato Achille Bertarelli, che fu ad un tempo un valente bibliografo ed un grande collezionista, pubblicava in unione al collezionista e bibliofilo David Henry Prior (1862-1934) un bel volume, riccamente illustrato, intitolato Gli Ex-Libris italiani. Uscì anche il manuale di Jacopo Gelli (1858-1935) nelle due edizioni del 1908 e 1930. Una recente raccolta venne

proposta in occasione di Expo 2015 sul tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” con la mostra dal titolo “Il cibo negli ex libris”. Alcune delle opere esposte vennero realizzate con la partecipazione di artisti di 25 nazioni, dal Cile all’India, dal Canada al Giappone, con più di 250 opere elaborate appositamente sul tema dell’Esposizione Universale, mentre altre provenivano dalla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano.E’ bene però ricordare subito che, come per i francobolli, anche per gli ex libris esistono i falsi o apocrifi. I francobolli sono emessi dallo Stato nel quale devono essere impiegati o

venduti, gli ex libris dal titolare che deve usarli o metterli in circolazione: francobolli ed ex libris non emessi rispettivamente dal proprio titolare sono da considerarsi falsi, escluso però il caso degli ex libris per omaggio a personalità contemporanee e quelli fittizi e anonimi.Esistono anche riproduzioni moderne su carta magnifica di importanti o rari esemplari dei secoli scorsi; questi ex libris apocrifi dovrebbero essere senz’altro rifiutati per una raccolta seria. Sono da considerarsi falsi anche gli ex libris ritagliati da certe pubblicazioni. Falsi sono pure quelli antichi ricavati da biglietti

Fig. 19. Ex libris di Jacopo Gelli (collezione privata).Fig. 20. Ex libris di Remo Palmirani (collezione privata).

Fig. 21 e 22. Due ex libris inapplicati (collezioni private).

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da visita o altre piccole stampe del tempo aggiungendovi la dicitura ex libris. Quelli veri si possono anzitutto distinguere in: effettivi e inapplicati. Gli effettivi sono impiegati realmente per contrassegnare le biblioteche e vengono applicati nei volumi. Gli inapplicati sono invece ideati e riprodotti solo per farne oggetto di scambio tra i collezionisti (Figg. 21 e 22), cioè sono un pretesto per nuovi soggetti e nuovi concetti, che comunque non sarebbero adatti come marchio di possesso. Gli inapplicati si distinguono poi in: da collezione, per omaggio e fittizi. I primi sono quelli emessi dal vero titolare, i secondi quelli intitolati per omaggio a qualche personalità contemporanea e gli ultimi quelli in cui il titolare non esiste e quindi il nome è fittizio. Queste due ultime categorie sono emesse a cura di

collezionisti che se ne servono per gli scambi oppure di artisti che ne fanno un oggetto di speculazione, vendendoli per le raccolte. Occorre perciò essere molto accorti nel saperli selezionare durante le ricerche sulle bancarelle o sui numerosi siti Internet, ove peraltro abbondano. Mi viene spontaneo dire: in bocca al lupo e buona caccia!

Note(1) Mauro Chiabrando, Piero Gadda, Alberto Ravaglioli (a cura di Massimo Gatta), Quella strana pubblicità - L’album dei “santini” di Leo Longanesi, Università degli Studi del Molise, 2003.(2) Jacopo Gelli, Gli ex libris italiani. Guida del raccoglitore, Milano, Istituto Editoriale Cisalpino-Goliardica, 1976.(3) “Fingesten sta alla storia degli ex libris come Pablo Picasso a quella della pittura”, in «Panorama», Giampiero Mughini, 11 febbraio 2003.

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cultura

Piero Paci

Le moderne edizioniNon si tratta di un giallo, come potrebbe far pensare il titolo, ma di una singolare curiosità letteraria. Quante volte nel rileggere gli antichi testi proposti nelle ristampe in veste grafica moderna, senza però alterarne il contenuto, ne abbiamo condiviso le atmosfere con l’intento di scoprire nuovi significati, oggi come allora carichi di grande ironia e a volte di toni altrettanto maliziosi?Nel 1993 venne riproposto in edizione moderna (1) un gustoso libretto di poco più di un centinaio di pagine, poi ristampato con successo sino al 2013 dalla casa editrice la Vita Felice di Milano (2) nella “collana” “Perle di Felicità”, a cura di Chicca Gagliardo, dal titolo Lettere scritte da donna di senno e di spirito per ammaestramento del suo amante, e, come afferma la stessa curatrice, in seconda di copertina: “Nelle dodici lettere inviate all’amante, più giovane e meno esperto della vita, una donna colta e raffinata ci offre un gustoso affresco di costumi settecenteschi” (Fig.1).Questa raccolta, che potremmo definire un vero manuale che

La dodicesima lettera

illumina sui terribili effetti collaterali della passione, che già si conoscevano più di duecento anni fa, si compone quindi di dodici lettere scritte da un’autrice anonima. Nelle versioni moderne esse vengono riproposte fedeli all’edizione originale stampata a Venezia nel 1764. E infatti in quell’edizione le lettere sono appunto dodici. Nel 2017 un editore di Delhi, in India, ha ristampato l’opera tratta questa volta dalla prima edizione che risale al 1737, dove le lettere sono tredici.Una ricerca storica ha infatti rivelato l’esistenza di una tredicesima lettera presente anche in ristampe successive, ma non in tutte, per cui la curiosità mi spinge ad esaminarle con la complicità di chi mi legge. Non mi soffermerò sulle considerazioni che accompagnano le recenti edizioni di questa curiosa operetta, se non per diffonderne e condividere la loro lettura, peraltro molto stimolante per le tante piacevolezze che esprime. Mi addentrerò invece lungo il percorso a ritroso nel tempo, sino a giungere a quel lontano 1737, dove, per la prima volta, l’autore si cimenterà con originalità sul

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tema della donna e la filosofa nel Settecento, il ‘secolo dei Lumi’.

Le antiche edizioniA seguito di un’indagine condotta sull’OPAC SBN (On Line Public Access Catalogue Servizio Bibliotecario Nazionale) e nei repertori bibliografici più importanti, compreso il Dizionario di opere anonime e pseudonime di Gaetano Melzi, dove peraltro questo libretto non appare citato, le edizioni uscite tra il 1737 e il 1820 furono sei. E rispettivamente nel 1737,1747,1758,1764,1818 e 1820.L’opera ebbe certamente un certo successo e apparve pubblicizzata in molte riviste letterarie coeve, sia italiane che estere, destando qualche perplessità circa l’anonimia dell’autore. Ad esempio sulla Frusta letteraria edita nel 1763-64 (p. 261) e nel catalogo delle Opere di Giuseppe Baretti del 1813 (p. 273) e 1839 (p. 165), appare l’opera così descritta: “L’incognito autore di queste lettere finte, scritte da una donna, o da donna, come dic’egli, è uno di què mali uomini, che vorrebbero pure contribuire il loro miccino [in piccola parte] a corrompere sempre più il mondo, se li potessero fare”. Con questa asserzione si ipotizzava una plausibile identità maschile dell’autore, mentre sappiamo che la critica moderna punta su un’autrice, della quale “conosciamo dunque solo ciò che lei dice di sé stessa” (3). In ogni caso si diffuse la curiosità sul contenuto di queste lettere, tanto da far pensare che appunto la dodicesima, come vedremo in seguito, non sempre presente nelle

sei edizioni citate, potesse essere a discrezione dell’editore tolta per qualche motivo di censura, che per ora rimane ignoto.La prima edizione uscì quindi nel marzo 1737 a Ferrara (Fig.2), per conto dello stampatore “camerale e del S. Officio” Giuseppe Barbieri, che svolse la sua attività tra il 1727 e il 1799. Di questa prima edizione esistono ben tre emissioni, una di 129 pagine con dodici lettere (Fig.3) e le altre due di 143 pagine con tredici lettere, ma con impronte differenti, che si distinguono perché una delle due presenta sul titolo una vignetta incisa in rame, anziché in legno, raffigurante Venere e Cupido, mentre l’altra un fregio xilografico con due rose (Fig.4), usato anche come finalino, assai simile in alcune edizioni coeve stampate a Bologna dalla tipografia di Lelio Dalla Volpe (4). Una copia è presente nell’Ohio State University.La seconda edizione uscì a Firenze nel 1747 presso lo stampatore e letterato Andrea Bonducci (1715-1766), di 98 pagine e tredici lettere (Fig.5). Venne pubblicizzata sulla raccolta di Novelle letterarie dello stesso anno (p. 692), nell’indice per materie della Biblioteca Comunale di Siena del 1844 (p. 141) e nel Catalogo della libreria Floncel edito a Parigi nel 1774 (p. 377) dove appare tra le lettere anonime. La terza edizione, edita sempre da Bonducci ma nel 1758, di uguali pagine, reca invece dodici lettere (Fig.6). Viene citata nel repertorio della Biblioteca enciclopedica italiana del 1831 (p. 193).

Fig. 1. Quarta edizione “moderna” del 2009 (foto Piero Paci).

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La quarta edizione uscì a Venezia nel 1764 (Fig.7) per il tipografo ed editore Antonio Graziosi (1741-1818) stampatore di opere illuministiche, gazzette e giornali; è di pagine 71 e reca dodici lettere, notizia confermata dalla Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza che ne conserva una copia (5). Una citazione dell’opera appare nella raccolta della Biblioteca moderna ovvero estratti di libri nuovi e memorie storico letterarie, stampata a Venezia nel 1764 (p. 285).Il numero delle lettere della quinta

edizione di 76 pagine, stampata a Bologna nel 1818, è dodici, così come mi conferma la Biblioteca nazionale di Bari. La veste tipografica appare alquanto modesta (Fig.8) e il frontespizio non reca il nome del tipografo (forse i fratelli Masi?).Non sappiamo chi sia lo stampatore della sesta edizione uscita a Napoli nel 1820, che è di 71 pagine, ma la Biblioteca provinciale La Magna Capitana di Foggia attesta lo stesso numero di lettere dell’edizione precedente (6).

Fig. 2. Frontespizio della prima edizione ferrarese del 1737 (Bologna, collezione privata, foto Piero Paci).

Fig. 3. Ultime due pagine della emissione di 129 pagine della prima edizione del 1737 con dodici lettere (presente presso la Biblioteca Norberto Bobbio - Università degli Studi di Torino - richiesta 13 gennaio 2017).

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Fig. 4. Frontespizio della emissione di 143 pagine della prima edizione del 1737 con tredici lettere (Bologna, collezione privata, foto Piero Paci).

Fig. 5. Frontespizio della seconda edizione del 1747 edita a Firenze da Bonducci con tredici lettere (collezione privata, foto Piero Paci).

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Fig. 6. Frontespizio della terza edizione del 1758 edita a Firenze da Bonducci con dodici lettere (collezione privata, foto Piero Paci).

Fig. 7. Frontespizio della quarta edizione del 1764 edita a Venezia con dodici lettere (presente presso la Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza, richiesta 13 gennaio 2017).

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Quindi dal 1758 (terza edizione) in poi le lettere a corredo del testo furono dodici e l’ultima, la dodicesima, è in realtà indicata come la numero tredici delle altre edizioni. Tra la undicesima e la dodicesima appare un testo, all’apparenza senza connessione con la trama del libro, riportato nelle edizioni moderne, una raccolta di aforismi o meditazioni di Lucio Anneo Seneca, scrittore, filosofo e politico romano (4 a.C. - 65 d.C.), che invece è strettamente legato alla lettera mancante e che ora qui presenterò nella figura seguente che riporta le pagine tratte dalla prima edizione del 1737 (Fig.9).Quale sia il vero motivo dello stralcio

di questa lettera non ci è dato sapere. La pagina che non ho riprodotto di presentazione dell’argomento della lettera recita: “Si scusa coll’Amante di non avergli mandato prima la Meditazione di Seneca, che ora gli trasmette”.Il mistero di questa omissione comunque permane ancor oggi, anche se nulla toglie alla singolarità dell’argomento, che all’epoca poteva essere oggetto di qualche disapprovazione o condanna morale.

I manoscrittiUna ricerca bibliografica, se pur finalizzata al ritrovamento dei testi a stampa, non poteva non

Fig. 9. La dodicesima lettera: pagine tratte dalla prima edizione del 1737 (foto Piero Paci).

Fig. 8. Frontespizio della quinta edizione del 1818 edita a Bologna con dodici lettere (presente presso la Biblioteca nazionale di Bari).

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Fig. 10. Manoscritto 1164 presso la Biblioteca Angelica di Roma (richiesta del 22 gennaio 2017).

prendere in considerazione i relativi manoscritti. Nel nostro caso al momento sono solamente due, uno in Italia conservato presso la Biblioteca Angelica di Roma, contrassegnato ms. 1164 (Fig.10) e uno negli Stati Uniti d’America, presso la Biblioteca dell’Università della Pennsylvania, contrassegnato ms. codex 283 (Fig.11), entrambi formati da 13 lettere.L’esemplare italiano è legato ad

un altro manoscritto di mano di Gian Vincenzo Gravina (1664-1718), letterato e giurista assai noto per essere anche uno dei fondatori dell’Accademia dell’Arcadia di Roma. Il primo manoscritto di Gravina si intitola La prattica dell’amore di Giano Vincenzo Gravina scritta ad’ una dama (cc.1-48) (Fig.12) e di seguito Lettere scritte da una donna di senno e di spirito per ammaestramento del suo amante (cc. 49-192) (Fig.13).

Fig. 11. Frontespizio del manoscritto codex 283 presso la biblioteca dell’Università della Pennsylvania (primary digital resources open available to everyone).

Gravina scrisse altri testi dedicati alla donna (7), e, secondo il censimento dei manoscritti delle biblioteche italiane, esso avrebbe un range compreso tra il 1701 il 1800 (8). Si può escludere sia stato lui l’autore anonimo in questione per motivi anagrafici. Resta così il mistero dell’autore (o dell’autrice) e della lettera dodicesima, accompagnato dall’attualità del suo contenuto, ieri come oggi carico di inaspettata ironia.

Note(1) Le edizioni moderne uscirono nel 1993, 1995, 1998, 2009 e 2013.(2) Il mio tentativo di contattare la curatrice dell’edizione non ha avuto risposta da parte della casa editrice.(3) È ciò che afferma la curatrice in seconda di copertina nell’edizione moderna del 2009.(4) Ad esempio un finalino (p.32) della Coltivazione della canapa – Instruzioni, allegato a Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, edizione di Lelio Dalla Volpe del 1741.(5) Conferma del 13 marzo 2017.(6) Conferma del 16 marzo 2017.

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Fig. 12. Primo titolo del manoscritto 1164 presso la Biblioteca Angelica di Roma (richiesta del 22 gennaio 2017).

Fig. 13. Titolo successivo del manoscritto 1164 presso la Biblioteca Angelica di Roma (richiesta del 22 gennaio 2017).

(7) Opere scelte di Gianvincenzo Gravina giureconsulto, Milano, dalla Società Tipografica di Classici Italiani, 1819.

(8) Roma, Biblioteca Angelica, Manoscritti, ms. 1164, 1701-1800 data desumibile (Narducci, I, p.488).

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poesie

Luciano Marini*

Nasce dall’acque il tuo dolce incantodi Reno e Setta il confluir discreto,a volte vira in tumultuoso canto.

Non furon sempre liete stagioni.Molti migraron d’operosa genteper incontrar propizie situazioni.

Ma per trovar l’incanto dolce e lieve,al suol natio tornaron tutti quantiper rigoder collina, piano e pieve.

Gente tenace, all’intemperie avvezze,precoci geni di Nobel detentori,tutti forniti d’acume e... d’argutezze.

Quando s’incontra chi si fa gradasso,conviene ricordar agli sbruffoni:«Allerta gente mia, io son di Sasso..., Sasso Marconi!»

“La dolce e saggia” SASSO MARCONI

(*) Conosciamo Luciano Marini dal suo articolo pubblicato nella rivista “al sâs” n. 25 (1° semestre 2012, pag. 65) intitolato: “Un pezzo di Sasso Marconi ai bordi del Mato, la foresta subequatoriale brasiliana”. Racconta la “bella avventura” da lui vissuta assieme alla moglie quando, superando ogni genere di ostacoli, ha realizzato un progetto coraggioso. In ricordo di un caro figliolo deceduto prematuramente, con l’aiuto del Comune di Sasso Marconi, del Rotary Club Bologna Ovest e di molte persone generose, nel 2006 in una zona di profonda povertà del Brasile, ha avviato con successo la costruzione di un asilo per bambini (oltre 60), un’opera che ancora oggi funziona felicemente. Più di recente, nel 2015 e 2016, Luciano Marini, classe 1936, assecondando una sua antica passione, ha scritto e pubblicato con Costa Editore due romanzi con storie ambientate nel bolognese, riscuotendo un vasto consenso presso i lettori [NdR].

Fig.1. Ai piedi dell’imponente Rupe che sovrasta la città di Sasso Marconi le acque del torrente Setta confluiscono in quelle del fiume Reno (foto Paolo Michelini).

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natura

Paolo Michelini

La sagra del Marrone Biondo nel Castagneto di Mezzana e iniziative culturaliE’ una tipica giornata autunnale, il tempo è incerto, il cielo è grigio,

Alla scoperta del secolare Castagneto di Mezzana: il castagno fonte essenziale di cibo per molte popolazioni rurali

è domenica 9 ottobre 2016: nel Castagneto di Mezzana si svolge la tradizionale sagra del Marrone Biondo dei Colli Bolognesi.E’ una sagra che richiama alla mente

ricordi di molti anni fa: ricordi di romantiche passeggiate domenicali in città con la fidanzata, con in mano il cartoccio caldo pieno di caldarroste,

il piacere di sbucciarle una ad una, di addentarne la polpa calda e morbida per assaporarne il gusto gradevole. Io e mia moglie perciò decidiamo di

Fig.1. Domenica 9 ottobre 2016: nel bosco di Mezzana vediamo famiglie che fanno il picnic sotto i maestosi castagni secolari (foto Paolo Michelini).

Fig.2. I bambini nel bosco si divertono con i bastoni ad aprire i ricci spinosi caduti dagli alberi per estrarne i marroni (foto Paolo Michelini).

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Nel tardo pomeriggio ritorniamo in zona, allo scopo di partecipare alle interessanti iniziative culturali organizzate dai volontari del Gruppo di studi “Progetto 10 righe” all’interno della Villa La Quiete, nell’ambito della rassegna “A passo di musica” (referenti Luigi Ropa Esposti e Paola Matarrese).Nel frattempo ha iniziato a scendere la pioggia. Riscuote vivissimo interesse di pubblico la visita guidata alla sontuosa villa seicentesca condotta con competenza dall’architetto Gianluca

Rossi, studioso e ricercatore appassionato (1) (Figg. 5 e 6).Al termine assistiamo al concerto del duo pianistico Carla Aventaggio e Maurizio Matarrese, noti concertisti e docenti di pianoforte principale presso il Conservatorio di Musica N. Piccinni di Bari. Le magistrali esecuzioni a quattro mani dei due pianisti hanno riscosso fragorosi applausi (Fig.7). Dulcis in fundo, l’esibizione canora del soprano Paola Matarrese ottiene un’ovazione da parte del pubblico (Fig.8).

recarci nel castagneto in occasione della sagra, per assaporare i prodotti offerti in quel piccolo mercato.Arriviamo dopo mezzogiorno; nel parcheggio ci sono già numerose auto. Prima di arrivare nella radura dove si svolge la sagra, passeggiamo senza fretta nel bosco in mezzo a maestosi castagni secolari. E’ bello vedere che, nonostante il tempo instabile, intere famiglie si sono organizzate con teli e tovaglie per consumare un appetitoso picnic ai piedi degli alberi (Fig.1). Osserviamo anche i bambini che si divertono con i bastoni ad aprire i ricci

spinosi caduti dai rami per estrarne i marroni, evitando di pungersi le mani (Fig.2).Camminando fra i castagni maestosi del bosco, percepiamo un’atmosfera di tranquillità e di pace inusuale.Arrivati nel piazzale dove si concentrano gli stand della sagra, ci mettiamo anche noi in fila con le altre persone per acquistare ed assaporare le specialità proposte: crescentine, tigelle e castagnaccio appena sfornato (Fig.3). Comperiamo anche un sacchetto di gustose caldarroste bollenti appena arrostite (Fig.4).

Fig.4. Il caldarrostaio con la padella lancia in aria e riprende ripetutamente i marroni allo scopo di farli arrostire in maniera uniforme (foto Paolo Michelini).

Fig.3. Nel piazzale della Sagra del Marrone Biondo le persone fanno la fila davanti allo stand che offre castagnaccio caldo, tigelle e crescentine (foto Paolo Michelini).

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i maestosi castagni del bosco, nella piena tranquillità e nel silenzio, non ho resistito alla tentazione di scattare fotografie.I castagni attorno a noi ci sorprendono per la loro imponenza, e suscitano un senso di rispetto. Hanno tronchi grossi, curvi e nodosi, dai quali si dipartono varie ramificazioni che culminano in chiome larghissime cariche di foglie e di frutti (Fig.9). Questi ultimi, già in fase di maturazione in questo periodo autunnale, si presentano come

ricci spinosi che contengono grosse castagne. Le foglie, oblunghe con il bordo seghettato, hanno diverse colorazioni. Per lo più conservano il colore d’origine, un verde scuro lucente, alcune però si stanno già tingendo di un bel colore giallo-oro (Fig.10).Durante la maturazione il riccio spinoso si apre lentamente in quattro valve e libera da uno a tre frutti commestibili, castagne o, più precisamente, marroni (Fig.11).Subito un dubbio mi assale. Che

Il secolare Castagneto di Mezzana: una rarità del nostro AppenninoIl secolare castagneto, adiacente alla Villa La Quiete di Mezzana, si estende per circa 5 ettari con oltre 300 piante. E’ l’unico in Italia situato ad un’altitudine di soli 180 m sul livello del mare, considerando che di norma nella nostra penisola, in base alla temperatura e all’umidità dell’ambiente, i boschi di castagno si incontrano a partire da circa 500 m s.l.m. fino a oltre i 1.000 m. Il Castagneto di Mezzana costituisce

quindi una vera rarità del nostro Appennino.Circa una settimana prima della data programmata per la sagra del Marrone Biondo, io e mia moglie, transitando in auto lungo la statale Porrettana da Casalecchio in direzione di Sasso Marconi, abbiamo deciso di fare una deviazione a destra verso la collina, per andare a visitare il secolare Castagneto di Mezzana.Era una bella giornata autunnale, il cielo era blu terso e splendeva il sole. Ovviamente, camminando fra

Fig.6. All’interno della Villa La Quiete di Mezzana il sontuoso scalone principale che dal piano terra conduce al primo piano (foto Paolo Michelini).

Fig.5. Un gruppo di visitatori davanti alla facciata della seicentesca Villa La Quiete di Mezzana in occasione di una delle visite guidate (foto Luigi Ropa Esposti).

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Così scopriamo che il castagneto secolare di Mezzana, da cui si raccoglie lo squisito marrone biondo, non è nato spontaneamente. Alcune centinaia di anni fa, qualcuno, di cui non conosciamo il nome, ha posto a dimora gli alberi. Ha effettuato gli innesti, ha seguito e curato lo sviluppo dei fusti, li ha periodicamente potati e rinnovati fino ad ottenere la produzione dei marroni biondi che anche oggi possiamo gustare. E per conservare nel tempo questo pregio e qualità è necessario che, ancora

differenza c’è fra “castagna” e “marrone”?Una veloce ricerca nella rete Internet attraverso il telefono cellulare mi fornisce la risposta. La castagna è il frutto dell’albero selvatico, il marrone è quello della pianta coltivata e modificata con successivi innesti. Nel riccio della castagna si possono trovare da uno a sette frutti, in quello del marrone da uno a tre. Le castagne sono piccole, invece i marroni sono più grandi e dolci, ricordano la forma di un piccolo cuore.

Fig.8. L’esibizione canora del soprano Paola Matarrese riscuote l’ovazione del pubblico (foto Paolo Michelini).

Fig.7. In un salone della villa l’applaudito concerto a quattro mani del duo pianistico Carla Aventaggio e Maurizio Matarrese (foto Paolo Michelini).

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90 al sâs 34 - anno XVII - I I semestre 2016 91al sâs 34 - anno XVII - I I semestre 2016

pasta, polenta, frittelle e castagnaccio (Fig.13). Nei villaggi di montagna era chiamato “l’albero del pane” e chi possedeva un castagneto era considerato una persona fortunata e ricca. Non solo perché poteva vantare di possedere piante da frutto preziose per l’alimentazione, ma anche per l’utilizzo del legno dell’albero del castagno, ricercato per la sua resistenza, per costruire portoni, pali, travi per tetti e mobili.A fine Settecento Alberto Giovan Battista Fortis (naturalista, geologo e letterato) (Padova 1741 - Bologna

1803) nell’opuscolo “Della coltura del castagno” pubblicato nel 1780, così scriveva:“Le piantagioni di castagni domestici resero abitabili non solo, ma ben popolati di gente robusta e laboriosa, gli aspri dirupi dell’Appennino, dell’Alpi d’Italia e d’ancora più aspre e rigide contrade. Qui il frumento non può maturare e la segale stessa e ‘l grano saracino, che pur sono tolleranti del freddo, ingratamente corrispondono ai sudori orrida fame; e sana vita conduce la gente nelle povere capanne, nutrendosi di polenta e di focacce fatte con la farina

Fig.10. I rami dei castagni sono carichi di frutti che si presentano come ricci spinosi contenenti grossi marroni (foto Paolo Michelini).

oggi, le piante continuino ad essere controllate e curate (2).La passeggiata all’interno del bosco è stata una bellissima esperienza: abbiamo scoperto piccole e grandi meraviglie.Ritornati a casa, obbedendo alla mia naturale curiosità, ho eseguito ricerche, prima nei libri della mia biblioteca, poi, con il computer, nella rete Internet, per approfondire la conoscenza di quell’albero che mi aveva affascinato.

Il castagno: “albero del pane”, fonte di cibo per molte popolazioni ruraliL’albero del castagno è una pianta longeva che tanto ha dato all’umanità e che rimane ai tempi nostri il simbolo di un tempo in cui la vita era più a contatto con la natura. E’ fra le poche piante che hanno sfamato intere generazioni di contadini (Fig.12). Dalle castagne essiccate, sbucciate e macinate nei mulini, si ottiene una farina che veniva utilizzata al posto di quella di cereali per preparare pane,

Fig.9. Gli imponenti alberi secolari del Castagneto di Mezzana hanno tronchi grossi e nodosi dai quali si dipartono varie ramificazioni (foto Paolo Michelini).

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di castagne macinate. E’ ben vero che non tutte le annate sono egualmente abbondanti di castagne: ma è vero altresì che quei popoli si trovano nella privazione quasi assoluta d’ogni altra derrata: e che, qualunque sia il prodotto di castagneti, anche nelle annate di scarsezza, esso è un dono gratuito della natura alla generazione presente, che senz’altra fatica, oltre quella del raccoglierlo, gode il frutto delle piantagioni fatte dagli avoli suoi.

Io conosco personalmente contadini bolognesi e pistoiesi che si trovano avere lo dugento sacchi di farina di castagne ad annata media con le quali non solo alimentano la famigliola, ma fanno eziandio un vantaggioso commercio nelle vicine città” (3). Oggigiorno le castagne vengono utilizzate decisamente meno, anche se la farina di castagne è un prodotto ancora presente sui banchi dei supermercati ed è richiesta per

Fig.12. La raccolta e la cottura delle castagne nelle campagne di un tempo in una vecchia stampa (da Tacuinum sanitatis, fine XIV sec.).

Fig.11. In autunno, durante la maturazione, ogni riccio si apre in quattro valve e libera da uno a tre marroni (foto Paolo Michelini).

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preparare varie torte, soprattutto il classico castagnaccio. Molto apprezzati sono anche i marroni canditi, meglio noti con il nome di “marron glacé”.

Principali caratteristiche botaniche del castagno e... curiositàIl castagno europeo appartiene alla famiglia delle Fagaceae (assieme al faggio e alla quercia) e al genere Castanea: il suo nome scientifico è Castanea sativa.E’ una pianta “monoica”, vale a dire che sullo stesso albero si presentano sia infiorescenze maschili che femminili. Le infiorescenze maschili sono costituite da spighe lunghe 10-20 cm, formate da fiorellini di

colore giallo-verdastro, alla base delle stesse ci sono le infiorescenze femminili costituite da fiori più piccoli verdi.Mentre per gli altri alberi appartenenti alla medesima famiglia, come il faggio e la quercia, l’impollinazione avviene tramite il vento (impollinazione anemofila), per il castagno i fiori vengono impollinati dagli insetti, principalmente dalle api. Da questi fiori le laboriose api traggono un miele tipico, di colore piuttosto scuro e dal profumo intenso, il miele di castagno (Fig.14).La presenza del castagno fin dall’antichità ha fatto sì che alcuni esemplari, ancora oggi esistenti abbiano un particolare valore storico

Fig.14. Un fiore di castagno visitato da un’ape bottinatrice alla ricerca di nettare e polline. E’ visibile una delle due “cestelle” (piccole tasche) presenti nelle zampe posteriori dell’insetto nelle quali viene depositato il polline da trasportare nell’alveare, utilizzato per produrre la pappa reale nutrimento delle pupe e della regina (foto tratta dal web: www.tecnotp.it).

Fig.13. Contadini mostrano le attrezzature per la sgusciatura delle castagne essiccate: il paniere di vimini, la pila di legno e la vassora, Savigno 11 aprile 1923 (foto Paul Scheuermeier).

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Note(1) Nella rivista “al sâs” n. 5 (1° semestre 2002, pag. 96) è pubblicato un articolo di Gianluca Rossi intitolato “Villa la Quiete di Mezzana” dal quale ricaviamo le seguenti notizie. La villa fu edificata verso la fine del ‘600 dalla nobile famiglia Belloni, precisamente dall’abate Belloni, ultimo discendente della famiglia, che volle crearsi in quel luogo un’oasi di pace e di quiete lontano dal rumore della città di Bologna. Proprietari successivi furono: la contessa Tommasoli, erede dei Belloni, che vendette il complesso alla famiglia genovese dei Cellini. Fu poi acquistato da una famosa cantante, la signora Gardini, nata Gerster, che nella villa (per molti anni chiamata “Villa Gerster”) istituì una scuola con pensionato per giovani allieve che si dedicavano al canto lirico. Infine il complesso fu acquistato da un neurologo bolognese di fama europea, il professor Vincenzo Neri (1880-1960) che fece ristrutturare l’edificio e restaurare tutti i dipinti.(2) Sul quotidiano “il Resto del Carlino” di domenica 9 ottobre 2016, nella Cronaca Regionale, è apparso un articolo, a firma di Gabriele Mignardi (noto giornalista e Direttore Responsabile della rivista “al sâs”) con il seguente titolo a tutta pagina “«Mollo tutto e coltivo un castagneto». Sasso Marconi Luca Grossi, da immobiliarista a selvicoltore”. Nell’articolo viene intervistato Luca Grossi, 50 anni, laureato in giurisprudenza, due figli,

che da dieci mesi ha lasciato le comodità di un ufficio di intermediazione immobiliare per dedicarsi alla coltivazione e al restauro del Castagneto di Mezzana. Nell’intervista Luca Grossi così si esprime: «...Volevo cambiare vita, e così è stato. Dodici ore di lavoro al giorno per mesi e mesi... Però ho visto castagni enormi vicini alla morte riprendersi dopo le cure e le pulizie di rami secchi e polloni. Ringrazio la famiglia Neri che mi ha dato fiducia...»(3) L’importanza del castagno per l’alimentazione delle popolazioni rurali è documentata nella rivista “al sâs” n. 9 (1° semestre 2004, pag. 51): articolo di Saverio Toffenetti intitolato: La coltivazione del castagno nell’Ottocento lungo la valle del Reno, e nella rivista “al sâs” n. 18 (2° semestre 2008, pag.88): articolo di Simone Fagioli: Cenni sulla coltura del castagno sulla montagna pistoiese e i suoi aspetti socio-economici.

Note bibliograficheAA.VV., Guida pratica agli alberi e arbusti in Italia, Milano, 1983.R. Canzian, Magia dell’albero, Milano, 1992.D. More - A. Fitter, Alberi, Milano, 1995S. Franconeri, Ma che albero è?, Colognola ai Colli (VR), 1997.P. Wohlleben, La vita segreta degli alberi, Cesena (FC), 2016.

e paesaggistico e, come tali, sono definiti alberi monumentali. Uno degli alberi più antichi d’Europa e fra i più grandi d’Italia è proprio un castagno. E’ chiamato il “castagno dei cento cavalli”, si trova in Sicilia, nel comune di Sant’Alfio in provincia di Catania, alle falde dell’Etna a una quota di 700 m s.l.m. Il tronco si divide in tre enormi fusti che hanno rispettivamente una circonferenza di 13, 20 e 21 metri; la chioma ha un’altezza di 22 metri. L’età è incerta, secondo varie fonti è

stimata fra i 3.000 e i 4.000 anni. Deve il suo nome ad un’antica leggenda che narra che la regina Giovanna d’Angiò (famosa per aver stipulato la pace di Catania del 1347) in occasione di un suo viaggio in Sicilia ai piedi dell’Etna, colta da un forte temporale, si riparò con il suo seguito di 100 cavalieri sotto la chioma del gigantesco castagno. Il 18 maggio 2008 il “castagno dei 100 cavalli” è stato proclamato dall’UNESCO “Messaggero di pace nel mondo” (Fig.15).

Fig.15. Il “castagno dei cento cavalli”, considerato uno dei più antichi d’Europa, si trova in Sicilia nel comune di Sant’Alfio (in provincia di Catania) alle falde dell’Etna; l’età secondo varie fonti è stimata fra i 3.000 e i 4.000 anni (foto Silvio Sorcini tratta dal web: www.etnanatura.it/castagno_cento_cavalli).

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cultura

Piero Paci

Un ritorno al passatoUna trentina d’anni fa, dal 4 aprile al 31 maggio 1987, al Museo Civico Archeologico di Bologna si svolgeva una mostra dedicata agli scavi nel

Due maioliche di Colle Ameno

Convento di San Domenico (1) (Fig.1).L’evento ebbe un certo successo di pubblico, anche per una serie di vicende che qualificarono in seguito il Museo luogo deputato ad accogliere

Fig.1. Chiesa e Convento Patriarcale di San Domenico a Bologna, con l’antistante Piazza San Domenico (foto tratta dal web: www.domenicani.it).

Fig.2. Particolare del disegno (A. Arvisti) del coperchio della zuccheriera di Colle Ameno (Foto Piero Paci).

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alta frammentarietà, solamente con un inconfondibile disegno (2) (Fig.2).Si trattava di un coperchio di una zuccheriera fregiata in monocromia azzurra su fondo

bianco, “presumibilmente di fabbrica bolognese”, ma ascrivibile alla produzione di Colle Ameno (3). In sede di ritrovamenti soprattutto di alta epoca (ceramiche ingobbiate e

manifestazioni di alto interesse culturale. Il corposo catalogo, molto documentato, che accompagnò la mostra rimane ancor oggi una valida testimonianza e strumento di studio e ricerche sugli scavi eseguiti in ambiti storici differenziati negli specifici contesti archeologici. La rassegna per la prima volta illustrava anche scavi eseguiti in altri luoghi come in San Petronio, in San Giorgio in Poggiale, in via Sant’Isaia; vennero divulgate anche le indagini su alcune strade medievali bolognesi.Tra i reperti ceramici che provenivano dalle aree interessate dallo scavo

in San Domenico, in particolare nel settore contrassegnato col n. 12 situato nell’ala nord del Convento, erano presenti anche reperti di «maiolica arcaica», databili tra la metà del XV secolo fino agli inizi del XV, per lo più in stato di estrema frammentarietà e dispersione. I manufatti relativi al secolo XVIII, ed in parte a quello precedente, hanno fornito materiali molto diversi tra loro, in particolar modo quelli in maiolica erano di fattura più accurata. Ed ecco del tutto inattesa la comparsa di un coperchio decorato in blu, che venne poi documentato, per il suo stato di

Fig.4. Lettera di Francesco Pio Ghisilieri (Archivio Storico Comunale di Bologna, Miscellanea ECA 697).

Fig.3. Vassoio poli-lobato (Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna) – Autorizzazione del 7 settembre 2016.

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probabilmente questi artigiani (i primi due), che provenivano da precedenti esperienze, adottarono prevalentemente nuove decorazioni certamente più consone ai loro gusti ed innovative, al fine di affermarsi in un nuovo mercato. E alcune di queste decorazioni sono state col tempo identificate per confronti stilistici, in preparazione all’inedito metodo di dipingere e cuocere le ceramiche, il così detto «terzo fuoco o piccolo fuoco» che dalla metà del Settecento stava

esplodendo nei paesi europei, e che aprirà a Bologna una nuova stagione stilisticamente più affascinante e produttiva. E così il noto grande vassoio circolare poli-lobato decorato «a giardino» (diametro cm 37,2) con la scritta «Colle Ameno», che ben si conosce perché più volte esposto in mostre, anche esso in monocromia azzurra, datato tardivamente «1768» (8) rimane al momento l’unica testimonianza “datata” dell’uso della tecnica a «gran fuoco» (Fig.3).

graffite) la notizia non ebbe rilievo, ma fu puntualmente inquadrata dalla studiosa Simonetta Minguzzi correttamente in una nota al testo del catalogo (4), anche se decisamente errata è da ritenersi l’attribuzione «a giardino» della decorazione (5).

Dopo anni di studi da parte di chi scrive, alla luce del recentissimo ritrovamento sul mercato antiquario di una zuccheriera completa di coperchio, vado considerando che quella segnalazione rimase per tanti anni la sola testimonianza storica disponibile, e ne ha confermato l’importanza fornendo una ulteriore prova di grande rarità dei manufatti prodotti in Colle Ameno. Singolarità

dovuta sicuramente al breve periodo della sua attività, poco più di un decennio, che partì attorno al 1758 e comunque non oltre il 1759 fino agli anni 1763-65, per riprendere un anno dopo la morte del marchese senatore bolognese Filippo Carlo Ghisilieri (1706-1765), suo sovvenzionatore, e per solo un anno da parte del viennese Giuseppe Finck, del veronese Antonio Rolandi (6) e di Adriano Ferrari di San Giovanni in Persiceto, che presero in affitto da Francesco Pio (1741-1816), erede e figlio di Filippo Carlo, gli arredi ed i macchinari (7).Non si conosce alcuna documentazione scritta sul loro breve operato, ma molto

Fig.6. Coperchio della zuccheriera (Bologna, collezione privata) (Foto Piero Paci).

Fig.5. Zuccheriera con coperchio (Bologna, collezione privata) (Foto Piero Paci).

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Non si posseggono nemmeno registrazioni di commissioni richieste da importanti famiglie, locali e non, ed i pochi inventari fino ad ora consultati non ci hanno fornito alcuna informazione in proposito. Esiste però una testimonianza molto interessante rinvenuta recentemente. Si tratta di uno scritto di Francesco Pio Ghisilieri, una lettera non datata, ma sicuramente posteriore alla morte del padre (12 novembre 1765) (Fig.4), nel cui testo indirizzato al suo avvocato

Giuseppe Cacciari (1724-1802) Francesco fa accenno a un presunto credito richiesto da Girolamo II Ranuzzi (1724-1784), XII conte dei Bagni della Porretta, che chiede espressamente di essere pagato con della maiolica di Colle Ameno (9).Non sono mancati in questi anni gli studi e le mostre (10) dedicate alla maiolica bolognese del Settecento. E il ritrovamento di inediti esemplari rimane sempre un evento degno di essere segnalato e commentato.

Fig.8. Vassoio ovale (Bologna, collezione privata) (Foto Piero Paci).

Fig.7. Inventario del 12 novembre 1762 (Archivio di Stato di Bologna, Archivio privato Ghisilieri, Mazzo 26, libro 65 n. 3).

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Note(1) Archeologia medievale a Bologna - Gli scavi nel Convento di San Domenico, Catalogo a cura di Sauro Gelichi e Riccardo Merlo, Bologna - Museo Civico Archeologico/ 4 aprile-31 maggio 1987, Bologna, Grafis Edizioni, 1987.(2) Ibidem, p. 201.(3) Ibidem, p. 204, nota 15. I due testi citati in nota raccolgono le prime testimonianze documentate sulla produzione di ceramiche a Colle Ameno.(4) Simonetta Minguzzi, La ceramica post-medievale, in “Archeologia medievale a Bologna - Gli scavi nel Convento di San Domenico”, cit., pp. 195-206. Simonetta Minguzzi, oggi professoressa di archeologia cristiana e medioevale presso l’Università degli Studi di Udine, mi ha confermato di essere l’autrice dell’articolo e del disegno originale, che venne assemblato dai disegnatori dell’allora Soprintendenza Archeologica. (5) Ibidem, p. 204.(6) Giorgio Bertocchi, La fabbrica di ceramiche Finck in Bologna – Decadenza e fine, in “Il Carrobbio”, Bologna, Edizioni Luigi Parma, anno XIII, 1987, p. 7.(7) Da Giuseppe a Leopoldo Finck /Maioliche bolognesi del Settecento (1764-1797), Testi di Raffaella Ausenda e Gabriella LippI – schede di Giovanni Asioli Martini, Bologna, Fondazione Cassa di Risparmio, 2000, pp. 31-34.(8) Piero Paci, Le maioliche del Settecento nelle manifatture bolognesi, in “Le più belle maioliche - Capolavori di Colle Ameno, Rolandi e Finck nella Bologna del Settecento”, (a cura di Luisa Foschini), Torino, Umberto Allemandi, 2011, p. 23.

(9) Archivio Storico Comunale di Bologna, Miscellanea ECA 697.(10) Dal primo saggio di Giorgio Bertocchi del 1973, che seguì la prima mostra organizzata a Sasso Marconi nel 1968 dalla locale «Pro Loco», agli studi di Giorgio Bertocchi e Francesco Liverani del 1981, alla mostra con catalogo del 2000 in San Giorgio in Poggiale a Bologna, a quelle del 2004 a Palazzo Saraceni a Bologna con catalogo a cura di Nicoletta Barberini e, sempre lo stesso anno, a cura di Alessandro Molinari Pradelli a Sasso Marconi, sino all’ultima del novembre 2011-marzo 2012 presso il Museo Medievale di Bologna, con catalogo a cura di Luisa Foschini. Riguardo agli studi di chi scrive si rimanda al sito www.biblioricerche.it nelle due griglie di bibliografia.(11) Per vedere capi della tipologia «a giardino» cfr. schede n. 10-11-12-13 e n.16 Da Giuseppe a Leopoldo Finck /Maioliche bolognesi del Settecento (1764-1797), cit. Sei sono le decorazioni descritte nell’inventario del 12 novembre 1762 già citato, conservato nell’Archivio di Stato di Bologna, più una «alla Parmeggiana» nell’appendice II di detto inventario. Non tutte le decorazioni sono state ancora identificate.(12) Ibidem, p. 32.(13) Piero Paci, Le maioliche del Settecento nelle manifatture bolognesi, in “Le più belle maioliche - Capolavori di Colle Ameno, Rolandi e Finck nella Bologna del Settecento”, cit. p. 24.(14) Vedasi la scheda 3, cfr. Da Giuseppe a Leopoldo Finck - Maioliche bolognesi del Settecento (1764-1797), cit., p. 68.

La zuccheriera con coperchioLa zuccheriera con coperchio in maiolica in monocromia blu a «gran fuoco» (oltre 900°C) (Figg. 5 e 6), a smalto bianco (cm 12 x 10 altezza cm 9), inedita, oltre all’uccello dipinto sul solo corpo, presenta un tralcio fiorito con una campitura molto netta in ogni sua parte. Il decoro può essere definito a rametto fiorito, con uccello e fiori recisi.Non è sicuramente quello «a giardino» indicato nel disegno del coperchio sopra illustrato, in quanto manca l’elemento del muretto e della pavoncella sempre presenti in altri conosciuti esemplari (11). Ricordo che la tipologia «a giardino» era presente in altre manifatture, come quella faentina dei conti Ferniani e dei maiolicari Benini e Ragazzini. La vaschetta e il coperchio sono a stampo, di forma ovoidale con pareti sagomate e cuspidate. La bocca è rilevata ed estroflessa. La base è rastremata su un basso piede. Il coperchio ha una presa a pigna.La forma di questo capo è simile ad altri esemplari, come quelli prodotti della fabbrica Finck di via San Felice e da quella di Rolandi presso Porta San Vitale a Bologna usciti negli anni successivi (12). Nell’inventario del 12 novembre 1762 (Fig.7) le zuccheriere compaiono con la dicitura «da tavola a fiori» o «formate a fiori» o «formate a fiori sortite» così come nell’appendice a questo documento, che riporta la nota della maiolica di Colle Ameno ordinata dalla piazza di Ferrara dove, accanto al palazzo a San Carlo nel Comune di Sant’Agostino, di proprietà da secoli della famiglia Ghisilieri, sorgeva un’osteria, un forno ed anche

una bottega per lo smercio delle maioliche prodotte a Colle Ameno (13). I pezzi registrati nell’inventario del 1762 sono quasi mille, di cui oltre duecentocinquanta in maiolica bianca, una cifra piuttosto rilevante e sono consegnati a Luigi Pignattari, institore, cioè agente o depositario e venditore delle maioliche a Ferrara.

Il vassoio ovaleConosciamo esemplari di vassoi (o piatti) circolari di varie misure, prevalentemente eseguiti con la stessa decorazione della zuccheriera. Predomina di norma lo smalto biancastro, spesso e coprente, a volte opaco e sempre a «gran fuoco». Questo decoro ricorda quello adottato sia a Pesaro che a Nove di Bassano, questa volta però in policromia, noto come ticchio o tacchiolo. È condivisibile ipotizzare “un’influenza pesarese o bassanese per la presenza nella manifattura di Colle Ameno di decorazioni provenienti da queste città” (14). Questo vassoio, dall’insolita forma ovale (cm 25 x 19,5) (Fig.8), è dunque anch’esso inedito e vuol essere un ulteriore contributo per la conoscenza di questa rara ed affascinante manifattura.

In chiusura rivolgo agli antiquari un ringraziamento per il lavoro di catalogazione e reperimento di questi manufatti. Ed anche alle istituzioni cittadine per le occasioni espositive, momento fondamentale ed esclusivo per permettere e promuovere gli approfondimenti degli studiosi e appassionati a vario titolo di questo affascinante e difficile settore.

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memorie

Giuseppe Serra

Riassunto della prima parte (a cura della Redazione) - rivista “al sâs” n. 33 pag. 119

Qui pubblichiamo la seconda e ultima parte delle 35 pagine che abbiamo trovato nel quaderno, ordinato, pulito, scritto in bella calligrafia, dei ricordi di Giuseppe Serra. Come abbiamo già scritto nella rivista n. 33, Giuseppe era un nostro carissimo amico e lettore affezionato della rivista “al sâs”; purtroppo, a causa di una crudele malattia, è venuto a mancare l’11 aprile 2016 all’età di 86 anni, lasciando un vuoto incolmabile in tutti i suoi cari, soprattutto nella sua amatissima moglie (Fig.1). Nella prima pagina del suo quaderno in alto c’è scritto: «31 gennaio 2015 - Storia di Serra Giuseppe. La mia famiglia era composta da undici persone, due genitori e nove figli...». Qui elenchiamo di nuovo la composizione della famiglia, anche allo scopo di rimediare ad un errore che abbiamo commesso noi, come Redazione, nel trascrivere il testo della prima parte, dimenticando il nome di una sorella. I genitori erano Paolino Serra e Zaira Lolli (detta

Ricordi della mia infanziaLa dura vita contadina nelle nostre campagne nei ricordi di Giuseppe Serra (parte seconda)

Teresina) entrambi nati a Vergato. I nove figli erano: Elsa nata nel 1921, Natalino nel 1923 (morto giovane a 38 anni), Maria nel 1926, Giorgio nel 1927 (morto a pochi mesi), Giuseppe, il nostro amico, nato a Grizzana nel 1929, Jole nata nel 1931, Elisabetta nel 1934, Agnese nel 1936, infine Novella nata nel 1938 (Fig.2).Giuseppe racconta i ricordi dei suoi primi sei anni trascorsi a Caveriana di Vedegheto nel comune di Savigno. Già a 5 anni, nel 1934, aiutava il babbo nei lavori dell’orto, e assieme alla sorella Maria, al mattino quando era ancora buio, andava nel castagneto a raccogliere le castagne, importantissime come cibo per la famiglia. Allora si soffriva molto la miseria. Per una famiglia così numerosa la resa del piccolo podere era insufficiente, e i bambini erano sempre affamati. Nel 1936 a 7 anni inizia a frequentare la prima elementare nella scuola di Vedegheto. Tutti i giorni per andare a scuola doveva percorrere a piedi, sia all’andata che al ritorno, due chilometri di sentiero, e guadare, camminando sui sassi, per tre volte il torrente Venola. Arrivava spesso a

scuola con i piedi bagnati e, d’inverno, ghiacciati. A novembre dello stesso anno la famiglia fece trasloco a Casa Boschi, in una frazione di Rasiglio, nel comune di Sasso Marconi. Anche qui il podere era faticoso da lavorare, arido e sabbioso, però all’interno c’era un castagneto nel quale si potevano raccogliere molte castagne. Giuseppe inizia a frequentare le classi seconda e terza elementare nella scuola della Borra, una frazione di Monte Severo nel comune di Monte San Pietro.

C’era un maestro che faceva fare due classi in una. Era violento, prendeva a calci nel sedere gli scolari ad ogni errore, era scarso nello spiegare e dava un sacco di compiti a casa, che Giuseppe non aveva tempo di fare perché doveva lavorare nei campi con il babbo. Nonostante il pessimo insegnamento, alla fine dell’anno durante l’esame di terza elementare, il maestro riuscì con un’astuzia a fare in modo che tutti gli alunni fossero promossi.

Fig.1. Gennaio 2016, Sasso Marconi: una foto recente di Giuseppe Serra (86 anni) assieme alla moglie Gabriella (foto proprietà famiglia Serra).

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era sicuro di punire il responsabile.Adesso nelle famiglie la situazione è completamente diversa. Se un figlio

combina qualche birichinata uno dei due genitori lo difende, e nascono discussioni. Se a scuola si comporta

1938: la mia vita in famiglia, tanto lavoro e assoluta obbedienza ai genitoriNel 1938 io e la mia famiglia abitavamo a Casa Boschi, non frequentavo più la scuola perché avevo 9 anni e potevo aiutare il babbo nei lavori dei campi, pascolare le mucche, pulire la stalla e tagliare la legna nel bosco per l’inverno.Eravamo una famiglia numerosa con problemi economici e il Comune ci aiutava, dandoci un sussidio. Il mio fratello più grande, per prendere qualche soldo, andava a lavorare come garzone da un contadino della zona; mia sorella Maria andava a Bologna come domestica, a servizio presso dei signori. A casa eravamo rimasti noi piccoli e aiutavamo il babbo e la mamma.Io ricordo che la cosa più noiosa era quando il babbo sognava dei cavalli; diceva che era un segnale per avvertirlo che c’era posta in arrivo. Il postino non portava le lettere a casa ma le depositava a Rasiglio, e il babbo mandava me in paese per vedere se erano arrivate. A me non piaceva perché il viaggio era lungo: dovevo percorrere a piedi quattro chilometri in andata e quattro per il ritorno. Dovevo obbedire. Partivo di volata per essere veloce, con i piedi scalzi (non bisognava consumare le suole delle scarpe buone). Certe volte la posta per noi c’era, certe volte no, e avevo fatto il viaggio inutilmente.A quei tempi io non avevo dei giocattoli per giocare come hanno oggi i bambini. Mi piaceva qualche volta andare presso una famiglia che abitava vicino a noi per giocare con le

bocce assieme ad altri bimbi, ma dopo poco mi chiamavano da casa perché c’era da lavorare. Quando i genitori dicevano che bisognava fare un lavoro, non si potevano trovare delle scuse; prima lo dicevano con le buone, se non si obbediva prontamente mio padre passava alle bacchettate sulle gambe.Ho dei bei ricordi degli anni vissuti a Casa Boschi. Qui ho fatto la Prima Comunione (Fig.3). Dovevamo andare nella chiesa di Medelana (Fig.4), però quella mattina, mentre eravamo in cammino, è scoppiato un temporale. La pioggia ci ha bagnato e, per proteggerci, ci siamo rifugiati sotto ad alberi di castagno. Siamo arrivati un po’ in ritardo alla S. Messa. Terminata la cerimonia religiosa abbiamo pranzato in un’osteria e, per festeggiare, abbiamo stappato una buona bottiglia di vino spumeggiante. Ricordo che mia sorella Maria si è spaventata perché lo spruzzo del vino l›ha bagnata e le ha macchiato il vestito nuovo. Il mio padrino mi ha regalato tante ciambelle gustose. Dopo la festa, nel pomeriggio, siamo tornati a casa contenti.L›anno successivo ho ricevuto il sacramento della Cresima nella chiesa di Montasico (Fig.5), una frazione del Comune di Marzabotto.A Casa Boschi nel 1938 è nata mia sorella Novella che è stata l›ultima dei nove figli.I miei genitori avevano un bel da fare per educarci. Qualche volta nasceva qualche bisticcio fra due fratelli, ma il babbo faceva presto a scoprire il colpevole: prendeva una bacchetta e colpiva nelle gambe entrambi, così

Fig.2. Anno 1942, Casa La Provvidenza: nella foto in alto, secondo da sinistra, babbo Paolino con a fianco mamma Teresina e la figlia Elsa; nella fila di mezzo, primo a sinistra il figlio Giuseppe (13 anni); in basso in piedi le tre sorelline: Novella, Agnese ed Elisabetta (foto proprietà famiglia Serra).

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I ricordi del 1938: l’incidente con il somaro del padrone e la visione di una stella cadenteIl mio babbo aveva in affitto il podere a Casa Boschi e, quando veniva il padrone per controllare come procedevano i lavori, non arrivava in auto (come usa adesso, che tutti ne possediamo una) ma arrivava con il

male i genitori lo proteggono, vanno a lamentarsi e danno la colpa agli insegnanti. La prima educazione dei figli deve avvenire in famiglia con dei bravi genitori, così dopo la scuola i figli potranno andare a lavorare e, quando saranno adulti, a loro volta faranno una famiglia dove deve regnare l›unità e il rispetto reciproco.

Fig.4. Chiesa dell’Immacolata di Medelana, dove Giuseppe nel 1938 ha ricevuto la Prima Comunione (foto Paolo Michelini).

Fig.3. Genitori portano in braccio i bambini alla Prima Comunione per non far loro sporcare le scarpe e il vestito (foto Giovanni Bartoli).

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Casa Boschi mi è rimasto impresso. Una sera mentre camminavo vicino a casa e osservavo la meraviglia del cielo stellato, ho visto la lunga scia luminosa di una stella cadente che alla fine del percorso ha fatto un lampo illuminando tutto il cielo. Per un attimo mi sono spaventato, però è stato un avvenimento meraviglioso che non dimenticherò mai.

1939: traslochiamo a Casa La Provvidenza, un podere scomodo da lavorareA Casa Boschi io e la mia famiglia eravamo rimasti, a partire dal 1936, per tre anni.Nel 1939 siamo andati ad abitare a Casa La Provvidenza, in località Lagune, una frazione di Sasso Marconi.A quei tempi si cambiava spesso casa, per motivi diversi: o la famiglia era cresciuta e la casa era diventata insufficiente, o il padrone giudicava che non avevi lavorato bene il suo fondo e ti dava lo sfratto. Dovevi comunque trovare una nuova casa con annesso un podere in affitto a mezzadria da coltivare. Però c’erano tante difficoltà: il proprietario voleva sapere in anticipo come era formata la famiglia, quanti figli, quanti maschi, quante femmine; se era possibile gestire a metà il profitto ricavato dal bestiame, e altre cose. Il mio babbo, da parte sua, doveva controllare se erano disponibili gli attrezzi necessari per il lavoro. La famiglia doveva in ogni caso adattarsi alla meglio.Era un sacrificio anche organizzare il trasloco, caricando ogni cosa sul carro trainato dai buoi e facendo diversi viaggi.

somarello. Lo legava all’anello infisso nel muro della casa e andava in giro a piedi, per controllare la campagna.Un giorno, dopo i giri di controllo, il padrone decise di andare a casa a piedi, incaricando noi ragazzi di portargli a casa l’asino. Noi eravamo felici pensando di poterlo cavalcare. Più tardi nello stesso giorno assieme alla mamma abbiamo deciso di portare l’asino a casa dal suo padrone; abbiamo slegato la cavezza dall’anello nel muro, poi abbiamo avvicinato l’animale a un rialzo del terreno per poterci salire sopra. Avremmo dovuto condurlo io e mia sorella cavalcandolo un po’ per uno. Tutto andò bene percorrendo la strada ricoperta di ghiaia, ma quando arrivammo per i campi lungo una cavedagna, l’asino cominciò a fare i capricci e a scalciare (Fig.6).Io, che lo stavo cavalcando, caddi a terra. Mia sorella si spaventò e mollò la cavezza, così il somaro libero partì al galoppo. Per fortuna non lontano c’era una casa e, vicino, due contadini impegnati a lavorare la terra. Questi, avendo sentito le nostre urla e visto la scena del somaro che galoppava fuori controllo, si misero in mezzo alla cavedagna, lo fermarono e lo legarono a un gancio nel muro della casa. Quando noi arrivammo, io piangevo perché cadendo mi ero fatto male a una gamba, mia sorella era sotto shock per lo spavento. I due contadini che avevano bloccato il somaro ci dissero: “Voi è meglio che torniate a casa. Al somaro ci pensiamo noi. Più tardi avvisiamo il padrone, che abita qui vicino, che lo venga a prendere.”Un altro episodio vissuto nel 1938 a

Fig.5. Chiesa di San Michele di Montasico, dove Giuseppe nel 1939 ha ricevuto il sacramento della Cresima (foto Paolo Bonassin tratta dal web: www.static.panoramio.com)

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bosco e trasportarla sulle spalle lungo sentieri ripidi e scivolosi. In alcuni punti del percorso con la zappa scavavamo dei gradini per metterci i piedi e non scivolare. Per rendere più comodo il trasporto bisognava spaccare la legna e fare dei pezzi sia grossi che sottili (Fig.7).Con la scure si facevano delle fessure nel legno, all’interno delle quali si inserivano delle biette che, colpite perché andassero in profondità, consentivano di spaccarlo più facilmente. Per un bambino come me la scure era molto pesante da maneggiare. Alla sera ero stanco e andavo a dormire volentieri. Questo lavoro veniva fatto prima che arrivassero i freddi dell’inverno.Ricordo che quell’anno venne una grande nevicata e, nei punti più esposti al vento, la neve era alta anche un metro. Anche quando il tempo era brutto c’erano molti lavori da fare: preparare tutti gli attrezzi, pulire la stalla e dare da mangiare alle mucche. A causa della molta neve, bisognava aprire la strada per portare le mucche a bere alla fonte e, se c’era il fondo ghiacciato, dovevamo portare nella stalla l’acqua con i secchi (Fig.8).Occorreva aprire la strada nella neve anche per le mie sorelle più piccole, perché potessero andare a scuola e, alla domenica, alla Messa.Quell’inverno mia mamma si ammalò gravemente e decidemmo che doveva essere ricoverata all’ospedale. Noi non avevamo il telefono per chiamare la Croce Rossa, perciò il mio babbo si recò a piedi a Sasso Marconi di notte, percorrendo cinque chilometri

in mezzo alla neve alta. Dopo fatta la chiamata, quando ritornò a casa, era tutto bagnato e stremato per la fatica. Al mattino l’ambulanza si fermò sulla strada principale che distava un chilometro da casa nostra. Per trasportare mia mamma noi attrezzammo una scaletta, come fosse una barella, mettendo un panno sotto alla sua schiena e, in quattro, la portammo in spalla fino all’ambulanza.Fu ricoverata all’Ospedale Maggiore di Bologna. Per andare a trovarla io e mio fratello maggiore andammo a Bologna in due con una bicicletta. Il viaggio lungo la strada con il fondo coperto di neve fu molto faticoso ma fummo contenti di trovarla migliorata. Fu trattenuta in ospedale per un mese e ritornò a casa guarita.Finalmente venne la primavera e ricominciammo con i soliti lavori nei campi e nel vigneto.

Come prosegue il racconto? (a cura della Redazione)

Purtroppo, come abbiamo detto all’inizio, la malattia ha fermato la penna di Giuseppe che ha dovuto interrompere il diario dei suoi ricordi all’anno 1940, all’età di 11 anni. Questa repentina interruzione ci ha procurato dispiacere e rammarico. Noi avremmo voluto conoscere il seguito ... ; lo abbiamo cercato, sfogliando le riviste degli anni passati, e lo abbiamo trovato rileggendo le memorie scritte da sua sorella Maria in “al sâs” n. 15 (1° semestre 2007, pag. 105), con titolo:

La casa chiamata La Provvidenza era più allegra rispetto a Casa Boschi perché l›edificio era illuminato dal sole tutto il giorno, dall›alba al tramonto. Però il podere era scomodo da lavorare. Mancava l›acqua e bisognava andarla a prendere lontano alla fonte, sia quella da bere, che quella per gli usi in famiglia e per abbeverare gli animali.

Inverno 1940: cade molta neve e ricoveriamo mia mamma malata in ospedale Era il 1940, io avevo 11 anni e, siccome mio fratello maggiore e mia sorella Maria lavoravano fuori casa, ero rimasto solo io ad aiutare il mio babbo nei lavori della campagna. Anche qui a Casa La Provvidenza uno dei lavori più faticosi era tagliare la legna nel

Fig. 6. “...l’asino cominciò a fare i capricci e a scalciare.” Nella foto un asino particolarmente difficile da convincere (archivio fotografico Cavalchini Garofoli da: “Palle girate e altre storie”, 2015).

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Fig.8. “... A causa della molta neve, bisognava aprire la strada per portare le mucche a bere alla fonte e, se c’era il fondo ghiacciato, dovevamo portare nella stalla l’acqua con i secchi.” (foto Mauro Bacci da “Il crepuscolo della civiltà contadina”).

“Ricordi di guerra vissuti da una diciassettenne”. Narra le vicende della famiglia a partire dal novembre 1944.Ora ci domandiamo: cosa era accaduto negli anni fra il 1940 e il 1944? La famiglia aveva continuato a vivere nella piccola Casa La Provvidenza, in località Lagune, e a lavorare il podere attiguo. Nel frattempo era scoppiato il secondo conflitto mondiale, quello che viene considerato il più sconvolgente e sanguinoso che la storia ricordi. Nel giugno 1940 l’Italia era entrata

in guerra a fianco della Germania nazista, contro Francia e Inghilterra e, negli anni seguenti, contro USA e URSS. Era iniziata per l’Italia una sequenza di eventi carichi di dolore e di immani sofferenze. Dopo tre anni, nel luglio del 1943, gli anglo-americani, respingendo le forze italo-tedesche dopo oltre un mese di combattimenti, sbarcarono in Sicilia e, forti di centinaia di carri armati, aerei, navi da guerra e di oltre 180.000 soldati, combattendo cominciarono a risalire la penisola occupando gran parte del sud.

Fig.7. “...Uno dei lavori più faticosi era tagliare la legna nel bosco... Per rendere più comodo il trasporto bisognava spaccare la legna e fare dei pezzi sia grossi che sottili...” (foto tratta dal web: www.porcaro-francesco.oneminutesite.it).

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Fig.9. Chiesa di Lagune: Giuseppe Serra, classe 1929 (in basso) ed Ernestino Cassanelli detto Ristino classe 1924. Ristino poi nel 1944 si arruolerà nei Repubblichini (foto proprietà famiglia Serra).

L’8 settembre 1943 fu dato l’annuncio dell’entrata in vigore dell’armistizio firmato dal Maresciallo Badoglio, capo del governo italiano, con gli anglo-americani. Ciò provocò la reazione degli ex-alleati tedeschi che, sentendosi «traditi», occuparono militarmente l’Italia. Il centro-nord del nostro paese era entrato nel caos: nessuno sapeva se i combattimenti della guerra sarebbero proseguiti e contro chi. Allo scopo di rallentare l’avanzata delle armate anglo-americane verso nord, nell’autunno-inverno 1943-1944 il comando tedesco iniziò a predisporre un sistema di difese fisse lungo i crinali dell’Appennino tosco-emiliano. Questo sistema, composto di campi minati, reticolati, trincee e bunker, denominato «Linea Gotica», attraversava in senso trasversale l’Italia, da Massa Carrara (sul Mar Tirreno) alla provincia di Pesaro (sull’Adriatico), con uno sviluppo di 320 km, e una profondità, in alcune zone, fino a 30 km. Nel nostro territorio la Linea Gotica passava nelle vicinanze di Monte Mario, Monte Alto, Monte Adone e Brento. Nel novembre 1944 la Casa La Provvidenza dove abitava la famiglia Serra, non lontana dalla Linea Gotica, si trovava in un›area a rischio, soggetta ad azioni belliche.Per capire come si viveva in quel periodo leggiamo l’intervista a Giuseppe Serra effettuata da suo nipote Stefano Muratori (figlio della sorella Maria) e pubblicata nella rivista «al sâs» n. 21 all’interno dell›articolo «L’uomo che verrà” visto da alcuni testimoni di quei

tempi (pag. 47 nella rivista n. 21 - 1° semestre 2010, sezione speciale dedicata al film del regista Giorgio Diritti). Riportiamo di seguito uno stralcio dell’intervista (Fig.9).

Giuseppe, cosa vuoi dirmi del film “L’uomo che verrà”?Rispetto al film la vita che abbiamo passato noi era più dura, c’era una bella differenza. Quando eravamo in tempo di guerra c’erano i tedeschi che arrivavano, e anche solo la loro vista ci faceva paura; si vedevano bruciare le case, e se uno cercava di scappare ti sparavano e ti uccidevano. Poi si vedevano tutte le bestie fuori che giravano, perché le avevano slegate o molte le avevano rubate, e si vedevano i fienili bruciati. Per me i tedeschi erano una cosa tremenda. Ricordo che una volta eravamo nella Casa La Provvidenza, e c’era Baldazzi, il marito di mia sorella Elsa, che era venuto un po’ a casa dal rifugio, perché quell’anno lì pioveva sempre a dirotto; allora quelli che erano a dormire nel rifugio venivano a casa per cambiarsi, o per dormire nel fienile più all’asciutto, perché il rifugio era una caverna. Noi eravamo in quattro o cinque famiglie in una casetta piccola, e non avevamo nemmeno posto. Quel giorno Baldazzi era in casa per cambiarsi, e qualcuno avvertì che stavano arrivando i tedeschi.Le finestre erano basse dalla parte di sopra della casa e si scappava anche fuori dalla finestra, però qualcuno diceva che stavano arrivando da sopra e qualcun’altro diceva che stavano arrivando da sotto. Lui allora si trovò

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impacciato, così, non sapendo dove andare, scese dalla scala perché le camere erano su, e mentre scendeva per la scala i tedeschi salivano, così si incontrarono lì, lo presero e lo portarono con sé alle Lagune. Da lì lo portarono a Codivilla dove c’era l’osteria, poi lo rilasciarono.

Quindi c’era più paura di quella che viene rappresentata nel film? Nel film certe scene di paura rispetto ai tedeschi sono meno spaventose di come erano in realtà, perché in alcuni casi le persone venivano portate via e a volte anche uccise. Come quello che successe a Casa di Bue, lassù a Medelana. In quel caso uccisero anche il mio santolo, quello che mi aveva tenuto alla cresima. Erano in sei uomini, e uno tentò di scappare ma hanno ucciso anche lui inseguendolo nel bosco. Nella realtà quello che succedeva era più brutto, e c’era più paura, anche per noi ragazzi (Giuseppe nel 1943 aveva 14 anni [NdR]).

Fra i bombardamenti e i tedeschi che giravano... sempre con quella paura di pensare: “mah?... questa volta non ci hanno fatto niente, quest’altra volta chissà”. Nel film questa paura continua non viene trasmessa. Per esempio, quello che poi diventò mio suocero, Arseno Negroni che abitava a Casa Zanetti di Luminasio, per evitare i rastrellamenti rimase nascosto nei boschi e poi si ammalò di esaurimento per quella paura. Lui aveva un rifugio dentro a un castagno, e i suoi gli portavano da mangiare lì. Poi vennero i tedeschi per prenderlo e lui scappò via, ma finì negli spini, lo presero e lo portarono via. Lui ha sempre detto che si era ammalato perché nel sangue gli era rimasta quella paura. Il film invece non riesce a trasmettere quella sensazione di continua paura.

Il racconto di Maria Serra, sorella di Giuseppe, che di seguito pubblichiamo, è ambientato a Casa La Provvidenza nel 1944.

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memorie

Maria Serra

Il lavoro in campagna era duro ma si cantava tutto il giorno... poi arrivò la guerraChiedo scusa per il mio modo di scrivere, ma oltre 70 anni fa ho fatto le scuole basse, ho studiato in cantina; a scuola ci si andava fino a 10 anni e poi, via a lavorare nei campi da un buio all’altro. Noi avevamo i problemi veri: il freddo, la fame e lavorare fin da piccolissimi; non c’era tempo per pensare. Poi posso dire che siamo stati fortunati; finiti gli stenti abbiamo potuto apprezzare quello che avevamo. I giovani d’oggi potrebbero essere felici. Apparentemente hanno tutto; invece sono molto più tristi di come eravamo alla loro età. Oggi hanno i problemi psicologici; noi che avevamo la “psiche” l’abbiamo scoperto dopo i 50 anni. Forse perché la nostra ignoranza non ci lasciava vedere più in là del naso. Si lavorava tutti in compagnia e si cantava tutto il giorno.Poi arrivò la guerra che cambiò tutto.Per noi montanari che non avevamo mai visto niente al di là dei nostri campi, ogni cosa ci stupiva. Quando vidi il primo tedesco, grande fu la mia meraviglia di scoprire che assomigliava

Ricordi di guerra vissuti da una diciassettenne… eravamo “cinni” incoscienti e sempre affamati

a uno di noi. A scuola la maestra ci spiegava che i nemici erano come bestie feroci. Poi arrivarono i primi bombardamenti e anche quella fu per noi una terribile novità.

12 novembre 1944: arriva l’ordine di sfollare e inizia il nostro calvarioNoi abitavamo in località La Provvidenza a poca distanza dalla chiesa di S. Nicolò delle Lagune (Fig.1). Quando ci fu dato l’ordine di sfollare dalle nostre case, era il 12 novembre del 1944, e incominciarono i guai. Tutti andavano via; noi aspettammo a sfollare per ultimi, sperando di restare nascosti.Ma una sera si presentarono davanti alla porta due soldati tedeschi: era buio e pioveva forte. Non vollero sentire ragioni, ci ordinarono di andare via. Attaccammo i buoi al biroccio e caricammo un po’ di roba da mangiare (Fig.2).Avevamo da poco ammazzato il maiale e prendemmo con noi della salsiccia e della coppa; tirammo il collo ad alcune galline e le mettemmo in un sacco. Dovemmo abbandonare tutto il resto. Noi “grandi”, assieme al papà Paolino e alla mamma Teresina, ce la potevamo cavare, ma c’erano le mie tre sorelline

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piccole (di 9, 7 e 4 anni) e una bimba di cinque mesi, figlia di mia sorella Elsa e di suo marito Ettore Baldazzi.Sotto la pioggia, con freddo e vento, incominciò il nostro calvario. Durante il viaggio da Lagune verso Montechiaro ci bagnammo come pulcini. La mamma si era caricata sulla spalla il bazel (un bastone ricurvo) con appesa davanti una pentola piena di savor (una marmellata di frutta fatta in casa) e dietro un cesto con le uova.

Fatti pochi passi i manici di terracotta della pentola, legati col filo di ferro, si ruppero; così cadde a terra la pentola che fece cadere anche il cesto con le uova facendo un’enorme frittata. E noi incoscienti ci mettemmo a ridere. La piccolina era gelata. A mezzanotte ci fermammo in una stalla, a Casa Rossi, dove c’erano anche altri sfollati che ci accolsero. Qui cercammo di scaldarci un po’.Il mattino seguente ci recammo a Casa

Preda, dove ci potemmo sistemare un po’ alla meglio nella stalla. Però, che fortuna… dopo qualche giorno arrivarono dei soldati tedeschi che ci portarono via ogni cosa. Senza più niente da mangiare non ci rimaneva che piangere. Avevamo salvato dal sequestro solo i buoi e il biroccio. Con una bicicletta andai a Bologna per vedere se c’era un posto per rifugiarci. Eravamo in undici: papà e mamma, due fratelli, cinque sorelle, il marito di mia sorella, e Marisa la loro bimba.

A Bologna fummo ospiti del Seminario in Via dei Mille... il cibo scarseggiava, eravamo affamatiAlla curia di Bologna mi dissero che potevano ospitarci. Ci consegnarono gentilmente due camere vuote presso il Seminario in Via dei Mille (Fig.3). Non c’erano né letto, né mobili, né riscaldamento.Il Comune ci diede un tesserino che ci consentiva di prendere una specie di rancio con un pezzo di pane presso le scuole Guinizelli in Sant’Isaia. Cercando di arrangiarci trovammo sotto le macerie un po’ di roba e, soprattutto, una stufa indispensabile per scaldarci. Per procurarci la legna da ardere prendevamo delle traversine della ferrovia, oppure si andava fino a Rastignano a raccogliere i rami nel bosco e, per il ritorno, si caricavano le fascine di legna sul tram, e via, senza pagare.I buoi li avevamo legati nella cantina del Seminario, dove c’erano altre bestie, e il biroccio l’avevamo messo sotto il portico. Il letame che raccoglievamo dalle bestie lo portavamo con la carriola sulla Montagnola, dove c’era

un enorme letamaio. Assieme a mio fratello Giuseppe andavamo a cercare il fieno per i buoi nei dintorni della città, presso i fienili abbandonati.Qualche volta ci chiamavano per andare a sgombrare le strade dalle macerie con il biroccio e i buoi. C’erano tanti ragazzi giovani: per noi era tutta un’avventura e ci si divertiva, peccato che avevamo sempre fame.Fu così che un giorno decidemmo di andare a prendere della roba da mangiare a casa del marito di mia sorella, Baldazzi, che abitava a San Lugo di San Leo nel comune di Sasso Marconi. Sapevamo che sotto la cantina erano stati seppelliti dei viveri e nello stesso nascondiglio era stata seppellita la sua fisarmonica, che lui amava suonare; ci chiedeva se assieme ai cibi fossimo capaci di portargli anche la fisarmonica. Andai presso il comando tedesco a chiedere un lasciapassare per Sasso Marconi e riuscii ad averlo. Poi trovammo in prestito un carretto da spingere a mano, così decidemmo di partire.Era il mese di gennaio del 1945: gran freddo, vestiti alla meglio e la solita implacabile fame.

Gennaio 1945: il pericoloso viaggio verso Sasso Marconi per recuperare del cibo Appena cessato il coprifuoco, il mattino presto partimmo, con un pezzo di pane ciascuno e una mela spingendo il carretto a mano. Eravamo in tre: io, che allora avevo 17 anni, mio fratello Giuseppe 14, e mia sorella Elsa, moglie di Baldazzi, di 22 anni (Fig.4).Quest’ultima lasciava a Bologna, con

Fig.1. La chiesa di S. Nicolò in località Lagune. Non lontano sorgeva la Casa La Provvidenza, abitata dalla famiglia Serra a partire dal 1939 (foto Paolo Michelini).

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il resto della famiglia, sua figlia di 7 mesi che ancora allattava. Tutto bene fino a poco prima di arrivare alle Case Mazzetti (vicino alla Rupe di Sasso), dove facemmo una sosta per riposarci e per mangiare un po’ di pane. Non l’avessimo mai fatto! Sentimmo l’esplosione di quattro o cinque cannonate che alzarono attorno a noi una nuvola di polvere e riempirono di terra il carretto. Fuggimmo di corsa per rifugiarci fra le case, ma qui sbucarono fuori dei soldati tedeschi.

Ci fecero entrare in una casa, iniziarono a interrogarci, ma non ci capivamo. Allora ci fecero salire su una jeep militare per portarci al comando di zona (facendoci così abbandonare il carretto). Il comando non era vicino: scendemmo verso la Fontana, poi in salita lungo la via Rupe per un centinaio di metri; l’auto si fermò davanti a una villa ed entrammo.Qui, con l’aiuto di un interprete, il comandante tedesco ci chiese perché ci trovavamo in quella zona vicino

che erano stati fatti prigionieri vicino a Vergato. Durante il viaggio un soldato tedesco ci faceva la guardia con il fucile puntato addosso e ci vietava di parlare. L’auto si era diretta prima verso Casalecchio, poi aveva imboccato la via Bazzanese. Era trascorsa mezz’ora dall’inizio del viaggio, e noi cominciavamo a preoccuparci. Mia sorella Elsa si mise a piangere disperata perché pensava alla sua bambina e diceva: «Ho il terrore che ci portino in Germania».

alla prima linea. Noi mostrammo il lasciapassare, ma lui ci disse che quello era valido fino a Sasso Marconi e noi eravamo andati oltre. Spiegammo che a Bologna si pativa il freddo e la fame e che noi volevamo solo andare a recuperare delle coperte e del grano; ma lui non sembrò soddisfatto di quelle giustificazioni e ci disse che ci avrebbero accompagnato al comando generale.Risalimmo sulla jeep, sulla quale erano seduti anche due militari americani

Fig.2. Appennino bolognese, una famiglia di sfollati si dirige con le proprie cose caricate su un carro verso Bologna (Edwards, da Combat photo 1944-45).

Fig.3. Una foto d’epoca dell’edificio in Via dei Mille dove aveva sede il Seminario Regionale “Benedetto XV” di Bologna. Qui fu ospitata la famiglia Serra dal novembre 1944 fino alla fine della guerra (foto tratta dal web: www.seminarioflaminio.it).

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Noi due “cinni” incoscienti invece ci divertivamo e pensavamo: «Se ci portano in Germania durante il viaggio potremo vedere il grande fiume Po».Ma il soldato che guidava la jeep aveva solo sbagliato strada. Dopo aver chiesto informazioni tornò indietro e si diresse verso Mongardino dove era il comando generale. Qui ci interrogarono di nuovo.

Intanto era venuto buio. Ci dissero di stare tranquilli perché poi ci avrebbero riportati alle porte di Bologna in tempo perché potessimo ritornare a casa prima dell’inizio del coprifuoco (che in città era alle ore 20). Risalimmo sulla jeep e, nell’attesa, mangiammo quel po’ di pane che avevamo nella nostra borsa. Quando l’auto ripartì capimmo

madre era romagnola. Poi ci consigliò di andarcene subito al mattino presto, perché in quella villa venivano a riposare i militari tedeschi di ritorno dal fronte ed era pericoloso farci trovare.All’alba uscimmo e, invece d’andare a casa verso Bologna, ci avviammo a piedi in direzione delle Case Mazzetti e riuscimmo a recuperare il carretto che il giorno prima avevamo lasciato in quel luogo.Qui ci imbattemmo in un altro gruppo di soldati tedeschi, che avevano sulla divisa il distintivo delle SS. Ci portarono in una casa per interrogarci, poi furono abbastanza gentili e ci chiesero se eravamo disposti a lavare un mucchio di camicie e maglie militari sporche. Non potevamo rifiutarci. Terminato il lavoro di lavaggio e risciacquo con l’acqua gelida del pozzo, chiedemmo se potevamo andare a San Lugo di San Leo per prendere della roba da portare alla casa di Bologna. Per ringraziarci del servizio che gli avevamo prestato ci diedero una specie di lasciapassare verso Bologna, e un soldato tedesco ci aiutò a spingere il carretto fino a San Lugo, poi al ritorno ci aiutò a condurre il nostro carico fino alla Porrettana. Avevamo riempito il carretto con grano, mais e avevamo trovato anche la fisarmonica per il marito di mia sorella; il tutto l’avevamo nascosto con delle coperte.

Grande festa per il nostro ritorno a Bologna... il 21 aprile 1945 la fine della guerraArrivammo a casa a Bologna nel tardo pomeriggio. Ricorderò sempre la sorpresa di mia mamma che ormai ci credeva morti. Aveva in braccio la

che l’autista non aveva nessuna intenzione di riportarci verso Bologna. Arrivato sulla strada Porrettana girò a destra verso Sasso Marconi per rientrare nella sede del suo comando di zona. Giunti sul ponte del Rio del Diavolo (Rio Gemese) ci ordinò di scendere. Ormai era notte: noi soli al buio in mezzo alla strada, cosa potevamo fare? L’unico luogo nelle vicinanze che conoscevamo era il comando tedesco dove al mattino ci avevano interrogati, e ci incamminammo in quella direzione.La fortuna volle che fosse di guardia lo stesso militare che ci aveva fatto da interprete e capiva l’italiano. Dopo averci dato l’alt, si avvicinò e ci riconobbe. Disse di andarci a nascondere più giù, vicino alla strada, in mezzo ai ruderi di una cascina bombardata e di rimanere lì in silenzio in attesa che lui finisse il turno di guardia; poi ci avrebbe accompagnato in un luogo sicuro.Era molto freddo; restammo appoggiati alle pareti cadenti di quella casa, uno addosso all’altro per riscaldarci. Mia sorella aveva il seno pieno di latte che le faceva male e mi disse di provare a toglierlo, succhiando e sputandolo. In principio ne sputai, poi, affamata com’ero, sentii che un po’ di latte caldo non mi dispiaceva, lo succhiai tutto e mi fece bene.L’attesa fu lunga, il freddo ci aveva quasi congelati.Finalmente sentimmo dei passi: era il tedesco che parlava l’italiano. Fu molto gentile e ci accompagnò in una villa lungo la Porrettana (l’attuale Villa Neri) (Fig.5). Qui c’erano coperte e dei materassi; ci sembrò un paradiso. Ci disse che lui era un italo-tedesco, sua

Fig.4. I tre protagonisti della pericolosa avventura descritta in questo articolo: a sinistra l’autrice Maria Serra in una foto del 1941 (a 15 anni), con il vestito della festa durante una visita al Santuario della Madonna di San Luca; a destra il fratello Giuseppe (a 13 anni) e la sorella Elsa (a 21 anni) in una foto del 1942 in località La Provvidenza (foto proprietà famiglia Serra).

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bambina e, per l’emozione, quasi la lasciava cadere.Anche i nostri vicini rifugiati nel Seminario vennero a festeggiare il nostro ritorno e a vedere la roba che eravamo riusciti a portare con il carretto. Una parte andò anche a loro perché erano compaesani sfollati assieme a noi.Andammo a far macinare il grano e il mais nel mulino fuori Porta Mazzini e potemmo finalmente sfamarci con pane, pasta e polenta.La fisarmonica che avevamo portato a mio cognato, Ettore Baldazzi, era

ancora in buono stato, così lui la suonava e alla sera si facevano delle festicciole e si ballava. C’erano anche tanti giovani sfollati come noi nel Seminario, in mezzo a una moltitudine di persone, la maggior parte di Sasso Marconi, Marzabotto, Pontecchio, e anche di Vergato.Il direttore era un sacerdote, il parroco di Calvenzano, un buon parroco; ci teneva impegnati organizzando delle recite e spettacoli con i burattini.Quando gli Alleati arrivarono a Bologna e venne la liberazione il 21 aprile 1945 (Fig.6), che festa!!

Tutti fuori per le strade ad esultare: i camion e le jeep piene di soldati alleati, mescolati a borghesi e partigiani che festeggiavano la fine della guerra. Era veramente finita!!Tornammo alle nostre case al paese. Ma che miseria! Le abitazioni senza porte né finestre, niente da mangiare, qualcuno moriva per colpa delle mine, e i reduci che tornavano dalla prigionia erano degli scheletri, distrutti fuori e dentro.Con tutto ciò eravamo felici di essere vivi! La nostra generazione ha rifatto l’Italia che era tutta distrutta, e

speriamo che la nostra terra non sia mai più sconvolta dalle guerre.

Questo articolo, scritto da Maria Serra (che a febbraio del 2016 ha felicemente compiuto 90 anni) è stato ripreso dalla rivista “al sâs” n. 15 (1° semestre 2007) e viene qui pubblicato come seguito del racconto “Ricordi della mia infanzia (parte seconda)” scritto da fratello Giuseppe Serra che, purtroppo, nell’aprile di questo stesso anno è venuto a mancare all’età di 86 anni (NdR).

Fig.5. Villa Somaglia, oggi Villa Neri, situata nel capoluogo di Sasso Marconi lungo la vecchia Via Porrettana. Nel 1944-45 era sede di un comando tedesco e ospitò per una notte i tre fratelli Maria, Giuseppe ed Elsa (cartolina postale Edizioni Fabbriani, collezione Giuseppe Dall’Olio).

Fig.6. 21 aprile 1945, giorno della “liberazione” di Bologna, la guerra è finita, i cittadini scendono in Piazza Maggiore per festeggiare (foto Antonello Musiani tratta dal web: www.cct-seecity.com).

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poesie

Giovanna Bassi

Il Comune e la Chiesaincontrastati dominanosul tuo selciato di ciottoliche pungono sotto i piedie ricordano quandoi nostri antenati,in sella a cavalli ferrati,percorrevano sconnessi sentierilungo la ridente vallata.Punto nevralgico,dove pulsa e freme la vita.Ti vesti a festadi fronte ai matrimoni,saluti i bimbia cui viene imposto un nomee dai l’addio a chi muore.Sulle panchine,ombreggiate dagli alberi,gli anziani rinverdiscono le loro storie:arguti e saggiammoniscono e insegnano.Ti vedo al mattinoe ti lascio all’imbrunireper ritrovarti, il giorno dopo,vestita della tua solennitàche si ammansiscevicino alle bancarelle degli ambulanti, ai giochi dei ragazzied alla gente che si incontra.

La Piazza(Piazza dei Martiri della Liberazione)

Fig.1. La piazza in aspetto invernale (foto Ufficio Stampa Comune di Sasso Marconi).

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ricordi

Gianni Pellegrini

C’era una volta un paese nato attorno ad una piazza.Una piazza. Non esageriamo. Si fa per dire.In verità si trattava di un semplice spiazzo erboso, un campo, su un lato del quale, un giorno di tanto tempo fa, un signore decise di costruirci la sua casa.Altri si chiesero perché mai quel tale avesse deciso di costruire una casa proprio lì.Pensando che il posto non era poi tanto male e immaginando chissà quali vantaggi ne avrebbero potuto trarre, anche loro costruirono sul lato opposto.In verità in quella valle da secoli esistevano soltanto le chiese e, sparse qua e là, alcune grandi dimore.Possedimenti testimoni di un tempo dominato da ricchissimi nobili e dai rappresentanti dello Stato della Chiesa.Queste ricche dimore erano distanti tra loro, non producevano socialità, non avevano necessità di comunicare col popolo, vivendo ciascuna della propria opulenza a spese dei servitori che stentavano attorno.Due di queste, imponenti e superbe,

C’era una volta una piazza

stavano vicino a quel luogo scelto per edificare le loro case da quei borghesi ed esistevano in virtù della propria arrogante autosufficienza (Fig.1). Il prete, che la casa e la chiesa ce l’aveva sopra un meraviglioso poggio che dominava la valle, vedendo costoro costruire le loro case laggiù e pensando al futuro, decise che nel terzo lato di quello spiazzo ci avrebbe costruito una nuova chiesa, comprensiva di canonica (Fig.2).Il quarto lato, particolare non indifferente, era occupato da un’importante strada che comunicava tra il nord e il sud della nazione ma, soprattutto, con la città vicina. Non pensate cari lettori ad una delle strade che siamo abituati a vedere oggi. Si trattava di una modesta carrareccia transitata da birocci e qualche carrozza che solo i ricchi si potevano permettere.Nel Paese intanto era avvenuto uno sconquasso.Era nato uno Stato unitario, erano spariti stati e staterelli e si era materializzata una nazione, unita dal

Fig.1. Particolare della mappa del Catasto Boncompagni (1788); in basso Villa Ranuzzi e, poco oltre, lungo la Porrettana le prime case e botteghe del Borgo del Sasso; la chiesa non era ancora stata costruita (Archivio di Stato Bologna).

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strada di grande comunicazione diventò la Piazza di questo piccolo borgo. Vi si radunarono per decenni gli abitanti nelle occasioni più importanti, ma anche semplicemente per stare insieme nei giorni di festa, o le sere d’estate, al fresco, seduti nelle panchine di cemento sotto la rigogliosa chioma di una dozzina di vigorosi giovani tigli.Ne aveva viste la piazza. Oh se ne aveva viste! Di tutti colori.

Le fiere del bestiame e il mercato che si teneva tutte le settimane (Fig.4), le lapidi sulla facciata del municipio che contenevano il Bollettino della Vittoria e i nomi degli abitanti morti nella Grande Guerra, la prepotenza delle camicie nere e le adunate dei balilla vestiti di tutto punto convocate dal Podestà, le bombe che rasero al suolo le case e risparmiarono i campanili della chiesa anch’essa profanata, la faticosa ricostruzione, le manifestazioni per il pane e il

nord al sud, con una capitale nella città più prestigiosa del mondo intero.Avvenne allora che anche il Comune decise di stare su quello spiazzo e comprò la casa di quel signore che aveva costruito per primo.Si sistemò proprio lì, di fianco a quella nuova chiesa che era stata per anni, anche da lassù, da quel poggio, il simbolo del potere.Il nuovo stato unitario voleva significare in questo modo il cambio

avvenuto e quindi affermare la propria autorità.Passarono gli anni e attorno a quel quadrilatero sorsero altre case. Vi si insediarono botteghe, artieri, maniscalchi, locande e osterie (Fig.3). E da lì si dipartirono strade e viottoli, su, verso la collina, verso le case dei villani che le percorrevano nei giorni delle messe e del mercato.Quel prato d’erba circondato dalla Chiesa, dal Municipio e, come detto, da case e botteghe, lambito da una

Fig.3. Le botteghe un tempo poste sulla Porrettana di fronte alla piazza in una fotografia dei primi del ‘900; al loro posto ora c’è il palazzo ove hanno sede la farmacia e l’Ufficio Turistico (Edizioni Fabbriani).

Fig.2. La facciata e la canonica del nuovo Santuario della Beata Vergine del Sasso in una cartolina postale dei primi del ‘900 (Edizioni Fabbriani, da “Sasso e Marconi nelle cartoline d’epoca” a cura di Giuseppe Dall’Olio).

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po’ di socialità davanti all’edicola del giornalaio o al caffè dello sport, chi scappava fuori di casa quando questa gli stava stretta, chi andava per incrociare la ragazza che usciva dalla farmacia, dalla chiesa o dal comune, tutti quelli che volevano stare insieme agli altri per comunicare, anche in silenzio (Fig.6).Passarono gli anni e un giorno, qualcuno pensò, parole sue, di

lavoro, e i caroselli della “celere” capaci di massacrare a centinaia (segnale di isterica impotenza), le biciclette dei manifestanti, i pullman dei turisti che si fermavano a fotografare falce e martello alti due metri issati di fianco alla chiesa... (Fig.5).Tutte le aveva viste e sempre aveva accolto nel suo capace ventre tutti quelli che volevano dire qualcosa, chi cercava ristoro e amicizie, un

Fig. 5. Il simbolo della falce e martello posto a fianco della chiesa in una foto degli anni 50 del ‘900, durante un periodo di forti contrasti politici (foto Archivio Storico Comune di Sasso Marconi).

Fig.4. Il mercato in piazza in una cartolina postale di fine ‘800 (Edizioni Fabbriani, da “Sasso e Marconi nelle cartoline d’epoca” a cura di Giuseppe Dall’Olio).

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fallimentare, sbagliato il fondo tinta, sembra più vecchia di prima.Ora la nuova – vecchia piazza cerca amici.Non le basta vivere tre o quattro giorni l’anno. Metti anche dieci, se va bene e non piove.Certo che la gente quando la chiami viene, da ogni dove (Fig.7). Ma non è un’attenuante. Caso mai è un’aggravante.E’ la prova che la vecchia buona

piazza ha ancora una sua capacità di attrazione, solo se le si dedica un po’ d’attenzione.Non serve il belletto. Occorre pensare a ciò che si fa intorno.Avere spedito a due chilometri di distanza il cuore commerciale del paese.Ipotizzare ora di trasferire oltre le mura le scuole che si trovano a pochi passi, e irrigano di ragazzi e genitori mattina e sera le strade del borgo,

medici, avvocati, commercialisti, ingegneri e architetti. E la gente? La gente, le famiglie: fuori, nei nuovi quartieri in campagna, nelle villette a schiera che fanno tanto “english”. Alle sette di sera tutti quanti: i medici, gli ingegneri, gli avvocati, i ragionieri, via, scompaiono, e la piazza resta sola, spesso buia, avvilita e scrostata. Si, perché anche il make-up è stato

“costruire il nuovo centro storico”.Nuovo disegno della piazza, via il giornalaio, via anche quattro tigli per dare più luce, figuriamoci l’estate: modello Sahara; chiusura alla circolazione delle auto come neanche avviene a Spello o Gubbio. Il gioco era fatto.Poi si cambia senza che nessuno muova un ciglio. Via gli abitanti dalle case sulla piazza: arrivano studi di notai,

Fig.7. La piazza gremita di persone durante la Tartufesta 2016 (foto Luigi Ropa Esposti).Fig.6. La piazza e il vecchio municipio in una cartolina postale degli anni 60 del ‘900 (Edizioni Fabbriani, da “Sasso e Marconi nelle cartoline d’epoca” a cura di Giuseppe Dall’Olio).

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è segno oltre che di mancanza di pensiero, della volontà pervicace di fare morire assieme alla Piazza anche il Borgo che la generò.C’era una volta e c’è adesso!Per piacere, pensiamo a quello che facciamo, pensiamo e facciamolo

insieme!E’ giusto guardare avanti, ma non tutto ciò che è alle nostre spalle è da dimenticare.Ma perché gli uomini adesso non trovano più il buon senso che guidava gli uomini di una volta?

Fig.6. 21 aprile 1945, giorno della “liberazione” di Bologna, la guerra è finita, i cittadini scendono in Piazza Maggiore per festeggiare (foto Antonello Musiani tratta dal web: www.cct-seecity.com).

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memorie

Cecilia Pelliconi Galetti*

Mio fratello Artemio, terzo di sei figli, è nato nel 1915 (due anni prima di me), e ha vissuto gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza nel piccolo paese di pianura dove abitava la mia famiglia, a Chiesa Nuova, una frazione di Poggio Renatico nella provincia di Ferrara. Raggiunta la maggiore età, con la mira di poter avere un lavoro in ferrovia, partì volontario per il servizio di leva nel Reggimento Genio Ferrovieri dell’Esercito Italiano (Fig.1).Fu mandato a prestare servizio presso la stazione ferroviaria di Chambave, fra i monti della Valle d’Aosta (Fig.2). Qui i militari del Genio Ferrovieri eseguivano la gestione e la manutenzione dell’importante linea ferroviaria Chivasso-Aosta. Dopo rigorosi corsi di studio in caserma imparavano ad essere macchinisti, manovratori-deviatori, dirigenti di movimento e Capi Stazione (Figg. 3 e 4).In quegli anni la linea ferroviaria Chivasso-Aosta era un vero gioiello di efficienza.Nel 1938, al termine del periodo di leva, a 23 anni, Artemio venne congedato, con la prospettiva di avere un posto di lavoro nelle

Grazie a Guglielmo Marconi dopo molti anni ci siamo incontrati

Ferrovie dello Stato Italiane. Dopo poco tempo ricevette un incarico di responsabilità presso la stazione di Roma, nello scalo di smistamento di questo importante nodo ferroviario, dove avveniva la scomposizione dei treni in arrivo e la composizione di quelli in partenza, per smistarli verso la destinazione prefissata. A Roma Artemio dopo poco tempo incontrò la sua “anima gemella”, si sposò e formò la sua giovane famiglia.Purtroppo il 10 giugno 1940 il Duce annunciò l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista, in quella che sarebbe poi diventata la seconda guerra mondiale, il più sanguinoso conflitto che la storia ricordi. Artemio fu richiamato alle armi e fu mandato a prestare servizio nella “Caserma Montezemolo” del Reggimento Genio Ferrovieri di Castel Maggiore in provincia di Bologna (tutt’oggi attiva) (1) (Fig.5).Cogliendo l’occasione della vicinanza di Castel Maggiore a Vizzano, nel comune di Sasso Marconi, dove io allora abitavo con la mia famiglia, dopo alcuni mesi nel 1941 approfittando di un permesso, mio fratello venne a trovarmi, e potei fargli conoscere le

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mie due figlie, Maddalena di due anni e Giovanna di pochi mesi (Fig.6). A Castel Maggiore Artemio conobbe

un giovane romano di nome Aurelio, che in quella caserma prestava servizio di leva.

A Roma Aurelio svolgeva l’attività di telefonista per un’importante azienda farmaceutica; era molto interessato alle scoperte del “genio” bolognese inventore delle comunicazioni senza fili, Guglielmo Marconi (1874-1937), ed era al corrente dei più recenti sviluppi miracolosi delle sue invenzioni. Quando Aurelio seppe che Villa Griffone (dove Marconi da ragazzo aveva vissuto e compiuto i primi esperimenti) si trovava a Pontecchio, non molto distante da Castel Maggiore, sentì un forte desiderio di recarsi in quel luogo.

Mio fratello Artemio, anche lui affascinato dalle scoperte del grande scienziato bolognese, decise di accompagnarlo, anche con lo scopo, dopo aver visitato Villa Griffone, di allungare di poco il viaggio per venirmi a trovare a casa mia, a Vizzano.Era inizio luglio 1943. Erano trascorsi alcuni giorni di relativa calma nelle azioni belliche e i due amici riuscirono ad ottenere un permesso per allontanarsi dalla caserma per un giorno. Noleggiarono due biciclette e partirono. Tutto era calmo e i due

Fig.1. Foto tessera di Artemio Galetti, fratello dell’autrice, quando nel 1936 raggiunta la maggiore età partì volontario per il servizio di leva nel Reggimento Genio Ferrovieri dell’Esercito Italiano (foto proprietà famiglia Pelliconi Galetti).

Fig.2. Cartolina d’epoca della stazione ferroviaria di Chambave nella Valle d’Aosta. In questa località prestò servizio di leva Artemio Galetti presso il Reggimento Genio Ferrovieri che qui eseguiva la gestione e la manutenzione della linea Chivasso-Aosta (foto tratta dal web: www.ferrovie.it).

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militari pedalavano fischiettando. Avevano appena superato la stazione ferroviaria di Bologna e si dirigevano verso Casalecchio di Reno quando udirono il suono della sirena che lanciava l’allarme per l’avvicinarsi di una formazione di bombardieri anglo-americani. Si fermarono immediatamente, sistemarono le due biciclette legate vicino all’entrata di un rifugio anti-aereo ed entrarono. Si trovarono assieme a molte altre persone, uomini, donne e bambini, come loro impauriti e preoccupati.

Per circa mezz’ora udirono il fragore delle esplosioni di grosse bombe che cadevano nelle vicinanze. Finalmente quell’inferno finì e, uscendo, apparve ai loro occhi l’orrendo spettacolo delle distruzioni prodotte dal bombardamento (2) (Fig.7). Le loro biciclette erano volate via a circa cento metri di distanza, rovinate, inutilizzabili. Aurelio ed Artemio fecero ritorno alla caserma di Castel Maggiore camminando a piedi.Dopo poco tempo Aurelio fu trasferito nel Veneto e mio fratello Artemio nel

comune di Maddaloni (provincia di Caserta) non lontano dalla città di Napoli. Dopo la fine della guerra, nel 1945, ciascuno tornò alla propria casa, a Roma.Essendo le abitazioni lontane non si incontrarono più di persona, però rimasero in contatto tra loro tramite il telefono. Da allora passarono molti anni. Mio fratello venne a mancare nel 2001 (aveva 86 anni), e ora dorme il sonno eterno nel cimitero di Roma. Aurelio, vedovo, visse a Roma in una casa accanto a quella dove abitava

una delle sue figlie, nonno di nipoti e pronipoti.L’ultimo maschio, di nome Alberto, era molto affezionato al nonno e trascorreva molto tempo con lui ascoltando volentieri i racconti della sua vita. Aveva sentito raccontare dal nonno più volte i particolari dell’avventura da lui vissuta quando, durante la guerra, dalla caserma di Castel Maggiore in bicicletta assieme all’amico Artemio, era partito per raggiungere Villa Griffone, casa di Guglielmo Marconi,

Fig.3. Artemio Galetti (primo a destra nella foto) nel 1938 assieme ad alcuni commilitoni del Reggimento Genio Ferrovieri a Chambave in Valle d’Aosta (foto proprietà famiglia Pelliconi Galetti).

Fig.4. A Chambave, nel giugno del 1938, Artemio (il primo a sinistra nella foto) assieme ai commilitoni Pagani e Lombardi, durante il servizio di leva, in occasione di una gita a Pont-Saint-Martin (Valle d’Aosta) (foto proprietà famiglia Pelliconi Galetti).

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poi con il desiderio di prolungare il viaggio per fare visita alla sorella di Artemio, Cecilia, che abitava a Vizzano nel comune di Sasso Marconi. In definitiva, a causa di un terribile bombardamento, nessuno di questi obiettivi era stato raggiunto. Nel frattempo Aurelio, che aveva contattato il suo amico per telefono, lo aveva informato che sua sorella Cecilia dal 1956 aveva cambiato casa, non abitava più a Vizzano, ma nel capoluogo di Sasso Marconi in via Stazione.

Il nipote Alberto, affascinato dal racconto del nonno, gli aveva sempre promesso che, quando fosse diventato grande, lo avrebbe accompagnato per realizzare quel desiderio che la guerra aveva violentemente cancellato. Quando raggiunse la maggiore età volle dare compimento alla sua promessa.Il 25 aprile di oltre 10 anni fa, il nipote e il nonno partirono da Roma in auto molto presto al mattino e, verso le ore 11, arrivarono a Villa Griffone a Pontecchio. Nella villa si svolgeva

Fig.5. Facciata della “Caserma Montezemolo” a Castel Maggiore (Bologna), sede del Reggimento Genio Ferrovieri, dove Artemio, richiamato alle armi durante la seconda guerra mondiale, prestò servizio dal 1940 al 1944 (foto tratta dal web: www.angetitalia.it).

Fig.6. Foto scattata nel 1941 presso il giardino dell’abitazione di Cecilia Galetti a Vizzano (Sasso Marconi) di suo fratello Artemio assieme alla nipotina Maddalena di due anni (foto proprietà famiglia Pelliconi Galetti).

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una grande festa perché in quel giorno ricorreva l’anniversario della nascita di Guglielmo Marconi. Aurelio fu molto contento di incontrare la principessa Elettra, ultima figlia del grande scienziato, alla quale scattò varie fotografie. Dopo aver consumato il rinfresco offerto dalla Fondazione Guglielmo Marconi, nonno e nipote si ricordarono del desiderio non realizzato dell’amico militare Artemio di andare a Sasso Marconi a far visita alla sorella

Cecilia e si avviarono con quel proposito.Nel primo pomeriggio di quel giorno io sentii il trillo del campanello di casa mia. Quando aprii la porta vidi, accanto al cancello che dà accesso al giardinetto attorno alla casa, due persone: un uomo anziano, alto, magro, ben vestito, dall’aspetto distinto; accanto a lui un giovane di bella presenza. L’uomo anziano mi guardò sorridente e mi chiese se ero io la signora Cecilia. Dopo la

mia risposta affermativa, mi disse che era un amico di mio fratello Artemio. Aprii subito il cancello e lui, mentre saliva lentamente la scala che conduce alla porta di casa, cominciò a parlarmi di un tempo lontano. Io lo ascoltavo attonita e meravigliata. Li feci accomodare in casa, non credevo alle mie orecchie. Tanti anni erano passati da quegli episodi che il più anziano ricordava con grande lucidità. Raccontava quando, negli anni di guerra nella caserma di Castel Maggiore, aveva conosciuto mio fratello ed erano diventati amici, della passione che entrambi nutrivano per le scoperte di Guglielmo Marconi, del viaggio in bicicletta in direzione di Pontecchio, del terrificante bombardamento che li aveva bloccati e costretti al ritorno. Mio fratello, dopo la fine della guerra, mi aveva parlato di quell’avventura, però il fatto di risentirla rievocata con ricchezza di particolari da chi l’aveva vissuta di persona mi aveva procurato una forte emozione.Quando si apprestarono ad andarsene Aurelio mi disse che prima di ritornare a Roma voleva andare a Castel Maggiore, per fare visita alla sua vecchia caserma.Mentre mi stringeva le mani per salutarmi disse: “Anche se mi fosse concesso di vivere duecento anni non potrei mai dimenticare i momenti terribili vissuti durante gli anni della guerra.”La commozione nel vederli scendere la scala, mentre il nipote sosteneva l’anziano nonno, fu tale che i miei occhi si riempirono di lacrime.

Note(1) Come si spiega la presenza del Reggimento Genio Ferrovieri a Castel Maggiore (Bologna)? I ferrovieri del Genio fecero la loro prima apparizione a Castel Maggiore nel 1917, durante la prima guerra mondiale, quando l’Italia combatteva a fianco di Francia e Inghilterra contro Germania e Austria Ungheria. I militari del Genio Ferrovieri allora avevano il compito di lavorare sul grande raccordo ferroviario di Bologna per realizzare ulteriori binari, allo scopo di agevolare l’afflusso di truppe e materiale bellico dai nostri alleati. Fu nel 1932 che un battaglione del Genio Ferrovieri fu insediato stabilmente nell’attuale caserma (ancora oggi sede del Reggimento) considerando l’importanza strategica che ha sempre avuto Bologna come nodo ferroviario nel cuore del territorio nazionale. Nel secondo dopoguerra (1947) la caserma fu intitolata al Colonnello del Genio “Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo”, che da capitano aveva fatto parte del Reggimento, trucidato dalle truppe naziste di occupazione alle Fosse Ardeatine (Roma) il 24 maggio 1944, e insignito della medaglia d’oro al valor militare [NdR].(2) Nel 1943 Bologna rappresentava il più importante nodo ferroviario italiano. Gli alleati anglo-americani sapevano che la sua distruzione avrebbe arrecato notevoli difficoltà all’esercito nemico e avrebbe potuto causare l’interruzione del traffico ferroviario fra il centro e il nord Italia, danneggiando il vicino tessuto industriale di fabbriche che era stato riconvertito ad uso militare. Perciò i primi bombardamenti aerei su Bologna avevano l’obiettivo di colpire la ferrovia e furono effettuati il 16 luglio e il 24 luglio 1943. Dal luglio 1943 alla fine della guerra (il 21 aprile 1945) Bologna subì 94 incursioni aeree. Moltissime furono le vittime civili: 2.841 morti e 2.074 feriti; si registrarono inoltre 1.336 fabbricati distrutti e 1.582 semidistrutti [NdR].

(*) Gli auguri più affettuosi alla nostra cara amica Cecilia Pelliconi Galetti, scrittrice e poetessa, che in data 31 ottobre 2016 ha raggiunto l’invidiabile traguardo dei 99 anni [la Redazione].

Fig.7. Bologna 1943-1945: un’immagine della stazione ferroviaria gravemente danneggiata dai bombardamenti aerei (foto tratta dal web: www.storiaememoriadibologna.it).

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Guglielmo Marconi

Cecilia Pelliconi Galetti

Là, dove il cielo si confonde col mare,là, dove l’orizzonte abbraccia il sole,tu gettasti la rete della fiducia,spingesti i tuoi giorni esaltanti di lottanello spazio infinito.

Attimi grigi,ombre colme di affanni,guizzi di eventi,meraviglie incomprese.

Poi, nella concretezza delle emozioni,fasci di luce si elevarono al cielo,vibrarono voci,viaggiarono suoni,bagliori imperscrutabili varcarono i confini.

Lo spazio immenso,

Fasci di luce

il mondo attonito,lancia all’uomoche donò il faro all’umanitàuna scia sfolgorante di applausi senza fine.

Fig.1. 26 marzo 1930: Guglielmo Marconi dal panfilo Elettra, ancorato nel porto di Genova, lancia un radiosegnale che percorre oltre 22.000 km e accende migliaia di lampadine nell’impianto di illuminazione dell’Esposizione Radioelettrica di Sydney in Australia (foto fornita dalla Fondazione Guglielmo Marconi).

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rubriche

a cura di Luigi Ropa Esposti

Attività di volontariato in qualità di guide al Museo Marconi anno 2016:nel corso dell’anno sono state condotte 45 visite guidate con oltre 1.970 visitatori (in collaborazione con la Fondazione G. Marconi) (referenti: Maria Denti, Paolo Michelini, Gerda Klein, Brillantino

A la fèn dl’ovra (alla fine dell’opera)Il resoconto delle attività del Gruppo di Studi nell’ultimo semestre

Furlan e Maurizio Finelli)

Domenica 4 settembre 2016:passeggiata sulla “Via degli Dei”: seconda tappa da Casalecchio a Sasso Marconi (in collaborazione col CSI - Gruppo Escursionistico, CAI Medio Reno e InfoSasso) (referente Luigi Ropa Esposti) (Fig.1)

Domenica 4 settembre 2016:escursione da San Leo alla Rupe in occasione delle celebrazioni del millenario di San Leo (in

collaborazione col Comune di Sasso Marconi e CSI Gruppo Escursionismo) (referente Luigi Ropa Esposti) (Fig.2)

Fig.1. Domenica 4 settembre 2016: passeggiata sulla “Via degli Dei” da Casalecchio a Sasso Marconi; il gruppo attraversa il Parco della Chiusa (foto Luigi Ropa Esposti) .

Fig.2. Domenica 4 settembre 2016: escursione da San Leo alla Rupe in occasione delle celebrazioni del millenario di San Leo. L’interno della chiesa di San Leo (foto Luigi Ropa Esposti).

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Da giovedì 8 a domenica 11 settembre 2016: partecipazione alla 343° edizione della “Fìra di Sdàz” con stand all’interno del borgo di Palazzo de’ Rossi a Pontecchio (in collaborazione con CAI Medio Reno) (referente Paolo Michelini) (Fig.3)

Sabato 10 settembre 2016: “Fìra di Sdàz”; nell’ambito della rassegna “A passo di musica”, visita guidata al borgo di Palazzo de’ Rossi: “Un Viaggio tra Rinascimento e Illuminismo: la dimora signorile, il borgo, gli opifici, il canale e le attività artigiane” (referenti Luigi Ropa Esposti e Sabrina Carlini) (Fig.4)

Sabato 10 settembre 2016:“Fìra di Sdàz”; nell’ambito delle rassegne “A passo di musica” e “Corti, Chiese e Cortili”: “Andèr a filòzz” concerto di musica popolare all’interno del borgo, con l’Osteria del Mandolino (referente Luigi Ropa Esposti) (Fig.4)

Domenica 11 settembre 2016: escursione “Sulle colline marconiane e alla Fiera di Pontecchio” nell’ambito della rassegna “Le Colline fuori della porta” (in collaborazione con Consulta Escursionismo di Bologna, CSI - Gruppo Escursionistico, CAI Medio Reno e Associazione Fiera di Pontecchio) (referente Luigi Ropa Esposti) (Fig.6)

Domenica 18 settembre 2016: “A passo di Musica”, visita guidata all’Oasi Naturale di San Gherardo in occasione della festa dell’Oasi e della Casa della Natura e concerto “Traditional country music” con The Country Owls (referente Luigi Ropa Esposti) (Fig.7)

Domenica 11 settembre 2016:“Fìra di Sdàz”; visita guidata al Museo Marconi presso Villa Griffone a Pontecchio (referenti Paolo Michelini e Maria Denti)

Fig.3. Giovedì 8 settembre 2016: partecipazione alla 343° edizione della “Fìra di Sdàz”. Lo stand del Gruppo di Studi all’interno del borgo di Palazzo de’ Rossi (foto Luigi Ropa Esposti).

Fig.4. Sabato 10 settembre 2016: “Fìra di Sdàz”; Sabrina Carlini di fronte all’ingresso di Palazzo de Rossi durante la visita guidata al borgo (foto Luigi Ropa Esposti).

Fig.7. Domenica 18 settembre 2016: “Festa dell’Oasi” alla Casa della Natura presso l’Oasi di San Gherardo; concerto al tramonto “Traditional country music” con il gruppo musicale The Country Owls nell’ambito della rassegna “A passo di musica” (foto Luigi Ropa Esposti).

Fig.5. Sabato 10 settembre: “Fìra di Sdàz”; nell’ambito delle rassegne “A passo di musica” e “Corti, Chiese e Cortili”, il concerto dell’Osteria del Mandolino “Andèr a filòzz” all’interno del borgo (foto Luigi Ropa Esposti).

Fig.6. Domenica 11 settembre 2016: escursione “Sulle colline marconiane e alla Fiera di Pontecchio” nell’ambito della rassegna “ Le Colline fuori della porta”; una parte del gruppo sale sulla collina dei Celestini (foto Luigi Ropa Esposti).

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Domenica 16 ottobre 2016: “Wine trekking” (o “camminata della ciucca”), escursione enogastronimica sulle colline di Moglio con visita e degustazione a tre cantine (in collaborazione col CSI - Gruppo Escursionistico e InfoSasso)(referente Luigi Ropa Esposti) (Fig.9)

Mercoledì 19 ottobre 2016: “Festa internazionale della storia”, Sala Mostre Renato Giorgi , conferenza “Quel 10 luglio 1944”: ricostruzione dell’abbattimento di un

Domenica 9 ottobre 2016:“A passo di Musica”, visita guidata alla Villa La Quiete di Mezzana a cura di Gianluca Rossi e concerto cameristico “Danze intorno al mondo”, con il duo pianistico Carla Avvantaggiato e Maurizio Matarrrese all’interno del salone di Villa La Quiete (in collaborazione con la “Sagra del marrone biondo”) (referente Luigi Ropa Esposti) (Fig.8)

Fig.9. Domenica 16 ottobre 2016: un partecipante al “Wine trekking” (o “camminata della ciucca”) - escursione enogastronimica sulle colline di Moglio - mentre ammira uno dei vini prodotti sulle colline di Moglio (foto Luigi Ropa Esposti). Fig.10. Mercoledì 19 ottobre 2016: “Festa internazionale della storia”, Sala Mostre Renato Giorgi,

conferenza “Quel 10 luglio 1944” ricostruzione dell’abbattimento di un bombardiere alleato B 26 Marauder a Lama di Reno; mostra di reperti originali dell’aereo a cura di “Romagna Air Finders” (foto Luigi Ropa Esposti).

bombardiere alleato B 26 Marauder a Lama di Reno, con mostra di reperti e foto (in collaborazione con “Romagna Air Finders”) (referente: Luigi Ropa Esposti) (Fig.10)

Sabato 29 ottobre 2016: “Festa internazionale della storia”, Salone delle Decorazioni di Colle Ameno: conferenza “Un sabato in villa”, un viaggio virtuale tra le ville storiche di Sasso Marconi (in collaborazione con l’Associazione Ville Storiche Bolognesi) (referente Luigi Ropa Esposti) (Fig.11)

Fig.8. Domenica 9 ottobre 2016: Villa La Quiete di Mezzana, concerto cameristico “Danze intorno al mondo”, con il duo pianistico Carla Avvantaggiato e Maurizio Matarrrese nell’ambito della rassegna “A passo di musica” (foto Luigi Ropa Esposti).

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Fig.11. Sabato 29 ottobre 2016: “Festa internazionale della storia”, Salone delle Decorazioni di Colle Ameno, nella foto i relatori della conferenza “ Un sabato in villa”, un viaggio virtuale tra le ville storiche di Sasso Marconi; al microfono parla Gianluca Rossi (foto Paolo Michelini).

Domenica 30 ottobre 2016:nell’ambito della rassegna “A passo di Musica”, visita guidata al borgo di Colle Ameno, a cura del Gruppo XXV aprile, e concerto nel Salone delle Decorazioni di Colle Ameno “Virtuosismi d’autore” recital classico con Fabio Montomoli (referente Luigi Ropa Esposti) (Fig.12)

Domenica 30 ottobre 2016: passeggiata “Tartu-trek ”, da Sasso Marconi a Castel del Vescovo e ritorno alla Tartufesta, nell’ambito della rassegna “Trekking Urbano” (in collaborazione col CSI - Gruppo Escursionistico, CAI Medio Reno e InfoSasso) (referente Luigi Ropa Esposti) (Fig.13)

Da luglio a dicembre 2016: partecipazione alle riunioni della Consulta per l’escursionismo di Bologna (referenti Rino Ruggeri e Luigi Ropa Esposti)

Fig.13. Domenica 30 ottobre 2016: “Urban Trekking”; il gruppo di escursionisti che ha partecipato alla camminata “Tartu-trek” sulle colline di Castel del Vescovo durante la salita su via Castello (foto Luigi Ropa Esposti).

Fig.12. Domenica 30 ottobre 2016: Salone delle Decorazioni di Colle Ameno, concerto “Virtuosismi d’autore”, recital classico con Fabio Montomoli, all’interno della rassegna “A passo di musica” (foto Luigi Ropa Esposti).