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1 Un'inedita chiesa di Giovan Battista Nauclerio: S. Maria delle Dame Monache di Capua La nota offre un sintetico ragguaglio circa l'inedito contributo progettuale dell'architetto partenopeo Giovan Battista Nauclerio alla riedificazione tardobarocca della chiesa di S. Maria delle Dame Monache, la cui qualificazione figurale è stata costantemente segnalata dalla storiografia architettonica capuana. Sottolinea, inoltre, per la prima volta, l'apporto alla trasfigurazione di alcuni noti episodi della cittadina di Terra di Lavoro offerto, all’inizio del Settecento, da tecnici napoletani di larga esperienza. Nella prima metà del XVIII secolo, una cospicua frazione delle fabbriche religiose capuane subì radicali rifacimenti o trasformazioni. Tra queste, emergono, per la complessità dell’impegno, il convento e la chiesa della Maddalena, riedificati, tra il quarto e il quinto decennio del secolo, su progetto, rispettivamente, degli ingegneri Giovan Battista Landini e Bartolomeo Vecchione. Vanno menzionati anche i rifacimenti del complesso dei Minori Conventuali di S. Pietro e della chiesa della Carità, di cui è documentata l’erezione della cupola e del belvedere, la prima con la direzione di Nicola Ferraro, il secondo opera di Giuseppe Aulicino. Ancora, si ricordano la revisione delle chiese di S. Benedetto -i

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Un'inedita chiesa di Giovan Battista Nauclerio: S. Maria delle Dame Monache di Capua La nota offre un sintetico ragguaglio circa l'inedito contributo progettuale dell'architetto partenopeo Giovan Battista Nauclerio alla riedificazione tardobarocca della chiesa di S. Maria delle Dame Monache, la cui qualificazione figurale è stata costantemente segnalata dalla storiografia architettonica capuana. Sottolinea, inoltre, per la prima volta, l'apporto alla trasfigurazione di alcuni noti episodi della cittadina di Terra di Lavoro offerto, all’inizio del Settecento, da tecnici napoletani di larga esperienza. Nella prima metà del XVIII secolo, una cospicua frazione delle fabbriche religiose capuane subì radicali rifacimenti o trasformazioni. Tra queste, emergono, per la complessità dell’impegno, il convento e la chiesa della Maddalena, riedificati, tra il quarto e il quinto decennio del secolo, su progetto, rispettivamente, degli ingegneri Giovan Battista Landini e Bartolomeo Vecchione. Vanno menzionati anche i rifacimenti del complesso dei Minori Conventuali di S. Pietro e della chiesa della Carità, di cui è documentata l’erezione della cupola e del belvedere, la prima con la direzione di Nicola Ferraro, il secondo opera di Giuseppe Aulicino. Ancora, si ricordano la revisione delle chiese di S. Benedetto -i

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cui stucchi, delineati dal gesuita Francesco Carciero, furono plasmati dai fratelli Giuseppe e Matteo Aulicino- e di S. Giovanni a Corte e, infine, il “ristauro” della scomparsa S. Pietro ad Pontem1. La presenza della chiesa di S. Maria in Cingla, annessa al complesso claustrale benedettino delle Dame Monache, risalirebbe, secondo alcuni, all'8712, secondo altri, più verosimilmente, al 943, quando il monastero dal medesimo titulus di Alife fu distrutto durante un’incursione saracena, costringendo le religiose superstiti a trasferirsi nella sede capuana3. Circa la primitiva collocazione del monastero nell’ambito urbano la letteratura ha avanzato diverse tesi. Secondo il Rinaldo, la comunità religiosa fu insediata all’interno delle mura, nella chiesa di S. Nazario, poi intitolata a S. Girolamo, ottenendo nel 952, al tempo dell’abate Aligerno, l’assenso dei principi Landolfo e Pandolfo Capodiferro per l’erezione di un nuovo monastero all’esterno della porta di S. Angelo4.

Le fonti documentano le innovazioni di fabbrica condotte nel complesso tra il basso medioevo e la prima età moderna, a partire dall’erezione del refettorio e del dormitorio, della ricostruzione del chiostro e del coro e l’ampliamento del campanile, realizzati circa il 1174. È noto, inoltre, che, nel 1494, la badessa Caterina Marzano d’Aragona diede inizio all’edificazione della tribuna con il nuovo altare maggiore, nei pressi del bastione Sperone delle mura vicereali, e che, nel 1542 circa, durante il

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governo della badessa Geronima della Ratta, fu costruito il refettorio ab fundamentis e fu ampliato il dormitorio5. Gli interventi in causa non risolsero i problemi statici e funzionali della struttura, costringendo le religiose, al volgere del XVI secolo, a condurre un radicale intervento di riassetto del monastero, contestualmente all’edificazione della vicina conserva pubblica delle acque e all’insediamento, in progresso di tempo, nell’adiacente monastero di S. Benedetto, del Collegio Gesuitico. Le opere furono dirette, come è noto, da Benvenuto Tortelli, che programmò la riduzione in insula del monastero, perimetrandolo con quattro vie pubbliche e sopraelevandone le mura perimetrali, al fine di ottenere «clausura strettissima (...) con pochissima spesa»6. Ulteriori innovazioni, attuate nel corso del XVII e del XVIII secolo, rendono, allo stato attuale, particolarmente problematica l’individuazione dell’assetto medievale e protomoderno dell’insieme. Passando a discorrere della riedificazione della chiesa, va osservato che la stessa fu trasferita in un nuovo sito e realizzata, come segnalato dal Granata, tra il 1711 ed il 17267. L’iniziativa fu intrapresa in concomitanza con il riassetto della struttura patrimoniale del monastero e la contestuale redazione della platea dei beni (1707), conferendole l'evidente valore simbolico di affermazione del prestigio sociale delle Benedettine, appartenenti alle più facoltose ed influenti famiglie della città8. L’incarico della progettazione fu conferito all’architetto napoletano Giovan Battista Nauclerio, attivo, nel medesimo lasso di tempo, anche in altri centri di Terra di Lavoro, il cui rapporto fiduciario con l’ordine benedettino è già stato segnalato dalla critica9. L’opera fu assunta, nel 1712, dai maestri di muro aversani Guglielmo Moschetto e Nicola Ferraro, allora tra i più attivi operatori edili locali. Posata la prima pietra nel febbraio 1713, il Moschetto rinunziò all’impresa10, per ragioni non esplicitate dall’atto di scioglimento della società, lasciando al Ferraro l’intero onere, secondo rinnovati patti contrattuali formalizzati nell’agosto 1713. Questi chiariscono le ragioni del rinnovamento della chiesa, da insediare «in luogo assai più commodo, e decoroso, mentre quella che presente tengono oltre l'essere scongia è situata in luogo assai remoto di detta città», sottolineando il proposito delle religiose di “mettere in scena”, come si è detto, in un settore urbano particolarmente significativo, un organismo cultuale che ne rappresentasse degnamente il prestigio sociale.

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Come anticipato, il progetto, redatto da «Giovanni Battista Anaclerio ingegniere della città di Napoli», approvato dalle monache dopo aver sentito il parere di alcuni esperti, fu eseguito, previa valutazione dell’offerta economica da parte del tecnico, da Nicola Ferraro, operatore di indubbie capacità, sollevatosi gradualmente, nell’arco di un lungo itinerario professionale, dal ruolo di capomastro a quello di architetto, come evidenzia l’esame dei numerosi cantieri affidatigli, nell’agro aversano-capuano, dal secondo quarto del XVIII secolo.

Il contratto di fabbrica prevedeva che la costruzione, a croce greca, allungata mercè l’inserimento di due ampie cappelle presso l’ingresso, fosse compiuta «sino alla totale perfettione co’ tutte quelle cappelle, archi, lamie, fenestroni, cupola, atrio et ogni altra cosa necessaria, secondo il disegno», compreso l’ampio pronao che ne caratterizza l’esterno. Come d’abitudine, le committenti imposero all’artefice di eseguire fedelmente il progetto11, riservando al Nauclerio la misura e la verifica dei lavori12. L’assuntore dell’appalto si obbligò a prestare la propria opera di maestro di muro, con l’intesa «che non si possi fabricare, o fare altro senza che detto mastro Nicola, v'assista, et unitamente

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fabrichi insieme coll'altri mastri fabricatori». Con tutta evidenza, al Ferraro erano conferiti anche compiti di direzione tecnica, in assenza del progettista, allora impegnato anche in numerosi cantieri partenopei, civili e religiosi. Infatti, le clausole contrattuali statuivano che, qualora «il detto mastro Nicolò uscisse, o uscirà dal detto disegno, e pianta co’ fare fabrica soverchia e quella non solo non venisse riprovata dal ingegniere (nel qual caso doverebbe cedere in danno del detto mastro Nicolò come di sopra sta dichiarato) ma quella venisse approvata dal medesimo in tal caso tutta quella fabrica soverchia debbia detto Monastero (…) pagarla al detto mastro Nicolò alli prezzi convenuti in detta sua offerta»13. Nell’appalto erano compresi le murature, di tufo o laterizi, gli archi, le volte, i cornicioni e «tutte l'altre cose superficiali che compariscono al disegno et aggetto di cornice, di abbellimento, di basamento, o di pietra di Caserta o piperno forte di Napoli, et ogn'altro abbellimento, basa, colonne, capitello, architravi, friso, cornicione, cimmase e tutte le altre cose necessarie, come nel disegno appareno». Tuttavia, i documenti sinora rinvenuti non lumeggiano la fase di stesura dei qualificati stucchi interni, il cui intaglio mostra composite influenze, ravvisabili nella tradizione partenopea e negli influssi della plastica tardobarocca di matrice romana, manifestatasi, negli anni in discorso, in Terra di Lavoro, nelle cattedrali di Capua ed Aversa14.

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La chiesa, consacrata, come noto al Granata, nel 1726, fu officiata sino alla soppressione napoleonica, quando fu adibita a deposito degli armamenti delle truppe allocate nel contiguo monastero, subendo la dispersione degli arredi sacri. Dal 1826, autorizzata dall’intendente della provincia la riapertura al culto, vi si eseguirono "restauri" su progetto dell’ingegnere Gaetano Zitelli, ma solo nel 1839 fu riconsegnata all’arcivescovo Serra di Cassano, che vi trasferì preziosi arredi da altre chiese della città. Nel 1855 ne fu consolidata la cupola15. La fabbrica evidenzia valori espressivi di particolare rilievo, a partire dalla singolare fronte scandita da un doppio registro di paraste composite, impostate su un alto podio calcareo, che inquadrano, al primo livello, un arioso ritmo delle pseudo-serliane centinate del pronao, al secondo, la convessa parete del coronamento, con l'ampia finestra centrale. L’aula, per la quale sono stati ipotizzzati influssi vaccariani per il modellato plastico di notevole fattura16, è segnata da due profonde cappelle laterali presso l'ingresso e dai bracci a terminazione absidata dello pseudo-transetto. La qualificazione chiaroscurale degli intagli sottolinea la perizia tettonica dell'ideatore dell'impianto e il sicuro mestiere dei plasticatori tardobarocchi. 1 I documenti inerenti le fabbriche in parola sono resi noti da L. DI TULLIO, Organizzazione e produzione edilizia nel XVIII secolo in Terra di Lavoro: i cantieri e la cronotipologia delle murature in tufo, Tesi di Dottorato in Conservazione dei Beni Architettonici (XIV ciclo), II Università di Napoli, Dipartimento di Restauro e Costruzione dell'Architettura e dell'Ambiente, 2001 (tutor: prof. arch. G. Fiengo). 2 Cfr. O. RINALDO, Memoriæ Istoriche della Fedelissima Città di Capua, Napoli 1753-55, v. II, pp. 157-161. 3 Cfr. F. GRANATA, Storia Sacra della Chiesa Metropolitana di Capua, Napoli 1756, v. I, pp. 302-308. 4 Cfr. O. RINALDO, op. cit., pp. 157-161. 5 Cfr. L. GIORGI, Architettura religiosa a Capua. I complessi della SS. Annunziata, S. Maria e S. Giovanni delle Dame Monache, Roma 1990, pp. 58-75. Una recente lettura critica dell’insieme è offerta da A. FILANGIERI, G. PANE, Capua architettura e arte. Catalogo delle opere, Caserta 1990, v. II, pp. 412-416. Cfr. anche A. JACOBITTI, P. DI MARTINO, Università e Preesistenze Storiche. La nuova Facoltà di Economia Aziendale nel Complesso di Santa Maria delle Dame Monache a Capua, Napoli 1994, pp. 5-57, con una puntuale nota introduttiva di S. Casiello. 6 Cfr. L. GIORGI, op. cit., p. 60. 7 Cfr. F. GRANATA, op. cit., p. 303. 8 Cfr. L. GIORGI, op. cit., p. 60. I protocolli del notaio Vincenzo Ragucci, curiale di fiducia delle Benedettine, sono stati fatti oggetto di una sistematica ricognizione, che ha messo in luce, tra l’altro, la sua attività per la formazione della platea del monastero e

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l’acquisizione, nel 1718, di una residenza inglobata nella chiesa erigenda. Cfr. Archivio di Stato di Caserta (ASCE), Notai, Vincenzo Ragucci, V. 7281, a. 1718, foll. 549-555. 9 Cfr. ASCE, Notai, Vincenzo Ragucci, V. 7276, a. 1713, foll. 383t-392. Un acuto profilo dell’attività partenopea del noto architetto è in A. LITTA, La pietra e la forma: Giovan Battista Nauclerio, in G. CANTONE (a cura di), Barocco napoletano (Atti del Corso Internazionale di Alta Cultura “Centri e periferie del barocco”), Roma 1992, pp. 157-171. Si veda anche R. PANE, Architettura dell'età barocca in Napoli, Napoli 1939, pp. 148-152, e R. MORMONE, Architettura a Napoli 1650-1734, in AA.VV., Storia di Napoli, v. VI, t. II, Napoli 1970, pp. 1122-1128. Recenti contributi hanno documentato il suo apporto per numerose fabbriche campane. Cfr., al riguardo: L. GUERRIERO, Addenda a Giovan Battista Nauclerio: la Torre dell’Orologio di Avellino, in “Ricerche sul ‘600 Napoletano”, 1990, pp. 161-168; R. CARAFA, G. SARNELLA, Un’opera inedita di G. Battista Nauclerio: la chiesa di S. Giovanni Battista in Maddaloni, in “Napoli nobilissima”, XXVIII (1989), I-VI, pp. 51-56. I suoi interventi nei complessi aversani di S. Lorenzo, dell’Annunziata e dello Spirito Santo sono segnalati da G. FIENGO, L. GUERRIERO, Il centro storico di Aversa. Analisi del patrimonio edilizio, Napoli 2002, cap. II. Su alcuni aspetti dell’operosità naucleriana la prof. arch. G. Amirante ha svolto una relazione al convegno internazionale “Sanfelice ed i suoi contemporanei”, i cui atti sono in corso di stampa. Una lettura della vasta attività professionale del Nauclerio nel campo dei “ristauri” e delle “rifattioni” delle preesistenze civili e religiose è in uno studio sub-specie restauro del prof. arch. L. Guerriero, di prossima pubblicazione. Si coglie l’occasione per ringraziare il suddetto studioso per i numerosi consigli che ha voluto offrire allo scrivente, con cordiale liberalità, nel corso della ricerca di dottorato. 10 Come segnalato da G. FIENGO, L. GUERRIERO, op. cit., cap. II, i due artefici formalizzarono lo scioglimento della società nel settembre del 1713. Cfr. ASCE, Notai, Nicolantonio Gaeta, V. 6256, a. 1713, foll. 223t-226t. 11 ASCE, Notai, Vincenzo Ragucci, V. 7276, a. 1713, foll. 383t-392: «il detto mastro Nicolò ha promesso, e si è obligato (...) fare, e continuare l'opera predetta sino alla totale et integrale perfettione di quella, et a opra finita iux il debito disegno, e pianta fatta dal detto M.co Ing.re Anaclerio conservata per detta Signora D. Abbadessa, e co ogni diligenza semetria et attentione e dall'opra predetta non mancare, ne fare mancare per qualsiasi ragione, causa, pretesto, o quesito colore, et in caso che il detto mastro Nicolò mancasse, o cessasse di fare l'opra predetta, o pure quella no facesse iux il detto disegno, e pianta (...) o vero no la facesse bene di leggittimo colla dovuta diligenza, accuratezza, et attenzione iux le regole dell'arte nelli casi predetti e ciascuno di essi possa il detto monastero (...) pigliare altro mastro fabricatore, o mastri fabricatori a tutti danni spese, et interessi del detto mastro Nicolò » e ancora « In oltre è stato convenuto (...) che il detto mastro Nicolò debbia fare (...) l'opra predetta iux il detto disegno, e pianta, et in caso che si appartasse dal detto disegno (...) o pure il detto mastro Nicolò uscisse dal disegno e facesse fabrica soverchia la quale venisse riprovata dal detto ingegniere nelli casi predetti il detto mastro Nicolò (...) promette, e si obliga no solo demolire suoi proprij danni, spese, et interessi tutto quello che venisse riprovato dal detto ingegniere co’ ridurlo iux l'ordine di detto disegno, e pianta».

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12 Il compito dell’architetto è indicato in una quietanza emessa a favore di Nicola Ferraro nel 1717 per la liquidazione di circa 2700 ducati: «Per li lavori, e fatighe fatte a tutti li quattro febraro 1714 secondo la relatione, e scannaglio fatto dal magnifico Giovan Battista Anaclerio Regio Ingegniere di commune consenzo eletto in tempo del badessato di detta R. D. Francesca Macedonio (...). Per li lavori, e fabriche fatte per la chiesa sudetta a tutti li ventiquattro luglio 1716 precedente altra relatione e scannaglio fatto dal m.co ingegniero» (ASCE, Notai, Vincenzo Ragucci, V. 7280, a. 1717, foll. 62t-65). 13 La suddetta clausola, poco frequente nei contratti di fabbrica, sembra palesare una parziale responsabilità ideativa del Ferraro. 14 La consacrazione nel 1726 consente di ritenere che a tale data la chiesa fosse compiuta. Ad ogni modo, il modellato interno non è espressamente citato dal rogito, dovendo il Ferraro fare ogni opera necessaria «di modo che si possa stucchiare (...) dovendo far restare la detta chiesa d'ogni perfettione» (ASCE, Notai, Vincenzo Ragucci, V. 7276, a. 1713, foll. 383t-392). 15 Cfr. L. GIORGI, op. cit., p. 69. 16 Cfr. A. FILANGIERI, G. PANE, op. cit., v. II, pp. 412-416.