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L’Azione esterna dell’Unione europea secondo la riforma di Lisbona Aspetti istituzionali e giuridici Alfredo Rizzo * 1. Introduzione Il presente contributo intende affrontare gli aspetti essenziali delle riforme istituzionali e giuridiche che, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, incideranno in particolare sul settore delle competenze esterne dell’Unione. Se nei paragrafi seguenti si affronteranno le modifiche inerenti alle principali istituzioni politiche dell’Unione nonché a quella giudiziaria – la cui funzione nella definizione delle competenze dell’Unione eu- ropea è stata e, riteniamo, continuerà ad essere imprescindibile –, in questa introduzione si ritiene importante offrire un breve quadro delle modifiche di carattere sostanziale relative alla nuova definizione delle competenze dell’Unione nella materia che ci interessa. L’analisi che segue è svolta area per area, con un’immediata comparazione tra l’attribuzione di competenze ri- cavabile dal sistema pre-e post- Lisbona. 1.1 La riforma delle competenze dell’Unione nei settori del- l’azione esterna e della politica estera dell’Unione Nelle relazioni esterne, la Comunità europea ha goduto di competenze aventi natura essenzialmente duplice. Una prima categoria di competenze è ricavabile expressis verbis dalle norme dei trattati in quanto sin dall’inizio si è ritenuto che tali testi po- tessero conferire ai nuovi organismi così creati degli ambiti ma- teriali sostanzialmente sottratti ex ante alla disponibilità degli Stati membri, in coerenza con gli obiettivi che tali medesimi * Docente Jean Monnet, Università per stranieri di Perugia; docente di Diritto dell’Unione europea, Università della Calabria.

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L’Azione esterna dell’Unione europeasecondo la riforma di Lisbona

Aspetti istituzionali e giuridici

Alfredo Rizzo*

1. Introduzione

Il presente contributo intende affrontare gli aspetti essenzialidelle riforme istituzionali e giuridiche che, a seguito dell’entratain vigore del Trattato di Lisbona, incideranno in particolare sulsettore delle competenze esterne dell’Unione. Se nei paragrafiseguenti si affronteranno le modifiche inerenti alle principaliistituzioni politiche dell’Unione nonché a quella giudiziaria – lacui funzione nella definizione delle competenze dell’Unione eu-ropea è stata e, riteniamo, continuerà ad essere imprescindibile–, in questa introduzione si ritiene importante offrire un brevequadro delle modifiche di carattere sostanziale relative allanuova definizione delle competenze dell’Unione nella materiache ci interessa. L’analisi che segue è svolta area per area, conun’immediata comparazione tra l’attribuzione di competenze ri-cavabile dal sistema pre- e post- Lisbona.

1.1 La riforma delle competenze dell’Unione nei settori del-l’azione esterna e della politica estera dell’Unione

Nelle relazioni esterne, la Comunità europea ha goduto dicompetenze aventi natura essenzialmente duplice. Una primacategoria di competenze è ricavabile expressis verbis dalle normedei trattati in quanto sin dall’inizio si è ritenuto che tali testi po-tessero conferire ai nuovi organismi così creati degli ambiti ma-teriali sostanzialmente sottratti ex ante alla disponibilità degliStati membri, in coerenza con gli obiettivi che tali medesimi

*Docente Jean Monnet, Università per stranieri di Perugia; docente di Dirittodell’Unione europea, Università della Calabria.

Stati avevano convenuto dovessero essere perseguiti da tali or-ganismi. Una seconda categoria di competenze esterne può rica-varsi invece implicitamente dal contesto normativo dei trattatinonché da altri elementi sviluppati prevalentemente medianteinterpretazione giurisprudenziale a partire dalla storica sentenzadella Corte in tema di parallelismo tra competenze interne edesterne comunitarie1.

Il Trattato istitutivo della CEEA, attualmente mantenuto invigore come trattato autonomo rispetto a quello sull’Unione(che dunque assorbe solo la soggettività della Comunità euro-pea, considerato che il Trattato CECA è venuto a scadenza il23.7.2002), ha conferito esplicite competenze alla Comunità inmateria di relazioni esterne nei settori rilevanti del Trattato, at-tribuendo in particolare alla Commissione un autonomo dirittodi iniziativa nell’avvio di negoziati che può essere sottoposto adirettive di negoziato del Consiglio (cfr. artt.101-106 ss. TrattatoEuratom). Il citato art. 101 CEEA, affermando che “nell’ambitodella sua competenza, la Comunità può impegnarsi mediante laconclusione di accordi o convenzioni con uno Stato terzo, una or-ganizzazione internazionale o un cittadino di uno Stato terzo”,anticipa chiaramente il criterio del parallelismo che la Corte digiustizia dovrà indicare nel citato caso AETS come applicabileanche alla Comunità economica europea nel settore delle rela-zioni esterne di quest’ultima.

Per quanto riguarda la Comunità europea, questa ha rice-vuto sin dalle disposizioni dei trattati la necessaria capacità giu-ridica per concludere accordi internazionali. Ciò si è sempre ri-cavato da una lettura – non sempre congiunta – degli articoli 281e 300 TCE, riguardanti, il primo, il riconoscimento della capa-cità giuridica all’organizzazione complessivamente intesa e, ilsecondo, la procedura generale da seguire nella negoziazione econclusione degli accordi comunitari. La Corte di giustizia ha

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1 Cfr. Sentenza 31.3.1971, causa 22/70, Commissione c. Consiglio, cd. AETS, inRacc., 263 ss., il cui punto di partenza riguarda il concetto secondo cui “la Comu-nità può stabilire dei rapporti contrattuali con Stati terzi per l’intera gamma degliscopi enunciati nel Trattato”.

suffragato ampiamente questa interpretazione, ritenendo cheentrambe le norme citate conferissero necessaria capacità allaComunità per impegnarsi internazionalmente nei confronti diStati terzi. Altre disposizioni specifiche estendevano questa ca-pacità nei confronti di organismi internazionali, particolarmenteprevedendo l’istituto degli accordi di collegamento (cfr. art. 302TCE).

Riguardo ai settori materiali in cui tale capacità giuridica èespressamente conferita, rileva in primo luogo quell’ambito dicompetenze che hanno consentito alle comunità europee di af-fermarsi sulla scena internazionale realizzando contemporanea-mente gli scopi essenziali ricavabili dalle norme dei trattati isti-tutivi. La politica commerciale comune (cfr. art. 133 TCE, oraart. 207 TFUE), da questo punto di vista, oltre ad essere espres-samente prevista da una norma del trattato, è un tipico esempiodi politica comunitaria che, per realizzare i propri scopi, devetrovare attuazione sia sul piano interno che sul piano esterno2.

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2 È d’altronde noto come la politica commerciale dell’Unione preveda qualeproprio elemento costitutivo la fissazione di un’unica Tariffa doganale esterna. Lemodifiche apportate all’art. 133 TCE sino al Trattato di Nizza – tendenti a mante-nere il metodo decisionale all’unanimità in Consiglio solo in riferimento alla con-clusione di accordi insistenti su determinati settori materiali sostanzialmente sot-tratti alla competenza esclusiva della Comunità – incidono sull’esercizio delle com-petenze propriamente esterne della Comunità, come individuate dalla stessa normaindicata, e non sulle misure unilaterali che la Comunità può continuare ad adottareanche nelle citate materie. Nei citati settori individuati dal Trattato di Nizza (cfr. art.133 par. 4, 5 e 6 TCE), si è instaurata la prassi dei cd. accordi “misti”, la cui nego-ziazione viene condotta da una delegazione comunitaria composta dal rappresen-tante della presidenza di turno del Consiglio (cui è demandato di negoziare sulle ma-terie dell’accordo di competenza nazionale) e dal rappresentante della Commissioneeuropea. Tale particolare categoria di accordi – applicata anche ad altri settori dicompetenza concorrente della Comunità – può entrare in vigore solo previo com-pletamento delle procedure costituzionali di ratifica previste in ciascun ordinamentodegli Stati membri (salva la possibilità di un’applicazione “provvisoria” dell’ac-cordo). Secondo una nota interpretazione giurisprudenziale, la natura mista di taliaccordi non incide sull’obbligo, per gli Stati, di osservare il vincolo di collaborazionedi cui all’art. 10 TCE (cfr. art. 4 n.3 del nuovo TUE) nelle fasi tanto formativa quantoattuativa di tali accordi anche per la parte solo nazionale, cfr. ex multis, Parere 1/94del 15.11.1994, competenza della Comunità a stipulare accordi internazionali in ma-teria di servizi e di tutela della proprietà intellettuale, in Racc., I, pp. 5267 ss.

L’art. 207 TFUE modifica la precedente disciplina per alcuniprofili istituzionali, in particolare per ciò che attiene al ruoloassunto dal Parlamento europeo. Nella nuova disposizionetale organo dell’Unione viene coinvolto sia per l’adozione diregolamenti (cfr. art. 288 TFUE corrispondente all’art. 249TCE) contenenti misure per la definizione del quadro attua-tivo della politica commerciale comune sia per la conclusionedegli accordi, rinviando per tale secondo aspetto alla proce-dura generale predisposta dall’art. 218 TFUE; ma si prevedeanche un coinvolgimento del Parlamento nella fase di nego-ziazione, dovendo la Commissione informare dell’evoluzionedei negoziati in corso anche l’Assemblea e non più, come pre-visto in precedenza, solo il comitato speciale designato dalConsiglio.

Le norme sulla azione esterna dell’Unione contenute nelTFUE riproducono grosso modo il quadro di competenze pre-disposte dagli articoli 177 e seguenti TCE (in materia di coo-perazione allo sviluppo e di cooperazione finanziaria e tec-nica), introducendo, finalmente, una disposizione specifica perla politica di aiuto umanitario che sino ad oggi trovava la pro-pria disciplina in una fonte di diritto derivato: il nesso strin-gente tra finalità di aiuto umanitario e realizzazione degliobiettivi della politica estera e di sicurezza comune, come pre-cedentemente definiti nell’art. 11 TUE, si ricava oggi espressa-mente nel par. 4 dell’art. 214 TFUE, che rinvia alla disposi-zione di carattere generale sull’azione esterna di cui all’art. 21del nuovo TUE.

Una disposizione sicuramente centrale nel sistema di stru-menti necessari alla realizzazione dell’azione esterna risulta es-sere quella che eredita l’istituto degli accordi di associazione, in-tesi da sempre quale particolare tipologia di accordo idonea aconsolidare relazioni di tipo particolarmente strutturato conpaesi terzi o altri organismi internazionali (tramite l’art. 238CEE, poi articolo 310 TCE, cfr. art. 217 TFUE). Con riferi-mento tanto a tali accordi quanto ad accordi concernenti la po-litica di cooperazione allo sviluppo, sopra menzionata, vale lapena di ricordare come la Comunità abbia realizzato una speci-

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fica prassi delle relazioni internazionali ispirata al criterio dellacondizionalità democratica3.

Altri settori che ricevono conferma e, sotto certi aspetti,maggiore impulso per quanto attiene alla realizzazione delle re-lazioni internazionali, sono quello degli accordi relativi alla fis-sazione di sistemi di tassi di cambio dell’euro nei confronti divalute non comunitarie (la cui disciplina è inserita nel contestodi quella sull’azione esterna dell’Unione, cfr. art. 219 TFUE) equello concernente la possibilità per l’Unione di fare ricorso amisure restrittive nei confronti di paesi terzi. In questo secondocaso, la disposizione di carattere “sostanziale” che fonda talespecifica competenza introduce alcuni elementi di novità ri-spetto alle precedenti disposizioni degli articoli 301 e 60 TCE.Così, mentre quest’ultima disposizione viene sostanzialmenteabrogata, la prima viene riformulata (cfr. art. 215 TFUE) nelsenso di ricomprendere sia misure economiche e finanziarie neiconfronti di paesi terzi (misure riconducibili a quella prima di-sciplinate dal citato art. 60 TCE) sia misure genericamente re-

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3 Tramite l’inclusione, in tali accordi, di clausole cd. elemento essenziale – ri-chiamando cioè la norma dell’art. 60 della Convenzione di Vienna sul diritto deitrattati in tema di cessazione delle relazioni convenzionali per violazione di una di-sposizione ritenuta essenziale alla vigenza di un accordo internazionale -, la Co-munità ha legato l’evoluzione delle proprie relazioni bilaterali con Stati terzi al-l’esigenza di garantire, contemporaneamente, lo sviluppo e la tutela dei criteri de-mocratici e dei diritti umani. Nel caso dei nuovi Stati membri e dei paesiattualmente candidati o potenziali candidati (nei Balcani occidentali), tale prassi hacoinciso ad un riferimento, sin dalle disposizioni generali degli accordi di associa-zione con tali paesi, ai contenuti dell’art. 6 TUE. D’altro canto, tutto il recente pro-cesso di allargamento dell’Unione, predisposto mediante conclusione dei suddettiaccordi di associazione, risulta ispirato a tale disposizione, che d’altronde viene ri-chiamata nell’art. 49 TUE (avente stessi numero e contenuto dell’attuale art. 49TUE) ed è stata ribadita in documenti di rango politico dell’Unione cfr. Conclu-sioni del Consiglio europeo di Copenhagen del 1993, per quanto concerne gli at-tuali dodici nuovi Stati membri e il documento Agenda di Salonicco (“The Thessa-loniki Agenda for the Western Balkans – Moving towards European integration”),il cui testo è riprodotto nelle conclusioni del Consiglio Affari Generali e RelazioniEsterne del 16.6.2003, concernente l’impostazione delle relazioni bilaterali traUnione/Comunità europea e paesi dei Balcani occidentali.

strittive nei confronti di soggetti diversi dagli Stati (cd. non Stateactors)4.

Una menzione a parte meritano le disposizioni relative allosviluppo della politica di difesa. In tale ambito rilevano almenoquattro elementi di riforma allo stesso tempo giuridica e istitu-zionale. Innanzitutto si prevede l’instaurazione (seppure gra-duale) della politica di difesa come politica propria dell’Unione,pur nella generale salvaguardia del carattere specifico della poli-tica di difesa di alcuni Stati membri, presupponendosi chequella dell’Unione sia compatibile con la politica di difesa adot-tata dagli Stati membri in ambito NATO. In secondo luogo, siprevede la possibilità di applicare una clausola di solidarietàcome specifico ambito di azione esterna dell’Unione. L’art. 222TFUE predispone tale istituto come volto a sostenere gli Statiche si trovino colpiti essenzialmente da due tipologie di eventi,relativi a minacce o attacchi terroristici oppure a calamità natu-rali o provocate dall’uomo. Se un evento rientri in una delle ti-pologie generali e se esso richieda di per sé la necessità diun’azione dell’Unione che abbia implicazioni nel settore delladifesa, si applicheranno strumenti e procedure riconducibili allacategoria degli strumenti di politica estera e di difesa (art. 31 del

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4 Da notarsi che l’art. 215 TFUE distingue l’intervento dell’Unione nel sensoche, nel caso di misure restrittive previste da atti di politica estera nei confronti diStati, il Consiglio adotta le misure necessarie, mentre, nel caso in cui misure re-strittive siano previste da atti di politica estera, ma nei confronti di persone fisicheo giuridiche, il Consiglio può adottare tali misure. Si tratterebbe, dunque, nel primocaso, di atti vincolati del Consiglio, mentre, nel secondo caso, al Consiglio rimar-rebbe un margine di discrezionalità più coerente con il fatto che tali atti (“misure”)si rivolgono a soggetti diversi dagli Stati (cfr. art. 263 TFUE). Gli atti adottati neiconfronti di persone fisiche o giuridiche devono comunque essere previsti da mi-sure di politica estera, dovendosi quindi ritenere confermata la regola già vigenteper cui il Consiglio non può fare ricorso a misure individuali di tipo restrittivo chenon siano già concepite quale strumento necessario per gli obiettivi di politicaestera. In aggiunta a ciò, l’art. 275 TFUE prevede la possibilità di impugnare, sem-pre mediante lo strumento del ricorso d’annullamento, anche le decisioni di poli-tica estera che si rivolgano a soggetti diversi dagli Stati (le misure o decisioni in que-stione sono essenzialmente quelle riconducibili a strumenti di lotta al terrorismointernazionale, materia specificatamente disciplinata dal nuovo art. 75 TFUE).

nuovo TUE), con obbligo di informazione nei confronti delParlamento europeo. L’Agenzia di difesa (per esteso, Agenzianel settore dello sviluppo delle capacità di difesa, della ricerca,dell’acquisizione e degli armamenti, di cui all’ art. 42 n. 3) vieneespressamente prevista da una norma del Trattato sull’Unioneche instaura una procedura particolarmente agevolata – a mag-gioranza qualificata – ai fini dell’adozione dello Statuto da partedel Consiglio e la possibilità per l’Agenzia stessa, una volta co-stituita materialmente, di svolgere i propri compiti in collega-mento con la Commissione. Infine, una norma specifica di-spone una particolare tipologia di cooperazione, cd. strutturatapermanente (cfr. articoli 42 n. 6 e 46 del nuovo TUE) tra Statiche “rispondono a criteri più elevati in termini di capacità mili-tari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia”.Per l’attivazione di tale tipologia di cooperazione tra Stati nonsi prevede alcun coinvolgimento della Commissione europea,ciò che invece avviene perfino nel caso che una cooperazionerafforzata riguardi la materia della politica estera e di sicurezzacomune, almeno nel senso che la Commissione debba espri-mere un parere sul rispetto del criterio di coerenza tra tale coo-perazione e le altre politiche dell’Unione (cfr. art. 329 n.3TFUE). Contenuti e aspetti operativi della cooperazione inquestione sono precisati nel Protocollo n.10, dove si precisaanche che la realizzazione della politica di difesa dovrà comun-que avvenire in coerenza con gli obiettivi di politica estera, inparticolare per quanto riguarda il mantenimento della pace e laprevenzione dei conflitti. Tenuto conto del quadro qui rapida-mente illustrato, rimane da precisare che la politica estera e didifesa può dare luogo, al pari della politica estera e di sicurezzacomune, all’esercizio di competenze esterne tramite conclu-sione di accordi con Stati terzi o organismi internazionali. In talcaso, il nuovo Trattato sull’Unione (art. 37) prevede, come ilprecedente trattato UE, un’unica disposizione che disciplinatale possibilità per entrambi i settori di intervento. Si può co-munque fare cenno al fatto che, in materia di difesa, rileva l’art.17 TUE, introdotto dal Trattato di Amsterdam e tramite ilquale è stata formalizzata la prassi delle missioni dell’Unione in

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paesi terzi (missioni cd. Petersberg, da una prassi sorta in senoall’Unione europea occidentale, UEO)5.

Occorre ricordare che le competenze esterne dell’Unione,anche a seguito delle riforme di Lisbona, si realizzeranno nonsolo in virtù di disposizioni esplicite: è noto infatti che tale cate-goria generale di competenze può promanare anche dalla pre-senza di disposizioni dei trattati o, eventualmente, anche di fontidi diritto derivato – in particolare regolamenti e direttive (cfr.art. 288 TFUE) – che radichino le competenze dell’Unione nelladimensione interna delle politiche comunitarie6.

In questo contesto, la questione della base giuridica degli ac-cordi, quali atti comunitari o dell’Unione, assume una specificarilevanza7. In materia, la Corte ha sviluppato precise regole. È

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5 In tempi più recenti rileva la prassi consistente nella stipulazione di accordiche consentono la partecipazione di Stati terzi alle missioni dell’Unione europeanonché di accordi relativi all’individuazione dello status da attribuire alle forze di-staccate sotto l’egida dell’Unione europea stessa ai fini della realizzazione della mis-sione gli Status of Mission Agreements (SOMA), concernenti le missioni cd. civili egli Status of Forces Agreements (SOFA), concernenti le missioni a carattere militare,tipologie di accordi entrambe originarie dalle missioni ONU. Rispetto al modellodi SOMA o di SOFA adottati in ambito ONU, quelli dell’Unione – a parte il casodella missione EUFOR Althea in Bosnia ed Erzegovina, che segue il regime dellaprecedente missione NATO – applicano generalmente le regole delle Convenzionidi Vienna sulle relazioni diplomatiche, conferendo anche alle missioni militari im-munità e privilegi normalmente conferiti agli agenti diplomatici di Stati.

6 In termini ancor più generali, può dirsi che la realizzazione della “dimensioneesterna” di una politica “interna” comunitaria può rendersi necessaria per l’otteni-mento degli stessi obiettivi che tramite la seconda si intendano raggiungere, nelsenso che la prima potrebbe rivelarsi di per sé necessaria al raggiungimento di queimedesimi obiettivi (su questo aspetto v. in part. Parere 1/76 del 26 aprile 1977, Ac-cordo relativo all’istituzione di un Fondo europeo d’immobilizzazione della navi-gazione interna, Racc. 741). Seguendo quest’approccio meno formalistico, può ri-cordarsi che, al punto 126 del Parere 1/03 del 7.2.2006, Competenza della Comu-nità a concludere la nuova Convenzione di Lugano concernente la competenzagiurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile ecommerciale, in Racc., I-1145, la Corte di giustizia ha ammesso la possibilità che lacompetenza esterna comunitaria sorga anche in considerazione dei futuri sviluppidi una certa legislazione comunitaria in un determinato settore.

7 La questione della scelta della base giuridica investe profili relativi all’inda-gine circa la legittimità dell’atto o di un accordo comunitario. In particolare, un’er-

stato ad esempio stabilito che un atto comunitario, in virtùanche del principio di competenze di attribuzione su cui si fondail sistema creato dai trattati (cfr. art. 5 TCE e art. 5 del nuovoTUE, con un reiterato riferimento all’art. 4 n. 1 del nuovoTUE), non può essere basato su una duplice base giuridica. Seemerga però la necessità di fare ricorso a basi giuridiche concor-renti, la scelta deve essere operata tra una base giuridica princi-pale e una base giuridica incidentale o comunque subordinataalla prima. Solo qualora da tale test non emerga la possibilità diun rapporto simile tra due diverse basi giuridiche, si potrà even-tualmente fare ricorso, come ipotesi residuale, a una duplice basegiuridica. Sottesa all’ipotesi indicata è la valutazione degli obiet-tivi perseguiti dall’atto, che, se duplici o molteplici e solo se fra

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rata base giuridica può determinare la violazione di forme sostanziali rilevabile exofficio, sia perché una scorretta base giuridica potrebbe implicare il ricorso ad unaprocedura decisionale inadeguata (ad esempio in tal modo potendosi intaccare leprerogative del Parlamento europeo) sia perché l’atto potrebbe perseguire delle fi-nalità che non coincidono con la base giuridica prescelta. In verità, rilevano ancheprofili inerenti alla erronea motivazione così come allo sviamento di potere o allaviolazione di legge, se, in particolare in questo ultimo caso, l’atto violi altre dispo-sizioni del Trattato o principi generali dell’ordinamento comunitario. Vale la penaanche rilevare sin d’ora come un problema specifico sorga rispetto agli accordi co-munitari, in quanto l’annullabilità di tali accordi non è formalmente resa possibiledal fatto che l’art. 230 (ma anche l’art. 234) TCE (cfr. articoli 263 e 267 TFUE) con-sente di impugnare solo atti comunitari idonei a produrre effetti nella sfera giuri-dica altrui (Stati membri, persone fisiche o persone giuridiche). Non l’accordo, insé e per sé, sarebbe quindi passibile di annullamento, ma la decisione del Consigliorelativa alla sua conclusione, che, per quanto atto sui generis dal punto di vista dellacategoria delle fonti comunitarie, è il solo atto idoneo a rendere vincolante per laComunità e per gli Stati membri l’accordo cui afferisce. Peraltro, è proprio la deci-sione del Consiglio relativa alla conclusione dell’accordo a contenere formalmentel’indicazione di quale sia la base giuridica di quest’ultimo. L’art. 300 n.6 TCE (e lacorrispondente previsione di cui all’art. 218 del nuovo Trattato), prevedendo lacompetenza della Corte a pronunciarsi mediante un parere su tali aspetti, consentea Stati membri e istituzioni di far verificare preventivamente – cioè prima della con-clusione dell’accordo – l’effettiva competenza comunitaria a concludere l’accordostesso e quale sia la corretta base giuridica da applicare alla relativa decisione di con-clusione. Queste questioni sono state affrontate dalla Corte di giustizia nel Pareredel 13.12.1995, 3/94, in Racc., I-4577. Su questi profili v. anche infra nota 39.

loro strettamente connessi o comunque non separabili, possonogiustificare una duplicità di basi giuridiche dell’atto8.

Nel contesto della questione concernente la scelta della basegiuridica di atti e di accordi comunitari emerge la possibilità, perle istituzioni, di ricorrere alla clausola di flessibilità (cfr. art. 308TCE e art. 352 TFUE). L’art. 352 TFUE, peraltro, sembra of-frire la possibilità di un ricorso più esteso a tale clausola, per laquale viene meno la condizione, prevista nel precedente art. 308TCE, secondo la quale essa poteva concernere la realizzazione

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8 In tema di doppia base giuridica degli accordi comunitari v. Sentenza 12 set-tembre 2002, Commissione contro Consiglio dell’Unione europea C-281/01, inRacc. I-12049, caso cd. Energy Star Agreement. Ovviamente, l’erronea scelta dellabase giuridica, oltre ad inficiare l’atto in sé considerato, può ripercuotersi su altriatti connessi al primo, come ad esempio avviene nel caso di una decisione di con-clusione di un accordo internazionale volto a “completare” l’azione comunitariabasata su quell’atto viziato. Questo non dovrebbe implicare anche l’assunzione diuna responsabilità esterna comunitaria, ossia verso i terzi contraenti, potendo peròtale responsabilità insorgere comunque nel caso in cui la Comunità, oltre ad avereadottato la decisione di concludere l’accordo sulla base di un atto interno viziato,non abbia alcuna competenza nella materia su cui l’accordo insiste. Un obbligo didenuncia ai termini del diritto internazionale dei trattati è stato di recente attribuitoalla Comunità in un caso di annullamento, da parte della Corte, della decisione re-lativa alla conclusione di un accordo con gli Stati Uniti che, presentato come rien-trante nelle competenze comunitarie, perseguiva in realtà obiettivi concernenti lecompetenze dell’Unione, secondo lo schema “a pilastri” di cui al sistema prece-dente il trattato di Lisbona e alla luce della disposizione dell’art. 47 TUE (corri-spondente all’attuale art. 40 TUE, riformulato). In tal caso, la Corte ha anche rite-nuto che la Comunità non potesse ricavare la propria competenza a concludere unaccordo siffatto dalle disposizioni della direttiva n. 95/46 in tema di tutela dei datipersonali – la cui base giuridica risiede nell’art. 95 TCE relativo alla politica del co-siddetto “ravvicinamento delle legislazioni”, cfr. art. 114 TFUE – in quanto tale di-rettiva non avrebbe comunque consentito alla Comunità di perseguire obiettivi ditutela della sicurezza pubblica a bordo dei voli di linea (Sentenza della Corte del30.5.2006, cause riunite C-317/04 e C-318/04, Parlamento europeo c. Consiglio del-l’Unione europea, cd. “Passanger Name Record”, in Racc., I-4721). Rilevante per lans. analisi è il caso cd. ECOWAS, con cui la Corte ha stabilito che l’art. 47 TUE(cfr. ora art. 40 NTUE) impedisce il perseguimento, mediante un unico atto delConsiglio, di obiettivi tanto di politica estera (di competenza esclusiva dell’Unione,nel precedente schema a pilastri) quanto di cooperazione allo sviluppo (di compe-tenza, invece, comunitaria, cfr. Sentenza del 20.5.2008, causa C-91/05, Commis-sione contro Consiglio, in Racc., I-3651).

degli obiettivi del mercato interno. Il fatto che una competenzaesercitata sulla base della clausola di flessibilità debba comun-que, anche dopo le riforme di Lisbona, essere ricondotta al qua-dro delle politiche dell’Unione potrebbe consentire un collega-mento all’art. 21 della nuova disciplina, in tema di azione esternadell’Unione nell’ampia accezione contenuta in tale disposizione,pur tenendo conto di quanto previsto al par.4 dello stesso art.352 – che richiama l’art. 40 del nuovo TUE a salvaguardia dellecompetenze dell’Unione in tema di politica estera e di sicurezzacomune9.

La questione dell’individuazione del carattere implicito oesplicito delle competenze esterne dell’Unione deve essere man-tenuta parzialmente distinta da quella relativa alla verifica chetale stessa competenza, anche là dove si realizzi implicitamentesecondo i canoni qui rapidamente esposti, si riveli essere esclu-siva o concorrente con quella degli Stati. La prima tipologia dicompetenze dovrebbe comunque rispettare il citato principiodelle competenze di attribuzione che vincola quelle dell’Unionead un conferimento delle stesse – anche, ripetiamo, in via soloimplicita – nelle norme dei trattati (cfr. art. 4 n. 1 e art. 5 dell’at-tuale disciplina)10. In tale contesto, la prima norma rilevante in

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9 Non vanno tuttavia sottaciute le difficoltà connesse al ricorso all’art. 308 (già235) TCE, che in certi casi la Corte ha ritenuto non consentito a causa della totaleassenza di competenza comunitaria in una determinata materia. La Corte ha em-blematicamente rilevato tale circostanza riguardo alla competenza per la Comunitàad aderire alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dellelibertà fondamentali (CEDU), competenza negata anche in base alla clausola diflessibilità in quanto gli obiettivi di tutela dei diritti fondamentali non risultavanoricavabili dagli scopi generali perseguiti dall’ordinamento creato dai trattati (a taledeficit generale del sistema comunitario sembra definitivamente ovviare la normadell’art. 6 del nuovo TUE che conferisce all’Unione competenza specifica ad ade-rire alla citata CEDU, v. Parere del 28.3.1996, 2/94, in Racc., I-1759). La Corte haaltresì precisato che la Comunità non può assumere, in base alla sola clausola diflessibilità, competenze esterne di carattere esclusivo, in quanto tale tipo di compe-tenze può promanare implicitamente solo dall’esercizio di competenze interne daparte della Comunità stessa, v. Parere del 24 marzo 1995, 2/92, in Racc., I-521 .

10 Tuttavia, il carattere esclusivo di una competenza esterna implicitamenteesercitabile dall’Unione potrebbe essere non sempre immediatamente intellegibile:

tema di competenze esterne implicite esclusive è inserita all’art.3 n. 2 TFUE, dove si richiamano i principi già evocati relativialla possibilità che alla competenza dell’Unione di stipulare ac-cordi internazionali venga riconosciuto tale carattere di esclusi-vità almeno al ricorrere di tre condizioni e cioè a) allorché laconclusione di un accordo sia prevista da un atto legislativo del-l’Unione, b) allorché la conclusione dell’accordo appaia comenecessaria alla realizzazione delle competenze dell’Unione e c)allorché la conclusione dell’accordo possa incidere su norme co-muni o alterare la portata di queste ultime. Con la sola aggiuntadel riferimento al fatto che la competenza dell’Unione a conclu-dere accordi derivi anche dalle norme del trattato, l’art. 216TFUE, inserito tra le disposizioni in tema di azione esterna e ac-cordi internazionali dell’Unione, riproduce essenzialmente ladisposizione precedente dell’art. 3 n. 2, aggiungendo altresì laprevisione secondo cui gli accordi conclusi dall’Unione sono

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la Corte, sul punto, ha per esempio dato come indicazione la verifica della circo-stanza che disposizioni di un accordo che sia già stato o stia per essere conclusodagli Stati membri possano incidere (in inglese, affect) su competenze interne co-munitarie già esercitate. In questo caso, si fa ricorso a un approccio “difensivo” del-l’unitarietà e uniformità (anche interpretativa) del diritto comunitario, per cui sipreclude in via di principio agli Stati di porre in essere strumenti, inclusi gli accordiinternazionali, che possano incidere a detrimento delle competenze comunitarie(ciò anche in ossequio al citato principio di leale collaborazione sancito all’art. 4 n.3del nuovo TUE, v. Parere 1/94 cit., supra nota 2 e Parere del 19.3.1993, 2/91, Con-venzione n. 170 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro in materia di sicu-rezza durante l’impiego delle sostanze chimiche sul lavoro, in Racc., I-1061; vedianche Sentenza 31.3.1970, causa 22/70, già citata n.1; Parere del 4.10.1979, 1/78, Ac-cordo internazionale sul caucciù naturale, in Racc., 2871; Sentenze 5.11.2002, causeC-467/ 98, Commissione/Danimarca, in Racc., I-9519; C-468/98, Commissio-ne/Svezia, in Racc., I-9575; C-469/98, Commissione/Finlandia, in Racc., I- 9627;C-471/98, Commissione/Belgio, in Racc., I-9681 ss.; C-472/98, Commissione/Lus-semburgo, in Racc., I-9741; C-475/98, Commissione/Austria, in Racc., I-9797; C-476/98, Commissione/Germania, in Racc., I-9855 cd. “cieli aperti-open skies”; Pa-rere 1/03 del 7.2.2006, Competenza della Comunità a concludere la nuova Con-venzione di Lugano concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento el’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in Racc. I, pp. 1145; Sen-tenza 30.5.2006, causa C-459/03, Commissione/ Regno Unito di Gran Bretagna eIrlanda del Nord, in Racc., I- 4635).

vincolanti per gli Stati membri (cfr. in tal senso art. 300 n. 7TCE).

Per quanto attiene, invece, alla verifica che le competenzeesterne implicite esercitabili dall’Unione possano avere carattereconcorrente con quelle degli Stati, una specifica, complessa e co-spicua prassi in materia riguarda ovviamente il fenomeno, già ci-tato, degli accordi misti, nelle materie per le quali si preveda adesempio che la conclusione dell’accordo da parte comunitariaavvenga solo mediante decisione all’unanimità da parte del Con-siglio. Nei casi più evidenti di competenze concorrenti, ad esem-pio in tema di cooperazione allo sviluppo (per cui in realtà siparla di competenze parallele), gli Stati membri hanno ritenutodi preservarsi il potere negoziale e di conclusione degli accordistessi, ma ammettendo di esercitare questo potere anche con-giuntamente alle istituzioni comunitarie. Nelle parole dellaCorte delle Comunità europee, “... poiché la competenza dellaComunità nel settore dell’aiuto allo sviluppo non e` esclusiva, gliStati membri hanno il potere di assumere impegni nei confrontidegli Stati terzi, collegialmente o individualmente, se non addi-rittura insieme con la Comunità”11.

Al di là degli esempi, anche diversi, che si possono riportaresul punto, vale la pena chiarire che il concetto di competenzeconcorrenti attiene alla possibilità che tali competenze, se eser-citate da parte dell’Unione non congiuntamente agli Stati mem-bri (come nel caso sopra citato esaminato dalla Corte), produ-cano un effetto preclusivo (in inglese, pre-emptive effect) del-

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11 Sentenza 2.3.1994, causa C-316/91, Parlamento europeo contro Consiglio, inRacc., I-625. Da tale impostazione delle relazioni con paesi terzi, la Corte ha infe-rito l’importante considerazione sull’assunzione di una responsabilità internazio-nale congiuntamente da parte di Comunità e Stati membri nei confronti dei terzicontraenti: “stipulata dalla Comunità e dai suoi Stati membri, da una parte, e dagliStati ACP, dall’altra, la quarta convenzione ACP-CEE di Lomé ha previsto unacooperazione “ACP-CEE” di carattere essenzialmente bilaterale. Salvo derogheespressamente previste dalla convenzione, la Comunità ed i suoi Stati membri, inquanto controparti degli Stati ACP, sono congiuntamente responsabili nei confrontidi tali ultimi Stati per l’esecuzione di ogni obbligo risultante dagli impegni assunti,ivi compresi quelli relativi ai contributi finanziari”

l’esercizio della stessa competenza da parte di tali Stati. Questofenomeno, ampiamente esaminato in dottrina e in giurispru-denza, viene codificato dal Trattato di Lisbona all’art. 2 n. 2TFUE, che letteralmente recita: “Quando i trattati attribuisconoall’Unione una competenza concorrente con quella degli Statimembri in un determinato settore, l‘Unione e gli Stati membripossono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti intale settore. Gli Stati membri esercitano la loro competenza nellamisura in cui l’Unione non ha esercitato la propria. Gli Statimembri esercitano nuovamente la loro competenza nella misurain cui l’Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria”. Inquesto secondo caso, si tratta, a ben vedere, di una clausola diapertura nel contesto di un chiaro tentativo di costituzionaliz-zare il sistema di competenze dell’Unione anche per ciò checoncerne quelle implicite, tanto interne quanto esterne. Le di-sposizioni degli articoli da 3 a 6 TFUE, infatti, realizzanoun’operazione ricognitiva, in verità non del tutto convincente,indicando i settori di competenze esclusive, concorrenti nonchédi coordinamento o completamento dell’Unione.

Dal quadro sopra solo ripercorso si registra dunque unosforzo, da parte del legislatore di Lisbona, verso una classifica-zione di almeno due tipologie generali di competenze. Da unlato, troviamo le competenze costituzionalizzate tramite gli ar-ticoli da 3 a 6 e dalle quali possono certamente ingenerarsicompetenze esterne, nella misura in cui queste ultime potrannorealizzare, nella dimensione delle relazioni internazionali, gliobiettivi prefissati nelle prime. Dall’altro lato, troviamo lecompetenze non codificabili che, in quanto tali, vanno ricon-dotte al concetto generale di competenze concorrenti : questeultime, certamente, coincidono con quelle elencate nella dispo-sizione “costituzionale” dell’art. 4 TFUE, ma il loro funziona-mento materiale va letto alla luce del citato art. 2 n. 2 TFUE. Sitratta, in sostanza, di competenze che afferiscono alla dinamicadelle relazioni verticali tra Unione e Stati membri, potendoquesti ultimi riappropriarsi di tali competenze nell’ipotesi incui l’Unione cessi di esercitarle materialmente. Peraltro,l’elenco di cui all’art. 4 TFUE non pare possa essere inteso

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come tassativo, almeno non se si vuole dare un senso al primoparagrafo di tale norma che recita: “L’Unione ha competenzaconcorrente con quella degli Stati membri quando i trattati leattribuiscono una competenza che non rientra nei settori di cuiagli articoli 3 e 6”. Questa previsione attribuisce quindi chiara-mente carattere di residualità alle competenze concorrenticome tali. È bene precisare che il riferimento ai trattati comefonte della competenza concorrente dell’Unione non andrebbeinteso in senso restrittivo, ma come riferimento al fatto che talecompetenza potrebbe derivare non solo da puntuali disposi-zioni dei trattati, ma anche dagli scopi ricavabili dai trattatistessi.

Tra il tentativo di costituzionalizzare le competenze del-l’Unione e il riconoscimento della tipologia delle competenzeconcorrenti, come momento in qualche modo inevitabile nelladinamica delle relazioni tra enti sovra-ordinati (Stati membri eUnione), quale tertium genus viene disciplinata la categoria dellecompetenze esterne implicite esclusive. Al riguardo, in verità, ecome accennato, vengono in rilievo due disposizioni, l’art. 3 n. 2TFUE e l’art. 216 TFUE (anche se quest’ultima non fa riferi-mento al carattere esclusivo delle competenze dell’Unione), tra-mite le quali ci si sforza di costituzionalizzare concetti che sinoad oggi erano stati sviluppati in via strettamente giurispruden-ziale. Tuttavia, se l’art. 216 TFUE appare piuttosto trasparente ecoerente con la generale impostazione del tema delle compe-tenze esterne implicite dell’Unione, con l’art. 3 n. 2 TFUE sicompie un’operazione meno chiara, tenuto conto del fatto che laprevisione di tali competenze esterne è collocata all’interno dellastessa disposizione relativa alle competenze interne esclusive(art. 3 TFUE). Si potrebbe infatti inferire da tale circostanza cheil tentativo sia stato quello di limitare la formazione di compe-tenze esterne esclusive in via implicita al solo caso in cui talicompetenze promanino da competenze interne anch’esse esclu-sive, ciò che invece non si sarebbe potuto ricavare se si fossemantenuta la sola norma dell’art. 216 TFUE quale disposizionespecifica in materia. Infatti, da questa disposizione dovrebbe ri-cavarsi che una competenza esterna dell’Unione potrebbe radi-

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carsi implicitamente anche quale competenza esclusiva al soloricorrere delle circostanze richieste da tale stessa previsione.L’intenzione del legislatore di Lisbona, dunque, potrebbe esserestata proprio quella di operare una distinzione tra competenzeesterne implicite di tipo esclusivo e competenze esterne implicitedi tipo concorrente, agganciando le une e le altre alle tipologie dicompetenze interne elencate negli articoli 3 e 4 TFUE. Così,questa eventuale lettura della ratio sottesa all’art. 3 n.2 TFUEappare restrittiva almeno rispetto all’operatività delle condizioniconfermate dall’art. 216 TFUE. Alla luce di tali considerazioni,potrebbe dunque risultare difficile che alcune competenze in-terne concorrenti, come quelle indicate all’art. 4 TFUE, dianoluogo a competenze esterne implicite di tipo esclusivo e ciòanche là dove dovessero contemporaneamente ricorrere le con-dizioni di cui all’art. 216 TFUE. Un esempio di tale risultato po-trebbe ricavarsi dall’operatività delle competenze dell’Unione inmateria di spazio di libertà, sicurezza e giustizia12.

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12 In questo settore, il Trattato di Lisbona ha realizzato un’operazione evolutivarispetto al regime precedente, particolarmente per quanto attiene al settore dellacooperazione in materia penale, riconducendone la realizzazione all’adozione di attimediante la procedura legislativa “ordinaria” o tutt’al più “speciale”, che vede coin-volti congiuntamente Parlamento e Consiglio, sottraendo il potere di iniziativa agliStati per conferirlo integralmente alla Commissione europea (cfr. ad es. art. 82TFUE). Peraltro, le riforme hanno condotto all’abrogazione dell’art. 38 TUE, cheprevedeva la possibilità per l’Unione di concludere accordi internazionali in tale am-bito. Applicando alla cooperazione in materia penale la disposizione dell’art. 218TFUE, relativo alla conclusione di accordi internazionali, si potrebbe inferire che ilParlamento europeo dovrà sempre essere almeno consultato oppure approvare uneventuale accordo (cfr. in particolare art. 218 lett. a e b TFUE). Sembrerebbe cosìrealizzarsi un meccanismo di parallelismo procedurale tra competenze legislative in-terne e competenze a stipulare accordi internazionali in subjecta materia. E, tuttavia,ciò non sarebbe sufficiente a far ritenere tali materie riconducibili a un ambito dicompetenza esclusiva dell’Unione, in quanto tale possibilità trova un ostacolo espli-cito nell’indicazione secondo cui la cooperazione giudiziaria penale (riconducibile altema dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia) è comunque una materia sullaquale Unione e Stati membri esercitano una competenza di tipo concorrente (an-cora, cfr. art. 4 n. 2 TFUE). Ciò, ulteriormente, impedirebbe il radicarsi di una com-petenza esterna implicita di carattere esclusivo, nonostante la stessa presenza del-l’art. 216 TFUE. Occorre però aggiungere che una simile conclusione sembrerebbe

Queste perplessità si rafforzano considerando un altro am-bito rilevante, quale quello della politica estera e di sicurezza co-mune, per il quale peraltro le numerose precisazioni ed esclu-sioni dal quadro di competenze costituzionalizzate (cfr. articolida 2 a 6 TFUE) impediscono che in questo ambito possa for-marsi una competenza anche solo concorrente dell’Unionestessa. Pertanto, anche il carattere aperto della lista di compe-tenze di tale ultimo genere (concorrenti, cfr. citato art. 4 n. 1TFUE), non potrebbe includere quella dell’Unione in tema dipolitica estera. Trattando delle competenze dell’Unione europeain tema di politica estera e di sicurezza (inclusa quella di difesa)potrebbe allora parlarsi di un quartum genus di competenze, chesi aggiungerebbe a 1) quelle costituzionalizzate (esclusive, art. 3TFUE, di coordinamento e/o completamento, artt. 5 e 6 TFUE),2) quelle concorrenti, in parte codificate e in parte lasciate allaprassi delle relazioni tra Stati e Unione (art. 2 n. 2 e art. 4TFUE), 3) quelle esterne implicite di tipo esclusivo (art. 3 n. 2).

In questo tentativo di codificazione di questioni spesso diffi-cilmente definibili ex ante, rimane che la norma dell’art. 216TFUE sembra l’unica in grado di riflettere la realtà della prassidegli accordi internazionali della Comunità europea come sinoad oggi realizzatasi. In tema di politica estera, peraltro, le com-petenze esterne dell’Unione potranno dare origine ad accordiinternazionali (cfr. art. 37 del nuovo TUE), la cui disciplina sem-brerebbe sfuggire comunque alle considerazioni che precedonosulle competenze esterne implicite di tipo esclusivo o concor-rente (cfr. art. 3 n. 2 e 4 nonché art. 216 TFUE). Anche rispetto

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contrastare con la stessa giurisprudenza comunitaria che, in materia di cooperazionegiudiziaria civile (che, come quella penale, rientra tra le competenze concorrenti), hagià ammesso la possibilità che la Comunità acquisti una competenza esterna impli-cita esclusiva al ricorrere di una delle condizioni attualmente elencate nell’art. 216TUE. Infatti, nel caso de quo la Corte ha ritenuto che la sola presenza di una normagenerale come quella dell’art. 65 TCE, corrispondente all’art. 81 TFUE, fosse ido-nea a conferire alla Comunità la necessaria competenza – peraltro dotata di esclusi-vità – ai fini della conclusione della nuova Convenzione di Lugano sulla competenzagiurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile ecommerciale (cfr. Parere del 7.2. 2006, n. 1/03, cit. supra nota 6).

agli accordi di politica estera, peraltro, potrebbero subentrarealtre valutazioni, ad esempio inerenti alla verifica che l’accordoinsista effettivamente su una materia totalmente relativa alla rea-lizzazione della politica estera dell’Unione o se tale accordo noninvesta anche altre materie.

1.2 Il problema della definizione della personalità di dirittointernazionale dell’Unione

Il problema della definizione delle competenze dell’Unioneeuropea nella realizzazione dell’azione esterna implica l’analisidella questione concernente il riconoscimento di una personalitàgiuridica internazionale al soggetto che quelle competenze èchiamato ad esercitare. Su questo punto, oltre al conferimentoesplicito di una simile personalità nell’art. 281 TCE (rilevandoanche la norma del’art. 282 TCE concernente il riconoscimentodella capacità giuridica della Comunità in ciascuno degli Statimembri), rileva una giurisprudenza che, proprio al fine di con-fermare la più ampia capacità della Comunità nello scenario in-ternazionale al fine di realizzare gli scopi dei trattati, conferma,sotto il profilo più propriamente giuridico, la capacità di dirittointernazionale che la citata norma prevede in linea teorica e ge-nerale. Peraltro, occorrerebbe distinguere tra affermazione dellapersonalità dell’Unione sotto il profilo dei rapporti verticali congli Stati membri (ciò cui gli articoli 281 e 282 TCE sembranoparticolarmente attinenti) e affermazione della personalitàdell’Unione sotto i profili più propriamente internazional-pub-blicistici. Da questo punto di vista, occorre registrare un gene-rale orientamento secondo il quale anche ad organizzazionicome la Comunità europea si applica il concetto di una persona-lità giuridica internazionale di carattere funzionale – diversaquindi da quella piena attribuibile ovviamente agli Stati –, ossiaconnessa alla necessità di condurre le azioni funzionali al rag-giungimento degli obiettivi previsti nel trattato istitutivo13.

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13 Parere della Corte internazionale di giustizia dell’8.6.1996 sulla Legalitàdella minaccia o dell’uso di armi nucleari nei conflitti armati.

Così, la personalità delle comunità europee (CECA, CEE edEuratom), a prescindere dalla citata indicazione esplicita di cuiall’art. 281 TCE, è stata ammessa riguardo alla generale capacitàdi concludere accordi ma anche di essere destinatarie di obblighiinternazionali generali o convenzionalmente assunti. Per la pri-ma ipotesi, rilevano sentenze della Corte che hanno ritenuto chel’ordinamento comunitario si conformasse ad almeno alcuniprincipi di diritto internazionale generale14. Per la seconda ipo-tesi, la Comunità è stato ritenuto potesse assumere impegni invia convenzionale solo nel rispetto dei criteri sanciti dalla Con-venzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 (e non diquella del 1986, che la Comunità non ha sino ad oggi ratificato).

In linea di principio, rimarrebbe fuori dal sistema comunita-rio un unico principio sotteso alle regole della Convenzione suldiritto dei trattati e cioè quello della reciprocità (cd. exceptioinadimpleti contractus), anche se tale esclusione riguarda princi-palmente i rapporti verticali tra Stati membri e Comunità, inquanto gli obblighi assunti dai primi ne confronti della secondahanno comunque carattere prioritario anche rispetto ad obblighiche gli Stati abbiano assunto prima della loro adesione al-l’Unione (e ciò secondo una recente lettura restrittiva della clau-sola di subordinazione di cui all’art. 307 TCE, cfr. art. 351TFUE, disposizione peraltro riprodotta all’art. 30 della citataConvenzione di Vienna)15.

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14 Citare la giurisprudenza al riguardo porterebbe fuori tema la presente inda-gine, essendo sufficiente richiamare il più risalente caso Van Duyn, Sentenza4.12.1974, causa 41/74, in Racc., pag. 1337, allorché la Corte di giustizia delle co-munità europee riconobbe quale principio dell’ordinamento comunitario il divietodi carattere consuetudinario secondo cui uno Stato non può negare ai propri citta-dini il diritto di ingresso nel proprio territorio nazionale. Nel caso Gencor (Sen-tenza del 25 marzo 1999,causa T-132/96 in Racc., II-753) il Tribunale di primogrado della CE ha applicato il principio di territorialità quale criterio universal-mente riconosciuto nel diritto internazionale pubblico, al fine di affermare la com-petenza della Comunità a sindacare i comportamenti assunti da privati in territorinon comunitari per le ripercussioni economiche che tali stesi comportamenti si ri-velassero in grado di produrre all’interno della Comunità.

15 Si noterà, peraltro, che alcuni atti di diritto derivato prevedono che la Co-munità stessa, tramite conferimento del necessario treaty making power alla Com-

In via più generale, il criterio di reciprocità opera rispettoalla prassi delle clausole di cd. condizionalità democratica conte-nute in particolari accordi tra la Comunità e paesi terzi (accordidi associazione o cooperazione)16. Il criterio di reciprocità si ap-plica altrettanto tipicamente alle contromisure adottate controviolazioni di obblighi internazionali assunti da Stati non comu-nitari nei confronti della Comunità stessa17.

Nel contesto dell’individuazione della soggettività interna-zionale dell’Unione, un problema specifico è sorto riguardo alla

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missione, faccia comunque ricorso al criterio di reciprocità nei rapporti instauraticon Stati terzi sulla base di particolari tipologie di accordi. Ad es. in materia dihome country control e mutuo riconoscimento delle imprese, anche di quelle pro-venienti da Stati non comunitari, operanti nel settore dei servizi finanziari o di ban-che, cfr. art. 38 par. 3 Direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consi-glio, del 14 giugno 2006, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suoesercizio, in GUUE L 177 del 30.6.2006, pagg. 1-20).

16 In casi simili, la Comunità riconduce la violazione di tali clausole – conte-nenti riferimenti al rispetto di principi di democrazia, garanzia dello Stato di dirittoe tutela dei diritti fondamentali – alla violazione di un elemento essenziale dell’ac-cordo e offre una base giuridica alla possibilità, per la Comunità stessa, di ritirarsidall’accordo stesso realizzando un’ipotesi specifica di applicazione della citata ex-ceptio inadimpleti contractus, cfr. art. 60 Convenzione di Vienna sul diritto dei trat-tati. A margine di queste osservazioni, si ricorda che il criterio di reciprocità nonpuò fondare la violazione, da parte di uno Stato membro, degli obblighi comuni-tari, nel senso che tale Stato, dinanzi alle accuse promosse nei suoi confronti dallaCommissione europea nel contesto di una procedura di infrazione, non può, qualevalido motivo per giustificare il proprio, addurre l’inadempimento di quegli stessiobblighi da parte di un altro Stato membro (cfr. ex multis Sentenze della Corte digiustizia CE del 25 settembre 1979, Commissione contro Francia causa 232/78 inRacc. 2729 e del 14 febbraio 1984, causa 325/82, Commissione contro Germania inRacc. 777).

17 In questo caso, la Comunità potrà fare ricorso alle disposizioni specifiche dicui all’art. 60 TCE e all’art. 301 TCE (entrambi sostituiti dalla nuova disposizionedell’art. 215 TFUE, sopra citata in tema di competenze dell’Unione, v. anche art. 75TFUE). Occorre precisare che le citate disposizioni trovano applicazione anche nelcontesto di reazioni “multilaterali” ad illeciti internazionali, come nel caso in cuitali illeciti non attengano ai soli rapporti con la Comunità, ma attengano a viola-zioni di obblighi cd. erga omnes rilevate in ambito ONU. Sul piano internaziona-listico, l’operatività delle citate contromisure potrà anche essere letta alla luce delledisposizioni del Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati(A/RES/56/83 del 12.12.2001).

possibilità che la Comunità europea avesse locus standi dinanziad organismi internazionali in ipotesi contenziose aventi carat-tere giurisdizionale. Lo stesso art. 34 n. 3 dello Statuto dellaCorte internazionale di giustizia prefigura, seppure indiretta-mente, tale possibilità in via generale, prevedendosi che la Cortestessa notifichi anche ad un’organizzazione internazionale l’in-staurazione di una controversia avente ad oggetto una conven-zione di cui detta organizzazione internazionale sia parte. Laquestione della legittimazione passiva della Comunità europea èsorta anche in merito alla possibilità che essa fosse convenuta di-nanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in casi concer-nenti la violazione di diritti umani sanciti nella Convenzione eu-ropea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fon-damentali da parte di Stati membri della Comunità stessanell’attuazione del diritto di quest’ultima18.

Sempre in chiave internazionalistica può essere letta l’assun-zione da parte dell’Unione dell’immunità dalla giurisdizione ri-conosciuta alle organizzazioni internazionali. Per la Comunitàeuropea, rileva il relativo protocollo che, dopo le riforme di Li-sbona, rimane annesso anche al Trattato sull’Unione ed il cui ar-ticolo 11 prevede la tradizionale immunità dalla giurisdizionedei funzionari comunitari. Come noto, il rango da riconoscere atali protocolli è riconducibile a quello dei trattati istitutivi. Il re-gime in esso previsto, peraltro, può essere esteso al di fuori del

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18 Questa eventualità – respinta per motivi di carattere formale – si è presentatain diverse circostanze. Si ricorda per tutte il caso Matthews, Sentenza CEDUdell’8.2.1999, Appl. n. 24833/94. Tuttavia, recentemente la Corte di Strasburgo haadottato una decisione tendente a riconoscere il carattere conforme ai parametridella citata Convenzione (di cui peraltro, l’Unione potrà fare parte solo a partiredall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, cfr. art. 6 n. 2 del nuovo TUE) del si-stema di tutela dei diritti fondamentali come impostato all’interno dell’ordina-mento comunitario Pertanto, alla luce di tale giurisprudenza, la possibile violazioneda parte dell’Unione – o di Stati membri di quest’ultima nell’adempimento di ob-blighi comunitari – di diritti sanciti a livello della CEDU sembra ridursi ad un’ipo-tesi residuale, sul presupposto della conformità del sistema di garanzie riconosciutodi privati dalla Corte di giustizia comunitaria, v. Sentenza CEDU del 30.6.2005,Bosphorus, Appl. n. 45630/98.

territorio comunitario tramite la conclusione dei diversi accordidi sede che in particolare la Commissione europea conclude conpaesi terzi o organismi internazionali presso i quali vengano sta-bilite delegazioni comunitarie (in genere riferibili alla sola Com-missione, a parte alcune specifiche eccezioni in cui il capo dele-gazione della Commissione assuma anche le vesti di Rappresen-tante speciale dell’Unione europea). Al riguardo, si rinvia alleosservazioni che verranno svolte di seguito in tema di costitu-zione del Servizio europeo per l’Azione esterna, argomento chein sé contiene diversi profili problematici. Connessa a tali profiliè anche la possibilità che l’Unione, tramite instaurazione delSEAE, assuma la tutela in via diplomatica19 di cittadini dell’U-nione all’estero, ipotesi peraltro già contemplata, almeno in lineadi principio, nel Trattato istitutivo della Comunità europea inmateria di cittadinanza dell’Unione e confermata anche dallaCarta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Nel contesto sopra brevemente descritto va inserito un rife-rimento alla questione dell’assunzione, da parte comunitaria, diuna responsabilità di carattere internazionalistico. La Commis-sione di diritto internazionale delle N.U. ha elaborato un pro-getto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni inter-nazionali e, in tale contesto, è stata menzionata la giurispru-denza comunitaria che, in tema di accordi di cooperazione per iquali rilevi una competenza di tipo concorrente tra Stati e Co-munità (cfr. art. 177 ss. TCE, art. 208 ss. TFUE), ha considerato

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19 L’accezione qui seguita si conforma all’interpretazione data dalla Corte in-ternazionale di Giustizia all’art. 36 della Convenzione di Vienna sulle relazioniconsolari Sentenza La Grand, del 27.6.2001, Repubblica federale di Germania/Sta-ti Uniti, con la quale la CIG ha ritenuto che lo Stato può agire in protezione con-solare per far valere il citato art. 36 della Convenzione di Vienna – inerente al dirittodegli agenti consolari di comunicare ed avere accesso ai loro connazionali o vicev-ersa e al diritto dello Stato d’invio di visitare il connazionale detenuto, di cor-rispondere con lui e di provvedere alla sua difesa – inteso come disposizione atta acreare diritti individuali; cfr. nel senso del superamento anche del limite del previoesaurimento dei ricorsi interni ai fini di far valere la citata protezione di cui all’art.36 della Convenzione di Vienna, Sentenza della CIG Avena e al. del 31.3.2004,Messico/Stati Uniti.

la possibile operatività di una responsabilità congiunta di Statimembri e Comunità nell’adempimento degli obblighi instauratinei confronti di Stati od organizzazioni contraenti. Secondo unadiversa prospettiva, occorre verificare il grado di riferibilità di-retta all’organizzazione internazionale – la Comunità europea –di comportamenti vincolati dei suoi Stati membri, in modo dafar sorgere solo in capo alla prima, e non anche ai secondi,l’eventuale responsabilità di rilievo internazionalistico20.

Profili di responsabilità internazionale della Comunità sor-gono inoltre nel contesto della conclusione di accordi ritenutisuccessivamente invalidi. Su questo punto si è già accennato alfatto che tendenzialmente si esclude la rilevanza esterna dei mo-tivi interni di invalidità dell’atto di conclusione dell’accordo – adesempio per conflitti tra istituzioni comunitarie –, salvo ipotesidi palese assenza di competenza da parte comunitaria a conclu-dere l’accordo stesso, nel qual caso ovviamente potrebbe emer-gere la necessità di denuncia dell’accordo ai termini delle gene-rali regole sul diritto dei trattati (cfr. citato caso Passanger NameRecord).

Profili di maggiore complessità sorgono rispetto all’assun-zione di responsabilità dell’organizzazione per atti o omissioniviziati da illiceità. Di questi profili si occupava già il trattato co-munitario prevedendo, nel rispetto dei principi generali comuniai diritti degli Stati membri, la responsabilità extracontrattuale

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20 A titolo d’esempio, la competenza esclusiva comunitaria nel settore della po-litica commerciale comune implica che le norme dei trattati o di fonti di diritto de-rivato possono produrre obblighi direttamente applicabili a livello nazionale per ilcui adempimento le autorità pubbliche degli Stati membri conservano solo un resi-duo potere discrezionale sulla scelta dei relativi mezzi atti a garantire al proprio li-vello il rispetto degli obblighi comunitari (tramite eventuali misure attuative o isti-tutive di appositi organi di controllo ed eventuale concepimento o impiego di ade-guati strumenti sanzionatori). Tale effetto direttamente vincolante delle fonticomunitarie opera anche sul piano internazionalistico, per cui, continuando nel-l’esempio, nel settore della fissazione delle tariffe doganali da applicare agli scambicommerciali con l’estero, la responsabilità statale (tramite comportamenti confe-renti delle autorità doganali) andrebbe intesa in realtà come responsabilità dell’or-ganizzazione cui il sistema tariffario applicato a livello nazionale va strutturalmentericondotto.

della Comunità (cfr. art. 288 TCE ora art. 340 TFUE) per atti oomissioni illeciti di propri istituzioni o agenti. Sotto il profilointernazionalistico, secondo il citato progetto di articoli sulla re-sponsabilità delle organizzazioni internazionali, tale responsabi-lità è ammessa nella misura in cui l’illecito sia riferibile all’orga-nizzazione stessa e non ai suoi Stati membri21. La stessa Corte digiustizia ha prefigurato, seppure solo implicitamente, la possibi-lità che sull’Unione – o su organi nazionali in attuazione di attidell’Unione – ricada un eventuale obbligo risarcitorio in un casoparzialmente distinto da quelli citati, concernente le conse-guenze dannose di posizioni comuni dell’Unione presuntiva-mente illecite, insistenti su materie di cooperazione giudiziarianel settore penale22.

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21 La tendenza sarebbe quella di distinguere il problema dell’immunità dallagiurisdizione delle organizzazioni internazionali da quello della responsabilità degliorgani di queste ultime nell’esercizio delle proprie funzioni, anche sotto il profilospecifico della possibilità che da tale responsabilità derivi l’obbligo, per l’organizza-zione cui l’organo o l’agente appartengano, di riparazione o di risarcimento di even-tuali danni subiti da terzi. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, nell’otticaattuativa della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dellelibertà fondamentali, all’organizzazione internazionale eventualmente responsabileper fatti o atti di propri istituzioni o funzionari può continuare ad applicarsi l’im-munità dalla giurisdizione nella misura in cui tale stessa organizzazione garantisca alproprio interno strumenti di tutela dei diritti fondamentali almeno equivalenti aquelli previsti dagli ordinamenti nazionali, cfr. Sentenza CEDU del 18.2.1999,Waite, Kennedy e al. /Germania. Pertanto, la presenza del citato art. 340 TFUE do-vrebbe garantire l’applicabilità di tale giurisprudenza CEDU, nel senso che l’Unionerimane esente dalla giurisdizione anche a motivo del fatto che essa garantisce al pro-prio interno adeguati strumenti di natura giurisdizionale volti alla tutela di interessiindividuali. Maggiori profili di complessità potrebbero invece sorgere riguardo alrapporto tra regime delle immunità e responsabilità dell’organizzazione nel casodelle citate missioni dell’Unione per la realizzazione di scopi di politica estera e didifesa (cd. accordi SOMA e SOFA), in particolare per quanto attiene all’imputabi-lità anche agli Stati membri di eventuali illeciti commessi dall’Unione o da agenti diquest’ultima (su questi aspetti v. GAJA G., Second Report on responsibility of Inter-national Organisations, UN Doc. A/CN.4/541 del 2.4.2004). Tali profili problema-tici si allacciano agli effetti degli accordi dell’Unione europea nei settori rilevanti (v.art. 24 TUE e art. 37 del nuovo TUE e quanto viene rilevato infra in tema di deci-sioni del Consiglio dell’Unione europea per la conclusione di accordi dell’Unione).

22 Materie che, prima di Lisbona, concernevano le competenze dell’Unione nelsistema a pilastri concepito dal Trattato di Maastricht. In tal caso, la Corte ha rite-

Ulteriori aspetti problematici emergono dalla questione delriconoscimento di personalità giuridica, sia interna sia interna-zionale, dell’Unione europea, riconoscimento che, fino a Li-sbona, non era ricavabile da nessuna norma esplicita dei trattati(a differenza di quanto previsto dai citati articoli 281 e 282 TCEper ciò che concerneva la Comunità europea). Diverse interpre-tazioni dottrinarie23 hanno comunque ammesso che, se è vero

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nuto applicabile l’art. 35 TUE, ora abrogato, che avrebbe consentito ai giudici degliStati membri di sottoporre alla Corte di giustizia questioni interpretative su posi-zioni comuni in materia di cooperazione giudiziaria penale, cfr. Sentenza del27.2.2007, causa C-354/04, Gestoras pro Amnistia, in Racc., I-1579. Con l’aboli-zione del sistema a pilastri qualsiasi atto di cooperazione giudiziaria in materia pe-nale potrà essere messo al vaglio della Corte di giustizia secondo le sue competenzegenerali e quindi anche per verificare l’illiceità di atti e comportamenti delle istitu-zioni od organi in subjecta materia nonché ai fini della risarcibilità di eventualidanni subiti da terzi. Rimane ancora dubbio, invece, se una responsabilità del-l’Unione tramite adozione di atti di politica estera potrà essere ammessa nel nuovosistema di Lisbona, che chiaramente limita le competenze della Corte di giustizia intale ambito (cfr. art. 40 del nuovo TUE e art. 275 TFUE). La questione è delicata,perché un tale deficit di tutela potrebbe indurre ad esempio la menzionata CEDUa ritenere il sistema delle fonti dell’Unione in materia di politica estera non con-forme ai criteri richiesti dalla citata sentenza Waite e Kennedy. Questioni proble-matiche potrebbero essere sollevate in particolare in casi relativi ad atti illeciti com-messi da organi dell’Unione presso Stati non comunitari, ma membri della citataCEDU. Su tali profili v. anche Sentenza CEDU del 23.5.2002, Segi and Gestoraspro-Amnistia and others v. 15 States of the European Union, nel punto in cui laCorte europea afferma quanto segue: “CFSP decisions are (…) intergovernmentalin nature. By taking part in their preparation and adoption each State engages its re-sponsibility. That responsibility is assumed jointly by the States when they adopt aCFSP decision”.

23 In via di estrema sintesi, queste interpretazioni sono basate essenzialmentesu a) una lettura sistematica delle norme in tema di politica estera, b) sull’analisidella disposizione conferente all’Unione il potere di concludere accordi internazio-nali (cfr. art. 24 TUE oggi art. 37 del nuovo Trattato, il cui esame è svolto nella parteinerente agli atti del Consiglio nel settore della politica estera) e, infine, c) sulla ri-tenuta applicabilità all’Unione della più liberale giurisprudenza della Corte Inter-nazionale di Giustizia in tema di conferimento di personalità giuridica internazio-nale alle organizzazioni internazionali dotate di certe caratteristiche, v. i Pareri con-sultivi dell’11.4.1949, Riparazione dei danni subiti al servizio delle N.U., del20.12.1980, Interpretazione dell’accordo del 25.3.1951 tra l’Organizzazione mon-diale della Sanità e l’Egitto, e dell’8.7.1996, Legalità della minaccia o dell’uso dellearmi nucleari nei conflitti armati.

che una previsione esplicita in un accordo internazionale checonferisca personalità giuridica ad un organismo predisposto datale accordo non è di per sé sufficiente a radicare materialmentela personalità giuridica di tale organismo nelle relazioni interna-zionali, è vero anche che l’assenza di una norma simile non valeda sola a escludere tale medesima personalità.

Essendo questo il quadro ricavabile dal sistema pre-Lisbona,è doveroso segnalare come, proprio su questi profili preliminari,rilevi, banalmente, la disposizione (art. 47 del nuovo TUE) chesuggella il percorso sopra accennato riconoscendo personalitàgiuridica all’Unione. Tale norma, letta congiuntamente all’art. 1NTUE, peraltro, implica l’effetto devolutivo a favore dell’U-nione della personalità e delle competenze della Comunità euro-pea, essendo quest’ultima stata assorbita dalla singola entità de-nominata Unione europea (ciò che non è valso per quest’ultima,in quanto soggetto creato dal precedente Trattato sull’Unioneeuropea come introdotto dal Trattato di Maastricht e che il Trat-tato di Lisbona ha provveduto a mantenere in vita).

Rimarrebbe forse solo da comprendere se l’affermazionedell’art. 47 nella nuova disciplina riguardi anche la personalitàinternazionale del nuovo soggetto Unione europea. Tenendoconto della presenza dell’art. 335 TFUE (che riprende il citatoart. 282 TCE in tema di personalità di diritto interno del-l’Unione, riconoscendo alla stessa la possibilità di assumere unaresponsabilità di tipo “contrattuale” all’interno degli Stati) e del-l’art. 340 TFUE (che riprende l’art. 288 TCE, relativo al citatotema dell’assunzione di una responsabilità di tipo extracontrat-tuale da parte dell’Unione), si deve concludere che tale assetto diregole non pare divergere sostanzialmente da quanto ricavabilegià dal precedente trattato comunitario, che, nel definire, al ci-tato art. 281 TCE, la personalità giuridica della Comunità (cfr.art. 47 del nuovo TUE in riferimento all’Unione), consentiva diritenere tale previsione comprensiva anche della personalità giu-ridica di tipo internazionale tramite congiunta lettura dell’art.300 TCE (corrispondente all’art. 218 TFUE). D’altro canto, laCorte stessa nel caso Kramer ha affermato che “l’art. 210 delTrattato CEE – poi art. 281 TCE n.d.r. – implica che, nelle rela-

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zioni esterne, la Comunità ha la capacità necessaria per assumereimpegni internazionali per l’intera gamma degli obiettivi enun-ciati nella prima parte del Trattato. La sua competenza non deveessere in ogni caso espressamente prevista dal Trattato, ma puòdesumersi anche, implicitamente, da altre disposizioni del Trat-tato, dall’Atto di adesione e da atti emanati, in forza di tali di-sposizioni, dalle istituzioni comunitarie”24.

Allo stato attuale, non si intravedono motivi idonei a far ri-tenere che la Corte di giustizia possa interpretare l’attuale art. 47NTUE in termini differenti da quelli sopra riportati, riferibilialla precedente norma dell’art. 281 TCE. Si può così presumereche anche all’Unione sia riconosciuta una personalità giuridicadi diritto internazionale al pari di quanto avvenuto per la Co-munità. Tale conclusione, peraltro, dovrebbe ritenersi suffi-ciente a sostenere il conferimento di personalità giuridica al-l’Unione europea unitariamente intesa, quindi anche ai fini del-l’esercizio, da parte di quest’ultima, delle competenze necessarieper realizzare l’”azione esterna” nell’accezione onnicompren-siva ricavabile dall’art. 21 del nuovo TUE. Ciò sarebbe coerentecon la previsione dell’art. 1 secondo cui le nuove disposizioni in-trodotte dal Trattato di Lisbona riguardano un soggetto unico enon più, distintamente, Unione europea, da un lato, e Comunitàeuropea, dall’altro lato. Tuttavia, per quanto riguarda le compe-tenze che l’Unione eserciterà sotto l’egida degli articoli 23 ss. delnuovo TUE, cioè in tema di politica estera e di sicurezza co-mune, potrebbe pensarsi ancora ad una “resistenza” verso lapiena affermazione – in particolare tramite congiunta letturadegli articoli 37 (coincidente al precedente art. 24 TUE in temadi accordi internazionali nel settore in questione), 1 e 47 NTUE– della personalità giuridica di diritto internazionale del-l’Unione. Tale perplessità si ricava innanzitutto dall’art. 40 delnuovo TUE, riecheggiante l’art. 47 TUE che prevedeva la cd.clausola di subordinazione concernente, prima di Lisbona, i rap-porti tra i Trattati comunitari e quello sull’Unione europea. Es-

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24 Sentenza 14.7.1976, cause riunite 3, 4 e 6/76, in Racc., 1279 ss.

sendo quest’ultimo entrato in vigore successivamente ai primi, laclausola menzionata introduceva, anche nei rapporti tra tali trat-tati (UE, CE e CEEA), il criterio secondo cui un accordo – nellaspecie, quello sull’Unione – in linea di principio non può inci-dere a detrimento degli obblighi che incombono sulle parti ditale medesimo accordo in virtù di accordi anteriori (quelli co-munitari) ancora vigenti tra quelle stesse parti.

Ora, tenuto conto che una clausola siffatta non può trovareapplicazione in un ordinamento costitutivo di un soggetto final-mente unico e unitario, lo schema predisposto dal trattato di Li-sbona sembra piuttosto chiaro nel continuare a volere trattare lapolitica estera come un ambito materiale distinto dagli ambitimateriali rispetto ai quali l’Unione potrebbe esercitare una delletipologie di competenze elencate negli articoli da 3 a 6 TFUE.Non è nemmeno secondario ricordare che, secondo l’impiantodella nuova disciplina, soggetti attivi della politica estera e di si-curezza non saranno solo le istituzioni dell’Unione, con parti-colare riguardo al Consiglio europeo, Consiglio e Alto rappre-sentante, ma anche gli Stati membri, cui rimane affidato il com-pito di dare attuazione alla politica in questione, mentre duedichiarazioni (nn. 13 e 14) precisano che tale stessa politica del-l’Unione non incide a detrimento della responsabilità che gliStati assumano per gli obblighi connessi alla realizzazione dellapropria politica estera (tenendo sempre conto, però, del fattoche i principi di leale collaborazione e coerenza vincolano oriz-zontalmente e verticalmente l’azione delle istituzioni e quelladegli Stati membri in subjecta materia). Rileva infine la chiaradisposizione dell’art. 275 che continua a sottrarre alla compe-tenza della Corte di giustizia gli atti (accordi inclusi) di politicaestera, fatta salva la citata norma dell’art. 40 NTUE e le misuredi politica estera di carattere restrittivo e portata individuale.

I dati testuali sopra rapidamente ripercorsi potrebbero inaltri termini condurre a revocare in dubbio l’indicata tesi delconferimento di piena personalità giuridica internazionale al-l’Unione complessivamente intesa. Data, però, l’evidente assur-dità di una conclusione simile, riteniamo si debba invece consi-derare che l’Unione, pur dotata di unica personalità giuridica di

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diritto internazionale conformemente agli articoli 1 e 47 delnuovo TUE, applicherà semplicemente diverse procedure perquanto riguarda la realizzazione della politica estera e di sicu-rezza comune.

Questo è tutto ciò che si può concedere a un quadro che habisogno di essere chiarito in particolare tramite una corretta in-terpretazione del citato art. 40 NTUE che la Corte sarà – rite-niamo in tempi brevi – chiamata ad offrire.

2. Il Consiglio europeo

2.1 Origini dell’istituzione

All’inizio dell’esperienza comunitaria, il ricorso ai summiteuropei (da sempre intesi quali incontri dei massimi vertici deipaesi membri) risultava abbastanza sporadico. Solo nel 1974, aParigi, si decise di stabilizzare questi incontri fissandone la com-posizione alla partecipazione dei capi di Stato e di governo, sì darimarcarne la differenza essenziale con il ruolo svolto dal Con-siglio dei ministri. Successivamente, con la Dichiarazione diStoccarda (1983) fu definito il ruolo del Consiglio europeo nelcontesto del momento storico in cui la sua istituzionalizzazionesi andava consolidando. In riferimento al settore della Coopera-zione Politica (CPE, antenata dell’odierna politica estera e di si-curezza comune, definita “PESC” con il Trattato di Maastricht),in quella dichiarazione verrà precisato come sia proprio il Con-siglio europeo a “esprimere solennemente la posizione comune inquestioni relative alle relazioni esterne”. Il Trattato di Maa-stricht, pur includendo la previsione del Consiglio europeo trale norme fondamentali del Trattato sull’Unione (in base al crite-rio del “quadro istituzionale unico”) lascerà in parte irrisolta laquestione delle relazioni tra Consiglio europeo e altre istitu-zioni, semplicemente ribadendo, all’art. J.8 (art. 13 con il trattatodi Amsterdam) TUE, che il Consiglio europeo definisce i prin-cipi e gli orientamenti generali in materia di politica estera e disicurezza comune.

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Dal menzionato art. J.3 del TUE si può innanzitutto ricavareche l’azione ordinaria del Consiglio dei ministri, tramite ado-zione di atti che verranno tipizzati dal medesimo Trattato diMaastricht (posizioni comuni, azioni comuni e altre decisioninecessarie), promana dagli orientamenti fissati a livello di Con-siglio europeo. Il Trattato di Amsterdam estenderà questa fun-zione di orientamento assunta dal Consiglio europeo anche allematerie aventi implicazioni su politiche militari o genericamentedi difesa. All’art. J.7 par. 3 TUE (poi art. 17 con Amsterdam),viene inoltre previsto che la funzione di orientamento del Con-siglio europeo si applica anche a quelle materie per le quali rile-vino le competenze dell’Unione europea occidentale (UEO), at-tribuendo proprio al Consiglio europeo la (suprema) decisioneconcernente la definitiva integrazione dell’UEO stessa nel-l’Unione

Il Trattato di Amsterdam, peraltro, ha profilato un consoli-damento del Consiglio europeo come organo (super-istituzio-nale) dotato di qualche potere decisionale idoneo alla defini-zione di atti riconducibili al sistema delle fonti di Politica estera.Infatti, pur se nell’ottica sopra indicata di una capacità premi-nente di fissare gli obiettivi generali della politica estera del-l’Unione, si contempla, sempre al menzionato art. 13 TUE(quindi insistendo nella revisione del precedente art. J.3), l’in-staurazione di strategie comuni come veri e propri atti del-l’Unione, adottati dal Consiglio europeo su raccomandazionedel Consiglio dei ministri con uno schema circolare che conferi-sce carattere autoreferenziale al sistema decisionale del secondopilastro, evidentemente impostato sul modello intergovernativoche, anche da questo punto di vista, richiama gli schemi tradi-zionali della cooperazione politica.

2.2 Le strategie comuni. Natura e rapporti con altri atti

Dal punto di vista strettamente formale, rispetto agli orien-tamenti generali (il cui contenuto eminentemente politico risultaevidente nella tradizione impostata sin dalla dichiarazione diStoccarda del 1983), le strategie comuni introdotte con il Trat-

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tato di Amsterdam perdono in libertà delle forme giuridiche inquanto in esse il Consiglio europeo deve comunque indicarenon solo gli obiettivi da perseguire, ma anche la durata degli in-terventi e i mezzi che dovranno essere predisposti tanto dal-l’Unione quanto dagli Stati membri per la realizzazione dellestrategie medesime.

L’interlocutore diretto delle strategie comuni in una primafase viene individuato nel Consiglio dei ministri, che deve adot-tare strumenti “derivati” (posizioni e azioni comuni) tramite iquali conformarsi alle prime in ossequio all’obbligo di coerenzasotteso a tutto il sistema decisionale della PESC. Tuttavia, laprassi progressivamente dimostrerà come la sfera dei destinataridelle strategie comuni includesse anche Stati membri e istitu-zioni prettamente “comunitarie”, con particolare riferimentoalla Commissione. Ciò è motivato dall’operatività non solo delcitato obbligo di coerenza che sostiene tutta l’azione istituzio-nale nel perseguimento degli obiettivi dell’Unione, ma anchedell’obbligo di leale cooperazione (art. 10 TCE), di cui recentegiurisprudenza della Corte di giustizia ha riconosciuto l’appli-cazione in senso orizzontale anche nei settori disciplinati dalTrattato sull’Unione europea. Nel caso delle strategie comuni,entrambi tali obblighi (di coerenza e di leale cooperazione) sitraducono materialmente nel senso di richiamare la Commis-sione europea ad assumere su di sé l’impegno di agire in coe-renza, appunto, con gli obiettivi sanciti dalla strategia stessanelle relazioni con organismi internazionali operanti in settori incui rilevino competenze prettamente comunitarie.

Meno intellegibile è il tipo di vincolo che ricade sugli Statimembri, a meno di non ritenere che su di essi le strategie comuniesercitino un effetto vincolante per tramite delle espresse dispo-sizioni degli articoli 14 (azioni comuni) e 15 (posizioni comuni)TUE (cfr. attuali articoli 28 e 29): nelle indicate norme del TUEera indicato che le prime impegnano gli Stati e le seconde “ob-bligano” questi ultimi a provvedere affinché le proprie politichenazionali si conformino alle posizioni comuni stesse. In en-trambi i casi, se azioni o posizioni comuni danno seguito a unastrategia comune, è evidente che gli Stati debbano adottare co-

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munque comportamenti la cui conformità potrà essere letta,anche se solo in seconda battuta, alla luce delle finalità fissatedalla strategia comune. Il vincolo di leale collaborazione risul-tava operante anche in ambito PESC già in virtù di quanto di-sposto dall’art. 11 TUE, il cui secondo paragrafo esprimeva, nelpiù complesso ambito materiale descritto al suo precedente pa-ragrafo, gli effetti obbligatori che la politica estera e di sicurezzaesercita sulle politiche nazionali, al pari di quanto avviene, nelpilastro comunitario, in tutti i settori in cui la Comunità esercitacompetenze non esclusive (v. art. 4 n. 3 del nuovo TUE, conl’unica non secondaria differenza che tale articolo è, come sisuole dire, giustiziabile, ossia idoneo a fondare un’azione dellaCommissione contro uno Stato inadempiente ai termini dell’art.226 TCE, cfr. art. 258 TFUE).

Gli atti adottati dal Consiglio dei ministri non sono in ognicaso concepiti secondo uno schema gerarchico: in altri termini,la previsione (art. 23 TUE) secondo cui posizioni e azioni co-muni, quando sono prese sulla base di una strategia comune,vengono adottate a maggioranza qualificata è rilevante proprionel senso di creare un obbligo di tipo procedurale solamente nelcaso in cui l’intervento da parte del Consiglio dell’Unione ri-guardi l’attuazione di una strategia comune.

È certo che il processo definitorio avviato con i trattati diMaastricht e di Amsterdam ha messo in luce l’ambizione distrutturare maggiormente le modalità di intervento dell’Unioneeuropea, giungendo appunto a creare un diverso genus di atti emodalità di intervento da parte del Consiglio europeo avente ca-rattere tanto programmatico quanto operativo, quali sicura-mente risultano essere le strategie comuni. Ciò ha contribuito afondare ulteriormente l’idea che il Consiglio europeo si sia pro-gressivamente conquistato un ruolo specifico nel quadro istitu-zionale dell’Unione, con evidenti ricadute anche per quanto ri-guarda il sistema dei trattati complessivamente inteso.

2.3 I rapporti tra Consiglio europeo e Consiglio dei ministri

Un altro profilo sul quale vale la pena soffermarsi riguarda la

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accennata possibilità che il Consiglio europeo agisca comeistanza d’appello nell’ipotesi in cui uno degli Stati avanzi motividi politica nazionale per opporsi all’assunzione di una decisionea maggioranza qualificata. Dal punto di vista sostanziale, la pre-senza di tale meccanismo rappresentava un tradizionale puntosul quale si confrontavano il modello decisionale comunitario(cd. metodo comunitario) e quello tradizionalmente intergover-nativo. Il primo modello fu subito contrastato dalla Francia(1965, cd. crisi del Lussemburgo risolta tramite il compromessodell’anno successivo) in particolare per il fatto che con esso si sa-rebbe affermato il metodo maggioritario in seno al Consiglio deiministri. Nel pilastro comunitario questa previsione è ormai pie-namente accettata con il consolidamento del sistema di maggio-ranza qualificata che, peraltro, il trattato di Amsterdam esten-derà anche ai pilastri della cooperazione politica e di giustiziapenale (v. artt. 23 e 34 del TUE in rapporto con l’art. 205 TCE).

Con il trattato di Nizza verrà precisato che, per l’adozionedi una decisione di politica estera o di cooperazione giudiziariapenale serve la stessa maggioranza numerica (calcolata secondoil sistema del voto cd. ponderato) di 255 voti che però esprimanola volontà di due terzi degli Stati membri, mentre all’art. 205TCE si prevede che quegli stessi 255 voti possano rappresentarela maggioranza degli Stati membri, almeno quando la decisionesi fonda su una proposta della Commissione. Peraltro, nel pila-stro comunitario l’eventualità dell’esercizio di un veto da partedi uno o più Stati era parimenti ammessa, ma resa coerente conla filosofia del metodo maggioritario mediante il meccanismodel cd. compromesso di Ioannina, secondo il quale il raggiungi-mento di una soglia di blocco non comportasse di per sé che ladecisione non potesse essere adottata, creando invece un vincoloper il Presidente del Consiglio nella ricerca di una soluzionesoddisfacente, ossia la più vicina possibile all’obiettivo dellamaggioranza numerica indicata nel trattato.

Nei pilastri di cooperazione intergovernativa, evidente-mente, tali meccanismi non sono sino ad oggi sembrati piena-mente applicabili per motivi connessi all’ambito materiale ri-spetto al quale detti meccanismi si troverebbero ad operare. Il ri-

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ferimento quindi alla accennata crisi del Lussemburgo apparivaancora apertis verbis all’art. 23 TUE ed è sostanzialmente con-fermata dalle riforme di Lisbona (cfr. art. 31 par. 2 co. 2).

2.4 Il Trattato di Lisbona

Uno degli aspetti di maggior rilievo delle riforme apportatedal sistema delineato tanto dal Trattato costituzionale quanto daquello di Lisbona riguarda la definitiva istituzionalizzazione delConsiglio europeo. Benché lavori in stretta collaborazione conil Consiglio dell’Unione (il segretariato del Consiglio fungevada segretariato del Consiglio europeo), il Consiglio europeo nonè mai stato una formazione del Consiglio. Trasformandolo inun’istituzione e precisando che il Consiglio europeo non ha fun-zioni legislative, il trattato di Lisbona, tuttavia, in qualche modoconsolida la stessa configurazione sui generis del Consiglio eu-ropeo nel panorama istituzionale. Un elemento a conferma ditale quadro in parte contraddittorio deriva dalla constatazionedel fatto che se, sino a Lisbona, la presidenza del Consiglio eu-ropeo coincideva con quella del Consiglio, con il trattato di Li-sbona si attribuisce al Consiglio europeo una presidenza stabile,distinta da quella del Consiglio.

Il trattato di Lisbona prevede che il Consiglio europeo siaassistito dal segretariato del Consiglio (art. 235, par. 5 TFUE),potendo da ciò desumersi che, ad oggi, nonostante le importantiriforme di merito, non è prevista l’istituzione di una nuovastruttura amministrativa ad hoc inerente al solo Consiglio euro-peo. Certamente, il Consiglio europeo, divenendo istituzione,godrà delle prerogative di cui già godono le altre istituzioni del-l’Unione, tra le quali spicca quella dell’autonomia regolamen-tare, consistente nella possibilità di dotarsi di un proprio regola-mento interno per disciplinare gli aspetti organizzativi e di fun-zionamento interni nonché, non ultimi, i profili relativiall’accessibilità dei propri documenti (si ricorda al riguardo chein tale materia operano sia un regolamento generale applicabilealle tre principali istituzioni politiche, ma che riguarda ancherapporti con documenti detenuti dagli Stati membri e di que-

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st’ultimi, sia specifiche disposizioni interne in ciascuno dei re-golamenti delle indicate istituzioni).

Il Consiglio europeo, secondo lo schema instaurato da Maa-stricht in poi, è composto dai capi di Stato o di governo degliStati membri, dal proprio presidente e dal presidente della Com-missione mentre l’Alto rappresentante può partecipare ai suoilavori. Il trattato di Lisbona modifica solo in parte tale compo-sizione. Infatti, mentre i trattati precedenti prevedevano che imembri del Consiglio europeo fossero assistiti dai loro ministridegli esteri, si prevede che i membri del Consiglio europeo pos-sano decidere di essere assistiti da un ministro, consentendosiche il Consiglio europeo adotti, su tale specifico aspetto, una de-cisione caso per caso.

Sotto il profilo delle funzioni e delle competenze, si rendevieppiù evidente il carattere ambiguo delle riforme di Lisbona(che confermano grosso modo quelle del Trattato costituzio-nale), almeno nel senso che, accanto alla formale istituzionaliz-zazione del Consiglio europeo, non sembra prevedersi una pe-netrazione dello stesso nello svolgimento della funzione legisla-tiva. Anche tale rilievo preliminare, tuttavia, non esaurisce lacomplessità della situazione, determinata dal fatto che comun-que il Consiglio europeo assume nuove e certamente più mar-cate funzioni deliberative per quanto attiene al generale funzio-namento del sistema istituzionale. In primo luogo, a confermadella previsione di cui all’art. 4 del TUE, il Consiglio europeo hal’incarico di dare all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppoe di definirne gli orientamenti e le priorità politiche generali.Chiara, peraltro, è la specificazione, già suggerita dalla Conven-zione e confermata dalla Conferenza intergovernativa prepara-toria del Trattato di riforma, secondo la quale il Consiglio euro-peo non esercita funzioni legislative, ciò che mira essenzial-mente ad evitare qualunque confusione tra il ruolo del Consiglioeuropeo e quello del Consiglio.

Il trattato di Lisbona, facendo scomparire la riunione“ibrida” del Consiglio dei ministri “riunito a livello di capi diStato e di governo” (generalmente incaricata di adottare deci-sioni relative a rilevanti aspetti istituzionali, cfr. art. 214 TCE per

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la procedura di designazione e nomina di Presidente della Com-missione e commissari e inoltre v. art. 121 TCE, per fissare ladata di entrata in vigore della moneta unica), attribuisce al Con-siglio europeo un ruolo importante tanto nel quadro della poli-tica estera e di sicurezza comune quanto, come già accennato, ri-spetto alle evoluzioni “costituzionali” del sistema.

All’art. 22 del nuovo TUE (che in molti passaggi evoca il pre-cedente art. 13 par. 2 TUE) si fa riferimento alle strategie comunicome veri e propri atti di (ex) secondo pilastro da distinguere dagliorientamenti generali che lo stesso Consiglio europeo adotta tra-dizionalmente senza seguire una formale procedura decisionale. IlTrattato di Lisbona ha introdotto, peraltro, un art. 26 del nuovoTUE che, seguendo un approccio applicato a tutto il settore dellapolitica estera e di sicurezza (ma anche di difesa) dell’Unione,evita sforzi definitori parlando genericamente del fatto che ilConsiglio, nell’individuare gli interessi strategici dell’Unione, fissagli obiettivi e definisce gli obiettivi generali della politica estera: atal fine il Consiglio europeo adotta decisioni. Un riferimento piùgenerale a questo ruolo del Consiglio si ricava dall’art. 22 delnuovo TUE, dove si riproduce due volte il riferimento a interessie obiettivi strategici dell’Unione estendendo la funzione del Con-siglio ad adottare decisioni dall’ambito specifico della PESC aquello dell’azione esterna generalmente intesa. Peraltro troviamoin questa norma di respiro più generale e non in quella di carat-tere più specifico del già citato art. 22 nuovo TUE il riferimento,prima riscontrabile all’art. 13 TUE, al fatto che è il Consiglio del-l’Unione a sottoporre raccomandazioni al Consiglio europeonegli ambiti indicati.

Da una rapida lettura dei citati articoli 22 e 26 TUE nell’at-tuale formulazione si ricava, in primis, l’abbandono della classi-ficazione nominale delle fonti di politica estera e di sicurezza co-mune (in generale il nuovo Trattato parla al riguardo di deci-sioni, anche là dove avrebbe potuto ribadire il riferimento alleposizioni o azioni comuni previste dagli articoli 14 e 15 TUE).Le strategie comuni vengono quindi rievocate tramite il riferi-mento al fatto che con esse il Consiglio europeo persegue so-stanzialmente l’individuazione di interessi e obiettivi strategici

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dell’Unione. D’altro canto, l’art. 31 in vigore, corrispondente aprecedente art. 23 TUE in materia di procedure decisionali inConsiglio per l’adozione di atti di politica estera, richiamaespressamente la precedente regola secondo la quale il Consigliodecide a maggioranza qualificata quando adotta una decisioneche definisce una posizione o un’azione dell’Unione sulla basedi una decisione strategica adottata dal Consiglio europeo aisensi del menzionato attuale art. 22, cioè sulla base delle strate-gie comuni già individuate dall’art. 13 TUE (testo anteriore alleriforme di Lisbona).

In linea di principio, il Consiglio europeo decide per “con-senso”, seguendo in ciò una tradizione storica dell’ordinamentocomunitario riferito al consesso degli Stati membri. Tuttavia, peralcuni compiti specifici, il trattato di Lisbona indica anche conquale maggioranza il Consiglio europeo può deliberare. In talicasi, il presidente del Consiglio europeo e il presidente dellaCommissione non partecipano al voto. Come il precedente art.23 TUE, anche l’art. 31 nuovo TUE precisa che è possibile peruno Stato opporsi per importanti motivi di politica nazionale al-l’adozione di una decisione in Consiglio a maggioranza qualifi-cata. Prima di passare alla decisione a maggioranza qualificata alfine di sottoporre la questione al Consiglio europeo, l’Alto rap-presentante deve tentare di raggiungere in seno al Consiglio del-l’Unione una soluzione accettabile per lo Stato recalcitrante. Aldi là di questa novità specifica, la nuova norma conferma quantoprevisto dall’art. 23 TUE e cioè che il Consiglio europeo, secoinvolto, possa decidere soltanto all’unanimità.

Oltre al caso citato, andando ad indagare il ruolo del Consi-glio europeo anche in ambiti differenti dalla politica estera o didifesa, tale istituzione decide all’unanimità nei seguenti casi: –composizione del Parlamento europeo (art. 14, n. 2 co. 2 delnuovo TUE); – sistema di rotazione per la nomina dei commis-sari; – composizione della Commissione a partire dal 1.11.2014(art. 17 par. 5 del nuovo TUE); – modifica delle regole di voto inseno al Consiglio di amministrazione della Banca centrale euro-pea (Protocollo n. 4 su Sistema europeo di banche centrali eBanca centrale europea, art. 40.2 concernente l’art. 10.2); – defi-

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nizione ed ampliamento delle competenze della Procura euro-pea (art. 86, par.4 TFUE); – applicazione delle clausole passe-rella: passaggio dall’unanimità alla maggioranza qualificata (conapprovazione del Parlamento europeo), oppure dalla proceduralegislativa speciale a quella ordinaria (con approvazione del Par-lamento europeo, v. art. 48, par. 7 TUE); esempi specifici di“clausole passerella” sono l’art. 312, par. 2, secondo commaTFUE concernente il passaggio alla maggioranza qualificata perl’adozione del quadro finanziario pluriennale o l’art. 31, par. 3del nuovo TUE, citato, relativo al passaggio alla maggioranzaqualificata per l’adozione di decisioni in materia di politicaestera; – modifica integrale o parziale della terza parte Politichee azioni interne dell’Unione del Trattato sul funzionamento del-l’Unione europea (con approvazione da parte degli Stati mem-bri, cfr. art. 48, par. 6 del nuovo TUE). Rimanendo nell’ambitodelle decisioni aventi contenuto o carattere costituzionale, ilConsiglio europeo decide invece a maggioranza qualificata suformazioni del Consiglio e rotazione della troïka che componela presidenza del Consiglio (cfr. art. 236 TFUE).

Per quanto attiene allo Spazio di libertà, sicurezza e giusti-zia, l’art. 68 TFUE stabilisce che “Il Consiglio europeo definiscegli orientamenti strategici della programmazione legislativa eoperativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia“: in questocaso, contrariamente a quanto avviene per la politica estera e disicurezza comune, non esiste una relazione stretta tra il lavorodel Consiglio europeo e quello del Consiglio.

Il Consiglio europeo decide amaggioranza qualificata anchenei seguenti casi: – elezione del suo presidente (art. 15, par. 5 delnuovo TUE); – proposta del presidente della Commissione alParlamento (art. 17, par. 7 del nuovo TUE); – nomina dellaCommissione dopo l’approvazione da parte del Parlamento del-l’elenco dei commissari che il Consiglio europeo stesso ha pro-posto in accordo con il presidente della Commissione (il quale,a partire da Lisbona, viene “eletto” dal Parlamento, cfr. citatoart. 17, par. 7); – nomina dell’Alto rappresentante dell’Unioneper gli affari esteri e la politica di sicurezza, d’accordo con il pre-sidente della Commissione. Tale nomina è approvata dal Parla-

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mento nel quadro dell’approvazione dell’elenco dei commissariproposti (art. 18, par. 1 del nuovo TUE); – nomina dei membridel comitato esecutivo della Banca centrale europea (art. 283,par. 2 TFUE).

Il Consiglio europeo adotta il suo regolamento interno amaggioranza semplice (art. 235, par.3 TFUE).

In contraddizione con la premessa secondo la quale il Con-siglio europeo non partecipa al processo legislativo dell’Unione,ad esso viene comunque offerta la possibilità di bloccare il pro-cesso legislativo ricorrendo a una sorta di freno d’emergenza inmateria di sicurezza sociale (art. 48 TFUE) e nel quadro dellacooperazione giudiziaria in materia penale (artt. 82 e 83 TFUE):in questi settori, in caso di disaccordo tra Stati membri in senoal Consiglio europeo, la procedura viene sostanzialmente bloc-cata.

2.5 Il Presidente del Consiglio europeo

Un altro profilo di particolare innovazione del sistema isti-tuzionale dell’Unione attiene alla creazione di un Presidente delConsiglio europeo, eletto da quest’ultimo a maggioranza quali-ficata per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile unavolta. Ciò significa che la durata totale del mandato del presi-dente potrebbe coincidere con quella del Parlamento europeo edella Commissione, il che suggerirebbe di rendere unica anche ladata di inizio dei mandati delle tre istituzioni (Presidente delConsiglio europeo, Parlamento europeo e Commissione).

Il presidente del Consiglio europeo non può e non deveagire sulla base di un mandato nazionale, mentre si ammette chepossa esercitare un altro mandato europeo: in particolare, stan-do ai lavori preparatori della Convenzione, si è auspicata l’even-tualità che la funzione di presidente del Consiglio europeo fosseassunta dal presidente della Commissione. Al fine di limitareun’eccessiva estensione del bacino di personalità cui attingereper la futura nomina, la Convenzione preparatoria del Trattatocostituzionale aveva proposto di riservare la presidenza delnuovo Consiglio europeo a un primo ministro che avesse parte-

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cipato per almeno due anni ai lavori del Consiglio europeo comefunzionante prima della riforma di Lisbona.

Il presidente del Consiglio europeo avrà la funzione essen-ziale di presiedere e “animare” i lavori del Consiglio europeononché quella di assicurare la preparazione e la continuità deilavori del Consiglio europeo stesso e facilitare la coesione e ilconsenso all’interno di tale neo-istituzione (art. 15, par. 6NTUE).

Occorre dunque precisare che la Presidenza del Consiglioeuropeo non coincide con quella dell’Unione e ciò, d’altrocanto, appare conseguente al fatto che, provenendo la sua ele-zione da una sola istituzione (Consiglio europeo), si preclude ilraggiungimento di quel minimo grado di legittimità democraticarichiesto per assumere la presidenza dell’Unione complessiva-mente intesa.

Ma la funzione di Presidente del Consiglio europeo noncoinciderà neppure con quella del Presidente del Consiglio (deiministri) dell’Unione. Tale circostanza renderà vieppiù necessa-rio il massimo di coordinamento nelle fasi di preparazione e se-guito delle riunioni del Consiglio europeo eventualmente preve-dendo contatti regolari e strutturati tra il presidente del Consi-glio europeo, il presidente della Commissione e il presidente delConsiglio Affari generali: riunione, quest’ultima, diversa daquella che raggruppava i ministri degli affari esteri e denominataConsiglio Affari generali e relazioni esterne. Questa specificacomposizione del Consiglio, che, stando al fallito Trattato Co-stituzionale, avrebbe potuto mutare denominazione in “Consi-glio legislativo”, è incaricata di importanti funzioni di coordina-mento ed è garante della coerenza dei lavori legislativi del Con-siglio dei ministri complessivamente inteso, associando alle sueattività anche l’Alto rappresentante, che assume invece la presi-denza del Consiglio Affari esteri.

Il nuovo regolamento interno del Consiglio europeo, adot-tato nel dicembre 2009, prevede che sia proprio il Consiglio Af-fari generali ad assumere il compito di preparare i lavori delConsiglio europeo, su presentazione di un progetto di ordinedel giorno con commenti presentato dal presidente del Consi-

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glio europeo, da un membro della presidenza del Consiglio eu-ropeo che rappresenti lo Stato membro detentore della presi-denza semestrale del Consiglio dell’Unione europea e dal presi-dente della Commissione. Questa particolare previsione – con-cernente la proposta di ordine del giorno e la preparazione dellariunione del Consiglio europeo – vede quindi lavorare a strettocontatto i tre livelli rappresentativi dell’Unione – presidenza delConsiglio europeo, presidenza del Consiglio dell’Unione e pre-sidenza della Commissione –, dovendo precisarsi che, se l’or-dine del giorno così presentato sarà riesaminato dal ConsiglioAffari generali e quindi proposto formalmente da quest’ultimoalla presidenza del Consiglio europeo, sarà sempre quest’ultimaad adottare l’ordine del giorno definitivo.

Per quanto attiene ai rapporti con il Parlamento, si prevedeche questo debba ricevere dal presidente del Consiglio europeouna relazione dopo ciascuna delle riunioni del Consiglio euro-peo stesso (v. attuale art. 15, par. 6, lett. d).

Dal punto di vista funzionale, il presidente del Consiglio eu-ropeo assicura, al suo livello e in tale veste, la rappresentanzaesterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e disicurezza comune, “fatte salve le attribuzioni dell’Alto rappre-sentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza“(art. 15, par. 6 del nuovo TUE). La rappresentanza esterna as-sunta dal nuovo Presidente del Consiglio europeo si limiteràdunque alla politica estera e di sicurezza comune, mentre laCommissione assicurerà la rappresentanza dell’Unione neglialtri settori dell’azione esterna dell’Unione (legati alle compe-tenze sinora definite comunitarie e confluite nel trattato sul fun-zionamento dell’Unione, con le precisazioni fatte al riguardo nelparagrafo dedicato alla Commissione). Margini di incertezzasono peraltro lasciati aperti dalla frase “al suo livello e in taleveste“, inserita forse al fine di non arrecare pregiudizio alle at-tribuzioni dell’Alto rappresentante, al quale l’art. 27, par. 2 delnuovo TUE attribuisce competenze molto ampie.

Secondo le riforme di Lisbona, il primo ministro dello Statomembro che assume la presidenza del Consiglio dell’Unionenon svolge alcun ruolo specifico in seno al Consiglio europeo,

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mentre nel sistema precedente era proprio il presidente delConsiglio dei ministri ad assumere il ruolo di presidente delConsiglio europeo. Ora, come visto, il Consiglio Affari gene-rali, in quell’ottica di garanzia della coerenza dell’attività legi-slativa del Consiglio, assume su di sé la preparazione delle riu-nioni del Consiglio europeo e la cura dei seguiti da dare a taliriunioni : pertanto, il conferimento della presidenza di talestessa composizione del Consiglio proprio al primo ministrodel Paese che assume la Presidenza del Consiglio impliche-rebbe che sia questi a predisporre le riunioni del Consiglio eu-ropeo e il loro seguito, di concerto con il presidente del Con-siglio europeo e il presidente della Commissione.

3. Il Consiglio dell’Unione

Le riforme di Lisbona certamente segnano delle novità im-portanti in particolare per quanto riguarda i settori dell’azioneesterna in generale e della politica estera dell’Unione in parti-colare. Tuttavia, accanto a questa generica annotazione, oc-corre osservare che resta preservato e, forse, anche rilanciato ilruolo centrale del Consiglio dell’Unione quale effettivo or-gano decisionale del sistema creato dai trattati. A conferma diquesto quadro basti osservare che due tra gli istituti realmenteinnovativi di Lisbona, rappresentati dall’Alto rappresentanteper la politica estera e dal Servizio europeo per l’azione esternadell’Unione, sono previsti e disciplinati nel contesto delle re-gole attinenti alla politica estera, dove il ruolo di organo deci-sionale del Consiglio è, per l’appunto, meramente confermatorispetto al regime precedente. Da ciò traspare insomma l’in-tenzione del legislatore di Lisbona di mantenere al Consigliodell’Unione la funzione di perno decisionale e organizzativodel sistema, pur in un contesto istituzionale generalmente ri-formato.

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3.1 L’organizzazione del Consiglio nel sistema pre- e post-Lisbona. Osservazioni generali

Come noto, a seguito dell’entrata in vigore del trattato diMaastricht, e non prima, il Consiglio assume formalmente laveste di legislatore nel pilastro comunitario; in quello stesso pe-riodo esso adotta definitivamente la denominazione di Consigliodell’Unione europea, con un azzardo terminologico non deltutto coerente con la struttura a pilastri che per più di un decen-nio ha determinato una formale distinzione tra funzioni eserci-tate nel quadro dei trattati comunitari e quelle svolte nel quadrodel Trattato sull’Unione. D’altro canto, l’articolo 47 TUE haavuto una rilevanza tale da esplicare effetti evidenti anche sottoil profilo strettamente formale, come recentemente sottolineatodalla Corte in merito a riconosciuti margini di sovrapposizionetra le due vesti (comunitaria e dell’Unione europea) assunte dalConsiglio dei ministri in settori pure reciprocamente interdi-pendenti in base ad espresse previsioni dei trattati (v. art. 301TCE)25.

Al di là di questa duplice indicazione (di un Consiglio comeorgano legislatore della Comunità europea e come Consigliodell’Unione europea “unitariamente” intesa), rimane il fatto cheil Consiglio è non solo l’organo decisionale del pilastro concer-

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25 Tenendo conto di quanto sopra, dal punto di vista sistematico e fatti salvialtri principi generali, come quello dell’Unione europea concepita in quanto “svi-luppo” dell’ordinamento comunitario (art. 2 TUE) e quello del quadro istituzio-nale unico (art. 3 TUE), l’art. 28 TUE è valso a chiarire quali tra le norme del trat-tato comunitario si applicassero comunque anche nel quadro della PESC. A tale ri-guardo, per quanto riguarda specificamente il Consiglio, occorre ricordare ledisposizioni del TCE concernenti: – composizione (art. 203 TCE), – modalità diriunione (204 TCE), – principio secondo il quale l’astensione non impedisce l’ado-zione dell’atto nelle procedure decisionali all’unanimità (art. 205 par. 3 TCE, che sidistingue dall’istituto dell’astensione “costruttiva”, appositamente introdotta perl’adozione degli atti nel settore della PESC, art. 23 TUE), – organizzazione delConsiglio, COREPER (comitato dei rappresentanti permanenti, cfr. art. 16 par. 7NTUE, già art. 207 par. 1 TCE), – Segretariato, – possibilità di domandare allaCommissione di procedere a studi e di avanzare proposte (articoli da 206 a 209TCE).

nente la politica estera e di sicurezza comune, ma è anche“l’unico” organo ad adottare qualsiasi tipo di decisione in taleambito, a parte le diverse funzioni che può assumere il Consiglioeuropeo e alle quali si è sopra rapidamente accennato.

Nel confermare il quadro brevemente tracciato, il Trattato diLisbona completa un effetto di parlamentarizzazione del si-stema. Innanzitutto, in via generale il Consiglio esercita, con-giuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e lafunzione di bilancio. Per effetto della generale estensione dellaprocedura di codecisione (cfr. art. 251 TCE), ridenominata comeprocedura legislativa ordinaria (cfr. art. 289 TFUE), il Consiglioassume il ruolo di vera e propria camera legislativa dell’Unioneallo stesso titolo del Parlamento europeo. La conseguenza di talenuova situazione è che il Parlamento dovrebbe godere deglistessi privilegi spettanti al Consiglio nell’ambito dei lavori delParlamento europeo e della Commissione: il pensiero, al ri-guardo, va per esempio alla partecipazione a taluni gruppi di la-voro e all’accesso a determinati documenti. Risulta coerente contale approccio diverso – rispetto al sistema di Nizza, ma non ri-spetto a quanto ideato dal Trattato costituzionale – la previsionesecondo cui il Consiglio si riunisce in seduta pubblica quandodelibera e vota un progetto di atto legislativo.

Sempre con un approccio che mira a portare su di un dipiede di parità le due istituzioni legislative dell’Unione e in unadirezione di maggiore democratizzazione del sistema, il Consi-glio delibera in linea di principio a maggioranza qualificata,salvo nei casi in cui il trattato disponga diversamente. Nel trat-tato, peraltro, si rinvengono diverse clausole passerella che auto-rizzano il Consiglio europeo (all’unanimità) a consentire alConsiglio di passare, in alcuni settori, dall’unanimità alla mag-gioranza qualificata e dalla procedura legislativa “speciale” aquella ordinaria, sopra accennata.

3.2 (segue) Aspetti organizzativi

Il Consiglio dei ministri nasce come tipico organo di Stati, acomposizione variabile e con una propria struttura amministra-

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tiva denominata Segretariato. Come segnalato, infatti, ad essopartecipano i rappresentanti dei governi nazionali al fine diadottare decisioni (in quanto come detto si tratta dell’organo le-gislatore dell’Unione) in pressoché ogni settore della vita del-l’Unione e delle comunità europee.

Il fatto che si tratti di un organo a composizione variabile ri-guarda la circostanza per cui, anche in base a disposizioni relati-vamente recenti (v. le conclusioni del Consiglio europeo di Sivi-glia del 2002, che hanno modificato l’allegato I al Regolamentointerno) per via di estrema semplificazione esso si riunisce inbase al diverso ambito materiale oggetto dell’ordine del giorno.In sostanza, è quest’ultimo che detta il tipo di riunione da te-nersi, se di ministri delle finanze, agricoli o per le questioni del-l’ambiente.

La norma dell’art. 203 del Trattato della Comunità europea,di modifica dell’art. 1 dell’accordo sulla fusione degli esecutivi,specificava, rispetto alla norma da ultimo indicata, che i rappre-sentanti dei governi nazionali che compongono il Consiglio lodevono essere a livello ministeriale ed abilitati da norme internea impegnare la volontà del proprio governo. Come noto, questadisposizione rimette ad ogni singola organizzazione nazionaledi individuare l’organo di governo non solo centrale, ma anchefederato o regionale, in grado di vincolare nelle diverse riunionidel Consiglio la volontà dello Stato. In altri termini, nell’otticacomunitaria ha una rilevanza solo relativa la ripartizione di com-petenze ed i sottostanti principi costituzionali che regolano lerelazioni tra autorità centrali e decentrate. Per quanto riguardal’Italia, vale la pena ricordare che le riforme costituzionali del2001 (cfr. Titolo V, art. 117 Costituzione), hanno condotto aduna previsione normativa secondo cui rappresentanti delle re-gioni e delle province a statuto speciale possono prendere parteai lavori del Consiglio (cfr. art. 5 legge n. 131/2003 e art. 4 del-l’Accordo generale Governo/Regioni del 16.3.2006).

Il Consiglio si riunisce in varie formazioni il cui elenco èadottato dal Consiglio europeo. Tuttavia, il Nuovo Trattato sul-l’Unione europea ne menziona espressamente due: il ConsiglioAffari generali e il Consiglio Affari esteri (art. 16, par. 6 TUE).

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Nel sistema pre-Lisbona il Consiglio Affari generali e il Consi-glio Affari esteri erano entrambi composti dai ministri degliEsteri. L’introduzione, tramite il trattato di Maastricht, dellaPESC come politica propria dell’Unione, nel contesto del qua-dro istituzionale unico, ha condotto a una sorta di deminutio delruolo assunto dal Consiglio Affari generali. Questa circostanzaè stata ampiamente dibattuta e contestata nella Convenzionefino all’attribuzione, con Lisbona, di alcune centrali funzioni aquesta particolare riunione del Consiglio, la quale d’ora in poidovrà – assicurare la coerenza dei lavori e dell’attività del Con-siglio nelle sue varie formazioni; – coordinare i lavori del Con-siglio con quelli della Commissione e del Parlamento europeo e– preparare e assicurare il seguito del Consiglio europeo in col-laborazione con i rispettivi presidenti del Consiglio europeo edella Commissione. Come già segnalato parlando del regola-mento interno del Consiglio europeo, quest’ultimo prevededunque che sia proprio il Consiglio Affari generali a preparare ilavori del Consiglio europeo.

Il Consiglio Affari generali si occupa anche di questioni pro-prie, ossia di problemi istituzionali e dossier orizzontali inerenti avarie politiche (come per esempio, l’allargamento dell’Unione). Laproposta di far decidere al Consiglio Affari generali l’approva-zione del bilancio e delle prospettive finanziarie pluriennali confe-rirebbe un quid a tale specifica riunione, anche al fine di distin-guerne le funzioni da quelle del Coreper (sul quale v. infra).

Per quanto attiene alle funzioni di politica estera in sensoproprio, nel Consiglio Affari esteri siedono, accanto ai ministridegli affari esteri degli Stati membri, i rappresentanti dei dica-steri alla Difesa degli Stati membri quando si affrontano que-stioni di sicurezza e difesa. Secondo l’art. 42 del nuovo TUE lapolitica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte inte-grante della PESC, senza che ciò valga a chiarire se si crei o nouna formazione specifica del Consiglio per la sicurezza e la di-fesa. Fino a Lisbona, i ministri della Difesa nel Consiglio Affariesteri sono stati infatti invitati alle riunioni PESC, ciò che an-drebbe confermato anche alla luce del fatto che l’Alto rappre-sentante è incaricato di entrambe le politiche. La dichiarazione

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n. 9 (relativa all’articolo 16, paragrafo 9) precisa che la Presi-denza del Comitato politico e di sicurezza (menzionato all’art.25 del TUE, cfr. artt. 38 e 43 par. 2 del nuovo TUE) è affidata aun rappresentante dell’Alto rappresentante.

Anche, e soprattutto, nel sistema di Lisbona rimane comun-que poco chiara la ragione per la quale anche il Consiglio Affarigenerali debba essere composto, come quello Affari esteri, daministri degli esteri nazionali. Su questo dovrebbe intervenireuna decisione apposita, che tenga ampiamente conto delle indi-cazioni avanzate a livello nazionale, le quali, tuttavia, a propriavolta dovranno rendersi coerenti al rinnovato sistema di separa-zione di funzioni (politica estera e di difesa, da un lato, e Affarigenerali, dall’altro, quest’ultima incaricabile, come indicato,delle questioni di bilancio e di prospettive finanziarie).

La presidenza del Consiglio dei ministri, in base al sistemaanteriore al Trattato di Lisbona, concentrava su di sé altre Presi-denze (quella del Consiglio europeo e quella del Comitato deirappresentanti permanenti). Per quanto riguarda la presidenzadel Coreper, unico comitato del Consiglio espressamente men-zionato dal Trattato della Comunità europea e anche al citatoart16 n.6 del nuovo TUE, la rilevanza della stessa è data dal tipodi funzione svolta da tale comitato, come organo preparatoriodelle riunioni del Consiglio dei ministri e come interfaccia di-retto con le attività dei comitati, sottocomitati e gruppi di la-voro, operanti tutti nel contesto delle attività del Consiglio, cosìcome organizzati e diretti sotto la sorveglianza del Segretariato.

Tenuto conto della complessità delle implicazioni e recipro-che sovrapposizioni tra i diversi incarichi che assume la presi-denza del Consiglio, sia in quanto tale sia come presidenza delCoreper, il carattere temporaneo ed estremamente breve (seme-strale) della turnazione della stessa – in quanto esercitata daparte di ciascuno degli Stati membri nel sistema pre-Lisbona –non poteva non portare a disfunzioni sempre più evidenti, comeperaltro sottolineate in varie sedi anche successivamente alle ri-forme di Nizza. Diversi escamotages tecnici hanno tentato di ri-solvere il problema della concentrazione di competenze e fun-zioni in mano alla presidenza del Consiglio, in particolare tra-

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mite lo strumento della trojka, ossia contemplando che la presi-denza di turno si facesse affiancare nei suoi lavori dagli staff deipaesi detentori della presidenza precedente e da quelli della pre-sidenza successiva: il Trattato di Nizza ha previsto solo la se-conda tra le due possibilità indicate (v. art. 18 par. 4 TUE), ma varicordato che le riforme di Amsterdam avevano già assegnato alSegretario generale/Alto rappresentante PESC il compito di as-sistere la Presidenza del Consiglio, mentre la stessa Commis-sione europea, sempre ai sensi dell’art. 18 TUE sopra citato, èstata pienamente associata ai compiti della Presidenza.

Anche il problema del sistema di rotazione delle presidenzedel Consiglio è stato affrontato in modo definitivo solo con itrattati costituzionale e di Lisbona. In particolare quest’ultimoprospetta la realizzazione della cosiddetta team format Presi-dency: nel progetto di decisione del Consiglio europeo relativoall’attuazione di un certo numero di articoli del trattato (cfr. ladichiarazione n. 9 relativa all’art. 16, par. 9, già menzionata), siprecisa che la presidenza è esercitata da gruppi predefiniti di treStati membri e, contrariamente alla troïka concepita nel sistemadi Nizza (nel quale ogni sei mesi entra uno Stato membro e unaltro ne esce), si crea un gruppo (team) che deve essere mante-nuto e operare per un periodo di complessivi 18 mesi. Nell’indi-cato progetto di decisione del Consiglio europeo si precisa al-tresì che tali gruppi saranno composti tenendo conto della lorodiversità e degli equilibri geografici e demografici. La continuitàdei lavori di tale team presidenziale potrebbe essere garantitatramite l’elaborazione, in concertazione con la Commissione e ilParlamento europeo, di un programma di lavoro che assumacome propria cut off date l’indicato termine di 18 mesi. In talmodo, sostanzialmente, le tre nazioni incaricate della presidenzaentro l’indicato periodo assumerebbero – sei mesi ciascuna – lapresidenza del Consiglio.

3.3 (segue) L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affariesteri e la politica di sicurezza

L’art. 207 TCE, come modificato dal Trattato di Nizza, pre-

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vedeva che il Segretario generale (e quello aggiunto) del Consi-glio fossero nominati a maggioranza da quest’ultimo e non più,come avvenuto sino alle riforme del 2001, all’unanimità. Oltreall’evidente funzione di direzione del segretariato del Consiglio(presso il quale, oltre ad un Servizio giuridico, il lavoro è orga-nizzato in maniera stabile per direzioni generali similmente aquanto avviene, caeteris paribus, nella Commissione europea),rileva in questa sede sottolineare quella di Alto Rappresentantedella PESC, fondata con il trattato di Amsterdam e avente unruolo tanto nella fase formativa quanto nella fase attuativa delledecisioni di PESC, potendo agire in nome del Consiglio e rap-presentare, appunto, l’Unione nelle relazioni con paesi e sog-getti terzi (ma non durante formali negoziati tesi alla conclu-sione di veri e propri accordi, v. art. 24 TUE).

Le indicate funzioni dell’Alto rappresentante PESC – che leriforme modificano anche per quanto riguarda l’appellativo nelsenso indicato nel titolo di questo paragrafo – acquisterannoparticolare rilevanza tramite le riforme di Lisbona. Nella pro-spettiva indicata, occorre indicare subito che l’Alto Rappresen-tante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza as-sumerà la funzione di vice-presidente della Commissione, dive-nendo in ciò un evidente punto di raccordo tra attività diConsiglio, da un lato, e Commissione, dall’altro lato, per tutte lematerie concernenti le relazioni internazionali dell’Unione.D’altro canto, sin dai lavori della Convenzione questa soluzioneera sembrata coerente con il fatto che, nell’ottica costituzionale,l’unificazione della soggettività giuridica di Comunità e Unioneeuropea avrebbe reso evidente quanto ad oggi è già ritenuto im-plicito nel sistema, ma troppo blandamente sostenuto da unanon più sufficiente “associazione” della Commissione ai lavoridel Consiglio. Altre critiche sottolineano che le riforme di Li-sbona finiscono per garantire la presenza di un organo comun-que riconducibile all’istituzione rappresentativa degli Statianche all’interno della Commissione, ossia dell’organo che em-blematicamente è chiamato a perseguire l’interesse generale del-l’ordinamento comunitario (peraltro, secondo le riforme di Li-sbona, il Consiglio europeo è previsto debba nominare l’Alto

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rappresentante agli affari esteri a maggioranza qualificata e senzapossibilità di voto per il Parlamento europeo, come dovrebbe vi-ceversa avvenire se si trattasse di un vero e proprio commissario,salvo poi richiedere tale approvazione per la veste di vice-presi-dente della Commissione).

Il doppio incarico (cd. double hat) conferito all’Alto rappre-sentante presuppone quindi che questi riceva allo stesso tempola piena fiducia politica del Consiglio e, in qualità di vicepresi-dente della Commissione, la fiducia del Parlamento europeononché del presidente della Commissione. È questo quello chesi ricava anche seguendo la procedura che porta alla sua nomina:questa avviene a maggioranza qualificata da parte del Consiglioeuropeo con l’accordo del Presidente della Commissione (art.18, n. 1 del nuovo TUE); successivamente, l’Alto rappresen-tante, come vice-presidente del Collegio, deve sottoporsi al votodi approvazione dell’intera Commissione (e alla procedura delleaudizioni, come tutti gli altri commissari, cfr. art. 17, par. 7 delnuovo TUE). La rimozione dalla sua carica può aversi secondouna procedura uguale e contraria, ossia con voto a maggioranzaqualificata del Consiglio europeo e con l’accordo del Presidentedella Commissione (cfr. art. 18 n. 1). Diverso è, invece, il caso incui egli perda le funzioni di vicepresidente della Commissione inseguito alla votazione di una mozione di censura da parte delParlamento europeo (cfr. art. 17 par. 8 del nuovo TUE e 234TFUE). In particolare, al menzionato art. 17, par. 8, si precisache la mozione di censura parlamentare, in quanto indirizzata alsolo collegio dei commissari, non potrebbe esplicare alcun ef-fetto nei confronti dello staff afferente al Consiglio del-l’Unione, di cui l’Alto rappresentante fa parte, peraltro, anchenella sua veste di presidente del Consiglio Affari esteri. Ovvia-mente, a seguito della formazione della nuova Commissionecon la procedura dell’art. 17, l’eventuale sostituzione del vice-presidente della Commissione comporterà che l’Alto rappre-sentante per la politica estera venga parimenti sostituito defini-tivamente, data l’unificazione personale comunque sottesa aidue diversi ruoli.

Alla luce di quanto precede, rileva dunque l’importanza del

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rapporto di fiducia politica tra le diverse istituzioni e l’Alto rap-presentante e, in particolare, del rapporto di fiducia tra il presi-dente della Commissione e l’Alto rappresentante per un buonfunzionamento dell’azione esterna dell’Unione.

L’Alto rappresentante potrà avvalersi di un Servizio europeoper l’azione esterna (v. infra), che rappresenta una sicura inno-vazione del nuovo impianto istituzionale in materia di politicaestera dell’Unione. Importante sin da ora rilevare che tale previ-sione si sovrappone ad alcuni aspetti sostanziali derivanti dalledisposizioni del TCE (confermate nella sostanza dal TFUE) re-lative al diritto per i cittadini dell’Unione alla protezione diplo-matica o consolare in territori non comunitari.

Un’altra novità riguarda la rappresentanza esterna del-l’Unione, di cui l’Alto rappresentante è, in virtù del trattato diLisbona, direttamente incaricato, mentre nel trattato precedenteaveva soltanto il compito di assistere la presidenza del Consi-glio. L’Alto rappresentante assumerà così il compito di condurrela politica estera e di sicurezza comune nonché quella di difesacomune dell’Unione, alla cui elaborazione contribuisce attra-verso le sue proposte e che concorre a eseguire in qualità di man-datario del Consiglio. Inoltre, egli deve vigilare sulla coerenzadell’azione esterna dell’Unione complessivamente intesa: da ciòdovrebbe dunque derivare anche che l’Alto rappresentante assu-merà le responsabilità della Commissione nel settore delle rela-zioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell’azioneesterna.

Lisbona concepisce anche un diritto d’iniziativa dell’AltoRappresentante nell’elaborazione della politica estera. Infatti, gliStati membri e l’Alto rappresentante, o l’Alto rappresentantecon il sostegno della Commissione possono adire il Consiglio epresentare rispettivamente iniziative o proposte. Inoltre, l’art. 22del nuovo TUE prevede che l’Alto rappresentante e la Commis-sione possano presentare proposte congiunte nel quadro del-l’azione esterna dell’Unione. Tali proposte congiunte assumonocarattere di obbligatorietà per quanto attiene all’adozione di mi-sure restrittive (art. 215, par. 1 TFUE) e le modalità di attuazionedella clausola di solidarietà (art. 222, par. 3 TFUE).

L’AZIONE ESTERNA DELL’UNIONE EUROPEA... 105

Da quanto precede sembra dunque emergere che, secondo lafilosofia del trattato, l’Alto rappresentante assume la funzione direndere la sua azione per quanto possibile armonica e coerentecon quella della Commissione. Il trattato di Lisbona sollecital’Alto rappresentante e la Commissione ad agire di comune ac-cordo e a formulare proposte congiunte o comuni (ciò vale siaper il settore della politica estera sia per il settore comunitariz-zato) al fine di rafforzare la coerenza dell’azione esterna del-l’Unione e, in tal modo, facilitare l’adozione degli atti proposti.

L’Alto rappresentante assume dunque una serie diversificatadi impegni, come evidenziato dal numero di riunioni alle qualideve assistere in virtù delle sue prerogative, definite nel trattato:presiedere il Consiglio Affari esteri, vicepresidente della Com-missione, rappresentare l’Unione nel quadro della politica esterae di difesa, difendere l’azione esterna dell’Unione presso il Par-lamento europeo, partecipare al Consiglio europeo.

Il trattato di Lisbona prevede che il Consiglio possa nomi-nare, su proposta dell’Alto rappresentante, dei rappresentantispeciali (art. 33 nuovo TUE). Nel sistema precedente, tali rap-presentanti assumevano un incarico cd. regionale, ossia riferito adiverse situazioni geo-politiche. Il nuovo mandato concepisce illoro ruolo con “un mandato per problemi politici specifici“, ele-mento che va però confrontato alla creazione del SEAE, che faràprobabilmente venire meno la necessità di avere rappresentantispeciali regionali, ai quali potrebbero comunque essere affidatedelle missioni orizzontali a contenuto politico e con carattere dispecificità. In tale quadro, possono essere affidati loro anche al-cuni compiti di rappresentanza esterna legati al loro mandato.Questi rappresentanti speciali lavoreranno sotto l’autoritàdell’Alto rappresentante e potranno anche essere ascoltati dalParlamento. Si potrebbe prevedere un’audizione da parte delParlamento europeo all’atto della loro nomina. Occorre rilevare,infine, che un rappresentante dell’Alto rappresentante presiedeinoltre il Comitato politico e di sicurezza (cd. CPS, v. art. 38nuovo TUE e art. 222 n. 3, par. 2 TFUE), mentre rappresentantidell’Alto rappresentante possono presiedere gruppi di lavoro in-caricati della preparazione del Consiglio Affari esteri.

106 ALFREDO RIZZO

3.4 (segue) Il Servizio Europeo per l’Azione Esterna del-l’Unione. Aspetti istituzionali

Il Trattato di Lisbona conferma le riforme avviate dal Trat-tato costituzionale concependo il già menzionato SEAE sostan-zialmente in quanto organo dell’Alto rappresentante per la po-litica estera. La previsione di questa struttura è incorporata inquella concernente, per l’appunto, le funzioni dell’alto rappre-sentante (art. 27 par. 3). La dipendenza del Servizio dalla figuradell’alto rappresentante è ribadita anche là dove si prevede che èlo stesso Alto rappresentante a proporre al Consiglio la deci-sione da assumere circa organizzazione e funzioni del Servizio.

Per il resto, peraltro, la disposizione che prevede il SEAE èpiuttosto laconica. Si ricava da essa essenzialmente che il SEAEdeve essere composto da un triplice ordine di funzionari: quelliprovenienti dal Segretariato del Consiglio dell’Unione, quelliprovenienti dalla Commissione europea e quelli provenientidalle diplomazie nazionali. Si tratta di un istituto che deve so-stanzialmente rispecchiare la struttura unificata dell’Unione aseguito delle riforme di Lisbona. Il fine sembra chiaramentequello di cercare di garantire un minimo di coerenza a un qua-dro che rimane contraddittorio. Infatti, problemi sorgono giàdall’ideazione dell’Alto rappresentante in quanto vice-presi-dente della Commissione e, contemporaneamente, responsabiledella conduzione della politica estera dell’Unione. Anche la col-locazione delle regole inerenti a tale politica nel Trattato sul-l’Unione, anziché nel titolo del Trattato sul funzionamento del-l’Unione concernente l’azione esterna dell’Unione, pare andarenella direzione inversa a una maggiore concentrazione, anche vi-siva, delle competenze dell’Unione in materia di affari interna-zionali e ciò con ricadute anche sul ruolo che l’Alto rappresen-tante dovrà assumere.

La scelta di far confluire nel SEAE esponenti delle diverseanime della politica estera dell’Unione – Commissione, Consi-glio e Stati membri – può essere coerente con lo spirito compro-missorio sotteso al sistema scaturito dagli accordi di Lisbona,ma ancora non chiarisce l’obiettivo che si intende perseguire. Il

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Parlamento europeo, in alcune sue risoluzioni sul tema, enfa-tizza il ruolo della Commissione almeno per due aspetti e cioèsia per le questioni organizzative, amministrative e di bilanciosia per l’attribuzione della direzione delle delegazioni dellaCommissione all’estero (che, da Lisbona in poi, divengono de-legazioni dell’Unione tout court) a esponenti del SEAE. Per ilprimo aspetto, il SEAE dovrebbe finire per essere integrato neiservizi della Commissione, mentre, per il secondo aspetto, tra-mite il SEAE si darebbe definitivo avallo istituzionale alla prassidello stabilimento di sedi (delegazioni, uffici di collegamento)della Commissione all’estero, come sino ad oggi avvenuto tra-mite appositi accordi – anche volti a conferire privilegi e immu-nità ai componenti della missione comunitaria – stipulati dallaCommissione con stati terzi o organismi internazionali. Questoindirizzo del Parlamento, peraltro, sembra teso a garantire unacapacità di controllo parlamentare specificamente sull’operatodel SEAE, nella misura in cui il Parlamento potrebbe, ad esem-pio, utilizzare più facilmente l’arma della mozione di censura,applicabile, come abbiamo visto, all’operato dell’Alto rappre-sentante (capo del SEAE) solo nella sua veste di membro dellaCommissione.

La realtà però non sembra del tutto aderire ai desiderata del-l’Assemblea. In effetti, diversi problemi sorgono soprattutto sesi considerano le funzioni che dovrebbe o potrebbe assumere ilSEAE.

Le origini teoriche di tale organismo derivano chiaramentedall’evoluzione del diritto comunitario e dell’Unione europea insenso rafforzativo della personalità giuridica di entrambe questeorganizzazioni internazionali, comunque da menzionare di-sgiuntamente in quanto sia il Trattato sull’Unione europea siaquello della Comunità europea contempla(va)no specifiche di-sposizioni attinenti al tema dell’affermazione di una personalitàgiuridica comunitaria anche ai termini delle questioni di dirittoalla tutela diplomatica.

Per quanto riguarda l’ordinamento comunitario stretta-mente inteso, hanno sicura rilevanza i riferimenti all’afferma-zione della personalità giuridica della Comunità (art. 281 TCE)

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nonché, in senso più specifico, quanto previsto dal Protocollosulle immunità e i privilegi delle comunità europee. Questafonte, che, per quanto attinente alle relazioni internazionali, fa-ceva menzione esplicita al solo diritto di legazione passiva, ossiariconosciuta dalle tre comunità (CEE, CECA ed Euratom) astati e organismi non comunitari (cfr. art. 17), operava un ri-chiamo solo indiretto al problema, più delicato, del diritto di le-gazione “attiva” delle comunità in tema di conferimento a fun-zionari e agenti comunitari dei lasciapassare quali validi titoli diviaggio riconosciuti dalle autorità degli Stati terzi ospitanti (cfr.art. 7). Un paragrafo della norma da ultimo menzionata si rife-riva al fatto che la Commissione potesse concludere accordi conStati terzi specificamente al fine del riconoscimento dei menzio-nati lasciapassare (cfr. adesso art. 6 par. 2 Protocollo n. 7 annessoai trattati UE e FUE). Tuttavia, se, per quanto attiene al dirittodi legazione passiva, la prassi si è talmente consolidata da avercondotto alla predisposizione di un Vademecum indirizzato allemissioni accreditate – attualmente più di 160 – presso la comu-nità europee (CE ed Euratom, data la venuta a scadenza nel 2002del Trattato CECA), il diritto di legazione attiva non emerge invia generale, ma solo dalla già menzionata prassi concernente laconclusione di accordi ad hoc da parte della Commissione per lostabilimento di proprie delegazioni presso Stati terzi e, conte-stualmente o conseguentemente, la conclusione di accordi con-ferenti le necessarie forme di protezione dei funzionari comuni-tari interessati. In questo contesto, peraltro, l’esperienza recentedell’invio in Stati non comunitari di rappresentanti speciali del-l’Unione ha dimostrato l’anticipazione del modello di doppiomandato (double hat) realizzato, a livello gerarchico più elevato,con l’istituzione dell’Alto rappresentante. Difatti, in casi simili,rappresentanti speciali assumono entrambe le funzioni di espo-nenti dell’Unione e di capi delle delegazioni della Commissioneeuropea già presenti o in via di creazione in loco. Tale circo-stanza è corroborata giuridicamente da accordi stipulati con ipaesi “ospitanti” sia nella fase “a monte” del concepimento ditali missioni, in genere dotate di ampi poteri di rappresentanzadell’ordinamento comunitario e dell’Unione complessivamente

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inteso, sia nella fase a valle ai fini dell’attribuzione all’RSUE(rappresentante speciale dell’unione) così come ai suoi funzio-nari di adeguati strumenti di protezione (privilegi e immunità).

E sebbene non realizzino propriamente l’indicato esempiodi doppio mandato, le rappresentanze della Commissione e del-l’Unione europea presso le organizzazioni internazionali –presso la sede ONU a New York, ad esempio, oltre a una dele-gazione della Commissione, ammessa sin dal 1974, esiste un cd.liaison office del Segretariato del Consiglio dell’UE – in genererealizzano lo scopo di coordinare le posizioni comunitarie edegli Stati membri in seno a tali organismi. Sui rapporti traUnione e organismi internazionali, peraltro, rileva precipua-mente la disposizione dell’art. 220 TFUE, che riproduce tre pre-cedenti disposizioni del TCE (articoli da 302 a 304, v. infra sullecompetenze della Commissione).

Per quanto riguarda i contenuti dei collegamenti tra Unionee soggetti non-comunitari, la finalità di garantire l’unitarietà e lacoerenza dell’azione esterna dell’Unione (comprensiva della po-litica comunitaria delle relazioni esterne) nonché quella di difesadelle posizioni comuni UE nelle sedi internazionali – come rica-vabile dagli articoli 2, 19 e 20 del TUE –, è particolarmente insi-stita nel contesto delle riforme di Lisbona: a questo riguardo,oltre all’impostazione generale dell’azione esterna dell’Unione,come ricavabile dall’art. 21 del nuovo TUE, rilevano in partico-lare gli articoli 34 e 35 dello stesso Trattato, che creano un vin-colo di cooperazione non solo tra gli Stati e l’Unione, ma piùspecificamente tra rappresentanze nazionali e dell’Unione stessain tutti i consessi internazionali. In questo contesto, l’art. 221TFUE ribadisce la funzione delle delegazioni UE tipicamente dirappresentanza dell’Unione. Il secondo comma ribadisce anchequanto già ricavabile dall’art. 27 del nuovo TUE, stabilendo chele delegazioni UE sono sottoposte all’autorità dell’alto rappre-sentante: ciò dovrebbe confermare il fatto che il SEAE, inquanto longa manus dell’alto rappresentante, dovrebbe suben-trare alla Commissione nell’assumere la guida delle delegazioniesistenti in paesi terzi, assegnando a ciascuna di esse un capo de-legazione e i relativi funzionari.

110 ALFREDO RIZZO

Tenuto conto di quanto precede, seguendo l’approccio ol’auspicio del Parlamento europeo, secondo cui sostanzialmentele delegazioni della Commissione (anche quelle costituite subspecie di rappresentanti speciali dell’Unione) verranno (o do-vrebbero essere) devolute nelle mani dell’Alto rappresentante equindi del SEAE, si potrebbe arrivare ad escludere la necessitàdi rinegoziare accordi di sede o altri strumenti volti a garantireprivilegi e immunità dei funzionari comunitari, in quanto talistrumenti – spesso realizzati in forma di scambi di lettere con leautorità locali o, nel caso degli organismi internazionali, tramitestrumenti di questi ultimi, v. ad es. la Risoluzione dell’Assem-blea Generale delle N.U. del 1974 conferente lo status di osser-vatore attivo alla Commissione –, in definitiva, già esistono. Inverità, tale possibilità potrebbe essere revocata in dubbio, e nonsolo per la banale circostanza per cui in effetti il SEAE è sog-getto formalmente diverso dalla Commissione, ma anche per ilfatto che, stando alla lettera dell’art. 27 par. 3 del nuovo TUE,nel SEAE confluirà personale di provenienza nazionale nonchéda una diversa istituzione dell’Unione.

Il nuovo regolamento concernente il funzionamento delSEAE assumerà una specifica rilevanza nel contesto delle ri-forme di Lisbona, anche in quanto strumento necessario perl’attuazione di una specifica norma introdotta dal Trattato di ri-forma (il già citato art. 27 par. 3 del nuovo TUE). In base a talenuova fonte, l’Alto rappresentante godrà di ampi poteri di no-mina inerenti, in primis, al Segretario generale del SEAE, figuratramite la quale si mira a conferire al SEAE stesso un certo mar-gine di autonomia rispetto all’assetto istituzionale dell’Unione.In coerenza con il fatto che l’A.R. sarà chiamato a presiedere ilConsiglio affari esteri, nel regolamento del SEAE si prevede al-tresì che sia sempre l’A.R. a nominare i presidenti dei consessidel Consiglio dell’Unione che debbano essere presieduti da unrappresentante dell’A.R. L’organizzazione amministrativa delSEAE riceverà una disciplina particolarmente dettagliata preve-dendosi l’istituzione di diverse direzioni competenti per areageografica o tematica nonché una direzione del bilancio, il cuidirettore sarà anch’esso nominato dall’A.R. La direzione com-

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petente per la gestione di crisi e pianificazione, la capacità civiledi pianificazione e condotta nonché lo Stato maggiore del-l’Unione (SMUE, ricordandosi che il SEAE avrà competenzeanche in materia di politica di difesa) saranno posti sotto l’auto-rità e responsabilità dirette dell’A.R., in quanto a tali unità spet-terà di assistere l’A.R. nella sua funzione di guida della politicaestera dell’Unione “in conformità delle disposizioni del trattato,nel rispetto, conformemente all’art. 40 TUE, delle altre compe-tenze dell’Unione” (frase, quest’ultima, che rappresenta un leitmotiv delle proposte di modifica del regolamento come avan-zate, in particolare, da Consiglio e Parlamento). Di sicuro rilievoè anche la disposizione che disciplina le delegazioni dell’Unione,la cui apertura o chiusura saranno decise sempre dall’A.R. ma diconcerto con il Consiglio e la Commissione. Un’altra indica-zione dell’interplay tra le varie “anime” dell’azione esterna del-l’Unione deriva dalla previsione secondo cui, mentre il capo diuna delegazione dell’Unione stabilita all’estero dovrà operaresulla base delle istruzioni ricevute dall’A.R., le delegazionidell’Unione en tant que telles potranno ricevere istruzioni anchedalla Commissione ed a tali istruzioni il capo-delegazione saràcomunque (e parimenti) tenuto a conformarsi. Il carattere pres-soché inestricabile dei rapporti interorganici tra SEAE e compe-tenti direzioni della Commissione emerge anche dall’esame,degno di ulteriori approfondimenti, della disciplina che riguar-derà la programmazione e la gestione degli strumenti finanziarinel settore dell’azione esterna dell’Unione (cd. Strumenti del-l’azione esterna, rappresentati dal fondo europeo di sviluppo edai vari strumenti finanziari concernenti la cooperazione allosviluppo, quella con i paesi industrializzati e in materia di sicu-rezza nucleare, il cosiddetto strumento di stabilità e lo stru-mento per la promozione della democrazia e dei diritti umaninonché lo strumento per la politica di vicinato). Le suaccennateambizioni di autonomia rispetto alle altre istituzioni – in parti-colare, da questo punto di vista, rispetto al Parlamento europeo,per il quale si veda la nuova disciplina sul bilancio dell’Unione,segnatamente art. 314 del TFUE - sembrano frustrate dalla pre-visione secondo cui il SEAE, pur se dotato di una propria auto-

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nomia di bilancio, dovrà comunque rispondere della gestionedelle risorse assegnategli, introducendosi, all’interno del bilan-cio annuale dell’Unione, una voce specifica che d’ora in poi saràper l’appunto dedicata esclusivamente al SEAE.

3.5 (segue) Il SEAE. Aspetti funzionali

Si può ritenere che con il SEAE si miri a realizzare quellacapacità di sintesi dell’azione esterna – e non solo, come si ri-caverebbe letteralmente dall’art. 27 del nuovo TUE, della poli-tica estera – dell’Unione sulla quale, come accennato, le ri-forme di Lisbona molto insistono, nonostante ciò sarebbe po-tuto sembrare in qualche modo scontato alla lucedell’instaurazione di un unico soggetto titolare di tale azione.Sui settori materiali, è da ritenere che le attività del SEAE coin-cideranno con quelle sino ad oggi portate avanti tanto dallaCommissione quanto dall’Unione europea, ricordandosi comeil Trattato di Lisbona riconduca alla nozione di “azioneesterna” dell’Unione una serie di ambiti materiali sinora giàcoperti, più alcuni nuovi, dalle norme dei trattati UE e CE.D’altro canto, si deve considerare come, sin dall’art. 21 delnuovo TUE, per la politica estera e di sicurezza comune non-ché di difesa venga ritagliato un ambito di intervento dedicato;inoltre, il SEAE nasce sotto l’egida dell’Alto rappresentanteper la politica estera e quindi più di un dubbio riguarderebbecomunque l’esatta individuazione degli ambiti di competenzadel SEAE stesso.

È peraltro pensabile che gli accennati profili di affermazionedel diritto di legazione attiva dell’Unione potrebbero esseremaggiormente definiti tramite concentrazione di una serie difunzioni nelle mani di un solo organismo, il SEAE appunto, chepotrebbe assumere, tra le altre, la funzione di garantire che loStato territoriale applichi effettivamente i privilegi e le immunitàeventualmente riconosciute ai funzionari dell’Unione (ivi com-presi quelli dello stesso SEAE) in particolare tramite strumentinegoziali ad hoc oltre che in virtù di quanto previsto dal Proto-collo sui privilegi e immunità delle comunità europee, confluito

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in quello sui privilegi e immunità dell’Unione europea (Proto-collo n. 7, annesso al Trattato di Lisbona, cfr. in particolare art.11).

Non è dunque da escludere che la concentrazione nelle manidel SEAE, e dell’Alto rappresentante, di una serie di funzioni si-nora ripartite tra Commissione e Consiglio (e ripartite anche se-condo lo schema di Lisbona), si riveli una necessità da affrontarecon pragmatismo, superando barriere che risultano avere uncontenuto ormai solo concettuale.

Ci si chiede poi se il SEAE possa assumere la funzione di tu-tela dei cittadini dell’Unione all’estero. L’art. 20 TCE, che rico-nosceva questa specifica forma di protezione ai cittadini comu-nitari, è stato introdotto dal Trattato di Maastricht ed era coevoa una prassi ricavabile da due atti di natura eminentemente in-tergovernativa (decisioni dei rappresentanti dei governi degliStati membri riuniti in sede di Consiglio) concernenti la tuteladei cittadini dell’Unione da parte delle rappresentanze diploma-tiche e consolari e la creazione di un documento di viaggio prov-visorio. Questa prassi è sostanzialmente rimasta invariata sinoall’adozione, nel 2006, da parte della Commissione europea, diun Libro verde sulla protezione diplomatica e consolare dei cit-tadini dell’Unione nei paesi terzi. Da quest’ultimo documento èscaturito un dibattito di livello comunitario dal quale sonoemerse notevoli divergenze sui contenuti da attribuire alla di-sposizione del TCE.

In linea teorica, si deve constatare che la formulazione del-l’art. 20 TCE non offriva grande margine per interpretazioniestensive della protezione in esso concepita, se non tramite lapossibilità che essa venisse letta congiuntamente alla citata di-sposizione dell’art. 20 TUE, inerente alla cooperazione tra mis-sioni all’estero nazionali e dell’Unione (peraltro, al riguardo,l’art. 35 del nuovo TUE al n. 3 chiaramente indirizza questacooperazione ai fini della tutela in questione). In ogni caso, unachiave di lettura minimale dell’art. 20 TCE conduceva a ritenereche si trattasse di una disposizione che si limitava ad applicare ildivieto di discriminazioni in base alla nazionalità nel settore spe-cifico della protezione all’estero dei cittadini comunitari. In tal

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modo la norma avrebbe creato un obbligo per gli Stati membridell’Unione di trattare, tramite le proprie missioni diplomatichee consolari all’estero, i cittadini di altri Stati membri presenti sulterritorio di uno Stato terzo, ove non fosse presente una rappre-sentanza diplomatica o consolare dello Stato di nazionalità ditali stessi cittadini, nel rispetto del citato principio generale dinon discriminazione.

Una eventuale lettura più forte di questa disposizione ri-guarda essenzialmente due aspetti. Da un lato, dall’art. 20 TCEpotrebbe ricavarsi il riconoscimento ai cittadini dell’Unione deldiritto ad una protezione (o assistenza) almeno di tipo consolarein quanto dovuta non solo dagli Stati, nel senso minimalistasopra richiamato, ma anche da parte comunitaria. Tale modellodi protezione, d’altro canto, è già stato assunto dalla Commis-sione europea a favore di equipaggi di pescherecci per gli effettidi accordi comunitari sulla pesca – nel caso di specie, conclusicon lo stesso Stato costiero nel quale emergeva la violazione didiritti o interessi dei privati di cittadinanza dell’Unione26. Dal-l’altro lato, si deve considerare la possibile estensione della pro-tezione in esame da una dimensione precipuamente attinente aquestioni di tipo consolare a un livello più elevato, configuran-dosi un’ipotesi di protezione diplomatica in senso proprioavente base specifica nelle disposizioni dei trattati istitutividell’Unione. La norma dell’art. 20 TCE sembrava già confer-mare questa possibilità alla luce della previsione della conclu-sione di accordi tra Stati, che sono la premessa necessaria dellaseconda tipologia di protezione (cfr. art. 46 della Convenzionedi Vienna sulle relazioni diplomatiche), mentre invece, comenoto, la protezione di tipo consolare può essere attivata in viapreventiva tramite mera notifica dell’intenzione di agire da partedello Stato che assume la protezione allo Stato terzo di acco-glienza del cittadino interessato.

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26 Oltre a fonti convenzionali specifiche, rileva, per un quadro complessivodella materia, la Sentenza del Tribunale di primo grado del 6.7.1995, causa T-571/93nel caso Odigitria.

Il quadro qui brevemente descritto non sembra modificatoin modo sostanziale dalle nuove norme del Trattato di Lisbona.Tali norme, d’altro canto, in molti casi riproducono chiaramentel’insieme di norme dei trattati UE e CE, ivi comprese quelle re-lative ai diritti di cittadinanza. Questi ultimi, nel frattempo,hanno ricevuto ulteriore impulso dalle norme del Titolo V (Cit-tadinanza) della Carta dei diritti fondamentali, anche nella ver-sione scaturita dalle riforme della CIG preparatoria del Trattatodi Lisbona. La presenza dell’art. 46 della Carta, che ribadiscequanto affermato nel precedente articolo art. 20 TCE, come ri-prodotto nell’attuale art. 23 del TFUE, dovrebbe far prevederesituazioni in cui i cittadini degli Stati membri potrebbero pre-tendere adeguata protezione nei territori di Stati terzi nei qualinon siano presenti rappresentanze diplomatiche o consolaridello Stato di nazionalità. Stando a quanto precede, la prote-zione richiesta potrebbe essere attivata tanto da un diverso Statomembro dell’Unione quanto direttamente da quest’ultima. Inentrambi i casi, Stato membro e Unione potrebbero attivarsi perla protezione richiesta tramite proprie rappresentanze o uffici inloco (ed essenzialmente, per quanto attiene all’Unione, quest’ul-tima agirebbe tramite il Servizio per l’Azione esterna del-l’Unione). Rimane aperta la questione della natura della prote-zione, se di tipo consolare o diplomatico, che comunque do-vrebbe risolversi nel rispetto delle condizioni stabilite dalle dueConvenzioni di Vienna.

Resta da far notare che al tipo di protezione richiesta do-vrebbero rendersi applicabili anche gli strumenti processualicontemplati dal Trattato sul funzionamento dell’Unione. I pre-sunti titolari del diritto alla tutela diplomatica/consolare potreb-bero quindi agire, alternativamente, contro un’azione oun’omissione dell’Unione (ad esempio, per fatto, atto od omis-sione dello stesso SEAE) in subjecta materia secondo lo schemadel ricorso per annullamento o del ricorso in carenza, nonchéchiedere un risarcimento dei danni eventualmente subiti percomportamenti non conformi, ai limiti dell’illiceità, da partedelle autorità comunitarie. D’altro canto, la stessa Unione po-trebbe verificare l’omissione di obblighi di protezione da parte

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di uno degli Stati membri eventualmente richiesti tramite lo stru-mento della procedura di infrazione che potrebbe condurreanche a un ricorso da parte della Commissione dinanzi allaCorte UE per inadempimento di obblighi “comunitari”. Il rin-vio pregiudiziale potrebbe invece concepirsi solo se l’interes-sato, cittadino dell’Unione, agisca al suo rientro dallo Statoterzo dinanzi a un organo giurisdizionale dello Stato che sia ve-nuto meno ai propri obblighi d protezione previsti dal Trattatoe dalla Carta dei diritti fondamentali.

L’unificazione personale di Unione e Comunità dovrebbecondurre, anche nel contesto della riforma che imputa all’Altorappresentante la funzione di capo del SEAE, almeno ad una ra-zionalizzazione dell’azione esterna dell’Unione, anche in ter-mini di manifestazione fisica di quest’ultima sulla scena interna-zionale. Sembra comunque opportuno domandarsi se la Com-missione, che sino ad oggi ha condotto in modo prevalente lerelazioni con Stati terzi e organismi internazionali tramite lo sta-bilimento di proprie delegazioni, dall’entrata in vigore di Li-sbona manterrà questa sua prerogativa. Tale dubbio sembra raf-forzarsi tenendo conto proprio dell’imputazione all’Alto rap-presentante della conduzione in generale delle relazioniinternazionali dell’Unione anche tramite il SEAE. Se l’alto rap-presentante dovesse, come dovrà, rispondere agli stimoli prove-nienti non solo dal collegio, di cui pure è vice-presidente, maanche dal Consiglio, non è difficile immaginare situazioni al-meno di incertezza tra, da un lato, la conferma del ruolo dellaCommissione nelle relazioni esterne e, dall’altro lato, le istanzeche potrebbero provenire dall’organo consiliare, in modo parti-colare in una materia – in via di principio ritenuta ancora di per-tinenza statuale, da attuare nel rispetto delle rilevanti conven-zioni internazionali – come quella della tutela dei cittadini na-zionali all’estero.

3.6 Le funzioni del Consiglio nel sistema di Lisbona

Come segnalato, il Consiglio dell’Unione mantiene, anchenel sistema di Lisbona, la funzione di organo legislatore del-

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l’Unione, sebbene, in linea di principio e in modo più evidenterispetto al passato, tale funzione sia formalmente condivisa conil Parlamento europeo. Nel settore delle relazioni esterne/poli-tica estera, il Consiglio mantiene sostanzialmente tale funzionedi organo, per l’appunto, decisionale, sebbene con alcune im-portanti differenze che qui di seguito vengono chiarite, percome le stesse sembrano sostanzialmente confermate a seguitodelle riforme di Lisbona.

3.7 (segue) Gli atti del Consiglio in materia di azione ester-na. Il ricorso alla maggioranza qualificata

Tradizionalmente, il metodo generale di adozione degli atti– cioè concernente gli atti di natura legislativa – in Consiglio èquello della maggioranza semplice, per quanto attiene al cd. pi-lastro comunitario e della unanimità, per quanto attiene ai pila-stri “intergovernativi” (politica estera e di difesa e cooperazionegiudiziaria). Il Trattato di Maastricht introduce il tertium genusdella maggioranza qualificata, tesa ad attribuire ad ogni Statoun voto cd. ponderato, ossia con un valore numerico crescentein misura corrispondente al diverso rapporto peso demografi-co/estensione territoriale/forza economica, caratteristico di cia-scuno Stato membro. Al raggiungimento di una determinata so-glia (appunto qualificata in quanto numericamente verificabilea seguito di una semplice addizione degli Stati favorevoli al-l’adozione dell’atto) la decisione poteva ritenersi adottata, ameno che non si creassero situazioni di blocco causate da unaminoranza di Stati contrari all’adozione dell’atto (minoranza diblocco). Il trattato di Nizza ha introdotto il criterio del cd. filetdémographique, concernente il fatto che, anche una volta rag-giunta la maggioranza ponderata degli Stati, qualunque Statopotesse comunque richiedere una verifica che la soglia nume-rica raggiunta corrispondesse al 62% del totale della popola-zione dell’Unione.

Nello stesso sistema di Nizza, l’aspetto della minoranza diblocco veniva regolato tramite il cd. meccanismo di Ioannina (ri-

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salente alla metà degli anni novanta) concernente la possibilitàper la Presidenza di ricercare un consenso più ampio prima del-l’adozione finale della decisione, nel caso in cui si prefigurasse,appunto, una situazione sostanzialmente preclusiva del raggiun-gimento di una maggioranza piena ai fini della decisione finale.In realtà, tale meccanismo è stato riconfermato anche nel Trat-tato di Lisbona, prevedendosi la possibilità che una certa “mi-noranza” manifesti l’intenzione di opporsi all’adozione della de-cisione finale in senso favorevole all’atto in discussione. In talcaso, la Presidenza del Consiglio, con l’assistenza della Commis-sione, deve mettere in campo qualsiasi iniziativa per allargare labase del consenso sull’atto da adottare.

Sul piano procedurale, la modifica sostanziale più rilevanteintrodotta dal Trattato di Lisbona attiene proprio al metodomaggioritario, per il quale si applica il criterio della doppia mag-gioranza, per cui per prendere una decisione sarà necessario, apartire dal 1° novembre 2014, verificare che il voto favorevolecorrisponda ad una percentuale di Stati pari al 55% di essi e aduna percentuale di popolazione pari al 65 % del totale della po-polazione degli Stati membri dell’Unione (v. art. 16 par. 4 delnuovo TUE e art. 238 TFUE). È stato insomma scelto proprioil meccanismo di doppia maggioranza proposto dalla Conven-zione, anziché una ponderazione dei voti27.

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27 Si può anche considerare come, malgrado l’aumento delle soglie propostedalla Convenzione (55% degli Stati anziché 50% e 65% della popolazione anziché60%), il nuovo sistema agevoli la presa di decisioni. Infatti, il sistema di pondera-zione fissato a Nizza di fatto implicava soglie di popolazione molto più elevate, ri-spetto a quelle definitivamente fissate con il Trattato di Lisbona, affinché una deci-sione potesse essere ritenuta adottata. Inoltre, l’esigenza, ulteriormente prevista nelsistema di Lisbona, che una minoranza di blocco includa almeno quattro Statimembri ha per effetto, in molti casi, di abbassare ulteriormente l’indicata soglia del65% della popolazione. Infatti, il fatto che la Conferenza intergovernativa abbia in-trodotto l’esigenza del voto negativo di almeno 4 Stati membri per formare una mi-noranza di blocco (cfr. citato art. 16 par.4 del nuovo TUE) implica che, in determi-nate circostanze, una decisione potrà essere adottata addirittura con meno del 62%della popolazione, che è la soglia già fissata a Nizza per il criterio della popolazione;cosi, se la Germania, la Francia e il Regno Unito si opponessero ad una decisione,quest’ultima sarebbe comunque approvata anche se con un voto favorevole che

3.8 (segue) Le decisioni per la conclusione di accordi nel set-tore dell’”azione esterna” (Parte quinta, art. 218, TFUE)

Venendo al settore della cd. azione esterna, ma come riferitaalla Parte quinta del TFUE (che richiama la materia delle rela-zioni esterne del pilastro comunitario), occorre innanzitutto sot-tolineare come, diversamente dal settore della politica estera, ilConsiglio non detenga il monopolio decisionale e ciò sia in con-siderazione del ruolo assunto dalla Commissione (e dall’Altorappresentante per la politica estera, cfr. art. 218 TFUE) – cheesercita la funzione di organo proponente l’apertura di negoziaticon Stati terzi o organismi internazionali – sia per il ruolo as-sunto dal Parlamento europeo. Il riferimento alla funzione dellaCommissione verrà fatto nella parte relativa specificamente atale istituzione. Per quanto attiene al Parlamento, occorre sin daora premettere che l’affermazione di tale istituzione in qualità diorgano co-legislatore dell’Unione, accanto al Consiglio, si è af-fermata parallelamente al consolidamento in seno al Consigliodel su richiamato metodo maggioritario per l’adozione delle de-cisioni, anche di quelle concernenti l’autorizzazione alla firma ela conclusione degli accordi internazionali della Comunità.

Ai fini dell’adozione di una decisione di conclusione di unaccordo il principio maggioritario sembrerebbe sostanzialmenteconfermato. L’unanimità viene però parimenti confermata se-condo un criterio di parallelismo procedurale già previsto primadelle riforme di Lisbona e secondo il quale essa è la regola ogni-qualvolta un accordo insista su materie per le quali le decisionisul piano interno devono essere adottate sempre all’unanimità.Un esempio di tale approccio è ricavabile expressis verbis all’art.207 TFUE (incluso tra le norme concernenti l’azione esternadell’Unione), il cui par. 4 riproduce grosso modo le riforme in-trodotte dal Trattato di Nizza all’art. 133 TCE, individuando isettori della politica commerciale esterna – scambi di servizi,

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corrispondesse al 58% della popolazione, perché questi tre Stati, da soli, non pos-sono costituire una minoranza di blocco anche se, tutti e tre, rappresentano oltre il41% della popolazione dell’Unione (sulla base dei 27 Stati membri attuali).

aspetti commerciali della proprietà intellettuale e degli investi-menti esteri diretti nonché scambi di servizi culturali e audiovi-sivi e scambi di servizi nell’ambito sociale, dell’istruzione e dellasanità – per i quali al Consiglio è preclusa la procedura decisio-nale a maggioranza qualificata, prevista in via generale per i settoridegli stessi accordi commerciali diversi da quelli indicati. Settoriin cui l’unanimità è parimenti prevista, nell’ambito dell’azioneesterna dell’Unione, sono quelli indicati all’art. 212 TFUE in temadi cooperazione economica e finanziaria (ma, si specifica all’art.218 TFUE par. 8, quando si tratti di accordi di tale genere con-cernenti Stati candidati all’adesione) nonché per l’accordo diadesione dell’Unione alla Convenzione europea per la salva-guardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ac-cordo per la cui entrata in vigore si prevede inoltre la ratifica ditutti gli Stati membri conformemente alle rispettive regole costi-tuzionali).

Il principio, sotteso al sistema comunitario delineato dal-l’art. 300 TCE, secondo il quale al Consiglio spetta di deciderela firma e la conclusione dell’accordo, andrebbe letto più cor-rettamente alla luce della reale prassi. In effetti, per quanto ri-guarda la firma, ad essa era generalmente delegato un rappre-sentante del Consiglio con riserva di conclusione successivadell’accordo da parte di quest’ultima istituzione. Con le ri-forme di Lisbona (cfr. art. 218, numeri 3 e 5 TFUE), viene in-trodotta la figura del negoziatore che dovrà essere nominato dalConsiglio e al quale (o alla quale) spetterà l’indicata funzione difirmare l’accordo. Ovviamente, l’atto della firma non è sempresufficiente a manifestare la volontà della Comunità, almeno làdove sia richiesto il parere del Parlamento europeo. In questocaso, infatti, alla firma deve necessariamente conseguire l’inol-tro della bozza di accordo al Parlamento europeo per ottenerneil relativo parere. Sino ad oggi, peraltro, a tale inoltro dovevaessere anche annessa la comunicazione dell’eventuale decisioneda parte del Consiglio di applicare provvisoriamente l’accordo,come espressamente consentito dall’art. 300 TCE nel testo ri-formato dal Trattato di Amsterdam: tale prassi, d’altronde, eragià prevista ed è attualmente confermata nella più recente ver-

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sione del regolamento interno del Parlamento europeo, che,anche nei casi di ricorso alla procedura ordinaria prevista dal-l’art. 300 TCE (decisione a maggioranza qualificata in Consi-glio e consultazione del Parlamento europeo), ha tenuto a sot-tolineare il proprio ruolo di referente politico del sistema istitu-zionale comunitario.

Peraltro, come già indicato, il parere parlamentare assumediversa connotazione a seconda del tipo di procedura indicatadal Trattato. Nel caso degli accordi commerciali, ad esempio,tale parere non è stato mai concepito come obbligatorio (cfr. art.133 TCE, ora art. 207 TFUE), mentre, sul versante opposto, neisettori in cui è previsto il parere conforme del Parlamento euro-peo, quest’ultimo è messo nella condizione di bloccare la proce-dura di conclusione complessivamente considerata. Nel caso,ancora, della decisione di applicazione provvisoria, sopra accen-nata, o di sospensione dell’accordo, il Parlamento europeo devecomunque essere “solo” informato. Il Trattato di Lisbona pre-vede, in linea generale, che il Parlamento deve fornire un parerevincolante (approvazione) se l’accordo riguarda settori all’in-terno dei quali le procedure legislative implichino parimentil’approvazione parlamentare, mentre il Parlamento deve esseresolo consultato in tutti gli altri casi (cfr. nuovo art. 218 par. 6 let-tere a e b TFUE).

La conclusione dell’accordo, nel modello di procedura ordi-naria o solenne, se non si sono incontrati ostacoli nella fase difirma o subito successivamente ad essa (ad esempio e come ac-cennato sopra, nei casi in cui il Parlamento europeo debba dareun parere conforme), si ha tramite decisione del Consiglio (amaggioranza qualificata o, secondo quanto indicato dall’art. 218par. 8 del nuovo TUE, all’unanimità) che conferisce mandato alPresidente del Consiglio dei ministri stesso di notificare allacontroparte l’esaurimento delle procedure interne di conclu-sione.

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3.9 (segue) Le decisioni del Consiglio in materia di politicaestera

Nei settori riferibili alla Politica estera e di sicurezza comunecontinuano ad essere necessarie alcune precisazioni. Tutto l’im-pianto del nuovo sistema vede il Consiglio europeo quale or-gano che definisce innanzitutto interessi e obiettivi strategici del-l’Unione sia nell’azione esterna dell’Unione complessivamenteintesa sia per quanto attiene specificamente alla politica estera(cfr. artt. 22 e 26 del nuovo TUE). Il Consiglio, in quanto desti-natario principale degli atti del Consiglio europeo, può poi in-tervenire, e in genere deve farlo, sulla base delle indicazioni delConsiglio europeo, adottando gli atti indicati agli artt. 28 e 29.Il cuore del sistema, dal punto di vista procedurale, è l’attualeart. 31 corrispondente al precedente art. 23 TUE. Tale normasembra sostanzialmente confermata nei suoi passaggi essenziali.A tale riguardo, il sistema dell’Unione ha concepito alcuni attiparticolari nel contesto della politica estera e di sicurezza – cosìcome nel settore della cooperazione giudiziaria in materia pe-nale – che possono essere annoverati nella categoria degli attiinterni e non degli accordi dell’Unione. Si tratta cioè di fontitese innanzitutto a vincolare gli Stati membri nei confronti del-l’Unione e che, di per sé, non producono alcun effetto analogoad un accordo. Si tratta delle azioni comuni (cfr. l’attuale art. 28corrispondente al precedente art. 14 TUE) e delle posizioni co-muni (cfr. il nuovo art. 29, corrispondente all’art. 15 del TUE)sulle quali a far data dalla loro introduzione tramite Trattato diMaastricht si è prodotta una cospicua prassi.

3.10 (segue) Le decisioni per l’adozione di atti “interni” dipolitica estera

La distinzione tra posizioni e azioni comuni è rimasta perqualche tempo di non facile realizzazione. Deve innanzitutto ri-cordarsi che tanto l’Atto Unico Europeo quanto il Trattato diMaastricht hanno impostato la PESC essenzialmente come as-sunzione da parte dei Paesi membri dell’Unione dell’obbligo di

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stabilire reciprocamente una cooperazione sistematica nei set-tori individuati (difesa di valori comuni, rafforzamento della si-curezza dell’Unione, mantenimento di pace e sicurezza interna-zionale, promozione della cooperazione internazionale, svi-luppo e consolidamento della democrazia e dello Stato di dirittononché rispetto dei diritti fondamentali, lista cui si aggiungeràanche l’obiettivo di realizzare una politica di difesa comune).Tale cooperazione sistematica concretamente avrebbe compor-tato una reciproca informazione e consultazione rispetto a unoqualunque dei settori e scopi indicati al fine di determinare unaquanto maggiore convergenza delle azioni nazionali.

Una volta impostata la cooperazione (concertazione) inter-governativa sistematica come premessa dell’instaurazione dellaPESC, ad essa, secondo quanto previsto dal Trattato di Maa-stricht, avrebbero potuto far seguito strumenti del Consiglio deiministri tesi a formalizzare maggiormente detta concertazione.Si tratta delle posizioni comuni, oggi formalmente assunte tra lefonti PESC, ma la cui esatta configurazione, tuttavia, fu resapossibile solamente a seguito dell’instaurazione, nel Trattato diMaastricht, delle azioni comuni.

In alcuni atti informali di metà degli anni novanta (cd.modes d’emploi) si chiarisce il rapporto se non proprio gerar-chico certamente consequenziale tra posizioni e azioni comuni.Se le prime, che si riconnettono più direttamente alla coopera-zione sistematica, hanno la funzione di affrontare questioni dicarattere geografico o tematico tramite la definizione tanto diapprocci di breve termine quanto di impostazioni di medio olungo termine, le seconde hanno la funzione di definire linee diintervento da assumere collettivamente rispetto a singole que-stioni, dotate anche del requisito dell’urgenza, tramite fissa-zione di tempi di attuazione e relativi strumenti di natura anchefinanziaria da impiegare. In tal modo è emerso anche il carat-tere maggiormente vincolante delle azioni comuni in quantoogni azione nazionale prevista per dare attuazione alle primedoveva (deve) essere preventivamente comunicata al Consiglioal fine di promuovere, se necessaria, una concertazione preli-minare.

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Il taglio maggiormente operativo dato alle azioni comuni de-riva anche dal fatto che esse, nel sistema antecedente alle riformedi Lisbona, riguardavano, oltre agli obiettivi generali della PESC(cfr. l’art. 24 del nuovo TUE corrispondente al precedente art.11), obiettivi relativamente più circoscritti28. Nel nuovo articolo28 non appaiono gli indicati obiettivi, mentre vengono confer-mate le altre conseguenze generali derivanti dall’adozione diun’azione comune, rilevando tra queste l’obbligo di informa-zione verticale imposto agli Stati per quanto riguarda le misureinterne sia attuative sia d’urgenza che deroghino agli obiettividell’azione dell’Unione. Gli Stati possono comunque addurredifficoltà rilevanti nell’applicazione della decisione consiliare,investendo sempre dell’esistenza di simili difficoltà il Consigliostesso. Sempre rispetto alle azioni comuni interviene anche unaparticolare manifestazione del criterio rebus sic stantibus, preve-dendosi che un’azione comune sia mantenuta finché il Consi-glio, quando ne emerga la assoluta necessità connessa con l’evol-versi di una determinata situazione, non decida diversamente.

Da un’analisi complessiva sia delle disposizioni vigenti siadella prassi emerge come, accanto a una formale tendenza allagerarchizzazione degli atti dell’Unione europea, vi sia in realtàuna sostanziale separazione tra i diversi strumenti che in defini-tiva perseguono anche finalità distinte. Rimane però che dalle

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28 Si trattava di obiettivi comprensivi di – rafforzamento di principi e istitu-zioni democratiche, – rispetto di diritti umani e delle minoranze, – promozionedella stabilità regionale e contributo alla creazione di quadri politici o economiciche incoraggino la cooperazione regionale o iniziative volte all’integrazione regio-nale o sub-regionale, – contributo alla prevenzione o gestione di conflitti, – contri-buto a un coordinamento internazionale più efficace per affrontare le situazioni dicrisi, – rafforzamento della cooperazione esistente su temi di interesse internazio-nale come la lotta alla proliferazione degli armamenti, il terrorismo, il traffico didroghe illecite. Le indicate tipologie di obiettivi hanno portato a configurare l’im-posizione di un vincolo di solidarietà tra Stati nell’attuazione delle azioni comuni,connesso al fatto che certi interventi risultano indirizzati ad aree geografiche pros-sime ad alcuni Stati membri più che ad altri, ciò che, pur implicando un’inevitabilegradazione del carattere vincolante dell’azione comune, non dovrebbe far veniremeno un disegno quanto più unitario e coordinato dell’intervento degli Stati ap-partenenti all’Unione.

norme del Trattato UE traspare un favor (o un mero wishfulthinking) del legislatore nei confronti della costituzione di unasorta di filiera normativa tra strumenti di diversa natura come lestrategie comuni, le posizioni comuni, le azioni comuni e, in de-finitiva, gli accordi dell’Unione, applicando quel rapporto ge-rarchico che potrebbe consentire che gli atti susseguenti venganoadottati a maggioranza qualificata.

Con il Trattato di Lisbona, all’art. 31 del nuovo TUE si pre-vede che il Consiglio, nel settore PESC, adotti, tramite decisioni amaggioranza, gli atti indicati agli articoli 28 o 29, sempre del nuovoTUE (azioni o posizioni, già definite azioni comuni e posizioni co-muni), allorché tali atti intervengano sulla base di una decisione delConsiglio europeo che definisca interessi e obiettivi strategici aisensi del già menzionato art 22, nuovo TUE. Inoltre, la maggio-ranza qualificata è prevista anche per l’adozione di decisioni cheattuano previe decisioni concernenti azioni o posizioni comuni.

Da tale previsione derivano due profili di riflessione. Ilprimo, riguarda il fatto che azioni e posizioni comuni (o le deci-sioni che le contengono) non sono poste fra loro in rapporto ne-cessariamente gerarchico. Il secondo aspetto riguarda il fattoche, tuttavia, nel sistema delle fonti di politica estera, a decisionidi ordine più generale possono seguire atti di natura sostanzial-mente “esecutiva”, di non chiara determinazione sotto il profilodel nomen juris, ma per i quali si prevede comunque un’espressaderoga alla regola dell’unanimità per le decisioni in Consiglio,quale vero e proprio criterio “ordinatore” delle procedure intema di politica estera.

Oltre ai due casi indicati, l’art. 31 del nuovo TUE individuaun altro caso in cui si incontra l’indicata deroga al criterio del-l’unanimità. Si tratta, questa volta, di un quid novi connesso evi-dentemente all’istituzione dell’Alto rappresentante. Infatti,quando quest’ultimo propone un’azione o una posizione del-l’Unione, il Consiglio è abilitato ad adottare la decisione a mag-gioranza. La ratio di questa soluzione, che sembrerebbe offrireuna corsia preferenziale agli interventi dell’Unione di politicaestera se promananti dall’iniziativa dell’alto rappresentante, ri-siede nell’esigenza di conferire a tale nuova figura piena funzio-

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nalità nel nuovo assetto istituzionale dell’Unione. Da tale dispo-sizione emerge infatti l’instaurazione di un rapporto fiduciariotra organo consiliare e Alto rappresentante, dal quale consegueche le iniziative di quest’ultimo siano percepite come piena-mente in sintonia con gli interessi generali dell’Unione nel set-tore delle relazioni internazionali.

L’analisi svolta, seppure rapidamente, sulla formazione degliatti dell’Unione dimostra, peraltro, una resistenza, esercitata so-prattutto dagli Stati membri, verso l’affermazione di una sorta digerarchia degli atti in tale settore, che per l’appunto agevole-rebbe l’accesso, da parte del Consiglio, al sistema di decisione amaggioranza qualificata. In tal senso, la previsione della possibi-lità per gli Stati di opporsi al ricorso alla maggioranza qualificatain Consiglio – già prevista nel precedente art. 23 TUE e piena-mente confermata all’attuale art. 31 – è uno strumento teso aostacolare, almeno potenzialmente, il pieno conferimento alleistituzioni dell’Unione di un potere decisionale autonomo ri-spetto a quello degli Stati. Al comma 3, tuttavia, lo stesso art. 31prevede anche una possibilità inversa a quella indicata, ossia cheil Consiglio adotti una decisione che preveda che il Consigliostesso faccia ricorso al criterio maggioritario anche in casi diversida quelli contemplati espressamente nel paragrafo precedente,come sopra rapidamente esposti.

3.11 (segue) Le decisioni per la conclusione di accordi del-l’Unione

Per quanto attiene specificamente alle procedure di conclu-sione degli accordi da parte dell’Unione, nella carenza di chiareindicazioni nelle norme dei trattati, la prassi ha conferito la fun-zione negoziale alla Presidenza del Consiglio dell’Unione (se delcaso assistita dall’Alto rappresentante PESC), cui sino ad oggispettava il compito di designare la persona in grado di impe-gnare, con la propria firma, l’Unione (cd. plenipotenziario). Unavolta apposta tale firma, il Consiglio adotta la relativa decisionedi conclusione dell’accordo, espressamente prevista dal previ-gente art. 24 TUE (cfr. art. 37 nuovo TUE). Tuttavia, la prassi ha

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recentemente portato alla luce anche il ricorso ad una procedurasecondo la quale la firma è già in grado di implicare la ratificadell’accordo medesimo. In tale ipotesi, la decisione del Consi-glio non vale solo ad approvare l’accordo in nome dell’Unioneeuropea, ma autorizza la firma di tale accordo già al fine di vin-colare l’Unione europea. La firma dell’accordo può allora essereapposta dal Presidente del Consiglio, dall’Alto Rappresentanteo da un Rappresentante speciale dell’Unione inviato in unoStato terzo.

Sulla decisione di conclusione del Consiglio, vale la pena ri-levare che l’art. 24 TUE prevedeva due possibilità. La prima, ri-chiamava l’approccio adottato per gli accordi comunitari, se-condo cui questi sono conclusi all’unanimità se tale regola si ap-plica all’adozione di corrispondenti atti interni. La secondapossibilità riguardava il ricorso alla maggioranza qualificata, am-messa se l’accordo mirasse all’attuazione di azioni o posizionicomuni precedentemente adottate. In tale seconda ipotesi, l’art.24 rinviava alla procedura dell’art. 23 n. 2 TUE, per cui, comeper le decisioni relative ad atti diversi dagli accordi, ciascunoStato avrebbe potuto opporsi al ricorso al metodo maggioritarioanche per l’adozione di decisioni concernenti la conclusione diaccordi dell’Unione.

Stante la relativa linearità della procedura indicata, occorrerilevare che la prassi concernente gli accordi dell’Unione euro-pea ha sino ad oggi dimostrato come, nella formulazione inizialedell’accordo, tra le parti di quest’ultimo non compaiano gli Statimembri. In altri termini, sembra che la prassi abbia confermatola tesi, sottesa alla formula dell’art. 24 par.6 TUE, secondo laquale l’accordo dell’Unione vincola solo le sue istituzioni. Que-sta doppia conferma (nella norma di base del trattato e nella de-cisione del Consiglio volta alla conclusione dell’accordo) delnon coinvolgimento formale degli Stati membri nella proceduradi conclusione degli accordi può avallare l’opinione di chi ha so-stenuto che la strutturazione dell’art. 24 TUE mal si conciliassecon un trasferimento automatico degli effetti dell’accordo dal-l’Unione ai suoi Stati membri: ciò soprattutto sotto il profilo in-ternazionalistico, ossia per la stabilità delle relazioni con lo Stato

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o l’organismo non comunitario contraente e della conseguenteassunzione di responsabilità internazionale in capo, appunto,agli Stati membri. Occorre al riguardo precisare che, analoga-mente a quanto avviene nel pilastro comunitario, la conclusionedi accordi internazionali da parte dell’Unione si è sino ad oggiavuta in base a decisioni consiliari (unanimi o anche a maggio-ranza qualificata, mentre, come visto i negoziati sono stati gene-ralmente condotti dalla Presidenza, che nei due pilastri intergo-vernativi, almeno sino a Lisbona, ha assunto il ruolo parallela-mente assunto dalla Commissione ai sensi dell’art. 300 TCE).

Specifici profili problematici derivavano dalla cosiddetta clau-sola d’esenzione, concernente la possibilità per gli Stati di eccepirel’operatività dell’accordo nei loro confronti per motivi attinenti alrispetto di norme costituzionali. Tale clausola è stata general-mente attivata durante la fase di adozione della decisione finale delConsiglio sulla conclusione dell’accordo e, ovviamente, primadella definitiva adozione della stessa decisione, lasciandosi presu-mere che, una volta che la decisione fosse stata presa (anche neicasi in cui il Consiglio decidesse a maggioranza qualificata), l’ac-cordo esplicasse i suoi effetti vincolanti nei confronti di tutti gliStati membri, compresi cioè gli Stati non inclusi nella maggio-ranza e quelli che avrebbero inteso fare ricorso alla clausolad’esenzione, ma non l’avessero fatto. Questa conclusione rafforzala tesi di chi ritiene che gli accordi dell’Unione, i cui effetti vinco-lanti sono espressamente riferiti solo alle istituzioni (v. art. 24 ult.co.), abbiano in realtà medesimi effetti anche nei confronti degliStati membri, al pari di quanto stabilito dal precedente art. 300par. 7 TCE (cfr. attuale art. 216 TFUE), che però operava la stessaestensione in modo esplicito. Inoltre, la clausola d’esenzione nonavrebbe di per sé impedito l’adozione della decisione concernentela conclusione dell’accordo e, pertanto, gli effetti dell’accordo chesi prevedeva dovesse essere concluso mediante decisione del Con-siglio potevano essere soltanto sospesi nei confronti dello Statoche avesse provveduto a fare la dichiarazione di esenzione29.

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29 Vale la pena osservare che, per quanto riguarda il riferimento, ai fini dellaclausola d’esenzione, a norme costituzionali dello Stato membro, è dubbio se esse

Sotto un altro punto di vista, dalla norma dell’art. 24 TUE edall’iter (negoziale e decisionale) ad essa relativo sarebbe deri-vato che, affinché l’accordo potesse ritenersi concluso, fosse suf-ficiente comunque la sola decisione del Consiglio e non anchequella interna degli Stati, così come invece avviene quando, nelpilastro comunitario, si ha a che fare con accordi cd. misti, ossiarelativi a materie che presumono competenze comunitarie ecompetenze nazionali perfettamente coesistenti e per le quali,dunque, si rende necessario il perfezionamento delle proceduredi ratifica a livello nazionale ai fini dell’entrata in vigore dell’ac-cordo stesso. Questa tesi, pure difficilmente confutabile sullabase di un’interpretazione testuale della norma del’art. 24 TUE,non risolve però il dubbio sulla reale ratio della clausola d’esen-zione e sulla sua strutturazione. In pratica, la clausola d’esen-zione poneva certamente un filtro alla decisione del Consigliosulla conclusione di accordi che andava ad aggiungersi all’altrofiltro che consentiva (e ancora consente, cfr. art. 31 n.2 co. 2 delnuovo TUE) ad uno Stato membro di contestare il ricorso allamaggioranza qualificata per la relativa decisione in Consiglio,avendo però, rispetto a questa seconda ipotesi, un’ambizionepiù sostanziale ossia di impedire che l’accordo esplicasse unqualche effetto vincolante nei confronti dello Stato stesso.

Ad avviso di chi scrive rimane quindi il fatto che la clausolad’esenzione, per come concepita all’art. 24 par. 5 TUE, lasciavaintendere due cose: a) la possibilità offerta ad uno Stato di pre-sentare una dichiarazione ai sensi della quale l’accordo nonesplica effetti nei suoi confronti implicava che, in mancanza ditale eccezione, l’accordo esplicasse normalmente tali effetti; b)

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concernessero specificamente norme procedurali riguardanti la vera e propria rati-fica di accordi internazionali. La prassi recente ha semmai dimostrato, seppure inun caso inerente ad un accordo di terzo pilastro (cfr. art. 38 TUE, precisamente inmateria di esecuzione delle domande di estradizione tra Stati membri dell’Unione,da un lato, e Stati Uniti d’America, dall’altro lato), che la clausola di esenzione èstata invocata da diversi Stati membri in quanto si è ritenuto che l’accordo avrebbetoccato aspetti “sostanziali” del sistema costituzionale interno di tali stessi Stati e inparticolare aspetti relativi alle garanzie di carattere processuale rivendicabili daparte dei soggetti condannati cui risultasse applicabile la relativa procedura estradi-zionale.

soprattutto nei casi di decisione per la conclusione dell’accordoa maggioranza qualificata, tutti gli Stati membri, anche non par-tecipanti alla maggioranza, era scontato dovessero accettare glieffetti dell’accordo.

Forse l’unico modo per risolvere i dilemmi interpretativi ri-levati è di accettare l’idea che la conclusione degli accordi ai sensidell’art. 24 TUE fosse formalmente (per motivi di visibilitàesterna e di coerenza procedurale) assegnata alle istituzioni, mache essa, sotto il profilo sostanziale, ossia della sua reale portataall’interno dell’ordinamento dell’Unione, fosse idonea a coin-volgere, oltre alle istituzioni, anche gli Stati membri. La Corteaveva già applicato il criterio del cd. “effetto esterno” degli ac-cordi conclusi dall’organismo sovra-nazionale in quanto tali ac-cordi entrano a far parte dell’ordinamento creato dai trattati isti-tutivi, imputando comunque obblighi in capo agli Stati membrial pari di qualsiasi altro atto istituzionale vincolante. Le conse-guenze pratiche di tale conclusione possono essere diverse a se-conda della prospettiva dalla quale la si osservi. Sotto il profilointerno, ossia dei rapporti tra Stati membri e Unione, l’accordodi quest’ultima vincola i primi nella stessa misura in cui gli stessisi vincolano all’Unione mediante l’adozione di posizioni oazioni comuni dell’Unione, quindi essenzialmente in virtù deicriteri di coerenza e leale collaborazione e dall’obbligo di pre-ventiva informazione ricavabili expressis verbis dalle norme delprecedente TUE (art. 11 in particolare), come confermate dallostesso nuovo Trattato UE (cfr. art. 24 par. 3). Sotto il profiloesterno, ossia dei rapporti con i paesi o soggetti non comunitaricontraenti, si deve applicare l’indirizzo comunque ricavabiledall’impianto complessivo della Convenzione sul diritto deitrattati da cui emerge come non possa ammettersi, almeno nonad oggi, l’esistenza di una norma di diritto internazionale gene-rale in forza della quale agli Stati membri di un’organizzazioneinternazionale si estenda automaticamente la responsabilità perobblighi assunti dall’organizzazione medesima mediante un ac-cordo internazionale di quest’ultima30.

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30 Tale conclusione, tuttavia, è ritenuta comunque sottoposta a possibile revi-

Il Trattato di Lisbona elude la soluzione delle questioni pro-blematiche sopra brevemente esposte introducendo una normache, rispetto al precedente art. 24 TUE, molto più laconicamentericonosce all’Unione la capacità di concludere accordi con Statio organismi internazionali nei settori riconducibili alla politicaestera (art. 37 del nuovo TUE). La brevità della disposizione sipotrebbe spiegare alla luce delle seguenti considerazioni.

Oltre alla banale constatazione del conferimento nelle manidi un singolo soggetto (Unione europea) della competenza aconcludere accordi internazionali, rileva anche la diversa strut-turazione di tale competenza sotto il profilo istituzionale. Le ri-forme di Lisbona, infatti, conferiscono una specifica funzione

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rement – se la prassi dovesse fare emergere circostanze sufficienti a farla ritenere su-perata – e va letta alla luce di alcune interpretazioni differenti. La stessa Corte digiustizia comunitaria ha d’altronde affermato la piena condivisione di responsabilitàtra Stati membri e Comunità europea quantomeno nel caso di accordi dai qualiemerga il coinvolgimento di competenze degli Stati membri accanto a quelle comu-nitarie, come nel caso di accordi misti, per i quali normalmente non viene (almenonon esternamente, ossia nei confronti del terzo contraente) operata una netta sepa-razione tra settori in cui rilevi la competenza dell’una o dell’altra tra le due parti co-contraenti (Stati membri e Comunità, cfr. Sentenza 2.3.1994, causa C-316/91, Par-lamento/Consiglio, cit. supra nota 9). Si richiamano anche le considerazioni svoltesupra, nota 19: il tema della responsabilità dell’Unione per atti di propri agenti – in-viati dagli Stati membri nelle missioni dell’Unione con strumenti di PESC o PESD– assume un certo rilievo in quanto l’Unione, in particolare tramite il regime deiSOMA o SOFA (sinora basati sull’art. 24 e, in futuro, presumibilmente basati sul-l’art. 37 del nuovo TUE), disciplina il regime delle immunità di tali agenti. Riman-gono però aperte tanto la questione della compatibilità tra tale regime delle immu-nità e la responsabilità per atti illeciti di tali agenti quanto la questione della imputa-bilità, alternativa o congiunta, a Stati e Unione della responsabilità per tali atti. In talisettori, peraltro, un problema ulteriore è posto dall’assenza di competenza dellaCorte di giustizia non solo ad applicare ma anche ad interpretare gli accordi del-l’Unione. Lisbona conferma questo dato proveniente dall’impostazione delle com-petenze della Corte nei due pilastri intergovernativi sin dal Trattato di Maastricht(cfr. art. 46 del precedenteTUE). Tuttavia, anche in tale ambito una recente giuri-sprudenza (tra cui il citato caso Gestoras pro-amnistia, cit. nota 22 e anche la Sen-tenza del Tribunale di primo grado del 12.7.2006 nei casi Hassan in causa T-49/04 eAyadi in causa T-253/02) si è dimostrata favorevole a ritenere che almeno alcunespecifiche forme di tutela possano essere applicate anche nei settori in questione.

negoziale, oltre che di rappresentanza esterna dell’Unione (con-divisa con il Presidente del Consiglio europeo, che però ha fun-zioni di rappresentanza eminentemente politica), all’Alto rap-presentante che, ai sensi dell’art. 218 del nuovo TUE, assume ilcompito di presentare raccomandazioni ad avviare negoziatispecificamente nell’ambito della politica estera. L’ulteriore pre-visione secondo la quale il Consiglio, nella decisione che acco-glie positivamente la raccomandazione, designa anche il nego-ziatore, rafforza il potere decisionale dell’organo consiliarestesso, che può decidere di reperire tale figura dall’organico nonsolo della Commissione europea (come sostanzialmente è avve-nuto sino ad oggi e come probabilmente continuerà ad avvenireper i settori diversi dalla politica estera) ma anche dell’Alto rap-presentante (si pensi al sopra citato Servizio europeo per l’azio-ne esterna).

Più problematica risulta l’analisi delle motivazioni sottese al-l’eliminazione della clausola d’esenzione. Sebbene tale elimina-zione sia stata sostenuta da più parti nel corso della Conven-zione preparatoria del progetto di Trattato costituzionale, essapotrebbe essere esaminata sotto un altro punto di vista, tenendoconto delle recenti riforme introdotte dal trattato di Lisbona.

Il riferimento, nell’art. 24 n. 5 del precedente TUE, al fattoche, nel consesso consiliare, qualsiasi Stato si sarebbe potuto op-porre all’efficacia vincolante dell’accordo nei suoi confronti permotivi connessi al rispetto delle proprie procedure costituzio-nali, coincideva alla necessità di garantire l’equilibrio istituzio-nale interno ricavabile dalle carte fondamentali nazionali (o co-munque riscontrabile negli ordinamenti giuridici degli Statimembri), in particolare nel settore concernente la conclusione diaccordi internazionali. La ratio della norma, anche come emer-gente dalla prassi seguita di recente dall’Unione, aggancia la pos-sibilità di sollevare l’eccezione in essa contenuta alla eventualeviolazione di disposizioni nazionali di rango costituzionale toutcourt. In effetti, potrebbe concludersi come la clausola di esen-zione non fosse altro che una norma di “garanzia” ai fini delpieno rispetto di principi, tanto procedurali quanto sostanziali,dell’ordinamento nazionale. Ciò permette di far venire in gioco

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il ruolo parlamentare. Al riguardo, è banale constatare come ilTrattato di Lisbona confermi l’esclusione del Parlamento euro-peo dalla formazione della politica estera dell’Unione. Se si faeccezione per alcuni aspetti marginali (ad es. l’obbligo per l’Altorappresentante di informare il Parlamento e di fare in modo chele valutazioni di quest’ultimo siano “debitamente prese in con-siderazione” nel Consiglio, cfr. art. 36 che nell’attuale formula-zione richiama il precedente art. 21), l’esclusione è resa mag-giormente esplicita nella norma sulla conclusione degli accordidell’Unione (art. 218 par. 6 TFUE), dove recita chiaramente cheil Consiglio può decidere previa approvazione o consultazionedel Parlamento europeo tranne quando l’accordo riguarda esclu-sivamente la politica estera e di sicurezza comune. A tale previ-sione, ovviamente, va accompagnata la già accennata laconicitàdella disposizione specifica sulla conclusione degli accordidell’Unione in politica estera.

L’esclusione del Parlamento europeo dalla partecipazionealla politica estera dell’Unione non sembra nemmeno esserecompensata dal rilanciato ruolo che, con il Trattato di Lisbona,assumono i parlamenti nazionali in base ai protocolli n. 1 (sulruolo dei parlamenti nazionali) e n. 2 (sull’applicazione dei prin-cipi di sussidiarietà e di proporzionalità). Queste fonti consen-tono un intervento diretto e, comunque, sinora non contemplatoa livello comunitario (almeno non negli stessi termini), nella fasecd. ascendente, ossia formativa, degli atti di diritto derivato del-l’Unione diversi da accordi , in particolare là dove rilevi una pos-sibile infrazione del criterio di sussidiarietà da parte del-l’Unione. Concretamente, si prevede che una certa quota di votiattribuiti ai parlamenti nazionali degli Stati può portare al rie-same di una proposta di atto da parte delle istituzioni del-l’Unione. Se queste, poi, ritengano di mantenere l’atto, ciò puòcondurre eventualmente a interrompere, già dopo la prima let-tura, l’esame della proposta normativa in seno all’Unione. Comerilevato, tra gli atti dell’Unione oggetto di queste nuove proce-dure di controllo ex ante, come concepite nei menzionati proto-colli, non figurano gli accordi dell’Unione. Ovviamente, quandoci riferiamo a tale particolare categoria di fonti, potremmo rife-

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rirci a tutti gli accordi di quest’ultima, ossia tanto a quelli rela-tivi alla politica estera (art. 37 del nuovo TUE) quanto a quellirelativi all’azione esterna dell’Unione (cfr. artt. 216 ss. TFUE,più altre disposizioni ad hoc, ad es. art. 191 TFUE in materia ditutela ambientale e l’implicito riconoscimento di competenzeesterne dell’Unione nel settore della cooperazione giudiziaria siacivile che penale e di polizia, cfr. artt. 81, 82, 83, 86, 87 e 89TFUE cui si collega la possibilità, per l’Unione, di concludereaccordi internazionali (cfr. art. 218 lett. a e b). Ebbene, deve in-nanzitutto osservarsi che, dalla norma da ultimo citata, in parti-colare nelle indicate lettere a) e b), emerge che il Parlamento eu-ropeo deve essere coinvolto almeno tramite l’obbligo (per l’isti-tuzione consiliare) di consultazione, mentre nulla di analogopuò ricavarsi per quanto concerne gli accordi in materia di poli-tica estera. Quindi, se è vero che entrambe le categorie di accordi– quelli di politica estera e quelli che insistono su altre materie –,non sono sottoposte al vaglio dei parlamenti nazionali in virtùdei sopra citati protocolli, è vero anche che gli accordi diversi daquelli di politica estera sono quantomeno sottoposti, prima dellaloro conclusione, al vaglio del Parlamento europeo.

In buona sintesi, solo gli accordi di politica estera, nel dise-gno di Lisbona, sono sottratti a qualunque tipo di vaglio parla-mentare, sia esso di livello nazionale o sovra-nazionale. Se a ciòsi aggiunge che la nuova norma sugli accordi dell’Unione (cfr.art. 37 del nuovo TUE) elimina dal proprio testo la possibilitàper ciascuno Stato di attivare la clausola d’esenzione vigenteprima delle riforme di Lisbona, deve concludersi che, primafacie, questa categoria di accordi appare, tanto più dopo tali ri-forme, sottratta a qualsiasi tipo di controllo ex ante.

La conclusione sopra raggiunta appare deprecabile almenoin considerazione del fatto che l’approccio del Trattato di Li-sbona sarebbe quello di rilanciare la maggiore democraticità delsistema, in particolare tramite il consolidamento del ruolo delParlamento europeo in quanto organo co-legislatore del-l’Unione e la partecipazione dei parlamenti nazionali alla forma-zione degli atti dell’Unione stessa. Tale conclusione potrà, even-tualmente, essere confutata solo in base ad una prassi dalla quale

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potrebbe emergere che, da un lato, gli Stati membri faranno ri-corso a quelle clausole procedurali volte a ostacolare, in unmodo o nell’altro, le procedure decisionali per la conclusionedegli accordi dell’Unione e che, dall’altro lato, il Parlamento eu-ropeo potrebbe esercitare un controllo più “pressante” sull’ope-rato dell’organo consiliare tramite lo strumento del dialogo di-retto con il vice-presidente della Commissione/Alto rappresen-tante.

Una funzione, ancora una volta, particolarmente significa-tiva potrebbe essere assunta da quello strumento di pressione“politica” che è rappresentato dalla mozione di censura, che,come noto, concerne solo l’operato del Collegio e non dei sin-goli commissari. Non sembra insomma azzardato immaginareche il Parlamento possa avvalersi della mozione per esercitareuna pressione significativa sull’operato dell’Alto rappresentante,anche quando questi assuma la veste di vice-presidente dellaCommissione incaricato dell’azione esterna dell’Unione. Ma lamozione potrebbe riguardare formalmente quest’ultimo, an-dando però ad incidere sostanzialmente sull’operato dell’Altorappresentante quale responsabile della politica estera del-l’Unione. Si può ad esempio pensare che questo avvenga quandol’Alto rappresentante non tenga in considerazione le valutazioniparlamentari o non le difenda nel Consiglio, come previsto dal-l’art. 36 del nuovo TUE. In modo più incisivo, se un determi-nato accordo dell’Unione (cfr. art. 37 del nuovo TUE) insistessein parte su materie di politica estera e in parte su materie diazione esterna dell’Unione, il Parlamento o un’altra istituzionepotrebbero lamentare, a seconda dei casi, un’invasione da partedel Consiglio, tramite l’Alto rappresentante, delle competenzedi altre istituzioni, ad esempio, di quelle della Commissione eu-ropea, per quanto attiene alla fase di proposta, e/o di quelle delParlamento europeo stesso, per quanto attiene alla fase decisio-nale per la conclusione dell’accordo stesso. Vale la pena accen-nare al fatto che tale ultima ipotesi potrebbe essere sottopostaanche al vaglio della Corte di giustizia. Infatti, nel Trattato di Li-sbona si ribadisce la possibilità di un conflitto tra poteri del-l’Unione da sottoporre, se del caso, al vaglio dell’organo giuri-

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sdizionale tramite il mezzo del ricorso per annullamento. Il mo-tivo di merito dell’azione che il Parlamento o la Commissionepotrebbero intraprendere – quali parti cd. privilegiate in un con-tenzioso per l’annullamento di atti dell’Unione – potrebbe ri-guardare la violazione dell’art. 40 del nuovo TUE, che disponeche l’attuazione della politica estera non può incidere a detri-mento delle altre competenze dell’Unione di cui agli articoli da3 a 6 TFUE e delle relative procedure decisionali ad esse appli-cabili.

4. La Commissione

4.1 Profili istituzionali

Il nuovo trattato sull’Unione europea (articolo 17 TUE)conferma la missione e i compiti della Commissione: accanto alpresidente del Consiglio europeo e all’Alto rappresentante, laCommissione si consolida come terza istanza chiamata a rap-presentare l’Unione.

In linea di principio, la Commissione, all’art. 17, paragrafo 2del nuovo TUE, si conferma come istituzione detentrice del di-ritto di iniziativa sul piano legislativo, anche se tale diritto è con-diviso con altri soggetti, Stati membri inclusi, in diversi settori.In via generale, poi, l’art. 289 n. 2 del TFUE prevede che, là doveprevisto dal trattato, gli atti legislativi possono essere adottati suiniziativa di un gruppo di Stati membri o del Parlamento euro-peo, nonché su raccomandazione della Banca centrale europea osu richiesta della Corte di giustizia e della Banca europea per gliinvestimenti. Tale cessione del diritto di iniziativa da parte dellaCommissione ai soggetti indicati avviene sia che si debba seguirela procedura legislativa ordinaria – cfr. espressamente art. 294 n.15 TFUE, che prevede comunque la possibilità di un parere daparte della Commissione sul progetto di atto di iniziativa non-Commissione – sia che si debba adottare la procedura legislativaspeciale.

La novità principale del trattato di Lisbona riguarda però la

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composizione della Commissione: questa, infatti, a partire dal1.11.2014, dovrebbe essere composta da un numero di membripari ai 2/3 del numero degli Stati membri. Sulle premesse nego-ziali di tale nuova previsione si può ricordare come la questionedella riduzione del numero dei commissari sia stata affrontata dalTrattato di Amsterdam e poi formalizzata nel trattato di Nizzatramite il Protocollo sull’allargamento (n. 10 allegato al TrattatoCE), che prevedeva tale riduzione tramite decisione unanime delConsiglio e a far data dal raggiungimento di quota 27 Stati mem-bri (come noto, tale evento si è verificato definitivamente con l’en-trata in vigore del Trattato di adesione di Bulgaria e Romania il1.1.2007). Si ricorderà che, sino all’allargamento dell’Unione a 27Stati, l’art. 213 TCE prevedeva che la Commissione fosse compo-sta da un numero di “almeno” un cittadino di ciascuno degli Statimembri, senza che però si potesse superare il numero di due com-missari della stessa nazionalità. Peraltro, questa regola è stata in-terpretata a favore dei Paesi grandi e, successivamente alla suaadesione, alla Spagna. Durante i negoziati per l’allargamento aipaesi dell’Europa centro-orientale, la Polonia, avente un rapportopopolazione-territorio sostanzialmente simile a quello della Spa-gna, ha condotto una vivace battaglia per ottenere lo stesso tratta-mento della Spagna. In via compromissoria e, comunque, nellaprospettiva della riduzione, fu poi deciso di assegnare un com-missario a ciascuno Stato.

La quota definitiva dei 2/3, indicata all’art. 17 par. 5 delnuovo TUE, si ricava dal meccanismo fissato proprio al citatoProtocollo sull’allargamento introdotto dal trattato di Nizza,nel punto in cui si specifica che, sulla premessa della riduzionedel numero dei commissari, “lo scarto tra il numero totale deimandati detenuti da cittadini di due Stati membri non può maiessere superiore a uno” e che “ciascuno dei collegi successivi è co-stituito in modo da riflettere in maniera soddisfacente la molte-plicità demografica e geografica degli Stati membri de-l’Unione”31.

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31 Successivamente, il Consiglio europeo del dicembre 2008 ha rammentatocome dai trattati allora vigenti si dovesse ricavare che la riduzione del numero di

Il trattato di Lisbona rafforza il ruolo del presidente dellaCommissione in quanto è questi che dovrà più chiaramente de-cidere l’organizzazione interna della Commissione. Egli inoltredeve dare il proprio assenso alla nomina dell’Alto rappresen-tante mentre i commissari dovranno dimettersi su sua richiesta.Il regolamento interno del Consiglio europeo assegna anche unruolo specifico al presidente della Commissione nella prepara-zione dei lavori del Consiglio europeo stesso. Il trattato di Li-sbona rafforza la legittimità democratica del Presidente del Col-legio in ragione della sua elezione da parte del Parlamento euro-peo e per il fatto che il Consiglio europeo, prima di nominare ilproprio candidato, ha l’obbligo di tenere in considerazione i ri-sultati delle elezioni del Parlamento europeo. I partiti politiciche siedono nel Parlamento europeo potrebbero rafforzare ulte-riormente tale legittimità presentando il loro candidato alla pre-sidenza della Commissione durante la campagna elettorale per leelezioni del Parlamento europeo.

4.2 Funzioni della Commissione nella formazione delle rela-zioni esterne e della politica estera dell’Unione. In generale

Sino ad oggi, e ancora mentre stiamo scrivendo, la Commis-sione agisce su più fronti e mediante diversi strumenti del dirittocomunitario e dell’Unione in tema di relazioni esterne e di poli-tica estera. Il quadro della ripartizione tra competenze del Con-siglio e del Parlamento, da un lato, e quelle della Commis-

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membri della Commissione, pur fissata nel Protocollo sull’allargamento a far datadall’entrata in vigore del Trattato su Romania e Bulgaria, potesse diventare effettivasoltanto nel 2009, cioè in coincidenza con il nuovo periodo di legislatura successivoalle elezioni del Parlamento europeo, anche in ossequio al principio del controllodemocratico che il Parlamento esercita sull’organo “esecutivo” dell’Unione. Al-l’esito del Consiglio europeo del 2008 è stato convenuto di prendere una decisionesolo a condizione che il trattato di Lisbona fosse in vigore e nel rispetto delle pro-cedure giuridiche necessarie, e che, diversamente, la Commissione dovesse conti-nuare a includere un cittadino di ciascuno Stato membro (ciò che peraltro era giàsancito nello stesso Protocollo sull’allargamento annesso al Trattato CE), sostan-zialmente rimanendo in vigore quanto previsto dall’art. 213 TCE, come modificatodal Trattato di Nizza.

sione,dall’altro lato, viene modificato dal Trattato di Lisbona,nella materia di cui ci stiamo occupando, in particolare in virtùdella creazione dell’istituto dell’Alto rappresentante. È questa lavera novità del sistema che intende segnare un passo in avantiverso la maggiore unitarietà e rappresentanza nell’ambiente in-ternazionale dell’Unione in quanto soggetto finalmente unita-rio. Altre considerazioni, ovviamente, vanno condotte riguardoal Servizio europeo per l’azione esterna, con i già segnalati ele-menti di scarsa chiarezza derivanti dal testo dei trattati e cheplausibilmente verranno chiariti nei mesi seguenti.

Certo, sul piano istituzionale si verificano alcune sovrappo-sizioni in qualche modo inedite rispetto al passato. In partico-lare, si dovrà verificare l’esatto confine tra i ruoli che, rispettiva-mente, assumeranno presidente del Consiglio europeo (la cuifunzione di rappresentanza è comunque limitata alle materie re-lative alla politica estera, cfr. art. 15 del nuovo TUE) e alto rap-presentante (là dove l’art. 18 nell’attuale formulazione specificaal n. 2 che egli o ella guida la politica estera e di sicurezza co-mune).

Un quid che qualifica nel merito il ruolo dell’Alto rappre-sentante, particolarmente rispetto al ruolo del presidente delConsiglio europeo, riguarda l’attribuzione al primo del compitodi vigilare sulla coerenza dell’azione esterna dell’Unione, ciò cheviene precisamente indicato nel par. 4 del citato art. 18, relativoalla funzione dell’Alto rappresentante in veste di vice-presidentedella Commissione, da cui conseguirà per quest’ultimo l’assun-zione “delle responsabilità che incombono a tale istituzione nelsettore delle relazioni esterne e del coordinamento degli altriaspetti dell’azione esterna dell’Unione”. Tuttavia, qualche mar-gine di ambiguità rimane. Infatti, se per azione esterna, come in-dicata al citato art. 18 n. 4, ci si limita a un riferimento tecnicoalla Parte quinta del TFUE, la funzione di vigilanza sulla coe-renza di tale stessa azione assume una valenza meno significativain quanto semplice conseguenza diretta dell’incarico di vice-pre-sidente della Commissione. Se invece l’indicata funzione di vigi-lanza dovesse applicarsi al concetto di azione esterna quale rica-vabile dall’art. 21 del nuovo TUE, disposizione che imposta in

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toto gli obiettivi delle relazioni internazionali dell’Unione, alloracertamente il ruolo dell’Alto rappresentante acquista un diversosignificato, allo stesso tempo più penetrante e più ampio, conconseguenze dirette anche sulla funzione di vice-presidentedella Commissione e, quindi, sulle competenze di quest’ultimarispetto all’azione delle altre istituzioni (Consiglio europeo eConsiglio dell’Unione) nel medesimo settore.

Sino ad oggi, la Commissione europea ha rivendicato su disé un potere di rappresentanza esterna della Comunità europeaalmeno de facto ed in coerenza con il modello della proceduraclassica di conclusione degli accordi internazionali della Comu-nità (v. artt. 133 e 300 TCE) che, in effetti, imputa alla Com-missione – e non alla Presidenza del Consiglio – quella stessafunzione negoziale che è l’asse portante delle relazioni esternecomunitarie. Su questo punto, occorre precisare che sino a Li-sbona il Consiglio, da un lato, aveva il potere di vincolare le de-terminazioni della Commissione mediante “direttive” di nego-ziato che quest’ultima era tenuta a rispettare, ma, dall’altrolato, non poteva modificare il testo dell’accordo risultante al-l’esito del negoziato stesso e come proposto dalla Commis-sione mediante raccomandazione al Consiglio per la decisionedi conclusione. Nel settore degli accordi comunitari, dunque,sino ad oggi abbiamo assistito ad uno strano fenomeno inversorispetto a quello relativo alla formazione degli altri atti comu-nitari, dove è prerogativa del Consiglio quella di adottare l’attotramite procedure che implichino sempre una parziale modificadell’atto originariamente proposto (emblematicamente ciò av-viene nella procedura di codecisione, dove il potere di modificaè pienamente condiviso con il Parlamento europeo). Su taliprofili non va nemmeno sottaciuto il ruolo degli Stati membri,in particolare nella negoziazione di accordi misti. Tale ruolo èstato d’altronde codificato all’art. 133 n. 6 TCE in materia di ac-cordi insistenti su particolari settori materiali. In pratica, nel si-stema pre-Lisbona, si prevedeva un parallelismo tra fase di ne-goziato e conclusione degli accordi, nel senso che, se per laprima fase fosse stata prevista la partecipazione degli Stati, ciòavrebbe implicato la necessità di conclusione degli accordi

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stessi anche da parte degli Stati, ai fini dell’entrata in vigoredegli accordi stessi. Nella nuova disposizione dell’art. 207 taleprecisazione sembra venire meno in ragione del fatto che ilmantenimento del criterio all’unanimità in Consiglio è stato ri-tenuto sufficiente a garantire la tutela di interessi nazionali siadurante i negoziati che nella fase di conclusione degli accordi(cfr. art. 207 nn. 5 e 6 TFUE). Non va tuttavia escluso in gene-rale il permanere della necessità di una ratifica a livello nazio-nale degli accordi che insistano su materie solo in parte di com-petenza dell’Unione.

Con una frase inserita nel contesto della definizione dellecompetenze della Commissione, all’art. 17 par 2 del nuovo TUEsi afferma che la Commissione “assicura la rappresentanza ester-na dell’Unione”, ad eccezione dei settori inerenti alla “politicaestera e di sicurezza comune e per gli altri casi previsti dal Trat-tato”. Questa frase pare nascondere almeno un paio di insidie.La prima relativa al fatto che alla Commissione non è conferitala rappresentanza dell’Unione bensì il compito di assicurare talerappresentanza. Dalla particolare locuzione utilizzata, trasparel’idea di una funzione ancillare della rappresentanza di cui siparla, che la Commissione deve assicurare in tutti i casi, ad esem-pio, in cui non siano ancora presenti delegazioni dell’Unione inun determinato Paese terzo o nei casi in cui si debba garantire uncarattere di unitarietà alla manifestazione di volontà dell’Unionein contesti negoziali particolarmente complessi quali, ad esem-pio, quelli multilaterali o nei quali concorrano competenze co-munitarie (che da ora in poi saranno solo “dell’Unione”) conquelle nazionali o ancora se rilevino profili di politica estera e disicurezza comune. È forse opportuno altresì ribadire comel’Alto rappresentante per la politica estera assuma le funzioni divice-presidente della Commissione con la responsabilità del set-tore dell’azione esterna. L’art. 18 par. 4 del nuovo TUE su que-sto punto nulla aggiunge, nel senso che non sembra riferirsi alfatto che il precedente art. 17 n. 2 affida alla Commissione il sud-detto compito di assicurare la rappresentanza esterna del-l’Unione. Quindi, il vice-presidente della Commissione non as-sume quel ruolo di rappresentanza per le materie riconducibili al

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titolo del TFUE sull’azione esterna dell’Unione che invece, nelsettore della politica estera, assume pienamente in qualità diAlto rappresentante (cfr. art. 27 n. 2).

Sul piano dei contenuti e dei rapporti di ordine verticale conle competenze statuali, la Commissione ha sino ad oggi eserci-tato il suo diritto di iniziativa tanto in base a norme dei trattaticonferenti esplicite competenze esterne comunitarie – a tale ri-guardo, rilevavano la citata norma dell’art. 133 TCE concer-nente la competenza a concludere accordi commerciali, le di-sposizioni in materia di cooperazione allo sviluppo (artt.181 ss.TCE) e accordi di associazione (art. 310 TCE) nonché quelledegli articoli 111 e 175 TCE concernenti, rispettivamente, il set-tore dei regimi di cambio con valute diverse dall’Euro e quellodegli accordi di cooperazione in materia di tutela ambientale –,quanto implicitamente in virtù del noto criterio del parallelismotra competenze interne e competenze esterne della Comunità(cfr. art. 3 n. 2 e art. 216 TFUE). Seguendo questo approccio, cheha realizzato il conferimento alla Comunità di competenze tantoesplicite quanto implicite, la Commissione ha assunto il ruolo diattore principale delle relazioni esterne della Comunità europea.Peraltro, questa conclusione sembra confermata dalle riforme diLisbona. Da questo punto di vista, anzi, tale trattato segna unprogresso rispetto al passato, sostanzialmente trasferendo in unanorma esplicita – art. 216 TFUE – i citati criteri sostanziali rela-tivi all’individuazione ed all’esercizio di competenze esterne im-plicite della Comunità (oggi Unione europea).

Diversa valutazione va fatta per quanto attiene ai pilastri in-tergovernativi rappresentati dalla politica estera e dalla coopera-zione giudiziaria in materia penale. Per questi due ultimi ambiti,infatti, gli articoli 24 e 38 del TUE hanno contemplato una pro-cedura affidata alle responsabilità dell’organo consiliare, là dovela funzione negoziale è stata assegnata alla presidenza di turnodel Consiglio (se del caso assistita dall’Alto rappresentantePESC), cui spettava il primario e iniziale compito di designare lapersona in grado di impegnare, con la propria firma, l’Unione(cd. plenipotenziario). Tale situazione cambierà almeno parzial-mente con il Trattato di Lisbona, che, innanzitutto, conferirà alla

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Presidenza del Consiglio europeo la funzione rappresentativadell’Unione nei settori di politica estera e di difesa, ma con unapiù evidente condivisione di tale funzione insieme all’Alto rap-presentante. In effetti, su questo punto le riforme di Lisbonasono laconiche, potendo da esse ricavarsi che la precedente di-stinzione tra accordi dell’Unione e quelli della Comunità man-tiene una qualche rilevanza solo nella misura in cui le due di-verse categorie di accordi si riferiscano, alternativamente, allapolitica estera e di sicurezza comune (art. 37 del nuovo TUE) oalle altre politiche confluite all’interno della cd. azione esternadell’Unione (artt. 205 ss. TFUE).

Un’indicazione si ricava dal già citato art. 218 TFUE, nelpunto in cui si indica che il diritto di iniziativa, tramite sottopo-sizione al Consiglio di raccomandazioni a negoziare, spetta, peri due gruppi di settori, alternativamente all’Alto rappresentantee alla Commissione. Tale previsione, tuttavia, solleva alcune per-plessità almeno là dove indica che l’Alto rappresentante po-trebbe avanzare la raccomandazione anche se l’accordo riguar-dasse principalmente, e non solo esclusivamente, la politicaestera. Inoltre, l’art. 300 TCE prevedeva che, una volta ottenutal’autorizzazione consiliare, alla Commissione spettasse istitu-zionalmente la conduzione dei negoziati, mentre con Lisbona siprevede che, con l’autorizzazione a negoziare, il Consiglio desi-gni anche il negoziatore a seconda del settore materiale dell’ac-cordo.

In questo contesto formale, una particolare situazione si creaper gli accordi concernenti la cooperazione di giustizia. Comenoto, questa materia è stata progressivamente comunitarizzata,prima con riferimento al settore della giustizia civile (v. TitoloIV del Trattato CE), poi con inserimento nel TFUE delle dispo-sizioni che, fino a Lisbona, concernevano il cd. terzo pilastrodell’Unione, relativo alla cooperazione giudiziaria penale e dipolizia. Tutte queste materie (cooperazione giudiziaria civile,penale e di polizia) insieme alle politiche concernenti la circola-zione delle persone e alle politiche migratorie sono incluse nelTitolo V della Parte prima del TFUE concernente la definizionedello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Sul piano procedu-

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rale, le disposizioni contenute in questo titolo prevedono alter-nativamente il ricorso alla procedura legislativa ordinaria o aquella speciale, quest’ultima in genere inclusiva del Parlamentoeuropeo tramite sua consultazione da parte del Consiglio. Inquesti casi, all’affermazione della competenza sul piano internodell’Unione coincide l’insorgere della competenza a stipulareaccordi da parte dell’Unione stessa. Ciò è quello che si ricavadalla lettura dell’art. 218 lett. a, punto v (concernente la compe-tenza a stipulare sulla base della dell’approvazione del Parla-mento europeo, se l’accordo riguarda settori in cui gli atti sonoconclusi secondo la procedura legislativa speciale) e lett. b (con-cernete la competenza a stipulare sulla base della semplice con-sultazione del Parlamento europeo, in tutti gli altri casi). In par-ticolare, gli articoli. 81, 82, 83, 86, 87 e 89 TFUE, nell’imputarespecifiche competenze normative in capo all’Unione (secondoprocedure tanto ordinarie quanto speciali, queste ultime possi-bilmente inclusive dell’approvazione del Parlamento), sembranoaltresì radicare una competenza – anche se solo concorrente, cfr.art. 4 TFUE – a stipulare dell’Unione, così risolvendosi un ap-parente vuoto normativo creato dall’eliminazione dell’art. 38TUE, che invece contemplava espressamente tale competenza astipulare dell’Unione europea accanto a quella già riconosciutadel precedente art. 24 TUE per gli accordi di politica estera.Sembra doversi concludere che, anche in questi settori, la Com-missione, e non l’Alto rappresentante, dovrebbe assumere lacompetenza a sottoporre la raccomandazione ad avviare even-tuali negoziati, ai sensi del par. 3 dell’art. 218 TFUE.

Le conclusioni qui esposte andrebbero comunque lette allaluce della disposizione più generale di cui all’art. 216 TFUE,concernente una manifestazione formale del già citato criteriodel parallelismo tra competenze interne ed esterne dell’Unione.Così come formulata, tale previsione sembrerebbe consentire unpiù ampio ricorso allo strumento degli accordi da parte del-l’Unione, al ricorrere delle condizione in esso indicate. Ovvia-mente, la disposizione non si applica alle materie relative alla po-litica estera (cfr. art. 37 del nuovo TUE).

Nel settore della politica estera la Commissione non acqui-

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sta particolari prerogative rispetto a quelle ad essa già conferitedal sistema precedente o, almeno, le disposizioni che prevedanotali prerogative potranno essere meglio interprete alla luce dellaprassi che ne potrà discendere. Così, l’art. 21, ult. paragrafo, as-socia la Commissione al Consiglio per realizzare la “coerenza”dell’azione esterna dell’Unione, qui intesa in senso ampio ossiacomprensiva anche di obiettivi e strumenti ricavabili dal Trattatosul Funzionamento dell’Unione a partire dalla parte quinta diquest’ultimo. L’art. 22 inoltre prevede che Stati membri e l’altorappresentante, quest’ultimo anche “con l’appoggio della Com-missione”, possono presentare proposte nel settore della politicaestera. In questo caso sembra che il trattato intenda riconoscerela difficoltà intrinseca di scindere le funzioni dell’alto rappre-sentante come istituzione guida della politica estera dell’Unioneo come vice-presidente della Commissione, posto a guida invecedelle cd. relazioni esterne dell’Unione. In ogni caso, tra obiettivie strumenti dell’ex pilastro comunitario e dell’ex pilastro inter-governativo sembrano instaurarsi rapporti in qualche modo in-dissolubili, con conseguente necessità che anche la Commis-sione sia coinvolta come istituzione proponente della politicaestera dell’Unione.

4.3 (segue) Il potere della Commissione di concludere accordiin base a norme scritte

Su questo tema si riscontra la sussistenza tanto di disposi-zioni quanto di prassi entrambi conferenti espressa compe-tenza all’organo collegiale dell’Unione. Innanzitutto va ricor-dato che lo stesso art. 300 TCE, relativo alla generale proce-dura di conclusione di accordi comunitari da parte dellaComunità (oggi corrispondente all’art. 218 TFUE), al par. 2conteneva una frase indicativa del riconosciuto ruolo dellaCommissione in materia e secondo cui, stabilendo la funzionedecisionale del Consiglio (da temperare eventualmente con lafunzione consultiva del Parlamento) e quella generalmente ne-goziale della Commissione, erano fatte salve “le competenze ri-conosciute alla Commissione in questo settore”. La norma ri-

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sultava avere una portata certamente generale e, come tale, ca-pace di rivolgersi anche agli ambiti già accennati degli accordidi sede ed a quelli di collegamento parimenti stipulabili dallaCommissione.

Sul tema di un più generale treaty making power del Colle-gio rileva la disposizione dell’art. 300 n. 4 TCE, che non si ri-trova riprodotta nell’attuale art. 218 TFUE: sulla base di talenorma la Commissione ha esercitato un ampio potere negoziale“autonomo” in sede internazionale, anche se si tratta per l’ap-punto di una previsione che presuppone l’esistenza di un ac-cordo di base del Consiglio, cioè concluso seguendo la proce-dura classica secondo cui al Consiglio stesso spetta di decidere, aseconda dei casi, a maggioranza o all’unanimità, sulla conclu-sione dell’accordo. La prassi ha quindi consolidato un poteredella Commissione a concludere accordi aventi una sostanzialenatura “esecutiva”, cioè di realizzazione concreta degli obiet-tivi di un accordo più generale che contenga una forma di abi-litazione in tal senso dal Consiglio a favore della Commis-sione. Normalmente, tale abilitazione è contenuta nella deci-sione di conclusione dell’accordo di base, che è appunto unatto del Consiglio adottato ai sensi della procedura ordinaria dicui all’art. 300. La prassi prevalente ha riguardato la delegaconsiliare a favore della Commissione a concludere accordicon Stati terzi relativi a rapporti instaurati in base ad accordi diassociazione o cd. di associazione e stabilizzazione (ma ancheper i casi di accordi cd. euro-mediterranei o di partenariato ecooperazione) conclusi dal Consiglio ai sensi dell’art. 310 TCE(cfr. art. 217 TFUE). In pratica, in questi casi avviene che, con-cependo tali accordi l’istituzione di organismi interni – quali idiversi comitati misti, normalmente presieduti da rappresen-tanti della Commissione europea e cui partecipano esponentidei governi dei paesi associati –, la Commissione stessa sia abi-litata direttamente dal Consiglio a portare avanti le relazionibilaterali con lo Stato terzo per realizzare gli obiettivi dell’ac-cordo principale.

Dal sistema di Nizza il potere della Commissione di conclu-dere accordi scaturiva altresì dal sistema di relazioni con il Con-

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siglio, pur basato sulle sintetiche indicazioni derivanti dagli arti-coli 202 e 211 TCE. In particolare, la prima delle norme indicateha consentito alla Commissione di svolgere un’intensa attività direlazioni internazionali sotto l’egida della delega consiliareespressa non mediante accordo bensì mediante atti di diritto de-rivato. Ciò ha riguardato particolarmente le relazioni tra la Co-munità europea e l’Organizzazione mondiale del Commercio,in conformità con un impianto generale delle relazioni tra talidue organizzazioni che, in virtù della presenza dell’art. 133 TCE(corrispondente, come già indicato, all’art. 207 TFUE), concer-nente gli accordi internazionali relativi a rapporti commercialicon paesi terzi, imputano alla Comunità una competenza esclu-siva32.

Un altro ambito sopra parimenti accennato è quello degli ac-cordi di collegamento con altri organismi internazionali. Inprimo luogo, l’art. 220 TFUE non distingue più tra situazioni incui la Commissione o, alternativamente, la Comunità possonoconcludere accordi di collegamento (con le N.U. art. 302 TCE),di cooperazione (con il Consiglio d’Europa, art. 303) o di colla-borazione (con l’OCSE, art. 304 TCE). Queste distinzionierano coerenti con il fatto che alla Commissione venisse ricono-sciuto un potere proprio di concludere accordi di carattere am-ministrativo, comunque non insistenti su aspetti sostanziali peri quali la Commissione stessa avrebbe semmai dovuto, semprestando al sistema pre-Lisbona, ottenere mandato a negoziareprevia presentazione della relativa raccomandazione al Consi-glio (cfr. art. 300 TCE). Peraltro, a sottolineare il carattere “am-

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32 Analoga funzione è stata attribuita alla Commissione in atti di diritto deri-vato, prevalentemente direttive, relative al settore bancario e finanziario, in parti-colare al fine di estendere a paesi terzi, mediante accordi internazionali conclusi, perl’appunto, dalla Commissione, gli effetti del cd. home country control mechanism,come noto costitutivo del riconoscimento dei sistemi di vigilanza prudenziale ap-plicati a livello nazionale nei confronti degli istituti di credito, finanziari o bancariai fini dell’attribuzione del cd. passaporto europeo per la libertà di stabilimento e lalibera prestazione dei servizi. In tale contesto, l’accordo internazionale comunita-rio basa sul criterio di reciprocità il trattamento dovuto a enti o imprese comunitarie a quelli del paese terzo contraente.

ministrativo” degli accordi di collegamento, l’art. 220 TFUE, inquesto non modificando il precedente art. 302 TCE, prevede chequesta tipologia di accordi sia estensibile anche ad ambiti diversida quello delle relazioni con le N.U. In ogni caso, la Corte digiustizia ha ritenuto che gli effetti dell’accordo di collegamentosi dovrebbero sempre intendere come riferiti alla Comunità. Ladifferenza tra le tipologie di accordi indicati nelle menzionatenorme del TCE riguarda(va) dunque profili prevalentemente dicarattere procedurale, dovendosi applicare la procedura ordina-ria (art. 300 TCE) quando la base giuridica attenesse alla coope-razione o alla collaborazione con il Consiglio d’Europa ol’OCSE, mentre in tutti gli altri casi riguardanti genericamentegli accordi di collegamento la Commissione avrebbe potutoprocedere di propria iniziativa.

Su questi profili il Trattato di Lisbona, tramite il citato art. 220TFUE, interviene con uno spirito di razionalizzazione del quadroprecedente, prevedendo insomma che con organi e istituti specia-lizzati ONU,Consiglio d’Europa eOCSE l’Unione possa attuare“ogni forma utile di cooperazione”. Rimarchevole è l’inclusionenel novero degli organismi non comunitari oggetto della disposi-zione anche dell’OSCE, le cui competenze eminentemente dicooperazione politica avevano fatto ritenere, prima di Lisbona,che un riferimento all’Atto finale di Helsinki e alla Carta di Parigipotesse risultare solo nell’ambito della definizione delle funzionidell’Unione europea (cfr. precedente art. 11 TUE).

Il riferimento ai collegamenti – che, seguendo un’interpreta-zione letterale di questa locuzione, ma anche tenendo conto dellaprassi comunitaria in materia, potrebbero essere conclusi me-diante accordi ma anche mediante qualsiasi altro mezzo utile aimpegnare l’organizzazione internazionale interessata – è invecegenerico e lascia discrezionalità alle istituzioni cui viene affidatoil compito di realizzarli. A tale riguardo, la nuova norma creaqualche problema interpretativo là dove prevede che l’alto rap-presentante e la Commissione “sono incaricati dell’attuazione delpresente articolo”. Questa espressione potrebbe lasciare inten-dere che, diversamente da quanto previsto dall’art. 302 TCE, laCommissione, oltre a dover condividere il potere di concludere

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accordi di collegamento con l’Alto rappresentante, potrebbedover accettare anche di sottoporsi alle direttive di quest’ultimo.Sembrerebbe così riproporsi un dilemma concernente i diversiruoli che, in seno ormai alla sola Unione europea, svolgono ilConsiglio, da una parte, e la Commissione, dall’altra33.

Richiamando la parzialmente differente questione dell’esi-stenza di categorie di competenze che, in seno all’Unione, po-trebbero implicare il ricorso a diverse procedure decisionali e/ol’attribuzione di specifiche prerogative a diverse istituzioni del-l’ordinamento creato dai trattati, occorre sottolineare che ancheil Trattato di Lisbona non sembra voler arrivare al riconosci-mento formale di un ruolo decisionale pieno e autonomo dellaCommissione europea, anche se tale ruolo si sia ormai piena-mente affermato nella prassi degli accordi di collegamento. Po-trebbe, bensì e per come già accennato, essere vero il contrario ecioè che la presenza dell’Alto rappresentante non rende affattoscontato che quest’ultimo, anche agendo nella sua veste di vice-presidente della Commissione, sarà disposto a riconoscere allaCommissione il ruolo che essa ha assunto sinora o che potrebbeancora rivendicare.

In questo senso, il riferimento a entrambe le istituzioni, Altorappresentante e Commissione, nella stessa disposizione sugliaccordi di collegamento, potrà perdere quell’ambiguità che at-tualmente lo connota solo all’esito del consolidamento dellaprassi che dovrà necessariamente prodursi dal quadro discipli-nare qui riassunto.

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33 Già in occasione di una controversia sorta in occasione dell’esecuzione di unaccordo di collegamento con la FAO, che includeva un cd. accomodamento traConsiglio e Commissione, la Corte ebbe modo di riconoscere che, nel quadro delsistema a pilastri, la Commissione potesse mantenere il diritto di voto in seno al-l’istituto specializzato ONU per le materie di competenza strettamente comunita-ria, anche se previo raggiungimento di una posizione comune tra le istituzioni co-munitarie cfr., Sentenza 19 marzo 1996, causa C-25/94, Commissione/Consiglio, inRacc., I-1469.

4.4 (segue) La competenza a concludere accordi in base a prassi

Ma occorre altresì ricordare che la Commissione ha eserci-tato una competenza propria in sede internazionale anche in as-senza di norme esplicite di diritto cd. primario o secondario. Intale categoria non scritta possiamo innanzitutto annoverare gliaccordi della Commissione nel settore, già esaminato, inerentealla creazione di rappresentanze comunitarie all’estero: in questocampo, infatti, stante la laconicità delle disposizioni dei trattatiUE e CE, molto è stato realizzato in via di prassi, in tempi re-centi anche tramite strumenti cd. cross pillar, ossia afferenti sia adisposizioni del Trattato UE che a quelle del Trattato CE. L’isti-tuzione dell’Alto rappresentante e del SEAE apre nuovi scenari,potendosi prevedere che, soprattutto se il SEAE dovesse eredi-tare le delegazioni all’estero della Commissione, si potrebbe dareorigine ad una nuova generazione di accordi, anche in tema diprivilegi e immunità dell’Unione (cfr. nuovo Protocollo n.7). Laquestione è di sicura rilevanza anche in vista dell’affermazione diquel diritto di legazione attiva che sembra consustanziale all’af-fermazione dei ruoli dell’Alto rappresentante e del SEAE, insenso specifico, e dell’Unione europea nel contesto delle rela-zioni internazionali, in senso più generale e generico.

Un settore certamente più significativo sul piano dei conte-nuti strettamente giuridici è quello della conclusione da partedella Commissione di accordi a prescindere dalla previa sussi-stenza di norme – del trattato o di un atto di diritto derivato – odi accordi di base, alternativamente conferenti una specificacompetenza e capacità a stipulare accordi. La materia è delicataperché vede la Commissione dialogare direttamente con entisovra-ordinati (Stati od organismi comunque dotati di capacitàgiuridica di diritto internazionale) potendo impegnare, se delcaso, la volontà dell’Unione complessivamente intesa. Già daquesta impostazione del problema si ricava la sua complessità, inverità non tanto dal punto di vista della stabilità delle relazionicon il terzo contraente, quanto, soprattutto, dal punto di vistadell’equilibrio interistituzionale (rilevando, ancora una volta, irapporti tra Commissione e Consiglio, in quanto nel sistema dei

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trattati a questi spetta formalmente il vero e proprio treaty ma-king power) e della possibilità che l’operato della Commissionesia pienamente sottoposto al vaglio dell’organo giurisdizionaledella Comunità.

La Commissione, consapevole probabilmente delle que-stioni generali accennate, ha peraltro concluso direttamente ac-cordi con Stati terzi al fine di adottare atti di carattere partico-lare, riconducibili più che altro a strumenti di diritto convenzio-nale ritenuti utili o comunque afferenti alle funzioni specifichedella Commissione nel contesto dell’ordinamento comunitario.Il caso emblematico riguarda ad esempio il diritto della concor-renza, nell’ambito del quale la Commissione – forte della com-petenza generale riconosciutale da fonti di rango primario (cfr.artt. 83 e 85 TCE, corrispondenti agli attuali artt. 103 e 105TFUE) – ha condotto rapporti bilaterali con Stati non comuni-tari a fini di rafforzamento della cooperazione internazionale insubjecta materia.

La Corte di giustizia ha avallato, di recente, tale competenzaesterna della Commissione, sia in virtù del carattere non giuridi-camente vincolante degli atti oggetto di negoziato (sicuramentein quanto strumenti di soft law) sia in virtù della necessità per laComunità di realizzare efficacemente le proprie politiche nel-l’international environment anche tramite mezzi privi di requi-siti formali che ne consentano una perfetta aderenza alla riparti-zione di competenze tra istituzioni come ricavabile dalle normedei trattati34.

Pur con tutte le criticità emerse dalla recente analisi svolta

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34 C’è, in sintesi, nella lettura della Corte, un richiamo a quel principio dell’ef-fetto utile delle disposizioni dei trattati, rilevando in tale caso le disposizioni checonferiscono alla Commissione una generale prerogativa quale istituzione deten-trice del diritto di iniziativa “legislativa”: in effetti, tale diritto/potere, se non puòavere la stessa valenza del potere decisionale tipicamente spettante al Consiglio, èperò strettamente funzionale a quest’ultimo, potendo quindi emergere la necessitàdi ricorrere a strumenti di cooperazione internazionale che si rivelino almeno utilialla piena realizzazione delle prerogative di cui gode la Commissione nel contestoistituzionale, sempre nella misura in cui queste siano esercitate nel perseguimentodell’interesse generale, cfr. Sentenza 23 marzo 2004, causa C-233/02, Repubblicafrancese contro Commissione, in Racc., I-4741.

dalla Corte di giustizia, è indubbio che anche quest’ultima haammesso il carattere indispensabile o comunque inevitabile delruolo assunto dalla Commissione nella realizzazione delle rela-zioni internazionali della Comunità/Unione europea. Tale ruolosembrerebbe, prima facie, essere quantomeno ridefinito dalle di-sposizioni del Trattato di Lisbona, in particolare in riferimentoalla nuova figura dell’Alto rappresentante-vice-presidente dellaCommissione. Ancora una volta, di particolare rilevanza sarà laprassi che scaturirà dalle riforme di rango primario in merito, inparticolare, alle funzioni e compiti che assumerà il Servizio eu-ropeo per l’Azione esterna. Se questo potesse essere ritenuto, adesempio, come un bacino per la selezione dei futuri negoziatoridegli accordi dell’Unione, allora potrebbe già definirsi un qua-dro di maggiore coerenza e unitarietà dell’azione esterna del-l’Unione: infatti, il SEAE, pur dovendo comunque risponderedel proprio operato dinanzi alle istituzioni politiche, agirà pursempre sotto la guida dell’alto rappresentante quale proprio di-retto referente, con semplificazione delle procedure, maggioretrasparenza e visibilità esterna dell’Unione stessa quale unicosoggetto di diritto internazionale. In altri termini, l’eventualedeminutio del ruolo della Commissione potrebbe risultare unfalso problema, sia in quanto il know how della Commissionenell’ambito delle relazioni esterne sarà comunque conferito soloin parte nelle mani del SEAE, sia in quanto da tale conferimentonon sembra che possano conseguire effetti ulteriormente ridut-tivi delle competenze della Commissione, e ciò non solo in rife-rimento a materie per le quali essa già esercita funzioni sul pianointerno, ma anche in riferimento a settori nei quali la stessaCommissione abbia già condotto relazioni internazionali.

5. Il Parlamento europeo

5.1 Profili istituzionali

Il Trattato di Lisbona – come già quello costituzionale – mo-difica i criteri per la composizione del Parlamento europeo che

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dovrà rispondere ad una serie di “parametri”: posto un numerocomplessivo massimo di 750 membri più il Presidente, la rappre-sentanza dei cittadini dovrà infatti essere garantita in modo de-gressivamente proporzionale con un numero minimo di 6 rappre-sentanti e massimo di 96 (art. 14 del nuovo TUE). Sul piano pro-cedurale è prevista che una decisione rispondente ai detti criteridebba essere approvata all’unanimità dal Consiglio europeo, suiniziativa del Parlamento stesso e con l’approvazione di questo ul-timo. La proposta presentata dal Parlamento europeo nell’ottobre2007, per il periodo 2009-2014, era stata fortemente criticata dalGoverno italiano, in quanto basata sul criterio della popolazioneresidente, anziché su quello della cittadinanza. La Conferenzainter-governativa preparatoria del Trattato di Lisbona ha in parti-colare modificato la versione iniziale dell’art. 9 A (ora 14) delnuovo TUE, prevedendo un seggio aggiuntivo da assegnare al-l’Italia, come riconosciuto in un’apposita dichiarazione e ribaditodal Consiglio europeo del 14.12.2007. Nella corrente legislatura èstata quindi salvaguardata la parità con il Regno Unito (73 seggi),mentre la Francia manterrà 74 seggi, come proposto dal Parla-mento. Tale ripartizione corrisponde in effetti ai dati statistici rela-tivi ai cittadini residenti. Con un’ulteriore dichiarazione, il Consi-glio europeo si è inoltre impegnato a dare il proprio accordo poli-tico sul progetto riveduto di decisione sulla composizione delParlamento – per la legislatura 2009-2014 – che verrà ripresentatodal Parlamento. Il 14.12.2007 il Consiglio europeo ha quindi for-nito il proprio accordo, precisando gli emendamenti da apportareal progetto presentato inizialmente dal Parlamento europeo, rela-tivi appunto alla previsione di un seggio aggiuntivo, attribuito al-l’Italia per la legislatura 2009-2014. La posizione italiana è stata ri-badita in una apposita dichiarazione sulla composizione del Parla-mento europeo, allegata all’atto finale della CIG. Con essa siriafferma che, senza pregiudizio per la decisione relativa alla legi-slatura 2009/2014, qualsiasi decisione adottata dal Consiglio euro-peo per stabilire la composizione del Parlamento europeo dovràrispettare i principi di cui all’articolo 14 del nuovo TUE, secondoparagrafo, primo comma del TUE35.

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35 Ovviamente, le questioni meramente organizzative sopra menzionate an-

5.2 Profili funzionali. In generale

In linea generale e in estrema sintesi, le riforme concernentiil Parlamento europeo riguardano tre punti essenziali:

- la generalizzazione della procedura legislativa ordinaria(codecisione con voto a maggioranza qualificata in Consiglio),con la quale si assicura il pieno coinvolgimento del Parlamentoin molti ambiti nei quali svolgeva, in precedenza, un ruolo mar-ginale ad es. nelle materie relative allo spazio di libertà, sicurezzae giustizia, alla politica agricola e alla politica commerciale

- l’approfondimento del legame fiduciario fra Parlamento eCommissione attraverso il rafforzamento del ruolo dell’Assem-blea nella procedura di nomina del Presidente della Commis-sione e nella conferma della mozione di censura quale strumentodi controllo politico sull’operato del Collegio;

- il rafforzamento del Parlamento nell’ambito della proce-dura di bilancio, dove tale istituzione interviene anche nella de-finizione delle spese cd. “obbligatorie”.

Le funzioni del Parlamento europeo nel settore delle rela-zioni esterne e della politica estera non sembrano rafforzate inmaniera sostanziale rispetto al sistema che, comunque, dal Trat-tato di Maastricht a quello di Nizza, ha riconosciuto all’Assem-blea un ruolo sempre più rilevante, in coerenza con uno sforzodi democratizzazione dell’ordinamento comunitario. Le riforme

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drebbero lette nel contesto di una serie di riforme che, a partire dall’Atto elettoraledel 1976, hanno fatto progredire l’istituzione parlamentare comunitaria anche nel-l’ottica del rafforzamento del legame che la unisce ai rappresentati, là dove si indicache il Parlamento stesso sia composto da rappresentanti dei cittadini dell’Unione(cfr. menzionato art. 14 TFUE). Il sistema parlamentare dell’Unione è reso cosìcoerente con la tutela dei diritti politici che sin dalle disposizioni del trattato co-munitario (artt.19, 190 nn. 2 e 3, poi ribaditi negli artt.39 e 40 della Carta dei dirittifondamentali) sono imputati in capo ai cittadini dell’Unione quali titolari di garan-zie specifiche. Altri interventi di rango normativo hanno confermato questa chepotremmo definire almeno una aspirazione dell’ordinamento creato dai trattati, tra-mite la direttiva per l’esercizio del diritto di voto alle elezioni del Parlamento eu-ropeo per i cittadini dell’Unione residenti in uno Stato membro di cui non abbianola cittadinanza, la decisione sullo Statuto dei deputati europei e il regolamento sustatuto e finanziamento dei partiti politici europei.

di Lisbona riguardano però una generale razionalizzazione delsistema con chiarimento di alcuni problemi rimasti aperti a se-guito delle riforme del Trattato di Nizza.

5.3 (segue) Le funzioni nel settore della cd. “azione esterna”dell’Unione

Nell’ambito delle relazioni esterne di ex primo pilastro, alParlamento è conferita essenzialmente una funzione di organo alquale il Consiglio deve rivolgere una richiesta di parere, osser-vando un obbligo di consultazione che la Corte ha concepitocome vincolante dal punto di vista formale, ossia, tautologica-mente, in ordine alla necessità che tale stesso obbligo sia piena-mente rispettato dal Consiglio, ma non anche che il Consiglio siattenga al contenuto del parere parlamentare stesso. Ciò ha adesempio implicato il riconoscimento, per via giurisdizionale, diun dovere di ri-consultazione del Parlamento, sempre da partedel Consiglio, se il progetto di atto o decisione da adottare è mo-dificato in modo sostanziale rispetto al testo di progetto per ilquale il Consiglio abbia già ottenuto un parere favorevole daparte parlamentare.

Peraltro, tale obbligo di consultazione ricadente sul Consi-glio assume, come già indicato, diversa connotazione a secondadel tipo di procedura indicata dal Trattato.

Nel caso degli accordi commerciali disciplinati dal trattatocomunitario prima delle riforme di Lisbona, tale parere ad esem-pio non era obbligatorio (art. 133 TCE), sia nel senso solo for-male del suo rispetto da parte del Consiglio sia, tanto meno, nelsenso che qualunque opinione parlamentare (anche ottenuta perle vie stabilite nel regolamento interno del Parlamento, cfr. art.83) potesse in alcun modo vincolare il Consiglio. Tale situa-zione, specificamente riguardo agli accordi relativi alla politicacommerciale comune, cambierà in virtù del fatto che la normadell’art. 207 TFUE prevede che gli accordi in questione sianoconclusi secondo la procedura contemplata dall’art. 218, ossia,per come verrà chiarito di seguito, quantomeno previa consulta-zione del Parlamento, potendosi prevedere però che, se l’ac-

156 ALFREDO RIZZO

cordo dovesse insistere su un atto interno adottato tramite ap-provazione parlamentare, allora anche l’accordo dovrà esseresottoposto a parere vincolante del Parlamento europeo (cfr. art.218 n.6, lettere a e b). La stessa norma dell’art. 207 TFUE pre-vede anche che quest’ultima istituzione dovrà ricevere informa-zioni da parte della Commissione riguardo all’evoluzione deinegoziati da questa avviati in subjecta materia (prima di Li-sbona, quest’obbligo di informazione da parte della Commis-sione riguardava solo il comitato speciale designato dal Consi-glio per assistere la Commissione durante i negoziati, cfr. art.133 TCE e art. 207 TFUE).

Il Trattato di Lisbona, all’art. 218 n. 10 TFUE, confermaquanto previsto dall’art. 300 in tema di decisione di applicazioneprovvisoria o di sospensione dell’accordo, prevedendo che al ri-guardo il Parlamento europeo debba comunque soltanto essereinformato.

Si è già menzionato il fatto che, nello schema anteriore a Li-sbona, se l’accordo insiste su materie rispetto alle quali si pre-vede che l’adozione dei necessari atti interni debba avvenire tra-mite quella che, con le riforme di Lisbona, è denominata proce-dura legislativa ordinaria (che vede il Parlamento europeo agiresu un piede di parità con il Consiglio), allora il Consiglio dovràsolo consultare il Parlamento europeo, ma anche in questo casonon obbligatoriamente attenersi al suo parere. Se invece l’attointerno fosse già stato adottato tramite l’indicata procedura legi-slativa ordinaria e l’accordo che il Consiglio intende concluderefosse in grado di modificare tale atto, allora il Parlamento daràun cosiddetto parere conforme, obbligando il Consiglio, quindi,ad attenersi alle sue indicazioni (che, però, possono consisteresolo nell’accettare o respingere in toto l’accordo, senza modifi-carlo). Il parere conforme rappresenta l’alternativa al ruolo con-sultivo del Parlamento, come sopra rapidamente ricordato. Sitratta di un vero e proprio potere di veto emblematicamenteesercitabile dall’Assemblea nel caso della possibile approva-zione di accordi per l’adesione di Stati terzi all’Unione. Ritro-viamo questa procedura, a un livello gerarchico inferiore, oltreche nell’indicato caso di accordi che modifichino atti comunitari

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già adottati secondo il metodo della codecisione, anche nei casipiù rilevanti di accordi di associazione, che spesso divengonoveri e propri accordi preparatori all’adesione di Stati terzi (comenel caso degli accordi europei concernenti i Paesi dell’Europacentro-orientale e dei Balcani orientali o come nel caso degli ac-cordi di associazione e stabilizzazione, cd. ASA, con i Paesi deiBalcani occidentali). Tale parere è previsto anche per accordi cheimplichino considerevoli ripercussioni finanziarie.

Il dibattito su tali previsioni è sempre stato molto acceso. Inalcuni momenti storici si è anche profilata la possibilità di una ra-dicale semplificazione del sistema, pensando di attribuire al Par-lamento europeo un potere di intervenire nella fase anche forma-tiva di accordi internazionali, almeno per quelli di particolare ri-levanza. Con Lisbona il sistema comunque si semplifica, almenoformalmente. Infatti, la norma dell’art. 218 TFUE, già menzio-nata, contempla essenzialmente due modalità di intervento parla-mentare nella procedura di conclusione di accordi da parte delConsiglio (che rimane dunque l’unico organo decisionale in ma-teria anche dopo il trattato di riforma). La prima modalità ri-guarda sostanzialmente il già citato dovere di consultazione delParlamento europeo, che ricade sul Consiglio e diventa la moda-lità generale del coinvolgimento del Parlamento europeo nellastipulazione di accordi internazionali da parte dell’Unione (cfr.art. 218 par. 6 lett. b) TFUE, alla cui sfera applicativa vanno ri-condotti gli accordi di politica commerciale comune, almenostando al richiamo fatto nell’art. 207 allo stesso art. 218).

Nella lettera a) dell’articolo da ultimo indicato si danno in-vece i casi in cui il parere del Parlamento in effetti assume i con-notati di una vera e propria approvazione dell’accordo (accordidi associazione, adesione alla CEDU, accordi che creano quadriistituzionali in procedure di cooperazione, accordi aventi consi-derevoli conseguenze finanziarie, accordi insistenti su compe-tenze dell’Unione per le quali si preveda l’adozione di atti conl’approvazione del Parlamento).

Occorre soffermarsi sul citato art. 218 TFUE. Tale disposi-zione chiaramente richiama la precedente previsione dell’art.300 TCE, sopra citata, secondo la quale il Parlamento poteva es-

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sere solo consultato se l’accordo da concludere fosse interve-nuto in un settore per il quale fosse richiesta la procedura legi-slativa (in codecisione), mentre il parere conforme era previstonel caso in cui un accordo riguardasse una materia per la qualeatti comunitari fossero già stati adottati secondo la procedura le-gislativa. La nuova previsione introdotta dal Trattato di Lisbonasemplifica tale dicotomia, basata sull’alternativa tra il caso in cuiun accordo insistesse su materie già coperte tramite atti legisla-tivi adottati con la partecipazione del Parlamento in veste di or-gano co-legislatore e il caso in cui, al contrario, tali atti non fos-sero ancora stati adottati, chiarendo una sorta di criterio di pa-rallelismo tra competenze interne ed esterne dell’Unione perquanto attiene al ruolo parlamentare. In breve, dunque, con lemodifiche di Lisbona, per qualsiasi settore per il quale si prevedal’adozione di atti secondo la procedura legislativa ordinaria ospeciale, sarà necessaria l’approvazione parlamentare. In modoulteriormente chiarificatore, la norma (art. 218 lett. a punto v)dispone che l’approvazione dell’accordo sarà comunque neces-saria là dove l’accordo stesso riguardi una materia per la quale sipreveda l’adozione di atti secondo la procedura legislativa spe-ciale che però contempli contemporaneamente l’approvazionedell’atto da parte del Parlamento. La disposizione indicata sug-gella dunque un percorso di affermazione del Parlamento comeistituzione garante del principio di partecipazione popolare allaformazione del diritto comunitario e degli obblighi che l’Unioneassume nel consesso internazionale. L’art. 218 sembra peraltroconfermare l’operatività del criterio di parallelismo non solo aifini della definizione delle competenze esterne del Parlamento,ma anche ai fini della definizione delle stesse competenze del-l’Unione complessivamente intesa36.

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36 Per chiarire questa tesi si prenda ad esempio il settore della cooperazionegiudiziaria penale, già menzionato sopra e rispetto al quale la situazione cambia conLisbona nel senso che in tale settore si applicheranno essenzialmente procedure le-gislative ordinarie o speciali, comunque con definitivo coinvolgimento parlamen-tare ai fini dell’adozione dei relativi atti. Anche per questo motivo, il Trattato di Li-sbona ha abrogato la disposizione dell’art. 38 TUE, che prevedeva che nel settore

Alla luce di quanto precede, può dirsi che le riforme di Li-sbona, con tutte le ambiguità che potranno essere sciolte solocon il consolidarsi di una prassi relativa alla loro concreta attua-zione, danno un segnale piuttosto significativo: da esse sembracioè derivare che il processo di integrazione europea spinge in-dubbiamente a favore di un maggior coinvolgimento dell’istitu-zione rappresentativa dei popoli dell’Unione nelle proceduredecisionali e, pertanto, anche la competenza dell’Unione qualesoggetto di diritto internazionale si rafforza e si legittima con-giuntamente al radicarsi del principio di controllo democraticosu tutti gli atti dell’Unione tra i quali, tradizionalmente, vannoannoverati gli accordi internazionali.

5.4 (segue) Nel settore della politica estera

Poste le menzionate indicazioni derivanti dalle nuove dispo-sizioni del Trattato sul Funzionamento dell’Unione in tema diazione esterna, dall’analisi del quadro normativo inerente alla po-

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della cooperazione giudiziaria penale e di polizia si potessero adottare accordi se-condo la procedura dell’art. 24 TUE, concernente gli accordi nel settore della poli-tica estera (quindi essenzialmente all’unanimità o a maggioranza in Consiglio, macon coinvolgimento marginale del Parlamento europeo). Nel capitolo concernentele competenze della Commissione quale tradizionale soggetto negoziatore degli ac-cordi internazionali, si è già accennato a come tali stesse competenze sembrinoestendersi anche alle indicate materie relative alla cooperazione giudiziaria penale,proprio in virtù della norma dell’art. 218 TFUE: infatti, questa disposizione, di-stinguendo essenzialmente le diverse attribuzioni del Parlamento europeo per laformazione degli accordi dell’Unione, prevede implicitamente che l’Unione potràagire in foro externo nella misura in cui le siano state attribuite determinate com-petenze in foro domestico. D’altro canto, sul piano sostanziale, questa possibilità èin primo luogo sancita dalla nuova disposizione dell’art. 216 TFUE, che riproduceil criterio del parallelismo introdotto dalla giurisprudenza della Corte del Lussem-burgo. Rispetto all’art. 216 TFUE, dunque, l’art. 218 TFUE, interessandosi di pro-fili strettamente procedurali, precisa che il criterio del parallelismo deve preservarele prerogative del Parlamento europeo, lasciando allo stesso tempo intendere che lecompetenze che l’Unione può acquisire in foro externo saranno tanto più legitti-mamente formate sulla base delle competenze esercitate in foro domestico quantopiù per queste ultime si preveda il ricorso alla procedura legislativa ordinaria o adaltra procedura che comunque contempli l’approvazione parlamentare per l’ado-zione dei relativi atti.

litica estera si dovrebbero invece trarre conseguenze quasi oppo-ste. Qui il riferimento al Parlamento è fatto in linea di continuitàcon quanto già previsto dal regime precedente, concependosi unduplice obbligo per l’Alto rappresentante, ossia quello di, da unlato, tenere informato il Parlamento europeo sugli sviluppi dellapolitica estera e, dall’altro lato, sostenere in Consiglio la posizioneconseguentemente espressa dal Parlamento.

Come già accennato sopra in tema di accordi di politicaestera (cfr. art. 37 del nuovo TUE) rimangono tuttavia da valu-tare le conseguenze della creazione di un meccanismo che,sotto l’egida di un unico organismo dotato di personalità giu-ridica (l’Unione), instaura una triangolazione abbastanzastretta, più che in passato, tra Alto rappresentante, Commis-sione e Parlamento. Se il primo agisce in qualità di esponentedel Consiglio, ma anche in qualità di vice-presidente dellaCommissione, avendo il portafoglio per l’azione esterna cosìcome per la politica estera, il controllo che il Parlamento atti-verà potrebbe risultare addirittura più stringente che in pas-sato, almeno nella misura in cui l’Assemblea potrà operare ilsuo monitoraggio sicuramente sugli atti del vice-presidentedella Commissione. E quindi si dovrà valutare se in futuro avràpiù peso la separazione anche testuale della politica estera dalfunzionamento della azione esterna dell’Unione, come ricava-bile dal Trattato sul funzionamento dell’Unione, oppure se in-vece si avranno conseguenze più significative dalla concentra-zione in una sola figura del ruolo di alto rappresentante per lapolitica estera e di commissario responsabile per l’azioneesterna dell’Unione.

6. La Corte di giustizia

6.1 Profili istituzionali

La Corte di giustizia, anche dopo le riforme di Lisbona,mantiene il suo ruolo di supremo organo con poteri pienamentegiurisdizionali dell’ordinamento comunitario. C’è da dire che le

L’AZIONE ESTERNA DELL’UNIONE EUROPEA... 161

più rilevanti recenti riforme istituzionali si sono di sicuro avutecon il trattato di Nizza, che ha introdotto importanti modificheriguardanti i criteri di composizione della Corte, introducendoaltresì nelle disposizioni dei trattati una più chiara definizionedel ruolo del Tribunale di primo grado rispetto a quello dellaCorte: il primo, peraltro, ha acquisito competenze nuove piut-tosto importanti, sia come organo d’appello avverso decisioni dicostituende camere giurisdizionali sia come giudice che possaadottare sentenze interpretative su quesiti sollevati in via pre-giudiziale dai giudici nazionali (tipologia di competenza, questa,tradizionalmente appannaggio della Corte di giustizia quale or-gano giurisdizionale anche di tipo costituzionale dell’ordina-mento comunitario).

Il nuovo Trattato di riforma non introduce previsioni parti-colarmente innovative sotto il profilo istituzionale, risultandoperò particolarmente complesso il quadro di funzioni e compe-tenze della Corte come emergente in particolare dal riordinodelle competenze dell’Unione complessivamente intesa, nei set-tori di cui ci occupiamo.

6.2 Profili funzionali

Nel capitolo introduttivo di questo contributo, inerente alladefinizione delle competenze dell’Unione nel settore della poli-tica estera e dell’azione esterna, abbiamo illustrato già come ilruolo della Corte sia stato particolarmente rilevante per la defi-nizione delle competenze della Comunità nel campo delle cd.relazioni esterne e come la giurisprudenza comunitaria abbia in-fluito anche nella definizione di regole che i trattati di riforma,compreso quello di Lisbona, hanno provveduto progressiva-mente ad assorbire nel testo dei trattati istitutivi. Si è al riguardofatto cenno al fatto che tale trasposizione in norme di rango pri-mario di criteri essenzialmente giurisprudenziali sia particolar-mente evidente a seguito delle riforme di Lisbona, che peraltrohanno dovuto conciliare il considerevole sviluppo giurispruden-ziale anche in materia di competenze dell’Unione con i pro-blemi, del tutto inediti rispetto al passato, derivanti dalla crea-

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zione di un unico soggetto giuridico (l’Unione appunto) che as-sumerà su di sé anche le competenze comunitarie. In questosenso, non è del tutto chiara l’operazione tendente a separare ilconcetto di azione esterna come ricavabile dalla preliminare di-sposizione dell’art. 21 del nuovo TUE e quella di azione esternacome ricavabile invece dalle disposizioni degli articoli da 205 inpoi TFUE. Ad avviso di scrive, non è da escludere che la mag-giore ampiezza e onnicomprensività della prima delle duenorme citate tenderà a rendere più sottile la separazione ancheteorica tra politica estera e azione esterna, sino al punto da limi-tare tale distinzione ad aspetti meramente procedurali, come pe-raltro alcune delle nuove disposizioni dei trattati lascerebberoparimenti intendere.

6.3 (segue) Le funzioni della Corte nel settore delle compe-tenze esterne “comunitarie”

In base all’art. 300 TCE, sostanzialmente su questo punto ri-prodotto dall’art. 218 TFUE, le istituzioni possono rivolgerealla Corte richieste di parere in ordine agli accordi dell’Unione.La giurisprudenza ha offerto dei chiarimenti su tale istituto cheriguarderebbe un test di compatibilità dell’accordo con le dispo-sizioni dei trattati (o con principi dell’ordinamento da essicreato) essenzialmente sotto due profili. Il primo concerne la ve-rifica circa la sussistenza dell’effettiva competenza dell’Unione astipulare: ciò implica la possibilità e anche l’opportunità che taleaspetto venga chiarito dalla Corte ancor prima dell’avvio dei ne-goziati, quindi possibilmente a ridosso della raccomandazionead avviarli rivolta al Consiglio dalla Commissione o dell’Altorappresentante). Il secondo profilo riguarda la verifica che l’ac-cordo, tramite sue specifiche disposizioni, non violi le norme deitrattati istitutivi così come altri obblighi derivanti, per l’Unione,anche da accordi precedenti. In questo secondo caso, sarà op-portuno, se non necessario, che le disposizioni dell’accordo dastipulare siano state quantomeno definite e che soprattutto tra-mite queste ultime sia sufficientemente definito l’oggetto del-l’accordo, risultando ammissibile, sebbene non auspicabile, che

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il parere venga sottoposto alla Corte anche a fase negoziale av-viata37. Il limite temporale per una richiesta di parere alla Corteai sensi della disposizione citata – che non stabilisce tale limite –rimarrebbe quello dell’adozione, da parte del Consiglio, delladecisione favorevole alla firma dell’accordo o, secondo una let-tura meno formalistica, dal momento in cui la Comunità/Unio-ne abbia manifestato la propria volontà di impegnarsi tramitel’accordo stesso38.

Da quanto precede emerge dunque come la funzione del pa-rere della Corte previsto all’art. 218 TFUE sia quella di evitarela conclusione di un accordo che, pur vincolando l’Unione,possa violare principi o disposizioni di diritto comunitario inmodo che la validità dell’accordo stesso, quantomeno sotto ilprofilo strettamente comunitario, possa essere messa in discus-sione. Secondo le regole di diritto internazionale dei trattati, unaviolazione, tramite la stipulazione di un accordo internazionale,di una norma interna, in questo caso afferente al sistema di at-tribuzione di competenze tra istituzioni della Comunità euro-pea (o, se ad esempio si ritenesse che la Comunità ha agito al dilà delle proprie competenze, tra Comunità e Stati membri), nonè di per sé sufficiente a inficiare la validità internazionale del-l’accordo stesso e, quindi, soprattutto sotto il profilo degli im-pegni tramite esso assunti, in questo caso, dall’organizzazionecontraente; tuttavia, la sussistenza di motivi di invalidità tali darendere incerta sotto il profilo internazionale la giuridicità dellamanifestazione di volontà dell’organismo devono essere evitati

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37 Parere 2/94 della Corte del 28.3.1996, cit. supra nota 9.38 Quest’ultima lettura dovrebbe far coincidere i due momenti, nel senso che

l’atto della firma, secondo le norme di diritto internazionale dei trattati e la loro ri-spondenza al principio pacta sunt servanda, vincola le parti almeno nel senso chead esse è fatto divieto di modificare il testo sul quale la firma sia stata apposta. Tut-tavia, la Corte ha dato un’interpretazione ampia del concetto di “accordo previsto”,nel senso che un accordo potrebbe rimanere, appunto, solo “previsto” ancora dopol’apposizione della firma, se l’effettiva assunzione di un vincolo non risulti comun-que dalla piena manifestazione di una volontà in tal senso da parte comunitaria, v.Parere 1/94 del 15.11.1994, competenza della Comunità a stipulare accordi interna-zionali in materia di servizi e di tutela della proprietà intellettuale, in Racc., I-5267.

se non altro in ragione dell’assunzione di responsabilità nei con-fronti dei soggetti terzi contraenti non solo da parte dell’organi-smo stesso ma anche da parte dei suoi Stati membri. Peraltro, incerti casi di grave incompetenza della Comunità a concluderel’accordo, abbiamo visto come per la stessa Comunità possa pa-rimenti sorgere l’obbligo internazionale di denuncia dell’ac-cordo. Tuttavia, anche prescindendo da queste valutazioni piùcomplessive, comprensive di questioni di responsabilità interna-zionale comunitaria, gli accordi internazionali della Comunitàsono stati comunque annoverati dalla Corte nella nozione di atticomunitari rispetto ai qual può essere applicato lo strumento delrinvio pregiudiziale. La Corte ha quindi fatto ricorso ad una no-zione ampia di atto comunitario passibile di vaglio di legitti-mità/validità ai sensi dell’articiolo 263 TFUE (ex art. 230 TCE)e dell’articolo 267 TFUE (ex 234 TCE)39.

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39 Secondo questa lettura, l’accordo comunitario, una volta concluso secondole procedure previste dai trattati, è idoneo ad essere incluso nel novero degli atti co-munitari le cui disposizioni possono produrre effetti vincolanti nei confronti disoggetti terzi. D’altro canto, e sotto un altro profilo, la stessa Corte ha affermatoche in ogni caso gli accordi conclusi dalla Comunità costituiscono parte integrantedell’ordinamento comunitario, nel senso della loro idoneità ad esplicare effetti vin-colanti sia per le istituzioni comunitarie – rappresentando un parametro di legitti-mità per atti interni conseguenti –, sia per gli Stati membri, in virtù tanto degli ob-blighi specifici derivanti da tali accordi quanto del più generale principio di lealecollaborazione (cfr. art. 10 TCE, confermato all’art. 4 n. 3 del nuovo TUE) che im-pone agli Stati di dare attuazione agli obblighi assunti dalla Comunità stessa anchemediante accordi internazionali, v. Sentenza 30.4.1974, causa 181/73, Haege-man/Stato belga, in Racc., 451; Sentenza 26.10.1982, causa 104/81, HauptzollamtMainz/Kupferberg, in Racc., 3641; Sentenza 10.9.1996, causa C-61/94, Commis-sione/Germania, in Racc., I- 3989; Sentenza 30.9.1987, causa 12/86, Meryem De-mirel/Comune di Schwabisch Gmund, in Racc., 3719, vedi anche Parere 1/76 del26.4.1977, Accordo relativo alla istituzione di un fondo europeo di immobilizza-zione della navigazione interna, in Racc., 741 s. Al carattere di “atto” comunitarioattribuibile agli accordi conclusi dalla Comunità si ricollega dunque la possibilitàche tali stessi accordi risultino direttamente “applicabili” o che disposizioni in essicontenute esplichino effetti “diretti” negli ordinamenti nazionali, potendo creare,rispettivamente, obblighi attivabili dai pubblici poteri nazionali nei confronti deiprivati o diritti che questi ultimi possano vantare nei confronti delle stesse autoritànazionali. Oltre al citato caso Demirel, v. ex multis sent. 31.1.1991, causa C-18/90,cfr. ONEM/Bahia Kziber¸ sull’Accordo di cooperazione CEE-Marocco, in Racc. I-

Non è peraltro secondario ricordare come, in base allo stru-mento del rinvio pregiudiziale, la Corte abbia ritenuto di potereessere investita non solo di questioni attinenti ad accordi con-clusi direttamente da parte della Comunità nell’esercizio delleproprie competenze, ma anche di questioni attinenti ad accordi(cd. pre-comunitari) conclusi dagli Stati membri anteriormentealla loro adesione all’ordinamento comunitario o all’instaura-zione di questo stesso ordinamento tramite entrata in vigore deitrattati istitutivi40.

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221; 5-7-1994; causa C-432/92, Anastasiou, ivi I-3087; 27-9-2001, causa C-63/99,Gloszczuk, in Racc., I-6369; 20-11- 2001, causa C-268/99, Jany e altri, in Racc., I-8615; 29.1. 2002, causa C-162/00, Beata Pokrzeptowicz-Meyer, in Racc., I-1049.Sulla scorta di tali valutazioni generali, la Corte è così giunta ad ammettere l’inva-lidità di accordi comunitari applicando i criteri normalmente adottati per il ricorsod’annullamento di atti delle istituzioni, ricordando che tali criteri si applicanoanche al giudizio di invalidità degli atti comunitari in via “indiretta” ossia medianterinvio pregiudiziale d’annullamento, v. già citato art. 267 TFUE, v. Sentenza del10.3.1998, causa C-122/95, Germania contro Consiglio dell’Unione europea, inRacc., I-999, concernente un’ipotesi di violazione, tramite accordo-quadro sulle ba-nane nel contesto dei negoziati dell’Uruguay Round, del divieto di discriminazionitra produttori o consumatori sancito all’art. 34 n. 2, comma 2, che sostituisce l’art.40, n. 3, comma 2 TCE (cfr. art. 40 n. 2 co. 2 TFUE).

40 Sentenza 12.12.1972, cause riunite 21 a 24/72, International Fruit CompanyN.V. ed altri, contro Produktschap voor Groenten en fruit, in Racc., 1219 . In ter-mini pratici ed esemplificativi, questo particolare profilo, definito come un effettodi comunitarizzazione (o di cd. “successione per sostituzione”) di accordi interna-zionali conclusi dagli Stati membri o, più in generale, di strumenti di diritto inter-nazionale tout court vincolanti per gli Stati membri medesimi, ha riguardato inmodo particolare e in una fase iniziale dell’integrazione europea gli accordi istitu-tivi del General Agreement on Tariffs and Trade, di cui alcuni dei paesi fondatoridi CECA, CEE ed Euratom erano già parte prima dell’entrata in vigore dei trattatiistitutivi di questi ultimi organismi. D’altro canto, l’intero impianto della politicacommerciale comune, come impostata dagli articoli 131 ss. TCE (cfr. articoli 206 e207 TFUE), prende spunto da una specifica previsione dello stesso GATT che con-templa la possibilità che alcuni Stati ad esso appartenenti creino tra di loroun’Unione doganale. Poiché quest’ultima è stata creata appunto tramite il trattatoCEE e rappresentando l’Unione doganale stessa uno dei momenti primordiali e im-prescindibili per la costituzione di un ordinamento giuridico autonomo comequello comunitario, la realizzazione della politica commerciale esterna è stato rite-nuto potesse aversi solo tramite il completamento del processo di comunitarizza-zione insito alle regole che prevedono l’abbattimento dei dazi nel commercio infra-

In questo contesto di questioni problematiche, in tema dipolitica commerciale comune (per gli accennati ambiti per i qualil’art. 207 impone la decisione all’unanimità in Consiglio) cosìcome in altri ambiti (rispetto ai quali ad esempio rileva la prassidegli accordi di associazione con Stati terzi), si deve accennarealla possibilità per la Comunità di concludere accordi misti,ossia inerenti ad ambiti materiali in cui rilevino allo stesso tempocompetenze nazionali e della Comunità. In tale settore di inda-gine (in verità reso assai complesso dalla varietà di prassi e tipo-logie di accordi riconducibili a settori dove sussista una compe-tenza concorrente tra Stati e Comunità, come nel settore agri-colo o dei trasporti, cfr. attuale art. 4 TFUE), la Corte digiustizia ha specificato che il principio di leale cooperazione giàrichiamato in precedenza (art. 10 TCE ora art. 4 n. 3 del nuovoTUE) investe i vari momenti – negoziazione, stipula e, infine, at-tuazione dell’accordo all’interno tanto dell’ordinamento comu-nitario quanto, più propriamente, degli ordinamenti nazionali –concernenti la formazione di un vincolo internazionale in capoalla Comunità mediante accordo: d’altro canto, l’art. 4 n.3TFUE, come l’art. 10 TCE, indica quale momento centrale del-l’operatività del principio di leale collaborazione il rispetto daparte degli Stati degli obblighi incombenti su di essi, comunqueoriginati dal diritto comunitario41.

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comunitario e la creazione di un’unica Tariffa Doganale Esterna . Così, la stessaprevisione, introdotta a seguito delle riforme di Nizza (confermate da questo puntodi vista da quelle di Lisbona, cfr. art. 207 par. 4 TFUE), di una deroga al ricorso allamaggioranza qualificata in Consiglio per la conclusione di accordi commerciali re-lativi ad alcuni specifici ambiti materiali coperti dagli accordi dell’OrganizzazioneMondiale del Commercio (che dal 1994 include lo stesso GATT), conferma l’attri-buzione all’Unione di una competenza esclusiva nel settore in questione. In mate-ria, peraltro, lo stesso Trattato di Lisbona, da un lato, sancisce l’esclusività dellacompetenza comunitaria in entrambi i settori – Unione doganale e politica com-merciale comune, cfr. art. 3 TFUE – e, dall’altro lato, con l’art. 207 TFUE, rispettoal trattato CE rafforza il ruolo parlamentare, come già segnalato supra in tema difunzioni dell’istituzione assembleare dell’Unione.

41 In termini specifici, Parere 1/94 del 15.11.1994, competenza della Comunitàa stipulare accordi internazionali in materia di servizi e di tutela della proprietà in-tellettuale, in Racc., I-5267 ss.; Sentenza 19.3.1996, causa C-25/94, Commis-

La Corte di giustizia è intervenuta offrendo i suddetti chia-rimenti in tema di accordi misti anche e particolarmente tramitelo strumento del rinvio pregiudiziale, creando qualche difficoltàinterpretativa rispetto al fatto che l’utilizzo di tale strumento sa-rebbe estensibile alla parte dell’accordo non insistente su com-petenze esclusivamente comunitarie42.

La Corte ha poi utilizzato anche lo strumento del ricorso perinadempimento di obblighi comunitari (art. 226 TCE, oggi art.258 TFUE) in diverse occasioni e rispetto a diverse questioniproblematiche concernenti le relazioni tra ordinamento comu-nitario e strumenti o fonti di diritto internazionale, diversi dagliaccordi comunitari. Precedentemente si è accennato al feno-meno della comunitarizzazione di accordi cd. pre-comunitari,particolarmente evidente nel caso di accordi concernenti settori,tipicamente riferibili alla politica commerciale comune, che l’or-

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sione/Consiglio, in Racc., I- 1469. Nella causa Intertanko (Sentenza 3.6.2008, causaC-308/06) la Corte ha esteso il dovere di leale collaborazione ai casi concernenti ac-cordi vincolanti tutti gli Stati membri, ma di cui l’Unione non sia parte. In questocaso sono le istituzioni comunitarie a dovere interpretare gli atti di diritto derivatoalla luce degli obblighi derivanti da un accordo siffatto. In questo settore è stata pe-raltro ammessa la possibilità anche di un’assunzione di responsabilità da parte diComunità e Stati membri in parte qua, ossia in riferimento ai settori materiali del-l’accordo per i quali rilevi la competenza rispettivamente dell’una o dell’altra partenei confronti dei terzi contraenti. Questo tipo di responsabilità, dunque, deriva di-rettamente dagli obblighi assunti, in forma mista, da entrambi i co-contraenti co-munitari nei confronti delle altre parti dell’accordo stesso: si tratta di un profiloparticolarmente delicato in quanto la Corte ha specificato che Stati membri e Co-munità possono entrambi assumere una responsabilità di tipo internazionale per ilrispetto di un accordo, con ciò offrendo un non indifferente contributo teorico, maanche di prassi, sul tema della responsabilità delle organizzazioni internazionali,come recentemente affrontato in seno alla Commissione di diritto internazionaledelle N.U. (su questi aspetti v. Sentenza 2.3.1994, causa C-316/91, Parlamento eu-ropeo contro Consiglio, cit. supra nota 11 e osservazioni svolte in nota 21).

42 La Corte, tuttavia, sulla scorta dell’indicata valutazione favorevole a ricono-scere la piena operatività del principio di leale collaborazione – particolarmente in-combente sugli Stati – nel campo degli accordi misti e, come già accennato, in tuttele fasi (formativa, conclusiva e attuativa) di tali stessi accordi, ha ritenuto che so-stenere una tesi formalistica e contraria a un’estensione dello strumento del rinviopregiudiziale anche alla parte non-comunitaria degli accordi misti significherebbeesporre tali tipologie di accordi a un’interpretazione “autonoma” da parte degli or-

dinamento comunitario avrebbe ereditato dal GATT43. La Corteha così avallato un’interpretazione in qualche modo ulterior-mente restrittiva della disposizione dell’art. 351 TFUE, consen-tendo l’instaurazione di una prassi relativa alla previsione, sia inaccordi comunitari bilaterali sia in accordi di adesione (che, adifferenza dei primi, hanno stesso rango giuridico dei trattatiistitutivi dell’Unione, cfr. art. 49 TFUE), di una norma che giàincorpora tale lettura del citato art. 351 TFUE, sostanzialmenteprevedendo la configurazione di un obbligo di denuncia dell’ac-cordo pre-comunitario da parte di un nuovo Stati membro44.

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gani nazionali – in primis, di quelli giurisdizionali – che potrebbe minare l’unifor-mità di interpretazione di tali fonti, tenendo conto della già ricordata portata par-ticolare riconosciuta agli accordi nel sistema comunitario, ossia in quanto fonti checostituiscono parametro di legittimità di altri atti comunitari, direttamente applica-bili e le cui disposizioni sono in grado di esplicare, se del caso, effetti diretti negliordinamenti nazionali (cfr. Sentenza 30.9.1987, causa 12/86, Meryem Demirel/Co-mune di Schwabisch Gmund, in Racc., 3719; vedi anche Parere 1/76 del 26.4.1977,Accordo relativo alla istituzione di un fondo europeo di immobilizzazione della na-vigazione interna, in Racc., 741); sulla competenza della Corte di interpretareaspetti degli accordi TRIPs apparentemente non attinenti alle competenze comuni-tarie (esattamente, v. art. 50 di tali accordi), cfr. Sentenza 17.7.1997, causa C-130/95,Giloy, in Racc., I- 429 ss; Sentenza 16.6.1998, causa C-53/96, Hermés, in Racc., I-3603; Sentenza 14.12.2000, causa C-300/98 e C392/98, Purfums Christian Dior, inRacc., I, pp. 11307 ss.

43 Tale fenomeno, tuttavia, non si limita a tale ambito, ma investe profili che ildiritto comunitario ha affrontato con l’ideazione di una disposizione, successiva-mente riprodotta nelle Convenzioni di Vienna del 1969 e del 1986 sul diritto deiTrattati, in tema di permanenza dei vincoli assunti dagli Stati membri in base ad ac-cordi vigenti prima dell’adesione di tali stessi Stati alla Comunità/Unione (cfr. art.307 TCE, oggi art. 351 TFUE). La Corte, su tali profili, è intervenuta essenzial-mente sulla base di un ricorso, da parte della Commissione, per inadempimento diobblighi comunitari: secondo l’organo “ricorrente” (la Commissione, appunto),l’odierno art. 351 TFUE (già art. 307 TCE e, ancora prima, art. 234 TCE), nel pre-vedere che gli Stati membri adottino tutti gli strumenti necessari ad eliminare even-tuali incompatibilità rilevabili in accordi con Stati terzi rispetto ad obblighi di di-ritto comunitario, impone implicitamente anche un obbligo di denuncia di accordisimili nel caso che insorgano insormontabili difficoltà nel suddetto tentativo di eli-minare le incompatibilità rilevate, cfr. art. 59 Convenzione di Vienna sul diritto deitrattati (v. anche, infra nota 44).

44 Cfr. art. 6 par. 10 Trattati di adesione del 2004 e del 2007 concernenti l’ade-sione dei dodici nuovi Stati membri all’Unione europea. Per la giurisprudenza, v.

Lo stesso strumento del ricorso per inadempimento è statoutilizzato dalla Corte di giustizia sul tema della obbligatorietà ecarattere esclusivo della propria giurisdizione come previstodall’art. 292 TCE (oggi art. 344 TFUE), in casi in cui gli Statimembri abbiano sottoposto a organi giurisdizionali previsti daaltre fonti internazionali (accordi o convenzioni) controversieinsorte tra essi in materie disciplinate dal medesimo Trattato co-munitario45.

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Sentenza 4.7.2000, causa C-62/98, Commissione delle Comunità europee controRepubblica portoghese, in Racc., I-5171. Una deroga alla restrittiva interpretazionedella citata giurisprudenza si ricava da alcuni regimi particolari in materia di com-petenza giurisdizionale e di riconoscimento di decisioni in materia civile o com-merciale. L’art. 71 del regolamento cd. Bruxelles I n. 44/2001, riguarda in partico-lare il rapporto tra tale disciplina e quella derivante da convenzioni multilateraliuniformi preesistenti. Sulla scorta dell’interpretazione secondo la quale tale dispo-sizione non riproduce la clausola di subordinazione di cui agli articoli 30 della Con-venzione di Vienna e 307 TCE (ora 351 TFUE, cfr. Sentenza del 13.7.1994, causaC-406/92, Tatry, in Racc., I-5439), le convenzioni multilaterali preesistenti po-tranno sostanzialmente essere mantenute in vigore solo se tramite esse si stabiliscaun regime speciale che disciplini particolari questioni di competenza giurisdizio-nale in modo esclusivo, completo ed assoluto (ad es. la Convenzione sul trasportoterrestre del 1956, che impone i fori competenti). Ad eccezione di tale ipotesi, l’art.71 del Regolamento 44/2001 andrà interpretato nel senso che una disciplina di unaconvenzione multilaterale uniforme – che non disciplini le questioni di competenzain modo esclusivo, completo ed assoluto – dovrà essere coordinata con la disciplinadel regolamento. Ciò potrebbe ad esempio significare che la competenza del giu-dice preventivamente adito potrebbe essere comunque garantita in base all’art. 27del Regolamento, e ciò a prescindere da una diversa competenza eventualmente ba-sata su una convenzione anteriormente vigente tra gli Stati membri interessati.

45 La presenza del citato art. 292 TCE, la cui rilevanza era già stata esaminatadalla Corte di giustizia in un caso relativo ad un confronto tra le proprie competenzee disposizioni dell’accordo sullo Spazio Economico Europeo, impedisce quindi agliStati – essendo una norma ad essi essenzialmente indirizzata – di eludere medianteconclusione di accordi internazionali le competenze attribuite alla Corte di giustiziadalle norme fondamentali dell’ordinamento comunitario (cfr. art. 220 TCE, sostan-zialmente riformulato dall’attuale art. 19 n.1 del nuovo TUE, v. Parere 1/91 sull’Ac-cordo per lo Spazio economico europeo, 14.12.1991, in Racc., 6079). In tal modo, allaCorte di giustizia è conferita un’ulteriore materia di indagine in un settore che nonattiene precipuamente alla competenza esterna comunitaria, ma che invece attiene,analogamente a quanto previsto nel succitato art. 351 TFUE (già art. 307 TCE), allecompetenze statuali in materia di diritto internazionale quando l’esercizio di tali

6.4 Le competenze della Corte nel settore della politica estera

La competenza della Corte nelle materie relative alla coope-razione politica e di sicurezza è stata chiaramente esclusa anchenel sistema precedente46. Su questi profili, l’unica disposizionerilevante introdotta dal Trattato di Lisbona, riguarda due profiliconcernenti specificamente la competenza della Corte (cfr. art.275 TFUE). La prima parte di tale norma richiama sostanzial-mente le questioni sottese all’applicazione dell’art. 40 del nuovoTUE. Già l’art. 47 TUE, peraltro, consentiva alla Corte di rice-vere contestazioni, in genere sollevate dalla Commissione, inmerito a casi in cui l’Unione adottasse atti concernenti materierientranti nelle competenze delle comunità europee in base aitrattati istitutivi di queste ultime. La nuova disposizione di cuiall’art. 40, peraltro, riflette chiaramente gli effetti derivanti dal-l’unificazione personale di Comunità e Unione europea: difatti,da questa norma sembra ricavarsi più chiaramente un’operati-vità di tipo bipolare della preclusione per le istituzioni di operarecontaminazioni tra procedure nonché sulla portata delle attribu-zioni delle istituzioni contemplate, rispettivamente, nelle dispo-sizioni sulla politica estera e in quelle concernenti le competenzedell’Unione nei settori di cui agli articoli da 3 a 6 TFUE47. La

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competenze possa rappresentare una deminutio delle competenze già conferite allaComunità/Unione (v. anche Parere 1/92, 10.4.1992, in Racc., 2821 nonché la Sen-tenza 30.5.2006, causa C-459/03 Commissione contro Irlanda, in Racc., I-4635, que-st’ultimo caso relativo all’applicazione dei mezzi di risoluzione delle controversieprevisti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare).

46 L’art. 46 TUE risultava chiaro sul punto, con una necessaria precisazione suun tema particolarmente controverso riguardante la competenza della Corte sullaverifica della legittimità degli atti dell’Unione sotto il profilo del rispetto delle ga-ranzie fondamentali come menzionate nella norma “costituzionale” dell’art. 6 n. 2TUE. L’indicato art. 46 TUE, alla lett. d) consentiva infatti di concludere che, anchesotto l’indicato profilo della legittimità degli atti di politica estera che incidesserosu diritti fondamentali dell’individuo, alla Corte, diversamente da quanto previstoin via generale dalla stessa disposizione, non era consentito alcuno spazio di inter-vento, coerentemente con la generale esclusione di alcuna competenza dell’organogiurisdizionale in ambito PESC.

47 In sostanza, sembra che l’indicata unificazione personale abbia dato con-

portata dell’art. 40 del nuovo TUE sembra suggellare un per-corso che la Corte di giustizia aveva in parte già avviato. Ci sipotrebbe tuttavia legittimamente chiedere sino a che punto que-sta sorta di argine concettuale tra competenze in tema di politicaestera e competenze in tema di azione esterna (intesa nel sensopiù specifico di cui agli articoli 205 ss. TFUE e prescindendodalla più generale impostazione di tale azione come ricavabiledall’art. 21 del nuovo TUE) possa resistere in un quadro giuri-dico chiaramente innovato rispetto a quello ricavabile dalloschema di relazioni tra Unione e Comunità europea nel sistemadi Nizza. Mentre in quest’ultimo sistema, infatti, con l’art. 47TUE – pur se sotto l’egida del criterio del quadro istituzionaleunico – si riproduceva una consolidata regola di diritto interna-zionale dei trattati applicabile ad una distinzione formale tra di-versi soggetti creati da diversi trattati, con Lisbona la citatanorma dell’art. 40 del nuovo TUE va letta almeno congiunta-mente alla disposizione che realizza l’effetto di assorbimentodella Comunità europea nella nuova singola personalità del-l’Unione nonché accanto alle previsioni di cui agli articoli 21 e22 del nuovo TUE, che predispongono obiettivi e strumenti perla realizzazione di un concetto di azione esterna dotato di in-dubbia ampiezza.

L’art. 275 TFUE estende le competenze della Corte anchealle decisioni di politica estera che autorizzino interventi restrit-tivi nei confronti di individui (persone fisiche o giuridiche, v.supra nella parte introduttiva i riferimenti ai contenuti degli ar-ticoli 215 e 275 TFUE). La norma di cui all’art. 275, peraltro,non richiama espressamente l’art. 215 TFUE, in quanto si riferi-sce soltanto alle decisioni adottate dall’Unione secondo le pro-cedure previste dall’art. 31 del nuovo TUE in tema di politica

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ferma ad una recente giurisprudenza che ha già provveduto a interpretare la dina-mica dei rapporti tra competenze dell’Unione nel settore della politica estera equelle della Comunità in settori di relazioni esterne non solo nel senso di impedireall’Unione di incidere sulle materie coperte dai trattati comunitari, ma anche nelsenso, a contrario, che la Comunità non potesse (nel contesto pre-Lisbona) inci-dere, esercitando le proprie, sulle attribuzioni dell’Unione in materia di politicaestera (tale conclusione si ricava anche da alcuni esempi concreti v. i casi PassangerName Record e Ecowas cit. supra nota 8).

estera, mentre l’art. 215 TFUE si riferisce, al secondo paragrafo,anche a misure restrittive, sempre rivolte a privati, ma che sianopreviste da decisioni di politica estera (dandosi per scontato cheanche per tali misure restrittive sia ammessa l’impugnazione daparte dei loro destinatari a norma dell’art. 263 TFUE). La fina-lità dell’art. 275 TFUE è quindi espressamente quella di chiarire,quale deroga al principio in esso sancito della insindacabilità ditipo giurisdizionale degli atti dell’Unione nel settore della poli-tica estera, che la Corte potrà ricevere ricorsi volti specifica-mente all’annullamento (art. 263 TFUE) di atti di politica esterache prevedano misure restrittive nei confronti di individui. Ilquadro di regole derivante dal combinato disposto degli articoli215 e 275 TFUE – con le rilevate diverse finalità perseguite datali due disposizioni – può implicare l’analisi di fonti di dirittointernazionale riconducibili a misure restrittive cd. multilateraliche in genere trovano propria ratio negli scopi generali dellaCarta delle Nazioni Unite (cfr. artt. 25 e 103) e realizzazionepratica tramite adozione, da parte del Consiglio di sicurezzaONU, di risoluzioni contenenti misure di embargo commer-ciale. Su tali materie, una recente pronuncia della Corte ha fattoemergere i caratteri peculiari dell’ordinamento dell’Unioneanche riguardo ai rapporti tra quest’ultima e l’Organizzazionedelle Nazioni Unite48.

Roma, maggio 2010

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48 Cfr. Sentenza 3 settembre 2008, cause riunite C-402/05 P and C-415/05 P,Racc.I-6351. Sulla generale premessa secondo la quale l’Unione in definitiva si at-teggia quale tipico organismo di carattere regionale (cfr. art. 53 Carta NU) i cuiStati membri sarebbero comunque vincolati agli obblighi per essi derivanti dall’ap-partenenza al sistema delle NU (cfr. art. 307 TCE, ora art. 351 TFUE), la Corte delLussemburgo ha ribadito l’inderogabilità del principi generali del diritto comuni-tario cui va ricondotto lo stesso sistema di tutela dei diritti fondamentali garantitoa livello dell’Unione (cfr. art. 6 TUE e art. 6 del nuovo TUE), rilevando così la pe-culiarità dell’ordinamento creato dai trattati anche alla luce del sistema di rimedigiurisdizionali previsti dagli articoli 220 ss. TCE (cfr. art. 19 del nuovo TUE). Unrichiamo necessario, in tal senso, va fatto alla nota Sentenza 23.4.1986, causa294/83, Les Verts/Parlamento, in Racc., pag. 1339, che ha definito l’ordinamentocreato dai trattati CE quale una vera e propria comunità di diritto. Le nuove previ-sioni del Trattato di Lisbona sembrano quindi rispondere ad un’esigenza di chiari-mento sul materiale funzionamento del sistema delle sanzioni multilaterali cui

NOTA BIBLIOGRAFICA

Il presente contributo persegue finalità di natura essenzialmentedidattica. Pertanto, di seguito si riporta una bibliografia di carattere ge-nerale – escludendo lavori più specifici (trattandosi di una letteraturapressoché sterminata) – relativa agli argomenti affrontati. Quali titolidi carattere generale, si vedano, ex multis, QUADRI R., MONACO R.,TRABUCCHI A. (curr.), Trattato istitutivo della Comunità economicaeuropea.CommentarioMilano, 1965;Commentaire J. Mégret, Le droitde la CE et de l’Union européenne, Bruxelles, 2000; LÈGER P. (sous ladir. de), Commentaire article par article des traités UE et CE, Paris-Bruxelles, 2000; TIZZANO A. (cur.), I trattati dell’Unione europea edella Comunità europea, commentario Milano, 2004; FERRARI BRAVO

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BRAVO L. e RIZZO A. (curr.), Codice dell’Unione europea, Milano,2008. Per quanto riguarda i temi concernenti le relazioni internazionalidelle Comunità europee e dell’Unione europea, anche connessi alle ri-forme istituzionali sino al Trattato di Lisbona: BOULOIS J., La jurispru-dence de la Cour de Justice de Communautés européennes relative auxrelations extérieures, in Recueil, 1978, II t.160; BOULOIS J., Le droit desCommunautés européennes dans ses rapports avec le droit internationalgénéral, in Recueil, 1992, IV, t.235; AUVRET-FINCK J., Accords mixtes, inDictionnaire juridique des Communautés européennes, Paris, 1993;KADDOUS C., Le droit des relations extérieures dans la jurisprudence dela Cour de Justice des Communautés européennes, Bruxelles, 1998;

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l’Unione attinge per realizzare anche i propri scopi, dovendo però anche garantirela sindacabilità degli atti istituzionali conformemente al modello di ricorso direttoche le riforme di Lisbona rendono, peraltro, più accessibile rispetto al passato (cfr.art. 230 par.4 TCE e art. 263 co.4 TFUE). Questa esigenza di tutela assume carat-tere particolarmente vincolante per le istituzioni comunitarie alla luce delle specifi-che previsioni della Carta dei diritti fondamentali (cfr. Titolo VI della Carta in temadi Giustizia), le cui disposizioni, con il Trattato di Lisbona, sono peraltro ricon-dotte al rango di fonti di diritto primario dell’ordinamento dell’Unione (cfr. 6 delnuovo TUE).

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