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di emilio drudi* I corpi senza vita di cinque giovani migranti subsahariani sono stati tra- scinati dal mare sulla costa di Homs, circa 120 chilometri a est di Tripoli. Li hanno trovati a breve distanza dalla riva il 27 agosto. Lo riferisce il rap- porto quindicinale pubblicato dalla se- zione libica dell’Oim in collaborazione con la Guardia Costiera. Quel giorno non risultano, in quel tratto di mare, operazioni di soccorso a natanti cari- chi di migranti in difficoltà: stando allo stesso rapporto, interventi di recu- pero da parte della Marina libica si sono verificati solo a partire dal giorno dopo e molto più a ovest: il 28 e il 29 a Tripoli, sempre il 29 a Sabra- tha, il 30 a Zawiya. E’ evidente che quei cinque ragazzi morti non sono ri- collegabili a questi episodi. Tutto la- scia credere a un naufragio avvenuto almeno 24 ore prima del ritrova- mento, intorno al 25 o al 26, al largo di Homs. Una tragedia rimasta sco- nosciuta, quasi certamente con de- cine, forse oltre 100 uomini e donne di cui si è persa ogni traccia: dispersi. Desaparecidos. Nel mese di agosto c’è stato almeno un altro episodio analogo: due corpi riaffiorati il giorno 7 sul litorale di Za- wiya, uno dei porti d’imbarco più bat- tuti dai trafficanti, 50 chilometri a ovest di Tripoli. Anche in questo caso la spiegazione più plausibile è un naufragio avvenuto nelle acque terri- toriali libiche senza che nessuno sia intervenuto. Non risultano, infatti, operazioni di soccorso nella zona in quel periodo, se non due giorni dopo, a una barca con 143 migranti a bordo, che evidentemente non può aver nulla a che fare con le due vit- time restituite dal mare. E come sulla costa di Homs il 27 agosto, anche in questo caso sono ipotizzabili decine di dispersi. Altri desaparecidos. In Italia non è arrivata notizia di que- ste due più che probabili nuove stragi. Non è più come quando al margine delle acque libiche opera- vano le navi delle Ong le quali, oltre a salvare migliaia di vite, erano gli “occhi” che consentivano di vedere e testimoniare quanto accadeva, giorno per giorno. E denunciare la tragedia in atto. Da quando il controllo di una fascia di centinaia di miglia di mare dalla costa africana e il coordina- mento delle operazioni di ricerca e re- cupero sono stati affidati alla Guardia Costiera di Tripoli, addestrata e rifor- nita di navi e mezzi logistici dall’Italia, questo genere di informazioni non trapela più. Così quasi nessuno parla di questi morti. E, siccome non se ne parla, è come se non ci fossero mai stati. “Silenziati”. La gente, l’opinione pubblica, non ne sa nulla. Però ci sono. E sono tanti, più di quanto pro- babilmente si aspettava chi ha pre- sentato il blocco delle partenze dalla Libia come la soluzione “per porre fine alla strage”. Lo dimostra l’ultimo rapporto dell’Oim che – come scrive Marco Bresolin sulla Stampa – rileva che “il numero di arrivi sulle coste eu- ropee del Mediterraneo si è dimez- zato nei mesi di luglio e agosto rispetto al 2016 (da 52.220 si è scesi a 23.301)” ma, di contro, “il numero di morti è rimasto praticamente identico (288 nel 2016 contro i 283 di que- st’anno”. La sorpresa maggiore, anzi, viene proprio da agosto, in concomi- tanza con l’assunzione piena del ruolo di “gendarme” da parte della Libia: mentre gli sbarchi sono crollati, il numero di morti è più che raddop- piato, passando dai 62 del 2016 ai 151 di quest’anno. Un aumento esponenziale di vite per- dute che è difficile non ricollegare di- rettamente alla barriera eretta dall’Italia e dall’Unione Europea nel Mediterraneo (oltre che sulla frontiera del Sahara) grazie alla serie di ac- www.puntorosso.it anno iii - numero 96 - 15 settembre 2017 punto rosso lavoro 21 Settimanale Migranti, più Morti dopo il blocco in libia dura condanna del coMMissario onu per i diritti uMani

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di emilio drudi*

I corpi senza vita di cinque giovanimigranti subsahariani sono stati tra-scinati dal mare sulla costa di Homs,circa 120 chilometri a est di Tripoli. Lihanno trovati a breve distanza dallariva il 27 agosto. Lo riferisce il rap-porto quindicinale pubblicato dalla se-zione libica dell’Oim in collaborazionecon la Guardia Costiera. Quel giornonon risultano, in quel tratto di mare,operazioni di soccorso a natanti cari-chi di migranti in difficoltà: stando allostesso rapporto, interventi di recu-pero da parte della Marina libica sisono verificati solo a partire dalgiorno dopo e molto più a ovest: il 28e il 29 a Tripoli, sempre il 29 a Sabra-tha, il 30 a Zawiya. E’ evidente chequei cinque ragazzi morti non sono ri-collegabili a questi episodi. Tutto la-scia credere a un naufragio avvenutoalmeno 24 ore prima del ritrova-mento, intorno al 25 o al 26, al largodi Homs. Una tragedia rimasta sco-nosciuta, quasi certamente con de-cine, forse oltre 100 uomini e donnedi cui si è persa ogni traccia: dispersi.Desaparecidos.Nel mese di agosto c’è stato almenoun altro episodio analogo: due corpiriaffiorati il giorno 7 sul litorale di Za-wiya, uno dei porti d’imbarco più bat-tuti dai trafficanti, 50 chilometri aovest di Tripoli. Anche in questo casola spiegazione più plausibile è unnaufragio avvenuto nelle acque terri-toriali libiche senza che nessuno siaintervenuto. Non risultano, infatti,operazioni di soccorso nella zona inquel periodo, se non due giorni dopo,a una barca con 143 migranti abordo, che evidentemente non puòaver nulla a che fare con le due vit-time restituite dal mare. E come sullacosta di Homs il 27 agosto, anche in

questo caso sono ipotizzabili decinedi dispersi. Altri desaparecidos.In Italia non è arrivata notizia di que-ste due più che probabili nuovestragi. Non è più come quando almargine delle acque libiche opera-vano le navi delle Ong le quali, oltrea salvare migliaia di vite, erano gli“occhi” che consentivano di vedere etestimoniare quanto accadeva, giornoper giorno. E denunciare la tragediain atto. Da quando il controllo di unafascia di centinaia di miglia di maredalla costa africana e il coordina-mento delle operazioni di ricerca e re-cupero sono stati affidati alla GuardiaCostiera di Tripoli, addestrata e rifor-nita di navi e mezzi logistici dall’Italia,questo genere di informazioni nontrapela più. Così quasi nessuno parladi questi morti. E, siccome non se neparla, è come se non ci fossero maistati. “Silenziati”. La gente, l’opinionepubblica, non ne sa nulla. Però cisono. E sono tanti, più di quanto pro-babilmente si aspettava chi ha pre-

sentato il blocco delle partenze dallaLibia come la soluzione “per porrefine alla strage”. Lo dimostra l’ultimorapporto dell’Oim che – come scriveMarco Bresolin sulla Stampa – rilevache “il numero di arrivi sulle coste eu-ropee del Mediterraneo si è dimez-zato nei mesi di luglio e agostorispetto al 2016 (da 52.220 si è scesia 23.301)” ma, di contro, “il numero dimorti è rimasto praticamente identico(288 nel 2016 contro i 283 di que-st’anno”. La sorpresa maggiore, anzi,viene proprio da agosto, in concomi-tanza con l’assunzione piena delruolo di “gendarme” da parte dellaLibia: mentre gli sbarchi sono crollati,il numero di morti è più che raddop-piato, passando dai 62 del 2016 ai151 di quest’anno.Un aumento esponenziale di vite per-dute che è difficile non ricollegare di-rettamente alla barriera erettadall’Italia e dall’Unione Europea nelMediterraneo (oltre che sulla frontieradel Sahara) grazie alla serie di ac-

www.puntorosso.itanno iii - numero 96 - 15 settembre 2017

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Migranti, più Morti dopo ilblocco in libia

dura condanna del coMMissario onu per i diritti uMani

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lavoro21settimanalecordi stretti con Tripoli, partendo dalProcesso di Khartoum sottoscritto nelnovembre 2014 e arrivando via viafino al vantatissimo memorandumispirato dal ministro dell’internoMarco Minniti e firmato il 2 febbraio aRoma dal premier Paolo Gentiloni edal presidente Fayez Serraj. Vite per-dute due volte, verrebbe da dire, pro-prio perché non si sa praticamentequasi nulla di loro e addirittura non neè concesso neanche il ricordo.Sono tanti, tantissimi, del resto, gliepisodi, le sofferenze, le vicendeumane, le storie di disperazione chela politica e gran parte dell’informa-zione stanno gettando nell’oblio piùprofondo, sulla scia degli ultimi ac-cordi che hanno bloccato i profughi inLibia e negli altri paesi di transito oprima sosta, incastrandoli tra le situa-zioni di crisi estrema da cui fuggonoe i muri eretti dalla Fortezza Europa.Un caso emblematico è la sorte toc-cata in Sudan a 104 profughi eritreiche, alla fine di agosto, sono stati ri-consegnati alla dittatura da cui eranoscappati a rischio della vita. Li hannocatturati, in tre diverse operazioni, imiliziani della Forza di Intervento Ra-pido, la polizia speciale, tristementefamosa per le stragi nel Darfur, allaquale il presidente Omar Al Bashir haaffidato il compito del controllo del-l’immigrazione, in ottemperanza agliimpegni presi con il Processo di Khar-toum e il successivo patto bilateralecon Roma, firmato nell’agosto del2016. Sono gli ultimi di migliaia di arresticondotti nell’ultimo anno. Il primogruppo, 38 giovani tra cui 9 donne, èfinito in carcere a Ondurman all’iniziodi agosto. Gli altri 66 – suddivisi indue gruppi rispettivamente di 36 e 30tra uomini e donne – è stato sorpresodalla milizia nella boscaglia di WedBaow, nel sud del paese, pressoWedel Hihlio, e trasferito nella pri-gione di Kassala all’inizio di luglio. A fine agosto le corti di Khartoum eKassala ne hanno deciso la deporta-zione in Eritrea, dove c’è da credereche quasi tutti verranno trattati comedisertori e consegnati alla giustiziamilitare del regime. Un calvario desti-nato ad essere percorso da numerosialtri ragazzi: secondo notizie perve-nute alla diaspora eritrea, nel solocarcere di Ondurman ce ne sono 43in attesa di essere processati e rim-patriati di forza.Roma e Bruxelles non possono non

sapere che è questo il destino deifuggiaschi eritrei presi dai “diavoli acavallo”, i miliziani di Al Bashir. Manon sembrano curarsene. E tacciono.Bashir, del resto, svolge esattamenteil compito di “guardiano” lungo le viedi immigrazione dal Corno d’Africache l’Italia e l’Europa gli hanno affi-dato. Tace però anche gran parte delsistema di informazione. Quando ad-dirittura non esalta o comunque com-menta con favore le ultime scelte delgoverno italiano, il “giro di vite” intro-dotto dal Viminale, asserendo che orase non altro il problema viene “ge-stito” e gli sbarchi sono in calo. Eppure, da quando è iniziato il bloccodelle coste libiche, episodi analoghi aquello dei 104 ragazzi eritrei deportatio il sospetto che si stiano ancora ve-rificando morti in mare, senza testi-moni, sono segnalati sempre piùspesso alle organizzazioni dei mi-granti in Europa da familiari e amicirimasti intrappolati in Libia prima diriuscire a imbarcarsi o intercettatidalla Guardia Costiera dopo pochemiglia di mare e riconsegnati a unodei 34 centri di detenzione in funzionenel paese, lager dove miliziani e traf-ficanti hanno quasi sempre campo li-bero. Racconti che confermano in pienol’ultimo rapporto di Medici SenzaFrontiere, presentato a Roma il 7 set-tembre: bastonature sistematiche,torture, violenze di ogni genere, ri-catti, stupri, lavoro schiavo. Con inpiù, spesso, per chi è stato fermatoquando già si era imbarcato e intra-vedeva un barlume di salvezza, ilcrollo di ogni speranza. “Siamo pre-occupati per certi appelli che ci sonoarrivati – dicono Johannes e Abra-ham, del Coordinamento Eritrea De-mocratica – Sono grida d’aiuto dipersone che si sentono precipitate inun pozzo senza fondo. Se non si in-terviene subito, più di qualcuno po-trebbe cedere. E magari decidere cheè meglio farla finita per sempre. E’ giàaccaduto. E può accadere di nuovo,ancora di più, in un girone infernalecome quello dei lager libici”.C’è da chiedersi, allora, se producetutto questo, come possa essere con-siderato positivo il sistema di gestionedel “problema immigrazione” sceltoda Roma, con il pieno sostegno diBruxelles. C’è da chiedersi come maiil problema di creare in Libia per i mi-granti condizioni di vita sicure e digni-tose e di organizzare canali legali di

immigrazione per chi ha diritto a unaforma di tutela internazionale, non siastato risolto prima di decidere ilblocco del Mediterraneo Centrale,che condanna centinaia di migliaia dirichiedenti asilo a un autentico, infi-nito inferno. E’ quello che si è chiesto anche l’altocommissario dell’Onu per i dirittiumani, Zeid Ra’ad al Hussein il quale,il 10 settembre, richiamando il dossiersulla Libia pubblicato dalle NazioniUnite lo scorso dicembre, ha denun-ciato il mancato rispetto dei dirittiumani nei confronti dei migranti inLibia, incluso quello che accade suibarconi intercettati dalla Guardia Co-stiera, contestando il silenzio che cir-conda “le carcerazioni arbitrarie dipersone estremamente vulnerabili”.“Tutto questo – ha ricordato – era giàsegnalato nel rapporto pubblicato dal-l’Onu nel dicembre 2016, ma eviden-temente la memoria è corta quando ifatti sono scomodi. Da allora, dal di-cembre 2016, la situazione è anchepeggiorata. I morti si sono moltiplicaticosì come le famiglie in cerca di noti-zie dei loro cari scomparsi”. E poi, riferendosi in particolare all’Eu-ropa, ha rilevato come l’Unione Euro-pea si trovi di fronte a un grossodilemma morale e legale, poiché harapporti di cooperazione con la Guar-dia Costiera libica e sminuisce i suoiabusi, incluse le uccisioni. “Quellaguardia costiera – ha specificato –che talvolta soccorre i migranti in dif-ficoltà, ma talvolta, come i miliziani aterra, picchia, rapina o addiritturaspara contro i migranti che intercetta”.Proprio sulla scia di queste conside-razioni, dunque, Zeid si è detto d’ac-cordo con la lettera inviata ai leadereuropei da Joanne Liu, il presidenteinternazionale di Medici Senza Fron-tiere. E ha tenuto a precisare: “Quellalettera, intitolata ‘I Governi europeistanno alimentando il business dellasofferenza’, chiede se consentire chela gente venga consegnata a rapine,torture, schiavitù, sia un prezzo che iGoverni europei sono disposti a pa-gare. Io sono totalmente d’accordocon questa analisi e condivido lostesso disgusto per questa situa-zione”.

*http://www.tempi-moderni.net

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di claudio gnesutta*

Nelle sue linee essenziali, il problemaè ben definito dai due interventi.Come argomentano Guarascio eSacchi, l’organizzazione produttiva diIndustria 4.0 non è “neutrale” perquanto riguarda la quantità e la qua-lità dell’occupazione futura dato che,come noto, le forme della distribu-zione sociale dipende dalle formedell’organizzazione produttiva. En-trambi gli interventi, ritenendo insod-disfacenti le prospettive implicite nelletendenze in atto, esprimono la neces-sità di una politica economica che af-fronti la questione della “sostenibilitàsociale della futura organizzazioneeconomica al fine di garantire in viastrutturale una più equa distribuzionedei costi e dei benefici.Dopo tanto soffermarsi sul carattere“finanziario” di questo capitalismo, èun ottimo segno che la discussione sirivolga finalmente a quanto si è sedi-mentato, dall’ultimo decennio del se-colo scorso, nella struttura produttivaquale determinante fondamentaledella società che sta emergendo. Ciònon significa negare l’importanteruolo che la finanza ha avuto, e ha,nel sostegno del processo di trasfor-mazione dell’accumulazione in sensoglobale e, cosa di non piccolo conto,nella formazione del blocco socialeche ha cementato ampi strati, più omeno benestanti, intorno agli inte-ressi della finanza.Ma, porre l’accento sui caratteri dellatrasformazione industriale 4.0 per-mette di rendere evidente quale è lacontraddizione sociale di fondo, chenon è quella tra grandi e piccoli pro-prietari ma, a livello del “lavoro”, trachi decide e chi subisce le nuove re-gole produttive. È la classica contrad-dizione tra economia e società che,pur in forme diverse, si ripropone an-cora una volta e che giustifica sia i ri-chiami di Guarascio e Sacchi perl’attivazione di politiche perequativedel lavoro, sia la soluzione di Aimar diuna decisa redistribuzione del reddito

(reddito di base) e del lavoro (ridu-zione degli orari).Se la prospettiva storica è questa –ed è ineludibile – e se l’intervento au-spicato è questo, si apre un ampiospazio di riflessione teorica e di di-scussione politica per qualificare ana-lisi e progetti alternativi. A questo fine,mi sembra utile sottoporre alcunipunti problematici a un dibattito chedovrebbe essere tanto approfondito e

articolato quanto si presenta com-plesso nella sua realtà e nella suaevoluzione.La prima questione, ovvia, è chequalsiasi politica progettata a questoriguardo deve avere uno sguardo dilungo periodo, non solo perché unriassestamento della società in anti-tesi alle forze economiche dominantinon può realizzarsi in tempi brevi,anche perché nel tempo si trasfor-

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industria 4.0,abbiaMo un probleMa

IL SALTO TECNOLOGICO GIUNTO A MATURAZIONE, E RIASSUNTO SOTTO L’ETICHETTA “INDUSTRIA 4.0”,PROSPETTA – O, MEGLIO, IMPONE – UNA SOCIETà IN CUI LE CONDIZIONI DI LAVORO, E QUINDI DI VITA, DIUNA LARGA PARTE DELLA POPOLAZIONE SIANO CONTRADDISTINTE DA PRECARIETà E INSUSSISTENZA.

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lavoro21settimanalemano i rapporti di forza tra le parti incausa. Sia l’ipotesi di Guarascio eSacchi di una politica attiva del la-voro, sia quella di Aimar di una redi-stribuzione del reddito e del tempo dilavoro implicano che, per contrastaregli effetti distorsivi dell’attuale pro-spettiva industriale sulla struttura so-ciale e sull’assetto democratico, sidebba di fatto redistribuire a livello disocietà i guadagni di produttività otte-nuti dalle imprese al loro interno. Maciò comporta poter fare affidamentosu una politica fiscale robusta accom-pagnata da una decisa politica indu-striale che tenga conto del contestointernazionale, così come su una po-litica monetaria e finanziaria, su unagestione dell’amministrazione pub-blica e su un orientamento dei sinda-cati che configurino nel lorocomplesso una politica economicache – come già sostenuto a suotempo nell’ebook ‘Come minimo. Unreddito di base per la piena occupa-zione‘ – sia di contrappeso alle impli-cazioni sociali della visione strategicadel capitale.Non essendo pensabile che singoliinterventi “tecnici” possano correg-gere le tendenze dominanti, è indi-spensabile costruire una politicaeconomica consapevolmente conflit-tuale che si proponga di modificare ivincoli istituzionali che condizionanoil perseguimento di equilibri sociali ri-tenuti più giusti. Una politica econo-mica che sappia affrontare levischiosità che si presentano quandosi intendano modificare i rapporti dilavoro (disoccupazione, ma soprat-tutto precarietà), i modelli di consumo(centrati sugli interessi individuali delconsumatore), il ruolo della finanza(funzionale, come pianificatore, alprocesso di accumulazione indu-striale). È una prospettiva tanto ne-cessaria quanto ardua, soprattutto sesi pensa alle due precondizioni es-senziali per la sua realizzazione.La prima è di carattere istituzionale.Nella concezione corrente del go-verno dell’economia e della società,l’obiettivo prioritario non è certamenteil “lavoro” nella sua dimensione quan-titativa e qualitativa; il suo assetto èstrutturalmente subordinato alle pro-spettive perseguite da un blocco disoggetti che hanno come riferimentole opportunità offerte dall’economiaglobale. Per la loro parzialità, questiinteressi si concentrano sulla sola di-mensione quantitativa della valorizza-

zione di un capitale reso scarso, tra-scurando l’importanza dei caratteriqualitativi del processo di accumula-zione. È su questa visione dell’azioneconcreta del settore pubblico – edella sua tecnocrazia (nella commi-stione pubblica e finanziaria) – che sifonda una politica economica (neoli-berista) ingiusta e miope che, accet-tando che pochi siano i vincenti emolti i perdenti, accredita un sistemaavverso alla coesione sociale. Qual-siasi progetto che miri a un compro-messo più avanzato di societàrichiede – aspetto tutt’altro che imme-diato e scontato – di “catturare” il re-golatore pubblico, attualmente“catturato” dalla strategia degli inte-ressi industriali e finanziari.A questa precondizione si accompa-gna una seconda di carattere cultu-rale, comunque a essa strettamenteassociata. Se è evidente il conflittopotenziale tra i pochi che decidono lelinee dell’accumulazione e i molti chele subiscono con il deterioramentodelle loro condizioni di vita, tale con-flitto stenta a esprimersi apertamentenella misura in cui il disagio rimaneconfinato a livello individuale. Non vainfatti trascurato che il modello di in-tegrazione del lavoro nella societàdell’Industria 4.0 si presenta struttu-ralmente diverso dal modello di inte-grazione sociale sperimentato nelcapitalismo precedente per l’accen-tuazione che vi assume la dimen-

sione individuale su quella sociale. Sipensi – quali situazioni problematiche– come, di fronte a una pressione perla realizzazione di un reddito di base,sia sempre possibile da parte delleimprese offrire una risposta individua-lizzante in termini di aumenti salarialilimitati ai lavoratori più “produttivi” e,di fronte a una proposta di riduzionedegli orari di lavoro, sia possibile chegli obiettivi sindacali siano condizio-nati dalla resistenza degli occupatialla perdita di reddito. In una realtàstorica di profonda incertezza, gli in-teressi individuali di breve periodo,economici e finanziari, fanno premiosui potenziali benefici collettivi di unafutura struttura sociale più equilibrata;il conflitto sociale stenta a presentarsiin maniera esplicita come conflitto po-litico generando, culturalmente,un’inerzia di comportamenti che riflet-tono la sfiducia diffusa sulle potenzia-lità di un futuro possibile.Certo che “il” problema c’è e che c’èil bisogno di riflettere su come riorga-nizzare teoria e prassi politica, e que-sto va fatto senza trascurare che ledue precondizioni – quella culturale equella istituzionale – rivestono un ri-lievo decisivo, se non prioritario, perqualsiasi progetto che voglia contrap-porsi al consolidamento di una So-cietà 4.0.

* da fiom-cgil.it

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di peppino caldarola*

Matteo Renzi deve cominciare a pre-occuparsi davvero. Anche i renziani,soprattutto quelli che hanno in animodi lasciare la nave piena d’acqua, de-vono sbrigarsi. Ci sono diversi ele-menti che inducono a pensare cheper il campione della “rottamazione”stia iniziando l’ultimo giro di pista.ORMAI MATTEO NON COLPISCEPIù. In primo luogo c’è lui, presenzia-lista come sempre ma privo di paroleche colpiscano l’opinione pubblica.Fateci caso. Malgrado la stampa siapiena di cronisti assai indulgenti conl’ex premier, dalle sue iniziative nonviene più fuori una notizia. Non c’èanatema bruciante verso quelli di Ar-ticolo 1 che varchi la prima pagina,non c’è argomento in cui lui crei piùscandalo. Non c’è più niente. È tuttofinito, ricreazione compresa.GENTILONI-MINNITI SUOI OPPO-STI. Il secondo elemento che minac-cia l’uomo del referendum fallito ècostituito dal prevalere dell’immaginedi due suoi collaboratori che sono algoverno. Paolo Gentiloni e MarcoMinniti, sia pure diversamente, rap-presentano un modello politico a luiopposto. Soprattutto perché lavoranoin silenzio. Ma più che il silenzio col-pisce il fatto che “lavorino” (come lofacciano, a cosa si applichino è altrodiscorso). Le formiche vanno più dimoda delle cicale (tema che do-vrebbe impensierire anche BeppeGrillo). Renzi ha sempre quell’aria dichi benedice i suoi uomini di punta,ma visibilmente “rosica”, come si dicea Roma.Il terzo elemento è l’affollarsi di inizia-tive in cui si discute di come farlofuori, anche se non è questo il temaevidente. Non mi riferisco alle paroledi Massimo D’Alema che sono chiare.Penso a quella parte del Pd che ap-pare maggioritaria nello stato mag-giore, non so nel partito reale, cheormai aspetta il voto siciliano per ini-ziare il conto alla rovescia sul segre-tario.

EX PREMIER GIà MESSO IN CAN-TINA. Ma il pericolo maggiore perRenzi non viene né dalla concorrenzadi premier e ministri, né dalle sue pa-role insignificanti, né (con rispettoparlando) da Dario Franceschini,Carlo Calenda e Andrea Orlando. Ilpericolo maggiore per Renzi vienedal fatto che gran parte della pubblicaopinione già lo ha messo in cantina.Quando lasciò il governo lui speròche la frase che sarebbe divenuta po-polare sarebbe stata “adda venìRenzi”. Oggi rischia che molti si inter-roghino: “Renzi chi?”.Nasce da qui la mia personale con-vinzione che gli oppositori suoi diven-tino soprattutto costruttori del dopo,ignorandolo. Pensate al vantaggioper la politica italiana se nessuno ri-spondesse a Renzi, se lo si lasciassecircolare nel silenzio e nell’indiffe-renza lasciandolo come una moscanel bicchiere messo a testa in giù sultavolo.UN DIBATTITO CHE STRITOLA GLIAVVERSARI. I vantaggi sarebbero iseguenti: la politica si libererebbe dal-l’immagine di essere un’attività buonsolo per stritolare gli avversari, la po-litica recupererebbe la principale re-

sponsabilità di dire quel che vuol fare,la politica tornerebbe a porre al primoposto la pubblica opinione.È un compito che spetta soprattuttoai politici “vecchi”. Noi di quella gene-razione stiamo avendo alcune soddi-sfazioni. A Venezia addirittura tre filmavevano al centro storie di vecchi vi-talissimi. Questa cosa per cui dopo leprime rughe devi andare a morire so-litario nella foresta ormai sembra so-prattutto una cazzata.BISOGNA SPINGERE UNA NUOVAGENERAZIONE. È per questo che i“vecchi” devono essere generosi orache non sono più materiale di rotta-mazione (non parlo neppure di vecchiche vogliono rottamare altri vecchi,come Giuliano Pisapia che vorrebbeescludere suoi coetanei dall’elezioneparlamentare). Generosi vuol dire in-nanzitutto che devono spingere unanuova generazione verso la primascena ponendo come unica condi-zione che emergano giovani che ab-biano studiato e che siano seri.Insomma che non somiglino né aRenzi né a Luigi Di Maio.

*da lettera43

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la grande rivincita dei vecchipolitici nel declino di renzi

NON SONO PIù MATERIALE DA ROTTAMARE. ORA DEVONO APRIRE UNA NUOVA FASE CHE SI OCCUPI DIPUBBLICA OPINIONE. FACENDO CRESCERE GIOVANI SERI E PREPARATI. INSOMMA CHE NON SOMIGLINO

Né AL SEGRETARIO PD Né A DI MAIO.

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di nonmiarrendo*

Nell’ultimo periodo anche parecchisindaci lombardi del PD si sono ag-giunti ai sostenitori dell’iniziativa, cosìcome negli ultimi giorni il Presidentedell’Emilia-Romagna Bonaccini ,escludendo però il passaggio referen-dario.Interessante rimarcare come prima inVeneto, poi in Lombardia si è saldataun'alleanza necessaria con il M5s perfar passare i due provvedimenti nei ri-spettivi Consigli regionali, dov'era ne-cessaria una maggioranza dei dueterzi. I leghisti hanno tenuto i quesitinel cassetto fino a un tempo per loropropizio. L'anno pre-elettorale del2017. Una farsa, secondo alcuni diri-genti Dem, come il citato Bonaccini,che si sono invece poi ritrovati a rin-correre Maroni e Zaia una volta an-nunciata la data della consultazioneper il 22 ottobre, anche perché es-sere contro la richiesta di maggior au-tonomia fiscale, che è nel Dna di molticittadini ed imprenditori, potrebbe farpagare al Pd un prezzo alto in vistadelle prossime elezioni politiche,forse ancora più alto di quello delle ul-time Comunali. Un piano ben struttu-rato e di lungo periodo quelloleghista, che parte da lontano con il“frutto avvelenato” della riforma del ti-tolo V della Costituzione nel 2001.Nella forma, i due quesiti referendarisono però formulati in maniera di-versa. Essenziale, quello del Veneto:"Vuoi che alla Regione del Venetosiano attribuite ulteriori forme e con-dizioni particolari di autonomia?". Piùcircostanziato, il quesito che gli elet-tori lombardi troveranno sulla loroscheda elettronica: "Volete voi che laRegione Lombardia, in considera-zione della sua specialità, nel quadrodell’unità nazionale, intraprenda leiniziative istituzionali necessarie perrichiedere allo Stato l’attribuzione diulteriori forme e condizioni particolaridi autonomia, con le relative risorse,ai sensi e per gli effetti di cui all’arti-

colo 116, terzo comma, della Costitu-zione e con riferimento a ogni materialegislativa per cui tale procedimentosia ammesso in base all’articolo ri-chiamato?".E se il testo del referendum veneto silimita al virgolettato sopra riportato,quello lombardo, pur ripetendo lastessa identica frase, la inserisce inun contesto che rende il testo piùcauto ed elaborato ma in fin dei contiancor meno chiaro. Insomma, auto-nomisti nei proclami ma prudentinella forma, forse per paura di risve-gliare l’elettorato di sinistra (o la Corte

costituzionale).Il quesito mescola due questioni,come recentemente analizzato dal-l’economista Gianfranco Viesti sullarivista “Il Mulino”. La prima è l’attribu-zione di ulteriori forme di autonomiaalle regioni. All’articolo 116 della Co-stituzione si prevede che con leggedello Stato possano essere attribuitealle regioni a statuto ordinario «ulte-riori forme e condizioni particolari diautonomia», rispetto alla vasta listadelle materie a legislazione concor-rente (terzo comma dell’articolo 117),e all’organizzazione della giustizia di

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referenduM leghisti sulla autonoMia:una pistola puntata contro il sud

Lombardia e Veneto celebreranno il 22 ottobre prossimo due referendum consultivi per chiedere maggiore autono-mia regionale. Li hanno indetti a braccetto due presidenti di Regione leghisti, Roberto Maroni e Luca Zaia, con il so-stegno di tutto il centrodestra, ma anche il voto decisivo del Movimento 5 Stelle, che sostiene l’iniziativa anche in unrecentissimo post di Grillo. L'idea è quella di sfruttare l'articolo 116 della Costituzione per spingere il Governo a trat-

tare la cessione di maggiori materie di competenza alle due Regioni.

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lavoro21settimanalepace, alle norme generali sull’istru-zione e alla tutela dell’ambiente,dell’ecosistema e dei beni culturali.D’altra parte l’articolo 116 prevede giàche le regioni possano prendere l’ini-ziativa per richiedere maggiori dosi diautonomia, sentiti gli enti locali, senzaalcun bisogno di referendum e dei re-lativi costi (dai 20 ai 50 Milioni di € se-condo alcune stime). Strada questache sembra voglia percorrere il Pre-sidente Bonaccini per l’Emilia-Roma-gna .L’iniziativa non precisa le materie suicui si vuole maggiore autonomia, nonnasce dall’individuazione di specificitemi su cui si ritiene sarebbe più op-portuna una competenza regionale,ma il vero obiettivo sono le risorse fi-nanziarie che si vogliono trattenere,detto che se si volesse trattenerletutte si dovrebbe chiaramente parlaredi secessione. La maggiore autono-mia, infatti, è “a beneficio esclusivodel grande popolo lombardo che sivedrebbe così sgravato, grazie all’au-tonomia fiscale, di ampie porzioni difiscalità regionale e godrebbe di unospettro maggiore di servizi e di un’as-sistenza rafforzata”. Ma non finiscequi: perché il presidente della Re-gione Lombardia Maroni è impegnatoa convocare un tavolo, dopo lo svol-gimento del referendum, compostoda tutte quelle regioni che vantano uncredito annuale nei confronti delloStato centrale, per costituire un“Fronte del residuo fiscale”, “appli-cando il sacrosanto principio, ormainon più trascurabile, che le risorse ri-mangano nei territori che le hannogenerate”.Se vinceranno i Sì, (come probabile,chi mai non vorrebbe più autonomiafiscale in Italia?!) alle due Regioninon saranno attribuite di diritto mag-giori forme di autonomia. La trattativache potrebbe seguire i due referen-dum, come detto, sarebbe già possi-bile ora proprio sulla base dell'articolo116 della Costituzione: è quello cheinizialmente il centrosinistra aveva ri-cordato a Maroni e Zaia, i quali peròhanno sostenuto di non essere maistati ascoltati dai Governi in carica (evidentemente compresi quelli delcentrodestra che li hanno visti ancheministri).La norma infatti stabilisce che la sin-gola Regione interessata, sentiti glienti locali, può chiedere di averemaggiori materie di competenza fra

quelle elencate nel successivo arti-colo 117 in materia di organizzazionedella giustizia di pace, ambiente,istruzione, oltre che fra quelle attual-mente concorrenti con lo Stato, perun totale di 26 materie, come peresempio il coordinamento della fi-nanza pubblica e del sistema tributa-rio.Una volta firmata, l'intesa fra Stato eRegione deve essere ratificata conuna legge, che per essere approvatadeve ottenere il voto della maggio-ranza assoluta dei componenti (nonbastano i presenti) delle due Camere.Un iter non scontato e lungo.Il punto da cui nasce la necessità peri leghisti dell’iniziativa è in quel pic-colo inciso all’interno del quesito:«con le relative risorse».Il vero obiettivo è quindi otteneremaggiori risorse pubbliche rispettoalla situazione attuale e alle Regioni“non virtuose” ed il referendum servesolo come arma di pressione sul Par-lamento, nel caso questa richiestafosse sostenuta da un forte mandatopopolare (necessario un dato supe-riore almeno ai 5 milioni di cittadininella sola Lombardia, a detta dei pro-motori). Così come avvenne in UKnel caso della Brexit. Si dice: per trattenere sul suolo regio-nale una maggiore quota delle tassepagate dai cittadini.Ma le regole della tassazione e del-l’allocazione della spesa nel nostropaese sono stabilite dai grandi prin-cipi costituzionali: ad esempio, la pro-gressività della tassazione el’istruzione obbligatoria e gratuita. Il«residuo fiscale» è semplicementel’esito, in Italia come in tutti gli altripaesi civili, dell’applicazione dellenorme costituzionali in presenza didifferenze territoriali nei redditi, utilequindi per il principio di solidarietà re-distributiva.Il tentativo del referendum, dietro lerichieste di maggiore autonomia, èquindi semplicemente quello di otte-nere dallo Stato l’allocazione, in viapreventiva, di maggiori risorse, ovvia-mente sottraendole a tutti gli altri cit-tadini italiani. È una evidente sceltapolitica che si colloca nella tradizioneegoistica leghista. Tratteniamo pernoi più soldi, gli altri, in primis i meri-dionali, prima spremuti e poi fatti pas-sare, grazie anche alla compiacenzadei media, per spreconi, si arrangino.Una deriva assai pericolosa, con una

destra rampante, troppo spesso ap-piattita sui diktat leghisti, che dopo leelezioni politiche potrebbe trovarsi algoverno del Paese e da lì sostenerel’iniziativa con degli effetti del tutto im-prevedibili, visto che mira a scardi-nare gli assetti costituzionali su cui èbasato il nostro Paese e a imporrel’egoismo territoriale dei più ricchi.In altre parole le Regioni “povere”,dovranno arrangiarsi con quel pocoche passerà il convento romano (acui sempre bisognerà obbligatoria-mente rivolgersi dato il residuo nega-tivo) e cioè ancora meno di oggi vistoche verranno a mancare risorse,mentre le Regioni “ricche" potrannomantenere poteri, trattenere risorse egestirsi autonomamente.Utile rimarcare come le Regioni delSud non solo siano state messe incondizioni di squilibrio anche graziealle politiche nazionali che da sempreprivilegiano il Nord, ma siano in diffi-coltà a raggiungere l’utile anche permotivi tecnici. Basta ricordare adesempio il caso emblematico dellospostamento della sede legale di Ale-nia, qualche anno fa, dalla Campaniaalla Lombardia. Spostare una sedelegale comporta significative conse-guenze fiscali, a cominciare dall’Iva,che è tassa pagata dal consumatorefinale direttamente allo Stato ma chesuccessivamente viene girata percirca il 40% – 45% del suo valore allaRegione del produttore.E'un caso fra i tanti che seguono leacquisizioni di aziende del Sud daparte di imprenditori con sede legalea Nord, per non parlare poi di chi pro-duce ed inquina nel Mezzogiorno perarricchire Regioni del Nord, comevisto sopra, grazie anche al solito ri-catto occupazionale "o salute o la-voro" (Ilva, Basilicata...).Inoltre il Sud, terra di consumatori èpenalizzato verso il nord, terra di pro-duttori. Basta guardare le statisticheper vedere che nel solo 2008, nelconfronto tra la Lombardia e la Cam-pania, i produttori residenti in Lom-bardia hanno venduto beni inCampania che hanno sommatoun’IVA di circa 20-25 miliardi di euro.Al contrario i produttori residenti inCampania hanno venduto in Lombar-dia beni che hanno sommato un’IVAdi circa 2 miliardi di euro. La diffe-renze tra queste due cifre è andataallo Stato centrale e successiva-mente è stata trasferita per il 40-45%

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lavoro21settimanalealla Regione di residenza dei produt-tori. Come a dire: nel 2008 i campanihanno finanziato in contanti e percirca 10-12 miliardi di euro la regioneLombardia. E questo è solo un annofra tanti, riferito ad una sola Regionedel Sud, la Campania...In altre parole si vedrà sancita unadifferenziazione di opportunità fra ter-ritori nella stessa nazione, alla facciadella proclamata uguaglianza costitu-zionale che, seppur da sempre solosulla carta, al momento ci permetteancora di rivendicare legittimamenteuguali diritti e uguali servizi.E’ un piano che parte da lontano eche si interseca perfettamente in de-cenni di politiche pubbliche chehanno incremento uno scarto nelPaese fra Sud e Centro-Nord, comenel caso della disparità di investimentispesa in opere pubbliche (come databella SVIMEZ) che si acuisce a par-tire dai primi anni novanta, cioè dalleprime affermazioni elettorali dellalega nord, riducendosi sempre piùfino ad arrivare agli attuali minimi sto-rici. Al nord invece l'intervento è rima-sto inalterato o è aumentato. Scartodi investimenti che ora forse permet-terà appunto di concorrere a toglierelegalmente diritti ad alcuni per dareprivilegi ad altri. A questi mancati in-vestimenti statali al Sud si sono poiultimamente sommate le politiche diausterità europea, che non a casohanno impoverito tutti i Mezzogiornod’Europa (come da tabella Eurostat inallegato e come argomentato nelcorso della conferenza stampa allaCamera del 27 Luglio scorso insiemea Pippo Civati). A questo quadro de-solante si aggiunga che il governosottrae da anni al Sud una notevolequota dei fondi di coesione, destinan-doli poi al nord, fondi destinati origi-nariamente alla costruzione diinfrastrutture nel Sud.Occorrerebbe a questo punto, comeda Rapporto SVIMEZ 2010, la crea-zione di una Macroregione Sud rag-giungendo fra le Regioni del Sud tuttele intese necessarie, ai sensi dell'ar-ticolo 117, ottavo comma, della Costi-tuzione, per l'esercizio unitario, ancheattraverso l'istituzione di organi co-muni, delle funzioni di propria compe-tenza. Seguita dal centralizzare lagestione dei Fondi, ritornando ad unpiano del Mezzogiorno e ad unaAgenzia destinata a dirigere e a ge-stire progetti strategici: acque, rifiuti,

difesa del suolo, infrastrutture strate-giche ecc. In Calabria è in preparazione un refe-rendum in tal senso, proposto dallostesso centrodestra, anche in fun-zione evidente di non perdere con-sensi al Sud, ma a questo punto èuna proposta giocata solo in difesa etutta da definirsi nei tempi (comunquegiudicata impossibile dall'On Gian-luca Pini della Lega Nord, in una in-tervista sul QN Nazionale del 22Agosto in riferimento all'ottenimentodell'autonomia basandosi sull'appli-cazione dei relativi articoli della Costi-tuzione). D’altra parte la propostadella Macroregione, proprio basatasulla proposta Svimez era, in tempinon sospetti e giocando in attacco(anticipando cioè la propaganda le-ghista), fra i punti di programma cheil Partito del Sud ha concretamenteproposto a Michele Emiliano in occa-sione delle ultime elezioni regionalipugliesi 2015 e che Emiliano ha ac-cettato inserendoli nel suo pro-gramma di governo regionale.Dettoapplicare il riparto che ovvia-mente serve, come visto, un accordofra tutte le Regioni e detto che unacollaborazione fra diverse Regioni delSud si è andato a concretizzare pochimesi dopo l'elezione, soprattutto inoccasione del referendum di aprile2016 contro le trivelle.In definitiva il Sud può uscire da que-sta stagione referendaria leghista conle ossa rotte, non solo definitivamenteindicato al pubblico ludibrio, soprat-tutto dai media, quale cicala respon-sabile del proprio stato, masoprattutto definitivamente margina-lizzato, per non dire segregato.Da rimarcare che inefficienze di si-stema, politici e politiche inefficienti alSud ci sono e sono da combattere,non si afferma il contrario, ma ci sonoin egual misura anche al Centro-Nord, dove tanti scandali finanziari enon solo si susseguono da decenni.Ad esempio quello recentissimo dellebanche, le cui conseguenze e i cuicosti sono però ripartiti anche suicontribuenti del Sud, mentre per ilBanco di Napoli a suo tempo si agì inmodo differente, o meglio conse-gnando, per problematiche molto in-feriori, l’ultima grande Banca del Sudnelle mani del San Paolo di Torino. Inpoche parole nessuna preclusioneverso l'idea di autonomia, anzi benvenga per tutti, ma partendo da pari

opportunità.Oggi invece "il gioco" acui ci vogliono far partecipare è truc-cato alla radice e va combattuto. C'èchi in questi ultimi decenni ha godutodi tutte le opportunità, pagate da tutti,ed ora si vuole sfilare col "bottino".Per prevenire ogni forma di egoismoterritoriale, basterebbe semplice-mente applicare il riparto del versa-mento dell’IVA in base alla sedeterritoriale della singola unità produt-tiva in cui la vendita è stata effettuatae non più in base alla sede legale del-l’azienda produttrice, anche vinco-lando tutti i soldi così ottenuti in spesain opere pubbliche per il Mezzogiornotramite il governo nazionale. Nei fattiinvece il ventennio leghista si conclu-derebbe così con un “delitto perfetto”contro il Sud.Inutile sottolineare cosa questo com-porterebbe per il nostro futuro, con ilSud che già attualmente vede la metàdella popolazione in povertà relativae con una disoccupazione oltre il 30%(quella giovanile oltre il 50%) si pos-sono facilmente prevedere scenaricatastrofici, anche per la stessa te-nuta democratica del Paese, se nonci si opporrà subito nelle opportunesedi a questa pericolosa deriva.Un referendum consultivo contro ilquale è opportuno esprimersi inmodo chiaro, anche sotto forma di in-vito all’astensione, da parte di chi haa cuore le sorti del Sud e da parte ditutta la sinistra, visto che mira anchenei fatti a formalizzare la creazione dicittadini con opportunità e servizi diserie A e di serie B, il che è semplice-mente inaccettabile!

*http://mobile.agoravox.it/Referen-dum-leghista-sull-autonomia.html

approfondiMento sul sitodi punto rosso

Interessante seminario di Articolo 1Lombardia con una introduzione diOnorio Rosati sull'iter del referendum,del prof. Alessandro Santoro sul co-siddetto federalismo fiscale e dellaprof.essa Maria Agostina Cabiddusugli aspetti costituzionali e giuridici.molto utile per orientarsi in vista delladata del 22 ottobre quando in Lom-bardia e veneto ci sarà il referen-dum...

http://www.puntorosso.it/seminari.html

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lavoro21settimanale

Raqqa era la cosiddetta capitale del-l’ISIS. Quando le YPJ (Unità di difesadelle donne) ha preso una posizionedi primo piano nell’operazione per li-berare Raqqa, si sono impegnate avendicare le donne vittime di massa-cri. Ora le bandiere del YPJ e YJŞsventolano nel centro della città diRaqqa.Il 70% della città di Raqqa, che l’ISISaveva dichiarato sua capitale, è statocancellato dalle bande dell’ISIS. Al-l’oggi la città non è completamente li-berata, ma già sono state piantate esventolano nel centro le bandieredell’esercito femminile del Rojava,delle unità di difesa delle donne YPJe della forza militare delle donne diShengal, YJŞ (unità femminile diShengal).Le combattenti si stanno vendicando,giorno per giorno, per i femminicidicompiuti dall’ISIS. Le urla e le gridadi donne che chiedono aiuto nonriempiono più l’aria della città diRaqqa. Ora solo gli ululati delle guer-rigliere.Quando l’Operazione Ira dell’Eufrateè stata lanciata, le Unità di difesadelle donne (YPJ) hanno annunciato

che sarebbe stata un’offensiva svoltasotto il comando delle donne. C’eraun significato dietro questo. Quandonel 2014 l’ISIS si dichiarò “stato isla-mico”, ha diretto i suoi attacchi princi-palmente contro le donne. Nelle loroprediche avevano di mira le donne e,così, imposero terribili leggi sui lorocorpi. Le bande dell’ISIS hanno vio-lentato, massacrato e rapito migliaiadi donne e le ha vendute comeschiave. In particolare durante il loroattacco a Shengal hanno rapito mi-gliaia di donne delle comunità Êzidî ele hanno vendute nei mercati deglischiavi. E la maggior parte di questeè stata inviata a Raqqa. Ogni pezzodi terreno della città di Raqqa è mac-chiato con il sangue di queste donne,uccise, violentate e vendute. Ledonne sono state colpite nel lorocuore e il cervello. In risposta a tuttoquesto, le combattenti donne hannofatto giuramento di colpire duramenteil cuore e il cervello dell’ISIS.L’YPJ ha fatto questa promessa atutte le donne e ha condotto la sualotta su questa base. Dopo un po’anche le unità femminili di Shengalsono partite per unirsi all’operazione.

Le combattenti YJŞ hanno dichiarato:“Noi, le donne Êzid, ci stiamo unendoalla guerra a Raqqa per vendicaretutte le donne”. Le combattenti YPJ eYJŞ hanno preso posizione nelleprime linee di questa battaglia. Cosìogni colpo che è stato sferzato allebande dell’ISIS era parte del risarci-mento a tutte le donne.Adesso, circa il 70% di Raqqa è statoliberato. E le bande dell’ISIS stannosoffrendo la peggiore delle morti per-chè credono che essere uccisi da unadonna significhi non andare in para-diso. Quindi le donne li spedisconodirettamente all’inferno.Le bandiere YPJ e YJŞ si agitano or-gogliosamente nel vento come rispo-sta storica di ogni singola donna cheè stata rapita, venduta e assassinata.Raqqa, testimone da quattro annidelle urla disperate e delle gridad’aiuto delle donne, sta assistendo,oggi, all’ascesa delle donne final-mente libere di portare avanti la pro-pria vendetta storica. Non risuonanopiù le urla e le grida, ma gli ululatidelle combattenti.

da uikionlus.it

le bandiere YpJ/YJŞ sventolano orgogliosaMentesu raqqa coMe vendetta per

tutte le donne

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