L'attacco a Gaza
-
Upload
assopace-palestina -
Category
Documents
-
view
345 -
download
3
description
Transcript of L'attacco a Gaza
L'attacco a Gaza
a cura di Amedeo Rossi e Carlo Tagliacozzo
Novembre 2014
INTRODUZIONEL'8 luglio 2014 iniziava l'operazione militare israeliana "Margine Protettivo" contro Gaza, che
sarebbe durata fino al 26 agosto. Il suo bilancio finale è stato devastante per la Striscia di Gaza, sia
in termini di vittime che di danni materiali: 2.139 morti, di cui circa il 70% civili e 490 minorenni,
circa 11.000 feriti (3.000 i bambini). Gli edifici distrutti sono stati circa 17.200, e tra questi sono
stati totalmente o parzialmente demoliti scuole, uffici, impianti idrici ed elettrici, ospedali, moschee
e moltissime abitazioni private, determinando un flusso di 500.000 sfollati verso le zone meno
colpite. Gli israeliani hanno avuto 70 morti, di cui 64 soldati e 6 civili, più alcuni feriti e qualche
danno ad abitazioni private.
Si è trattato dell'attacco più lungo, sanguinoso e spietato dal ritiro unilaterale degli israeliani da
Gaza, ma questa volta ci sono state delle differenze rispetto ai due precedenti attacchi, "Piombo
fuso" e "Pilastro di difesa"; per Israele l'obiettivo era di dare la spallata finale: distruggere Hamas,
separare definitivamente Gaza dal resto della Cisgiordania. Israele ha dovuto fare i conti con la
capacità di reazione da parte di Hamas e degli altri gruppi che hanno animato la resistenza contro
l'invasione della Striscia. La gittata dei razzi sparati da Gaza e la continuità dei lanci ha messo
seriamente in allarme buona parte del territorio israeliano per un lungo periodo di tempo. Anche il
numero di vittime tra le fila dell'esercito israeliano è stato molto superiore. Questa capacità di
resistenza ha determinato una serie di conseguenze politiche ed economiche sia tra i palestinesi che
in Israele, su cui riteniamo valga la pena riflettere.
I testi qui raccolti non pretendono di essere né obiettivi né esaustivi delle varie questioni sul
tappeto. Non sono esaustivi perché naturalmente il materiale informativo e le riflessioni su quanto
accaduto sono stati molti e molto differenziati, quindi si tratta di una selezione assolutamente
parziale e sicuramente lacunosa. Non sono obiettivi perché quasi tutti, di palestinesi, israeliani o
commentatori stranieri, sono stati scritti da simpatizzanti della causa palestinese. Il lettore italiano
avrà avuto modo di ascoltare o leggere il punto di vista israeliano negli articoli e nei commenti alla
vicenda, dato che i nostri media sono nella stragrande maggioranza dei casi schierati con Israele o
caratterizzati da un atteggiamento di presunta equidistanza, che corrisponde in realtà ad un implicito
appoggio alle posizioni del più forte, vale a dire Israele.1
A differenza della versione presentata dai nostri mezzi di informazione, questa selezione di articoli
inizia dalla costituzione del governo di unità nazionale palestinese, riconosciuto di fatto dalla
comunità internazionale e duramente avversato dal governo israeliano, che per qualche giorno si è
trovato totalmente isolato. Questo governo, appoggiato da Hamas, si è formato il 2 giugno. Il 12, in
circostanze quanto meno dubbie, sono stati rapiti tre giovani coloni. Subito il governo Netanyahu ha
accusato Hamas di essere direttamente responsabile dell'azione, nonostante le smentite
dell'organizzazione islamista e senza nessuna prova concreta, e Abbas di essere suo complice2.
1 Questa presunta equidistanza ha raggiunto livelli tali da rasentare il grottesco. Ad esempio, la giornalista
di Rainews24Anna Maria Esposito, inviata in Israele, ha fatto un lunghissimo (per i tempi televisivi)
servizio intervistando una giovane donna israeliana diventata famosa in patria per aver diffuso in rete un
video in cui si diceva terrorizzata all'idea di un attacco di miliziani palestinesi nel suo kibbutz, nei pressi
del quale erano stati trovati dei tunnel ed alcuni miliziani infiltrati erano stati intercettati ed uccisi.
Nell'intervista si vedevano le case linde ed ordinate e i prati all'inglese che circondavano la casa della
giovane israeliana, che manifestava la sua angoscia all'idea di perdere la pace e la tranquillità del suo
mondo, mentre a poche centinaia di metri da lì migliaia di palestinesi erano bombardati, le loro case
distrutte e le loro vite continuamente minacciate. Si comprende che gli israeliani, soprattutto gli abitanti
della zona limitrofa a Gaza, abbiano vissuto notevoli disagi e un lungo periodo di stress, ma equiparare
questi disagi a quelli patiti dai palestinesi nei 50 giorni di "Margine Protettivo" vuol dire mancare di
onestà professionale e dare un'immagine distorta della realtà.2 Il rapimento è avvenuto nell'Area C, sotto diretto ed esclusivo controllo dell'esercito israeliano. Non si
capisce quale ragione avesse Hamas per mettere subito in crisi il governo di unità nazionale che aveva
contribuito a creare. D'altra parte gli israeliani non hanno fornito alcuna prova, e i due presunti
responsabili del sequestro sono stati uccisi alcune settimane dopo in un'azione di polizia, e quindi non
sono in grado di testimoniare. Le accuse di Israele nei confronti di Hamas sono state smentite il 25 luglio
Riteniamo che da lì si siano creati i presupposti dell'operazione "Margine Protettivo".
Nel secondo capitolo abbiamo invece inserito gli articoli scritti durante la guerra. Si tratta di testi
scritti quasi esclusivamente da giornalisti o commentatori israeliani. Oltre all'autorevolezza degli
autori, abbiamo ritenuto che fosse interessante per il lettore avere un'idea delle (pochissime) voci
critiche che si sono levate in Israele contro l'attacco e quali siano state le loro posizioni in un
contesto decisamente ostile, dato il massiccio appoggio dell'opinione pubblica israeliana nei
confronti del proprio governo e del proprio esercito.
Infine abbiamo dato ampio spazio alle valutazioni da parte di vari autori e da varie fonti (questa
volta anche palestinesi e stranieri) rispetto alle conseguenze a breve e medio termine di quanto era
avvenuto. Gli argomenti trattati sono molto vari e riguardano sia gli aspetti politici che quelli
economici dell'attacco per i diversi attori coinvolti. I curatori di questa rassegna di articoli non
intendono qui prendere una posizione a favore o contro la resistenza armata come mezzo di lotta più
idoneo per ottenere libertà e giustizia per i palestinesi. Gli autori degli articoli selezionati, in modo
più o meno esplicito, esprimono la propria opinione in merito, ed il lettore ha la possibilità di
formarsi un'opinione, su cui il dibattito tra i palestinesi e tra i loro simpatizzanti è molto vivace. In
ogni caso pare indubbio che anche a questo proposito l'operazione "Margine Protettivo" ha avuto ed
avrà un peso significativo.
Salvo diversa indicazione, gli articoli sono stati presi da varie fonti e siti in internet (come
specificato in nota per ogni testo proposto) e tradotti da Cristiana Cavagna, Amedeo Rossi e Carlo
Tagliacozzo. Ogni capitolo è preceduto da una brevissima sintesi che presenta gli argomenti trattati
in ogni articolo.
da Micky Rosenfeld, portavoce della polizia israeliana, intervistato dal giornalista della BBC Jon
Donnison. Rosenfeld ha affermato di non ritenere che si sia trattato di un'azione di Hamas, perché la
polizia lo avrebbe saputo in anticipo, ma piuttosto di un'iniziativa autonoma di una famiglia legata ad
Hamas, con lo scopo di fare uno scambio con prigionieri palestinesi. Ha inoltre dichiarato che sia il
governo israeliano che lo Shin Bet che la stessa polizia erano al corrente del fatto che i tre ragazzi erano
stati uccisi subito dopo il rapimento, perché uno dei tre era riuscito a telefonare alla polizia per avvertirla
del sequestro, ma i rapitori se ne erano accorti e per non essere scoperti li avevano assassinati. Questa
informazione getta una luce sinistra su quanto avvenuto in seguito: con il pretesto della ricerca, che
sapevano inutile, ma che scatenò la durissima repressione in Cisgiordania contro i militanti di Hamas e di
altri gruppi,che a sua volta ha determinato, almeno in parte, il lancio di razzi da Gaza. Tuttavia qualche
settimana dopo un dirigente di Hamas dalla Turchia ha rivendicato l'azione, rilegittimando le versione
israeliana e smentendo Rosenfeld, che a sua volta aveva smentito il proprio governo.
1. Gli antefatti
Il governo palestinese di unità tra ANP e Hamas ha determinato una durissima reazione da parte
israeliana, che ha risposto con iniziative unilaterali e con il tentativo, apparentemente fallito, di
isolare il nuovo esecutivo ( Ravid, 1.1). Ma il rapimento dei tre giovani coloni, che il governo
Netanyahu ha subito attribuito ad Hamas, senza portare prove, ha scatenato un'operazione
repressiva molto pesante in Cisgiordania, che, oltre 10 morti palestinesi, ha colpito in primo luogo
gli affiliati ad Hamas, anche quelli recentemente liberati nello scambio con il soldato Shalit, e gli
altri gruppi palestinesi all'opposizione rispetto all'ANP, che ha collaborato con le forze di sicurezza
israeliane (Dalla Negra e Nanni,1.2, e Maan, 1.3). Ma questa brutalità da parte di Israele può
forse portare alla crisi del sistema di dominazione ed occupazione (Halper, 1.4), o quanto meno
smascherare le reali intenzioni del governo Netanyahu, che consiste nell'eliminazione di tutte le
comunità non ebraiche (Levy, 1.5). D'altra parte, la complicità dell'ANP nella repressione dei
gruppi palestinesi dissidenti e della resistenza sta mettendo in crisi il governo Abbas e provoca
dure critiche anche all'interno di Fatah, mentre il processo di espulsione della popolazione
palestinese continua inarrestabile, soprattutto a Gerusalemme est (Hass, 1.6 e 1.7).
1.1 Israele risponde al governo di unità palestinese: 1.500 nuoveabitazioni nelle colonie.3
La scorsa settimana Netanyahu ha detto ai leaders dei coloni che vincoli internazionali
impediscono a Israele di continuare a costruire in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
Mercoledì sera il ministro dell'Edilizia ha annunciato bandi per la costruzione di 1.500 unità
abitative in Cisgiordania e a Gerusalemme est, una mossa definita dal ministro Uri Ariel [del partito
ultranazionalista sionista HaIhud HaLeumi (Unione nazionale). n.d.t.] come una risposta al nuovo
governo palestinese di unità.
In base a questa dichiarazione, verranno rilasciati permessi per 223 nuovi appartamenti a Efrat, 484
unità abitative a Beitar Ilit, 38 a Geva Binyamin (Adam), 76 ad Ariel, 78 ad Alfei Menashe, 155 a
Givat Ze'ev, 55 a Agan Ha'ayalot, e 400 nel quartiere Ramat Shlomo di Gerusalemme est.
"Mi congratulo per la decisione di dare un'autentica risposta sionista alla formazione di un governo
palestinese terrorista," ha affermato il ministro Ariel. " Il diritto e dovere dello Stato di Israele di
costruire ovunque nel paese per ridurre il prezzo degli alloggi è indiscutibile, e credo che questi
bandi siano solo l'inizio."
Giovedì il ministro della Giustizia Tzipi Livni [del partito di centro Kadima. n.d.t.] ha definito la
decisione di permettere queste costruzioni "un altro errore politico che ci porterà solo maggiori
problemi per mobilitare l'appoggio internazionale contro Hamas."
Livni ha aggiunto che le nuove costruzioni sono state una "punizione che tocca al popolo di Israele
a causa della presenza al governo di Habayit Hayehudi [LA Casa Ebraica, partito religioso di
estrema destra. n.d.t.] e non a causa della presenza di Hamas nel governo palestinese." Ha aggiunto
che i ministri di Habayit Hayehudi avrebbero colto qualunque pretesto per costruire nelle colonie.
"Le nuove edificazioni sono una punizione per la nazione israeliana che vuole la pace, e non per i
palestinesi."
La presidentessa del Meretz [partito sionista di sinistra, all'opposizione. n.d.t.] Zahava Gal-On ha
definito le nuove costruzioni un "un'iniziativa da Price Tag ["Prezzo da pagare", violento gruppo
ultranazionalista israeliano. n.d.t.] ", mettendola in relazione con le proteste della destra contro il
congelamento delle attività di colonizzazione." Invito il primo ministro a bloccare le attività da
"Prezzo da pagare" del governo israeliano." ha affermato."La costruzione di 1.500 nuove unità
abitative è un'iniziativa politica inutile e una provocazione, in risposta alla formazione di un
governo palestinese unitario."
3 Barak Ravid da Haaretz, 5 giugno 2014.
Il capo dell'opposizione e segretario del Partito Laburista Isaac Herzog ha definito le priorità del
governo "fondamentalmente sbagliate. Invece di investire nella costruzione di case in Negev,
Galilea e quartieri per i redditi bassi, il governo fa uscire gli occhi dalle orbite a Obama e agisce
come un diplomatico piromane."
"Israele si trova nel bel mezzo di una frana diplomatica" sostiene Herzog, aggiungendo che
Netanyahu [primo ministro del partito di destra Likud] e Lieberman [ministro degli Esteri, del
partito di estrema destra Israel Beitenu (Israele Casa Nostra) n.d.t.] se ne devono assumere la
responsabilità. "Il primo ministro sta giocando con il futuro dello Stato di Israele" afferma.
Lunedì è stato varato un nuovo governo palestinese, al termine di un accordo di riconciliazione tra i
movimenti palestinesi a lungo divisi tra loro, Fatah e Hamas, che controllano rispettivamente la
Cisgiordania e la Striscia di Gaza.
La riconciliazione e il nuovo governo sono stati accolti con disprezzo in Israele, ma è stato
riconosciuto a livello internazionale nonostante le dichiarazioni contrarie del primo ministro
Benjamin Netanyahu.
La scorsa settimana, in un incontro con i leader dei coloni, Netanyahu ha detto che, benché egli sia
a favore dell'espansione delle costruzioni in Cisgiordania e a Gerusalemme est, ci sono vincoli
internazionali contrari.
Il governo israeliano ha deciso lunedì che non ci saranno colloqui con il nuovo governo palestinese.
I ministri hanno deciso che il nuovo governo sarà ritenuto responsabile di qualunque attacco contro
Israele, sia dalla Cisgiordania che da Gaza, compreso il lancio di razzi. Nonostante il governo non
abbia introdotto nuove sanzioni contro i palestinesi, ha autorizzato il primo ministro a farlo. I
ministri hanno anche deciso di formare una commissione "per esaminare possibili azioni per
affrontare la nuova situazione, e prepararsi al futuro scenario diplomatico e della sicurezza."
Durante il Consiglio dei ministri, il ministro dell'Economia Naftali Bennett [di Habayit Hayehudi.
n.d.t.] ha guidato la linea dura e ha detto che Israele deve dichiarare che non riconosce il nuovo
governo palestinese e che interrompe ogni rapporto con lui. Il ministro della Giustizia Tzipi Livni e
delle Finanze Yair Lapid [di Yesh Atid, partito di centro sinistra. n.d.t.] hanno obiettato dicendo che
Israele dve mantenere almeno qualche canale di comunicazione con il nuovo governo. Alla fine, le
posizioni di Livni e Lapid sono state accolte e si è concordato di mantenersi in contatto con
qualcuno dei nuovi ministri palestinesi a seconda dei casi, previa approvazione da parte del primo
ministro. Il governo ha anche deciso di non cessare la cooperazione per la sicurezza con i
palestinesi.
Durante l'incontro Bennett e il ministro Gilad Erdan [dell'Ambiente, dirigente del Likud. n.d.t.]
hanno suggerito la possibilità di annettere una parte delle colonie. Il ministro della Difesa Moshe
Ya'alon [del Likud. n.d.t.] si è opposto, sostenendo che questo passo potrebbe essere preso in
considerazione solo in risposta a unilaterali iniziative palestinesi per un riconoscimento da parte
dell'ONU.
Torna a Antefatti
1.2 Palestina. L’incubo di “Brother’s keeper” e la resistenza.4
Continua l’offensiva israeliana nei Territori Occupati: seconda settimana di assedio e bombe su
Gaza nell’ambito dell’operazione lanciata da Tel Aviv per cercare i 3 coloni scomparsi. Intervista a
Lema Nazeeh dei Comitati popolari di resistenza nonviolenta.
Non si ferma l’offensiva israeliana in Palestina: è il dodicesimo giorno di assedio per i Territori
Occupati della Cisgiordania, investiti con violenza dall’operazione “Brother’s Keeper”, lanciata da
4 Cecilia Dalla Negra e Stefano Nanni da OSSERVATORIO IRAQ, 25 giugno 2014.
Tel Aviv in seguito alla scomparsa, nella notte tra il 12 e il 13 giugno scorso, di 3 giovani israeliani
nei pressi della colonia illegale di Gush Etzion.
“Rapimento” secondo il governo israeliano, che non è stato rivendicato da nessuno, ma di cui viene
accusato con forza Hamas, nell’evidente tentativo di minare alle basi il fragile accordo di
riconciliazione raggiunto con Fatah nelle scorse settimane.
E’ un incubo quello in cui è caduta ancora una volta la Cisgiordania: dal lancio dell’operazione sono
circa 500 i palestinesi arrestati (tra cui 11 parlamentari), 5 le vittime, mentre proseguono senza sosta
arresti arbitrari, raid notturni ed incursioni nelle case, nelle scuole, nelle sedi delle organizzazioni, e
persino negli ospedali. Un incubo in cui torna anche la Striscia di Gaza, dall’alba oggetto di nuovi
bombardamenti.
Per fare il punto della situazione e farci raccontare quello che sta vivendo la Palestina in queste ore,
Osservatorio Iraq ha raggiunto telefonicamente Lema Nazeeh, giovane attivista dei Comitati
popolari di resistenza palestinese di Ramallah. Che accusa: “Vedere il nostro governo attaccarci fa
ancora più male dell’Occupazione”.
Dopo 11 giorni di continui raid in Cisgiordania, nell’ambito dell’operazione Brother’s Keeper, qual
è la situazione attuale?
Quello che sta succedendo è un’autentica punizione collettiva che le forze israeliane stanno
praticando nei confronti della popolazione civile palestinese, in Cisgiordania in particolare e anche
nella Striscia di Gaza. E’ sotto gli occhi di tutti.
In questi giorni ci sono stati raid notturni nei villaggi, assedi di alcune città, irruzioni improvvise
nelle abitazioni private, negozi, scuole, università, sedi di associazioni, mezzi di informazione e
anche ospedali. I danni alle cose sono incalcolabili, per non parlare delle persone: 5 le vittime e
oltre 400 gli arresti, tra cui ieri anche quello di Samer Issawi , il cui sciopero della fame prolungato
nei mesi scorsi lo portò alla liberazione.
L’uso della forza da parte dell’esercito israeliano nei nostri confronti è sproporzionatamente
eccessivo.
Inizialmente l’operazione delle Israeli Defense Forces (IDF) si è concentrata in area C, per poi
estendersi anche nell’area A, teoricamente sotto controllo civile e militare palestinese, fino ad
arrivare a Ramallah, sede amministrativa e politica dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP).
Puoi raccontarci cosa è successo?
Domenica scorsa, nel campo profughi di Jalazun, Ahmed Arafat, un giovane di 20 anni, è stato
ucciso mentre era affacciato in strada dal tetto di casa sua. Quello è stato l’inizio del raid a
Ramallah, che ha interessato tutto il centro della città.
Ci sono stati scontri durissimi, che si sono poi intensificati nei pressi delle stazioni di polizia
palestinese dove i soldati israeliani erano appostati. Un altro civile palestinese di Ramallah è morto,
Mahmoud Tarif, colpito da un proiettile.
L’operazione militare israeliana è, secondo te, realmente legata alla ricerca dei tre giovani
israeliani scomparsi oppure l’obiettivo più ampio è quello di rompere l’accordo di riconciliazione
tra Fatah e Hamas?
A livello ufficiale di certo questi raid vengono condotti in nome della ricerca degli scomparsi, ma
un’altra cosa altrettanto chiara è come questa operazione sia un pretesto per punire collettivamente e
illegalmente un’intera popolazione.
Riguardo l’accordo di riconciliazione, è ovvio che in questo momento è fortemente in discussione,
perché le accuse sul rapimento di Israele nei confronti di Hamas anche se non confermate hanno
messo in forte imbarazzo il presidente Mahmoud Abbas.
C’è ad ogni modo un altro aspetto secondo me fondamentale, ovvero la questione della sicurezza
degli israeliani in Cisgiordania, di cui il governo israeliano parla tanto, accusando l’ANP di non fare
abbastanza per garantirla. Il problema è, al contrario, che non può essere affatto compito
dell’occupato proteggere gli occupanti – che in questo caso sono anche abitanti delle colonie,
illegali secondo il diritto internazionale.
L’obiettivo di questa operazione è più ampio e mira al proseguimento dell’agenda politica di Israele
in Cisgiordania: rafforzare l’occupazione e continuare a violare i diritti dei palestinesi. E’ la politica
del fatto compiuto: più colonie, più territori sotto controllo, più ragioni per dichiararne il possesso.
Quello che sta succedendo non ha niente a che fare con la solidarietà umana naturale che si può
provare di fronte al rapimento - tra l’altro presunto - di tre giovani ragazzi, che comunque non può
giustificare una punizione collettiva di simili proporzioni.
La comunità internazionale, i governi, le Nazioni Unite e i mezzi di informazione non possono non
capirlo, e se non lo fanno vuol dire che ignorano le violazioni dei diritti fondamentali dei civili
palestinesi, che in questi giorni sono ancora più intense del solito.
Cosa pensi dell’accordo di riconciliazione in sé?
Sicuramente è stato un risultato molto importante, perché ha rappresentato un passo positivo per
l’unità non solo tra i governi di Gaza e Ramallah, ma per l’intera popolazione palestinese. Il
problema sinceramente è un altro: non basta un cambiamento nella composizione del governo, ma
contano le sue politiche, che purtroppo vanno contro gli interessi della popolazione.
Questo è evidente ancora di più in questi giorni: finché l’ANP non taglierà i rapporti con Israele per
quanto riguarda la sicurezza nei Territori Occupati non ci sarà una vera e propria tutela dei diritti
della popolazione.
A questo proposito, nei giorni scorsi ci sono state dimostrazioni di protesta, a Ramallah, contro
l’ANP…
Non solo, già domenica notte, in seguito alla prima ondata di raid a Ramallah, tanti giovani sono
andati a protestare contro la polizia palestinese, che durante gli attacchi dell’esercito israeliano è
rimasta ferma a guardare dietro le finestre. La rabbia, soprattutto da parte dei più giovani, è molto
forte in questi giorni, è stata dimostrata in più occasioni, e ovviamente non è la prima volta. Così
come non è la prima volta che dopo le proteste la polizia palestinese effettua arresti di massa.
Vedere le nostre forze di sicurezza, il nostro governo, non prendersi minimamente cura di noi ed
anzi arrestarci ed attaccarci, oppure rimanere ferme e inerti di fronte alle violazioni israeliane, è
qualcosa che ci fa ancora più male dell’Occupazione.
Per questo l’accordo di riconciliazione tra Hamas e Fatah non è una novità se poi le politiche sono
le stesse, sia a Gaza che in Cisgiordania. Rabbia, frustrazione, paura, senso di abbandono totale:
questi sono i sentimenti comuni che si provano nelle strade palestinesi in questi giorni nei confronti
dell’ANP e della politica in generale.
Di fronte a questa situazione qual è la posizione presa dai Comitati di resistenza popolare?
La nostra posizione è chiara ed è stata espressa in documento nel quale si condanna senza mezzi
termini la punizione collettiva che sta avendo luogo dietro la scusa della ricerca dei presunti ostaggi
e si dichiara che l’ANP non ha alcun dovere di protezione nei confronti degli israeliani in area C e
B, mentre ha il diritto di proteggere la popolazione palestinese. In questi giorni gli attivisti dei
Comitati hanno reagito di fronte ai raid notturni, scontrandosi duramente contro l’esercito israeliano
e subendo anch’essi diversi arresti.
Parallelamente procede il supporto totale ai prigionieri palestinesi sotto detenzione amministrativa
in sciopero della fame così come le proteste popolari del venerdì, che saranno rafforzate in vista del
9 luglio, anniversario della costruzione del Muro di separazione, che vogliamo ricordare alla
comunità internazionale essere illegale.
Quali credi possano essere le conseguenze di quanto sta accadendo in questi giorni? Sono concrete
secondo te le possibilità di una Terza Intifada?
Penso che i palestinesi, soprattutto in questo momento, stiano realizzando l’importanza della
resistenza popolare, come fu durante la Prima Intifada e in parte nella Seconda. La possibilità di una
terza sollevazione popolare è parte di un processo ancora aperto, e credo che se le violazioni e gli
abusi quotidiani di Israele non cesseranno si andrà in quella direzione.
Questo ragionamento non è valido soltanto per i Territori Occupati, ma anche per quelli della
Palestina del 1948 (oggi Israele, ndr) dove sempre più palestinesi con cittadinanza israeliana si
stanno attivando contro le discriminazioni e per far valere il loro diritto al ritorno.
Penso ci voglia ancora tempo, ma la Terza Intifada non è da affatto da escludere, perché la
resistenza durerà finché Israele non rispetterà il diritto internazionale, la Convenzione di Ginevra, i
diritti umani e tutte le convenzioni internazionali che è obbligata ad onorare
Torna a Antefatti
1.3 Le forze armate israeliane cospargono le case di Betlemme con acqua puzzolente.5
Betlemme – Sabato scorso Rubhiya Abd al-Rahman Darwish stava schiacciando un pisolino sul
divano di casa della famiglia quando è stata svegliata di colpo dal rumore di vetri rotti.
“Ho visto un getto d’acqua entrare dalla finestra rotta, quando improvvisamente un forte odore ha
colpito [le mie narici] e sono svenuta per la puzza, e mi hanno dovuta portare in ospedale”, ha
raccontato la settantacinquenne a Ma’an durante un’intervista nel suo piccolo appartamento nel
campo profughi di Aida a Betlemme.
Benché sia abituata al fatto che i soldati israeliani lancino candelotti di gas lacrimogeno nel vicolo
vicino a casa sua, Darwish è rimasta sorpresa dal fatto che questa volta fossero arrivati con un
cannone per spruzzare le facciate delle case con acqua puzzolente.
“Sono arrivata in ospedale e mi hanno fatto un’iniezione, ma il veleno ha cominciato ad uscire
dalla mia bocca e dal mio naso. Ho cominciato a gridare perché la mia schiena mi faceva male, ed è
ancora così” ha raccontato a Ma’an l’anziana donna, che ha detto di soffrire di diabete, ipertensione
e problemi di cuore.
“Tutti i miei vestiti erano rovinati, ed abbiamo dovuto buttare via tutte le mie trapunte e il
materasso” ha detto.
“Perchè lo fanno?”
La gente del posto ha detto che l’attacco in pieno giorno alle loro case non è stato provocato ed è
stato totalmente imprevisto, e molti si sono detti shoccati dal fatto che i soldati israeliani abbiano
sommerso il campo nella cappa di una sconosciuta sostanza repellente.
Noto come “Puzzola”, questo prodotto chimico è stato usato dall’esercito israeliano almeno dal
2008 come un mezzo non letale di controllo delle manifestazioni. I palestinesi, comunque,
chiamano questo liquido semplicemente “merda”, per via dell’odore che può impregnare i vestiti, i
corpi, i muri ed i mobili per settimane.
Un portavoce militare israeliano contattato da Ma’an non ha risposto ad una richiesta di commento
relativa alla spruzzata di liquido “puzzola”, né alle ragioni dell’attacco. Comunque l’organizzazione
israeliana per i diritti umani B’Tselem sostiene che l’esercito in altre occasioni ha detto che la
sostanza è organica, anche se non ne ha reso noti gli elementi.
Un rapporto di B’Tselem su “Puzzola” ha anche confermato il frequente uso di questa sostanza –
che causa nausea e vomito, soprattutto tra i bambini e gli anziani – contro le case dei palestinesi,
“facendo sorgere il sospetto che “Puzzola” sia stato usato in modo punitivo contro villaggi nei quali
ogni settimana si svolgono manifestazioni.
Vicino al campo profughi, nel quale c’era la strada principale da Hebron a Gerusalemme che ora è
interrotta dal muro di separazione israeliano, un grande cannone ad acqua è stato sistemato
all’inizio di quest’anno vicino ad una torre militare per spruzzare l’acqua contro la gente del posto,
mettendo in evidenza con quanta rapidità “Puzzola” è stato inserito nell’arsenale dell’esercito
israeliano.
Salah Ajarma, direttore di un vicino centro culturale, racconta che un gruppo di bambini stava
camminando a circa 50 metri da dove il muro di separazione attraversa il campo quando i soldati
israeliani hanno iniziato a sparare candelotti lacrimogeni contro di loro.
“I soldati allora sono scesi ed hanno raggiunto i ragazzini” Ajarma ha raccontato a Ma’an durante
un’intervista nel suo ufficio presso il Centro Lajee, ”e, siccome noi stavamo guidando dal centro
con un gruppo di visitatori stranieri e di giornalisti, i soldati hanno iniziato a lanciare verso di noi e
5 da Ma’annews , 30 giugno 2014, non disponibile Ma'annews
verso i bambini parolacce in arabo, per essere sicuri che capissimo.”
La settimana prima dell’attacco, i soldati israeliani hanno tirato candelotti lacrimogeni a gruppi di
bambini quando questi si riunivano nei pressi del centro dopo la fine degli esami del mattino, per
cui Ajarma dice che si aspettava il solito trattamento di nuovo la domenica.
“Sono stato sorpreso, però, quando i soldati sono tornati con un grosso veicolo con una pompa sul
tetto e hanno cominciato a spruzzare su ogni cosa una sostanza chimica con un terribile odore”, ha
detto.
“Non stavano cercando di colpire dei manifestanti, non c’era nessun manifestante in strada! Hanno
sparato contro le case della gente e contro le finestre, senza preoccuparsi se fossero aperte o
chiuse”, ha aggiunto.
Dopo l’attacco, gli abitanti sono usciti di casa, inorriditi per il fatto di trovare i vicoli e le case del
campo coperte da uno strato di liquido schifoso. Per qualche ora gli abitanti hanno tentato di pulire,
e, benché abbiano fatto di tutto per spazzare via il più possibile la puzza, quando un giornalista di
Ma’an ha visitato il luogo tre giorni dopo questa ristagnava ancora pesantemente nell’aria.
“La gente non sa neppure cosa sia questa sostanza, per poterla eliminare”, ha detto Ajarma,” e non
sappiamo da cosa sia composto questo agente chimico. Abbiamo provato a pulire con cloro, ma c’è
stata una reazione chimica che ha sprigionato una puzza ancora più letale”, ha aggiunto.
Rilevando che questa è la terza volta che l’esercito ha spruzzato “Puzzola” nel campo, Ajarma ha
detto che d’inverno la puzza è rimasta per 10-15 giorni, e che una fila di alberi colpita dall’acqua in
seguito è avvizzita e morta.
“Questo prodotto chimico può avere effetti di cui non sappiamo niente, sulla natura nel campo e
sulle future generazioni” Ajarma ha detto di temere.
Nidal Al-Azraq, un volontario del Centro Lajee, ha detto a Ma’an che i soldati “se la sono spassata”
durante l’attacco, sfottendo gli abitanti mentre sparavano con il cannone nelle case e facendosi
fotografie lì vicino.
“Cera un cane su uno dei muri sulla strada dove stavano innaffiando le case, e così l’hanno preso di
mira ed hanno cominciato a sparargli addosso l’acqua” ha detto Al-Azraq.
“Dopo averlo colpito per due volte, il cane ha cominciato ad abbaiare, e la terza volta i soldati
hanno colpito il cane direttamente con il cannone ad acqua e tutti quanti si sono messi a ridere”, ha
aggiunto.
Al-Azraq, pur incerto sulle ragioni dell’attacco israeliano, pensa che l’abbiano fatto per spingere i
residenti a smetterla con le proteste nel campo, durante le quali spesso vengono lanciate pietre
contro i soldati israeliani che si trovano nei pressi.
“A volte ce l’hanno vinta, la gente impazzisce e dice ai manifestanti di smetterla,” ha raccontato
Al-Azraq a Ma’an.
“Ma altri non accettano questa pressione e dicono: “Perchè colpirci con questo genere di prodotto?
Non è solo un’offesa, è come se non fossimo neppure esseri umani!”
Al-Azraq ha detto che molta gente, comunque, si è rassegnata a questo genere di attacchi. “E’
inutile dire che tutto questo è contro i nostri diritti umani, perché non è un linguaggio che Israele
conosce. Che senso ha chiedersi perché fanno questo alle persone?”
Darwish, la donna settantacinquenne che è svenuta dopo che i soldati hanno spruzzato l’acqua
puzzolente contro la sua finestra, ha manifestato la sua rassegnazione riguardo ai ripetuti attacchi
israeliani contro la sua casa.
Rifugiata originariamente dal villaggio di Malha, nei pressi di Gerusalemme, Darwish è stata
obbligata a lasciare la casa con la sua famiglia quando le truppe sioniste sono arrivate e li hanno
cacciati nel 1948.
“Dove possiamo andare?” chiede, seduta sul divano del suo piccolo appartamento guardando verso
la finestra approssimativamente rattoppata dopo essere stata rotta dal cannone ad acqua.
“Ci hanno buttati fuori dalla nostra terra natale, e cosa dovremmo fare? Dove dovremmo andare?”
Torna a Antefatti
1.4 Dal rapimento al collasso: l’inizio della fine?6
Alla fine, l’insostenibilità dell'imprigionamento [warehousing] dei palestinesi forzerà la mano
della comunità internazionale [ad intervenire]. Il governo israeliano, così forte da non sapere
quando fermarsi, ci porterà a quel risultato.
Il rapimento e l’uccisione dei tre giovani israeliani in Cisgiordania ha scatenato un’operazione
militare che segna la fine dell’occupazione israeliana. Il termine “occupazione” indica una
situazione militare a termine che si risolve solo attraverso negoziati. Se vale anche in questo caso,
allora se ne dedurrebbe che l’occupazione israeliana in Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza (per
non parlare delle alture del Golan) è durata solo un decennio, durante il tentennante governo del
Partito Laburista.
Dal 1977, quando il governo Begin/Sharon ha annunciato che “Giudea e Samaria” sarebbero state
considerate parte integrante della Terra/Stato di Israele, quando ha formalmente annesso
Gerusalemme est e le alture del Golan ed ha iniziato la campagna di sistematica distruzione di ogni
soluzione dei due Stati attraverso la massiccia costruzione di colonie, “occupazione” ha dato luogo
a qualcosa di diverso. In effetti, Israele ha negato che si sia mai trattato di un’occupazione - questo
“qualcos’altro” nel gergo israeliano era semplicemente l’”amministrazione” di un territorio
“conteso”.
Quindi la Quarta Convenzione di Ginevra non è stata applicata, Israele non ha violato nessuna legge
internazionale che impedisce alle forze d’occupazione di cambiare unilateralmente lo status dei
Territori occupati e i palestinesi, definiti come popolazione protetta della cui prosperità Israele è
responsabile, sono stati lasciati senza protezione. Anzi, dopo la morte di Arafat nel 2004, se non da
prima, Israele ha inaugurato un’altra variante dell’occupazione: giungere all’occupazione israelo-
palestinese radicata in una milizia dell’Autorità palestinese addestrata dagli americani che agisce
come un poliziotto israeliano.
E così è con l’uccisione dei tre [ragazzi israeliani] che stiamo per entrare in un’ulteriore nuova e
terribile fase della post-occupazione, l'imprigionamento, un passo oltre l’apartheid. Dopo che la loro
terra è stata espropriata ed il 96% dei palestinesi sono stati confinati in dozzine di sottili enclaves su
meno del 40% dei Territori occupati – cioè, sul 40% del 22% della loro terra natale – oltre 30.000
delle loro case sono state demolite e un’intera popolazione è stata ridotta alla povertà, e a Gaza le
condizioni rasentano l’inedia, dopo che i negoziati sono definitivamente finiti e gli insediamenti
[dei coloni] hanno raggiunto una proporzione critica ed irreversibile, l'imprigionamento sta per
iniziare. La buona notizia è che per quanto violenta ed opprimente la campagna di Israele di
reclusione possa verosimilmente essere (benché una forte pressione internazionale possa prevenirne
gli aspetti peggiori), questo porterà in breve al completo collasso del controllo israeliano e, se
saremo pronti con un’alternativa includente, aprirà la strada a nuove possibilità di una pace giusta
oggi non ottenibile.
Il termine “warehousing” [imprigionamento], viene dal mondo delle prigioni americane. Gli Usa
hanno il 4,4% della popolazione mondiale ed il 25% dei carcerati [del pianeta]. Sono carcerati, sotto
tutela dello Stato, il cui status è cristallizzato e che sono, a tutti gli effetti, scomparsi. Nessuno si
interessa di quello che gli succede (la riforma delle carceri non ti fa eleggere al Congresso), e i loro
6 Jeff Halper (direttore del Comitato Israeliano contro la Demolizione delle case) da +972, 2 luglio 2014.
Vedi anche : http://www.icahd.org/node/553#sthash.QdPt5Lb1.dpuf
diritti sono rispettati solo a parole. E quando si rivoltano – perché noi usiamo un linguaggio non
politico per descrivere il comportamento di questi persone di serie B – le guardie carcerarie hanno il
diritto e dovere di reprimerli in qualunque modo. Non si negozia. Non sono una controparte, sono
sottoposti al potere altrui, ad essere “ammassati al chiuso”, per sempre, se dimostrano di essere
insubordinati.
Questo [termine] descrive precisamente il modo in cui Israele vede i palestinesi. Non ha mai
riconosciuto l’esistenza del popolo palestinese o dei suoi diritti nazionali di autodeterminazione, e
persino nei più radiosi giorni degli accordi di Oslo ha solo riconosciuto l’OLP come un partner per i
negoziati. Israele non ha mai dichiarato ufficialmente la sua accettazione della soluzione dei due
Stati, sicuramente non una che richiedesse di ritirarsi sulla Linea Verde. Non considerandoli una
controparte reale ed uguale con cui negoziare, [Israele] ha solo fatto “offerte generose” da prendere
o lasciare. Quindi, dai giorni di Ehud Barak Israele ha dichiarato che non c’è un “partner per la
pace”, intendendo che le sue decisioni politiche sono prese in modo unilaterale.
Una volta sepolta per sempre sotto il blocco degli insediamenti colonici la soluzione dei due Stati,
Israele sta lavorando di ramazza: le celle della prigione dell’Area A e B sono state preparate, e
adesso le autorità della prigione devono trasmettere ai prigionieri la realtà e la mancanza di
speranza della loro situazione. Sottomettiti e sopravviverai; resisti e morirai. Questo è proprio il
messaggio dell’operazione “Custode del fratello” [Brother’s Keeper], che era semplicemente in
attesa di un pretesto, fornito dal rapimento.
Tuttavia coloro che sono senza potere hanno uno strumento efficace a loro disposizione. Possono
dire “no”. L’Autorità Nazionale Palestinese sta per diventare un potere d’occupazione a pieno titolo.
L’occupazione di Ramallah da parte di Israele in quest’ultima operazione [militare] è avvenuta con
l’attiva collaborazione delle forze di sicurezza palestinesi, e spesso i palestinesi dicono di vivere
sotto una doppia occupazione. Sia che dia le dimissioni o semplicemente collassi sotto il peso della
propria mancanza di credibilità, è difficile vedere come l’ANP possa sopravvivere all’umiliazione e
anche al ruolo formale di collaborazionista obbligato a ciò da Israele, cosa che diventerà se rimarrà
al potere senza un processo politico che abbia senso.
E’ qui che il collasso interviene – e la risoluzione finale del conflitto. Senza l’ANP a perpetuare la
finzione delle due parti impegnate in un negoziato, Israele annetterà la maggior parte degli
insediamenti colonici, metà della Cisgiordania, ma sarà alla fine obbligato a rioccupare le città
palestinesi e Gaza. (Avigdor Liberman, Ministro degli Esteri [israeliano] ha insistito per la
conquista di Gaza fin dall’inizio del rapimento). O viceversa, questo non importa. Quello che alla
fine ci rimarrà è una reclusione di lunga durata, il nudo e crudo imprigionamento di un intero
popolo. Israele pensa che sia una cosa positiva. Pensa di poter imprigionare una popolazione e di
riuscire a farla franca. Può “vincere”. Tale è la sua fede nella protezione garantita dal Congresso
americano e dalla sua utilità come uno dei maggiori fornitori di armi e sicurezza al mondo.
Ma è qui che Israele legge male la situazione politica. Se dipendesse solamente dai governi, Israele
potrebbe certamente prevalere, perché questi si occupano solo di gestire i conflitti, invece di
risolverli. Ma la questione palestinese ha assunto le proporzioni della lotta contro l’apartheid. E
come in quella lotta, la società civile internazionale, composta da gruppi politici e da attivisti,
organizzazioni dei diritti umani, sindacati, chiese, studenti, intellettuali e da una sempre più critica
opinione pubblica è diventata più forte, fino al punto che i governi non possono più ignorarla. Il
conflitto israelo-palestinese non è solo una disputa locale; è diventato un conflitto globale che
disgrega e destabilizza l’intero sistema internazionale, in particolare l’infiammabile Medio Oriente.
Alla fine, l’insostenibilità dell'imprigionamento dei palestinesi forzerà la mano della comunità
internazionale [ad intervenire].
Se ciò succederà in un futuro non molto lontano, emergerà la possibilità di una soluzione realmente
giusta del conflitto, offrendo alternative oggi non attuabili– in primo luogo la fattibilità di un unico
Stato democratico bi-nazionale . Il governo israeliano, così forte da non sapere quando fermarsi, ci
porterà a quel punto. Ciononostante non sarà un partner per raggiungere una pace giusta. Alla fine
spetterà a noi, il popolo, formulare una soluzione giusta, e renderla effettiva. Il momento è venuto.
Il problema è: saremo pronti a coglierlo?
Torna a Antefatti
1.5 Israele non vuole la pace.7
L’atteggiamento di rifiuto (rejectionism8) è intrinseco alle convinzioni più radicate di Israele. Qui
risiede, a livello più profondo, il concetto che questa terra è destinata solo agli ebrei.
Israele non vuole la pace. Non c’è niente di quello che ho scritto finora di cui sarei più contento di
essere smentito. Ma le prove si sono accumulate a dismisura. In effetti, si può dire che Israele non
ha mai voluto la pace – una pace giusta, cioè basata su un compromesso equo per entrambe le parti.
E’ vero che l’abituale saluto in ebraico è “Shalom” (“Pace”) – quando uno se ne va e quando arriva.
E, di primo acchitto, praticamente ogni israeliano direbbe di volere la pace, è ovvio. Ma non farebbe
riferimento al tipo di pace che porterebbe anche alla giustizia, senza la quale non c’è pace, e non ci
potrà essere. Gli israeliani vogliono la pace, non la giustizia, certamente non basata su principi
universali. Quindi, “Pace, pace, quando pace non c‘è.” Non soltanto non c’è pace: negli anni
recenti, Israele si è allontanato persino dall’aspirare a fare la pace. Ha perso totalmente lil desiderio
di farla. La pace è scomparsa dalla prospettiva di Israele, e il suo posto è stato preso da un’ansietà
collettiva che si è sistematicamente impiantata, e da questioni personali, private che ora hanno la
prevalenza su tutto il resto.
Verosimilmente il desiderio di pace di Israele è morto circa dieci anni fa, dopo il fallimento del
summit di Camp David nel 2000, la diffusione della menzogna secondo cui non ci sono partner
palestinesi per fare la pace, e, ovviamente, l’orribile periodo intriso di sangue della Seconda
Intifada. Ma la verità è che, persino prima di tutto questo, Israele non ha mai veramente voluto la
pace. Israele non ha mai, neppure per un minuto, trattato i palestinesi come esseri umani con pari
diritti. Non ha mai visto la loro sofferenza come una comprensibile sofferenza umana e nazionale.
Anche il campo pacifista israeliano- se pure è mai esistito qualcosa del genere - è morto anche lui di
una lunga agonia tra le sconvolgenti scene della Seconda Intifada e la menzogna della mancanza di
una controparte [palestinese]. Tutto ciò che è rimasto è stato un pugno di organizzazioni tanto
determinate e impegnate quanto inefficaci nel contrastare le campagne di delegittimazione costruite
contro di loro. Perciò Israele è rimasto con il suo atteggiamento di rifiuto.
Il dato di fatto più evidente del rifiuto della pace da parte di Israele è, ovviamente, il progetto di
colonizzazione. Fin dalle sue origini, non c’è mai stato una più attendibile o più evidente prova
inconfutabile delle reali intenzioni [di Israele] di questa particolare iniziativa. In poche parole: chi
costruisce gli insediamenti vuole consolidare l’occupazione, e chi vuole consolidare l’occupazione
non vuole la pace. Questa in sintesi è la questione.
Ammettendo che le decisioni di Israele siano razionali, è impossibile accettare che la costruzione
delle colonie e l’aspirazione alla pace siano vicendevolmente. Ogni attività per la costruzione degli
insediamenti dei coloni, ogni roulotte e ogni balcone trasmette rifiuto. Se Israele avesse voluto
raggiungere la pace attraverso gli Accordi di Oslo, avrebbe almeno bloccato la costruzione di
colonie di sua spontanea iniziativa. Il fatto che non sia avvenuto prova che gli accordi di Oslo sono
stati un inganno, o nella migliore delle ipotesi la cronaca di un fallimento annunciato. Se Israele
avesse voluto ottenere la pace a Taba, a Camp David, a Sharm el-Sheikh, a Washington o a
Gerusalemme, la sua prima mossa avrebbe dovuto essere la fine di qualunque tipo di edificazione
7 Gideon Levy, da Haaretz, 4 luglio 2014. 8 G. Levy utilizza nell’articolo in inglese il neologismo re·jec·tion·ist. In internet per spiegarne il
significato viene proposto il seguente esempio, tratto da http://dictionary.reference.com/: 1.un dirigente o
un paese arabo che si oppone ad un accordo o compromesso nei negoziati con Israele. Origine:1975–80.
Vedi anche http://en.wiktionary.org/
nei Territori [occupati]. Senza porre condizioni. Senza contropartita. Che Israele non lo abbia fatto è
la prova che non vuole una pace giusta.
Ma le colonie sono state solo la pietra di paragone delle intenzioni di Israele. Il suo atteggiamento di
rifiuto è molto più profondamente radicato nel suo DNA, nelle sue vene, nella sua ragione d’essere,
nelle sue originarie convinzioni. Lì, a livello più profondo, risiede il concetto che questa terra è
destinata solo agli Ebrei. Lì, a livello più profondo, è fondata la valenza di “am sgula” – “il prezioso
popolo” di Dio – e “siamo gli eletti da Dio”. In pratica, ciò viene inteso con il significato che, in
questo territorio, gli ebrei possono fare quello che agli altri è vietato. Questo è il punto di partenza,
e non c’è modo di passare da questo concetto ad una pace giusta. Non c’è modo di arrivare ad una
pace giusta quando il gioco consiste nella de- umanizzazione dei palestinesi. Non c’è modo di
arrivare ad una giusta pace quando la demonizzazione dei palestinesi è inculcata quotidianamente
nelle menti della gente. Quelli che sono convinti che ogni palestinese è una persona sospetta e che
ogni palestinese vuole “gettare a mare gli ebrei”, non faranno mai la pace con i palestinesi. La
maggioranza degli Israeliani è convinta della verità di queste affermazioni.
Nell’ultimo decennio, i due popoli sono stati separati gli uni dagli altri. Il giovane israeliano medio
non incontrerà mai un suo coetaneo palestinese, se non durante il servizio militare (e solo se farà il
servizio militare nei Territori [occupati]). Neanche il giovane palestinese medio incontra mai un suo
coetaneo israeliano, se non il soldato che brontola e sbuffa ai checkpoint, o irrompe a casa sua nel
bel mezzo della notte, o il colono che usurpa la sua terra o che incendia i suoi alberi.
Di conseguenza, l’unico incontro tra i due popoli avviene tra gli occupanti, che sono armati e
violenti, e gli occupati, che sono disperati e anche loro tendenzialmente violenti. Sono passati i
tempi in cui i palestinesi lavoravano in Israele e gli israeliani facevano la spesa in Palestina. E’
passato il tempo delle relazioni quasi normali e quasi paritarie che sono esistite per pochi decenni
tra i due popoli che condividono lo stesso territorio. E’ molto facile, in questa situazione, incitare e
infiammare i due popoli uno contro l’altro, spargere paure e instillare nuovo odio oltre a quello che
già c’è. Anche questa è una sicura ricetta contro la pace.
Così è sorto un nuovo desiderio di Israele, quello della separazione: “Loro se ne staranno là e noi
qua (e anche là).” Proprio quando la maggioranza dei palestinesi – una constatazione che mi
permetto di fare dopo decenni di corrispondenze dai Territori occupati – ancora desidera la
coesistenza, anche se sempre meno, la maggioranza degli israeliani vuole il disimpegno e la
separazione, ma senza pagarne il prezzo. La visione dei due Stati ha guadagnato una diffusa
adesione, ma senza la minor intenzione di metterla in pratica. La maggioranza degli israeliani è
favorevole, ma non ora e forse neppure qui. Sono stati abituati a credere che non ci sono partner per
la pace – ossia una controparte palestinese – ma che ce n’è una israeliana.
Sfortunatamente, la verità è l’esatto contrario. I non partner palestinesi non hanno più la minima
possibilità di dimostrare di essere delle controparti; i non partner israeliani sono convinti di esserlo.
Così è iniziato un processo nel quale condizioni, ostacoli e difficoltà [posti] da Israele, sono andati
aumentando, un’altra pietra miliare dell’atteggiamento di rifiuto israeliano. Prima viene la richiesta
di cessare gli attacchi terroristici; poi quella di un cambiamento dei dirigenti (Yasser Arafat come un
ostacolo [alla pace]); e poi lo scoglio diventa Hamas. Ora è il rifiuto da parte dei palestinesi di
riconoscere Israele come Stato ebraico. Israele considera ogni suo passo – a partire dagli arresti di
massa degli oppositori politici nei Territori [occupati] – come legittimi, mentre ogni mossa
palestinese è “unilaterale”.
L’unico paese al mondo che non ha confini [definiti] non è assolutamente intenzionato a definire
quale compromesso sui [propri] confini che è pronto ad accettare. Israele non ha interiorizzato il
fatto che per i palestinesi i confini del 1967 sono la base di ogni compromesso, la linea rossa della
giustizia (o di una giustizia relativa). Per gli israeliani, sono “confini suicidi”. Questa è la ragione
per cui la salvaguardia dello status quo è diventato il vero obbiettivo di Israele, il principale scopo
della sua politica, praticamente fondamentale e unico. Il problema è che l’attuale situazione non può
durare per sempre. Storicamente, poche nazioni hanno accettato di vivere per sempre sotto
occupazione senza resistere. E pure la comunità internazionale sarà un giorno disposta ad esprimere
una ferma condanna di questo stato di cose, accompagnata da misure punitive. Ne consegue che
l’obiettivo di Israele è irrealistico.
Slegata dalla realtà, la maggioranza degli israeliani continua nel proprio modo di vita quotidiano.
Nella loro visione della situazione, il mondo è sempre contro di loro, e le zone occupate nel
giardino di casa sono lontane dal loro campo di interesse. Chiunque osi criticare la politica di
occupazione è etichettato come antisemita, ogni atto di resistenza è interpretato come una sfida
esiziale. Ogni opposizione internazionale all’occupazione è letto come una “delegittimazione” di
Israele e come una minaccia all’esistenza stessa del paese. I sette miliardi di abitanti del pianeta – la
maggior parte dei quali sono contrari all’occupazione – sbagliano, e i sei milioni di ebrei israeliani –
la maggior parte favorevole all’occupazione – sono nel giusto.
Questa è la realtà dal punto di vista dell’israeliano medio.
Si aggiunga a questo la repressione, l’occultamento e l’offuscamento [della realtà], ed ecco un’altra
spiegazione dell’atteggiamento di rifiuto: perché ci si dovrebbe impegnare per la pace finché la vita
in Israele è buona, la tranquillità prevale e la realtà è nascosta? L’unico modo che la Striscia di Gaza
assediata ha per ricordare alla gente della sua esistenza è di sparare razzi, e la Cisgiordania torna a
fare notizia nei giorni in cui vi scorre il sangue. Allo stesso modo, il punto di vista della comunità
internazionale è presa in considerazione solo quando cerca di imporre il boicottaggio e le sanzioni,
che a loro volta generano immediatamente una campagna di autocommiserazione costellata di
ottuse – e a volte anche fuori luogo – accuse che fanno riferimento alla storia.
Questa è dunque la cupa immagine [della situazione]. Non ci si trova neanche un raggio di
speranza. Il cambiamento non avverrà dall’interno, dalla società israeliana, finché questa società
continuerà a comportarsi in questo modo. I palestinesi hanno fatto più di un errore, ma i loro errori
sono marginali. Fondamentalmente la giustizia è dalla loro parte, e un fondamentale atteggiamento
di rifiuto è appannaggio degli israeliani. Gli israeliani vogliono l’occupazione, non la pace.
Spero solo di sbagliarmi.
Torna a Antefatti
1.6 La collaborazione di Abbas con Israele lo sta mandando a picco.9
Solo il 10% dei palestinesi appoggia Abbas, ha detto questa settimana un membro di Fatah
residente in un campo profughi ed ex prigioniero [di Israele].
Dal rapimento dei tre giovani israeliani assassinati, la popolarità del presidente Mahmoud Abbas tra
i palestinesi è di nuovo scesa. Le informazioni circa le “discussioni” che hanno diviso Abbas dai
suoi colleghi in un incontro del comitato centrale di Fatah la scorsa settimana sono state smentite,
ma i dirigenti del movimento gli hanno detto di avere difficoltà a difendere le sue posizioni, e
soprattutto la collaborazione con Israele in materia di sicurezza.
Solo il 10% dei palestinesi appoggia Abbas, ha detto questa settimana un membro di Fatah residente
in un campo profughi ed ex detenuto. Ciononostante, attualmente non c’è nessuno in Fatah o
nell’OLP che sia in grado di sfidare il potere e la direzione di Abbas – tranne la sua età avanzata.
Continua a mantenere nelle sue mani tutta l’autorità ed il potere decisionale come “Presidente dello
Stato palestinese”, presidente dell’OLP e di Fatah. Portavoce ufficiali ed ufficiosi sono stati
intervistati nelle scorse settimane su come verificare l’opposizione ad Abbas.
L’uccisione di Mohammed Abu Khdeir, il ragazzo di Gerusalemme est ucciso da giovani terroristi
ebrei, ha fornito ad Abbas e al movimento di Fatah l’opportunità di mettere in sintonia il proprio
atteggiamento con quello dell’opinione pubblica palestinese – ma sia in teoria che in pratica non ci
sono stati cambiamenti. I suoi critici dicono che [Abbas] è rimasto legato alla sua politica di
9 Amira Hass da Haaretz, 8 luglio 2014.
acquiescenza e concessioni nei confronti di Israele, il che permette ad Israele di impedire la
soluzione dei due Stati. Per cui rimane la domanda: come può Abbas riuscire a continuare ad
imporre le sue posizioni ed evitare che la Cisgiordania esploda – come sta succedendo a
Gerusalemme est?
Due delle sue affermazioni negli ultimi due mesi sono state citate ripetutamente – e ridicolizzate
come un sintomo della distanza tra Abbas e il suo popolo: la prima, durante un suo discorso agli
studenti israeliani, nel quale ha detto che “il coordinamento [con Israele] per la sicurezza è sacro”, e
il secondo a Gedda, in Arabia Saudita, alla conferenza dell’Organizzazione per la Cooperazione
Islamica, dove ha criticato il rapimento dei tre giovani israeliani, dicendo che “anche loro sono
esseri umani”. I palestinesi dentro e fuori il suo movimento si sono lamentati che egli non ha
dimostrato la stessa emozione ed empatia pubblicamente verso il suo stesso popolo che sta
soffrendo a causa delle aggressioni da parte dell’esercito israeliano.
Le reti sociali – persino la pagina ufficiale di Abbas su Facebook – sono pieni di commenti e
battutacce (“Shimon Peres ha chiesto a Gideon Sa’ar [ministro degli Interni, del Likud. n.d.t.] di
concedere ad Abbas la cittadinanza israeliana”). Su Facebook è stata postata la foto di una pagina
del passaporto diplomatico di un suo giovane nipote, nella quale è annotata come professione
“nipote del presidente”. “Vattene” scrivono – come è stato detto all’ex presidente egiziano Hosni
Mubarak. Anche solo due o tre anni fa chi avesse fatto commenti molto meno duri contro Abbas
sarebbe stato arrestato. Sembra che il muro di paura sia stato infranto, e i servizi di sicurezza
palestinesi si rendono conto di non essere in grado di dare la caccia a migliaia [di persone] che
hanno manifestato la loro opinione in questo modo.
Due settimane fa centinaia di fedeli nella moschea Al Aqsa di Gerusalemme hanno attaccato il più
vicino e fidato collega di Abbas, Mahmoud al-Habash, ex ministro palestinese degli Affari
Religiosi, attuale presidente della Corte palestinese della Sharia, con il suo entourage. La versione
ufficiale di condanna ha affermato che i suoi aggressori erano militanti di Hamas e del partito Al
Tahrir, [mentre] militanti di Fatah hanno raccontato ad Haaretz che l’80% degli assalitori erano
persone di Fatah residenti a Gerusalemme. Nonostante il diffuso parere contrario all’interno di
Fatah, Abbas ha insistito per anni nel mantenere Habash al suo posto di ministro degli Affari
Religiosi (Waqf). Durante i negoziati per la formazione del governo di unità nazionale con Hamas,
quest’ultimo si è opposto alla permanenza al suo posto di ministro di Habash – nato nella Striscia di
Gaza ed ex membro di Hamas. Invece Abbas lo ha messo a capo della Corte della Sharia, eludendo
la consueta procedura per [l’assegnazione di ] tale incarico. Così l’attacco contro Habash può essere
interpretato come un attacco interno a Fatah anche contro lo stesso Abbas.
Un mese fa una registrazione di quanto detto dal capo negoziatore palestinese Saeb Erekat contro
Abbas in una conversazione privata è stata postata su alcuni social network. Erekat ha definito
Abbas un dittatore, i cui progetti diplomatici sono falliti e che non ha fatto ricorso alla Corte Penale
Internazionale dell’Aya a causa della sua promessa agli americani [in merito]. Dopo che è risultato
chiaro che la registrazione non era un falso, Erekat è stato invitato a pranzo da Abbas e la faccenda
è stata sistemata - e lo scandalo insabbiato. Al contrario, la conduttrice di un programma della
televisione palestinese sui prigionieri è stata licenziata dopo che ha espresso critiche nei confronti di
Abbas.
Portavoce ufficiali ed ufficiosi di Fatah e dell’OLP si affannano a spiegare le iniziative di Abbas
dopo il rapimento. “Un discorso impopolare che protegge il popolo è meglio di un discorso
populista che abbandona il popolo” è lo slogan ripetuto da Fatah.
Sulla stessa linea, un funzionario dell’OLP ha detto ad Haaretz che Abbas “nel suo discorso a
Gedda e nella sua conversazione telefonica con [il primo ministro Bejamin] Netanyahu [dopo il
rapimento] voleva prevenire ulteriore spargimento di sangue e danni al proprio popolo. Solo che
non ha saputo far passare il messaggio alla sua gente. Si preoccupa in primo luogo di come
trasmetterlo agli americani, poi agli europei, poi agli israeliani, poi ai media, e solo alla fine ai
palestinesi. In quest’ordine.” Un suo vecchio amico dice che Abbas ha lavorato fin dagli anni ’70
per raggiungere la pace tra lo Stato palestinese che si sarebbe costituito e Israele.
Il prossimo mese è prevista l’assemblea generale di Fatah. Abbas si porta dietro alla riunione due
fallimenti politici degli ultimi sei mesi: quello del mancato funzionamento del governo di unità
nazionale con Hamas, e la rottura degli ultimi negoziati di pace senza la liberazione di tutti i
prigionieri palestinesi processati prima degli accordi di Oslo. Questi due fallimenti erano
prevedibili, e in molti avevano preventivamente messo in guardia Abbas in merito. I fallimenti sono
stati attribuiti a lui, però lui non ha ancora cambiato opinione.
Un membro di lungo corso di Fatah, che conosce Abbas da decenni, ha detto ad Haaretz:” Il
problema è che Abbas continua ad essere legato all’ erronea speranza che gli Stati Uniti alla fine
interverranno per far cambiare [la posizione di] Israele e per promuovere la creazione di uno Stato
palestinese. Tutto ciò che dobbiamo fare, in questo caso, è agire in base alle richieste americane, per
dimostrare la nostra devozione nei loro confronti.” In altre parole, proseguire la collaborazione con
Israele in materia di sicurezza, non appellarsi alla Corte Internazionale dell’Aia e prevenire
un’escalation, nella speranza che gli Stati uniti ricompenseranno i palestinesi e Abbas.
Egli è andato fiero della mancata opposizione da parte degli americani rispetto all’accordo con
Hamas, come prova che la sua linea politica è giusta. A differenza di quanto si temeva all’ inizio, gli
Stati Uniti non hanno interrotto i finanziamenti all’Autorità palestinese dopo il rapimento e
l’uccisione di Eyal Yifrah, Naftali Fraenkel e Gilad Shaar. Anche Israele ha trasferito al Ministero
delle Finanze palestinese la somma mensile di diritti doganali sui prodotti palestinesi, che Israele
raccoglie per conto dei palestinesi nei propri porti.
L’impostazione di Abbas – mantenere per quanto possibile la pace (con l’aiuto dei servizi di
sicurezza e del coordinamento con Israele in materia di sicurezza) – va bene alla classe media ed
alla palestinese. “Negli scorsi 25 anni noi [Fatah] abbiamo aiutato Israele a rimandare la decisione
di farla finita con l’occupazione” dice il funzionario di lungo corso di Fatah, dopo aver definito la
fiducia di Abbas negli americani “una falsa speranza”. Come altri, egli sostiene che solo una
combinazione tra una diplomazia attiva e una strategia basata sulla lotta di massa non armata ( e
qualcuno sostiene anche senza pietre e bottiglie molotov) può salvare i palestinesi dall’attuale
impasse. Ma Abbas è contrario non solo alla lotta armata, ma anche a un’Intifada popolare e
disarmata, nella convinzione che, come in passato, Israele la reprimerebbe in modo durissimo,
ucciderebbe molti palestinesi e così facendo provocherebbe una risposta armata da parte palestinese
– e si ricomincerebbe da capo.
Torna a Antefatti
1.7 La realizzazione del piano generale per Gerusalemme est10
L’obiettivo inconfessato di Israele è di espellere dalla città gli abitanti di Gerusalemme est, o
almeno di limitare il loro numero e di indebolirne la coesione nazionale.
C’è un rapporto diretto tra l’uccisione di Mohammed Abu Khdeir da una parte e il Comune di
Gerusalemme, il Ministero dell’Interno, la polizia di Gerusalemme e l’Alta Corte di Giustizia
dall’altra. Fin dall’occupazione e l’annessione di Gerusalemme est questi organi dello Stato hanno
iniziato, messo in atto ed approvato politiche deliberatamente discriminatorie contro i suoi abitanti
palestinesi. Il loro messaggio è stato ben compreso dagli istigatori e interiorizzato dagli assassini.
Molto, molto tempo fa, in altre parole due o tre anni fa, prima che incominciasse la nuova Guerra
con Gaza, prima che l’assassinio di Abu Khdeir da parte di ebrei destasse riprovazione e shock,
persino da parte degli esponenti della destra: ministri, membri della Knesset e rabbini delle colonie.
Hanno cercato di presentarlo come un singolo incidente isolato, senza nessun rapporto con tutto il
resto. Benché l’effetto sia rovinato dalle truppe d’assalto che plaudono all’assassinio su Facebook, e
nonostante gli anonimi individui che hanno distrutto il monumento che alcuni israeliani hanno posto
nella foresta di Gerusalemme, dove il corpo del ragazzo è stato trovato, ciò che importa è che
10 Amira Hass, 11 luglio 2014, Haaretz
all’estero si sappia che il ministro dell’Economia Naftali Bennett e il primo ministro Benjamin
Netanyahu condannano questo atto. Hanno persino dichiarato Abu Khdeir vittima del terrorismo.
Perché, che cosa c’è di più facile che condannare il fatto di aver bruciato vivo un ragazzo? E’
altrettanto facile condannare l’omicidio, in quanto i sospetti vengono da un gruppo sociale, da
comunità, da un accento, un partito politico e un luogo di residenza che possono facilmente essere
sminuiti. Non è “la nostra gente”. In fin dei conti, non si comportano come noi. E soprattutto, non
sono dei coloni o parte della “gioventù delle colline” [“hilltop youth”: gruppo di giovani coloni
estremisti. n.d. t.]
Giustamente si è scritto qui a proposito dell’incitamento che ha provocato l’assassinio dopo che è
stata comunicata la morte dei tre studenti della yeshiva e del rapporto con l’esortazione da parte di
rabbini ed altri negli scorsi anni, e dell’evidente razzismo da parte degli adolescenti. Giustamente si
faceva menzione agli attacchi contro i palestinesi in Cisgiordania, compresi alcuni omicidi, che
sono stati sepolti nell’incuria burocratica della polizia e della magistratura inquirente.
Sul sito “Sikha Mekomit” (il sito in ebreo del blog +972), Haggai Matar giustamente ha scritto a
proposito dei 1.384 bambini e adolescenti palestinesi uccisi dai soldati dell’esercito israeliano dal
2000 (escluse le vittime dell’attuale attacco). Mediamente è stato ucciso un minore ogni 3,7 giorni,
mentre [nello stesso periodo] i minori israeliani uccisi dai palestinesi sono stati 127.
Ma neppure questo contesto dell’omicidio di Abu Khdeir è esaustivo. Dall’occupazione di
Gerusalemme est nel 1967 il governo israeliano ha commesso tre crimini: ha definito i palestinesi
come non ebrei immigrati in Israele, in base alle leggi sulla cittadinanza e sull’ingresso in Israele
(come se avessero scelto di vivere in Israele, mentre è stato Israele che è “entrato” nelle loro case);
ha confiscato circa 24.500 durams (circa 6.050 acri) di terra, per lo più di proprietà di privati, che è
stata destinata a terreno edificabile solo per gli ebrei; ha imposto draconiane limitazioni
all’edificazione a danno dei palestinesi sulla terra che gli è rimasta.
Generazioni di ministri dell’Interno, di funzionari del ministero e del Comune, di suoi sindaci,
impiegati, pianificatori e architetti hanno messo in atto questa politica. E anche la polizia e l’Istituto
Nazionale delle Assicurazioni, gli organi esecutivi e l’Alta Corte, che direttamente o indirettamente
l’hanno approvata.
Questi crimini sono stati la fonte di altri delitti delle istituzioni pubbliche, leggi e regolamenti, muri
e restrizioni, che hanno fatto diventare Gerusalemme est quello che è adesso – un insieme di
quartieri impoveriti e sovrappopolati, con infrastrutture insufficienti, un livello impressionante di
abbandoni scolastici e poche possibilità di sviluppo, tagliati fuori dal resto dei territori palestinesi.
Ed ogni abitante vive con la paura che il suo permesso di residenza permanente gli venga revocato e
di venire espulso. La questione di fondo [è]: vivere una costante umiliazione.
L’obiettivo non dichiarato di Israele riguardo ai residenti di Gerusalemme est è di espellerli dalla
città, o quanto meno di ridurne il numero e di indebolirli in quanto comunità nazionale. Il suo chiaro
messaggio è: i palestinesi sono inferiori. Non sono esseri umani come noi. L’assassinio razzista è
un’estrema ma ovvia trasposizione del messaggio, della politica e del suo obiettivo.
Torna a Antefatti
2. La guerra
Il sanguinoso attacco a Gaza prende fin da subito caratteristiche di particolare spietatezza (Hass, 2.1 e
Conte, 2.2 ). Ciononostante in Cisgiordania in un primo tempo non è scoppiata una nuova Intifada in
solidarietà con i gazawi, nonostante il crescente sostegno nei confronti della resistenza di Hamas ed il
discredito del governo collaborazionista di Abbas, per la mancanza di una leadership credibile (Hass, 2.3 e
2.4). L'opinione pubblica israeliana sembra compatta nell'appoggiare la guerra, mentre, nonostante gli
stereotipi negativi nei confronti di Hamas e Jihad, le richieste dei gazawi sono assolutamente ragionevoli e
comprensibili (Levy, 2.5). Altrettanto ragionevole sembra la reazione dei gazawi di fronte allo
strangolamento a cui sono sottoposti da anni da parte di Israele, che ora sta portando morte e distruzione
tra i civili palestinesi , cercando di coprire i propri crimini con omissioni e menzogne (Hass, 2.6, Mehdi
Hasan, 2.7). E dopo parecchi giorni di apatia, infine anche la Cisgiordania incomincia a muoversi per
protestare, anche contro l'indifferenza dell'ANP (Hass intervistata da Democracy Now, 2.8), mentre le stragi
continuano ed il bilancio dei morti e delle distruzioni di interi quartieri ricade sulle spalle della società
israeliana (Hass, 2.9, 2.10, 2.11 e 2.12). Nel frattempo il governo USA accusa Hamas di essere "barbaro"
perché ha ucciso due soldati israeliani e ne ha forse rapito un altro durante una tregua (Levy, 2.13). La
richiesta più immediata è ridare ai gazawi la possiblità di muoversi liberamente (Hass, 2.14). Nel frattempo
la società civile solidale con la causa palestinese si mobilita a favore del boicottaggio con iniziative
originali (Articolo di redazione, 2.15). La tragedia che sta vivendo Gaza dovrebbe portare ad un
ripensamento da parte degli israeliani, che dovrebbero rivedere i proprio pregiudizi sulla popolazione della
Striscia per evitare nuove aggressioni (Levy, 2.16). Invece ci sono governi europei, in particolare Germania
ed Austria, che continuano a difendere Israele come se fosse il rappresentante delle vittime dell'Olocausto
(Hass, 2.17). Una voce molto autorevole si leva in difesa dei diritti dei palestinesi, in sintonia con le
centinaia di mobilitazioni contro la guerra in corso in tutto il mondo ( Tutu, 2.18), ed al contrario stride
l'assenza di prese di posizione decise da parte dell'ONU, come denunciato dalle associazioni palestinesi
(Electronic Intifada, 2.19). Gaza non è solo un luogo in cui si sperimentano nuove armi: gli strumenti usati
da Israele per perpetuare il proprio dominio manipolano il diritto internazionale e le leggi a protezione dei
diritti umani, segnando dei precedenti che spostano progressivamente in avanti i limiti posti agli Stati
nell'esercizio della violenza (Halper, 2.20). I messaggi che si scambiano le due parti in conflitto sono chiari:
da una parte Israele esige sottomissione, dall'altra i palestinesi chiedono rispetto dei loro diritti (Halper,
2.21 e 2.22). Infine, il dolore e la solidarietà umana di una giornalista israeliana che condivide le tragiche
vicissitudini dei suoi amici gazawi (Hass, 2.23).
2.1 Attivisti internazionali rimangono nell’ospedale di Gaza che l’esercitoisraeliano vuole bombardare.11
14 pazienti, uomini e donne con più di 60 anni che non possono essere spostati rimangono
nell’unico ospedale di Gaza per la riabilitazione
Attivisti della solidarietà internazionale [con i palestinesi] rimangono all’interno di un ospedale di
Gaza che l’esercito israeliano ha intenzione di bombardare, come scudi umani. Si sono uniti ai
pazienti che non se ne possono andare in quanto gli altri ospedali di Gaza sono in emergenza, in
quanto si stanno occupando di persone ferite nei bombardamenti e si aspettano l’arrivo di altri
pazienti.
Due razzi di avvertimento sono stati sparati contro l’ospedale Al Wafa ad est di Gaza City alle 2 del
mattino di venerdì, ha raccontato ad Ha’aretz il direttore Basman al Ashi. Alle 19 un razzo è stato
sparato contro il quarto piano, aprendo un grosso foro nel tetto e mandando in frantumi le finestre.
Il piano era stato evacuato mercoledì.
Dopo che è stato lanciato il razzo qualcuno ha telefonato all’ospedale. Parlando in arabo con uno
spiccato accento israeliano ha chiesto se c’erano pazienti all’ultimo piano, se qualcuno era rimasto
11 Amira Hass da Haaretz, 8 luglio 2014.
ferito e se si fosse previsto di evacuare [l’ospedale]. La risposta ad ogni domanda è stata negativa.
Al Wafa è l’unico ospedale per la riabilitazione di tutta la Striscia di Gaza. Inaugurato nel 1996, è
stato progettato per pazienti feriti in incidenti gravi. Di solito ci sono 14 pazienti ultrasessantenni
che sono ricoverati nell’ospedale, i quali richiedono costanti cure e necessitano di costante
assistenza medica. Alcuni sono immobilizzati, altri sono alimentati per via endovenosa. Altri 25
pazienti in condizioni meno critiche se ne sono andati, ha detto Al Ashi ad Ha’aretz.
Joseph Cotran, un trentatreenne americano, è uno degli attivisti che hanno deciso di rimanere
nell’ospedale come scudi umani insieme ad altri [arrivati] dalla Nuova Zelanda, dall’Australia,
dall’Inghilterra, dalla Spagna, dalla Svezia e dal Venezuela. Cotran ha detto ad Ha’aretz che il
direttore dell’ospedale li ha accompagnati in tutti i piani e le stanze dell’ospedale e “benché io non
sia un militare, non ho visto niente che possa sembrare a un razzo all’interno dell’ospedale.”
Secondo Cotran, lui e i suoi amici hanno informato le rispettive ambasciate che si trovano
nell’ospedale che l’esercito israeliano minaccia di bombardare.
Torna a Guerra
2.2 Olocausto palestinese. Giornalisti come scudi umani della verità.12
Israele si permette qualunque azione illegale che ad altri non è consentita ma deve far finta di non
esagerare, di agire per autodifesa. Ma siamo già a 78 morti.
Israele sa di essere sotto l'occhio del mondo, opinione pubblica e governi, anche quelli che pure lo
sostengono, sempre e comunque. Può permettersi qualunque azione illegale che ad altri non è
consentita ma deve far finta di non esagerare, di agire per autodifesa, alimentando,
incessantemente, il mito del pericolo sempre imminente di un nuovo Olocausto per il suo Popolo.
E deve giustificarsi, se persino i suoi più fedeli (e ciechi) sostenitori, Stati Uniti e Unione Europea,
cominciano a dirsi stufi delle sue pretese e delle sue forzature.
"Come può Israele ottenere la pace, se non ha la volontà di delineare un confine e porre fine
all'occupazione?", ha detto Phillip Gordon, responsabile per il Medio Oriente della Casa Bianca,
durante la Conferenza sulla Pace, tenutasi a Tel Aviv, mentre quel Governo bombardava la Striscia
di Gaza (Vedi QUI).
A fine giugno, Lars Faaborg-Andersen, inviato dell'Unione Europea in Israele, ha affermato che
"Gli Stati dell'UE stanno perdendo la pazienza, a causa della continua crescita di insediamenti
israeliani illegali, nei Territori occupati palestinesi" (video: QUI) e che, se questa espansione non
finirà, altri Paesi dell'Unione si uniranno ai 17 (inclusa l'Italia) che già hanno messo in guardia i
propri cittadini dal fare affari con chi trae profitto da quei territori (QUI) . Per l'Italia: avvertire
Pizzarotti e ACEA.
Israele, allora, ha bisogno di una propaganda continua.Lo fa con grande dispiegamento di mezzi e utilizzando tutte le regole del webmarketing, come in
questo video, in cui dei bambini, con le maglie di varie squadre, il nome di Messi stampato sopra
quella del portiere e il marchio dell'UNICEF non riescono ad arrivare a segnare un rigore per
l'intervento della sirena che preannuncia l'arrivo di un razzo dalla Striscia di Gaza. Il messaggio
finale recita: "I razzi di Hamas impiegano 15 secondi a colpire Israele. Cosa faccio, ora? Questa è la
realtà che vivono gli israeliani, oggi".
E i bambini palestinesi quanto tempo hanno per trovare un rifugio (che non c'è, in quel lager che è
la Striscia di Gaza), prima che cadano le bombe israeliane?
Chi avrebbe più bisogno di un esperto in webmarketing?
L'Olocausto palestinese si trova nei numeri.
In due giorni di assalto israeliano:
12 Marisa Conte, testo in italiano da Megachip, 10 luglio 2014.
58 morti, di cui 13 bambini, 7 donne e 36 vecchi
450 feriti, di cui 103 bambini, 46 donne e 283 vecchi
1033 bombardamenti di cui 144 razzi dal mare, 747 raid aerei e 142 cannoneggiamenti
312 case distrutte, 53 totalmente e 259 parzialmente
(fonte Euro Mid Observer: https://twitter.com/freegazaorg/status/487065789791739904/photo/1)
Ma l'apice dell'inganno, Israele lo ha raggiunto, ieri, quando l'IDF ha diffuso un video che dovrebbe
dimostrare quanta attenzione mette e quante precauzioni prende per evitare che dei civili vengano
colpiti, "avvisandoli", prima di un bombardamento, con delle bombe sonore (o con degli sms, come
è successo), L'IDF fa, addirittura, riferimento alla casa della famiglia Kaware', sul cui tetto erano
accorse decine di persone per fare da scudi umani, pretendendo di far credere che il pilota non
l'abbia bombardata. Peccato che il video si interrompa, prima del bombardamento. Un evento che
aveva suscitato tantissimo sdegno, nell'opinione pubblica, dopo la pubblicazioni delle foto
(http://twitpic.com/e7s0t6) e delle testimonianze di medici e residenti presenti
(http://www.imemc.org/article/68391).
In quel bombardamento erano morte 7 persone e almeno 25 sono rimaste ferite.
E 6 civili sono rimasti uccisi e altri 15 feriti, in un bombardamento, mentre guardavano la partita del
mondiale, in un bar sulla spiaggia.
Contemporaneamente, in Cisgiordania l'esercito continua i rastrellamenti a tappeto. Ieri, sono state
arrestati 936 Palestinesi, per la maggior parte ex prigionieri, membri di Hamas, del Fronte Popolare
di Liberazione della Palestina e del Fronte Democratico di Liberazione della Palestina.
Per annullare una propaganda, ci vogliono un'opinione pubblica determinata e dei giornalisti
indipendenti. Per questo, Israele li prende di mira.
Ieri, è stata colpita la Torre dei Giornalisti, a Gaza City, e diversi di loro sono rimasti feriti. I
giornalisti di RT hanno accusato Israele di terrorismo e di crimini di guerra, ricevendo, subito, un
attacco da Algemeiner, quotidiano ebraico statunitense. In questo servizio13, la giornalista di RT
respinge l'attacco con argomentazioni precise, ricordando, tra l'altro, a Israele che colpire i
giornalisti è considerato un crimine di guerra dalla Convenzione di Ginevra.
Nel pomeriggio, Israele ha insistito sul suo obiettivo, colpendo l'auto di Media TV, che aveva la
scritta rossa "TV" ben visibile, e uccidendo Hamed Shebab (foto: QUI e QUI).
Ma cosa vuole Israele, con questo atteggiamento e con queste azioni, così crudeli e inumane? Di
certo, non vuole la pace né mai l'ha voluta, come ribadisce Gideon Levy14 altrimenti non
continuerebbe a colonizzare. Perché, sottolinea Levy, nel DNA di Israele "a livello più profondo,
risiede il concetto che questa terra è destinata solo agli Ebrei".
Se Israele non ama i razzi palestinesi, se, davvero, vuole la pace, basta che smetta di aggredire Gaza
e si ritiri dalla Palestina, risponde con forza ed esplicitamente Miko Peled, scrittore, figlio di uno
dei fondatori dello Stato di Israele, a RT (QUI).
Cosa, allora? Come ci indica Gilad Atzmon15, jazzista israeliano e attivista per i Diritti Umani,
attraverso pochi ma precisi passi: siamo alla terza Intifada o alla seconda Nakba? "E' l'insurrezione
palestinese o, ancora, la pulizia etnica israeliana?
Anche se le terminologie differiscono, dalla prospettiva di Israele non c'è contraddizione tra le due;
sono passi complementari verso lo stesso scopo, vale a dire un solo Stato ebraico.".
(versione italiana: QUI; link originale: http://www.gilad.co.uk/writings/3rd-intifada-or-nakba-
ii.html?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter)
Petizione online: http://firmiamo.it/spazio-in-rai-all-informazione-sulla-palestina#petition
Torna a Guerra
13 Video non più disponibile [n.d.c.].14 Vedi nel primo capitolo di questo dossier" Gli antefatti:1.5 “Israele non vuole la pace”15 Gilad Atzmon è un personaggio piuttosto controverso, accusato di antisemitismo. La responsabilità di
questa citazione spetta esclusivamente all'autrice dell'articolo
2.3 Perché in Cisgiordania non scoppia una rivolta contro Israele.16
L’opinione pubblica palestinese ha perso la fiducia nel discorso schizofrenico della sua leadership,
che da una parte denuncia l’occupazione e dall’altra si attiene ai suoi ordini.
Alla mezzanotte tra giovedì e venerdì la radio palestinese ha informato che “questo pomeriggio
l’occupante ha represso una manifestazione di protesta nei pressi del checkpoint di Ofer”, a ovest di
Ramallah. L’annunciatore non ha riferito che un’ora prima un reparto di circa 30 poliziotti
palestinesi dell’unità anti sommossa ha bloccato circa 200 manifestanti che stavano marciando nel
centro di Ramallah in direzione della colonia di Beit El, in segno di cordoglio per le vittime di Gaza
e di rabbia contro l’offensiva militare di Israele. “Se fossimo stati 6.000 a protestare la polizia non
ci sarebbe stata” ha detto qualcuno. Certo, la questione non è che i manifestanti siano stati bloccati,
ma perché fossero così pochi.
Negli ultimi dieci giorni ci sono state numerose manifestazioni in varie città per dimostrare
cordoglio e solidarietà con Gaza. Quasi ogni giorno giovani scendono in strada in tutta la
Cisgiordania dopo la preghiera della notte e si scontrano con i soldati. Se decine di migliaia in più
avessero voluto manifestare solidarietà con Gaza affrontando l’esercito, avrebbero trovato il modo
di farlo. Non è stata solo la “collaborazione tra apparati di sicurezza” [tra ANP e Israele. n.d.t.] che
li ha fermati.
Gli scontri, i feriti e i due morti di questa settimana sono stati oscurati dalle scene e dai reportage da
Gaza. I resoconti quotidiani dei raid dell’esercito israeliano sono stati anche loro oscurati, così come
i continui massicci arresti in Cisgiordania, da 10 a 30 ogni giorno, 24 dei quali tra i membri del
parlamento palestinese appartenenti al partito “Cambiamento e Riforma” di Hamas. Dal rapimento
e uccisione degli adolescenti israeliani il numero di questi arresti ha superato i mille. I palestinesi
sono convinti che la maggior parte di questi arresti non abbiano niente a che vedere con il
rapimento e che si tratti piuttosto di arresti politici con lo scopo di intimidire e di vendicarsi.
Contro le speranze o previsioni di un ristretto numero di persone, il fuoco scoppiato a Gerusalemme
est dopo l’uccisione dell’adolescente Mohammed Abu Khdeir da parte di ebrei non si è esteso alla
Cisgiordania. L’affermazione secondo cui, anche se ci fosse stata un’escalation militare, le proteste
non avrebbero oltrepassato il muro di separazione ha basi solide.
Nella tradizione del popolo palestinese, in quanto popolo che lotta da decenni per la propria
indipendenza, le proteste sono un parafulmine dello stato d’animo sociale e politico. In questo modo
la discussione politica esce in pubblico, fuori dalle stanze chiuse e dagli schermi dei computer. Le
proteste sono il naturale e democratico mezzo per sfidare l’innaturale condizione di vita sotto il
dominio straniero. Le proteste sono una specie di sondaggio dell’opinione pubblica, un mezzo per
far emergere la consapevolezza e la comunicazione diretta e senza ostacoli con la leadership.
“Mancanza di fiducia” è la spiegazione comune del perché le manifestazioni non si sono estese.
Una militante di sinistra che ha manifestato mercoledì ha proposto alla figlia di seguirla. La figlia
“molto più estremista di me”, secondo sua madre, si è rifiutata. Ha detto: ”Non credo che le
manifestazioni possano ottenere qualcosa e che il prezzo che pagheremo scontrandoci con i soldati
– feriti, morti – ne valga la pena.“ L’ANP e le sue strutture fanno un discorso schizofrenico e
confuso: da una parte discorsi e denunce dell’occupazione, e dall’altra si adeguano alle sue
[dell’occupazione. n.d.t.] imposizioni. La stazione radio ufficiale dell’ANP manda in onda in questi
giorni di conflitto militare canzoni militanti a proposito di martiri e liberazione, mentre i servizi di
sicurezza continuano ad infierire sui militanti di Hamas. Mercoledì notte membri delle forze di
sicurezza preventiva hanno bloccato il canale TV “Palestina oggi” che stava trasmettendo dal vivo
gli spari della polizia palestinese che a Jenin reprimeva duramente una manifestazione di giovani
che stavano cercando di raggiungere il posto di blocco militare.
Una simile leadership non ispira fiducia nel fatto che possa dirigere un’insurrezione, se mai dovesse
scoppiare. “Per una lotta popolare contro l’occupazione, di cui la gente parla in continuazione, ci
vuole una strategia, un piano e pazienza”, dice Ifaf Ghatasheh, membro dell’ufficio politico del
16 Amira Hass da Haaretz, 18 luglio 2014.
Partito del Popolo Palestinese (l’ex Partito Comunista Palestinese). Ma non c’è fiducia nel fatto che
l’attuale leadership dell’OLP, presieduta da Mahmoud Abbas, voglia o sia in grado di mettere in
campo una simile strategia, non ora e non senza cambiamenti complessivi, per i quali ci vorrà
parecchio tempo.
Sotto Abbas si è creato un modo di governare autoritario, nel quale egli decide quasi da solo, senza
prendere in considerazione altre posizioni di Fatah e dell’OLP e senza consultare persone che sono
più in sintonia con l’opinione pubblica dei suoi consiglieri, specialmente del capo dell’intelligence
Majid Faraj. Se volesse consultarne altri, si sentirebbe dire da qualcuno di loro fin dall’inizio
dell’escalation che da una parte egli avrebbe dovuto appoggiare la richiesta di Hamas riguardo a
garanzie internazionali per il cessate il fuoco e dall’altra parlare dell’obbligo di evitare ulteriori
massacri e distruzioni.
C’è un vergognoso contrasto tra il ruolo di Abbas come statista assennato che oggi sta discutendo
del cessate il fuoco e la pubblica denigrazione delle sue capacità e dei suo atteggiamenti da tiranno.
La sua posizione logica e umana, il fatto che si debba porre fine alla grande sofferenza [dei
palestinesi], è percepita da molti come un altro nesso con la sua politica di “subappaltante”
dell’occupazione. Questa interpretazione evidenzia la mancanza di fiducia.
Insieme a questo vi è una mancanza di fiducia nell’intero sistema politico, che è ancora diviso dalla
rivalità e ostilità tra Hamas e Fatah, molto aumentate nell’ultimo mese. Fatah di regola non
manifesta solidarietà con Gaza. Fatah non può condannare pubblicamente il lancio di razzi di
Hamas perché ormai l’appoggio popolare nei confronti del lancio di razzi (soprattutto come simbolo
della resistenza palestinese contro il potere israeliano) è ampio. Fatah non può appoggiare
pubblicamente il lancio di razzi perché in questo modo distruggerebbe la posizione di Abbas e
renderebbe evidente che Hamas sta vincendo nella lotta su qual è il gruppo dirigente più patriottico,
valido e efficace.
Nel momento in cui i palestinesi hanno così tante ragioni per la loro mancanza di fiducia nei loro
dirigenti, anche la separazione geografica riduce la capacità di allargare le proteste. Le enclave
palestinesi che Israele ha creato in Cisgiordania e Gerusalemme est subiscono in modo diverso
l’occupazione, con vari livelli di oppressione. In questo modo la politica israeliana di repressione si
manifesta in modo diverso in ogni area, e così anche le risposte a questa [repressione] in ognuna
delle zone. In mancanza di una strategia e di fiducia nella leadership, le risposte si limitano
all’ambito locale e sono ridotte.
Torna a Guerra
2.4 Gli errori della leadership di Abbas.17
Buona parte della fiducia in Hamas viene dall’opinione pubblica palestinese, che lo vede resistere
coraggiosamente per la causa nazionale mentre Mahmoud Abbas recita il ruolo di chi invoca una
soluzione diplomatica.
Lo shock e la paralisi del mondo politico hanno preso il sopravvento nell’Autorità Nazionale
Palestinese e nell’OLP, alla luce della perdurante aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza e
l’enorme problema della sorte di un milione ottocentomila persone che vivono in quella piccola
area. Condanne da parte dei portavoce dell’OLP e dell’Autorità Nazionale Palestinese, richieste di
donare il sangue per Gaza e la formazione di un fondo governativo d’emergenza sono
“manifestazioni di solidarietà” – come se i residenti a Gaza fossero un altro popolo. Non sono i
passi di un gruppo dirigente il cui popolo si trova in un pericolo mortale.
La gente a Gaza e in Cisgiordania è sconcertata dal fatto che i principali dirigenti dell’OLP e
dell’ANP - innanzitutto il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas, o almeno quelli più vicini a lui –
17 Amira Hass da Haaretz, 20 luglio 2014.
non abbiano fatto il primo ed ovvio passo di andare nella Striscia di Gaza quando il sanguinoso
conflitto è scoppiato. Questo errore, dicono i critici, ha aiutato a far diventare il conflitto, agli occhi
del mondo, uno scontro tra Hamas e Israele, e non come parte della politica di occupazione ed
oppressione di tutto il popolo palestinese.
A livello organizzativo, il sanguinoso conflitto avrebbe richiesto un’immediata riunione del governo
provvisorio di unità nazionale (che comprende membri del comitato esecutivo dell’OLP ed i
dirigenti delle organizzazioni che non ne fanno parte, primi tra tutti Hamas e Jihad islamica). La
formazione di questo esecutivo era stata accettata già nel lontano accordo di riconciliazione del
Cairo nel 2005. Di fatto, la dirigenza unitaria avrebbe dovuto realizzarsi dopo l’accordo di Shati
(l’accordo di aprile riguardante la formazione di un governo di riconciliazione diretto da Rami
Hamdallah)
Il fatto che non sia stato fatto è un errore o una prova evidente che le intenzioni di Abbas fin
dall’inizio non erano concentrate sul governo di coalizione. Abbas attribuisce una grande
importanza ai negoziati con Israele e ai suoi rapporti con gli Stati Uniti, mentre è ormai chiaro a
sempre più ampi ambienti nell’OLP e in Fatah che la necessità di costruire una dirigenza unitaria è
prioritario rispetto ad ogni altra cosa.
Le condizioni [poste da] Hamas e Jihad islamica per il cessate il fuoco sembrano molto ragionevoli
e moderate ai palestinesi, e tra questi anche a membri delle fazioni dell’OLP, compreso Fatah. Il
segretario del comitato esecutivo dell’OLP, Yasser Abed Rabbo, lo ha detto apertamente. La
richiesta di Hamas di farla finita con l’assedio mette in evidenza la mancanza di interesse della
dirigenza di OLP e di Fatah nel lottare contro il blocco e la segregazione della Striscia di Gaza. Il
coinvolgimento di Abbas nella fallita iniziativa egiziana per un cessate il fuoco, basata sulla “tregua
senza condizioni” è ora considerata un’opportunità pericolosamente perduta, il cui pesante costo
sono state più vite umane [perse]. Un altro prezzo molto alto è stato pagato presentando il
presidente palestinese come un “mediatore” invece del leader di un popolo, approfondendo in
questo modo le divisioni interne. I colloqui di Abbas negli ultimi giorni con i dirigenti di Hamas e
della Jihad islamica sono arrivati troppo tardi e non hanno migliorato l’impressione negativa.
D’altra parte, i membri dell’OLP non vogliono uno scontro totale con l’Egitto o apparire coinvolti
nelle sue questioni interne – cioè, che prendano posizione sulla repressione contro i Fratelli
musulmani. Tradizionalmente, le fazioni dell’OLP sono sempre state sospettose nei confronti della
Fratellanza musulmana, in quanto organizzazione politica sovranazionale che utilizza la religione.
Fatah, in particolare, ha denunciato per anni che l’ideologia di Hamas e la sua politica di
contrapposizione militare non sono motivate da un progetto nazionale, ma semmai da quello della
Fratellanza.
La piccola componente di sinistra aborrisce il tipo di società a cui aspira Hamas. Ma nelle ultime
settimane è risultato evidente che Hamas è stato capace di rappresentare una sfida più grande per
Israele rispetto a quelle che ha dovuto affrontare da parte di qualunque altra organizzazione
palestinese – e, per l’opinione pubblica palestinese, per ragioni giustificabili. Ciò ha colpito anche
quelli che ne disprezzano il progetto politico-religioso, così come anche quelli che non sono
accecati dalla fede nella lotta armata.
Gli errori nella condotta delle fazioni dell’OLP, compreso Fatah – soprattutto dallo scoppio di
questa nuova carneficina – non sono un problema contingente e temporaneo. Piuttosto, mostrano
errori continui, alcuni dei quali sono connessi con le caratteristiche del modo di comandare di
Abbas. Negli scorsi anni ha cercato di minimizzare ogni processo democratico di consultazione e
ogni decisione collegiale all’interno di Fatah, dell’OLP e dell’Autorità Nazionale Palestinese. Le
fazioni politiche laiche, e tra queste Fatah, sono state messe fuori gioco in quanto irrilevanti, mentre
Hamas e Jihad islamica sono stati progressivamente visti alla testa della lotta contro l’occupazione
nel nome del popolo palestinese. Secondo alcune persone chiave delle fazioni politiche, ci deve
essere un reale cambiamento nella qualità, nella linea di azione e nel discorso dell’OLP. Altrimenti
si creerà un vuoto [di potere] che, nel migliore dei casi, verrà riempito dai gruppi del nazionalismo
islamista, e nel peggiore determinerà il caos sociale, politico e del sistema di sicurezza.
Torna a Guerra
2.5 Cosa vuole veramente Hamas?18
Leggete i punti delle condizioni a firma di Hamas e della Jihad islamica, e valutate sinceramente se
ci sia tra queste una richiesta fuori di luogo.
Dopo che abbiamo detto tutto quello che c'è da dire su Hamas: che è fondamentalista; che non è
democratico; che è spietato; che non riconosce lo Stato d'Israele; che spara sui civili; che nasconde
le armi nelle scuole e negli ospedali; che non ha agito per proteggere la popolazione di Gaza- dopo
tutto quello che è stato giustamente detto, dovremmo fermarci per un momento e ascoltare [cosa
dice] Hamas; ci possiamo anche permettere di metterci nei suoi panni, forse persino apprezzare la
capacità di osare e di resistere sotto dure condizioni del nostro duro nemico.
Ma Israele preferisce chiudere le proprie orecchie alle richieste del campo avverso, anche quando
quelle richieste sono giuste e conformi ai suoi interessi nel lungo periodo. Israele preferisce colpire
Hamas senza alcuna pietà e con nessun altro scopo che non sia quello della vendetta. Questa volta è
molto chiaro: Israele dice che non vuole rovesciare Hamas, persino Israele capisce che in caso
contrario avrebbe una Somalia alle sue porte - ma nello stesso tempo non vuole ascoltare cosa
chiede Hamas. Sono tutti “animali”? Diciamo che è vero. Ma stanno lì, un fatto che perfino Israele
riconosce; allor,a perché non ascoltare?
La settimana scorsa sono state rese note a nome di Hamas e della Jihad Islamica dieci condizioni
per una tregua di dieci anni. Possiamo dubitare che queste siano realmente le richieste di queste
organizzazioni, ma possono servire base leale [di discussione per arrivare ] a un accordo. Non c'è
nessuna condizione priva di fondamento tra loro, Hamas e Jihad Islamica chiedono la libertà per
Gaza. Esiste una richiesta più comprensibile e giusta? Se non si accetta questa non c'è nessun'altra
via per porre fine al ciclo continuo di massacri, e non averne un altro tra pochi mesi. Nessuna
operazione militare, via terra, mare o aria, porterà a una soluzione; solamente un fondamentale
cambio di mentalità verso Gaza può assicurare quello che ognuno vuole: la pace.
Leggete i punti delle condizioni e valutate sinceramente se ci sia tra queste una richiesta fuor di
luogo: ritiro delle truppe dell'esercito dell'IDF permettendo ai contadini di lavorare sui loro terreni
fino alla barriera di separazione; rilascio di tutti i prigionieri riarrestati dopo essere stati liberati in
cambio del rilascio di Gilad Shalit; porre fine all'assedio e apertura di tutti i valichi; apertura di un
porto e di un aeroporto sotto la supervisione delle Nazioni Unite; allargamento della zona di pesca19, supervisione internazionale del valico di Rafah; un impegno di Israele per una tregua di dieci
anni e divieto per gli aerei israeliani di volare nello spazio aereo di Gaza; permessi ai residenti di
Gaza di visitare Gerusalemme e pregare nella moschea di Al Aqsa; la garanzia israeliana di non
interferire negli affari interni palestinesi come il governo di unità nazionale; apertura di una zona
industriale a Gaza.
Queste condizioni sono civili; i mezzi per ottenerli sono militari, violenti e criminali. Ma l'amara
verità è che quando Gaza non spara i razzi contro Israele, nessuno se ne cura. Guardate alla
parabola del leader palestinese che ne ha avuto abbastanza della violenza. Israele ha fatto tutto
quello che poteva per distruggere Mahmoud Abbas. La conclusione deprimente? Solo la forza
funziona.
La guerra attuale è una guerra di scelte, una scelta che abbiamo avuto. Vero, dopo che Hamas ha
iniziato a lanciare i razzi Israele doveva rispondere. Ma diversamente da quello che la propaganda
israeliana prova a vendere, i razzi non sono piovuti da un qualsiasi cielo. Tornate indietro di alcuni
mesi: la rottura dei negoziati da parte di Israele; la guerra a Hamas dopo l'uccisione dei tre studenti
della yeshiva, che è dubbio sia stato organizzata da Hamas, incluso l' erroneo arresto di 500 suoi
18 Gideon Levy da Haaretz, 20 luglio 2014.
19 Attualmente i pescatori di Gaza non possono andare oltre le 3 miglia marittime, pena l'essere mitragliati
dalla marina israeliana, mentre il diritto internazionale stabilisce in 12 miglia il confine delle acque
territoriali. [ndt]
attivisti; il blocco del pagamento degli stipendi ai lavoratori di Hamas a Gaza e l'opposizione al
governo di unità nazionale , che avrebbe portato l'organizzazione nella sfera della politica.
Chiunque pensi che tutto ciò sarebbe passato come se fosse normale dev’essere afflitto da
arroganza, autocompiacimento e cecità.
Quantità terrificanti di sangue vengono sparse a Gaza e in misura minore in Israele. Si sta
spargendo inutilmente. Hamas è colpito da Israele e umiliato dall'Egitto. L'unica occasione per una
vera soluzione è esattamente l'opposto di quello che Israele sta facendo. Un porto per esportare le
sue meravigliose fragole? Agli israeliani questo suona come un'eresia. Ancora una volta la
preferenza è per il sangue palestinese [sparso] sopra le fragole palestinesi.
Torna a Guerra
2.6 A Gaza stiamo raccogliendo quello che abbiamo seminato. 20
Quelli che hanno trasformato Gaza in un campo di concentramento per un milione ottocentomila
persone non dovrebbero sorprendersi quando questi scavano gallerie sotterranee.
Ormai mi sono arresa. Ho smesso di cercare nel dizionario la parola per descrivere la metà perduta
della testa di un ragazzo mentre suo padre grida “Alzati, alzati, ti ho comprato un giocattolo!” Come
se l'è cavata Angela Merkel, la cancelliera della Grande Germania? Israele ha il diritto di difendersi.
Sto ancora lottando con il bisogno di condividere dettagli dell’infinito numero di colloqui che ho
avuto con amici di Gaza, per documentare che cosa vuol dire aspettare che arrivi il tuo turno al
macello. Per esempio, il colloquio che ho avuto sabato mattina con J. del campo profughi di al
Bureji, mentre se ne stava andando a Dir al-Balah con sua moglie. Hanno circa sessant’anni. Quel
mattino la sua anziana madre ha ricevuto una chiamata telefonica, e ha sentito una voce registrata
che avvertiva i residenti del loro campo profughi di andarsene a Dir al-Balah.
Un libro sulla psicologia militare israeliana dovrebbe aver un intero capitolo dedicato a questo
sadismo, che ipocritamente si maschera di compassione: un messaggio registrato che chiede a
centinaia di migliaia di persone di lasciare le loro case ormai diventate un bersaglio, per andare da
un'altra parte, altrettanto pericolosa, a 10 km da lì. Che cosa state lasciando, ho chiesto a J.? "Cosa,
perché?" mi ha detto, "Abbiamo una capanna vicino alla spiaggia, con un po' di terra e dei gatti.
Stiamo andando a dar da mangiare ai gatti e torniamo. Andiamo tutti insieme. Se la macchina salta
in aria, moriremo tutti insieme."
Se mi mettessi nei panni di un analista, scriverei: in contraddizione con la diffusa hasbarà [realtà dei
fatti] israeliana, Hamas non sta obbligando i gazawi a rimanere nelle loro case, o a lasciarle. E' una
loro decisione. Dove dovrebbero andare? "Se stiamo per morire, è più dignitoso morire a casa
nostra, piuttosto che mentre stiamo scappando via," dice l'assolutamente laico J.
Sono ancora convinta che questa sola frase valga più di migliaia di analisi. Ma quando ciò succede
ai palestinesi, la maggior parte dei commentatori preferisce scrivere in base agli stereotipi
Ne ho abbastanza di mentire a me stessa - come se potessi anche lontanamente, per telefono,
raccogliere le informazioni necessarie per raccontare quello che stanno raccontando i giornalisti che
si trovano là. In fin dei conti, si tratta di informazioni che interessano a un piccolo gruppo della
popolazione che parla ebreo. Lo stanno vedendo sui canali informativi stranieri o sui siti web. Non
hanno bisogno di leggere quello che si scrive qui se vogliono sapere, per esempio, delle brevi
esistenze di Jihad (11 anni) e Wasim (8) Shuhaibar, o del loro cugino Afnan (8) del quartiere Sabra a
Gaza. Come me, possono leggere il reportage del giornalista canadese Jesse Rosenfeld su " The
Daily Beast".
“Issam Shuhaibari, il padre di Jihad e Wasim, è steso su una tomba vicino a dove sono stati sepolti i
suoi figli, con gli occhi vuoti, fissi sul nulla. Un braccio porta una fasciatura dell'ospedale, che gli è
stata fatta dopo che ha donato il sangue per cercare di salvare la sua famiglia. Il sangue dei suoi figli
20 Amira Hass da Haaretz, 21 luglio 2014.
macchia ancora la sua maglietta," scrive Rosenfeld. ? 'Stavano solo dando da mangiare alle galline
quando la bomba li ha colpiti' dice . 'Ho sentito un forte rumore sul tetto e sono andato a prenderli.
Erano stati maciullati', singhiozza, dopo essere scoppiato in lacrime," continua l'articolo di
Rosenfeld. Li abbiamo ammazzati circa due ore e mezza dopo il cessate il fuoco umanitario scaduto
lo scorso giovedì. Altri due fratelli, Oudeh (16) e Bassel (8), sono stati feriti, il secondo in modo
grave.
Il padre ha raccontato a Rosenfeld che c'era un missile di avvertimento. Prima dell'attacco, avevano
sentito il brusio del drone, del tipo che "bussa alla porta". Così ho chiesto a Rosenfeld: "Se il missile
era uno di quelli 'compassionevoli', quelli che arrivano come avvertimento, la casa in seguito è stata
bombardata?" Per caso ho trovato la risposta in un reportage della CNN. La videocamera della
televisione è stata manovrata per riprendere l'esplosione che è arrivata dopo un avvertimento da un
colpo, il fuoco, il fumo e la polvere. Ma è stata bombardata un'altra casa, non quella degli
Shuhaibar. Ho ricontrollato insieme a Rosenfeld e ad altri. Quello che ha ucciso i tre bambini non
era un missile palestinese che ha sbagliato direzione. E' stato un missile di avvertimento israeliano.
E lo stesso Issam Shuhaibar è un poliziotto palestinese stipendiato dall'Autorità Nazionale
Palestinese che si trova a Ramallah.
Ho anche rinunciato a tentare di avere una risposta diretta dall'esercito israeliano. Avete colpito per
errore la casa sbagliata, uccidendo così altri tre bambini (degli 84 che sono stati uccisi domenica
mattina)?
Non ne posso più dei vani sforzi di competere con l'abbondanza di commenti orchestrati a proposito
degli obiettivi e delle azioni di Hamas, da parte di persone che scrivono come se si fossero seduti
attorno a un tavolo con Mohammed Deif e Ismail Haniyeh, e non invece soltanto con qualche fonte
dell'esercito israeliano o dello Shin Bet, il servizio di sicurezza. Quelli che hanno rifiutato la
proposta di pace di Yasser Arafat e di Fatah per la costituzione dei due Stati ora si ritrovano con
Haniyeh, Hamas e il BDS [movimento internazionale per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le
Sanzioni n.d.t.]. Quelli che hanno trasformato Gaza in un campo di concentramento e di punizione
per un milione ottocentomila esseri umani non dovrebbero essere sorpresi del fatto che loro abbiano
scavato gallerie sotterranee. Quelli che hanno seminato strangolamento, assedio e isolamento
raccolgono il lancio di razzi. Quelli che per 47 anni hanno indiscriminatamente attraversato la linea
verde [tra Israele e Cisgiordania], espropriando la terra e infierendo costantemente contro i civili
con raid, sparatorie e colonie - che diritto hanno di alzare gli occhi al cielo e parlare del terrorismo
palestinese contro i civili?
Hamas sta distruggendo crudelmente e minacciosamente la tradizionale mentalità del doppio
standard in cui Israele è maestro. Tutte le brillanti intelligenze e le menti dello Shin Bet non
capiscono che noi stessi abbiamo creato la ricetta perfetta della nostra personale versione della
Somalia? Volete evitare un'escalation? Questo è il momento: aprite la Striscia di Gaza, lasciate che
la gente possa circolare liberamente nel mondo, in Cisgiordania, e [andare] dai propri familiari e le
proprie famiglie in Israele. Lasciateli respirare, e capiranno che la vita è molto più bella della morte.
Torna a Guerra
2.7 Nove cose che l'ambasciatore israeliano opportunisticamente non ha detto suGaza.21
La sofferenza a Gaza continua senza fine. La Striscia è bloccata e bombardata da terra, mare e
aria. Il numero dei morti è salito a 550, compresi almeno 100 bambini palestinesi .
Eppure le fonti ufficiali israeliane, molto eloquenti, continuano ancora a occupare le onde radio per
difendere l'indifendibile. Martedì ho partecipato insieme all'ambasciatore israeliano in Gran
Bretagna, Daniel Taub, alla trasmissione “The Jeremy Vine Show” della Radio 2 della BBC per
discutere della crisi di Gaza. Non ho potuto rispondere direttamente all'ambasciatore: ho risposto
per primo alle domande di Vine mentre Taub sedeva silenziosamente accanto a me; poi ha risposto
alle domande di Vine mentre io (con grande difficoltà e molto auto-controllo) sedevo in silenzio
vicino a lui. Potete ascoltare l'intervista al completo più sotto, compresa la mia opinione sulla
brutale “Dottrina Dahiya” di Israele e gli orribili effetti dell'assedio sulla grande popolazione di ben
un milione ottocentomila abitanti di Gaza.
Dato che non ero nelle condizioni di poter rispondere alle argomentazioni di Taub in trasmissione,
comunque, e dato che l'ambasciatore ha avuto l'ultima parola, ho pensato di occuparmi su questo
particolare blog di alcuni miti che egli ha tirato fuori durante la trasmissione.
Qui vi elenco nove cose che l'ambasciatore israeliano in Gran Bretagna opportunisticamente non ha
citato – o su cui ha chiaramente mentito- durante la sua intervista radiofonica di ieri, prese da
citazioni della sua intervista:
1) “ Ci siamo ritirati dalla Striscia di Gaza nel 2005.... completamente fino all'ultimo centimetro.”
A Israele piace credere che l'occupazione di Gaza sia finita con il ritiro unilaterale di Ariel Sharon
dalla Striscia nell'agosto del 2005. Non è così. Israele è ancora, dal punto di vista giuridico, la
potenza occupante e continua a controllare i confini di terra, mare e aria di Gaza. Infatti, come
l'esperta sul Medio Oriente dell'Università di Harvard Sara Roy ha scritto sul Boston Globe nel
2012: “Le 'zone cuscinetto' - aree di accesso vietato- imposte da Israele ora raggiungono quasi il
14% del totale del territorio di Gaza e almeno il 48 % della terra coltivabile. Analogamente, la
'zona cuscinetto' copre l'85% delle acque territoriali promesse ai palestinesi dagli accordi di Oslo,
con una riduzione da venti a tre miglia...”
Israele inoltre continua a controllare l'anagrafe della popolazione e quindi la possibilità di stabilire
chi è “palestinese” e chi è un residente regolare di Gaza . Vi sembra che Gaza sia sovrana,
indipendente e non occupata?
2) “ Hamas ha preso il potere a Gaza con la forza.”
Sì, lo ha fatto, nel giugno del 2007, dopo che nel gennaio del 2006 è stato eletto per andare al
governo. Ma quello che Taub ha omesso di dire è che lo ha fatto per prevenire un colpo di mano
pianificato dall'amministrazione Bush e sollecitato dagli israeliani. Come il giornalista d’inchiesta
David Rose ha sottolineato su 'Vanity Fair' nel suo molto apprezzato articolo sul golpe, basato su
documenti che sono trapelati dal Dipartimento di Stato degli USA , “ sono stati il presidente Bush ,
Condoleeza Rice e il consigliere sulla Sicurezza Nazionale, il deputato Elliott Abrams, [che] hanno
appoggiato una forza armata sotto [la guida dell'] uomo forte di Fatah Mohammed Dahlan,
scatenando una guerra civile sanguinosa a Gaza e lasciando Hamas più forte che mai.
3) “In fin dei conti la democrazia è…una sorta di obbligo nei confronti dei fondamentali valori
democratici.”
Mettiamo da parte il fatto che Israele esercita il potere su milioni di palestinesi in Cisgiordania e a
Gerusalemme Est negando loro il diritto di voto alle elezioni israeliane, diamo un'occhiata per un
momento al destino “democratico” dei palestinesi che vivono legalmente all'interno di Israele come
cittadini dello Stato ebraico. Vi sono, secondo Ha’aretz, “695 comunità dislocate nei consigli
regionali che controllano l'80% circa della terra appartenente allo Stato” che hanno comitati con
diritto di veto, protetti dalla legge, che impediscono ai palestinesi cittadini di Israele di comprare o
affittare proprietà in quelle comunità. Israele ha anche delle leggi discriminatorie sulla cittadinanza
21 Mehdi Hasan da huffingtonpost, 22 luglio 2014
- tra le sue più importanti sono la Legge del Ritorno del 1950 e quella sulla cittadinanza del 1952 -
che privilegiano i cittadini ebrei rispetto a quelli palestinesi. Cosa è successo ai “fondamentali
valori democratici”?
4) “Hamas ha brutalizzato la popolazione di Gaza”
Sì, l’ha fatto. Hamas è senza dubbio colpevole di abusi di massa a danno dei diritti umani a Gaza.
Ma questo scusa la violenza israeliana nei confronti del popolo palestinese nei Territori Occupati
dal '47? Prendete in considerazione questo rapporto del giugno 2013 della Reuters: “Una
commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha accusato giovedì le forze israeliane di
maltrattamenti di bambini palestinesi, compreso l'uso della tortura per quelli detenuti e l'uso di altri
come scudi umani. Ai bambini palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, fatti prigionieri nella guerra
del 1967, viene regolarmente negato l’atto di nascita e l'accesso alla sanità , a scuole decenti e
all'acqua pulita, ha affermato il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti dei bambini”. Non è
questo [un sistema di] brutalizzazione? Non è questo un abuso di massa dei diritti umani dei
palestinesi? Cosa dire di un bombardamento di un bar a Gaza mentre gli avventori guardavano una
partita del Mondiale? O il bombardamento di una casa ricovero per i residenti disabili di Gaza?
5) “ Israele ha cercato di dar prova di moderazione.”
Se “moderazione” dà come risultato 500 o più morti in pochi giorni, la grande maggioranza dei
quali civili, compresi bambini sulla spiaggia e disabili nelle residenze di cura, allora non vorrei
vedere cosa Taub definisce una mancanza di moderazione. Inoltre, cosa che ho citato nelle mie
risposte a Vine, Israele sta applicando la “dottrina Dahiya”, che, come ha affermato la Missione
delle Nazioni Unite per l'accertamento dei fatti sul conflitto a Gaza nel 2009, è una concezione
israeliana in merito alla sicurezza coniata dall'allora Generale dell'IDF Gadi Eizenkot, che prevede
“l'impiego di una forza sproporzionata e il procurare grandi danni e distruzioni alla proprietà civile
e alle infrastrutture e sofferenze alla popolazione civile”. Bersagliare la popolazione civile e le sue
proprietà non è segno di “ moderazione”, è una prova che si commettono crimini di guerra.
6) “ Questa era una proposta di tregua che è stata presentata sia ad Israele che ad Hamas.”
Questo non è vero e Taub lo sa. La proposta di un accordo di tregua la settimana scorsa è stata
elaborata tra il presidente egiziano al Sisi e il primo ministro israeliano Netanyahu, con l'aiuto dell'
“inviato di pace” Tony Blair – ma senza alcun coinvolgimento di Hamas. Un funzionario di Hamas,
Mushir al Massri, ha detto ad Al Jazeera che “ l’organizzazione non è mai stata coinvolta nella
formulazione [del testo] del cessate il fuoco e che ne ha appreso [il contenuto] dai media”. Ha
affermato che il suo gruppo “ha respinto la proposta sia nella forma, in quanto nessuna istituzione ci
ha consultati, sia nei contenuti, perché i suoi punti sono un regalo all'occupazione israeliana”. Per
citare Sharif Nashashibi [giornalista e commentatore inglese di questioni arabe. n.d.t.]: “ È
straordinario che un supposto mediatore tra due parti in conflitto ne escluda una dalla mediazione”.
7) “Hamas ha impedito alla popolazione di procurarsi il cibo e le medicine di cui ha bisogno.”
Forse, ma possiamo credere che gli israeliani si curino del benessere e della salute del popolo di
Gaza? Secondo un cablogramma “segreto” del Dipartimento di Stato Usa, relativo a conversazioni
tra diplomatici Usa ed alti funzionari israeliani, rivelato da Wikileaks nel 2011: “I funzionari
israeliani hanno confermato a quelli dell'ambasciata [statunitense] in più occasioni che essi
intendono mantenere l'economia di Gaza al più basso livello di funzionamento possibile, senza
arrivare ad una crisi umanitaria... Come parte dell'embargo totale pianificato contro Gaza, i
funzionari israeliani hanno confermato ... in più occasioni che intendono mantenere l'economia
gazawi sulla soglia del collasso senza spingere oltre tale limite.” Ancora, documenti ufficiali
israeliani, dati in visione all'organizzazione per i diritti umani Gisha in base alla legge sulla libertà
di informazione, mostrano che i militari israeliani hanno fatto dei precisi calcoli sul “bisogno
giornaliero di calorie” a Gaza per evitare la malnutrizione durante il blocco imposto al territorio
palestinese tra il 2007 e metà del 2010”, e quindi hanno rifiutato di lasciar entrare un numero
sufficiente di camion in modo da raggiungere solo quel “bisogno giornaliero di calorie”.
8) “ Non ho assolutamente la minima idea a quale rapporto [su bombe contenenti dardi] ti stia
riferendo.”
Forse Taub, che balbettava mentre rispondeva alla semplicissima domanda di Vine sulle bombe
contenenti dardi, dovrebbe leggere' The Guardian' : “I militari israeliani stanno impiegando durante
le loro operazioni a Gaza bombe con dardi, che sparano migliaia di minuscole e potenzialmente
mortali freccette metalliche. Secondo il 'Centro palestinese per i diritti umani [PCHR]', sei bombe di
questo tipo sono state sparate il 17 luglio contro il villaggio di Khuzaa, a est di Khan Younis. Viene
riferito che Nahla Khalil Najjar di 37 anni, è rimasta ferita al petto. Il PCHR ha prodotto una foto
dei dardi presa da un contadino la settimana scorsa. L'IDF [l'esercito israeliano] non ha negato l'uso
delle bombe nel conflitto... Quest'arma non è vietata dal diritto internazionale umanitario, ma
secondo B'Tselem, “altre regole del diritto umanitario rendono illegale il loro impiego a Gaza”.
9) “La tragedia è che Hamas … sta fermando i civili che scappano dalle zone di combattimento.”
Che sia vero o no che Hamas “stia fermando i civili” che abbandonano “le zone di combattimento”,
dove si prevede che la popolazione civile possa andare a Gaza? In quale parte del loro “campo di
prigionia”, per citare David Cameron nel 2010, possono trovare un rifugio legittimo e sicuro, dato
che Israele sta bombardando case, scuole, moschee, radendole al suolo per il fatto che
presumibilmente vengono usate da Hamas per nascondere i razzi? Per citare l'inimitabile Jon
Stewart [conduttore televisivo, attore e comico statunitense di origine ebraica. n.d.t.], durante il suo
'Daily Show': ”Evacuare verso dove? Cazzo, avete visto Gaza? Israele blocca questo confine,
l'Egitto blocca quel confine. Che cosa, si suppone che se ne vadano a nuoto?”
Torna a Guerra
2.8 Punto di svolta? La più grande manifestazione di protesta in Cisgiordania diquesti ultimi decenni fa emergere il fantasma di una terza Intifada.22
Questa è una sbobinatura fatta di corsa. La versione potrebbe non essere quella definitiva.
AMY GOODMAN: Passiamo ora alla Cisgiordania, dove giovedì sera si è vista la più grande
protesta degli ultimi anni. Più di 50.000 persone hanno deciso di marciare da Ramallah a
Gerusalemme. Due palestinesi sono stati uccisi e più di duecento sono stati feriti quando i soldati
israeliani hanno sparato proiettili veri. Altre proteste si stanno svolgendo oggi in Cisgiordania.
Per un approfondimento, abbiamo raggiunto al telefono da Ramallah Amira Hass, corrispondente
dai Territori occupati per Ha’aretz, l’unica giornalista ebrea israeliana che ha vissuto per decenni e
scritto articoli da Gaza e dalla Cisgiordania.
Amira, descrivici le proteste della scorsa notte.
AMIRA HASS: Erano meno di 50.000, ma c’era veramente allegria. Tutti si rendevano conto che è
in corso un grande cambiamento. Tutti quelli che … la gente che è andata erano intere famiglie,
donne e uomini, tradizionalisti e moderni, della classe alta, media e operai. Tutti sono andati, molto
decisi a dimostrare, non tanto agli israeliani, penso, ma all’Autorità Nazionale Palestinese che ne
hanno abbastanza del suo imperdonabile silenzio, specialmente durante la prima settimana, e la sua
incapacità di dire che questo è il popolo che stanno uccidendo a Gaza, e non si tratta di una disputa
tra Hamas e Fatah, che tutto questo deve finire. Io la vedo così. Naturalmente si è trattato anche di
un messaggio rivolto agli israeliani.
E oggi, come hai detto, ci sono manifestazioni ovunque. Sono appena tornata dal funerale del
ragazzo che è stato ucciso ieri, molto silenzioso, molto.non depresso, ma solenne. E’ un ragazzo di
17 anni del campo profughi di Qalandia. E la gente sente che si tratta di un punto di svolta. Questo è
certo. E’ una svolta a Gerusalemme. Ci sono manifestazioni a Gerusalemme. Ho sentito che lì dei
giovani hanno cercato di arrivare alla Spianata delle Moschee, perché non hanno il permesso di
entrare a pregare, così hanno cercato di forzare il posto di blocco. Per cui le cose, alcune cose,
stanno cambiando, e stanno cambiando perché anche la gente è molto scioccata da quello che sta
22 Intervista di Democracy Now ad Amira Hass , 26 luglio 2014.
avvenendo al loro popolo a Gaza, e non possono fare niente per loro.
AMY GOODMAN: Qual è stata la risposta militare israeliana alle proteste, Amira?
AMIRA HASS: Sono arrivata un po’ in ritardo. Voglio dire, non c’ero, naturalmente…Non volevo
stare troppo vicino al posto di blocco, ma so che, va bene, alcuni giovani hanno raggiunto il posto di
blocco un po’ prima, quando la manifestazione è partita, circa tre o quattro chilometri a nord. Hanno
cominciato a scontrarsi [con i soldati], ma, come mi ha raccontato un amico, non c’era nessun
pericolo per i soldati, ma immediatamente questi hanno iniziato a sparare proiettili veri e piccole
pallottole di metallo ricoperte di gomma. Così i ragazzi …quando stavo camminando verso il posto,
ho sentito il suono di parecchie ambulanze andare avanti e indietro, trasportando feriti.
E più tardi sono andata in ospedale, perché un amico, il figlio di un mio amico, era stato ferito. Ma
ci sarei andata comunque. Buona parte dei feriti sono stati colpiti alle gambe. E vedevi giovani
zoppicanti che allora venivano curati. Quelli che erano feriti meno seriamente sono andati in altri
ospedali, quelli più gravi sono stati operati lì.
So di una giovane donna che forse era là, vicino al posto di blocco, molto vicino, ed è stata ferita, e
potrebbe perdere le gambe. C’è un’altra donna… le donne hanno partecipato. Molte donne erano
nei pressi del posto di blocco, molto vicino, e sono state probabilmente prese di mira dai cecchini.
Questa è stata la risposta dell’esercito.
Più tardi ho capito che c'erano alcuni di quegli stupidi spari in aria da parte di qualche palestinese.
Non sappiamo chi. E questo ha dato la scusa all'esercito di dire che la gente aveva sparato, che loro
avevano iniziato la sparatoria, il che è ovviamente falso.
AMY GOODMAN: Amira Hass, tu sei stata corrispondente dai Territori occupati per decenni. Che
cosa ne pensi delle voci di un cessate il fuoco, con il segretario di Stato Kerry al Cairo? E che cosa
sta chiedendo Hamas, ed ovviamente anche il popolo palestinese?
AMIRA HASS: Sai, la verità è che non ho seguito questa questione negli ultimi giorni, perché è
impossibile seguire tutto, e cerco di rimanere in contatto con i miei amici a Gaza per sentire da loro
quello che sta succedendo, e poi scriverlo. Per cui lascio queste questioni politiche un po’ da parte,
soprattutto negli ultimi due, tre giorni.
Ma in generale, alcune cose stanno cambiando nel senso del discorso dei palestinesi in merito a
cosa chiedere. Ed è molto interessante perché le richieste di Hamas arrivano adesso, dopo molti
anni di potere. Hanno cominciato a rimettersi in contatto con la Cisgiordania. E questo è un grande
cambiamento. Probabilmente lo hanno fatto perché hanno capito che l’Egitto non è…voglio dire,
che hanno perso quelle relazioni che avevano con l’Egitto prima del golpe contro i Fratelli
musulmani. Questo è stato uno dei loro grandi errori, secondo me, dopo la loro vittoria elettorale del
2006, rafforzare il proprio potere a Gaza, immaginando che Gaza potesse essere un’entità separata e
uno Stato, un mini o un quasi-Stato, che potevano controllare come [se fossero] un governo, in
pratica ripetendo l’errore dell’ANP prima ed ora, e in questo modo accentuando la separazione tra
Gaza e la Cisgiordania, soprattutto tra le due comunità…[no audio]
AMY GOODMAN: Amira?
AMIRA HASS: E l’ANP ha fatto lo stesso. Perciò adesso è successo che il loro discorso è: la fine
del blocco e riprendere i rapporti con la Cisgiordania. Questo è un grande cambiamento.
AMY GOODMAN: E quando tu dici “Porre fine al blocco”, all’assedio, alla reclusione, spiegaci
esattamente di cosa si tratta.
AMIRA HASS: Gaza non è sotto assedio solo da sette anni. Voglio dire, Gaza è stata sottoposta a
restrizioni molto severe di movimento e a un isolamento rispetto al resto del mondo fin dai primi
anni ’90. Hamas ha avuto una sorta di monopolio politico, dicendo che la reclusione è iniziata
quando sono arrivati al potere. Sì, si è intensificato, ma è iniziato molto prima, perché …per
dividere Gaza e la Cisgiordania.
Quando Hamas parla di togliere il blocco, non possono veramente immaginare di aprirsi alla
Cisgiordania, aprire i confini e far entrare le materie prime, per avere un minimo di attività
economica, ed avere un qualche collegamento con il resto del mondo – attraverso Rafah. Ma la
gente di Gaza vuole tornare indietro ed essere palestinese in quel paese e tornare in Cisgiordania, e
rimanere in contatto con la Cisgiordania. Questo è un discorso che si sta sviluppando e che ritorna
in primo piano.
Non lo sappiamo. Voglio dire, questo è il principale… come il ministro della cosiddetta “Difesa” ha
detto di recente: “Oh, certo, non mi importa che la gente di Abbas controlli il posto di blocco di
Rafah, ma non permetterò mai che Abbas torni a governare a Gaza”, che vuol dire che non
vogliamo che Gaza e la Cisgiordania si riuniscano. Non lo vogliamo. Penso che gli israeliani, il
governo israeliano, non lo voglia, e non lo ha voluto fin dai primi anni ’90.
Così, tutto ciò si svilupperà in un discorso politico e in un’analisi politica, in una strategia politica,
che cambi questa situazione? Non so dirlo. E’ troppo presto, perché una delle cose che vediamo
mancare è realmente…non un gruppo dirigente, ma un gruppo che abbia la fiducia della gente e che
possa organizzare e dirigere ora tutta questa recrudescenza di rabbia e di rancore per quello che sta
avvenendo a Gaza, e la gente che non ne può più di questa occupazione. Così, non c’è un gruppo
[dirigente] affidabile, che possa dirigere tutto questo e possa organizzare una strategia a partire da
questo fenomeno. Questo è ciò che mi preoccupa.
AMY GOODMAN: Amira Hass, ti ringrazio per essere stata con noi. La corrispondente di Ha’aretz
dai Territori occupati ci ha parlato da Ramallah, dove una protesta di massa ha avuto luogo la notte
scorsa e si dovrebbero ripetere oggi. Qui è Democracy Now! Quando torneremo, andremo a Gaza
per parlare con un dottore dell’ospedale al-Shifa di quello che sta succedendo tra le mura
dell’ospedale. Rimanete con noi.
Torna a Guerra
2.9 Circa 150 corpi sono stati trovati a Gaza, per cui il numero di morti supera i1000.23
Fonti palestinesi sostengono che sette membri di equipe mediche sono stati uccisi dall’esercito
israeliano nelle ultime due settimane.
Accompagnati dal terribile tanfo di fogna, di spazzatura in decomposizione, di carcasse di animali e
di corpi umani sepolti sotto le macerie, centinaia di migliaia di gazawi ieri hanno lasciato le proprie
case e i rifugi provvisori e sono tornati a quelli che due settimane fa erano quartieri e cittadine
brulicanti [di vita].
La tregua umanitaria era stata tra l’altro pensata per permettere di rimuovere i corpi intrappolati
sotto le case bombardate nelle zone residenziali vicine al confine con Israele. Circa 150 corpi sono
stati estratti ieri, portando così il numero dei palestinesi uccisi nelle scorse due settimane e di
combattimenti oltre i mille. Secondo il Centro Palestinese per i Diritti Umani, dei 928 cadaveri
identificati per nome alle dieci del mattino di ieri, 764 erano civili, tra cui 215 bambini e 118 donne.
Durante due settimane, l’esercito israeliano ha impedito alle squadre di soccorso palestinesi di
cercare palestinesi feriti o di andare tra le macerie delle case distrutte per [trovare] eventuali
sopravvissuti se la fanteria israeliana stava operando nei pressi. Sette membri del servizio di pronto
soccorso sono stati uccisi dall’esercito israeliano nelle ultime due settimane mentre cercavano di
raggiungere i feriti. Due sono stati uccisi venerdì a Beit Hanoun e nella parte orientale di Khan
Younis. In un numero indefinito di incidenti, le equipe di pronto soccorso sono tornate indietro dopo
essere state bersagliate dai soldati israeliani. Il Ministero della Salute palestinese sostiene che
persino ieri, durante il cessate il fuoco, al personale sanitario è stato impedito di entrare a Kaft
Huza’a, a est di Khan Younis, dove dozzine di civili sono stati uccisi dall’esercito israeliano tra la
notte di martedì e la mattina presto di mercoledì. Non si sa quanta gente, tra morti e feriti, è ancora
sepolta sotto le macerie.
Nel giorno che ha preceduto la tregua umanitaria, settantacinque palestinesi sono stati uccisi da
23 Amira Hass da Haaretz, 27 luglio 2014.
colpi di arma da fuoco o da attacchi aerei israeliani nella Striscia di Gaza, e tra questi 52 civili.
Secondo il Centro per i Diritti Umani palestinese, 18 di questi erano bambini e otto donne.
In un unico attacco aereo, circa cinque ore prima dell’inizio della tregua, venti membri della
famiglia Samir Hussein Muhammed al-Najar, tra cui undici bambini e cinque donne, sono morti
quando un bombardiere ha lanciato un missile sul loro edificio di due piani: tra questi Samir, di 58
anni, Ra’aliya, di 56 , e i loro figli Majd, di 19, Kifah, di 24 eSamr, di 26; i loro parenti Amir, di 2,
Islam, di 3, e Amira, di otto mesi; infine Riham, di 25 anni ed incinta.
In uno dei bombardamenti nella notte tra giovedì e venerdì è stato ucciso Husam Yassin, di 15 anni,
nipote del fondatore di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin.
Alle sette del pomeriggio, una bomba dell’esercito israeliano ha colpito un ospedale a Beit Hanoun.
Il personale dell’ospedale, civili e due volontari dell’International Solidarity Movement si
trovavano all’interno dell’edificio.
Hanno raccontato che i soldati israeliani erano stati visti all’esterno dell’edificio e che si era udita
una sparatoria in quella zona. Come risultato di questa sparatoria nei pressi dell’ospedale, la
maggior parte dei pazienti era stata preventivamente evacuata. I colpi di arma da fuoco contro
l’ospedale sono continuati fino a venerdì notte.
“C’era una confusione totale, l’esercito ha bombardato l’ospedale. Ci sono due pazienti al secondo
piano e pensiamo che stiano bene, ma non li possiamo spostare facilmente perché sono totalmente
allettati. Sto sanguinando dalla testa perché sono ferito, ed anche un’altra persona è stata colpita. La
gente ha paura,” ha raccontato un volontario svedese [che si trova] nell’ospedale.
L’ospedale non è stato evacuato fino a ieri mattina, quando è entrata in vigore la tregua umanitaria.
Durante la notte tra giovedì e venerdì, il fuoco dell’esercito israeliano ha colpito l’ospedale
pediatrico a-Dura di Gaza City. Un bambino di un anno dell’unità pediatrica intensiva è stato ucciso
e altri trenta pazienti sono stati feriti. Sono stati evacuate all’ospedale Shifa.
Un uomo di Beit Hanoun, che era tra le migliaia che hanno lasciato le proprie case a metà della
scorsa settimana, è tornato a casa ieri mattina, come migliaia di altri, con la speranza di prendere
almeno un ricambio di vestiti per se stesso, per sua moglie e la sua famiglia, rimasta con amici a
Jabalya. “Era come se uno tsunami l’avesse colpita” ha detto “Non riesco neanche a descrivere
come erano [ridotte] la nostra casa e quelle dei vicini. E quando l’ho vista, ho scoperto che non
c’era niente da prendere. Tutti i mobili e i vestiti erano bruciati o stavano ancora bruciando. La casa
era semidistrutta. Tutti i nostri risparmi di decenni, perduti.”
"Shujaiyeh, che aveva circa 100.000 abitanti palestinesi, non profughi, è stata trasformata in una
città fantasma,” ha detto una donna che aveva appena visto la distruzione. “Edifici residenziali non
solo sono stati distrutti con i bombardamenti, ma persino ridotti in ghiaia, sabbia, mucchi di
sporcizia. Ho visto case distrutte nella mia vita. In genere puoi dire dove si trovavano le case,
persino quando le pareti sono crollate. Questo è diverso. Non puoi neanche dire dove fosse un
edificio, quanti ce ne fossero lì prima del bombardamento. Poche costruzioni sono ancora in piedi,
le altre sono totalmente scomparse.”
Torna a Guerra
2.10 La disfatta morale di Israele ci perseguiterà per anni.Abbiamo superato i 1.000 morti palestinesi. Quanti altri ancora?24
Se la vittoria si misura in base al numero dei morti, allora Israele e il suo esercito sono dei grandi
vincitori. Da sabato, quando ho scritto queste parole, a domenica, quando voi le leggete, il numero
[dei morti palestinesi] non sarà più di 1.000 (di cui il 70-80% civili), ma anche di più.
Quanti altri ancora? Dieci corpi, diciotto? Altre tre donne incinte? Cinque bambini uccisi, con gli
24 Amira Hass da Haaretz, 28 luglio 2014.
occhi semichiusi, le bocche aperte, i loro piccoli denti sporgenti, le loro magliette coperti di sangue
e tutti trasportati su una sola barella? Se vittoria vuol dire causare al nemico una pila di bambini
massacrati su una sola barella, perché non ce ne sono abbastanza, allora avete vinto, capo di stato
maggiore Benny Gantz e ministro della Difesa Moshe Ya’alon, voi e la nazione che vi ammira.
E il trofeo va anche alla Nazione delle 'start up' [nuove imprese tecnologicamente
avanzate.N:D:TR:], questa volta alla start up premiata per sapere e riferire il meno possibile al
maggior numero possibile di mezzi di comunicazione e siti web internazionali. “Buon giorno, è
stata una notte tranquilla” ha annunciato plaudente il conduttore della radio militare giovedì
mattina. Il giorno precedente il felice annuncio, l’esercito israeliano ha ucciso 80 palestinesi, 64 dei
quali civili, compresi 15 bambini e 5 donne. Almeno 30 di loro sono stati uccisi durante quella
stessa notte tranquilla da una devastante cannoneggiamento, bombardamento e fuoco di artiglieria
israeliana, e senza contare il numero di feriti o di case distrutte.
Se la vittoria si misura con il numero di famiglie distrutte in due settimane – genitori e bambini, un
genitore e qualche bambino, una nonna e alcune nuore, nipoti e figli, fratelli e i loro bambini, in
tutte le variabili che si possono scegliere – allora noi siamo i vincitori. Ecco qui i nomi a memoria:
Al-Najjar, Karaw’a, Abu-Jam’e, Ghannem, Qannan, Hamad, A-Salim, Al Astal, Al Hallaq, Sheikh
Khalil, Al Kilani. In queste famiglie, i pochi membri sopravvissuti ai bombardamenti israeliani nelle
scorse due settimane invidiano la loro morte.
E non bisogna dimenticare la corona di alloro per i nostri esperti giuridici, quelli senza i quali
l’esercito israeliano non fa una mossa. Grazie a loro, far saltare in aria una casa intera – sia vuota o
piena di gente – è facilmente giustificato se Israele identifica uno dei membri della famiglia come
obiettivi legittimi (che si tratti di un importante dirigente o di un semplice membro di Hamas,
militare o politico, fratello o ospite della famiglia).
“Se questo è ammesso dalle leggi internazionali” mi ha detto un diplomatico occidentale, scioccato
dalla posizione a favore di Israele del suo stesso Stato, “vuol dire che qualcosa puzza nelle leggi
internazionali.”
E un altro mazzo di fiori per i nostri consulenti, i laureati delle nostre esclusive scuole di diritto in
Israele e negli Stati Uniti, e forse anche in Inghilterra: sono certo loro che suggeriscono all’esercito
israeliano perché è consentito sparare alle squadre di soccorso palestinesi e impedirgli di
raggiungere i feriti. Sette membri delle equipe mediche che stavano cercando di soccorrere i feriti
sono stati uccisi da colpi sparati dall’esercito israeliano in due settimane, gli ultimi due solo lo
scorso venerdì. Altri sedici sono stati feriti. E questo non include i casi nei quali il fuoco
dell’esercito israeliano ha impedito alle squadre di soccorso di arrivare sulla scena del disastro.
Ripeterete sicuramente quello che sostiene l’esercito: ”Le ambulanze nascondevano dei terroristi” –
poiché i palestinesi non vogliono veramente salvare i loro feriti, non vogliono veramente evitare che
muoiano dissanguati sotto le macerie, non è questo che pensate? Forse che i nostri acclamati servizi
di sicurezza, che in tutti questi anni non hanno saputo scoprire la rete di tunnel, sa in tempo reale
che in ogni ambulanza colpita direttamente dal fuoco dell’esercito, o il cui cammino per salvare
persone ferite è stato bloccato, ci sono davvero palestinesi armati? E perché è ammissibile salvare
un soldato ferito al prezzo del bombardamento di un intero quartiere, ma non è consentito salvare
un anziano palestinese sepolto sotto le macerie? E perché è proibito salvare un uomo armato, o
meglio un combattente palestinese, ferito mentre respingeva un esercito straniero che ha invaso il
suo quartiere?
Se la vittoria si misura con il successo nel provocare traumi permanenti a un milione ottocentomila
persone (e non per la prima volta) che si aspettano in ogni momento di essere giustiziati – allora la
vittoria è vostra.
Queste vittorie si aggiungono alla nostra implosione morale, la sconfitta etica di una società che ora
si impegna a non fare un’auto-analisi, che si bea nell’autocommiserazione a proposito di ritardi nei
voli aerei e che si fregia dell’arroganza di chi è di è libero da pregiudizi. È una società che
ovviamente è in lutto per i propri oltre 40 soldati uccisi, ma allo stesso tempo indurisce il proprio
cuore e la propria mente di fronte a tutte le sofferenze e al coraggio morale ed eroismo del popolo
che stiamo attaccando. Una società che non capisce quale sia il limite oltre il quale l'equilibrio delle
forze gli si ritorcerà contro.
“In tutte le sofferenze e le morti “ ha scritto un mio amico da Gaza “ ci sono tante manifestazioni di
tenerezza e di gentilezza. Le persone si prendono cura le une delle altre, si confortano a vicenda.
Soprattutto i bambini, che cercano il modo migliore per aiutare i loro genitori. Ho visto tanti
bambini di meno di 11 anni che abbracciano e consolano i loro fratellini più piccoli, cercando di
distrarli dall’orrore. Così giovani e già si fanno carico di qualcun altro. Non ho incontrato un solo
bambino che non abbia perso qualcuno – un genitore, una nonna, un amico, una zia o un vicino. E
penso: se Hamas è nato dalla generazione della prima Intifada, quando i giovani che tiravano pietre
sono stati presi a fucilate, cosa nascerà dalla generazione che ha sperimentato i ripetuti massacri
degli ultimi sette anni?”
La nostra sconfitta morale ci perseguiterà per molti anni in futuro.
Torna a Guerra
2.11 Un gazawi cerca di rispondere alla domanda di suo figlio: Chi ha distruttola casa?25
Il figlio di 4 anni di un artista gazawi che si da il caso sia parente di un comandante di Hamas
vuole sapere perché non possiede più una casa.
All'1,30 del mattino di mercoledì 16 luglio, il cellulare della famiglia Azara ha suonato. Ha risposto
la mamma, e velocemente ha interrotto la comunicazione per la paura. Poi ha suonato il telefono di
Samer Azara e il 26enne ufficiale di polizia ha risposto.
L'interlocutore, secondo quanto ha raccontato Azara, si è presentato come David dell'esercito
israeliano e gli ha detto in un buon arabo: “Hai tre minuti per lasciare la tua casa. Sto per lanciare
un missile contro la casa di Issa , il tuo vicino. La cosa più importante è che trasferiate i bambini.
Non m'importa [della sorte] degli adulti”.
Azara ha richiamato “Gli ho risposto che c'erano molti bambini, circa 50. Come avremmo potuto
portarli fuori tutti quanti in tre minuti? 'Avete tanti bambini; che ve ne fate di tutti quanti?' E ha
sbattuto giù il telefono”.
Gli Azara velocemente hanno informato gli Issa e tutti i loro vicini nel campo profughi Bureij di
Gaza. Anche l'altoparlante della moschea ha fatto un annuncio. Circa 20 famiglie sono uscite nel
buio con i loro bambini, con i loro anziani e i pochi documenti che avevano già preparato.
David ha chiamato dall'IDF gli Azara quattro volte per essere sicuro che tutti se ne fossero andati,
ed è stato lanciato un missile di avvertimento. Poi gli aerei hanno sparato sette missili e due bombe
sulla casa di cinque piani degli Issa . Le esplosioni hanno distrutto anche altre due case, quelle delle
famiglie Azara e Sarraj.
La casa degli Issa era indubbiamente un bersaglio dell'esercito: Marwan Issa è un alto comandante
dell'ala militare di Hamas, probabilmente il successore di Ahmed Jabari, assassinato da Israele nel
2012. Ma Marwan non abitava lì con i suoi genitori e i fratelli – otto famiglie in tutto, per un totale
di 55 persone. Si è nascosto da qualche parte a Gaza, cosa che i servizi di sicurezza israeliani
sapevano bene.
Uno dei suoi fratelli, un esponente di Fatah, è un ufficiale dei servizi di sicurezza palestinesi e viene
pagato dall'Autorità Palestinese di Ramallah. Un altro, Raid, è un artista che ha fatto delle mostre
all'estero e ha vinto delle borse di studio per artisti in Francia e in Svizzera.
Circa sei mesi fa ha fatto una mostra a Ramallah, ma Israele non gli ha permesso di andare da Gaza
alla Cisgiordania per questa [mostra].
Raid Issa, trentottenne, ha dichiarato a Ha’aretz che non fa altro che disegnare. “Ci vivo con i miei
dipinti, e ora sono sepolti sotto le macerie,” ha detto.
“Ora il mio figlio maggiore, che ha 4 anni, mi ha chiesto: 'Quando torniamo a casa?'” continua
25 Amira Hass da Haaretz, 29 luglio 2014.
Raid. “L'ho portato alla casa distrutta e mi ha domandato: 'Chi ha distrutto la casa?' Gli ho detto
[che sono stati] gli aerei israeliani. Mi ha chiesto perché, e gli ho risposto che avevano “distrutto” la
nostra come avevano distrutto quelle degli altri. Mi chiede sempre come sia potuto succedere. E poi
mi ha detto, “Distruggerò la casa degli israeliani come loro hanno distrutto la mia”.
Dal bombardamento le 11 famiglie che vivevano nelle tre case distrutte hanno girovagato tra
parenti, amici, scuole. Alcuni hanno lasciato tutti insieme Bureij, dal momento che molte famiglie
hanno ricevuto messaggi preregistrati ( non chiamate telefoniche ad personam)che gli intimavano di
andarsene.
La casa degli Issa è una delle 560 in tutta Gaza che Israele ha intenzionalmente distrutto con i suoi
bombardamenti, secondo quanto afferma il Centro Palestinese per i diritti umani [PCHR]. In
qualche caso, come con gli Issa, è evidente che la casa era un obiettivo perché un unico membro
della famiglia era un alto esponente di Hamas o dell'ala operativa della Jihad Islamica.
Ma in altri casi le ragioni non sono chiare. Perché la casa di qualcuno che appena un mese fa ha
aderito all'ala militare di Hamas è stata trattata nello stesso modo di quelle dei dirigenti più
importanti? Un'altra casa è stata bombardata perché un fratello lavora per una società turca? La
famiglia dice che non possono ipotizzare nessun’ altra causa [da considerare] “incriminante”.
Alcune case bombardate non hanno ricevuto alcun preavviso, con tutti i suoi abitanti ancora dentro,
per motivi inspiegabili per quei parenti che sono sopravvissuti. Secondo il Ministro della Sanità
palestinese, 53 intere famiglie sono state uccise in questo modo.
Ma le 560 case che sono state deliberatamente bombardate costituiscono una piccola percentuale
del numero totale di edifici danneggiati o distrutti nelle ultime tre settimane.
Centinaia di migliaia di persone dall'est e dal nord di Gaza hanno abbandonato le loro case in questo
periodo. Durante la tregua umanitaria di domenica, molti hanno scoperto che le loro case non
esistevano più.
Il Dipartimento per i negoziati dell'OLP ha provato a stimare i danni finora [provocati]. Secondo i
dati provvisori in possesso del Ministeri di Gaza della Sanità e della Casa, 2.330 edifici sono stati
del tutto distrutti. Altri 2.080 sono stati distrutti parzialmente, ma a un grado tale per cui
difficilmente potranno essere riparati; 18 degli edifici completamente o parzialmente distrutti sono
moschee. E 23.160 edifici sono stati danneggiati, compresi 65 moschee, 20 scuole, due chiese e un
cimitero cristiano.
Ma queste sono stime puramente provvisorie. Mentre queste righe venivano scritte lunedì notte, alle
persone che ancora erano rimaste nei quartieri di Zeitun e Shujaiyeh a Gaza City veniva chiesto di
andarsene al più presto. Molti non troveranno più le loro case, se e quando ritorneranno.
Torna a Guerra
2.12 Gli ospedali di Gaza lottano per far fronte al grande numero di feriti.26
Con reparti pieni ben oltre la disponibilità di posti e un'ondata infinita di feriti, il ministero della
Sanità palestinese nella Striscia di Gaza mette in guardia contro il pericolo di epidemie
incontrollate e complicazioni post operatorie.
Il costante aumento del numero di palestinesi feriti nella Striscia di Gaza determina il fatto che non
ci sia più posto nelle sale operatorie degli ospedali, con operazioni chirurgiche che a volte vengono
effettuate nei corridoi. Solo mercoledì 780 palestinesi sono stati feriti a causa delle operazioni
militari israeliane nella Striscia. Secondo il ministero della Sanità palestinese a Gaza non ci sono
abbastanza letti negli ospedali e a volte i chirurghi devono operare pazienti stesi sulle barelle a terra.
A causa della mancanza di spazio nel reparto di medicina interna ed in altri all'ospedale Shifa di
Gaza, i pazienti operati sono sistemati nel reparto di ostetricia o trasferiti in altri ospedali. Circa 30
26 Amira Hass da Haaretz, 31 luglio 2014.
pazienti non sono stati dimessi semplicemente perché le loro case sono state distrutte e non
saprebbero dove andare; questi 30 letti sono disperatamente necessari per altre persone ferite.
I reparti sono completamente pieni e i pazienti sono sistemati su materassi nei corridoi. La
situazione è così drammatica, a quanto sostiene il ministero, che alcuni pazienti dormono in due
nello stesso letto, mentre altri sono stati dimessi più in fretta del necessario.
In molti casi lo staff medico, gravato dalle cure per dozzine di nuovi feriti che arrivano a distanza di
poco tempo, non può neanche registrare le condizioni dei pazienti in tempo reale o in base alle fasi
della cura, e alcune informazioni mediche devono essere annotate in seguito.
Il ministero avverte che queste condizioni possono essere un focolaio di ulteriori disastri, come
epidemie incontrollabili e complicazioni post-operatorie letali. Ci sono stati anche casi di pazienti
deceduti perché i trattamenti salvavita sono arrivati troppo tardi. Il ministero afferma che le equipe
mediche avrebbero dovuto essere il doppio per riuscire a curare tutti i feriti, e a causa di ciò alcuni
pazienti non hanno ricevuto le cure di cui avevano bisogno.
Circa 8.000 palestinesi sono stati feriti nella Striscia di Gaza da quando è iniziata la guerra, più di
tre settimane fa. Fino a mercoledì pomeriggio la maggior parte dei feriti, 2.475, era della zona nord
della Striscia, altri 2.055 del distretto di Gaza City.
Più del 60% dei lavoratori del settore medico pubblico assunti dal governo di Hamas non sono stati
pagati da parecchi mesi, però continuano a lavorare 24 ore su 24, insieme ai medici dell'ospedale e
infermieri che stanno ricevendo i loro salari.
Torna a Guerra
2.13 Cosa, ci sono voluti 25 giorni perché Washington definisse la guerra di Gaza“barbara”?27
La fama dei palestinesi in quanto barbari ha finalmente raggiunto Washington grazie a un'altra
prodezza delle pubbliche relazioni israeliane.
Sabato mattina il Ministro della Sanità palestinese ha chiamato A. di Rafah e gli ha chiesto di aprire
il suo magazzino refrigerato per gli ortaggi. L'idea era di fare spazio per dozzine di corpi che si
accatastavano nel piccolo ospedale della città. Il magazzino di A. si è subito riempito di corpi ,
compresi quelli di molti bambini.
Sabato a Rafah hanno contato 120 morti e circa 500 feriti in una notte di operazioni israeliane alla
ricerca del luogotenente in seconda Hadar Goldin [militare israeliano che si supponeva fosse stato
preso prigioniero. n.d.t.]. A mezzanotte tra venerdì e sabato ho ricevuto una telefonata da Y., il
fratello di A., che mi ha detto, in un ebraico scorrevole, ma con una voce soffocata che si è
trasformata in pianto: “Quello che è successo oggi a Rafah è un massacro nel vero senso della
parola”.
Y. è fuggito da casa a piedi con la sua famiglia verso la spiaggia mentre le bombe piovevano sul suo
quartiere. “Tutti gli F16 e i droni di cui Israele dispone sono ora in cielo sopra Rafah,” mi ha detto
l'uomo, che ha lavorato per 33 anni in Israele.
“Abbiamo superato Rafah, come hai voluto tu, Tal” cantava Arik Lavie una vanagloriosa canzone di
un'altra guerra. Lavie parlava del generale maggiore Israel Tal, che comandava la divisione che
aveva conquistato Gaza nel 1967. Ma ora, orribilmente, ancora non siamo oltre Rafah , la città più
distrutta della Striscia, dove sabato i corpi si stavano ancora accumulando.
Mentre Y. piangeva il massacro di Rafah, il portavoce della Casa Bianca rilasciava una
dichiarazione in cui si definiva la cattura dell'ufficiale israeliano e l'uccisione dei due suoi
commilitoni una “barbara violazione” dell'accordo di tregua. Il misurato portavoce americano ha
usato il termine “barbaro” per la prima volta in questa guerra.
27 Gideon Levy da Haaretz, 3 agosto 2014.
Nient'altro è stato considerato barbaro. Non le bombe israeliane cadute due giorni prima sul mercato
affollato di Shujaiyeh uccidendo 17 persone e ferendone 150 nel bel mezzo di un 'altra tregua, non
la bomba caduta su una scuola dell'UNRWA, dove tremila profughi si erano rifugiati, non il
bombardamento della centrale elettrica di Gaza, il bombardamento dell'università, la bomba lanciata
dagli eccellenti piloti dell'aviazione su un edificio di quattro piani a Khan Younis senza alcun
preavviso, uccidendo 35 [persone], compresi 18 bambini e 8 donne, a quanto pare il più letale
bombardamento mai avvenuto a Gaza.
Solamente il rapimento e l'uccisione di due soldati. Questo è un portavoce americano, afflitto anche
da razzismo; “barbaro” è riservato a una sola parte. Sì, Hamas è noto per essere barbaro, come lo
sono tutti i palestinesi, e il termine barbaro ha finalmente raggiunto Washington grazie a un'altra
prodezza delle pubbliche relazioni israeliane.
Ma la verità è che questa guerra è stata barbara fin dal suo inizio. I morti sono già più numerosi del
precedente attacco barbaro, 'Piombo Fuso' , compreso il numero spaventoso di civili ammazzati.
In rapporto alla grandezza della popolazione di Gaza, i numeri si stanno avvicinando alla
dimensione della guerra in Siria, quella che Israele sbandiera per provare la natura bestiale degli
arabi. La settimana scorsa, 1700 persone sono state ammazzate in Siria. A Gaza, la cui popolazione
è meno di un decimo di quella siriana, è stato ucciso circa lo stesso numero [di persone] in tre
settimane e mezzo di intossicazione israeliana dei sensi- non un numero inferiore.
Quella che è cominciata come operazione 'Piombo Fuso' ed è continuata come operazione 'Pilastro
di Difesa', potrebbe trasformarsi in operazione 'Pace in Galilea' [offensiva israeliana contro il
Libano ed occupazione della parte sud del paese. n.d.t.]. Alcuni parlano di rimanere un anno a Gaza.
Più di 60 soldati e ufficiali israeliani sono stati uccisi, così come più di 1.600 palestinesi, in una
guerra che non otterrà null’altro che un massacro.
Il mondo, e nemmeno Y. da Rafah, può concepire come Israele sia [così] insensibile. Venerdì notte
mi ha detto al telefono: “Mi vergogno della mia cultura israeliana. Sono cresciuto insieme a voi da
quando avevo 16 anni; mi fa stare male quando sento una sirena a Ashkelon, la città dove ho
lavorato per anni, e a voi non importa un bel niente di noi”. Ha pianto di nuovo, e io sono rimasto in
silenzio.
Torna a Guerra
2.14 Aprite il valico di Erez , subito.28
Le persone e le merci devono potersi muovere liberamente.
Questa è una richiesta urgente per la delegazione palestinese al Cairo: non lasciate che gli israeliani
ingannino voi e il resto del mondo con accordi per la gestione del valico di Rafah, per il colore delle
uniformi indossate dai soldati di Mahmoud Abbas, quante unità, e quali [debbano essere] le
modalità del saluto.
A questo punto non insistete sull'aeroporto o il porto a Gaza. Focalizzatevi sul ripristinare il
fondamentale, naturale, logico collegamento tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. Insistete che
venga immediatamente riattivata la libera circolazione dei palestinesi tra di loro (non solo per pochi
commercianti e alti funzionari). Questo dovrebbe essere il vostro principale obiettivo.
La classe dirigente israeliana, i commentatori [dei media], e la maggior parte della loro opinione
pubblica considerano la richiesta di collegare la Striscia e la Cisgiordania come “ridicola”. Questa
parola incarna l'arroganza aggressiva di Israele. L'Egitto ha giustamente paura dell'intenzione di
Israele di riaffidargli la Striscia, i suoi abitanti e i suoi problemi. Approfittate di questa paura.
Questo è quello che fin dal 1990 Israele ha cercato di ottenere - creare enclaves palestinesi, isolarle
e trasformare la Striscia in un'entità politica separata.
Il successo di Israele è apparso finora considerevole, aiutato dall'egoismo settario delle
28 Amira Hass da Haaretz , 7 agosto 2014.
organizzazioni palestinesi. I dirigenti palestinesi hanno trascurato l'elementare richiesta che venisse
rispettato il diritto alla libera circolazione. I dirigenti dell'Autorità palestinese si sono accontentati
del privilegio di poter passare per il valico di Erez. I leader del movimento politico religioso hanno
dimenticato il valico di Erez e la Cisgiordania perché sapevano che non avrebbero avuto i permessi,
e che se li avessero avuti sarebbero stati arrestati.
Il governo di riconciliazione nazionale che si è formato nell'ottica di Abbas – privo di ispirazione e
volontariamente paralizzato,- ha tuttavia dimostrato che il successo israeliano nel separare [la
Cisgiordania da Gaza] si è incrinato. La separazione tra la Striscia e la Cisgiordania può essere
revocata.
Questa è l'idea che deve guidare al Cairo voi e tutti i palestinesi e quelli che si oppongono
all'occupazione. C'è qualcuno che credeva che un'organizzazione palestinese avrebbe potuto
pianificare una campagna militare che avrebbe mandato in confusione in questo modo il numero
uno degli esportatori di droni? Chi immaginava che un'organizzazione palestinese avrebbe potuto
imparare dai propri errori nel 2008-2009 e sfidare la potenza militare di Israele?
Tutta questa sorprendente capacità militare, Hamas, sarà inutile se non viene trasformata in un
cambiamento del vostro modo di pensare sul piano civile. Avete riscoperto la Cisgiordania dopo che
i vostri canali con l'Egitto si sono interrotti. Per cui siete passati al governo di riconciliazione.
L'uccisione indiscriminata dei residenti gazawi da parte di Israele ha fatto rinascere in loro una
presa di coscienza sull'OLP e sui palestinesi della Cisgiordania. Questo è il momento per chiedere:
aprite il valico di Erez. Israele, al solito, griderà “SOS sicurezza”. Lasciatelo gridare. Non ci potrà
essere sicurezza per Israele fino a quando non riconosceranno ai palestinesi il diritto alla vita, e di
vivere con dignità.
Delegati dell'OLP, rappresentanti di Hamas e della Jihad Islamica: correggete la negligenza
criminale che ha caratterizzato il vostro comportamento con i cittadini di Gaza. Chiedete che il
mondo paghi il conto per le sue dichiarazioni. Tirate fuori tutte le relazioni della Banca Mondiale,
del Fondo Monetario Internazionale e dell'UE. Non vi è ricostruzione dell'economia palestinese, di
Gaza, non c'è nessuna vita, finché la gente e le merci non potranno circolare liberamente. Questo
comprende [la possibilità di] esportazioni da Gaza, studiare nelle università, pregare ad Al-Aqsa e
mangiare l'hummus nella Città Vecchia . Comprende [la possibilità] di viaggiare da Nablus alla
spiaggia di Beit Lahia.
La Striscia di Gaza smetterà di essere un enorme campo di concentramento solamente quando ci
vorrà un'ora di autobus tra Gaza e la Cisgiordania, al costo di 32 shekels andata e ritorno, con uno
sconto per i bambini e per le famiglie numerose.
Torna a Guerra
2.15 La guerra di Gaza produce un grande aumento degli App per ilboicottaggio di Israele29
La campagna “ Viva la Palestina, boicotta Israele” è cresciuta da poche centinaia di utenti ai
primi di luglio a oltre duecentocinquantamila oggi.
Le ostilità a Gaza sembrano avere determinato una forte crescita della campagna di boicottaggio
contro Israele – o almeno di quella parte che usa gli app per individuare i prodotti da colpire.
Boycott,, un app che cataloga i marchi e i loro derivati e permette agli utenti di iniziare una
campagna per sostenere o boicottare, riferisce che il numero delle persone che usa il suo gruppo
“Viva la Palestina, Boicotta Israele” è improvvisamente salito nel mese scorso - da poche centinaia
di utenti ai primi di luglio ad oltre duecentocinquantamila oggi.
“Viva la Palestina” è il gruppo più seguito sui siti del boicottaggio. Il secondo più seguito è "Evita i
29 Articolo di redazione da Haaretz, 8 agosto 2014.
prodotti delle colonie israeliane". Entrambi stanno rapidamente crescendo, secondo quanto riferisce
l'International Business Times.
Attualmente vi è solamente una Campagna pro Israele su "Boicotta". Nonostante sia stato creato più
di un anno fa, ha solo 1380 sostenitori.
L'app permette agli utenti di cercare un prodotto collegato a società da colpire o nazioni da
boicottare. Passando lo scanner sul codice a barre di un prodotto con la macchina fotografica di uno
smartphone, i consumatori sono in grado di sapere quale marchio è associato a quale campagna.
Nell'elenco delle società segnalate dalla campagna “Viva la Palestina, Boicotta Israele”, ci sono
McDonald's, Intel, Nestlè e Marks & Spencer.
La pagina della campagna afferma: “ Questa campagna è rivolta alla gente normale in tutto il
mondo per dare un contributo per porre fine all'oppressione in Palestina”.
“ Si tratta di un sistema non violento per fare pressione sullo Stato di Israele e segue le orme del
boicottaggio che ha avuto successo contro l'apartheid sudafricano”
Il movimento Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni (BDS) dovrebbe lanciare un app simile nel
corso del corrente anno.
(Traduzione a cura del BDS Italia)
Torna a Guerra
2.16 Andate a Gaza, guardate con i vostri occhi.30
Senza odio, è possibile capire i palestinesi, e persino alcune richieste di Hamas possono sembrare
ragionevoli e giustificate.
Potremmo forse fare una discussione, per quanto breve, che non sia piena di odio velenoso?
Possiamo lasciar perdere per un momento la disumanizzazione e demonizzazione dei palestinesi e
parlare spassionatamente di giustizia, lasciando da parte il razzismo? E' fondamentale almeno
provarci.
Senza odio, è possibile capire i palestinesi, e persino alcune delle richieste di Hamas possono
risultare ragionevoli e giustificate. Un simile discorso razionale dovrebbe portare qualunque
persona onesta a delle conclusioni molto nette. Un'impostazione così radicale potrebbe persino
portare avanti la causa della pace, se si potesse ancora azzardare a parlare di qualcosa di simile. Che
cosa ci troviamo davanti?
Un popolo senza diritti che nel 1948 è stato privato della propria terra e del proprio territorio, in
parte per i suoi stessi errori. Nel 1967 è stato di nuovo spogliato dei suoi diritti e delle sue terre. Da
allora ha vissuto in condizioni che ben poche nazioni hanno conosciuto. La Cisgiordania è occupata
e la Striscia di Gaza è assediata. Questa nazione tenta di resistere, con il suo scarso potere e con
metodi che a volte sono omicidi, come ha fatto ogni altra nazione conquistata nella storia, compreso
Israele. Bisognerebbe riconoscere che ha il diritto di resistere.
Parliamo di Gaza. La Striscia di Gaza non è un nido di assassini; non è neppure un nido di vespe.
Non è neanche un luogo di incessante violenza e assassinio. La stragrande maggioranza dei suoi
bambini non erano nati per uccidere, e neppure la maggior parte delle loro madri ha allevato martiri,
quello che vogliono per i loro figli è esattamente quello che la maggioranza delle madri israeliane
vuole per i propri bambini. I loro leader non sono molto diversi da quelli israeliani, non per quanto
riguarda il loro livello di corruzione, la loro predilezione per alberghi di lusso e neppure per il fatto
di destinare la maggior parte del bilancio alla difesa.
Gaza è un'enclave provata, una zona che vive un disastro permanente, dal 1948 al 2014, e la
30 Gideon Levy da Haaretz, 10 agosto 2014.
maggior parte dei suoi abitanti sono per la terza o quarta volta dei profughi. La maggior parte di
quelli che insultano e distruggono la Striscia di Gaza non ci sono mai stati, sicuramente non come
civili. Per otto anni mi è stato impedito di andarci; durante i 20 anni precedenti l'ho visitata spesso.
La Striscia di Gaza mi piace, per quanto possa piacere un luogo di dolore. Mi piace la sua gente, se
mi è consentito generalizzare. C'era uno spirito inimmaginabile di risolutezza, insieme a un
ammirevole rassegnazione verso le proprie disgrazie.
Negli ultimi anni Gaza è diventata una gabbia, una prigione a cielo aperto circondata da barriere.
Prima ancora che fosse anche divisa. Che siano o meno responsabili della loro situazione, ci sono
persone sfortunate, una grande quantità di persone e una grande miseria.
Non avendo fiducia nell'ANP, i gazawi hanno scelto Hamas con elezioni democratiche. Hanno il
diritto di sbagliare. In seguito, quando l'OLP si è rifiutata di cedere le redini del potere, Hamas ha
preso il controllo [della Striscia] con la forza.
Hamas è un movimento nazional-religioso. Chiunque sostenga un dialogo senza odio si potrà
rendere conto che Hamas è cambiato. Chiunque riesca a ignorare tutti gli aggettivi che gli sono stati
affibbiati dovrà anche capire le sue legittime aspirazioni, come avere un porto e un aeroporto.
Dobbiamo anche ascoltare gli studiosi che sono privi di odio, come l'esperto del Medio Oriente
Menachen Klein dell'università Bar-Ilan, la cui analisi di Hamas contrasta con il giudizio
tradizionale in Israele. In un’intervista al quotidiano economico Calcalist [the Economist in ebraico.
n.d.t.] della scorsa settimana, Klein afferma che Hamas non è stata fondata come un'organizzazione
terroristica ma piuttosto come un movimento sociale, e dovrebbe essere visto come tale anche oggi.
Ha da molto tempo "tradito" la sua natura, e condotto un vivace dibattito politico, ma nel dialogo di
odio non c'è nessuno che lo ascolti.
Dal punto di vista del dialogo dell'odio, Gaza e Hamas, palestinesi e arabi, sono tutti la stessa cosa.
Vivono tutti sulla spiaggia dello stesso mare, e condividono lo stesso obiettivo di buttare a mare gli
ebrei. Una discussione meno primitiva, meno condizionata dal lavaggio del cervello potrebbe
portare a conclusioni diverse. Per esempio, che un porto sotto controllo internazionale è un obiettivo
legittimo e ragionevole; che togliere il blocco sulla Striscia di Gaza conviene anche ad Israele; che
non c'è altro modo di far cessare la resistenza violenta; che coinvolgere Hamas nel processo di pace
potrebbe portare a un cambiamento sorprendente; che la Striscia di Gaza è abitata da esseri umani,
che vogliono vivere come tali.
Ma in ebraico "Gaza", pronunciato " 'Aza", è la contrazione di Azazel, che è associato all'inferno.
Dei molteplici insulti che mi sono stati urlati in questi giorni da ogni angolo di strada "Vai
all'inferno/Gaza" è tra quelli più gentili. A volte vorrei rispondere "Spero di poter andare a Gaza, per
poter svolgere la mia funzione di giornalista." E a volte vorrei aggiungere:" Spero che possiate tutti
quanti andare a Gaza. Se solo sapeste cos'è Gaza, e cosa c'è veramente là."
Torna a Guerra
2.17 Via libera dell'Europa per uccidere, distruggere e polverizzare Gaza.31
Se la sicurezza degli ebrei in Medio Oriente stesse davvero a cuore a paesi europei come Germania
e Austria, non dovrebbero continuare a finanziare l'occupazione israeliana.
Con il suo prolungato silenzio, la Germania ufficiale sta collaborando con Israele nel suo percorso
di distruzione e morte promosso contro il popolo palestinese a Gaza. La Germania non è sola, anche
il silenzio dell'Austria è assordante.
In realtà, perchè mettere in evidenza proprio questi due paesi? Il secondo o terzo giorno di guerra, la
cancelliera Merkel non è stata l'unica ad aver dichiarato di sostenere Israele. Tutta l'Unione Europea
ha appoggiato il diritto di Israele a "difendersi".
31 Amira Hass da Haaretz, 11 agosto 2014.
Sì, Francia e Gran Bretagna hanno fatto qualche contorsione l'ultima settimana, lanciando qualche
flebile protesta. Ma la prima dichiarazione dell'UE, emessa il 22 luglio, risuona ancora. In essa si
accusava la parte sottoposta a un prolungato assedio da parte di Israele di aver determinato
l'escalation. Ed è la parte che, nonostante tutte le dichiarazioni europee a proposito del suo diritto
all'autodeterminazione e a uno Stato indipendente nella Cisgiordania e a Gaza, dopo 47 anni è
ancora sottoposta all'occupazione israeliana.
Gli Stati membri dell'UE, e, ovviamente, gli Stati Uniti, hanno dato via libera ad Israele per
uccidere, distruggere e polverizzare. Hanno dato tutta la colpa al popolo che stava lanciando i razzi,
i palestinesi. I razzi stanno rompendo "l'ordine" e la "tranquillità", minacciando la sicurezza di
Israele, che è così debole e vulnerabile, sempre attaccato senza nessuna ragione di sorta.
Fondamentalmente, gli Stati Uniti e l'Europa stanno appoggiando lo status quo, in base al quale la
Striscia di Gaza è separata dalla Cisgiordania. L'assedio di Israele contro Gaza e l'oppressione della
popolazione palestinese in Cisgiordania sono la tranquillità, l'ordine e la sicurezza di Israele.
Chiunque osi violarli deve essere punito. Nelle loro appassionate dichiarazioni a proposito del
diritto di Israele a difendersi, i funzionari dell'UE dimenticano di menzionare il diritto dei
palestinesi alla sicurezza o alla protezione dall'esercito israeliano.
L'Europa e gli Stati Uniti non hanno dato ad Israele il permesso di fare un'escalation - di
distruggere, uccidere ed infliggere sofferenze ad un livello senza precedenti - quando sono
scoppiate le attuali ostilità. Glielo hanno dato già nel 2006, quando hanno promosso il boicottaggio
del governo di Hamas, eletto con elezioni democratiche.
Anche allora hanno scelto di punire collettivamente l'intera popolazione palestinese occupata
ignorando la principale ragione per la quale questa organizzazione aveva ottenuto la maggioranza
[dei voti]: il regime addomesticato che l'Europa aveva promosso - l'Autorità Nazionale Palestinese.
Questo regime continua ad essere segnato da due mali: la corruzione e il fallimento delle sue
tattiche diplomatiche per ottenere l'indipendenza.
Il comportamento dell'ANP ha portato ad una situazione in cui i negoziati, la volontà di raggiungere
un accordo di pace con Israele e persino l'opposizione alla lotta armata per ragioni morali e pratiche
è diventato sinonimo di arricchimento per un piccolo gruppo, insieme alla sua cinica indifferenza
per i diritti e le condizioni della maggioranza della popolazione.
Nè pace né ordine.
Si può capire che gli esperti di sicurezza israeliani fraintendano ripetutamente sia le correnti alla
luce del sole che quelle sotterranee che attraversano la società palestinese, le quali continuano a
rompere la "tranquillità". I cervelli di questi esperti non sono stati programmati per capire che la
tranquillità e l'ordine che dovrebbero garantire non sono né l'una né l'altro.
Due settimane fa Jacob Perry, il beniamino del pubblico e figura chiave del documentario " The
Gatekeepers”[titolo italiano"I guardiani di Israele". n.d.t.], ha detto di sperare che il sistema di
sicurezza sarebbe stato in grado di contenere l'ultima ondata di proteste in Cisgiordania.
"Quelle manifestazioni sono negative per loro e per noi" ha detto l'ex capo del servizio di sicurezza
dello Shin Bet nel suo tipico modo paternalistico. Infatti l'esercito, che non è stato ad aspettare il
suo parere, ha continuato ad uccidere manifestanti che non minacciavano la vita dei soldati. Lo
fanno ogni settimana e ne feriscono a dozzine (altri due sono stati uccisi questo fine settimana).
Persino dopo 47 anni, gli ufficiali della sicurezza non hanno ancora capito che l'oppressione non
porta alla sottomissione. Al massimo ritarda semplicemente uno scontro ancora più sanguinoso -
come succede adesso a Gaza.
Ma cosa dire di esperti europei, operatori umanitari, diplomatici e consiglieri civili e militari, e delle
lezioni accumulate durante i molti anni di colonialismo? Ci si sarebbe potuto aspettare che tutta
questa gente ed avvenimenti avrebbero messo in guardia l'Europa dal fare nel 2006 un errore
talmente madornale, da cui sono sorte tutte le escalation intrise del sangue palestinese.
Il boicottaggio di Hamas, che in effetti è stato un boicottaggio politico del popolo palestinese nei
Territori occupati, ha incoraggiato Fatah e il presidente dell'ANP Mahmoud Abbas a ribaltare il
risultato elettorale con metodi antidemocratici. Il boicottaggio e il disprezzo occidentale nei
confronti del risultato delle elezioni ha semplicemente spinto Hamas su un cammino estremista e
disperato, facendolo diventare per la pubblica opinione [palestinese] un martire e un'alternativa
rispettabile.
In effetti, non si è trattato di un "errore", quanto piuttosto di una decisione cosciente. I paesi europei
e gli Stati Uniti sono desiderosi di investire miliardi di dollari nei territori palestinesi per la
ricostruzione delle macerie create utilizzando armi americane, e probabilmente europee. Quei
dollari riparano i disastri umanitari causati dall'occupazione israeliana.
L'Europa e gli Stati Uniti vogliono finanziare tende, cibo e acqua per addomesticare una dirigenza
resa dipendente da queste donazioni. Questi leader quindi promettono di non disturbare la
tranquillità e l'ordine. Non sono la giustizia ed i diritti dei palestinesi che l'Occidente ha a cuore, ma
il mantenimento della "stabilità".
Germania ed Austria sono particolarmente degne di nota. A loro si deve l'impressione che l'Unione
Europea appoggi così tanto Israele a causa del senso di colpa per la morte degli ebrei europei sotto
l'occupazione tedesca, e per via dell'impegno morale nei confronti della diretta conseguenza di quel
capitolo di storia: lo Stato di Israele.
Facendosi scudo dell'Olocausto, non c'è bisogno di discutere degli interessi dell'Occidente, sia
americani che europei. Questi [interessi] comprendono il controllo sistematico, attraverso agenti di
fiducia, delle risorse di petrolio e gas, la protezione dei mercati e la salvaguardia della sicurezza di
Israele come potenza occidentale, percepito come un'entità stabile che può contenere e
controbilanciare i cambiamenti nella regione.
Se la sicurezza degli ebrei in Medio Oriente importasse veramente alle nazioni europee, soprattutto
a Germania ed Austria, non continuerebbero a finanziare l'occupazione israeliana. Non
concederebbero ad Israele il permesso permanente di uccidere e distruggere.
Torna a Guerra
2.18 La mia preghiera al popolo di Israele: liberate voi stessi liberando laPalestina.32
L'arcivescovo emerito Dedmond Tutu, in un articolo esclusivo per Ha’aretz, chiede un boicottaggio
globale contro Israele e invita gli israeliani e i palestinesi a guardare oltre i rispettivi leader per
una soluzione duratura della crisi in Terra Santa.
Le scorse settimane hanno visto iniziative senza precedenti da parte dei membri della società civile
in tutto il mondo contro l'ingiusta, sproporzionata e brutale risposta di Israele al lancio di missili
dalla Palestina.
Se si mettessero insieme tutte le persone che lo scorso fine settimana si sono riunite per chiedere
giustizia in Israele e Palestina - a Città del Capo, a Washington, a New York, a Nuova Delhi, a
Londra, a Dublino e a Sidney e in tutte le altre città - si tratterebbe probabilmente della più grande
protesta attiva da parte di cittadini a favore di una singola causa che ci sia mai stata nella storia del
mondo.
Un quarto di secolo fa, ho partecipato ad alcune manifestazioni molto affollate contro l'Apartheid.
Non avrei mai immaginato che avremmo rivisto manifestazioni di queste dimensioni, ma lo scorso
sabato l'affluenza a Città del Capo è stata altrettanto se non più grande. I partecipanti sono stati
giovani e vecchi, musulmani, cristiani, ebrei, indù, buddisti, agnostici, atei, neri, bianchi, rossi e
verdi...quanto ci si poteva aspettare da una nazione vitale, tollerante, multiculturale.
Ho chiesto alla folla di gridare in coro con me: "Siamo contrari all'ingiustizia dell'illegale
occupazione della Palestina. Siamo contrari alle uccisioni indiscriminate a Gaza. Siamo contrari alle
umiliazioni inflitte ai palestinesi ai checkpoint e ai blocchi stradali. Siamo contrari alla violenza
perpetrata da tutte le parti [in conflitto]. Ma non siamo contro gli ebrei."
All'inizio della settimana, ho chiesto la sospensione di Israele dall'Unione Internazionale degli
32 Arcivescovo emerito sudafricano e premio Nobel Desmond Tutu da Ha'aretz, 14 agosto 2014.
Architetti, riunita in Sud Africa.
Ho fatto un appello alle sorelle e ai fratelli israeliani presenti alla conferenza perché si dissociassero
attivamente personalmente e professionalmente dalla progettazione e costruzione di infrastrutture
connesse con la perpetuazione dell'ingiustizia, compreso il Muro di separazione, i posti di controllo
e i checkpoint, e le colonie costruite sulla terra palestinese occupata.
"Vi scongiuro di portare a casa questo messaggio: per favore, fermate la violenza e l'odio unendovi
al movimento non violento per la giustizia a favore di ogni popolo della regione" ho detto.
Durante le ultime settimane, più di un milione seicentomila persone in tutto il pianeta si sono unite a
questo movimento con una campagna di Avaaz che chiede di ritirarsi alle imprese che traggono
profitto dall'occupazione israeliana e/o coinvolte negli abusi e nella repressione. La campagna ha in
particolare preso di mira i fondi pensione olandesi ABP; la Barklays Bank; il fornitore di sistemi di
sicurezza G4S; la compagnia di trasporti Veolia; la ditta di computer Hewlett-Packard; il produttore
di bulldozer Caterpillar.
Lo scorso mese, 17 governi dell'UE hanno esortato i propri cittadini a smettere di fare affari con, o a
investire nelle, illegali colonie israeliane.
Noi abbiamo anche di recente assistito al ritiro di decine di milioni di euro del fondo pensione
olandese PGGM dalle banche israeliane; il disinvestimento dalla G4S della fondazione Bill e
Melinda Gates; e la chiesa presbiteriana USA ha disinvestito circa 21 milioni di dollari da HP,
Motorola e Caterpillar.
E' un movimento che sta crescendo.
La violenza crea violenza e odio, che generano solo più violenza e più odio.
Noi sudafricani ne sappiamo qualcosa. Capiamo la sofferenza di essere i reietti del mondo; quando
sembra che nessuno capisca o non voglia neppure ascoltare il tuo punto di vista. E' da lì che
veniamo.
Noi sappiamo anche i vantaggi che può comportare il dialogo tra i nostri leader; quando
organizzazioni catalogate come "terroristiche" sono state legalizzate e i loro dirigenti, compreso
Nelson Mandela, sono stati liberati dalle prigioni, dall'essere messi al bando e dall'esilio.
Sappiamo che quando i nostri dirigenti hanno iniziato a parlarsi, le ragioni della violenza che aveva
distrutto la nostra società si sono dissipate e sono scomparse. Gli atti di terrorismo perpetrati dopo
che i colloqui erano iniziati - come attacchi contro una chiesa e un pub- sono stati condannati
praticamente da tutti, e il partito considerato responsabile è stato punito dalle urne.
L'eccitazione che ha seguito il fatto di aver votato per la prima volta insieme non era prerogativa
solo dei neri sudafricani. Il vero trionfo della nostra pacifica riconciliazione è stato che tutti sono
stati coinvolti. E più tardi, quando abbiamo presentato una costituzione così tollerante, solidale e
inclusiva che avrebbe fatto inorgoglire Dio, tutti ci siamo sentiti liberi.
Naturalmente, è stato di aiuto il fatto di avere un nucleo di dirigenti straordinari.
Ma in ultima istanza quello che ha obbligato questi dirigenti a sedersi insieme a un tavolo di
negoziati è stato l'insieme di efficaci mezzi nonviolenti che sono stati messi in atto per isolare il Sud
Africa economicamente, a livello accademico, culturale e psicologico.
A un certo punto - il punto di svolta - l'allora governo si rese conto che il costo del tentativo di
conservare il sistema di apartheid superava i vantaggi.
Il crollo del commercio con il Sud Africa da parte delle compagnie multinazionali con un minimo di
coscienza negli anni '80 è stato sostanzialmente una delle leve fondamentali che ha messo in
ginocchio, senza spargimento di sangue, lo Stato dell'apartheid. Queste grandi imprese hanno capito
che, partecipando all'economia sudafricana, stavano anche aiutando a mantenere in vita uno status
quo ingiusto.
Quelli che continuano a fare affari con Israele, che contribuiscono alla sensazione di "normalità"
nella società israeliana, stanno facendo un pessimo servizio ai popoli di Israele e della Palestina.
Stanno contribuendo alla perpetuazione di una situazione profondamente ingiusta.
Quelli che contribuiscono al temporaneo isolamento di Israele stanno dicendo che israeliani e
palestinesi hanno ugualmente diritto alla dignità e alla pace.
Ultimamente, durante lo scorso mese, i fatti a Gaza stanno dimostrando chi crede nel valore degli
esseri umani.
Sta diventando sempre più chiaro che i politici e i diplomatici stanno fallendo nell'immaginare
risposte, e che la responsabilità di trovare un accordo per una soluzione accettabile della crisi in
Terra Santa spetta alla società civile e ai popoli di Israele e Palestina.
Oltre alla recente devastazione di Gaza, ovunque gli esseri umani onesti, compresi molti israeliani,
sono profondamente turbati dalle quotidiane violazioni della dignità umana e della libertà di
movimento a cui sono sottoposti i palestinesi ai checkpoint e ai blocchi stradali. E le politiche di
Israele di occupazione illegale e di costruzione di colonie delle zone di accesso vietato sui territori
occupati aggrava le difficoltà di raggiungere in futuro un accordo che sia accettabile per tutti.
Lo Stato di Israele si comporta come se non ci fosse futuro. Il suo popolo non vivrà la vita pacifica
e sicura che desidera, e a cui ha diritto, finché i suoi dirigenti perpetuano le condizioni che
alimentano il conflitto.
Ho condannato coloro che in Palestina sono responsabili del lancio di missili e di razzi contro
Israele. Stanno alimentando la fiamma dell'odio. Sono contrario a qualunque manifestazione di
violenza.
Ma dobbiamo essere molto chiari [sul fatto che] il popolo della Palestina ha tutto il diritto di lottare
per la propria dignità e libertà. E' una lotta che ha avuto il sostegno di molte persone in tutto il
mondo.
Nessun problema creato dall'uomo è irrisolvibile quando gli esseri umani si impegnano a
collaborare con il serio proposito di superarlo. Nessuna pace è impossibile quando la gente è decisa
a raggiungerla.
La pace richiede che i popoli di Israele e Palestina riconoscano l'essere umano che c'è in loro e
nell'altro; che comprendano la loro interdipendenza.
Missili, bombe e brutali invettive non sono parte della soluzione. Non c'è una soluzione militare.
E' più probabile che la soluzione arrivi dall'insieme di iniziative nonviolente che abbiamo messo in
atto in Sud Africa negli anni '80 per convincere il governo della necessità di cambiare la sua
politica.
La ragione per cui questi mezzi - boicottaggio, sanzioni e disinvestimento - ultimamente hanno
dimostrato di essere efficaci è stato che hanno avuto una massa critica che li appoggiava, sia dentro
che fuori dal paese, il tipo di appoggio che abbiamo testimoniato ovunque nel mondo nelle scorse
settimane nei confronti della Palestina.
La mia preghiera al popolo di Israele è che riesca a vedere oltre la contingenza, a vedere oltre l'odio
dovuto al fatto di sentirsi continuamente sotto assedio, di vedere un mondo in cui Israele e Palestina
possano coesistere, un mondo in cui regnino dignità e rispetto reciproci.
Ci vuole un cambiamento di mentalità. Un cambiamento di mentalità che riconosca che cercare di
perpetuare l'attuale status quo significa condannare le future generazioni alla violenza e
all'insicurezza. Un cambiamento di mentalità che smetta di vedere le critiche legittime alle politiche
dello Stato come un attacco contro gli ebrei. Un cambiamento di mentalità che inizia in patria e che
si rifletta nelle comunità e nazioni e regioni, sparse dalla diaspora per il mondo che noi tutti
condividiamo. L'unico mondo che condividiamo.
Le persone unite nel perseguimento di una giusta causa sono inarrestabili. Dio non interferisce nelle
vicende della gente, sperando che noi stessi cresciamo e impariamo attraverso la soluzione delle
nostre difficoltà e controversie. Ma Dio non dorme. Le scritture ebraiche ci dicono che Dio sta dalla
parte del debole, del diseredato, della vedova, dell'orfano, dello straniero che libera gli schiavi
durante l'esodo verso la Terra Promessa. E' stato il profeta Amos ad aver detto che dovremmo
lasciare scorrere la rettitudine come un fiume.
Alla fine la bontà prevale. La ricerca della libertà per il popolo della Palestina dalle umiliazioni e
persecuzioni da parte delle politiche di Israele è una causa giusta. E' una causa che il popolo di
Israele dovrebbe appoggiare.
E' noto che Nelson Mandela ha detto che i sudafricani non si sarebbero mai sentiti liberi finché i
palestinesi non fossero stati liberi.
Avrebbe dovuto aggiungere che la liberazione della Palestina avrebbe liberato anche Israele.
Torna a Guerra
2.19 Il [segretario] dell'ONU Ban Ki-moon è complice dei crimini di Israele.33
La seguente lettera aperta, firmata da 129 organizzazioni e da importanti personalità, è stata
inviata al Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-moon il 5 agosto. Per l'umanità e per quel poco
che rimane della credibilità delle leggi internazionali: Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban
Ki-moon, difenda la legge e la giustizia o dia le dimissioni!
Signor Segretario Generale Ban Ki-moon,
noi, le organizzazioni per i diritti umani e della società civile palestinese firmatarie siamo
estremamente deluse dal suo comportamento, particolarmente dalle sue affermazioni di parte, la sua
mancanza d'iniziativa e dall'inopportuna giustificazione delle violazioni della legge umanitaria
internazionale da parte di Israele, che rappresentano crimini di guerra.
Fino ad oggi, lei non ha preso esplicite e concrete misure nei confronti dei recenti attacchi israeliani
nei territori occupati iniziate il 13 giugno. Inoltre le sue affermazioni sono state ambigue, sia perché
hanno accolto e appoggiato la falsa versione dei fatti di Israele, sia perché contrarie a quanto
prescrivono le leggi internazionali e agli interessi di chi le deve tutelare, sia perché le sue parole
giustificano le violazioni ed i crimini di Israele.
Lei ha indubbiamente assunto una posizione ambigua nei confronti dell'attuale attacco a Gaza e
delle violazioni di Israele in Cisgiordania, non condannando in modo chiaro le illegali azioni
israeliane nei territori palestinesi occupati, mentre, al contrario, non ha esitato ad accusare - a volte
erroneamente - i combattenti palestinesi a Gaza di violazione delle leggi internazionali. Questo
pregiudizio può essere notato nei seguenti brani:
Il Segretario Generale condanna fermamente l'uccisione oggi di almeno 10 civili palestinesi
durante il bombardamento a Rafah di una scuola dell'UNRWA che offriva rifugio a migliaia di
civili. L'attacco è un'ulteriore grave violazione delle leggi umanitarie internazionali, che
chiaramente prescrivono la protezione da entrambe le parti dei civili palestinesi, dello staff e dei
locali dell'ONU, tra le altre infrastrutture civili.
Una simile affermazione, omettendo il nome di chi ha commesso la violazione - Israele - non solo è
di parte, ma è anche offensiva per l'UNRWA, un'agenzia dell'ONU, come anche per le altre agenzie
dell'ONU e per le organizzazioni internazionali che lottano per fornire ai palestinesi di Gaza
soccorso e protezione.
L' UNRWA, che ha perso nove operatori a Gaza dall'inizio dell'Operazione israeliana "Margine
difensivo", ospita circa 270.000 profughi interni (il 25% della popolazione di Gaza) nei suoi rifugi.
Un precedente rapporto dell'UNRWA su un attacco contro una delle sue scuole ha indicato che era
stata colpita dall'artiglieria israeliana, il che rappresenta un attacco indiscriminato e un probabile
crimine di guerra.
Inoltre, condannando il deposito di armi nelle scuole dell'UNRWA senza offrire prove concrete e
tenere in debito conto le leggi internazionali, le sue affermazioni fanno proprie le giustificazioni
israeliane per il fatto di colpire illegalmente ed indiscriminatamente simili obiettivi civili.
Oltretutto, condannando la provata violazione da parte di Hamas della concordata tregua
umanitaria iniziata questa mattina. E' scioccato e profondamente irritato da questi sviluppi, il
Segretario Generale rivela un'irresponsabile sostegno alla versione israeliana dei fatti, biasimando
Hamas per la violazione della tregua, pur ammettendo che "il Segretario Generale afferma che
l'ONU non ha mezzi indipendenti per verificare esattamente quanto è avvenuto" e, ancora,
chiedendo "l'immediato rilascio senza condizioni del [falsamente presunto] soldato catturato."
La seguente dichiarazione illustra ulteriormente l'ignoranza dei fatti sul terreno da parte del
33 da T he Electronic Intifada, 8 Agosto 2014.
Segretario Generale:
"Il Segretario Generale ha saputo con preoccupazione che questo pomeriggio nella parte
settentrionale della Striscia di Gaza sono stati lanciati dalle forze aeree israeliane volantini che
avvertono decine di migliaia di residenti di lasciare le proprie case e rifugiarsi a Gaza City.
Se fosse vero [sottolineatura di chi scrive] ciò avrebbe un impatto terribilmente devastante dal
punto di vista umanitario sui civili attaccati militarmente di quelle zone della Striscia di Gaza, che
hanno dovuto sopportare grandi sofferenze negli ultimi giorni.
Il lancio di volantini è stata una nota pratica fin dall'inizio delle operazioni israeliane a Gaza,
contribuendo a creare più di 480.000 rifugiati interni.
Nello stesso comunicato "Il Segretario Generale invita fermamente entrambe le parti ad evitare
ogni ulteriore escalation in questo momento, [notando] che entrambe le parti devono rispettare
ogni prescrizione delle leggi umanitarie internazionali, sia riguardo a civili di fronte ad attacchi
imminenti, sia rispettando il principio di proporzionalità in ogni tipo di risposta militare," facendo
trasparire un'indebita equivalenza delle due parti del conflitto ed evitando di condannare il maggiore
impatto delle violazioni commesse da Israele, che ha ucciso almeno 1.814 persone, la grande
maggioranza delle quali civili, durante le sue operazioni a Gaza.
Signor Segretario Generale,
quando lei non fa nessuna distinzione tra oppressori e vittime, in tutti i suoi discorsi;
quando lei cita i combattenti palestinesi come responsabili di violazioni e crimini di guerra mentre
non cita Israele, come è solito fare quando si riferisce a specifiche azioni;
quando lei evita di definire azioni israeliane che equivalgono a crimini di guerra, mentre insiste nel
definire le reazioni palestinesi come gravi infrazioni alla legge umanitaria internazionale;
quando lei invoca sempre illegalmente il diritto di Israele all'autodifesa, mentre non menziona mai il
diritto legittimo e legale dei palestinesi di resistere all'occupazione, alla colonizzazione e alla
discriminazione istituzionalizzata;
quando lei accetta e sostiene le menzogne di Israele, mentre non cita la versione dei palestinesi;
quando lei ignora i fatti sul terreno che sono l'evidente conseguenza degli attacchi israeliani, mentre
chiede l'immediata ed incondizionata liberazione di un soldato che non è mai stato catturato e che
era sul campo di battaglia, lei non mantiene la pace e la sicurezza, né garantisce i diritti umani.
Prendendo in considerazione le sue dichiarazioni, risulta evidente che lei non ha rispettato il suo
mandato. Al contrario, le sue affermazioni non solo hanno consentito la continuazione del massacro
del nostro popolo da parte di Israele, ma anche incoraggiato gli Stati a rifornire impunemente
Israele.
Poiché lei non può dire la verità, noi la invitiamo a cambiare radicalmente il suo atteggiamento -
non solo a parole, ma anche negli sforzi per porre fine realmente all'attuale conflitto, attraverso
l'ONU - o a dare le dimissioni. Per noi, se continua a svolgere questa funzione, lei conferma quello
che sente il nostro popolo, che lei è un complice, o quanto meno incapace [di impedire] le continue
violazioni delle leggi umanitarie internazionali commesse da Israele contro le nostre famiglie,
bambini, donne, anziani - contro il nostro popolo.
Torna a Guerra
2.20 Globalizzare Gaza.34
Come Israele boicotta il Diritto Internazionale attraverso il cosiddetto “Lawfare” (manipolazione
del diritto)
L’operazione Margine Protettivo non è stata solo un’aggressione militare diretta principalmente
34 Jeff Halper da I CAHD, 18 agosto 2014.
contro la popolazione civile. Come le precedenti operazioni Piombo Fuso, nel 2008-2009 e
Pilastro di Difesa, nel 2012), essa era anche parte costitutiva di un attacco sferrato nei confronti del
Diritto Internazionale Umanitario (IHL) da parte di un team, coordinato ad alto livello, di avvocati,
dirigenti militari, esperti di propaganda e uomini politici israeliani, capitanato nientemeno che da un
filosofo di etica. Si tratta di un tentativo non solo di evitare ad Israele di cadere nell’accusa di
violazione di massa dei diritti umani e del diritto internazionale, ma anche di aiutare altri governi a
superare ostacoli analoghi nel momento in cui danno il via ad azioni di “guerra asimmetrica”,
oppure di “contro insurrezione”, o ancora di “antiterrorismo” nei confronti di popolazioni che si
oppongono alla dominazione. E’ una campagna che Israele chiama “Lawfare”, e che sarebbe stato
meglio che tutti noi avessimo preso sul serio.
L’urgenza di questa campagna è diventata evidente dopo una serie di rilevanti problemi giuridici e
contestazioni occorsi ad Israele nell’ultimo decennio, a cominciare dall’incriminazione di Ariel
Sharon nel 2001 da parte di un tribunale belga relativamente al suo coinvolgimento nei massacri di
Sabra e Shatila, per i quali evitò il processo. Al momento dell’operazione Scudo Difensivo del 2002,
quando il governo Sharon si rese responsabile della demolizione di centinaia di case palestinesi in
Cisgiordania, della totale distruzione di tutte le infrastrutture delle città palestinesi, della morte di
497 palestinesi e dell’arresto di 7000 persone, Israele venne accusato di crimini di guerra, ma riuscì
ad evitare un’inchiesta delle Nazioni Unite.
Nel 2004, su richiesta dell’Assemblea Generale, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja
sentenziò che la costruzione da parte di Israele del muro all’interno del territorio palestinese era
“contraria alla legislazione internazionale” e che doveva essere demolito. La sentenza fu approvata
quasi all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con il voto contrario solamente di
Israele, Stati Uniti, Australia ed alcuni atolli del Pacifico – anche se, di nuovo, non disponeva di
nessun mezzo per essere applicata. Durante la seconda guerra del Libano del 2006, dopo aver
distrutto il quartiere di Dahiya a Beirut, la “roccaforte” di Hezbollah, Israele lanciò la sua “Dottrina
Dahiya”. Così dichiarò Gadi Eisenkott, capo del Comando nord dell’IDF (esercito israeliano):
"Ciò che è accaduto nel quartiere di Dahiya a Beirut nel 2006, “accadrà in ogni villaggio dal quale
si spara su Israele….Impiegheremo una potenza sproporzionata contro di esso e provocheremo
gravi danni e distruzioni. Dal nostro punto di vista, questi non sono villaggi civili, bensì basi
militari…Questo non è un avvertimento, è un piano di intervento, ed è stato approvato.”
E venne nuovamente applicato. Il Rapporto Goldstone sull’operazione Piombo Fuso è giunto a
questa conclusione.
Le tattiche impiegate dall’esercito israeliano nell’offensiva contro Gaza (del 2008-2009) sono
analoghe a precedenti tattiche, recentemente usate nella guerra del Libano nel 2006. Si palesò allora
il concetto noto come dottrina Dahiya, che contempla l’uso sproporzionato della forza, gravi danni e
distruzioni a proprietà ed infrastrutture civili, e grandi sofferenze per la popolazione civile.
La Dottrina Dahiya viola due principi cardine del Diritto Internazionale Umanitario: il principio di
distinzione e quello di proporzionalità. Il principio di distinzione, sancito dalle quattro Convenzioni
di Ginevra del 1949 e dai loro due Protocolli Aggiuntivi del 1977, stabilisce una regola ferrea: i
civili non possono essere presi di mira dagli eserciti. Al contrario, devono essere protetti: la
violenza contro la vita e la persona è assolutamente vietata, in quanto costituisce “offesa alla dignità
personale”. Il principio di proporzionalità, anch’esso sancito dai Protocolli del 1977 aggiuntivi alle
quattro Convenzioni di Ginevra, considera un crimine di guerra l’attacco intenzionale ad un
obiettivo militare, avendo consapevolezza che i danni civili collaterali sarebbero sicuramente
eccessivi rispetto al vantaggio militare previsto. Il Protocollo I, art. 50 (3) recita: “La presenza tra la
popolazione civile di individui che non rientrano nella definizione di civili non priva la popolazione
stessa del suo carattere civile.”
Non solo questi principi sono stati nuovamente violati nel corso della recente aggressione – e il
governo israeliano, ben cosciente di ciò, ha preparato con cura la propria difesa di fronte al
Comitato internazionale d’inchiesta del Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, come
anche di fronte alla Corte Penale Internazionale, nel caso che l’Autorità Palestinese si rivolga ad
essa – ma è stata annunciata ed applicata un’ulteriore strategia improntata alla sproporzionalità: la
cosiddetta Dottrina Hannibal. Secondo tale dottrina, quando un soldato israeliano viene catturato, la
sua liberazione diventa la missione principale, qualunque sia il numero di civili che resteranno
uccisi o feriti, di qualunque entità sia il danno provocato e addirittura mettendo in conto che lo
stesso soldato catturato venga ucciso o ferito da “fuoco amico”. Quando si è creduto (cosa rivelatasi
poi falsa) che un soldato dell’esercito israeliano fosse stato catturato da Hamas nella zona di Rafah,
l’intera area urbana è stata massicciamente colpita dall’artiglieria e dagli attacchi aerei israeliani,
con la conseguente distruzione di centinaia di case e la morte di almeno 130 persone.
La violazione dei principi di distinzione e proporzionalità costituisce un grave vulnus al Diritto
Internazionale – e possiamo soltanto immaginare che cosa farebbero gli Stati se tali principi
venissero eliminati dal codice giuridico o ne fosse significativamente diminuita la portata. Ma è
proprio questo a cui mira Israele. Usando i palestinesi come cavie nell’ambito di una strategia
impudente ed aggressiva di “aggiustamento” del diritto internazionale, intende creare inedite
categorie di combattenti – “soggetti non legittimati”, quali “terroristi”, “insorgenti” e “attori non
statali”, accanto alla popolazione civile che li appoggia – in modo che chiunque si opponga
all’oppressione dello Stato non possa più rivendicare protezione. Questo è particolarmente
significativo nel momento in cui, come ci dice il generale inglese Rupert Smith, la guerra moderna
sta rapidamente abbandonando il tradizionale modello interstatale per avvicinarsi a ciò che lui
definisce un “nuovo paradigma” – “la guerra in mezzo al popolo” – in cui “si combatte tra la gente,
non sul campo di battaglia”. Un termine più popolare, in uso in ambito militare, “guerra
asimmetrica”, è forse più corretto ed esplicito, poiché mette in evidenza il grande differenziale di
potenza che esiste tra gli Stati ed i loro eserciti e la relativa debolezza delle forze non statali che vi
si oppongono.
Ma anche “il popolo”, quei fastidiosi “attori non statali”, ha dei diritti. Nel lontano 1960, la
Dichiarazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella Concessione di Indipendenza
agli Stati e Popoli delle Colonie, sancì il diritto dei popoli all’autodeterminazione e, per estensione,
il loro diritto alla resistenza, anche armata, contro “l’oppressione, la dominazione e lo
sfruttamento”. La repressione dei governi negli ultimi anni, sicuramente dopo l’11 settembre 2001,
guidata da Stati Uniti e da Israele, aveva lo scopo di delegittimare il diritto dei soggetti non statali a
resistere all’oppressione. Così, quando Obama o l’Unione Europea sostengono il diritto di Israele a
difendersi, non includono come parte di quel diritto anche quello di un popolo sotto occupazione a
difendersi. Infatti gli attori non statali vengono classificati come “terroristi” (categoria nella quale
Israele comprende tutti gli insorti, i rivoluzionari e, per estensione, chiunque protesta minacciando il
potere costituito), quindi privati di ogni legittimazione come “parte” di un conflitto con la quale sia
possibile negoziare. Quando essi chiedono la protezione del diritto internazionale, come ha fatto la
popolazione di Gaza, e fanno dei passi per far sì che gli attori statali rispondano delle loro azioni
illegali, stanno mettendo in atto ciò che Israele definisce “lawfare”, “manipolazione della legge”:
quando cioè i “terroristi” usano il diritto internazionale come arma contro le democrazie. La
campagna di Israele contro tale utilizzazione della legge tenta ovviamente di far passare gli attori
non statali per criminali, ma il termine “manipolazione della legge” meglio si addice a descrivere
proprio i tentativi di Israele di piegare il diritto internazionale ai propri interessi – una sorta di
manipolazione asimmetrica della legge per eliminare tutti gli ostacoli per gli Stati che cercano di
combattere contro i popoli.
La campagna è guidata da due eminenti figure israeliane. Uno è Asa Kasher, un professore di
filosofia e di “etica pratica” presso l’Università di Tel Aviv, autore del Codice di comportamento
dell’esercito israeliano. Sicuramente, affiancare un professore di etica all’esercito consente ad
Israele di poter rivendicare di possedere “l’esercito più morale del mondo”. La seconda figura è il
Generale Amos Yadlin, che fu a capo del Collegio di Difesa Nazionale dell’esercito, sotto i cui
auspici Kasher ed il suo “team” hanno elaborato il Codice di comportamento, ed è oggi capo
dell’Intelligence Militare.
Kasher asserisce con forza che è del tutto giusto e comprensibile che Israele conduca la campagna
per eliminare le protezioni di cui godono i civili non combattenti. “La questione decisiva”, dice, “è
come i paesi coinvolti si comportano. Noi in Israele siamo in una posizione chiave riguardo allo
sviluppo del diritto in questo ambito, poiché ci troviamo in prima linea nella lotta contro il
terrorismo. Ciò viene via via riconosciuto sia nel sistema giuridico israeliano sia all’estero….Quello
che stiamo facendo sta diventando legge. Vi sono concetti che non sono meramente giuridici, ma
contengono anche forti elementi etici.
Le Convenzioni di Ginevra si basano su centinaia di anni di tradizione delle corrette regole dei
conflitti. Esse erano adeguate al modello classico di guerra, in cui un esercito ne fronteggiava un
altro. Ma ai nostri tempi l’intero impianto delle regole di correttezza bellica è stato superato. Sono
in corso tentativi a livello internazionale di revisione delle regole, per renderle adeguate alla guerra
contro il terrorismo. Secondo le nuove disposizioni, esiste ancora una distinzione tra chi può essere
colpito e chi no, però con un approccio non così esplicito come in passato. Anche il concetto di
proporzionalità è cambiato… Io non sono abbastanza ottimista da credere che il mondo riconoscerà
a breve la leadership di Israele nello sviluppo di un diritto consuetudinario internazionale. La mia
speranza è che la nostra dottrina, con qualche modificazione, verrà incorporata in questi termini nel
diritto consuetudinario internazionale per regolamentare i conflitti e limitare i loro danni.”
Per garantirsi una base filosofica che consenta di scalzare i principi di distinzione e proporzionalità,
Kasher e Yadlin elaborano una “nuova dottrina di etica militare” fondata su una loro versione di una
“giusta dottrina bellica per combattere il terrorismo”. Sostanzialmente pongono gli Stati in
posizione di privilegio nei conflitti contro attori non statali, conferendo loro l’autorità di considerare
un avversario come “terrorista”, termine che non trova alcuna definizione condivisa nel Diritto
Umanitario Internazionale, con ciò quindi deprivandolo di ogni protezione giuridica. Definiscono
un “atto di terrorismo” come un’azione, condotta da individui o organizzazioni, non per conto dello
Stato, che ha lo scopo di uccidere o colpire delle persone, in quanto membri di una determinata
popolazione, per provocare terrore tra di essa (“terrorizzarla”), in modo da spingerla a cambiare il
regime o il governo vigente o le politiche messe in atto dalle istituzioni, sia per motivazioni
politiche che ideologiche (e anche religiose).
Se si eliminano le parole “non per conto dello Stato”, questa definizione di atto terroristico si adatta
perfettamente alla Dottrina Dahiya di Israele. Secondo il Generale Giora Eiland, gli attacchi contro
Israele verranno sventati affliggendo “la popolazione civile ad un punto tale che essa farà pressione
sui combattenti nemici.” Inoltre, ridurre una lotta popolare ad una serie di singole azioni rende
possibile definire “terrorista” l’intero movimento di resistenza, semplicemente sulla base di uno o
più atti specifici, senza tener conto della situazione o della giustezza della sua causa. Una volta fatto
ciò, diventa facile criminalizzare la resistenza non statale, poiché il terrorismo è, a detta di Kasher,
“assolutamente immorale.”
Gli sforzi di Israele per ottenere che le Guardie Rivoluzionarie iraniane fossero dichiarate
“organizzazione terroristica”, pur essendo un agente statale, mettono in luce la tendenziosità delle
definizioni filosofiche di Kasher e Yadlin, in quanto non rientrano nella dicotomia da essi creata di
“statale/non statale”. Che cosa infatti impedirebbe alla comunità internazionale di definire l’esercito
israeliano e diverse agenzie segrete israeliane, come il Mossad o lo Shin Bet (Servizi di Sicurezza),
“organizzazioni terroristiche”? Lo stesso Rapporto Goldstone è giunto alla conclusione che
l’offensiva israeliana contro Gaza nell’operazione Piombo Fuso fu “un attacco deliberatamente
sproporzionato finalizzato a punire, umiliare e terrorizzare una popolazione civile.”
Dopo aver delegittimato gli “atti di terrorismo” in base alla definizione da parte di uno Stato,
Kasher e Yadlin procedono con la legittimazione delle azioni statali, quali quelle intraprese da
Israele contro Hezbollah, Hamas e ovviamente tutta la resistenza palestinese, invocando
l’“autodifesa” – una rivendicazione che, in base alla Teoria della Guerra Giusta ed all’art. 51 della
Carta delle Nazioni Unite, solo uno Stato può avanzare. Per far questo, iniziano la narrazione degli
eventi che hanno condotto agli attacchi contro Gaza con le azioni che l’organizzazione “terrorista”
aveva perpetrato attraverso il lancio di razzi su Israele, senza minimamente considerare i 47 anni di
occupazione, i 25 anni di assedio, i 7 anni di regime di riduzione alla fame e gli attacchi contro
Hamas precedenti al lancio di razzi – o, per quel che conta, il diritto dei palestinesi a resistere contro
“l’oppressione, la dominazione e lo sfruttamento”.
Kasher e Yadlin danno anche per scontato che gli Stati non possono agire come terroristi –
semplicemente perché, in quanto Stati, hanno il “legittimo monopolio” dell’uso della forza. In
effetti, il “terrorismo dal basso” non statale, che tanto li preoccupa, impallidisce al confronto del
“terrorismo dall’alto”, il terrorismo di Stato. Nel suo libro “Death by Government” [Morte per
mano del governo], R. J. Rummel rivela che nel corso del ventesimo secolo circa 170.000 civili
innocenti sono stati uccisi da attori non statali, certo una cifra rilevante. Ma, aggiunge, nei primi 88
anni di quel secolo, quasi 170 milioni di uomini, donne e bambini sono stati uccisi, picchiati,
torturati, accoltellati, bruciati, uccisi per fame e per freddo, sterminati o sfruttati fino alla morte;
sepolti vivi, affogati, impiccati, bombardati o uccisi negli altri mille modi con cui i governi hanno
ammazzato cittadini e stranieri disarmati e indifesi. Il numero dei morti si potrebbe ipoteticamente
avvicinare ai 360 milioni di persone.
Ed il libro, scritto nel 1994, non considera lo Zaire, la Bosnia, la Somalia, il Sudan, il Rwanda, il
regno di Saddam Hussein, l’impatto delle sanzioni delle Nazioni Unite sulla popolazione civile
irachena e gli altri omicidi avallati dagli Stati, avvenuti dopo che Rummel ha riportato i suoi dati.
Non si dà conto nemmeno di tutte le forme di terrorismo di Stato che non sono letali: tortura,
incarcerazione, repressione, demolizione di case, riduzione alla fame, intimidazione ed altre ancora.
“Non neghiamo”, concede Kasher, “che uno Stato possa agire al fine di uccidere delle persone per
terrorizzare una popolazione, allo scopo di raggiungere degli obbiettivi politici o ideologici.”
Comunque, aggiunge, “ quando tali azioni vengono compiute in nome dello Stato o di una sua
agenzia ufficiale o segreta, applichiamo al conseguente conflitto i principi morali, etici e giuridici
che si ritiene comunemente siano relativi ai normali conflitti internazionali tra Stati o analoghe
entità politiche. In tale contesto, uno Stato che ha ucciso molti cittadini di un altro Stato per
terrorizzare la sua popolazione sarebbe colpevole di ciò che comunemente si considera un crimine
di guerra” ( corsivo aggiunto).
La notazione di Kasher – “uno Stato che ha ucciso molti cittadini di un altro Stato per terrorizzare la
sua popolazione” – non si riferisce assolutamente ad uno Stato che terrorizza i propri cittadini, ed
esclude Israele, in quanto la popolazione terrorizzata di Gaza non appartiene ad un altro Stato.
La strategia israeliana di “lawfare” consiste nel perpetuare azioni illegali continuando a giustificarle
con la “nuova etica militare”. “Se fai una cosa abbastanza a lungo”, dice il Colonnello Daniel
Reisner, ex capo del Dipartimento Legale dell’esercito israeliano, “il mondo la accetterà. L’intero
diritto internazionale si basa oggi sul concetto che un’azione attualmente vietata può diventare
lecita se attuata da un numero sufficiente di paesi….Il diritto internazionale procede attraverso
violazioni. Abbiamo inventato la teoria delle uccisioni mirate (le uccisioni extragiudiziali sono
consentite quando è necessario fermare una determinata operazione contro i cittadini israeliani e
quando il ruolo ricoperto dalla vittima è determinante per l’operazione), e abbiamo dovuto
sostenerla. Otto anni dopo, essa si inserisce all’interno dei confini della legalità”. Kasher sostiene:
“Quanto più spesso gli Stati occidentali applicano i principi ideati da Israele alle loro guerre non
tradizionali, come in Iraq e Afghanistan, tanto maggiore è la possibilità che questi principi diventino
una componente importante del diritto internazionale.”
Alcuni anni fa, nel 2005, il Jerusalem Post pubblicò un’intervista rivelatrice con un “esperto di
diritto internazionale” israeliano, che, chiedendo di restare anonimo, spiegò:
“Il diritto internazionale è il linguaggio del mondo ed è più o meno il criterio con cui oggi
valutiamo noi stessi. E’ la lingua franca delle organizzazioni internazionali. Perciò, se si vuole far
parte della comunità internazionale, bisogna stare al gioco. Ed il gioco funziona così. Finché
rivendichi di operare all’interno del diritto internazionale e presenti una ragionevole
argomentazione del perché ciò che fai rientra nell’ambito del diritto internazionale, sei a posto. E’
così che funziona. E’ una visione molto cinica di come va il mondo. Quindi, anche se sei
innovativo, o addirittura se sei un po’ radicale, finché riesci a fornire una spiegazione interna a quel
contesto, la maggior parte dei paesi non ti accuserà di crimini di guerra.”
Questa è un’altra questione seria. Quando Israele esporta la sua occupazione – i suoi armamenti e le
sue tattiche di repressione – a volonterosi acquirenti quali gli eserciti, le agenzie di sicurezza e le
forze di polizia di Stati Uniti ed Europa, esporta anche la sua esperienza giuridica nella
manipolazione del Diritto Umanitario Internazionale e le sue efficaci tecniche di propaganda. La
stessa Gaza rappresenta poco più di un terreno di sperimentazione per questi vari strumenti di
repressione. E’ la globalizzazione di Gaza il cardine dell’export israeliano. Le esportazioni, del
resto, necessitano di personale locale per confezionare il prodotto e creargli un mercato
nell’economia locale. Perciò, B’nai Brith negli Stati Uniti ha lanciato “Il Progetto Lawfare” con lo
slogan “Proteggiamoci dalla politicizzazione dei Diritti Umani” http://www.thelawfareproject.org,
la cui strategia principale è arruolare esperti legali per delegittimare i tentativi di mettere sotto
accusa Israele per i suoi crimini nell’ambito del Diritto Umanitario Internazionale.
Globalizzare Gaza in termini militari e giuridici fa sorgere lo slogan “siamo tutti palestinesi” dal
livello di solidarietà politica ad una letterale autenticità. Il suo corollario inoltre mette in luce un
elemento chiave della politica internazionale, di cui dobbiamo essere profondamente consapevoli: i
nostri governi sono tutti Israele.
Torna a Guerra
2.21 Il messaggio di Israele ai Palestinesi: Sottomettetevi, andatevene o morite.35
L’iniziativa di Kerry [per arrivare a una tregua duratura. N. d.Tr.] può essersi conclusa con un
pigolio invece che con un botto, ma il suo impatto sulla guerra israelo-palestinese è stato
significativo e fondamentale. La fine del processo politico [per una pace duratura], quanto mai
inutile, ha prodotto il collasso dello statu quo come lo abbiamo conosciuto nei 47 anni passati. Ha
messo in moto una serie di eventi che [ci costringerà] a confrontarci con due dure alternative che
riguardano Israele e Palestina: o uno stato di prigionia permanente di un’intera popolazione o il
sorgere di un unico Stato democratico.
Entrambe le reazioni vistosamente sproporzionate al rapimento e all’uccisione dei tre ragazzi
israeliani e, come ho scritto, i raid aerei su Gaza nel loro complesso sono stati presentati da Israele
come operazioni militari: operazione “Custodia dei Fratelli”, e operazione “Margine Protettivo”.
Nessuna delle due ha avuto niente a che vedere con le supposte origini delle stesse, cioè la ricerca
dei ragazzi o il lancio di missili da Gaza. Le città palestinesi che dovrebbero godere dello status di
extra territorialità sono state invase durante l’operazione “Custodia dei Fratelli”, più di 2000 case
sono state perquisite e circa 700 persone arrestate.
Chi conosce la devastazione compiuta a Gaza – 100 morti in più di 1100 attacchi aerei fino ad ora36
la maggior parte civili, in base ai reportage; pesanti bombardamenti delle comunità notte e giorno
degli F-15 forniti dagli americani, e dell’artiglieria da terra e da mare equivalenti a una tortura
collettiva; il ministro degli Esteri israeliano che chiede l’interruzione completa [della rete] elettrica
e idrica minacciando inoltre la distruzione totale delle infrastrutture di Gaza; la prospettiva che
quasi due milioni di persone che sono permanentemente imprigionate,vengano ridotte a una
esistenza misera ai limiti dell’inedia.
Quello che risulta chiaro è che le operazioni militari hanno avuto un obiettivo prefissato, che
sarebbero iniziate indipendentemente [dai motivi addotti], che si stava solo aspettando un pretesto.
Dovevano essere messe in atto per riempire il vuoto lasciato da Kerry . “ Il blocco” era necessario -
e era chiaro che l’Autorità palestinese, che ha avuto [a disposizione] diversi mesi per prendere
un’iniziativa che avrebbe rafforzato la posizione dei palestinesi, non lo avrebbe fatto benché Martin
Indyk , il capo negoziatore degli americani e ex leader dell’AIPAC [ la potente lobby ebraica
americana filo israeliana n.d.t.], abbia individuato chiaramente in Israele il responsabile del
fallimento dei colloqui.
Infatti la fine dell’iniziativa di Kerry ha segnato il culmine di una campagna pluridecennale,
sistematica e determinata, per eliminare la soluzione a due Stati.
Fin dall’ 1967, i governi israeliani che si sono succeduti hanno ufficialmente negato che vi fosse
35 Jeff Halper da ICAHD, 11 luglio 2014.36 Numero di morti al 11 luglio, data della stesura del testo riprodotto sul sito dell'Icahd il 22 agosto; dopo
50 giorni i morti sono stati 2142. [n.d.t.]
perfino un’occupazione, asserendo che, dal momento che i palestinesi non hanno mai avuto un
proprio Stato, non potevano avere rivendicazioni nazionali sul territorio. Il partito Laburista si
oppose all’effettiva applicabilità della Quarta Convenzione di Ginevra che protegge le popolazioni
civili che si trovano a subire un governo ostile senza avere strumenti di autodifesa - e che è stata
promulgata specialmente con lo scopo di assicurare la protezione negata agli ebrei durante
l’Olocausto. [Il partito Laburista] quindi si è imbarcato nel progetto di costruzione delle colonie,
che ora ammontano a circa 200, in palese violazione del diritto internazionale che proibisce a una
potenza occupante di trasferire la propria popolazione civile in un territorio occupato.
Effettivamente il partito Laburista (la “sinistra sionista”) ha maggiori responsabilità nella
liquidazione della soluzione dei due Stati di quante ne abbia il Likud [partito di destra n.d.t.] di
Begin, Sharon e Netanyahu. È stato il partito Laburista che ha governato quasi tutti i sette anni
durante il periodo del processo di pace di Oslo, e che ha scelto di raddoppiare la popolazione dei
coloni israeliani durante quel periodo. Il partito Laburista ha prodotto la frammentazione del
territorio palestinese in piccole enclaves impoverite. Il partito Laburista ha imposto un’economia
chiusa e ostacoli al movimento dei palestinesi in questi ultimi 21 anni, e il partito Laburista - non il
Likud, che in verità si oppose al progetto - ha iniziato la costruzione della Barriera di separazione, il
muro dell’apartheid.
Il Likud , ovviamente, è stato un partner volenteroso, come lo furono tutti i partiti laici e religiosi
dal centro all’estrema destra, ma è toccato a Netanyahu il compito di uccidere la soluzione a due
Stati una volta per tutte. Il primo passo è stato di porre fine all’iniziativa di Kerry e a chiunque
l’avesse proseguita. Netanyahu l’ha fatto alzando le proprie richieste a livelli inaccettabili. Ha
dichiarato che i palestinesi avrebbero dovuto rinunciare alle loro rivendicazioni nazionali e ai diritti
civili riconoscendo Israele come Stato ebraico, e [Netanyahu] ha sostenuto che Israele avrebbe
tenuto per sempre Gerusalemme Est, la valle del Giordano, e i maggiori blocchi di colonie ( circa
un terzo della Cisgiordania), come anche l’acqua e le risorse di gas naturale, il campo elettro-
magnetico del paese ([cioè] le comunicazioni) e tutto il suo spazio aereo.
Ha lasciato ai palestinesi meno di un Bantustan, non sostenibile e non sovrano, una prigione
formata da 70 isole della Zona A e B della Cisgiordania, ghetti a Gerusalemme “Est”, enclaves
strettamente comprese dentro Israele e la gabbia che è Gaza - metà della popolazione del territorio
tra il Mediterraneo e il fiume Giordano confinata in dozzine di isole sul 15% della Palestina storica.
Le operazioni “Custodia dei fratelli” e “Margine Protettivo” rappresentano l’imposizione di un
regime di reclusione, il vero e proprio imprigionamento di un intero popolo. L’apparente cieca e
barbara distruzione e l’odio scatenato contro i palestinesi nelle scorse settimane non è
semplicemente un altro “ciclo di violenze” in un conflitto senza fine. Si tratta dell’affermazione di
una nuova realtà politica. Il messaggio è chiaro, unilaterale e definitivo: questo paese è stato
ebraicizzato, ora è la Terra di Israele che sta per essere inglobata nello Stato di Israele. Voi arabi ( o
“palestinesi”, come vi definite) non siete un popolo, e non avete diritto a [rivendicazioni] nazionali,
sicuramente non nei confronti del nostro paese esclusivamente ebraico. Voi non siete una “parte” in
un “conflitto”.
Una volta per tutte dobbiamo togliervi dalla testa che noi stiamo davvero negoziando con voi. Non
lo abbiamo mai fatto e non lo faremo mai. Non siete altro che dei carcerati chiusi in cella, e con ciò
dichiariamo attraverso le nostre azioni militari e politiche che voi avete tre alternative davanti a voi:
potete sottomettervi come prigionieri, come vi è richiesto in quanto prigionieri, nel qual caso vi
permetteremo di rimanere nelle vostre enclaves-prigioni. Potete andarvene, come hanno fatto prima
di voi centinaia di migliaia [di persone ]. Oppure, se scegliete di resistere, morirete.
La reclusione è peggio dell’apartheid. Non pretende nemmeno di trovare un contesto politico per
“uno sviluppo separato”, semplicemente imprigiona gli oppressi privandoli dei loro diritti collettivi
e individuali. È l’ultimo sistema di oppressione prima di un effettivo genocidio, e con ciò sottrae
alle persone la propria identità, la propria terra, la propria cultura e la propria capacità di riprodurla,
è un sistema di genocidio culturale che può portare al peggio. Questo è quello che Israele ha lasciato
ai Palestinesi, questo è il significato dei bombardamenti su Gaza, del terrorizzare la Cisgiordania - e
la continua distruzione delle case beduine e palestinesi all’interno di Israele.
Assumendo che l’apartheid e la reclusione sono soluzioni assolutamente inaccettabili e, infatti, sono
fondamentalmente insostenibili, che producono ancor più violenze e conflitti nell’esplosivo Medio
oriente, Israele ci ha lasciato una sola via di uscita praticabile, giusta e duratura: uno Stato unico
democratico in Palestina/Israele che garantisca i diritti collettivi e individuali di tutti i suoi cittadini.
Questo è quello per cui dobbiamo lottare. Le operazioni militari israeliane segnano l’inizio del
collasso dell’occupazione. Spetta alla società civile palestinese, insieme ai suoi partner della sinistra
critica israeliana, proporre urgentemente come dovrà essere questo Stato e, garantendo a ciascuno
un ruolo nel suo futuro su questo territorio e cominciare la lotta per realizzarlo. Nonostante le
sofferenze del momento, l’ opinione pubblica mondiale ci appoggia. Solo la nostra mobilitazione
concreta sconfiggerà la reclusione.
Torna a Guerra
2.22 Il messaggio palestinese a Israele: trattaci in modo corretto. O scompari.37
Fino all’operazione “Margine Protettivo”, la maggior parte dei “messaggi” relativi al conflitto
israelo-palestinese, sicuramente quelli che hanno prevalso nei mass media più importanti, sono
arrivati da parte israeliana. Fin dall’inizio ufficiale del sionismo in Palestina, circa 110 anni fa, la
comunità ebraica, sia come pre –Stato Yishuv sia costituitasi come Stato di Israele, non ha mai
preso sul serio i palestinesi. Erano nativi con la pelle scura avvolti in modo sinistro nelle kefia,
fedayn o terroristi senza nome, storia o umanità, una minaccia esiziale sotto la definizione di
“arabi”. Nel 1967, quando Israele si è trovato finalmente faccia a faccia con una società palestinese
organizzata, visibile e consapevole, l’idea di parlare con loro non è stata neanche presa in
considerazione dai dirigenti israeliani. Hanno preferito prendere tutta la terra e le risorse che
volevano dalla Cisgiordania e “restituire” la popolazione palestinese alla Giordania. (Nessuno
finora in Israele aveva la più pallida idea su cosa fare con Gaza, salvo isolarla). Un primo ministro,
Golda Meir, ha persino negato con veemenza e con scherno che esistesse un popolo “palestinese”.
Nessun governo israeliano ha riconosciuto i diritti nazionali del popolo palestinese
all’autodeterminazione nel suo stesso paese, persino in uno stretto, monco Stato su parti dei
Territori occupati. Nei giorni più luminosi del “processo di pace” di Oslo tutto quello che un
governo del partito laburista e del Meretz ha accettato di fare [è stato] riconoscere l’OLP come un
partner negoziale.[Tale governo] non ha mai accettato l’idea di uno Stato palestinese veramente
sovrano e vitale, anche se smilitarizzato e che sorgesse solamente su un quinto della Palestina
storica.
Indubbiamente il popolo palestinese ha resistito e, quando ha potuto, ha cercato di negoziare. La
loro dirigenza era spesso debole, ma dobbiamo ricordare che dal 1948, quando il nascente esercito
israeliano andava di villaggio in villaggio con registri che contenevano i nomi di quelli che
dovevano essere assassinati, fino al tentato omicidio di Muhammed Deif pochi giorni fa, Israele ha
condotto una sistematica campagna di eliminazione, con uccisioni ed incarcerazioni, di ogni
palestinese che mostrasse una reale o potenziale leadership. Timorosi che dando credito ad un
processo di pace palestinese avrebbero pregiudicato le loro pretese esclusive legittimando una
controparte palestinese, gli israeliani hanno dimenticato e deciso qualsiasi approccio palestinese nei
loro confronti. Chi ricorda, per esempio, le toccanti parole di Yasser Arafat durante le (infruttuose)
conclusioni dei negoziati di Wye Plantation nel 1998? E’ stato quando Netanyahu ha deciso di
bloccare gli accordi a proposito del ritiro israeliano in Cisgiordania e il suo ministro degli esteri
Sharon ha pubblicamente invocato i coloni di “prendersi ogni cima di collina”. Ciononostante, nella
conferenza stampa conclusiva, senza nulla da guadagnare e senza essere obbligato Arafat disse:
“Io sono molto fiducioso di stare parlando a nome di tutti i palestinesi quando vi assicuro che
siamo tutti impegnati per garantire la sicurezza di ogni bambino, donna e uomo israeliani. Farò
tutto il possibile in modo che nessuna madre israeliana si dovrà preoccupare se il proprio figlio o
37 Jeff Halper da Mondoweiss.net, 28 agosto 2014.
figlia arriverà a casa tardi, o che ogni israeliano si spaventi quando sente un’esplosione.”
I messaggi di pace, sicurezza e, certo, giustizia, sono sempre stati sepolti dalla propaganda di
Israele. Proprio a quello stesso incontro di Wye Plantation, Sharon si rifiutò platealmente di
stringere la mano di Arafat davanti alle macchine fotografiche. “Stringere la mano di quel cane?”
disse ai giornalisti, "Mai!“
Mahmud Abbas ha avuto qualcosa di meglio [ma molto] poco da Sharon o Netanyahu, nonostante
ripetuti incontri filmati in televisione con studenti israeliani, membri della Knesset e chiunque altro
volesse ascoltare i suoi appelli di pace, persino al prezzo di cedere parti di Gerusalemme est e alcuni
importanti insediamenti di coloni. Abbas e la sua Autorità Nazionale Palestinese hanno la loro parte
di responsabilità a questo proposito. Per ragioni sue Abbas ha fatto tacere i suoi portavoce [con
ragionamenti] più articolati, ha riempito i posti della diplomazia con i suoi per lo più inefficaci
incompetenti politici e reso quasi impossibile ai giornalisti avere informazioni o risposte – tutto ciò
in contrasto con i decantati esperti della propaganda a favore di Israele e le sue legioni di
professionisti [abili nella tecnica] dell' interpretazione. In conseguenza di ciò, c’è stato poco spazio
per rendere note in modo ufficiale le ragioni dei palestinesi. Ciò che ha salvato la situazione finora
sono stati gli sforzi dei sostenitori della causa palestinese nella società civile: i collaboratori di
Electronic Intifada, gli efficaci attivisti ed accademici palestinesi su al Shabaka [sito informativo
palestinese. N. d. Tr.], iniziative e attività iniziate nei campus dagli "Studenti per la Giustizia in
Palestina" (SJP) e la miriade di analisti, militanti e organizzazioni della società civile internazionale,
compresi gli israeliani critici, senza dimenticare il crescente movimento per il BDS [Boicottaggio,
Disinvestimento e Sanzioni].
E’ parso che ciò cambiasse improvvisamente quando, il 26 agosto, Israele ha annunciato di aver
accettato una tregua permanente senza condizioni previe, seguito da un mese di negoziati sui
problemi relativi ai gazawi - apertura delle frontiere, ricostruzione con supervisione internazionale,
la ricostruzione del porto e dell’aeroporto, fine delle restrizioni alla pesca da parte dei palestinesi e
della coltivazione della terra nella “zona cuscinetto”, la riapertura del “passaggio sicuro” verso la
Cisgiordania, liberazione dei prigionieri ed altre. Hamas, che ha guidato lo scontro con Israele, ha
fatto attenzione a non slegare Gaza dalla più complessiva lotta per i diritti nazionali dei palestinesi.
E’ stato Abbas che ha annunciato la tregua, non Khaled Meshal o Ismail Haniye, sottolineando che
la lotta era dei palestinesi, non solo dei gazawi. Di fatto, benché Netanyahu abbia iniziato
l’operazione “Margine Protettivo” con un occhio alla distruzione del governo di unità palestinese
tra Fatah e Hamas, ha finito per rafforzarlo. Hamas è emerso come il beniamino del popolo
palestinese, almeno per quanto lontano la resistenza possa andare. È stato annunciato che Hamas e
la Jihad Islamica avrebbero aderito all’OLP. E, per raggiungere una sorta di relazione accettabile
con l’Egitto, Hamas ha ridotto la propria immagine di appartenenza alla Fratellanza Musulmana
pan-islamica a favore di quella esclusivamente palestinese.
Inoltre è passato il messaggio di Hamas, l’unico che non solo si scontra con l'occupazione israeliana
ma che da ciò ha colto l’iniziativa politica. In contrasto stridente con Abbas, che ha dichiarato
“sacra” la collaborazione con Israele in materia di sicurezza e che accetta passivamente il controllo
effettivo di Israele nell’Area C, cioè il 60% della Cisgiordania dove [si trovano] le colonie, la
massiccia rete di autostrade israeliane e il Muro di separazione che decretano la fine della soluzione
dei due Stati, Hamas ha mandato un messaggio chiaro e forte a Israele: non ci vogliamo
sottomettere neanche se ci uccidete. Trattateci in modo giusto – o sparite.
Certo, persino nel suo momento di gloria – un commentatore televisivo israeliano ha ironicamente
fatto osservare questa settimana che “non ci sarà una Guerra dei Sei Giorni”, e i sondaggi mostrano
che il 59% degli israeliani non crede che Israele abbia vinto – Hamas ha lasciato la porta aperta alla
soluzione dei due Stati. La loro posizione, come la intendo io e come emerge dal documento della
conciliazione nazionale dei prigionieri del 2006, è sfumata ma corretta e coerente. Hamas e la Jihad
Islamica rifiutano radicalmente la legittimità di Israele, vedendolo come uno Stato colonialista di
insediamento, e quindi rifiutano ogni negoziato e di conseguenza ogni riconoscimento. Detto ciò, se
altri partiti palestinesi (per esempio Fatah) intavolano negoziati con Israele ed il risultato è il ritiro
totale dai Territori occupati basato su condizioni che permettano la formazione di uno Stato
palestinese realmente sovrano e sostenibile, e se questo risultato fosse approvato da un referendum
di tutti i palestinesi nel mondo, Hamas e Jihad lo rispetterebbero come voce del popolo palestinese.
Perciò, pur negando in linea di principio la legittimità di Israele, Hamas ha accettato di formare un
governo di unità che accetta la soluzione dei due Stati – abbastanza per il governo di Netanyahu per
cercare di toglierlo di mezzo. Quindi il messaggio di Hamas dopo l’operazione “Margine
Protettivo” a Israele: trattateci con giustizia – o sparite. Questa è la vostra ultima possibilità.
L’alternativa alla soluzione dei due Stati, che pochi palestinesi credono ancora possibile, e a
ragione, è uno Stato unico. Che agli occhi della sinistra palestinese è uno Stato democratico, una
situazione simile a quella algerina, in cui i colonialisti se ne vanno, nella visione di Hamas e Jihad.
Ciò dovrebbe far riflettere Israele, benché ironicamente sia Israele che ha eliminato la soluzione dei
due Stati ed ha lasciato un solo Stato – uno Stato di apartheid secondo tutti i governi israeliani,
compreso quelli del partito Laburista – come l’unica soluzione rimanente. Perciò, proprio il mese
scorso Netanyahu ha detto pubblicamente: ”Non ci può essere una situazione, in qualsiasi accordo,
nella quale noi rinunciamo al controllo della sicurezza dei territori ad ovest del fiume Giordano.”
Per 110 anni “il sionismo reale” ha creduto di poter colpire i nativi, di poter ebraicizzare la Palestina
e, con il suo Muro d’acciaio metaforico e concreto, di provocare negli “arabi” la perdita di speranza
nel fatto che la Terra di Israele potesse mai diventare Palestina.
Bene, Israele ha fatto del suo meglio. Dopo essersi impossessato di quasi tutte le terre, espellendo la
maggior parte dei palestinesi, imprigionandoli ed impoverendoli in piccole aree sia in Israele che
nei Territori Occupati, dopo aver sepolto la presenza e il patrimonio [culturale] palestinese sotto
città, villaggi, kibbutz e parchi nazionali esclusivamente israeliani, dopo aver assassinato i loro
dirigenti e lasciato i loro giovani senza un futuro, adesso scatena in pieno la forza di uno degli
eserciti meglio equipaggiati al mondo contro due milioni di povera gente che vive in un’area delle
dimensioni di Mobile, in Alabama. Più di duemila morti a Gaza, 12.000 feriti. Circa 20.000 case
distrutte, 475.000 sfollati. Sei miliardi di dollari di danni a edifici ed infrastrutture. E per cosa?
Israele dovrebbe aver finalmente scoperto quali sono i limiti della forza e della violenza. Dopo aver
fatto quello che voleva per più di un secolo – e, è vero, avendo inflitto colpi devastanti ai
palestinesi, come Netanyahu e l’esercito israeliano hanno sostenuto orgogliosamente – Israele ha
guadagnato una cosa: un’opportunità, prima che sia troppo tardi, di imparare che i palestinesi non
possono essere schiacciati militarmente, che Israele stesso non sarà mai sicuro e non potrà vivere
normalmente per quanti “colpi” possa infliggere ai palestinesi, finché continuerà a mantenere
l’occupazione. Quindi, nonostante la sua virulenza, è possibile che scompaia se non tratta con
giustizia i nativi.
Pare che finalmente Abbas abbia capito il messaggio. Adesso egli rifiuta ulteriori inutili negoziati
con Israele e con gli USA in qualità di mediatori, preferendo che l’ONU fissi una scadenza per il
ritiro israeliano, e forse rivolgersi alla Corte Penale Internazionale. Probabilmente Hamas impedirà
che si tiri indietro. Forse Israele non capirà mai il messaggio, la sua arroganza lo rende cieco alle
trasformazioni radicali nel panorama geopolitico, specialmente tra i popoli del mondo. Ma si sta
profilando il collasso. Forse più lentamente che nel caso dell’apartheid sudafricano, dell’Unione
sovietica, dell’Iran dello Scià o dell’Egitto di Mubarak, ma non di meno può avvenire. Avendo
perso il potere di deterrenza, Israele dovrà trattare in modo giusto i palestinesi o altrimenti sparire.
Torna a Guerra
2.23 Mi mancano i miei amici di Gaza38
Dopo sette settimane di inferno, il mio cuore va a quei bambini a distanza di un'ora di macchina
che Israele mi impedisce di veder crescere.
L'incubo è passato. Non [succede] più di svegliarsi con un senso di pesantezza tra i rumori
38 Amira Hass da Haaretz, 1 settembre, 2014.
mattinieri di Ramallah – l' ambulante di panini al sesamo che vende la sua merce, i poliziotti in
lontananza che finiscono la loro esercitazione cantando l'inno nazionale, il rumore fuori dalla
finestra del motore di una betoniera di proprietà della società “Tarifi Ready Mix Concrete”.
Non svegliarsi più con la paura che durante la notte qualcuno dei miei amici o dei loro parenti e
conoscenti sia stato colpito a Gaza. Non venire più a sapere che la casa di qualcuno sia stata
bombardata o danneggiata, o che le persone abbiano dovuto abbandonare in fretta e furia [la loro
casa] dopo una telefonata dall'esercito israeliano che li informava che l'edificio accanto stava per
saltare in aria.
Non più ricerche affannose sui siti di informazione [per conoscere] i nomi dei quartieri che erano
stati appena bombardati- per sapere se debba temere adesso per un paio d'ore che il peggio sia
accaduto ai miei cari. E tutto questo succede in un tempo e in un luogo dove le cose terrificanti
inimmaginabili accadono a ognuno in continuazione.
Nessun bisogno di aspettare con impazienza [il momento] più adatto della mattinata per iniziare il
mio giro quotidiano di telefonate- una specie di macabro inventario: chi è vivo, quante intere
famiglie sono state bombardate nelle loro case durante la notte.
La paura aleggia nelle frasi cortesi che i gazawi dicono nonostante i bombardamenti: “ Come stai?
E la salute? Inshallah, grazie a Dio, stai bene.” Queste voci rivelano apatia.
Ora posso scrivere della pesantezza, del peso che per sette settimane mi ha accompagnata, giorno
dopo giorno, momento dopo momento, senza cadere nella trappola del narcisismo.
Il mio cuore va ancora a quei bambini a distanza di un'ora di macchina che Israele mi impedisce di
veder crescere. Il mio cuore va a loro senza timore di rodermi a ogni pensiero.
Il mio cuore va a Tayeb, che “è scappato via”(è stata sua madre Fatima che ha scelto quel verbo con
una tipica autoironia) a casa della nonna materna nel campo profughi Al-Shati quando sono ripresi i
bombardamenti. Vi erano molti bambini della sua età con cui giocare così poteva astrarsi dai forti
scuotimenti dei muri e dei pavimenti a ogni esplosione delle bombe.
Il mio cuore va a Sireen, che suona l'oud e che ora può portare fuori in strada il suo strumento.
Durante la guerra, l'hanno avvertita di non portarlo fuori perché i droni dello Stato ebraico
l'avrebbero potuto scambiare per un razzo Qassam o qualcosa [di simile] e spararle un missile
mortale contro [colpendo] anche lei.
Il mio cuore va a Yousef, che non ha mai risposto al telefono, e a Yara molto birichina, che
rispondeva sempre: “ Tutto a posto. E tu”?
Va a Carmel, che di tutte le sorelle [è quella che] ha manifestato la sua paura, e che si aggrappava
sempre a suo padre da qualunque parte andasse nell'appartamento [quando] le finestre andavano in
frantumi.
Va a Amal Samouni, che avevo paura di chiamare per non sentire come stesse rivivendo il terrore
del 2009. ( Le truppe israeliane hanno ammazzato suo padre a casa loro, proprio davanti a lei. Più
tardi, su ordine dei soldati, si è trasferita in un edificio accanto con 100 dei suoi parenti. Un drone
ha colpito quell' edificio con missili su ordine del comandante della Brigata Givati Ilan Malka,
uccidendo 21 bambini, anziani , donne , uomini e adolescenti. Amal è rimasta ferita gravemente.)
Persone di laggiù a cui voglio bene.
L'incubo è passato, e il mio struggimento è tornato di nuovo quasi normale – non come la betoniera
nella pancia e in testa che stritola ogni parola familiare nel dizionario. Si tratta di struggimento nel
senso di affetto, amore, stima, vicinanza, ogni cosa che ho imparato e che sto imparando dagli
oggetti del mio desiderio.
Mi manca la folta capigliatura brizzolata di Bassam – Bassam che mi ha insegnato come guidare
[andando] contromano.( “Se il mondo è sottosopra, perché non guidare nel modo sbagliato?”)
Mi mancano le sgridate di sua madre a pranzo. (“ Cos'è questo- voi ebrei avete perso il lume della
ragione?” Lei e suo marito, entrambi sui 75 anni, hanno problemi di cuore e difficoltà di
deambulazione. All'inizio della guerra sono andati in pellegrinaggio alla Mecca e hanno insistito
per ritornare al campo profughi quando i bombardamenti avevano raggiunto una grande intensità.)
Mi manca Fawrat, con le sue fossette, che descrive la paura praticamente, come se fosse l'impasto
che mi aveva insegnato a fare anni e anni fa. Quello succedeva quando le demolizioni di case con i
bulldozer e non con le bombe facevano parte del nostro vocabolario.
Mi manca Abu Wissam, uno con i capelli rossi tra molti altri con quei capelli a Beit Lahia, e le sue
barzellette sui loro antenati crociati.
Mi manca l'ironia dei gazawi: “Vogliamo l'immediata ripresa delle trasmissioni della Coppa del
Mondo”; “Stiamo celebrando la vittoria – cosa ne pensate?”; “Un'altra vittoria come questa e Gaza
non ci sarà più”; “[il kibbutz] Bror Hayil fa il tifo per la squadra brasiliana? Noi tifiamo per
l'Argentina” - [sono] le frasi di rifugiati del villaggio di Bureir, sul cui territorio è situato il kibbutz,
che ha molti immigrati dal Brasile.
Mi manca Kauthar, ogni affermazione della quale è netta e ogni descrizione così chiara come se
l'uditorio stesse vivendo la storia da lei raccontata.
Mi manca Nihad, il razionale, le cui spiegazioni delle prediche o dei versetti del Corano sono così
chiare che perfino un ateo miscredente le capisce. E mi manca Subhiyah, i cui modi pacati di
spiegare le cose non nascondevano il suo ardore. L'adulazione e l'ipocrisia la disgustano e non
smette mai di protestare contro l'ingiustizia.
Mi manca Fakher, che non smette mai di insegnare, perfino quando dice soltanto che ha appena
fatto il caffè.
Mi manca Abd el – Hakim, che non ha risposto al telefono per tutte le sette settimane e al quale io
devo la mia prima lezione sull'economia dell'occupazione nel 1991.
Mi manca Iyad il cui cinismo è il più tenero che abbia mai incontrato.
Mi manca Majdi, l'astuto Majdi, come lo sono tutti i Majdalaw – quelli da Majdal o Ashkelon – che
sono noti per la loro furbizia, anche se nati nei campi profughi.
E mi manca Mustafa, il quale nel lontano 1993 mi disse nel momento che lasciavamo l'edificio della
Amministrazione Civile a Rafah, con i funzionari israeliani che si pavoneggiavano davanti ai nativi
come se fossero i padroni del mondo: “Non credere che ci stai davvero vedendo. Siamo solamente
una foto."
La sua frase è così precisa nella sua inesattezza. Dopo tutto, ciascuno di voi è un mondo dentro di
sé, sia uomo o donna.
La vostra umanità continua a guidarmi.
Torna a Guerra
3. Le conseguenze politiche ed economiche a Gaza e in Israele e ladiscussione sul bilancio della guerra.
I palestinesi di Gaza hanno dimostrato una sorprendente capacità di resistenza, sia militare che
civile, e ciò è dovuto ad una lunghissima storia di sofferenze (Farah, 3.1). Ma Israele, nonostante
la tregua, continua nella sua politica di oppressione e di repressione, sia contro Gaza che in
Cisgiordania (Hamilton, 3.2). Una giornalista israeliana pone alcune domande scomode ai
dirigenti di Hamas sulla pretesa vittoria contro Israele e sui suoi costi umani e materiali (Hass,
3.3). Israele indubbiamente non ha ottenuto il risultato di distruggere la resistenza armata a Gaza,
ma manca una strategia alternativa all'uso della forza militare per una giusta soluzione del
conflitto (Halper, 3.4). In campo palestinese, si riflette sugli errori commessi nelle precedenti
ricostruzioni della Striscia (Shaban, 3.5). Ci sono comunque timidi segnali di un allentamento del
blocco israeliano contro Gaza (Rapoport, 3.6). Tuttavia paradossalemnte sarà l'economia
israeliana a giovarsi della ricostruzione, in quanto il cemento utilizzato verrà comprato da una
ditta israeliana legata all'esercito (Mirenda, 3.7). A Gaza si tenta di tornare alla normalità, ma
l'inizio delle scuole si svolge all'insegna della precarietà e del sovraffollamento a causa delle
distruzioni (al-Helou,3.8), mentre, nonostante la tregua, i pescatori di Gaza sono ancora sotto tiro
(Zaanoun e Hassouna, 3.9). Nel suo discorso all'ONU Abbas ha tentato di recuperare una parte
della popolarità presso i palestinesi denunciando i crimini di Israele e minacciando di ricorrere
alla Corte Penale Internazionale (MME, 3.10), anche in vista delle elezioni locali e presidenziali
palestinesi, a cui Hamas ha deciso di presentare propri candidati, con buone possibilità di vittoria
(Omer, 3.11). Uno dei problemi più gravi è rappresentato dal sistema della sicurezza interna messo
in piedi dall'ANP, che rappresenta una fonte di reddito per i molti che vi lavorano, ma collabora
attivamente con la repressione israeliana in Cisgiordania e rischia di fare lo stesso a Gaza come
istituzione del governo di unità (Amrov e Tartir, 3.12). Ma anche in Israele la repressione del
dissenso si è notevolmente accentuata durante l'operazione "Margine Protettivo", come emerge da
un'intervista al politologo israeliano Zeev Sternhell (Weitz, 3.13), soprattutto nei confronti dei
palestinesi di cittadinanza israeliana (Newton, 3.14). Si sono comunque aperte delle falle nel
sistema di controllo e spionaggio israeliano, come dimostra la protesta di alcuni membri dell'unità
speciale 8200, che hanno svelato i metodi di controllo utilizzati contro i palestinesi (Levy, 3.15) e
che, rappresentando l'elite ashkenazita, mettono in luce un contrasto di fondo tra i privilegiati e la
massa con meno risorse e più legata alle politiche della destra (Sheizaf, 3.16). Infatti c'è un nesso
perverso che unisce le politiche sicuritarie ed finanziamenti all'esercito a scapito del welfare e
l'appoggio della stragrande maggioranza della popolazione israeliana all'occupazione dei territori
palestinesi (Hass, 3.17). Nei negoziati per Gaza, i palestinesi dovrebbero insistere per
l'eliminazione delle moltissime restrizioni al movimento delle persone dalla Striscia alla
Cisgiordania, in parte volute dalla stessa ANP e accettate da Hamas (Hass, 3.18). Un dato di solito
poco raccontato: i danni subiti dall'economia israeliana a causa della guerra e dell'imprevista
potenza militare dei gruppi armati palestinesi di Gaza, con imprevedibili conseguenze anche sul
piano politico interno (Ben-David, 3.19, Bendelac, 3.20 e Hever, 3.21). Una commissione
d'inchiesta con a capo un giurista di diritto internazionale molto prestigioso dovrebbe fare luce
sull'accaduto a Gaza, ma in ogni caso questa guerra ha messo in luce nuove contraddizioni della
situazione (Falk, 3.22).
3.1 Quali forze hanno formato i palestinesi di Gaza?39
"Abbiamo conquistato vaste zone, massacrando tutta la gente […] Dove potete fuggire? Quale
strada prenderete per sfuggirci? […] Il nostro cuore è duro come le montagne […] Non siamo
commossi dalle lacrime, né toccati dai lamenti. Solo coloro che invocheranno la nostra protezione
saranno salvi. […] Se resistete patirete le più terribili catastrofi. Noi distruggeremo le vostre
moschee e sveleremo la debolezza del vostro Dio, e allora uccideremo sia i vostri figli che i vostri
anziani. Al momento siete gli unici nemici contro i quali dobbiamo marciare."Lettera al sultano dell’Egitto Qutuz [inviata] da Hulagu, nipote di Genghis Khan. Qutuz rifiutò di arrendersi
e si riconciliò con Baibars, capo dei Mamelucchi. Insieme bloccarono l’avanzata dei Mongoli nella famosa
battaglia di ‘Ain Jalut, presso Nazareth, nel settembre del 1260.
Nelle descrizioni popolari, tra i palestinesi ed altri arabi, gli attacchi israeliani sono stati spesso
paragonati alle guerre contro i mongoli, o i tartari, durante i quali ogni distruzione era permessa e
niente era sacro.
Durante l’attacco israeliano contro Gaza nel luglio-agosto 2014 questi paragoni sono tornati con
brutalità. Niente è rimasto indenne dalle modernissime armi di Israele, compresi siti storici,
moschee e il porto di Gaza.
Ci sono altri paralleli contemporanei con la battaglia di ‘Ain Jalut del XIII° secolo che mettono in
39 Randa Farah da http://al-shabaka.org, settembre 2014.
luce sia la forza che la debolezza emerse durante la guerra di Israele contro i palestinesi di Gaza,
durata 50 giorni.
Paralleli con il passato
Il primo parallelo consiste nel fatto che i gruppi della resistenza palestinese a Gaza hanno rifiutato
in modo unanime di considerare il disarmo come parte dei negoziati per il cessate il fuoco,
nonostante abbiano subito, loro e la popolazione [civile], terribili morti e distruzioni. Ciò è
avvenuto al culmine dell’assedio quasi totale di Israele ai danni di Gaza fin dal 2007 e dopo i
precedenti attacchi che la popolazione di Gaza ha dovuto subire in questo decennio e le cui ferite
sono ancora da sanare. Il prezzo per i palestinesi è stato di 2.131 morti, dei quali 1.473 erano civili,
un numero stimato di 11.000 feriti, alcuni dei quali in modo grave, circa mezzo milione di persone
sono sfollate in un’area grande metà di New York.
Questa sorprendente resistenza è stata resa possibile dall’unificazione e dalla collaborazione tra le
fazioni palestinesi che si è evidenziata rapidamente dopo che l’attacco è iniziato e che ha unito, tra
gli altri, Hamas, Jihad Islamica, Fatah e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.
L’unità tra queste fazioni si è manifestata più tardi anche sul piano politico, nelle richieste unitarie
presentate dalla delegazione palestinese al governo egiziano che fungeva da mediatore durante i
negoziati del Cairo. Ancor più significativo è stato [il fatto che] la piccola, deliberatamente
impoverita e assediata Striscia sia stata in grado di infliggere un colpo umiliante all’esercito
israeliano, considerato il sesto più forte al mondo. Nell’operazione “Margine Protettivo” di luglio-
agosto è stato ucciso un numero di soldati israeliani molto maggiore che nelle precedenti operazioni
di Israele: 66 soldati (e sei civili) rispetto ai 10 dell’operazione “Piombo fuso” del 2008-09 e
all’unico [soldato ucciso] durante “Pilastro di difesa” nel 2012. Naturalmente la quantità di morti e
di distruzioni a danno dei palestinesi evidenzia il cinismo del nome che Israele ha dato alle sue
operazioni: chi, durante “Margine Protettivo”, aveva bisogno di essere protetto da chi?
Le fazioni della resistenza palestinese a Gaza non avevano gli armamenti [tali] da infliggere niente
che potesse raggiungere un livello di distruzione comparabile in Israele, ma la guerra ha lasciato i
suoi segni sull’economia israeliana e contribuirà senza dubbio a un’emigrazione da Israele che
attualmente è apertamente pubblicizzata.
Inoltre, nonostante la sua preponderanza militare, il governo israeliano non è stato in grado di
ottenere una vittoria decisiva contro i movimenti di resistenza gazawi, una debolezza che gli
israeliani hanno riconosciuto nei sondaggi successivi alla tregua. Al contrario, l’appoggio ad Hamas
e agli altri movimenti di resistenza si è incrementato nei territori palestinesi occupati: dopo
l’attacco, il doppio dei palestinesi (61%) afferma che voterebbe per il dirigente di Hamas Ismail
Haniye rispetto a quelli che voterebbero per il leader di Fatah Mahmoud Abbas.
La tenace resistenza da parte dei gruppi della resistenza palestinese a Gaza peraltro è minata non
solo dalla complessiva debolezza del movimento nazionale palestinese dentro e fuori la Palestina
storica, ma anche dalla risposta molto limitata da parte del mondo arabo, di per sé notevolmente
indebolito e frammentato da conflitti e divisioni. Il silenzio delle autorità arabe è ancor più stridente
se confrontato al crescente incremento dell’appoggio a Gaza nel resto del mondo e all’indignazione
verso lo spietato attacco contro un popolo che non ha nessun posto in cui scappare a causa
dell’oppressivo assedio mantenuto da Israele, come anche dall’Egitto.
Il recente passato dei palestinesi a Gaza
Quali forze hanno forgiato il popolo che ha ancora una volta resistito contro la potenza militare
israeliana, nonostante il grave costo che ciò ha comportato? I palestinesi di Gaza sono stati forgiati
dal peso e dalle ferite del loro recente passato. Oggi la maggioranza dei 1.701.437 palestinesi che
vivono a Gaza sono rifugiati sopravvissuti alla brutale pulizia etnica della Palestina nel 1948.
Questa prima ondata di espulsioni ha quadruplicato la popolazione di Gaza che all’epoca era di
270.000 persone. Le persone registrate come rifugiati dall’ Agenzia delle Nazioni Unite per i
rifugiati palestinesi (UNRWA) ha raggiunto nel giugno 2014 un totale di 1.328.351. Provengono da
cittadine della Palestina centro-meridionale, come Beersheba, Jaffa, Lydda, e villaggi come Al-
Faluja, Al- Manshiyyeh, Salama, Hamama, and Al-Batani, tra gli altri. Circa metà della popolazione
di rifugiati a Gaza prima della recente invasione israeliana viveva in uno degli otto campi di
rifugiati gestiti dall’UNRWA.
Parecchie generazioni hanno vissuto e sono morte in quei campi, in attesa di avere diritto al ritorno.
Tra il 1948 ed il 1967 l’Egitto ha governato Gaza in modo temporaneo e ha concesso alla
popolazione che ci viveva i documenti come rifugiati. Lo status legale dei palestinesi di Gaza che
hanno documenti egiziani è diverso rispetto a quello dei palestinesi della Cisgiordania, che hanno
ottenuto la cittadinanza giordana in seguito all’annessione da parte della Giordania all’inizio degli
anni ’50. Fino al 1967, soprattutto dopo che il dirigente nazionalista Gamal Abdel Nasser prese il
potere in Egitto, era relativamente facile circolare tra Egitto e Gaza. Attraversare la frontiera
divenne più difficile nel periodo neoliberale del successore di Nasser., Anwar el-Sadat, e così è
rimasto molto ridotto fino a oggi, durante il regime di Hosni Mubarak, la breve presidenza di
Mohammed Morsi e l’attuale regime di Abdel Fattah el-Sisi.
I palestinesi di Gaza hanno subito una storia di violenze brutali da parte di Israele. Per citare solo
uno degli attacchi più recenti, durante la triplice aggressione militare del 1956 da parte di Israele,
Gran Bretagna e Francia, Israele occupò Gaza fino al marzo 1957 e vi uccise tra i 275 e i 515
gazawi, molti dei quali erano civili, comprese alcune dozzine di persone che vennero messe al muro
e mitragliate a Khan Younis. La ferocia è continuata dopo l’occupazione di Gaza, della Cisgiordania
e di altri territori arabi nel 1967. Il defunto premier israeliano Ariel Sharon si è guadagnato uno dei
suoi soprannomi, “il Bulldozer”, per il modo in cui ha demolito la resistenza palestinese
all’occupazione di Gaza (un altro soprannome di Sharon era “il macellaio di Beirut”, che gli venne
attribuito durante l’invasione del 1982 e i relativi massacri).
Dal 1967 Israele ha impedito alla maggioranza dei palestinesi di Gaza che erano andati a visitare
[qualcuno], a studiare o a lavorare fuori [dalla Striscia] di tornare alle loro case, famiglie, e/o campi
di rifugiati a Gaza. Ha inoltre controllato rigidamente la loro possibilità di viaggiare alla e dalla
zona costiera. Chi aveva documenti egiziani per rifugiati ha incontrato discriminazioni in parecchi
paesi, anche arabi. L’UNRWA li ha classificati come “ex-gazawi”, e a quelli che sono finiti in paesi
come la Giordania dopo gravi sconvolgimenti nella regione, come l’invasione irakena del Kuwait
nel 1990, sono stati anche negati molti diritti, tra gli altri nel lavoro, nell’educazione e nei benefici
sociali e sanitari.
In quanto rifugiati apolidi, molti palestinesi di Gaza sono bloccati alle frontiere. Ciò è accaduto, per
esempio, a metà degli anni ’90, quando la Libia espulse circa mezzo milione di lavoratori egiziani
così come 30.000 palestinesi per protestare contro gli accordi di pace israelo-palestinesi. A quel
tempo l’Egitto non permise ai palestinesi di Gaza di attraversare la sua frontiera, e la Libia non
consentì loro di tornare. E, ovviamente, molti sono profughi interni a Gaza in seguito agli attacchi
israeliani. Attualmente, da quando il suo assedio a Gaza è stato rafforzato in seguito alla vittoria di
Hamas nelle elezioni legislative del 2006, Israele continua a controllare i cieli, il mare ed i confini
terrestri di Gaza, compreso il valico di Rafah, che sorveglia indirettamente grazie alla
collaborazione dell’Egitto. Dopo che è stata raggiunta l’ultima tregua tra Israele e i palestinesi in
agosto, Israele ha continuato ad attaccare, come nel passato, i pescatori in mare e gli agricoltori
nella zona cuscinetto vicino al confine, unilateralmente dichiarata all’interno di Gaza, e che
rappresenta il 17% della terra della Striscia.
Gaza 2014
La resistenza palestinese a Gaza nel 2014 deve essere vista nel più vasto contesto regionale. E’
avvenuta quando le rivolte arabe, che, iniziate con la promessa della primavera del 2011, sono finite
in un inverno mortale. Gli Stati arabi come la Siria, l’Iraq e la Libia sono stati distrutti dall’interno
quando violenti gruppi reazionari hanno preso il sopravvento sulle richieste popolari di una riforma.
Le potenze occidentali, compreso Israele, continuano ad alimentare le divisioni etniche e religiose
che stanno smantellando gli Stati-nazione e fanno a pezzi la moderna mappa del Medio Oriente che
loro stessi hanno imposto all’inizio del XX° secolo.
Premesso che le dinamiche regionali influenzano la politica palestinese, è vero anche il contrario.
Una chiara e unitaria strategia palestinese che comprenda differenti forme di resistenza e una forte
unità nazionale avrebbe effetti sul mondo arabo. Ciò dovrebbe riportare il centro della lotta dove
dovrebbe essere: contro l’asse Stati Uniti-Israele in quanto [si tratta di] un reale pericolo per la
regione e per la Palestina, luogo centrale della lotta. L’Organizzazione per la Liberazione della
Palestina/ Autorità Nazionale Palestinese deve rompere definitivamente con gli accordi di Oslo e
porre fine alla collaborazione con Israele in materia di sicurezza. Ora che la maggior parte delle
fazioni palestinesi ha accettato di firmare lo Statuto di Roma e di rivolgersi alla Corte Penale
Internazionale, non ci sono scuse per non andare avanti.
Gaza rimarrà, come un’eco della [battaglia] di ‘Ain Jalut, “l’unico nemico” contro il quale Israele
deve marciare, o le battaglie del 2014 sono il presagio di un nuovo capitolo di cambiamenti storici e
strategici? I primi segnali del periodo successivo alla tregua non sono incoraggianti, con scambi di
accuse tra le autorità di Ramallah e quelle di Gaza che minacciano l’accordo di riconciliazione. Ma
c’è da sperare nella crescente forza della società civile palestinese e nel movimento di solidarietà
internazionale, che rimane concentrato sul garantire l’autodeterminazione palestinese in modo da
ottenere libertà, giustizia e uguaglianza.
Randa Farah è professore associato presso il dipartimento di antropologia dell’università
dell’Ontario occidentale. La dott.ssa Farah ha scritto sulla memoria popolare palestinese e sulla
ricostruzione dell’identità in base al suo lavoro di ricerca in un campo di rifugiati in Giordania. E’
stata ricercatrice associata presso il Centro di Studi e Ricerche sul Medio Oriente Contemporaneo
(CERMOC) in Giordania, dove ha condotto ricerche sui rifugiati palestinesi e l’Agenzia dell’Onu
per i rifugiati palestinesi (UNRWA). Ha ricoperto varie funzioni come Visiting Fellow e ricercatrice
associata presso il Centro Studi per i rifugiati (RSC) dell’università di Oxford.
Torna a Conseguenze
3.2 Dopo la Tregua.40
Il 26 agosto è stato raggiunto un accordo di tregua tra Israele e Hamas, ponendo una fine precaria a
una guerra che ha causato la morte di 2.150 palestinesi (in maggioranza civili) e di 73 israeliani (in
maggioranza soldati). Da allora Hamas non ha lanciato nemmeno un razzo, non ha attaccato un
obiettivo israeliano, o intrapreso un'azione che potesse violare i termini dell'accordo. Israele ha fatto
le seguenti cose:
1. Ha annesso altri 600 ettari del territorio della Cisgiordania;
2. Ha confiscato 56 milioni di dollari delle tasse spettanti all'Autorità Palestinese;.
3. Non ha tolto il blocco illegale ( come prescritto dagli accordi);
4. Ha rotto la tregua sparando ai pescatori in quattro occasioni diverse;
5. Ha arrestato sei pescatori;
6. Ha ucciso il 22enne Issa al Qatari, una settimana prima del suo matrimonio;
7. Ha ammazzato con una pallottola di gomma alla testa il 16enne Mohammed Sinokrot;
8. Ha torturato un detenuto fino a[ determinarne] il ricovero in ospedale;
9. Ha impedito a 13 parlamentari europei l'ingresso a Gaza;
10. Ha arrestato almeno 127 persone in tutta la Cisgiordania, compresi un bambino di sette anni a
Hebron e due bambini di sette e di otto anni presi da un cortile della loro casa a Silwad – sparando
gas lacrimogeni contro la loro madre;
11. Continua a tenere in carcere 33 membri del Parlamento legislativo palestinese;
12. Continua a tenere 500 prigionieri in detenzione amministrativa senza imputazioni e senza
processo;
13. Ha distrutto le case dei Beduini a Khan al Ahmar vicino a Gerusalemme, lasciando senza casa
14 persone e ha svelato un piano per trasferire con la forza migliaia di beduini [dalle vicinanze di]
Gerusalemme a due insediamenti appositamente costruiti per loro;
14. Ha distrutto a Hebron un caseificio i cui ricavi finanziavano un orfanatrofio;
15. Ha demolito una casa di una famiglia a Silwan lasciando cinque bambini senza casa;
40 Omar Robert Hamilton dalla London Rewiew of Books, 12 settembre 2014.
16. Ha distrutto una casa a Gerusalemme in cui erano immagazzinati aiuti umanitari destinati a
Gaza;
17. Ha distrutto un pozzo ad Hebron;
18. Ha incendiato un oliveto vicino ad Hebron;
19. Ha fatto un'incursione in un ambulatorio e in un asilo a Nablus, producendo gravi danni;
20. Ha distrutto un campo di grano falciato di una fattoria di Rafah passandoci sopra con i carri
armati;
21. Ha decretato la distruzione a Gerusalemme di un piccolo monumento [dedicato ] a Mohamed
Abu Khdeir, assassinato a luglio da un gruppo di linciatori israeliani.[il ragazzo è stato bruciato
vivo per vendicare l'uccisione di tre giovani coloni n.d.t.];
22. Continua a costruire una rete di gallerie sotto Gerusalemme Est;
23. Ha preso d'assalto insieme a un gruppo di coloni di estrema destra la spianata della moschea di
Al Aqsa;
24. Ha appoggiato centinaia di coloni che hanno preso d'assalto la tomba di Giuseppe a Nablus;
25. Ha impedito agli studenti di entrare nell'Università di Al Quds, sparando granate assordanti e
pallottole di gomma contro quelli che tentavano di entrare;
26. Ha guadagnato un numero imprecisato di milioni di dollari sui materiali per la ricostruzione
destinati a Gaza, dove centomila persone hanno bisogno di ricostruire le proprie case distrutte. Il
costo totale è stimato in 7.8 miliardi.
Torna a Conseguenze
3.3 Diciotto domande ai dirigenti di Hamas in seguito alla guerra di Gaza.41
Se l'IDF non avesse vietato ai giornalisti israeliani di andare nella Striscia di Gaza e se i dirigenti
del movimento islamico avessero acconsentito ad essere intervistati dai media israeliani, ecco cosa
avrebbe chiesto loro Amira Hass:
1.Siete sempre dell'avviso che avete vinto la scorsa guerra?
2. Una vittoria di Hamas o dei palestinesi?
3. Siete riusciti a mandare in confusione la più potente armata della regione. Sarebbe questa la
[vostra] vittoria?
4. Il turismo israeliano ha avuto un calo. Il bilancio dell'Istruzione israeliana subirà dei tagli. Il
bilancio della Difesa riceverà maggiori finanziamenti. I residenti [israeliani] della zona limitrofa
alla Striscia di Gaza sono frustrati, si sentono traditi e insicuri. Se la vittoria è consistita in questo, è
valsa la pena di far pagare un prezzo [così alto] a Gaza e alla sua popolazione, e perché?
5. Voi sapevate fin da subito che l'Occidente si sarebbe affrettato a sostenere il costo della
ricostruzione di Gaza e [ad aiutare] i suoi residenti dopo le distruzioni compiute da Israele. Questo è
quello che sta facendo dal 1994 ( come anche in Cisgiordania), in parte per scopi umanitari, ma
soprattutto per calcolo politico: per mantenere l'Autorità Palestinese al potere ( nel ruolo di gestore
della ricostruzione) e per garantire che il sistema di equilibrio con Israele non venga messo troppo
in discussione. Se non aveste saputo che l'Occidente insieme alle Nazioni Unite si sarebbe
mobilitato per la ricostruzione, avreste agito esattamente come avete fatto?
6. Voi vi arrogate il diritto di scegliere la modalità del conflitto (la lotta armata) per i Palestinesi. Ma
per ogni questione [inerente alla sfera] civile che deve essere affrontata voi dite:" Quello è il
compito del governo di riconciliazione [tra Hamas e Fatah N.d.T.]." Ciò non è contraddittorio e
ipocrita?
7. Gli affitti nella Striscia sono aumentati, a causa della caduta dell'offerta ( le case demolite da
Israele), e del fatto che almeno centomila persone sono rimaste senza casa. Anche il tasso di povertà
e quello di disoccupazione sono saliti. Qual è il vostro progetto per abbassarli?
41 Amira Hass da Haaretz, 14 settembre 2014.
8. I vostri combattenti hanno migliorato le loro prestazioni rispetto al 2008- 2009 ( sebbene
all’epoca abbiate esaltato il loro addestramento, non essendo però riusciti a convincere nessuno
tranne i militanti di Hamas). Chiaramente avete imparato dai vostri errori e avete dedicato
moltissimo tempo all'addestramento militare. Poiché avete migliorato le capacità di combattimento
e poiché il potenziamento del vostro arsenale è diventato un fine [in sé] invece di un mezzo, una
volta che questi sono stati raggiunti, li considerate una vittoria?
9. Avete detto che l'accordo di tregua con Israele è stato un grande risultato. Che cosa vi fa
considerare che sia stato un tale risultato? Noi laici non riusciamo a capirlo. Intanto il blocco non è
stato tolto e Israele non ha nessuna intenzione di toglierlo, la marina israeliana continua a sparare
sui pescatori di Gaza e ad arrestarli quando escono fuori per procurarsi dal mare il [proprio]
sostentamento, e i gazawi continuano a vivere nella stessa prigione che Israele gli ha costruito circa
20 anni fa.
10. Perché avete rinunciato alla richiesta iniziale di garanzie internazionali per fare in modo che
Israele rispetti i suoi impegni?
11. Il Centro Palestinese di Ricerca e Analisi Politica ha scritto nel suo ultimo rapporto che c'è stato
un enorme appoggio dei palestinesi nei vostri confronti. Credete che questo risultato sarebbe stato
lo stesso se vi foste fatti carico fin da subito della responsabilità della ricostruzione civile e di
imporla al governo di riconciliazione, che nell'[indagine] campione viene valutato poco
favorevolmente?
12.Il consenso nei vostri confronti, prima della guerra , aveva raggiunto il punto più basso. Che
l’approvazione verso di voi sia salita alle stelle é la vostra vittoria?
13. Quando stavate decidendo di intraprendere un'escalation militare ( secondo me tutti e due, voi e
Israele avete scelto l'opzione di una escalation militare, non solo Israele), avevate in mente la
possibilità reale che avreste recuperato l’appoggio dell’opinione pubblica nei vostri confronti,
come succede sempre dopo una campagna militare?
14. Secondo quanto riportato nel sondaggio [del Centro], il 43% dei residenti della Striscia,
governata da voi, vuole emigrare( paragonato al 20% che vuole emigrare dalla Cisgiordania). Non
state minimizzando le vostre responsabilità per questo alto tasso di potenziali emigranti?
15. Avete presentato il disimpegno [israeliano] ( l'evacuazione delle colonie nella Striscia nel 2005)
come una vittoria del vostro impegno militare. Ma è successo che Gaza è stata completamente
tagliata fuori dalla Cisgiordania, un obiettivo che è stato il pilastro della politica israeliana fin dal
1990. La vostra scelta della lotta armata ha solamente aiutato Israele a realizzare la sua intenzione
originaria di imporre a Gaza un regime differente e separato da quello della Cisgiordania. Cosa
rispondete?
16. In conseguenza del disimpegno, Israele si permette di diffondere la menzogna che è terminata
l'occupazione della Striscia ( cosa che non si permette di fare riguardo alla Cisgiordania). Perciò,
come ha già fatto con i suoi attacchi allo [Stato] sovrano del Libano, anche nella Striscia [Israele]
sta superando frontiere e limiti invalicabili: distruggendo, schiacciando e uccidendo
indiscriminatamente. Non è vostro dovere prendere in considerazione il fatto che l'occupante che
sostiene di essere attaccato è senza scrupoli?
17. Voi affermate (giustamente secondo me) che la via dei negoziati scelta dall'OLP e dal Presidente
dell'Autorità Palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas) ha dimostrato la sua inutilità e il proprio
fallimento. La Banca mondiale grida che senza la Zona C non vi può essere nessuna economia
palestinese e a Israele non gliene importa niente di questo. Continua a rubare terra, a demolire case
palestinesi. L'esercito e la polizia fanno quello che vogliono: ammazzano dimostranti giovani e
adulti che non mettono in pericolo la vita dei loro uomini armati. Gerusalemme Est è un enorme
quartiere impoverito. Cosa proponete di fare al posto dei negoziati?
18. La resistenza armata e la [conseguente] militarizzazione che avete scelto fin dal 1990 è
precedente agli anni dei negoziati. Cosa avete ottenuto? Durante la prima Intifada avete spinto per
l'uso delle armi e degli esplosivi, ma solamente nei territori occupati. Dopo il massacro perpetuato
dal dr. Baruch Goldstein nel febbraio del 1994 a Hebron, avete iniziato i vostri attacchi suicidi
contro i civili in Israele. Durante il primo decennio del millennio avete incrementato enormemente
la vostra capacità militare e avete cominciato a migliorare [l'efficacia dei] vostri razzi. E le cose
vanno ancora peggio di prima: il territorio palestinese è più frammentato. Non solo le colonie si
sono estese, lo stesso è successo con le differenze economiche tra i palestinesi. Vi è una grande
disperazione. Così forse bisogna concludere che la vostra resistenza armata ha anche messo in luce
il suo fallimento e la sua inutilità?
Torna a Conseguenze
3.4 Dopo l'attacco a Gaza.42
Questa è la prima newsletter dopo la fine dell'operazione "Margine Protettivo" a Gaza, che
ovviamente ha destato la nostra attenzione e preoccupazione. Ha dimostrato la bancarotta politica di
tutti i protagonisti. Israele ha tentato di distruggere definitivamente tutta la resistenza palestinese –
rastrellando Gaza dopo che l'operazione "Scudo Difensivo" in Cisgiordania nel 2002 ha distrutto lì
la resistenza di Fatah. L'idea allora era di creare “una situazione di tranquillità” con l'Autorità
Nazionale Palestinese come poliziotto al servizio di Israele, che facesse rispettare le regole in tutti i
Territori Occupati, in modo che la questione palestinese semplicemente scomparisse dalla scena
spostando l'attenzione verso l'ISIS, l'Ukraina, la Cina, la Russia, il virus dell'Ebola e tutti gli altri
problemi urgenti. Come ho già scritto43, la situazione in Israele/Palestina è andata oltre la soluzione
a due Stati, finanche oltre l'apartheid (che avrebbe almeno un Bantustan simbolico palestinese),
verso un palese imprigionamento. Il messaggio [di Israele] ai palestinesi: non c'è più nessun
“processo di pace”. Avete tre possibilità: sottomettervi, andarvene oppure morire.
Ma non ha funzionato. Se un messaggio è stato recepito è quello che Israele ha scoperto i limiti
della forza militare. Non ha potuto distruggere Hamas e la resistenza palestinese anche se ha
distrutto Gaza. Il messaggio spedito da Hamas a Israele non è stato recepito, come ho scritto, Israele
non si è disabituato all'idea che può sconfiggere i palestinesi una volta per tutte, ma il messaggio di
comportarsi secondo giustizia è stato capito in larga parte del mondo, benchè provenisse da Hamas.
Tuttavia, resistere senza un disegno politico non ha senso, così la guerra di Hamas contro Israele ha
cambiato di poco la situazione. Certo, quasi 4 miliardi di dollari sono stati donati dai vari paesi per
la “ricostruzione” (a Israele, ovviamente, non è stato chiesto di sborsare nemmeno un centesimo),
ma a Israele è stato concesso il potere di veto sui materiali da costruzione che entrano a Gaza, il che
ha prodotto l'accusa che l'ONU è divenuto ora un partner del blocco israeliano, che non è terminato.
A meno che i palestinesi non possano riaprire il loro porto e aeroporto, non ci potrà essere una vera
crescita economica, ma è estremamente improbabile che Israele lo permetta. Allora sotto molti
aspetti ci sembra di ritornare allo statu quo di prima, con qualche piccolo cambiamento politico.
Se non altro, la bancarotta politica israeliana è stata superata da quella della Autorità Palestinese di
Mahmoud Abbas. Almeno Israele ha un progetto: l'imprigionamento. L'AP non ha nulla: nessun
progetto di resistenza, niente per il futuro, e sicuramente nessuna strategia efficace per trovare un
punto di incontro con il suo grande alleato, l'opinione pubblica mondiale che è passata
drammaticamente dalla parte dei palestinesi. Nessuna [richiesta] alla Corte Penale Internazionale;
una buona volontà, persino entusiasta, di continuare ad agire come il poliziotto di Israele, questa
volta estesa a Gaza; nessuna iniziativa eccetto il disegno inutile di portare il caso palestinese al
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove senza dubbio gli Stati Uniti e altri membri
porranno il veto in quanto [si tratta di] “un atto unilaterale”. Solamente la minaccia di Abu Mazen di
sciogliere l'ANP se gli USA porranno il veto alla sua iniziativa al Consiglio di Sicurezza promette
un significativo passo in avanti.
E, come ho commentato precedentemente,44 vi è poca o nessuna capacità di elaborazione
42 Jeff Halper ICAHD, 19 ottobre 2014.43 Vedi in questa rassegna “Il messaggio di Israele ai palestinesi: sottomettetevi, andatevene oppure
morite”, paragrafo 2.21 in"La guerra.".
44 Vedi in questa rassegna:" Dal rapimento al collasso, l'inizio della fine?", paragrafo 1.4 in"Gli Antefatti".
significativa in corso a livello di società civile, sia in Israele che in Palestina, così dobbiamo
assumerci la responsabilità del processo di imprigionamento. Questo è serio, dal momento che
prendo le mie armi (si fa per dire) e sostengo con fermezza che l'occupazione è in un processo di
disfacimento, che va avanti come può. La sua influenza distruttiva avvertita in tutto il Medio
Oriente in crescente instabilità, lo renderà insostenibile e il collasso dell'ANP, che avverrà al più
presto, sarà uno dei principali cambiamenti. Il mio timore, allora, è il collasso senza un'azione da
parte nostra, un'incapacità delle forze critiche per una giusta pace di approfittare dell'opportunità e
presentare la propria soluzione, [cioè] qualche cosa qualcosa di simile a uno che abbia a che fare
con lo Stato unico democratico.
Torna a Conseguenze
3.5 Onore alle vittime: evitare di ripetere gli errori del passato nellaricostruzione di Gaza.45
Per quanto sconvolgenti siano stati gli orrori della guerra che Israele ha scatenato nella Striscia di
Gaza dal 7 luglio, la dimensione dei danni rischia di essere ancora più spaventosa. Una conferenza
dei donatori per Gaza è prevista per settembre in Norvegia, ma se i donatori e l’Autorità Nazionale
Palestinese di Ramallah adotteranno lo stesso approccio per la ricostruzione che hanno seguito dopo
le scorse due guerre, le sofferenze di Gaza continueranno immutate. In questa sintesi politica,
l’editorialista di Al-Shabaka Omar Shaban descrive le dimensioni della distruzione e spiega perché
la ricostruzione sarà più difficile questa volta. Egli illustra gli errori che sono stati fatti nelle
precedenti richieste dei donatori e negli sforzi della ricostruzione e sostiene che questi possono – e
devono- essere evitati.
Perché questa guerra è molto peggiore
La Striscia di Gaza- uno dei luoghi più densamente abitati al mondo- ha subito tre guerre in soli
sette anni. Peraltro la terza guerra è risultata peggiore delle due precedenti: il brutale attacco
israeliano di 22 giorni nel 2008-09 e quello di otto giorni nel 2012, per quanto siano stati terribili, e
lo dico in base alla mia personale esperienza in quanto persona che ha cercato di sopravvivere ad
essi. Al 10 agosto nell’attuale guerra gli attacchi israeliani dall’aria, da terra e dal mare hanno
ucciso 1.914 palestinesi e ne hanno feriti 9.861, in base a quanto affermato dal ministero palestinese
della Salute, rispetto ai 1.4000 uccisi nel 2008-09. Le Nazioni Unite hanno stimato che fino ad ora il
73% dei morti nell’attuale attacco erano civili, compresi 448 bambini. Molti dei feriti hanno
ricevuto danni gravissimi e non potranno riprendersi completamente, rimanendo del tutto o
parzialmente disabili.
Ma questa guerra non è peggiore solo perché il numero di morti è maggiore; è peggio perché questa
volta sarà molto più difficile la ricostruzione. La distruzione è cumulativa: si aggiunge alle
distruzioni delle due precedenti guerre di Israele contro Gaza, molte delle quali non sono state
superate. Per fare solo un esempio: 500 famiglie stanno ancora aspettando la ricostruzione delle loro
case demolite. In più, la maggior parte dei danni significativi alle infrastrutture e ai pozzi d’acqua
non sono stati riparati. Si stima che la sola guerra del 2008-09 abbia causato circa 1.7 miliardi di
dollari di danni materiali a fattorie, fabbriche, servizi ed edifici pubblici, strade, reti elettriche ed
idriche, impianti fognari e reti telefoniche.
Questa volta è ancora più grave perché Gaza sta affrontando le peggiori condizioni economiche,
politiche e sociali da decenni. Il blocco imposto da Israele contro la Striscia di Gaza nel giugno del
2007 è stato solo lievemente attenuato all’inizio del giugno 2010. Poco dopo l’attacco omicida
contro la Freedom Flottilla per Gaza il 31 maggio 2010, la pressione internazionale ha obbligato il
45 Omar Shaban da Al Shabaka, agosto 2014.
governo di Benjamin Netanyahu ad aumentare il numero ed il volume dei beni ammessi nella fascia
costiera.
Inoltre, i crescenti sforzi egiziani di distruggere i tunnel, che sono iniziati durante il governo del
presidente Mohammed Morsi e notevolmente incrementati dopo la destituzione del presidente, ha
privato le autorità di Hamas a Gaza di una fonte vitale di risorse e forniture di materie prime così
come di beni intermedi e di prodotti finiti. Questa situazione ha reso estremamente difficile per il
governo di Hamas pagare i salari ai suoi 50.000 dipendenti, molti dei quali attualmente non hanno
ricevuto lo stipendio da parecchi mesi.
Allo stesso modo, nonostante la firma il 23 aprile 2014 di un accordo di riconciliazione, il recente
governo di unità nazionale ha realizzato molto poco per affrontare le necessità immediate di Gaza.
Per esempio, non ha pagato i salari dei dipendenti pubblici che sono stipendiati da Hamas, portando
il governo di unità su un terreno ancora più precario nel mezzo di una crisi [sempre] più grave. Ciò
è largamente imputabile al rifiuto israeliano di riconoscere [questo governo] o di permettere ai suoi
membri di muoversi liberamente tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.
Una stima preliminare dei danni
Le dimensioni delle distruzioni dell’estate 2014 possono essere valutate dalle seguenti stime
preliminari calcolate all’11 agosto. Queste indicano che:
1. Ottomilaottocento case sono state distrutte in modo irreparabile e 7.900 sono state parzialmente
distrutte, soprattutto nelle zone di confine di Shuja’iyah a est di Gaza City, Beit Hanoun e Beit
Lahiya a nord e Khuza’a, Abasan e Rafah a sud est della Striscia di Gaza.
2. Molte delle circa 475.000 persone obbligate a lasciare le proprie case e a rifugiarsi nelle strutture
dell’UNRWA (United Nations Refugee and Works Agency) e nelle scuole statali, così come nei
parchi e chiese non saranno in grado di ritornare alle loro abitazioni in quanto sono state rese
inagibili. Queste persone non hanno perso solo le proprie case ma anche tutte le proprietà, compresi
mobili, vestiti, automobili e documenti.
3. Depositi contenenti 300.000 litri di combustibile industriale destinati all’unica stazione di
produzione dell’elettricità nella Striscia di Gaza sono stati distrutti e la centrale è stata messa fuori
uso. Senza energia elettrica, le scorte di cibo vanno a male, la fornitura di acqua per le abitazioni è
interrotta, gli scarichi fognari non possono essere trattati e gli ospedali sono obbligati a contare su
generatori di elettricità poco sicuri. Oltretutto otto delle dieci linee elettriche che arrivano da Israele
e che riforniscono la Striscia di Gaza sono state scollegate, facendo scendere la fornitura di
elettricità importata da Israele dai 120 megawatt a meno di 30.
4. L’enorme danno fatto alle infrastrutture, comprese strade, impianti elettrici ed idrici che sono stati
distrutti, costituisce un potenziale disastro per l’ambiente e per la salute.
5. Dozzine di fabbriche e di aziende commerciali sono state distrutte, compresi negozi, stazioni di
servizio e stabilimenti di calcestruzzo preconfezionato nell’area di confine e nella zona industriale
di Beit Hanoun. Le forze armate israeliane hanno distrutto con i bulldozer migliaia di dunam [1
dunam= 1.000 mq.] di terra coltivata e serre nell’area di confine con il pretesto di colpire i tunnel.2
6. In base ai rapporti preliminari, anche molte istituzioni governative sono state colpite, compresi i
ministeri delle Finanze, degli Interni e degli Affari Religiosi (awgaf), così come l’Amministrazione
centrale del personale, oltre a dozzine di moschee. Nel corso degli eventi, documenti ufficiali e
registrazioni, difficili o impossibili da recuperare, sono andati distrutti.
Un bilancio completo sicuramente metterà in luce una dimensione ancora maggiore delle
distruzioni. Gli sforzi di superare le conseguenze di questa guerra dovranno far fronte a parecchi
ostacoli insormontabili.
Evitare gli errori del passato
La natura, le dimensioni e l’efficacia degli sforzi per la ricostruzione si baseranno sulle clausole di
un accordo di tregua. Questo potrà spaziare da uno stop unilaterale di Israele alle sue operazioni
militari, come ha fatto nel 2008-09, fino ad un rinnovo dell’accordo di cessate il fuoco concluso nel
novembre 2012, che stabilì di alleggerire il blocco, di eliminare la zona cuscinetto lungo i confini
tra Gaza e Israele e di estendere la zona di pesca da tre a sei miglia, con l’accordo di entrambe le
parti per porre fine alle ostilità. Il governo israeliano ha applicato in parte queste condizioni per un
tempo limitato. Il terzo e più positivo scenario è naturalmente la fine della guerra, il riconoscimento
da parte di Israele del governo di unità [palestinese] e l’abolizione totale del blocco in preparazione
di negoziati per una pace giusta e complessiva.
Molte domande sono sorte durante gli sforzi internazionali per la ricostruzione dopo un conflitto,
nel momento in cui passano da un intervento [di ricostruzione] immediato a uno sviluppo
complessivo e sostenibile. Per esempio, gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla ricostruzione e sulla
ristrutturazione [degli edifici esistenti] o sulla costruzione [di edifici nuovi] e sullo sviluppo? Nel
secondo dopoguerra, per esempio, in Giappone la questione era:” Ci dobbiamo concentrare nella
ristrutturazione di quello che la guerra ha distrutto o nel costruire tutto dalle fondamenta?
L’approccio corretto risiede nella combinazione efficace delle due alternative. Ma, al di là
dell’esperienza internazionale, ci sono insegnamenti specifici da imparare dai precedenti interventi
a Gaza, specialmente in quanto, per usare un eufemismo, non hanno avuto successo nel rimettere in
piedi Gaza.
Il più grave errore che i donatori hanno fatto nel passato è stato di escludere i rappresentanti di
Gaza, compreso Hamas stesso, negli sforzi di ricostruzione. Questo è successo durante la
conferenza dei donatori di Sharm al-Sheikh nel marzo 2009 per ricostruire Gaza dopo l’attacco
israeliano del 2008-09.
Erano presenti i rappresentanti di 70 Stati e 16 organizzazioni regionali, ma le istituzioni di Gaza,
compresi i dirigenti di Hamas, erano assenti. Inoltre, il fatto che il piano fosse presentato solo in
inglese (la versione in arabo fu disponibile solo mesi dopo) sottolineò la scarsa importanza che
l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) attribuiva alla partecipazione della società civile nazionale,
di istituzioni accademiche e non.
In quella conferenza l’ex primo ministro Salam Fayyad presentò un piano di 2.8 miliardi di dollari,
ma più di metà di questo (il 52%) era destinata a finanziare il bilancio dell’ANP e a ridurne il
deficit. Nei fatti, vennero assunti impegni per 4.48 miliardi di dollari- il 167% in più rispetto a
quanto chiesto dell’ANP-, un fatto raro nella storia delle donazioni. Ma l’attuale terribile situazione
di Gaza, dove le infrastrutture e le persone soffrono ancora per i danni inflitti in quella guerra,
solleva domande riguardo a se tali aiuti sono stati effettivamente ricevuti e se così [fosse], come e
dove sono stati sborsati.
Infatti fino ad ora non esistono dati esaurienti che forniscano questa informazione. Coloro che sono
sinceramente impegnati alla reale e duratura ricostruzione di Gaza, nell’attuale congiuntura
dovrebbero porre queste domande, per evitare che la storia si ripeta.
Anche se Hamas non sarà presente alla conferenza dei donatori prevista per settembre in Norvegia –
e non si prevede che verrà invitato, in base a fonti attendibili – ci sono altre istituzioni e voci da
Gaza che potrebbero partecipare. Ciononostante, probabilmente Hamas sarà molto desideroso di
fornire tutte le informazioni di cui l’ANP ha bisogno per fare la supervisione del processo di
ricostruzione perché è interesse di Hamas farlo. Allo stesso tempo, Hamas vuole essere tenuto al
corrente e coinvolto, anche se presumibilmente in secondo piano, in modo da garantire che la
ricostruzione sia fatta correttamente. Ovviamente è anche desideroso di mostrare alla popolazione
di Gaza che è partecipe del processo e di continuare a recuperare la propria popolarità.
Aiuti urgenti e necessità di sviluppo
In termini di aiuti urgenti alla popolazione, le necessità più impellenti sono le seguenti:
1. Riparare le reti idriche ed elettriche per garantire che i residenti di Gaza, soprattutto quelli più
colpiti, abbiano accesso ad acqua sicura per prevenire gravi ripercussioni sulla salute pubblica a
causa della carenza di acqua potabile;
2. Riparare le linee elettriche che portano l’elettricità da Israele e cercare di aumentare
l’importazione di corrente di 120 MW per ridurre la carenza a causa della chiusura dell’impianto
locale di energia e per venire incontro ai bisogni attesi;
3. Importare e produrre in loco ripari prefabbricati che offrano un minimo di servizi di base per
sistemare le migliaia di famiglie che hanno perso la casa durante la guerra e per riattivare
l’economia. Questo sforzo dovrebbe includere sussidi economici per alcune di quelle famiglie
perché affittino appartamenti nella Striscia di Gaza per alleggerire la pressione sociale e politica che
si potrebbe accumulare se rimanessero senza un rifugio adeguato;
4. Aiutare il sistema sanitario a curare le migliaia di persone ferite durante la guerra. A causa delle
molte strutture sanitarie parzialmente o totalmente distrutte, si avrà bisogno di ospedali da campo e
di assistenza dall’estero. Dovrà essere prestata una speciale attenzione alle persone con disabilità e
agli orfani che hanno perso le loro famiglie nella guerra;
5. Aumentare e sviluppare servizi di appoggio psicosociale per curare le decine di migliaia di
cittadini, soprattutto bambini, che sono stati sottoposti a traumi psicosociali per aver perso le loro
famiglie o per effetto della guerra stessa.
A medio termine, gli aiuti per lo sviluppo dovrebbero concentrarsi su:
1.Progetti ad alta intensità di lavoro negli ambiti abitativo, infrastrutturale, agricolo e peschiero per
creare da subito lavoro e attività di sviluppo economico;.
2. Coltivare le terre agricole nelle zone di confine per garantire che il settore agricolo contribuisca
non solo alla creazione di lavoro ma anche all’approvvigionamento alimentare per la popolazione e
fieno per il bestiame;
3. Ripulire alcune delle zone distrutte per permettere alle famiglie di tornare alle loro case, se
abitabili, e per prevenire rischi per la salute nelle aree distrutte nei primi giorni della guerra;
4. Spazzare via e rimuovere i detriti dalle strade e dai luoghi pubblici per creare lavoro, incentivare
le attività economiche e lottare contro la povertà e la miseria che molte famiglie hanno sofferto a
causa della guerra e dell’attuale assedio.
Modi per far rivivere Gaza
Per ottenere quanto detto sopra, la comunità internazionale deve esercitare pressioni su Israele per
mettere fine all’assedio e permettere l’entrata di materie prime a Gaza. Altrimenti Gaza nei prossimi
anni sarà obbligata a vivere di aiuti.
Inoltre, come detto sopra, non si devono fare gli stessi errori. L’ANP così come i donatori
internazionali e regionali dovrebbero consultarsi costantemente e regolarmente con i dirigenti di
Hamas, le organizzazioni non governative, le associazioni di imprenditori e le università di Gaza
per verificare i danni, progettare interventi e realizzarli. L’enfasi dovrebbe essere posta sul
coinvolgimento ove possibile di imprese e istituzioni locali per ampliarlo il più possibile, con lo
scopo di garantire che la ricostruzione sia un processo nazionale piuttosto che internazionale e che
la società palestinese riceva la maggior parte dei finanziamenti previsti.
C’è una necessità di coordinamento tra gli aiuti locali, regionali ed internazionali e le campagne per
la raccolta fondi a favore di Gaza. Inoltre il lavoro sul terreno deve essere organizzato correttamente
per evitare sovrapposizioni. Deve essere messo in atto un meccanismo trasparente di monitoraggio e
accompagnamento di queste donazioni e [si devono] orientare i beneficiari perché vi abbiano
accesso. Le iniziative dell’ente scelto per gestire questi fondi e le regole che dovrà applicare devono
essere di dominio pubblico.
I palestinesi della diaspora potrebbero anche dimostrare di essere utili, contribuendo soprattutto con
denaro e competenze, ma devono essere interpellati e coinvolti nel processo fin da subito. Il loro
contributo e coinvolgimento non servirà solo a consolidare la riconciliazione tra Fatah e Hamas, ma
anche ad aiutare a dare un senso e un obiettivo a coloro che, nella diaspora, sono pronti a offrire il
proprio aiuto. Essi possono anche servire a creare vincoli più forti tra loro e le comunità ed
istituzioni di Gaza.
E’ altrettanto importante discutere il modo di utilizzare i depositi accumulati nel settore bancario, ad
esempio tutti quelli delle banche che operano nei Territori occupati palestinesi, i cui fondi hanno
raggiunto gli 8 miliardi di dollari. Una possibilità è che l’ANP prenda prestiti da queste banche e li
usi per contrarre e pagare mutui per fornire appartamenti a favore di famiglie che hanno perso la
propria casa durante la guerra. Vale la pena di notare che, ad esempio, qualche migliaio di
appartamenti, soprattutto a Gaza City, ma anche in altre parti di Gaza, rimangono vuoti perché non
sono a prezzi accessibili. Un sistema di mutui può essere istituito per utilizzarli e risolvere la crisi
abitativa. Su larga scala, strumenti di investimento riconosciuti a livello internazionale come il
franchising, collaborazioni strategiche e jont ventures possono essere utilizzati, soprattutto nel
campo dell’energia e dell’elettricità, nella costruzione di un porto e di un aeroporto e in progetti di
sviluppo regionale.
Queste sono solo alcune delle modalità per aiutare a ripristinare una vita normale e la dignità per i
palestinesi di Gaza. Nel 2012, l’ONU stimava che Gaza sarebbe diventata invivibile nel 2020 se
fosse continuato l’attuale andamento; questo prima dell’ultimo attacco israeliano. Se il milione
ottocentomila palestinesi di Gaza non saranno condannati a [vivere in] un luogo invivibile, la
corretta ricostruzione deve iniziare al più presto.
Omar Shaban è il fondatore e direttore dell PalThink di Studi Strategici di Gaza, un gruppo di studio
indipendente senza affiliazioni politiche. E’ un analista di politica economica del Medio Oriente e uno scrittore e
commentatore fisso per media arabi ed internazionali. Omar è il fondatore dei gruppi palestinesi di Amnesty
International, [è] vice presidente del consiglio di amministrazione di Asala, un’associazione che promuove il
microcredito per le donne e un membro dell’Istituto per la Buona Amministrazione.
Al-Shabaka, il network politico palestinese, è un’organizzazione indipendente, senza affiliazione partitica e no
profit, il cui scopo è di sviluppare e alimentare un pubblico dibattito sui diritti umani e sull’autodeterminazione
dei palestinesi nel quadro delle leggi internazionali. Le sintesi politiche di Al-Shabaka possono essere riprodotte
con la debita attribuzione ad Al-Shabaka.
visita www.al-shabaka.org o contattaci via mail: [email protected]..
Torna a Conseguenze
3.6 Una crepa nel muro.46
Dopo anni di duro assedio contro Gaza, l'improvviso tentativo di Israele di mitigare le condizioni è
solo retorica o è davvero un nuovo approccio?
Si supponeva che martedì sarebbe stato un giorno importante per i contadini di Gaza. Dopo che
negli ultimi sette anni gli è stato impedito di vendere i propri prodotti in Israele o in Cisgiordania,
Israele ha permesso a due camion di datteri e patate dolci di uscire da Gaza e percorrere i 40 km di
distanza dalla Cisgiordania. Ma persino questa misura estremamente modesta è fallita. I camion non
hanno avuto il permesso di attraversare il valico di Kerem Shalom perché sulle confezioni non c'era
scritto "prodotto a Gaza". I camion sono tornati da dove erano venuti e i contadini palestinesi hanno
perso circa 45.000 shekel (9.472 euro) in confezionamento e trasporto.
Questo piccolo esempio rappresenta l'incerta situazione in cui si trova l'assedio israeliano di Gaza.
C'è sicuramente un cambiamento di atmosfera: il maggiore generale Benny Gantz avrebbe
affermato pochi giorni fa che Gaza dovrebbe "essere aperta" al mondo esterno in modo che "la
speranza sia quindici centimetri davanti alla disperazione." Il ministro della Difesa israeliano,
Moshe Yaalon ha aggiunto oggi che nuove misure concordate da Israele, l'ANP e l'ONU "
permetteranno ai gazawi di vivere." Qualche gesto simbolico, come consentire a 1.500 gazawi di
viaggiare a Gerusalemme e pregare nella moschea di Al-Aqsa durante il recente Eid al-Adha [festa
del sacrificio, una delle principali feste musulmane. n.d.t.], sono state già prese.
Ma finora queste misure sono solo una goccia nel mare. Per esempio, le esportazioni da Gaza. Fino
al 2007, l'87% delle esportazioni da Gaza - prodotti agricoli, ma anche vestiti, mobili, ecc. - andava
sia in Israele che in Cisgiordania. Dopo che Hamas ha preso il potere a Gaza, Israele ha proibito del
tutto queste esportazioni, provocando la stagnazione totale dell'economia gazawi. Gaza non ha le
possibilità di riprendersi, o almeno di sopravvivere, senza il rilancio di queste esportazioni. Per
quanto simbolico, un camion di patate dolci non compirà un tale miracolo.
Eitan Diamond, direttore esecutivo di Gigha (Access), un'organizzazione israeliana che appoggia la
libertà di movimento per i palestinesi, sostiene che palesemente questo blocco delle esportazioni è
46 Meron Rapoport da middleeasteye, 16 ottobre 2014.
dipeso dalla politica, non da [questioni legate alla] sicurezza. Mentre attuavano il blocco delle
esportazioni verso Israele e la Cisgiordania, gli israeliani hanno consentito che i prodotti provenienti
da Gaza venissero esportati all'estero attraverso il porto di Ashdod o l'aeroporto Ben Gurion, due
punti molto sensibili. "E' molto difficile sostenere che il blocco delle esportazioni abbia una
giustificazione sicuritaria," afferma.
Diamond afferma che Israele ha buone ragioni per controllare cosa entra ed esce da Gaza, ma che il
blocco degli spostamenti di beni e persone è sproporzionato. "Prodotti e persone non sono di per sé
un pericolo, " dice. Secondo Diamond, non c'è mai stata una risposta coerente di Israele sul perché
l'assedio di Gaza sia necessario. Una spiegazione era la volontà di sottolineare la differenza tra Gaza
controllata da Hamas e la Cisgiordania controllata da Fatah, sperando che questo portasse i gazawi a
rovesciare il loro governo islamico. Il fatto che non sia successo non ha portato a un cambiamento.
"Dopo l'incidente della Mavi Marmara, Dan Meridor (ex ministro dell'intelligence di Israele) chiese
perchè l'assedio fosse necessario," dice Diamond. "Ehud Barak (allora ministro della Difesa) rispose
che si trattava di inerzia. Barak spiegò che c'era l'idea di differenziare Gaza dalla Cisgiordania, e
che era stata messa in pratica proprio con l'assedio."
Neppure l'incidente della Mavi Marmara nel 2010, quando truppe israeliane uccisero nove
passeggeri turchi di un convoglio di navi che trasportava cibo a Gaza, ha determinato un
cambiamento. Messo sotto pressione da parte della comunità internazionale, Israele ebbe difficoltà a
giustificare perché stesse impedendo l'importazione a Gaza del coriandolo o dei giocattoli, mentre
permetteva che il cinnamomo o i pettini passassero il confine. Tranne che per i materiali da
costruzione, che erano considerati a rischio di "doppio uso", in quanto potevano essere utilizzati a
fini militari, molti beni potevano passare da Israele a Gaza.
Non c'era carenza di prodotti nei mercati gazawi. Il problema era che la gente non aveva i soldi per
comprarli. Prima della Seconda Intifada, decine di migliaia di gazawi lavoravano in Israele. Dal
2000 in avanti, il loro numero è sceso drasticamente, fino ad arrivare a zero dopo il 2007. Poiché
anche i mercati in Israele e in Cisgiordania erano chiusi per i prodotti provenienti da Gaza, e poiché
il traffico attraverso i tunnel sotto il confine con l'Egitto a Rafah è stato brutalmente interrotto dopo
che il generale Sisi ha preso il potere in Egitto nel 2013, è comprensibile perché Hamas sia riuscito
ad unire la popolazione di Gaza con la richiesta di togliere l'assedio.
Durante l'operazione "Margine Protettivo", Israele si è rifiutato di accettare queste richieste ed ha
persino negato nel modo più assoluto che Gaza fosse assediata. Nell'accordo di tregua, che ha posto
fine al conflitto durato 50 giorni, le parole "porre fine all'assedio" non appaiono. Ma è chiaro che
qualcosa è cambiato in Israele. La succitata affermazione di Gantz indica che l'establishment
militare israeliano non solo ammette la difficile situazione a Gaza, ma considera anche che è
interesse di Israele migliorarla.
Ci sono segni di un cambiamento in atto: 75 camion che portavano materiale da costruzione sono
entrati a Gaza questa settimana, probabilmente dopo che un accurato sistema di controllo è stato
concordato tra Israele, l'ANP, le Nazioni Unite e l'Egitto, come riportato da un sito di informazioni
israeliano in rete. I due camion bloccati ieri al valico di Kerem Shalom dovrebbero essere l'inizio di
una ripresa delle esportazioni agricole da Gaza alla Cisgiordania. Ci sono indizi che Israele
permetterà a 5.000 gazawi di cominciare a lavorare in Israele.
E' troppo presto per dire che l'assedio è finito o almeno ampiamente sospeso, ma sembra che
l'ultima guerra a Gaza abbia cambiato il modo di pensare israeliano, almeno nell'esercito.
"L'esercito è sempre stato meno convinto dell'assedio totale di quanto lo sia stato il Ministero della
Difesa," spiega Shaul Arieli, un ex-colonnello che attualmente milita nella Sinistra. "Ora, dopo
'Margine difensivo (protettivo)', l'esercito ha capito che la gente di Gaza è stata messa alle corde,
che non ha niente da perdere, e che se la situazione non sarà alleggerita non cambierà niente."
Ironicamente, secondo Arieli, è stato Yaalon che ha sempre parlato di "rosolare le coscienze" dei
palestinesi usando massicciamente la forza contro di loro. In un certo senso, sostiene Arieli, stavolta
è stato Hamas che ha "rosolato" le coscienze israeliane. La capacità di combattere dimostrata da
Hamas durante "Margine Protettivo" è stata notevole, dice Arieli, sia dal punto di vista del comando
e del controllo che delle sue unità di combattimento. Lo stesso Gantz viene oggi citato per aver
detto, riferendosi ai combattenti di Hamas, che essi hanno fatto cose che "gente senza coraggio non
può fare."
Ciò non vuol dire che l'esercito si senta sconfitto. "L'esercito sa che se non gli fossero stati posti dei
limiti, avrebbe potuto occupare Gaza." Ma allo stesso tempo, capisce che, senza questi limiti, il
bilancio dei morti tra i palestinesi sarebbe stato maggiore, e che ciò sarebbe stato insostenibile dal
punto di vista politico.
Così, rendere meno duro l'assedio sembra improvvisamente la migliore opzione piuttosto che
continuare l'inumana pressione su 1.8 milioni di palestinesi. La domanda è fino a che punto Israele
vuole arrivare. L'esercito, e l'establishment militare nel suo complesso, sembrano capire che è
necessario un cambiamento. O forse capiscono che è almeno necessario parlare di un cambiamento,
per creare un'atmosfera di cambiamento, senza cambiare l'essenza dell'assedio. "Il cambiamento del
discorso è benvenuto," dice Diamond, " ma non è ancora seguito da cambiamenti sul campo."
Poiché Israele preferisce non ammettere pubblicamente di aver tenuto sotto assedio Gaza durante
sette anni, sembra che ora preferisca non rendere pubblica la propria decisione di alleggerirlo.
Questo potrebbe essere per ragioni politiche, poiché una simile mossa potrebbe essere percepita
come l'accettazione delle condizioni di Hamas durante la guerra. O, più probabilmente, Israele non
è ancora convinto di rinunciare a questa tattica.
Meron Rapoport è un giornalista e scrittore israeliano, vincitore del Premio internazionale Napoli
per il giornalismo per un'inchiesta sul furto di ulivi a danno dei proprietari palestinesi. E' ex
caporedattore di Haaretz ed ora è un giornalista indipendente.
Torna a Conseguenze
3.7 Gaza, il business delle macerie (e del cemento).47
La ricostruzione di Gaza avverrà con il cemento israeliano. Tra monopolio ed embargo, una sola
società ne trarrà vantaggi: la Nesher Israel Cement Enterprises Ltd, guidata da un ex capo
dell’Israel defense force
Fosse capitata in un altro momento,la ricostruzione di Gaza avrebbe fatto felice Nochi Dankner, il
miliardario di Tel Aviv che fino al dicembre scorso controllava attraverso una holding laNesher,
l’unica società produttrice di cemento in Israele. Oggi che il controllo dell’azienda gli è stato
sottratto da Moti Ben-Moshe, Dankner ha ben altro cui pensare. Ma per gli azionisti del
cementificio l’ipotesi che il settore edile riceva un impulso anche dal “nemico” palestinese non è
del tutto sgradita.Il cemento è solo una delle voci di costo di una casa, ma se anche l’indotto è
controllato dalla stessa società che fornisce la materia prima, si può star sicuri che un guadagno ci
sarà. E sarà israeliano, perché quando si tratta di lavorare a Gaza troppe scelte diventanoobbligate.Secondo il sito Euractiv.comi funzionari della Ue lo sanno perfettamente: «Non è scritto
formalmente da nessuna parte, ma quando si arriva a negoziare con gli israeliani è così. I materiali
per la ricostruzione restano nel porto di Ashdod per mesi, se non per anni.Così non abbiamo altra
scelta che utilizzare forniture locali», sostiene una fonte anonima citata dal sito. E Adnan Abu
Hasna, responsabile Unrwa (l’Agenzia dell’Onu che si occupa dei profughi) a Gaza, lo conferma:
«Ricostruiremo le scuole che hanno distrutto, alcune per la seconda volta. I materiali? Li prendiamo
anche da Israele». La questione ufficialmente non è mai stata affrontata, spiega a left l’ex
europarlamentare britannico Chris Davies; ma in quale altro modo si possono avere le merci aGaza, che è sotto embargo economico e militare? La maggior parte dei prodotti o viene daIsraele, o viene dal porto di Ashdod, trasportata a prezzi esorbitanti». Per esempio c’è una sola
47 Paola Mirenda da left.it disponibile su fabionews,12 settembre 2014.
società autorizzata al trasferimento di cemento e che gestisce l’83 per cento del mercato: è la
Taavura Holdings, che al 50 per cento è proprietà, guarda caso, della Nesher.
Il monopolio, che ha portato a un aumento dei prezzi tale da falsare la concorrenza, è contestato
anche dalle autorità israeliane che negli ultimi mesi hanno avviato diverse inchieste. Ma
approfittando negli anni passati delle leggi contro il dumping, Nesher è riuscita a detenere l’85% del
settore. L’altro 15% è gestito dalla Lev Baron Commodities che opera come importatore per
imprese estere, con cui si dice che Nesher abbia fatto cartello per limitare la presenza di “avversari”.
A completare il quadro spuntano i nomi di un ex premier israeliano, Ehud Olmert,che nel 2010 è
diventato presidente del gruppo Livnat (che controlla per l’altro 50% Taavura) e di un exgenerale
dell’Idf, Moshe Kaplinsky, amministratore delegato di Nesher dal dicembre 2012. In queste
condizioni,lavorare con altre aziende diventa quasi impossibile. Le cifre della ricostruzione -i cui
danni ammontano a diverse centinaia di milioni di euro - giustificano la salda presa della Nesher.
È di almeno tre milioni di tonnellate il fabbisogno di cemento necessario per ricostruire le38mila case danneggiate(quasi 9mila quelle completamente distrutte) e le 259 scuole reseinagibili dalle bombe sganciate dall’esercito israeliano nella sua ultima operazione militare
(“Margine Protettivo”) sulla Striscia di Gaza. Ci vorranno almeno 20 anni,avverte un rapporto di
Cluster Shelter (una ong presieduta dal Consiglio norvegese per i rifugiati), per restituire una
vivibilità alla Striscia di Gaza. La stima è fatta ipotizzando un ingresso quotidiano di cento camion
di materiali dalvalico di Kerem Shalom, un quantitativo per ora impensabile. Bisogna fare in fretta,
dice l’Unrwa, perché l’inquinamento potrebbe non essere più sostenibile in tre, cinque anni al
massimo. «C'è acqua potabile fino al 2016, se non si interviene subito», spiega l’agenzia delle
Nazioni Unite.Nei 51 giorni di bombardamenti l’Idf ha prodotto1,2 milioni di tonnellate di macerie,
che ottimisticamente il Palestinian economic council for development and reconstruction(Pecdar)
prevede di poter riciclare come materiali da costruzione. «Possiamo tritarle e farne ghiaia, terriccio
per asfaltare o frangiflutti per il mare», spiega l’ingegner Mohammad Najjar. La ghiaia è un beneprezioso, così come tutti i prodotti che sono inseriti nella black list stilata dalgoverno di TelAviv. Dal 2007 - quando Israele ha decretato l’embargo a seguito della vittoria elettorale di Hamas -
l’elenco non fa che crescere. Per motivi di sicurezza moltissimi materiali sospettati di poter avere un
doppio uso non vengono fatti entrare nella Striscia da Kerem Shalom, il valico commerciale nei
pressi di Rafah. Nell’ottobre 2013 è scattato il blocco totale all’ingresso di materiali da costruzione,
ma questo non ha fermato del tutto le attività edili:quello che non entra legalmente, entra attraverso
i tunnel che passano anche sotto lo stesso valico. Le Nazioni Unite parlano apertamente di
“economia dei tunnel” per indicare il settore delle costruzioni. Quando l’Egitto ha chiuso tutti gli
accessi dopo il recente cambio di potere, l’edilizia è crollata, lasciando senza lavoro almeno 70mila
persone.
L’embargo, che riguarda ogni settore commerciale, ha imposto a Gaza una stretta dipendenzadagli imprenditori israeliani: dall’hummus alle lavatrici, tutto proviene dalla potenza occupante.
Secondo la ong di Tel Aviv Gisha nel 2012 Gaza ha acquistato merci da Israele per 1,3 milioni di
shekel, cioè 278 milioni di euro; in percentuale, questo significa il 100 % di tutti i beni esteri
presenti nella Striscia. Senza nessuna reciprocità: prima del 2007, Gaza vendeva l’85% dei suoi
prodotti - prevalentemente agricoli - a Israele e Cisgiordania, oggi vende meno del 2%, sia per
l’embargo sia per la perdita delle sue fabbriche: 360 tra imprese e laboratori sono stati distrutti o
danneggiati in quest’ultimo conflitto. Un’anomalia denunciata dal Consiglio delle Nazioni Unite per
il commercio e lo sviluppo, che dice nella sua relazione che verrà presentata alla Conferenza Onu in
programma dal 15 al 26 settembre a Ginevra:«Nel 2013 solo 182 camion carichi di prodotti agricoli
sono stati esportati da Gaza, contro gli oltre 15mila del 2000».L’agricoltura rappresentava i due
terzi del Pil. Oggi il dato è crollato del 72% «Siamo vittime di un mercato obbligato, una sorta di
dumping per costrizione», denuncia Leïla Chahid, rappresentante della Palestina presso l’Unione
europea. «Ogni prodotto di cui abbiamo bisogno possiamo comprarlo solo da Israele. Vale peril cibo come per i mobili, per le attrezzature sportive come per un frigorifero. Non c’è niente
che possa entrare da Egitto o da Giordania, e noi non abbiamo né porto né aeroporto. Siamo
prigionieri di un unico fornitore». Un passaggio obbligato anche per le organizzazioni umanitarie.
«Mettiamo che una ong decida di inviare dei computer nella Striscia. Deve affrontare il costo del
viaggio fino in Israele, e poi aspettare che le autorità autorizzino l’ingresso. Nel frattempo, deve
pagare lo stoccaggio delle merci, perché la sosta nel magazzino non è gratis. Quanto conviene?
Quanto aumentano i costi? Acquistarlo in Israele diventa meno caro. Non è una legge scritta, ma
così funziona». L’unica alternativa è usare il valico con l’Egitto, ma il passaggio di Rafah «nonè per le merci, serve solo per le persone. Solo in casi eccezionali passano anche prodotti», spiega
ancora Leïla Chahid. In una tale situazione, denuncia l’ex europarlamentare Davies, «gli aiuti ai
palestinesi sono un sussidio dato all’economia israeliana. Paghiamo due volte, considerato che,
come potenza occupante, dovrebbe essere Israele a garantire il benessere di Gaza». Pier Antonio
Panzeri, europarlamentare Pd, annuncia per i prossimi giorni un’interrogazione sulle forniture
acquistate dalla Ue per i bisogni della popolazione palestinese.
Ma non è questo l’unico aiuto indiretto a TelAviv. Rispondendo a un’interrogazione parlamentare
nel 2012, l’allora commissario Stephen Fule ammetteva che idanni causati dall’esercito israeliano
alle infrastrutture finanziate dalla Ue ammontavano, per il periodo 2001-2011, a 49,14 milioni di
euro. «Andrebbero fatti pagare alle parti in conflitto», aggiunge Pieter Cleppé, direttore di
OpenEurope. «Non credo sia giusto che i soldi dei contribuenti europei finiscano in fumo».
Letteralmente, nel caso di Gaza.
Torna a Conseguenze
3.8 Gli studenti di Gaza tornano a scuola, ma non in modo normale.48
Per i bambini di Gaza, la scuola fornisce un’apparenza di normalità nel caos successivo alla
guerra, ma, poichè molte [scuole] sono state distrutte, gli studenti devono affrontare
sovraffollamento e situazioni problematiche.
La scorsa settimana, i ragazzi di Gaza sono tornati a scuola. Era previsto che iniziassero il 24
agosto, ma l’avvio dell’anno scolastico è stato posticipato in un territorio martoriato dalla guerra per
più di due settimane.
Per Ahmad Serhi del quartiere Zeitun di Gaza City, di nove anni, l’inizio dell’anno scolastico non
significa solo una nuova classe e un nuovo maestro, ma anche una nuova scuola, dopo che quella
che frequentava ha subito gravi danni durante i 52 giorni di bombardamenti israeliani su Gaza nella
recente guerra.
Nello sforzo di ripristinare un senso di normalità alla riapertura delle scuole, il padre di Ahmad ha
comprato a lui e ai suoi fratelli quaderni ed uniformi [scolastiche].
Comunque, nonostante l’apparenza di un anno scolastico normale – che a Gaza comprende il fatto
di fare i compiti a casa solo di giorno o alla luce di una candela in seguito alle quotidiane
interruzioni di corrente – una sostanziale anormalità aleggia sui suoi figli e su altri a Gaza, in quanto
lo shock psicologico della recente guerra appare sempre più evidente. Molto più che dei quaderni, i
bambini hanno bisogno di aiuto psicologico per superare i loro traumi, dice Jameel Serhi.
“Hanno preso di mira le scuole nel tentativo di distruggere le nostre vite e intralciare il processo
educativo”, dice a MEE [Middle East Eye] Serhi, dottore cinquantenne. “Possono sostenere che lo
hanno fatto per ragioni di sicurezza, ma ciò non giustifica l’attacco contro strutture educative,
soprattutto contro quelle in cui gli sfollati avevano trovato rifugio. Hanno attaccato le scuole
[anche] nelle tre precedenti guerre che hanno scatenato contro Gaza.”
Mezzo milione di studenti come Ahmad frequentano le scuole di Gaza, circa 24.000 di questi
studenti vanno alle scuole gestite dall’ONU nella Striscia, mentre gli altri frequentano le scuole
statali gestite dal governo.
48 Yousef al-Helou da.middleeasteye, 25 settembre 2014. Il giornalista Mohamed Awad ha contribuito a
questo reportage da Gaza.
La scuola Al-Shijaeyyah, che si trova nella parte orientale di Gaza City, è una di quelle che sono
state totalmente o parzialmente danneggiate durante la guerra. Ventiquattro, come Al-Shijaeyyah,
sono state totalmente distrutte e non possono più accogliere gli studenti.
In base a quanto affermato dal ministero dell’Educazione di Gaza, di queste 278 scuole 187 sono
statali e 91 gestite dall’ONU. Tre di queste ultime sono state attaccate da aerei da guerra o da
proiettili di carri armati mentre c’erano persone al loro interno. In più, 49 scuole private, 5 college e
un’università – l’Università Islamica di Gaza – sono stati danneggiati durante i bombardamenti,
oltre a 75 asili e centri diurni che hanno subito danni parziali o totali.
Gli attacchi aerei israeliani hanno distrutto l’edificio amministrativo principale dell’Università
Islamica di Gaza in agosto. Ciò costerà circa 33 milioni di dollari – una cifra senza precedenti per
riparare una scuola, in base a quanto sostiene il ministero dell’Educazione.
Israele ha sottoposto Gaza a un asfissiante blocco terrestre e navale, e ha scatento tre violentissimi
attacchi su larga scala su un territorio impoverito a fine 2008, nel 2012 e la scorsa estate.
Già prima dell’ultima guerra, durante parecchi anni le scuole dell’ONU e quelle statali di Gaza
facevano i doppi turni (mattina e pomeriggio) per far fronte all’incremento di studenti nella Striscia.
Almeno 200 scuole nuove sono urgentemente necessarie, oltre alle riparazioni per quelle che sono
state danneggiate, ma, in base a fonti dell’ONU, Israele ha rifiutato di far entrare materiale da
costruzione nella Striscia. Israele giustifica questo divieto sostenendo che Hamas utilizza quei
materiali per costruire tunnel sotterranei e bunker.
In molte scuole che non sono state danneggiate dai bombardamenti vivono ancora migliaia di
sfollati, con molte famiglie rimaste senza casa che si rifiutano di lasciare le scuole.
Raed Quider, psicologo quarantenne e padre di cinque [figli], afferma che le scuole che i suoi figli
frequentavano l’anno scorso sono tra queste e teme che i suoi figli perderanno la possibilità di
essere seguiti in modo adeguato.
“ Mio figlio e le mie due figlie sono molto bravi a scuola. Hanno preso ottimi voti e non posso
immaginare come studieranno in classi sovraffollate con più di 50 studenti in una sola classe; è
l’unico modo per accogliere il gran numero di studenti le cui scuole sono state distrutte” dice
Quider a MEE.
Recentemente 7.800 membri dello staff che lavora nelle scuole di Gaza sono stati formati su come
occuparsi degli studenti come parte di un programma psico-sociale di tre settimane, dice Abu Hasna
dell’ONU. Sostiene che circa 1.000 studenti che frequentano le scuole dell’ONU soffriranno ora di
forme diverse di disabilità permanenti e necessiteranno di un accompagnamento specifico. Mentre
prende atto che il processo formativo quest’anno sarà duramente colpito, Quider spera almeno che i
suoi figli potranno usufruire di questo tipo di aiuto.
“I bambini, compresi i miei, necessitano di un trattamento psicologico che li aiuti a superare le loro
paure e i loro traumi” dice.
All’Università Islamica di Gaza, gli impiegati sostengono che molti studenti stanno cercando un
modo per pagare le tasse di iscrizione per tornare a scuola, dove le lezioni devono ancora iniziare.
La più antica e grande università della Striscia è stata attaccata il 2 agosto dai bombardieri israeliani
che hanno distrutto i principali edifici amministrativi.
Yahya Al-Sarraj, il responsabile per le questioni estere dell’università, afferma che Israele ha
attaccato l’univerità a causa della sua reputazione.
“Il nostro lavoro è stato intralciato dalla guerra, i nostri impiegati stanno facendo del loro meglio
per riprendere il lavoro dopo che l’edificio dell’amministrazione è stato colpito, il che ha
comportato la perdita di computer, database, files e documenti,” afferma.
Più del 60% degli studenti universitari, molti dei quali hanno avuto la casa distrutta durante la
guerra, non ha i mezzi per tornare agli studi.
“Sollecitiamo donatori generosi perchè ci aiutino a ricostruire al più presto quello che è stato
distrutto, in modo che possiamo riprendere il nostro impegno accademico” dice Al-Sarraj.
Torna a Conseguenze
3.9 Nonostante la tregua, i pescatori di Gaza sotto tiro in mare.49 I pescatori di Gaza sono ancora stati colpiti dalla Marina israeliana nonostante la tregua e e
sostengono che “queste sono le peggiori condizioni mai viste.”
Ogni volta che Rami, pescatore di Gaza, esce in mare succede la stessa cosa: a cinque miglia
nautiche dalla riva, risuonano degli spari e una voce da un altoparlante israeliano gli chiede di
tornare indietro.
Ufficialmente la flotta peschereccia di Gaza ha il diritto di pescare a strascico fino a 6 miglia
nautiche dalla costa in base ai termini del blocco israeliano imposto da otto anni.
Nonostante questo limite esterno sia stato frequentemente ridotto, o persino totalmente cancellato
negli anni, è stato formalmente reintrodotto in base all’accordo di tregua del 26 agosto, che ha posto
fine alla guerra omicida di 50 giorni tra Israele e i miliziani di Hamas.
Ma solo un mese dopo che il cessate il fuoco è stato raggiunto, non sono state ottenute neppure
queste 6 miglia nautiche – che secondo i pescatori non sono ancora sufficienti.
Un pomeriggio Rami Bakr e il suo equipaggio di 10 uomini sono salpati per una battuta di pesca di
10 ore. Con loro c’era un’equipe della France Press.
Quasi subito spari di avvertimento hanno sfiorato la barca, mentre una nave della Marina israeliana
li ha accostati. A bordo c’era circa una dozzina di soldati armati con mitragliatrici, che gridavano
dagli altoparlanti di fermarsi.
“Sono le peggiori condizioni mai viste” ha detto il quarantunenne pescatore, che ha passato più di
trent’anni della sua vita a pescare nelle acque di Gaza.
“Durante la guerra gli israeliani hanno bombardato le baracche dei pescatori sulla spiaggia e ora gli
impediscono di guadagnarsi da vivere sul mare” ha affermato.
La Striscia di Gaza è stata a lungo nota per la sua abbondanza di pesce, sebbene la quantità di pesce
si sia ridotta a causa dell’inquinamento, delle frequenti guerre e del blocco.
"Oggi le zone costiere contano circa 4.000 pescatori, più della metà dei quali vive al di sotto della
soglia della povertà," afferma Nizar Ayash, capo del sindacato dei pescatori di Gaza.
"Durante le sette settimane dell’ultima guerra, 80 delle circa 1.500 barche da pesca della flotta di
Gaza e dozzine di baracche dei pescatori sono state distrutte dai bombardamenti israeliani, che
hanno anche ridotto in cenere reti ed equipaggiamenti da pesca," dice.
“Troppo pericoloso”Secondo Ayash, i problemi sperimentati da Rami sono diffusi.
“Dal cessate il fuoco, sono stati registrati molti attacchi israeliani” afferma, riferendosi a ripetuti
spari contro le barche da pesca.
Le Forze Armate israeliane sostengono che gli spari di avvertimento sono necessari perchè le barche
palestinesi superano il limite delle 6 miglia.
Con le loro attrezzature distrutte ed il prezzo del gasolio in aumento, i pescatori di Gaza stanno
quasi lavorando in perdita.
"Ora una singola spedizione di pesca può costare circa 500 dollari (circa 400 €)," dice un altro
pescatore, Mehdi Bakr, che ha perso una mano nel 1997, quando una nave della Marina israeliana
ha sparato contro la sua barca.
Per ogni notte [passata] in mare, hanno bisogno di 270 litri di diesel e 250 litri di benzina, spiega. E
tutto questo per una pesca molto scarsa.
"Settembre e ottobre sono il periodo delle sardine e si possono trovare solo tra le 6 e le 9 miglia
marine dalla costa, per cui con un limite di 6 miglia non portiamo a casa quasi nulla “spiega Taha
Bakr, un ventiquatrenne membro dell’equipaggio di Rami.
Poichè la pesca è un’attività che si trasmette di padre in figlio, non riesce più a provvedere alla sua
famiglia e il lavoro è così pericoloso, questo giovane con gli occhi verdi e la barba ben curata si è
iscritto ad una scuola di giornalismo.
49 Adel Zaanoun e Yahya Hassouna da middleeasteye, giovedì 25 settembre 2014.
“Così non dovrò tornare a pescare, questo lavoro è troppo pericoloso” ha raccontato a France
Presse.
Maria Jose Torres, vice capo dell’ufficio umanitario dell’ ONU per i palestinesi (OCHA) dice che
gli accordi di Oslo del 1993 stabilirono una zona di pesca fino a 20 miglia marine.
“E’ fondamentale estendere la zona di pesca oltre le 6 miglia marine per permettere ai pescatori di
guadagnarsi da vivere,” afferma, sottolineando che la grande maggioranza attualmente non è in
grado di mantenersi. “Circa l’84% di loro riesce appena a sopravvivere grazie agli aiuti delle
Nazioni Unite” dice.
Rami afferma che continua ad andare per mare per riuscire a mantenere i suoi figli.
“E’ passato molto tempo da quando abbiamo smesso di sentire sul mare i canti e le risate dei
pescatori che tornavano con le loro reti piene,” dice.
Ma Mehdi teme per il futuro del suo lavoro, praticato a Gaza da un millennio.
“Noi, la giovane generazione, non ne siamo contenti. Se continua così, non ci sarà più nessuna
attività peschiera a Gaza” sostiene.
Torna a Conseguenze
3.10 All’ONU Abbas ha accusato Israele di aver intrapreso una “guerragenocida.”50
Abbas ha dichiarato che i palestinesi non permetteranno che i “criminali di guerra” israeliani
sfuggano alla punizione solo qualche settimana dopo che si è scoperto che aveva bloccato una
richiesta presso la Corte Penale Internazionale.
In quello che qualche commentatore ha chiamato il discorso più forte da quando, circa 10 anni fa,
ha assunto la presidenza palestinese, Mahmoud Abbas venerdì ha accusato Israele di avere
intrapreso una “guerra genocida” e ha promesso di cercare di ottenere un’accusa per crimini di
guerra.
“Non dimenticheremo,non perdoneremo, e non permetteremo che i criminali di guerra sfuggano
alla punizione”, ha affermato durante un discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
La guerra di 51 giorni contro Gaza – la terza nella Striscia in 6 anni- ha ucciso 2.140 palestinesi, per
la maggior parte civili.
“Israele ha scelto di fare quest’anno una nuova guerra genocida contro il popolo palestinese” ha
sostenuto.
La guerra a Gaza è stata “assolutamente una serie di crimini di guerra perpetrati di fronte agli occhi
ed alle orecchie di tutto il mondo”, ha detto.
La guerra è finita il 26 agosto, quando al Cairo le due parti hanno accettato una tregua e di
mantenere futuri colloqui sulle richieste palestinesi di porre fine al blocco di Gaza, che dura da otto
anni.
Nel suo discorso Abbas ha anche detto che chiederà una risoluzione ONU che fissi un termine per il
ritiro di Israele dai territori palestinesi occupati nella guerra del 1967. Non ha posto una data limite
per porre fine all’occupazione.
Abbas ha costantemente utilizzato il ricorso alla Corte Penale Internazionale come oggetto di
scambio con Israele. Lo storico dirigente di Fatah Nabil Shaath ha affermato a fine agosto che
Abbas avrebbe fatto ricorso alla Corte Penale Internazionale se il Consiglio di Sicurezza avesse
rigettato una richiesta per stabilire un limite di tre anni per un ritorno di Israele ai confini di del
1967.
Peraltro, come ha riferito MEE [Middle East Eye. n.d.t] all’inizio di questo mese, è emerso che
Abbas ha bloccato una richiesta da presentare alla Corte Penale Internazionale durante la guerra di
Gaza lo scorso agosto.
50 MEE e agenzie da Middle East Eye , 26 settembre 2014.
Le informazioni sul fatto che Abbas ha ostacolato la richiesta hanno fatto seguito a una
registrazione trapelata in giugno, nella quale Saeb Erekat, il capo della delegazione palestinese nei
negoziati [con Israele], che era presente alla seduta ONU di venerdì a New York, protestava perchè
Abbas aveva promesso al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che non avrebbe
presentato una richiesta [alla Corte Penale Internazionale].
Erekat avrebbe detto:”Abu Mazen (Abbas), se vuoi smuovere Netanyahu, lavora sui documenti [la
richiesta] per le istituzioni internazionali." [Abbas] ha detto: “Mi sono impegnato (a non far ricorso
alle istituzioni internazionali).” “Quale impegno hai preso? Questa non è casa tua! Questa è una
nazione, questa è la Palestina. Questa faccenda è più grande dei singoli individui. Non mi ha
ascoltato. Giuro, ho rassegnato le mie dimissioni due volte.”
Ulteriori pressioni sono state fatte su Abbas, quando Hamas ha dichiarato di essere pronto a correre
il rischio di essere giudicato dalla Corte Penale Internazionale per i razzi che ha lanciato su Israele.
Le informazioni su questa decisione, pubblicate per primo da MEE, hanno impedito ad Abbas di
affermare che aveva bisogno del consenso di tutte le fazioni palestinesi prima di firmare [la richiesta
alla CPI].
Sam Bahour, un consulente economico palestinese-americano di Ramallah e commentatore politico
di Al-Shabaka, il network di politica palestinese, ha affermato che, nonostante Abbas abbia usato un
linguaggio più duro che in precedenza, il suo discorso è stato “politicamente confuso”.
“Ha confermato ciò che persino un bambino palestinese sa, che i negoziati bilaterali sono un
modello fallito per ottenere qualcosa. Questo [discorso] è tardivo”, ha affermato Bahour. “ Poi ha
parlato di una risoluzione da presentare al Consiglio di Sicurezza che dovrebbe menzionare
negoziati bilaterali come metodo per porre fine a questa tragedia. “1984” di George Orwell è la
prima immagine che viene in mente.”
All’inizio di quest’anno Bahour e Tony Klug, uno specialista di Medio Oriente per il Gruppo di
Ricerca di Oxford, hanno proposto che i palestinesi pongano una data limite all’occupazione
israeliana, e, se Israele non la volesse rispettare, i palestinesi dovrebbero rinunciare alla proposta di
[avere] uno Stato e trasformare i loro sforzi in una lotta per i diritti civili su tutto il territorio della
Palestina storica. Bahour ha sostenuto che sperava da Abbas che venerdì avrebbe fatto una proposta
più strategica come quella sua e di Klug.
“Attenderò di leggere il testo della risoluzione presentata al Consiglio di Sicurezza, ma non mi
aspetto nessuna sorpresa” ha affermato Bahour “ Mi sto preparando per poter resistere alla prossima
fase dell’occupazione israeliana, che sarà solamente più devastante che in passato.”
Torna a Conseguenze
3.11 Hamas parteciperà alle elezioni presidenziali e municipali, di nuovo.51
Con il movimento islamico che sta conoscendo una crescente popolarità, sia a Gaza che in
Cisgiordania, Abbas si prepara ad una vittoria di Hamas alle prossime elezioni.
Beit Hanoun, Gaza - Lo storico dirigente di Hamas Khalil al-Hayya ha annunciato che il suo
movimento ha iniziato a prepararsi per le elezioni presidenziali e legislative.E' la prima volta che il
gruppo decide di partecipare alle elezioni presidenziali e si potrebbe vedere un dirigente di Hamas
vincere e prendere il controllo dell'ANP. Nelle sue dichiarazioni, rilasciate durante il fine settimana,
Hayya ha spiegato che Hamas è impegnato a lavorare con l'attuale governo di coalizione a Gaza, ma
ha anche voluto garantire che ha una strategia una volta che le elezioni siano indette. Ha
sottolineato che il suo movimento è determinato a lavorare per porre fine alle divisioni e a costruire
organismi nazionali sulla base della trasparenza e della condivisione del potere.
"Non è ammissibile per nessuno lavorare per conto proprio " ha detto.
L'annuncio è stato fatto durante un evento che si è tenuto nella città settentrionale di Beit Hanoun
51 Mohammed Omer da Middle East Eye, 17 ottobre 2014.
per commemorare i più di 2.100 palestinesi uccisi durante la guerra dei 51 giorni contro Gaza la
scorsa estate, e vi hanno partecipato migliaia di persone, compreso l'ex primo ministro palestinese,
Ismail Hanyieh, e parecchi altri importanti leader di Hamas.
La mossa sembra essere un tentativo da parte della dirigenza di Hamas di indicare un nuovo
approccio del movimento, con Hayya che ha ripetutamente chiesto nuove elezioni e una più ampia
unità militare e politica palestinese di fronte alla persistente occupazione israeliana.
"Ognuno può constatare che la politica del blocco ha fallito, e l'assedio contro la resistenza è finito,
e non tornerà" ha sostenuto Hayya.
"Il mondo e le sue forze tiranniche, che ci hanno imposto il blocco, hanno scoperto la sua inutilità a
causa della presenza della resistenza."
Negli anni Israele ha tentato più volte di assassinare Hayya. L'ultima volta è stato durante
l'offensiva di quest'estate, quando ha bombardato la sua casa, uccidendo suo figlio, una nuora e un
nipote. Prima di ciò, molti suoi parenti sono stati uccisi quando gli F16 israeliani hanno bombardato
luoghi in cui si pensava che si nascondesse. Tuttavia, Hayya non ha desistito e si è impegnato a
continuare la resistenza.
"Noi ora siamo più fiduciosi e convinti...che non c'è posto per gli occupanti sulla nostra terra" ha
affermato.
Ha sostenuto che Hamas continuerà e userà nuove tecniche, nonostante il blocco che non ha
impedito loro di costruire in loco altri razzi e di estendere ulteriormente il loro raggio di azione.
Il presidente palestinese Mahmoud Abbas, del [partito] rivale Fatah, mercoledì ha pure cautamente
accettato la mossa, dicendo ad una stazione televisiva egiziana che egli è disposto a cedere il potere
ad Hamas se questo vincesse le prossime elezioni. Hamas non si presentò contro Abbas nel voto
presidenziale del 2005, anche se ha presentato propri candidati alle elezioni parlamentari del 2006.
"Siamo pronti alle elezioni presidenziali già da domani, e se Hamas vincerà, otterrà il potere," ha
detto Abbas.
La seguente affermazione potrebbe essere interpretata in effetti come un riferimento ai continui
problemi che devono affrontare le migliaia di dipendenti pubblici di Gaza, ma se una simile
transizione fosse effettivamente accettata si tratterebbe di un cambiamento rispetto al dramma
seguito alle elezioni del 2006.
Allora Hamas vinse la maggioranza dei seggi a Gaza, mentre Fatah vinse in Cisgiordania [in realtà
Hamas ottenne la maggioranza sia in percentuale che in seggi in tutta la Palestina dove si era votato.
n.d.t.]. Le conseguenti tensioni hanno diviso da allora la politica palestinese finché l'annuncio di un
governo tecnico di coalizione il 2 giugno ha fatto sperare che possa essere in corso un
avvicinamento definitivo.
In base all'accordo accettato sia da Hamas che da Fatah, il gabinetto di 17 membri non partitici
dovrebbe lavorare nell'unità e in pace finché verranno indette le elezioni, fissate per il 2015.
Tempo di elezioni?
Per il momento, non ci sono molti colloqui tra le fazioni palestinesi su quando si terranno
effettivamente le elezioni. Comunque, se fossero indette ora, sembra che Hamas avrebbe la vittoria.
In un sondaggio fatto il mese scorso dal Centro Palestinese per la Ricerca Politica, Hamas risultava
in testa sia alle presidenziali che alle parlamentari - per la prima volta da quando i palestinesi hanno
votato per Hamas nel 2006.
Secondo Adnan Abu Amer, un analista politico di Gaza, Hamas sta pensando di ripetere la strategia
delle elezioni parlamentari del 2006 e di estenderla alle presidenziali.
"Hamas teme che le prossime elezioni possano essere un modo elegante per espellerlo dall'arena
politica," ha detto a Middle East Eye.
Ma Hamas è deciso a impedire che ciò avvenga ed ha imparato dall'esperienza di governo. Sono
pronti a correggere gli errori del passato e a migliorare, spiega.
Inoltre, il movimento sa che ora è il momento ideale per vincere, aggiunge.
In base al sondaggio, per il quale sono stati interpellati 1.000 palestinesi a Gaza e in Cisgiordania,
c'è stato un balzo senza precedenti nella popolarità di Hamas. Ciò in larga misura grazie al credito
dovuto all'abilità di Hamas nel resistere durante l'attacco di 51 giorni da parte di Israele l'estate
scorsa, denominato "Operazione Margine Protettivo".
Il sondaggio mostra che il leader di Hamas, Hanyieh, vincerebbe con il 60% dei voti in un'elezione
a doppio turno contro il presidente dell'ANP Mahmoud Abbas, che otterrebbe appena il 32% dei
voti.
Più del 50% degli intervistati ha sostenuto che la resistenza armata sarebbe più adeguata per aiutare
i palestinesi a raggiungere le loro aspirazioni ad avere un proprio Stato - un'indicazione che la
maggioranza dei palestinesi vorrebbe adottare la strategia di Hamas di una lotta armata per porre
fine all'occupazione.
Alcuni documenti interni di Hamas hanno mostrato all'inizio di quest'anno che la sua popolarità era
in costante declino.
Questo spostamento era evidente anche prima della guerra del 2014, con un sondaggio condotto dal
Washington Institute for Near East Policy, che evidenziava che il 70% dei gazawi voleva che
Hamas rispettasse la tregua con Israele ed il 57% preferiva Fatah alla dirigenza di Hamas.
Ma l'appoggio ad Hamas sembra essere aumentato ed sta anche fondamentalmente crescendo in
Cisgiordania, dove sta montando il risentimento nei confronti delle azioni dell'ANP, che ha fallito
nell'ottenere risultati con i colloqui di pace, nell'impedire massicce costruzioni di colonie e ha
imposto una dura repressione contro le proteste a favore di Gaza la scorsa estate.
Anche se la sua popolarità a Gaza finirà per declinare a lungo termine, secondo Abu Amer Hamas è
ancora ben posizionato per vincere a causa di una serie di fattori.
"Applicando un'equazione matematica, la popolazione della Cisgiordania è più grande di quella di
Gaza e ciò dovrebbe bilanciare ogni potenziale riduzione [della popolarità] a Gaza, dove la
popolazione è minore", afferma Abu Amer.
In base ai dati dell'Ufficio Centrale di Statistica palestinese, nel 2010 c'erano 2.5 milioni di
palestinesi in Cisgiordania e 1.7 milioni a Gaza. Oltretutto in Cisgiordania una maggiore
percentuale di popolazione ha diritto di voto - quasi il doppio di quelli di Gaza - il che aumenta
ulteriormente le possibilità a favore di Hamas, aggiunge Abu Amer.
Osservatori e commentatori tendono a concordare sul fatto che l'ANP potrebbe recuperare consensi
se riuscisse a garantire l'apertura dei valichi di Gaza e ad accelerare il processo di ricostruzione e
ripresa economica a Gaza. D'altra parte, se Hamas veramente sta tenendo in ostaggio un soldato
israeliano e riesce ad ottenere uno scambio favorevole di prigionieri - simile a quello della
liberazione di Gilad Shalit nel 2011- allora l'onda di popolarità di Hamas potrebbe benissimo
minare ogni speranza dell'ANP.
Torna a Conseguenze
3.12 Dopo Gaza, qual è il prezzo del settore della sicurezza palestinese?52
Sintesi
L'attacco israeliano di 51 giorni contro Gaza richiede sforzi raddoppiati per liberarsi dal sistema di
controllo delle vite palestinesi nei Territori Palestinesi Occupati (TPO) accuratamente costruito e
garantire i diritti dei palestinesi. Un primo passo indispensabile deve essere quello di affrontare [il
problema della] creazione di forze di sicurezza palestinesi, finanziate da donatori, che servono
principalmente alle pretese coloniali di Israele. Questo è ancora più urgente in quanto l'ANP intende
tornare a Gaza in base all'accordo di riconciliazione.
Il responsabile di Al-Shabaka per la politica Sabrien Amrov e il direttore del programma Alaa Tartir
si confrontano con questo argomento esaminando l'attuale situazione del settore della sicurezza, le
sue origini e obiettivi, e l'autoritarismo in rapido sviluppo che sta trasformando la "Palestina" in uno
Stato di polizia. Pur toccando il tema del comparto della sicurezza a Gaza, essi prendono in
considerazione soprattutto il suo sviluppo in Cisgiordania. Insistono sul fatto che i fondamenti stessi
della riforma di questo settore devono essere contrastati, come passo fondamentale per dare nuovo
impulso alla ricerca della libertà, della giustizia, dell'uguaglianza e dell'autodeterminazione
52 Sabrien Amrov e Alaa Tartir da al-shabaka, 8 ottobre 2014.
palestinese.
Un settore che prospera
Durante l'ultimo decennio il settore della sicurezza si è sviluppato più rapidamente di qualunque
altro dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Attualmente ci sono più impiegati pubblici nel
settore della sicurezza che in qualunque altro - 44% dei 145.000 dipendenti pubblici. E' stato creato
un numero crescente di programmi sulla "scienza della sicurezza" in scuole e università, compreso
il Centro Palestinese per gli Studi nel Settore della Sicurezza a Gerico, considerato il più prestigioso
in Cisgiordania, e migliaia di studenti palestinesi viaggiano all'estero per ricevere addestramento di
alta qualità sulla sicurezza.
La sicurezza si prende una porzione ragguardevole del bilancio dell'ANP, che si aggira sul miliardo
di dollari (26% del budget del 2013), rispetto a solo il 16% per l'educazione, il 9% per la salute e, in
un modo incredibilmente basso, l'1% per l'agricoltura, tradizionalmente una delle principali fonti di
sostentamento per i palestinesi. Il settore della sicurezza riceve pure considerevoli aiuti
internazionali: nel solo 2013 gli Stati Uniti, l'Unione Europea e il Canada hanno iniettato milioni di
dollari in quella che è eufemisticamente definita la "Riforma del Settore della Sicurezza" (RSS). Di
fatto, attualmente c'è un addetto alla sicurezza per ogni 52 residenti palestinesi, rispetto a un
insegnante ogni 75. I giornali pubblicano quotidianamente annunci di finanziamenti per nuove
prigioni dell'ANP - ci sono circa 52 nuove prigioni e otto nuove strutture per la sicurezza - così
come per l'equipaggiamento anti-sommossa.
Un importante indicatore della crescente importanza del settore della sicurezza è stato la nomina di
personale della sicurezza in posizioni di comando o nei Comuni, nei Governatorati e in cariche
politiche delicate. Per esempio, Majid Faraj, capo dei servizi segreti palestinesi, faceva parte della
delegazione palestinese nei recenti negoziati con Israele. Benché dirigenti delle forze di sicurezza
come Jibril Rajoub e Mohammed Dahlan siano stati molto potenti in passato (e lo potrebbero essere
di nuovo in futuro), quello che fa la differenza ora è il fatto che ciò sia stato presentato come parte
delle misure per la costruzione di uno Stato moderno.
Ovviamente, lungi dal garantire la sicurezza dei palestinesi, questo settore, che ha rapidamente
proliferato, è servito, come fin dall'inizio nelle intenzioni di Israele, da strumento per il controllo e
la pacificazione della popolazione palestinese nell'area sotto diretto controllo dell'ANP (Area A, in
base agli accordi di Oslo), così come nell'area controllata insieme ad Israele (Area B). In queste
zone, le forze di sicurezza palestinesi hanno represso manifestazioni, arrestato militanti, disarmato
con la forza i gruppi armati dei partiti politici, torturato miliziani e militanti politici. Allo stesso
tempo, la collaborazione con Israele in materia di sicurezza ha raggiunto livelli senza precedenti,
come si esaminerà in seguito. Frattanto Israele ha mano libera nell'Area C, circa il 60% della
Cisgiordania, che è sotto il suo controllo militare.
L'evoluzione del settore della sicurezza
L'attuale comparto della sicurezza dell'ANP trae origine dalla Dichiarazione dei Principi di Oslo nel
1993, il cui articolo VIII prefigura "consistenti forze di polizia" per i palestinesi, mentre Israele
mantiene la responsabilità sulle "minacce esterne" così come sulla "sicurezza complessiva degli
israeliani". Questo è spiegato molto chiaramente nell'Appendice I dell'accordo interinale (Oslo II)
del 1995, con un protocollo sulle operazioni di sicurezza congiunte israelo-palestinesi, come le
precisazioni da parte israeliana delle dimensioni delle forze, del numero e tipo di armamenti, con le
procedure per registrarle. In altre parole, negli accordi di Oslo era previsto che l'ANP giocasse il
ruolo di sub-appaltante per Israele.
Ironicamente, le "consistenti forze di polizia" hanno in parte portato alla violenta intensificazione
della seconda Intifada e al fatto che Israele abbia imposto un giro di vite alla polizia palestinese e ad
altre istituzioni palestinesi. Fu nel 2002, al culmine della seconda Intifada e dell'invasione delle
città palestinesi da parte di Israele, che sia l'ex presidente USA George W. Bush che l'allora primo
ministro israeliano Ariel Sharon misero in evidenza gli elementi sicuritari della Road Map per la
pace già avviata nel 2003 dal Quartetto. Come dichiarò Bush nel 2002: "Gli Stati Uniti non
appoggeranno la costituzione di uno Stato palestinese finché i suoi dirigenti non si impegneranno in
una seria lotta contro i terroristi e non smantelleranno le loro infrastrutture. Ciò richiederà uno
sforzo con supervisione esterna per ricostruire e riformare i servizi di sicurezza palestinesi."
Quindi, per i palestinesi l'autodeterminazione passò da essere un diritto a essere un privilegio che
l'ANP doveva dimostrare di meritarsi.
La Road Map ha contribuito in modo notevole allo spostamento della strategia dell'ANP per la
costituzione di uno Stato da una lotta per l'autodeterminazione all'acquisizione di un settore della
sicurezza che avrebbe dovuto essere governato dai "principi del governo democratico e dello Stato
di diritto", ma che di fatto è stato al servizio di Israele. Infatti la prima fase della Road Map ha
richiesto che l'ANP intraprendesse "sforzi visibili" per bloccare individui e gruppi "che compiono e
pianificano attacchi violenti [messi in atto] ovunque contro gli israeliani." Le condizioni [poste] al
comparto della sicurezza palestinese comprendono: combattere il terrorismo; arrestare i sospetti;
mettere fuori legge l'incitamento [alla violenza]; raccogliere tutte le armi illegali; fornire a Israele
una lista delle reclute della polizia palestinese; informare gli Stati Uniti dei risultati [della
repressione].
Quindi l'evoluzione del comparto palestinese della sicurezza è stato "un processo controllato
dall'esterno" che è chiaramente "guidato dagli interessi della sicurezza nazionale di Israele e degli
Stati Uniti."
Contemporaneamente, è importante notare che l'ANP sotto Abbas, prima come capo del governo e
poi dal 2005 come presidente, ha avuto le proprie ragioni per adottare questi impegni. Abbas
sperava di istituire un monopolio sull'uso della forza e rafforzare la sua leadership dopo che aveva
preso il potere dal precedente leader palestinese Yasser Arafat, e di proteggere le elite dell'ANP,
come ha notato in un recente articolo il nostro collega Tariq Dana, commentatore politico di Al-
Shabaka. D'altro canto, l'ANP aveva tutto l'interesse a reprimere gli islamisti così come gli altri
partiti di opposizione in Cisgiordania, soprattutto in conseguenza della vittoria di Hamas nelle
elezioni legislative palestinesi del 2006 e la frattura tra Fatah e Hamas nel 2007. Gli sforzi sempre
maggiori per reinventare le forze della sicurezza palestinese si sono accentuati dopo che nel 2007
Salam Fayyad è diventato primo ministro, tutto in nome del processo di costruzione dello Stato.
Nonostante le chiare e crescenti violazioni dello Stato di diritto da parte dell'ANP, i donatori
internazionali e la stessa ANP hanno continuato a vendere il fatto che la RSS avesse lo scopo di
fornire un sistema giudiziario efficiente, imparziale e che garantisse i diritti umani 2. Lo Stato di
diritto nel contesto di una prolungata occupazione militare, tuttavia, è a dir poco disatteso. Come ha
ammesso un diplomatico occidentale coinvolto nell'addestramento in materia di sicurezza in un
rapporto a questo proposito dell' International Crisis Group [una delle principali organizzazioni non
governative che si occupa di prevenzioni di conflitti, con sede a Bruxelles e che conta nel suo
organico numerosi politici, diplomatici e professori nordamericani e di altri paesi Nato. n.d.t.], "il
criterio principale [per definirne] il successo è l'approvazione da parte di Israele. Se gli israeliani ci
dicono che funziona bene, lo consideriamo un successo."
Una discussione sul comparto sicurezza nella Striscia di Gaza esula dall'argomento di questo
discorso, ma qualche parola va detta a proposito delle affinità tra l'ANP controllata a Ramallah da
Fatah e le istituzioni controllate da Hamas a Gaza. Dei 23.000 dipendenti pubblici del governo di
Hamas, 15.500 lavorano nel comparto sicurezza. Come l'ANP rimane attaccata al potere in
Cisgiordania minacciando gli altri gruppi militanti, Hamas fa lo stesso a Gaza. Per esempio, la
Commissione indipendente per i Diritti Umani di Ramallah afferma che delle 3.185 denunce di
violazioni commesse dalle autorità di sicurezza come dalle istituzioni civili che ha ricevuto nel
2012, 2.373 riguardavano la Cisgiordania e 812 Gaza. Rimane da vedere quali effetti avrà sul suo
settore della sicurezza l'ingresso a Gaza del governo di unità nazionale.
Una parte dello sforzo da parte di Hamas di prendere il controllo della Striscia di Gaza aveva come
scopo mantenere in vigore il cessate il fuoco con Israele. Perciò, ironicamente, Hamas a questo
proposito è stato il miglior garante della sicurezza di Israele da quando il blocco di Israele della
Striscia di Gaza è iniziato ai primi del 2006 - benché, come ha evidenziato il noto analista Mouin
Rabbani, il coordinamento di Hamas con Israele differisca da quello di Fatah, essendo "informale e
presumibilmente tattico". L'abilità di Hamas nel mantenere la tregua con Israele è un fatto che gli
analisti israeliani hanno riconosciuto, benché ciò non abbia impedito ad Israele di lanciare attacchi
sempre più distruttivi contro Gaza per "falciare il prato", un eufemismo che [Israele] utilizza per
definire il suo approccio omicida nei confronti di Gaza.
Oppressione da parte di uno Stato di polizia in via di costituzione
Attualmente il risultato finale dell'RSS [Riforma del Settore della Sicurezza] è stato di rafforzare
l'autoritarismo dell'ANP a un livello senza precedenti. Come ha affermato Nathan Bown [docente
statunitense di Leggi e Politiche del Medio Oriente allaGeorge Washington University. n.d.t.] nel
dibattito sul contesto autoritario dell'RSS "l'intero progetto è basato non solo sullo sminuire o
posporre la democrazia e i diritti umani, ma nel negarli concretamente adesso." Yazid Sayigh
[senior associate presso il Carnegie Middle East Center di Beirut. n.d.t.] conclude che la riforma del
comparto sicurezza ha avuto come risultato una trasformazione autoritaria che minaccerà non solo
la sicurezza a lungo termine, ma anche la capacità di raggiungere uno Stato palestinese. Se mai c'è
uno Stato palestinese, sembra uno Stato di polizia più di quanto lo siano la maggior parte degli altri
regimi arabi.
Una breve rassegna di quanto stanno soffrendo gli abitanti della Cisgiordania governati dall'ANP
dimostra in molti casi che l'ANP è ormai diventato uno Stato di polizia, nel quale essi devono
affrontare molteplici livelli di oppressione da parte sia di Israele che dell'ANP. Ciò si riflette nella
differenza tra i termini usati dall'ANP e quelli usati dalla gente comune: l'ANP definisce il lavoro in
comune con Israele come "coordinazione" (tansiq), mentre il popolo usa il termine
"collaborazionismo" (ta’awoun). Alcuni palestinesi parlano di una politica della "porta girevole" per
mezzo della quale detenuti vengono rilasciati dalla prigione di un'autorità per entrare in quella
dell'altra. Un intervistato del campo profughi di Jenin ha detto: "Prima le Forze della Sicurezza
Preventiva dell'ANP mi hanno incarcerato per nove mesi perché sono membro di Hamas e tre mesi
dopo il mio rilascio Israele mi ha arrestato e accusato esattamente per la stessa ragione. Hanno
usato letteralmente le stesse parole." 3
Questa spiegazione di un alto ufficiale delle Forze della Sicurezza Presentiva dice tutto: "Abbiamo
liste con dei nomi. (Gli israeliani) vogliono [arrestare] qualcuno, e ci chiedono di prendere questa
persona per loro." Questa è stata l'impostazione per anni, come è stato messo in luce nel 2010 dalla
valutazione dell' International Crisis Group: "Il servizio di intelligence generale (Shin Bet) fornisce
alla sua controparte palestinese una lista di militanti ricercati, che in seguito i palestinesi arrestano.
L'esercito e gli ufficiali dell'intelligence israeliani (dicono che) ' il coordinamento non è mai stato
così ampio' e che 'il coordinamento è migliorato in ogni aspetto.'"
Benché la repressione da parte delle forze di sicurezza dell'ANP si manifesti in continuazione e
prenda differenti forme, vale la pena di mettere in evidenza alcuni esempi specifici che mostrano
fino a che punto sono disposte ad arrivare per reprimere il pubblico dissenso. A metà 2012, le forze
di sicurezza dell'ANP hanno represso una manifestazione pacifica a Ramallah; in seguito a questo
intervento cinque manifestanti hanno dovuto essere portati in ospedale, e più di 18 hanno presentato
denuncia. Le percosse date a uno di loro durante la detenzione da parte della polizia sono state così
gravi che Amnesty International ha detto che si è trattato di tortura.
Un altro rapporto di Amnesty International del 2013 ha riscontrato che la brutalità della polizia ha
causato la morte di due palestinesi: una donna di 44 anni è stata uccisa durante l'irruzione della
polizia in un villaggio che ha portato al ferimento grave di altre otto persone, provocando le
proteste di centinaia di abitanti e scontri con le forze di sicurezza, e un secondo palestinese è stato
ucciso in un'altra operazione nel campo di rifugiati 'Askar di Nablus. A. I. descrive la brutalità
complessivamente inflitta come "scioccante persino per gli standard delle forze di sicurezza
palestinesi."
Facendo palesemente eco al trattamento del sistema giudiziario israeliano nei confronti dei
palestinesi che cercano di garantire i propri diritti alla vita, alla terra e alla libertà, le corti di
giustizia palestinesi non hanno mai trovato "responsabile di torture, detenzione arbitraria o
precedenti casi di morti illegali durante la custodia nessun ufficiale della sicurezza in Cisgiordania...
(oppure) perseguito agenti per aver colpito manifestanti a Ramallah il 28 agosto", secondo un
rapporto di Human Rights Watch del 2013. Questo avviene persino quando i poliziotti sono noti. Di
fatto, le autorità a volte arrivano al punto di perseguire le vittime, come è successo dopo che la
polizia ha attaccato i militanti nell'aprile 2014. Effettivamente le forze di sicurezza hanno la
possibilità di utilizzare il sistema giudiziario a proprio favore. Questo è quanto riguardo allo Stato di
diritto in base ai programmi della RSS.
Oltretutto la repressione non è limitata ai manifestanti o alle persone "ricercate", cioè i palestinesi
ricercati da Israele. L'Osservatorio Euro-Med per i Diritti Umani [ONG indipendente che si occupa
delle violazioni dei diritti umani in Medio Oriente e in Nord Africa. n.d.t.] recentemente ha riferito
che nel 2013 le forze di sicurezza palestinesi hanno arbitrariamente arrestato 723 persone e ne
hanno interrogate 1.137 senza imputazioni chiare, decisioni o autorizzazioni dei tribunali. Oltre a
ciò, le forze di sicurezza palestinesi hanno arrestato 56 persone a causa del profilo su Facebook
contro di loro, 19 giornalisti e un certo numero di vignettisti e scrittori. Sono inoltre stati
documentati 117 casi di terribili torture.
In nessun luogo la collaborazione dell'ANP con Israele in materia di sicurezza è più evidente che
nei campi di rifugiati della Cisgiordania, accentuando l'isolamento degli abitanti dei campi dal resto
della società e sradicando e criminalizzando la residua resistenza armata palestinese. Il trattamento
riservato al campo di rifugiati di Jenin è il miglior esempio di questo approccio. Devastato
dall'esercito israeliano durante la seconda Intifada nonostante un'eroica resistenza, Jenin nel 2007 ha
cominciato ad essere utilizzato come un governatorato [distretto amministrativo. n.d.t.] sperimentale
da parte del governo di Fayyad, dei donatori internazionali e di Israele per potenziare lo Stato di
diritto. Sotto l'egida dell'operazione "Speranza e Sorriso", le forze dell'ANP hanno avuto l'ordine di
eliminare ogni fonte di "terrorismo ed instabilità" dal campo.
L'oppressione di Jenin è continuata fino ad oggi. Per esempio, tra l'agosto e l'ottobre del 2013, un
periodo durante il quale i colloqui sponsorizzati dal segretario di Stato USA John Kerry erano in
corso, le forze di sicurezza palestinesi e l'esercito israeliano hanno condotto oltre 15 incursioni
contro il campo profughi di Jenin (vedere per esempio il reportage dell'agenzia Maan News) Nel
marzo 2014 l'esercito israeliano ha colpito il campo profughi di Jenin, assassinando tre persone e
ferendone almeno altre 14. Si è affermato che ai servizi di sicurezza palestinesi della zona era stato
detto di rimanere nei loro uffici prima dell'attacco. Le forze di sicurezza palestinesi sono anche
utilizzate persino per minacciare i palestinesi che hanno il coraggio di criticare le loro azioni o
quelle dei poliziotti dell'ANP: nel maggio 2014, ad esempio, le forze di sicurezza palestinesi e le
guardie del governatore di Jenin hanno brutalmente aggredito un civile palestinese dopo che questi
era stato sentito fare un commento sarcastico a proposito del corteo del governatore attraverso la
città.
L'esperienza di Jenin dimostra che la resistenza armata, che una volta era considerata una parte
imprescindibile della lotta palestinese per l'autodeterminazione, è considerata dall'ANP come una
forma di dissenso che non richiede una politica giusta ma l'eliminazione e la criminalizzazione.
Perciò un più vasto obiettivo della RSS è quello di criminalizzare la resistenza contro l'occupazione
e lasciare ad Israele - e ai suoi lacchè di fiducia - l'esclusività dell'uso delle armi contro una
popolazione indifesa.
Il successo della RSS impostata da Israele e USA e messa in atto dall'ANP dipende dal modo in cui
le forze di sicurezza palestinesi sono condizionate ad auto-condizionarsi. Questo auto-
condizionamento è visibile su diversi piani, a cominciare dai dirigenti governativi di alto livello.
Abbas intrattiene incontri periodici con le forze di sicurezza e ripetutamente ordina loro di operare
con il pugno di ferro. Il portavoce delle forze di sicurezza dell'ANP, Adnan al-Dimiry, è arrivato al
punto di affermare che le forze di sicurezza abbiano creato un miracolo sicuritario e che la
Cisgiordania sia persino più sicura delle città israeliane.
Ancora più preoccupanti sono le occasioni in cui giovani palestinesi che si stanno addestrando nelle
forze di sicurezza evidenziano il proprio auto-condizionamento. Come ha ammesso uno studente
presso un'accademia turca: "E' sporco, ma noi dobbiamo dimostrare che lo possiamo fare.
Dopotutto, dal momento che abbiamo il nostro Stato, lo possiamo governare in modo da poterne
trarre vantaggio." Quindi, i giovani uomini e donne palestinesi che fanno parte delle forze di
sicurezza forse personificano la dualità tra essere vittima dell'occupazione e esserne il collaboratore
allo stato più puro. Quando quasi metà del settore pubblico palestinese è coperto da impieghi nel
comparto della sicurezza la decisione è già presa.
A Ramallah un gruppo di poliziotti ha ammesso che, anche se si è stabilito che gli israeliani non
possano entrare nell'Area A, quando lo fanno " ci chiamano e i nostri superiori ci dicono di mettere
giù le armi e di tornare in commissariato. Non possiamo neanche stare in strada o nelle nostre auto
della polizia se loro decidono di entrare per fare un'incursione. Se loro dicono "Sparite" noi lo
facciamo. Chi li fermerebbe? Nessuno."
Parecchi analisti hanno notato l'impatto di un tale condizionamento. Il docente di diritto Asem
Khalil sostiene che la coordinazione in materia di sicurezza è di per sé una forma di
condizionamento: "La lotta palestinese si trova in un momento in cui non ha più l'obiettivo di
[ottenere] l'autodeterminazione, ma è per farsi una reputazione a livello internazionale, per
dimostrare che meriti di governarti da solo, e la coordinazione è una forma di disciplina con la quale
i donatori internazionali, insieme al potere coloniale, stanno condizionando il futuro Stato
palestinese." Il politologo Mandy Turner sostiene che l'impresa della costruzione di uno Stato è una
forma di contro-insurgenza, ma che ci vuole tempo perchè sbocci, proprio in quanto ha bisogno di
socializzare il colonizzato nell'auto-condizionamento agli standard imposti dai principi neoliberali.
Un appello ai palestinesi perché riformino la "Riforma"
Le "Carte palestinesi" rese pubbliche da Al Jazeera, compresi documenti dettagliati degli incontri
israelo-palestinesi di Annapolis nel 2008, rivelano che in un certo senso i dirigenti palestinesi
credevano ancora che se avessero fatto tutto quello che i donatori gli chiedevano in materia di
sicurezza avrebbero ottenuto uno Stato (vedi, per esempio, Saeb Erekat). Eppure, i palestinesi sono
più lontani che mai dall'ottenere uno Stato. Oltretutto, il primo ministro israeliano Benjamin
Netanyahu, durante l'attacco israeliano contro Gaza nell'estate scorsa, ha chiarito definitivamente
che Israele non rinuncerà mai al controllo della sicurezza ad ovest del Giordano. Il mito secondo il
quale i milioni di dollari che i donatori hanno iniettato nel settore della sicurezza palestinese
sarebbero serviti per l'obiettivo di creare uno Stato è stato messo a nudo per quello che è.
La Riforma del Settore della Sicurezza così come è stato attuato nei Territori Palestinesi Occupati
ha stravolto la lotta nazionale e le sue priorità con l'obiettivo di indebolire la capacità del popolo
palestinese di resistere alla dominazione coloniale. Ha spezzato il rapporto diretto tra il fatto che i
palestinesi vivono sotto occupazione e le forze di occupazione israeliane e ha contribuito alla
creazione di una nuova elite di adepti della sicurezza che abusano dei propri poteri e riversano
contro i civili palestinesi l'umiliazione che devono subire da parte delle forze israeliane.
La domanda è: quale impatto avrà l'attacco israeliano di 51 giorni contro Gaza di quest'estate sul
comparto della sicurezza nei Territori Palestinesi Occupati? Prima dell'inizio dell'attacco, sembrava
che ci fossero piccoli cambiamenti: [l'operazione] è iniziata subito dopo la repressione israeliana del
giugno 2014 in Cisgiordania, che ha mostrato una intensificata repressione dell'ANP nei confronti
dei manifestanti palestinesi, sia insieme alle forze israeliane che autonomamente. Poco dopo Abbas
ha giocato la carta nazionalista per rispondere alla condanna palestinese e internazionale nei
confronti dell'attacco contro Gaza, e la delegazione palestinese che ha negoziato la tregua al Cairo
comprendeva tutte le fazioni. Tuttavia, dopo che l'attacco è finito, Fatah e Hamas hanno
ricominciato a scambiarsi accuse, ma il loro accordo di fine settembre per fare in modo che il
governo unitario possa governare a Gaza può portare a buone relazioni. E' troppo presto per
giudicare l'impatto che ciò avrà sul settore della sicurezza sia a Gaza che in Cisgiordania.
Nonostante tutto, la riforma della sicurezza sotto occupazione è viziata alla base: più l'ANP vi
investe, più consolida l'occupazione ed è obbligata a lavorare ancora di più come un subappaltante
di Israele. C'è una necessità urgente di allontanarsi dal paradigma dell'edificazione in senso
securitario che è stata costruita sotto Abbas e rafforzata sotto Fayyad, e di dedicarsi invece ai reali
bisogni di sviluppo per i Territori Palestinesi Occupati. Il fatto che il numero di famiglie che
ricevono assistenza economica sia aumentato da 30.000 a 100.000 tra il 2007 e il 2010 è la prova, se
ce ne fosse bisogno, che gli argomenti dell'ANP, secondo cui migliori condizioni di sicurezza
porteranno a migliori condizioni economiche, sono falsi.
Qui di seguito ci sono quattro raccomandazioni rivolte alla società civile palestinese ed ai suoi
sostenitori in patria e all'estero, al fine di iniziare il lavoro che può e deve essere fatto per riformare
"la Riforma del Settore della Sicurezza".
Primo e più importante, le organizzazioni della società civile palestinese devono utilizzare media,
incontri pubblici ed altre attività per porre fine al discorso e rifiutare la nozione che la resistenza
contro l'occupazione deve essere criminalizzata. Tutte le persone che vivono sotto occupazione
hanno il diritto di resistere, che sia con manifestazioni, con discorsi e scritti, o difendendosi contro
attacchi armati. Anzi, criminalizzare la resistenza all'occupazione è di per sé un crimine.
In secondo luogo, la società civile ha bisogno di tutta la sua creatività per trovare il modo per
instaurare un sistema di pesi e contrappesi. La chiave del successo della riforma della sicurezza è
costituito da responsabilità pubblica e riappropriazione [dei diritti di cittadinanza]. Nessuna delle
due è presente nel contesto palestinese, a causa della mancanza di un qualche sistema di controllo
dei poteri e di una supervisione indipendente, per non parlare della onnicomprensiva occupazione
israeliana. I funzionari dell'ANP sostengono di "rispettare gli standard internazionali", ma senza un
parlamento funzionante, un ufficio indipendente di mediazione o un effettivo ricorso al potere
giudiziario, queste parole non hanno senso. Finché non verrà introdotto un sistema di equilibrio tra i
poteri, la RSS sarà una parte del problema e non della soluzione.
Terzo, bisogna trovare degli investimenti per [dare] opportunità economiche alternative e
permettere alla gente di sopravvivere e di continuare la lotta contro i diversi livelli di oppressione
senza essere obbligati a lavorare nell'ipertrofico e repressivo settore della sicurezza.
Per ultimo, il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) ha dato a molti
palestinesi e ai loro sostenitori nuove speranze nell'efficacia di strumenti nonviolenti di resistenza
all'oppressione e per garantire i propri diritti. Alcuni di questi principi organizzativi e pratiche
possono essere applicati negli sforzi per liberarsi dal giogo dello Stato sicuritario.
Note1. Hussein Agha and Ahmad Khalidi,A Framework for a Palestinian National Security
Doctrine(London, UK: Royal Institute for International Affairs/Chatham House, 2005).
2. Per maggiori informazioni vedi Roland Friedrich e Arnold Luethold, Entry-Points to Palestinian
Security Sector Reform (Switzerland: Geneva Centre for the Democratic Control of Armed Forces
(DCAF), 2007).
3. Se non specificato altrimenti, le citazioni sono prese da inteviste realizzate da uno dei due autori a
Ramallah, Birzeit, Bethlehem, Nablus, Jenin e Ankara nel 2012, 2013 e 2014.
Torna a Conseguenze
3.13 I sintomi di fascismo in Israele hanno raggiunto un nuovo picco durantel'operazione a Gaza, sostiene un celebre studioso.53
Zeev Sternhell, vincitore del Premio Israele, teme il collasso della democrazia in Israele, e fa un
confronto tra l'attuale clima politico e quella del 1940 in Francia. Egli teme che il tempo che ci è
rimasto per invertire questa preoccupante tendenza stia finendo.
All'una del pomeriggio di un giorno del settembre 2008 il professor Zeev Sternhell ha aperto la
porta della sua casa in via Agnon a Gerusalemme per entrare in un cortile interno. Appena ha girato
la maniglia un'assordante esplosione ha scosso l'edificio. Sternhell, che qualche mese prima aveva
ricevuto il premio Israel in scienze politiche, è stato leggermente ferito da una bomba nascosta in un
vaso di fiori.
Un anno dopo, la polizia ha arrestato il responsabile dell'attentato: Yaakov (Jack) Teitel, residente in
una colonia della Cisgiordania. Teitel era stato in precedenza un informatore del dipartimento
53 Gidi Weitz da Haaretz, 13 agosto 2014.
ebraico del servizio di sicurezza dello Shin Bet. Durante l'interrogatorio è emerso che tra i suoi
crimini c'era anche l'uccisione di due palestinesi.
"Ho scelto Sternhell come obiettivo perché è una persona importante, è un professore di sinistra",
ha spiegato Teitel a chi lo stava interrogando. "Non volevo ucciderlo, perché lo avrebbe trasformato
in un martire. Io volevo esprimere un'opinione." Teitel è stato condannato a due ergastoli. Dopo
l'attentato, Sternhell in ospedale ha dichiarato che "l'atto in sé rivela la fragilità della democrazia in
Israele."
Gli ho chiesto ora se pensa che molto presto non potremo più dichiarare che siamo l'unica
democrazia del Medio Oriente.
"Certo, non lo potremo più dire" ha risposto, aggiungendo " Non ci sono dubbi che le principali
autorità statali non agiscono con la stessa decisione contro la destra che contro la sinistra, o a
oriente della linea verde [la Cisgiordania occupata. n.d.t.] che a occidente [nello Stato di Israele.
n.d.t.]. Nel complesso, queste istituzioni si percepiscono come molto più vicine agli obiettivi del
progetto dei coloni che allo scopo di avere in Israele una maggioranza ebraica e una democrazia che
garantisca ad ognuno l'uguaglianza. Il pericolo è che nei tempi buoni, quando tutto è evidentemente
normale, si possa sorvolare sulla situazione. Ma durante una crisi, come quella attuale, chiunque
manifesti una critica all’ordine “normale” ha paura di manifestarla in pubblico.
Zeev Sternhell è nato in Polonia nel 1935. Suo padre è morto durante la Seconda Guerra Mondiale;
sua madre e sua sorella sono state uccise dai nazisti. Sternhell venne nascosto nel ghetto in casa di
parenti che, per proteggersi, adottarono una nuova identità come cattolici grazie a documenti falsi.
Egli conservò questa nuova identità anche dopo la guerra, e fu battezzato. Nel 1946 arrivò in
Francia dalla Polonia con un treno della Croce rossa. Imparò rapidamente il francese e si immerse
nello studio della cultura della repubblica e della storia, ma continuava a sentirsi come un escluso.
Nel 1951, a sedici anni, decise di emigrare da solo nel nascente Stato ebraico.
Sternhell fece il servizio militare nella brigata di fanteria Golani e combattè come ufficiale nella
guerra del Sinai nel 1956. Come ufficiale riservista dei carristi, partecipò alla guerra dei Sei Giorni
nel 1967, a quella dello Yom Kippur nel 1973 e alla prima guerra del Libano, nel 1982. Nel
frattempo, la sua carriera accademica a livello internazionale decollò. Sternhell studiò il collasso del
moderno ordine liberaldemocratico nel XX secolo, ed ha anche ricontestualizzato il fascismo,
vedendo questo fenomeno non come un accidente casuale avvenuto dopo la Prima Guerra
Mondiale, ma come un approccio ideologico originato nel XIX secolo.
Nel 1983 il suo libro "Né destra né sinistra: l'ideologia fascista in Francia" (pubblicato
originariamente in francese) fece molto clamore in Francia. La tesi di Sternhell era che il regime di
Vichy, che aiutò a perseguitare gli ebrei, non fu imposto ai francesi, ma sorse da una corrente
ideologica che rifletteva i desideri nascosti delle masse. Egli sostenne che il fascismo era nato
proprio in Francia, non in Italia. Il suo libro, poi rivisto ed ampliato, continua ad essere discusso in
Francia e altrove.
Nel 1977, con l'ascesa al potere in Israele di Menachem Begin e del Likud, Sternhell si unì a un
circolo di intellettuali che cercava di convincere il partito Laburista, all'opposizione, ad adottare un
atteggiamento pacifista. Per anni è stato esplicitamente critico riguardo al progetto di
colonizzazione e un sostenitore dell'urgente necessità della creazione di uno Stato palestinese.
Queste posizioni, sostenute da una figura pubblica della sua importanza, spinse Teitel a scegliere lui
per un'azione che voleva "esprimere un'opinione".
Democrazia erosa
Lei ha visto segni di un nascente fascismo in Israele negli scorsi mesi?
"In primo luogo, mi lasci dire che ci sono cose peggiori del fascismo, e che non tutto quello che è
cattivo è fascismo. Nell'Italia sotto Mussolini, che è il prototipo del fascismo, probabilmente furono
uccise dal regime non più di qualche dozzina di persone. Non c'erano campi di concentramento.
L'arte e la cultura fiorivano. Prima della guerra, la vita era assolutamente accettabile, compresa la
vita degli ebrei, fino alla promulgazione delle leggi razziali nel 1938. La percentuale degli ebrei nel
partito fascista era più alta di quella sul totale della popolazione. E gli italiani non sono stati
veramente responsabili del peggioramento successivo delle condizioni di vita degli ebrei - non
come in Francia, dove la sorte degli ebrei è una responsabilità storica totalmente dei francesi, anche
se loro rifiutano di riconoscerlo.54
"Come ho detto, ci sono cose peggiori del fascismo. Non c'è bisogno di questa esatta definizione.
Per esempio, la gente dice che se non c'è un partito unico, non si tratta di fascismo. Questo è un
controsenso. Un partito è un mezzo per arrivare al potere, non un mezzo in sé per comandare.
Quello che bisogna analizzare in questo contesto è la resilienza della democrazia - e la democrazia
israeliana ha cominciato ad essere progressivamente erosa, fino ad arrivare al suo punto più alto
durante l'attuale guerra. Gli indicatori [del fascismo] di cui mi ha chiesto ci sono sicuramente."
Di tutti i fenomeni che lei ha riscontrato, qual è secondo lei il peggiore?
"Quello a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane è stato l'assoluto conformismo da parte della
maggior parte degli intellettuali israeliani. Hanno semplicemente seguito il gregge. Per intellettuali
intendo docenti e giornalisti. Il fallimento intellettuale dei mass media in questa guerra è totale. Non
è facile andare contro il gregge, puoi facilmente essere travolto. Ma il ruolo degli intellettuali e dei
giornalisti non è quello di applaudire il governo. La democrazia crolla quando gli intellettuali, la
classe colta, si allinea con i violenti, o li guarda con simpatia. Qui la gente dice "Non è così
terribile, non c'è niente di simile al fascismo - abbiamo libere elezioni, e partiti, e un parlamento."
Eppure, noi abbiamo raggiunto un punto critico in questa guerra, nella quale, senza che nessuno
glielo chiedesse, ogni tipo di istituzione universitaria ha improvvisamente chiesto che l'intera classe
accademica annullasse il proprio senso critico."
Pensa che ciò sia dovuto alla paura?
"Paura delle autorità, paura di subire eventuali penalizzazioni di bilancio e paura di pressioni dalla
piazza. La personificazione della vergogna e del disonore si è materializzata quando il preside della
facoltà di Diritto del'università di Bar-Ilan ha minacciato di sanzionare uno dei suoi colleghi perché
quest'ultimo ha aggiunto a un annuncio in merito alle date degli esami alcune frasi nelle quali
esprimeva pena per l'uccisione e la perdita di vite umane da entrambe le parti. Essere afflitti per la
perdita di vite umane da entrambe le parti è ormai un atto sovversivo, un tradimento. Stiamo
arrivando ad una situazione di democrazia puramente formale, che continua a sprofondare a livelli
sempre più bassi."
Quando supereremo la linea oltre la quale la democrazia implode?
"La democrazia raramente cade per una rivoluzione. Non in Italia, non in Germania e neppure in
Francia con il regime di Vichy - che è una questione cruciale, perché la Francia era una nazione
democratica che è caduta nelle mani della destra con l'appoggio della grande maggioranza della
popolazione. Non è stata la sconfitta della Francia ad aver generato questa ideologia. E' stato il
risultato di un processo graduale nel quale un'ideologia nazionalista estremista ha preso forma, un
approccio radicale che percepisce la nazione come un corpo organico. Come un albero in cui gli
individui sono come le foglie e i rami - in altre parole, le persone esistono solo grazie al tronco. La
nazione è un corpo vivente.
In Israele, il fattore religioso rafforza la particolarità nazionale. Non è una questione di fede, ma di
identità; la religione sostiene la tua identità originale. E' essenziale capire che senza questo
nazionalismo radicale non c'è fascismo. Io faccio anche una distinzione tra Fascismo e Nazismo,
perché il fascismo non implica necessariamente una dottrina della razza. Mi lasci spiegarlo in
termini chiari: il Fascismo è una guerra contro l'Illuminismo e i valori universali; il Nazismo è stato
una guerra contro la razza umana."
Lei vede una negazione dei valori universali e una guerra contro l'Illuminismo negli ultimi anni in
54 [Questo giudizio sostanzialmente positivo sul fascismo italiano è quanto meno discutibile. Inoltre
l'autore dimentica di citare le leggi razziste nei confronti dei sudditi delle colonie. Per quanto riguarda
l'alta adesione degli ebrei al fascismo, questo dato non tiene conto della composizione sociale della
comunità ebraica in Italia né del suo vasto inserimento negli impieghi pubblici, che prevedevano
l'obbligo di iscrizione al partito fascista per mantenere tali impieghi. n.d.t]
Israele?
"Questo fatto grida vendetta. Israele è uno straordinario laboratorio nel quale si vede la graduale
erosione dei valori illuministici, vale a dire i valori universali che ho citato. Lei vede la negazione
[di questi valori n.d.t.], che è sempre esistita ai margini, che sta lentamente prendendo piede, finché
un giorno domina il centro."
Il caso della Francia
"Prenda in considerazione la legge sulla nazione proposta da Zeev Elkin [membro della Knesset per
il Likud. La proposta di legge intende definire Israele come Stato esclusivamente del popolo ebraico
n.d.t.]; la campagna contro la Corte suprema, un organo che si basa sull'idea che ci sono norme che
trascendono il potere esecutivo; la [proposta di] legge contro le ONG di sinistra, che è una brutale e
violenta erosione della libertà di parola; e le varie manifestazioni di una caccia alle streghe, quando
un giornalista [del giornale Haaretz] come Gideon Levy ha bisogno di una guardia del corpo.
Prenda in considerazione la richiesta del primo ministro Benjamin Netanyahu che il presidente
palestinese Mahmoud Abbas riconosca Israele come uno Stato ebraico. Che vuol dire obbligare i
palestinesi ad accettare che sono storicamente inferiori, che sarebbe come dire: 'Voi avete perso il
vostro paese nel 1948-49, non è vostro. Voi vivete qui perché non vi stiamo espellendo, ma questo è
uno Stato ebraico. Gli arabi sono cittadini, ma non è il loro paese. In altre parole, si crea una
distinzione tra appartenenza nazionale e cittadinanza. Chiunque può essere un cittadino, ma noi
siamo i padroni.
Perché il caso della Francia è così interessante? Perché questo è ciò che è stato fatto agli ebrei nel
1940, benché alcuni vivessero là da centinaia di anni. Gli venne detto:" Voi avete ricevuto una carta
d'identità e un passaporto; adesso ve li tolgo. Non posso annullare la francesità di un francese, ma
voi non siete francesi, e la categoria di cittadinanza è artificiosa." Questo è stato fatto a un mio zio
che era immigrato in Francia nel 1929, insieme a mia zia, per studiare medicina. E' successa la
stessa cosa in Germania.
E' esattamente la stessa cosa che noi stiamo dicendo adesso agli arabi. La possibilità di
annullamento della cittadinanza esiste anche qui. Perché gettare in faccia come fango a questi
cittadini israeliani lo Stato ebraico? In effetti, il loro comportamento è stato assolutamente corretto,
considerando i problemi che devono affrontare, con familiari in Cisgiordania e a Gaza, e la
pressione alla quale sono sottoposti. Per parte mia, non sono a conoscenza dell'esistenza di una rete
di spionaggio degli arabi israeliani. E' vero che non cantano l'inno nazionale e non sventolano la
bandiera e non sono membri dell'Organizzazione Sionista Mondiale, ma in quanto cittadini essi
adempiono ai loro obblighi."
Qual è secondo lei il peggiore scenario per la fine della democrazia israeliana?
"La democrazia non si definisce in base al diritto di votare ogni tanto. Si verifica ogni giorno in
base ai diritti umani. Tutto il resto è secondario, perché tu puoi facilmente istituire un regime
dittatoriale, mettendo la tua scheda nell'urna, o votare per buttare fuori gli arabi dal parlamento.
Bisogna ricordare che la democrazia non esiste più da molto tempo nei Territori [occupati. n.d.t.]. Lì
i palestinesi non hanno diritti umani, noi li governiamo con la forza, e dopo che tre ragazzi [ebrei]
sono stati assassinati si può trasformare la vita della gente in un inferno, perché puoi fare quello che
vuoi. Questo è durato per decenni, e ciò corrompe.
Queste regole sono anche qui, all'interno della Linea Verde, perché i nostri figli e nipoti passano la
maggior parte del loro servizio militare nei Territori. Là c'è una forza di polizia coloniale,
rappresentata dalla brigata Kfir [brigata dell'esercito israeliano utilizzata nei Territori occupati e a
Gaza. n.d.t.] e dalla polizia di frontiera, ma non è abbastanza. La brigata Kfir e la polizia di frontiera
non sono state mandate a Gaza, perché non sanno più come combattere. Non sono più soldati. I parà
sono stati spostati dal campo d'addestramento sulle Alture del Golan per cercare i tre ragazzi rapiti -
non per cercarli, in realtà, perché si sapeva già che non erano più vivi, ma per rendere
insopportabile la vita della popolazione locale e mostrarle chi è che comanda. Quello che succede là
si infiltra costantemente in Israele. Le democrazie non collassano improvvisamente, affrontano serie
crisi. Ci potremmo ritrovare in una seria crisi nella quale tutta la baracca andrà in fumo."
Che sarebbe seguita dalla nascita di una dittatura?
"Non necessariamente, o affatto. Il governo continuerà a comandare, conservando la maggioranza
in parlamento a forza di decreti legge e con la creazione di una netta segregazione tra ebrei e non
ebrei, con l'imposizione della censura, l'intimidazione dei dissidenti, dei media, delle università -
tutte entità che si suppongono autonome."
Ma lei dice che sta succedendo proprio adesso.
"Certo che sta avvenendo adesso, ma può raggiungere il punto di ebollizione. L'acqua è davvero
molto calda. Non è ancora bollente, ma potrebbe esserlo già domani mattina. E' sul punto di
diventarlo."
E' d'accordo che l'Operazione "Margine Protettivo" era una guerra inevitabile?
"E' stata una guerra assolutamente voluta, caotica e approssimativa, e anche questo dovrebbe essere
indagato. Qualcosa si sarebbe dovuto fare appena loro [Hamas] hanno iniziato a lanciare i razzi.
Innanzitutto, non c 'era nessun bisogno di umiliare la popolazione ed arrestare 500 persone che
erano state liberate nello scambio per Shalit...Hamas ha anche colto l'occasione per dimostrare che è
l'unica forza che lotta e che Abbas è un "collaborazionista". Bisognava anche rispondere ai razzi. Si
poteva fare senza il massiccio uso dell'aviazione? Non lo so, non ho abbastanza informazioni. Ma
questa guerra, l'entrata delle forze di terra, è stata una scelta."
Cosa ne pensa della minaccia dei tunnel di attacco?
"Nessuno ne aveva parlato prima, non era quello lo scopo della guerra. Lo scopo era di avere la
pace in cambio di pace. Il governo non voleva l'invasione di terra. E' stata proprio un'operazione
improvvisata. C'era la pressione della destra sul governo. Forse se Bibi [il primo ministro
Netanyahu. n.d.t.] non fosse entrato [nella Striscia di Gaza. n.d.t.], la sua situazione come primo
ministro sarebbe stata terribilmente indebolita. Ogni persona ragionevole dovrebbe adesso sfruttare
la differenza tra la nostra capacità e la loro di iniziare un processo per una ragionevole soluzione del
conflitto."
"Il bastone e la carota"
Ma come arrivare ad una situazione negoziale con un'organizzazione fondamentalista, estremista
religiosa?
"In linea di principio, penso che noi dovremmo parlare con chiunque, se ciò può portare a risultati.
Credo che Israele avrebbe potuto trarre profitto dalla formazione del governo di unità nazionale
Fatah- Hamas e dargli un aiuto, qualcosa con cui potesse lavorare. Non gli abbiamo dato niente,
solo la richiesta di riconoscere Israele come Stato ebraico.
Hamas è Gaza; Hamas non è più solo un'organizzazione terroristica. Ha messo in piedi una
provincia, una regione sotto il suo controllo. Ha investito tutti i suoi sforzi nella guerra contro
Israele, ma bisognerebbe essere onesti su tutta questa storia. Cerco di essere il più possibile
obiettivo. E' vero che Hamas è un'organizzazione estremamente fondamentalista, un'organizzazione
omicida di shahid [martiri] - ma noi dobbiamo vivere con quella gente. Abbiamo bisogno del
metodo del bastone e della carota. Abbiamo usato abbondantemente il bastone, ma io non ho ancora
visto la carota. Abbas sta morendo per noi perché gli concediamo qualcosa. Forse possiamo arrivare
ad un accordo, come parte della ricostruzione di Gaza. Non c'è nessun bisogno di chiedere ad
Hamas di alzare bandiera bianca. Abbiamo bisogno di una prospettiva a lungo termine che
comprenda una certa generosità nei confronti dei palestinesi. Potrebbe esserlo la politica del blocco
e la creazione di intollerabili condizioni che alimenta Hamas? Dobbiamo fare qualcosa di concreto
nei nostri rapporti con i palestinesi e con gli arabi in generale."
Come cosa?
" La prima cosa è smettere di aumentare la presenza ebraica nei Territori. Questo per mostrare loro
che vogliamo veramente i due Stati. E per dimostrare che facciamo sul serio, allentare il blocco di
Gaza con la supervisione degli uomini di Abbas ai valichi, e lasciar respirare la popolazione. Ed
anche avere rapporti nei quali là le persone siano trattate come esseri umani al nostro stesso livello."
Potrebbe un governo che non è in grado di spostare tre roulotte in Cisgiordania essere capace di
eliminare tutte le colonie?
"Le colonie sono un cancro. Se la nostra società è incapace di mettere insieme forza, potere politico
e fermezza mentale necessari per spostare qualche colonia, ciò starà ad indicare che la storia di
Israele è finita, che la storia del Sionismo come noi lo intendiamo, come io la intendo, è finita."
Quanto ci rimane prima della fine della storia?
"Pochi anni. Israele è l'ultimo paese coloniale dell'Occidente. Per quanto tempo ciò potrà durare? Se
non fosse per la memoria dell'Olocausto e la paura di essere accusata di anti-semitismo, l'Europa
avrebbe già da tempo boicottato le colonie. Io vorrei iniziare facendo evacuare l'università di Ariel
[colonia israeliana in Cisgiordania. n.d.t.], perché è facile da fare. E' più facile eliminare
un'università che tre roulotte. E' un atto simbolico. Quello sciagurato college è stato trasformato in
università per dimostrare qualcosa."
Perchè io voglio così tanto una frontiera tra i due paesi? Per prevenire l'emergenza di uno Stato
unico qui, perché con uno Stato unico ci sarà un regime di apartheid. In fin dei conti, nessuno sta
giocando con l'idea che ci sarà un'eguaglianza di diritti tra Nablus e Tel Aviv. Qui ci sarà una guerra
civile, nel migliore dei casi, e nel peggiore ci sarà uno Stato di apartheid nel quale noi domineremo
gli arabi senza la dimensione di transitorietà che è ancora legata ai Territori - benché sia ovvio per
chiunque con gli occhi sulla testa che la transitorietà è da tempo svanita e che c'è una situazione di
apartheid in Cisgiordania."
"La loro tragedia e la nostra"
Lei ha sviluppato [un discorso sulle] nostre colpe. Quali responsabilità attribuisce ai palestinesi?
"I commentatori di un giornale arabo recentemente mi hanno chiesto del diritto al ritorno. Gli ho
risposto che è morto, un'illusione distruttiva. 'Perché non lasciare ai profughi una speranza?' mi
hanno chiesto. Ho risposto:'Quella speranza bloccherà ogni accordo.' Qualche anno fa, in un
incontro con intellettuali arabi ad Haifa, ci siamo trovati d'accordo su praticamente tutto finché
siamo arrivati al diritto al ritorno. Uno di loro ha detto: "In pratica lei mi sta chiedendo di dire a un
mio parente, che una volta viveva in questa strada e che ora è un rifugiato a Sidone, che non potrà
mai più tornare qui?' 'E' proprio compito suo', ho risposto, 'dire loro che non potranno mai più
tornare ad Haifa, o a Ramle, o a Jaffa. Finchè si aggrapperanno alla nozione del diritto al ritorno
impediranno alla maggioranza degli ebrei di Israele che vogliono porre fine a tutto questo di lottare
per un accordo.' Questo macigno, di cui non si possono disfare, è la loro tragedia e la nostra."
Ma l'atteggiamento dei palestinesi a volte sembra di rifiuto ossessivo.
"E' vero che i palestinesi non hanno la forza, la classe dirigente, l'elite necessaria, la forza mentale
di riconoscere il fatto che il 1949 è stato la fine del processo. Non devono vederlo come un fatto
giusto, ma devono capire che è la fine. Non hanno la forza di comprenderlo, e noi cospargiamo di
sale le loro ferite facendo sempre nuove richieste e creando una situazione intollerabile nei
Territori . Noi stiamo coltivando la loro ostilità."
Dopo il breve episodio che ha coinvolto gli intellettuali del partito Laburista, Sternhell e altri hanno
tentato di formare un partito social-democratico su modello del Meretz. Quando i loro tentativi sono
falliti, egli ha terminato la sua breve relazione con i politici israeliani per sempre.
C'è qualcuno tra i politici israeliani che lei teme?
"Il gruppo guidato da [Naftali] Bennet e da [Uri] Ariel [i leader di un partito religioso
ultranazionalista che fa parte del governo Netanyahu, in cui Bennett è ministro dell'Economia e
delgi Affari religiosi. n.d.t.] mi fa paura - penso che siano estremamente pericolosi. Penso che
[Avigdor] Lieberman sia un po' meno pericoloso, perché gli manca il fervore religioso. Ma loro e la
destra del Likud sono veramente gente pericolosa e odiano profondamente gli arabi, in un modo che
non consente la coesistenza. Lei mi chiede se ci sono somiglianze tra Marine Le Pen in Francia e
Bennett - ovviamente ci sono. In un certo senso lei è una pericolosa gauchiste rispetto a lui. Se
Netanyahu vuole davvero entrare nei libri di storia, deve smantellare l'alleanza con la destra, fare
una scissione nel Likud e mettere in piedi un governo con l'appoggio della sinistra, e non
vergognarsi di contare sul voto arabo."
Netanyahu è capace di imitare de Gaulle e restituire i Territori ?
"Quando de Gaulle ha restituito l'Algeria [agli algerini. n.d.t.], era ancora fuori dai libri di storia.
Netanyahu non è ancora uscito dai libri di fumetti. E' un paragone molto problematico. Ma se
Netanyahu non fa qualcosa di importante, cosa si lascerà dietro?"
Lei si definisce un sionista?
"Certo, sono rimasto sionista. Forse scioccamente. L'obiettivo del Sionismo era creare una casa
sicura per gli ebrei, ma per molti anni abbiamo vissuto nel posto più insicuro al mondo per gli ebrei.
Il Sionismo voleva costruire una casa sicura per gli ebrei. Ma anche una casa degna di questo nome,
una casa decente di cui si potesse essere fieri, una casa in cui non calpestare qualcun altro o
eliminarlo. Già negli anni Venti era chiaro che gli arabi non ci volevano e che la realizzazione del
Sionismo non poteva dipendere dal loro beneplacito. Siamo arrivati alla guerra, l'abbiamo vinta ed è
stata la fine di quel capitolo e l'inizio di un altro nuovo.
Continuare con questo per decenni dopo la costituzione dello Stato è la rovina del Sionismo. Quello
che sta succedendo adesso nei Territori non è Sionismo, è l'incubo del Sionismo. Se il risultato è
uno Stato unico qui, tra il mare e il fiume Giordano, ci sarà una guerra civile o uno Stato di
apartheid. In entrambi i casi, lo Stato sionista come lo intendo e come lo vorrei, non esisterà. Qui ci
sarà qualcos'altro. La mia consolazione e che io non ci sarò più per vederlo."
Data l'attuale clima prevalente nell'opinione pubblica e la sua personale esperienza, non ha paura
di parlare in questo modo?
"Se devo aver paura di dire quello che ho appena detto, e di dirlo in pubblico in faccia alla gente,
allora la nostra storia qui è finita."
Torna a Conseguenze
3.14 Israele sta creando una cultura di “autocensura.”55
I cittadini palestinesi di Israele devono affrontare il monitoraggio dei social media che determina
arresti, perdita del lavoro ed espulsioni dalle istituzioni accademiche.
Haifa:”Gli attacchi contro gli attivisti non sono una novità “ sostiene Nadim Nashif, coordinatore di
7amleh (pronuncia:”Hamleh”) seduto nel suo ufficio di Haifa. “Si sono solo intensificati.”
7amleh è un’ONG che promuove l’uso dei social media per l’attivismo culturale e creare rapporti
tra i palestinesi in Israele e nei Territori Occupati. “I social media sono monitorati quotidianamente.
Ne siamo sicuri” continua Nashif.
Dall’inizio dell’operazione “Margine Protettivo”, la terza guerra dal 2008 tra il partito che governa
a Gaza, Hamas, e Israele, gli attacchi alla libertà di espressione all’interno di Israele sono
bruscamente aumentati. Molte di queste violazioni hanno avuto luogo come risultato [dell'uso] dei
social media, ed hanno avuto serie conseguenze per quelli che li hanno utilizzati.
Alcuni sono stati espulsi dalle istituzioni accademiche, altri hanno perso il loro lavoro, altri ancora
sono stati arrestati.
Lunghe attese, interrogatoriRafat Awaysha, un ventenne attivista e studente all’università Ben Gurion, nel Negev, ha subito gli
effetti del monitoraggio delle reti sociali dopo aver mandato un invito a protestare contro
l’operazione “Margine Protettivo.”
“Mezz’ora dopo ho ricevuto una telefonata dalla polizia, in cui mi si diceva che dovevo presentarmi
per un interrogatorio,” ha raccontato al telefono Awaysha a Middle East Eye. Dopo il primo
interrogatorio, la sua famiglia l’ha informato che la loro casa era stata perquisita. Poco dopo, ha
ricevuto un messaggio da un altro commissariato che lo informava che dovevano fargli altre
domande.
“Gli ho detto che ero appena uscito da un interrogatorio. Mi hanno risposto che questo era diverso e
55 Creede Newto n da middleeasteye, 2 ottobre 2014.
sono venuti a prendermi alla Casa dello studente,” dice Awaysha, ricordando la scena imbarazzante,
quando è stato portato via dalla sua stanza con la forza dalla polizia.
Awaysha è stato messo in una stanza con una temperatura “inferiore ai 16°” e obbligato ad aspettare
per 5 ore prima che gli venissero fatte delle domande. ”La prima persona mi ha interrogato solo per
45 minuti, e poi ho dovuto aspettare per altre 5 ore. A quel punto un uomo della polizia segreta
israeliana è entrato nella stanza per iniziare il successivo turno di interrogatori.”
Erano le 5 del mattino quando l’attivista è stato rilasciato. Dopo essere tornato a casa con la sua
famiglia, Awaysha è rimasto agli arresti domiciliari per altri 5 giorni.
Egli sostiene che non c’erano ragioni per il suo arresto ed il suo interrogatorio.” L’invito non
conteneva né minacce né incitamento alla violenza. Diceva solo ‘Andiamo a protestare e urlare per i
nostri fratelli di Gaza’”, spiega, in riferimento al linguaggio [usato] nell’invito su Facebook.
Espulsione dall’universitàPer qualcuno, le conseguenze sono venute direttamente dalle istituzioni accademiche. Una
studentessa del collegio universitario Hadassah di Gerusalemme, che desidera rimanere anonima, ha
dovuto affrontare un’azione diretta da parte della sua scuola. Dopo aver postato un messaggio con
un’identità segreta su un social media, l’amministrazione del collegio l’ha espulsa e le ha vietato di
entrare nel campus.
In una lettera che ha circolato pubblicamente, il preside del collegio Hadassah, il dottor Bertold
Fridlender, le ha scritto che “noi abbiamo letto il tuo post con sconcerto e disgusto…
l’amministrazione del collegio ha deciso di proibirti di entrare nel campus per qualunque ragione,
accademica o meno.”
Contattato per un commento, il collegio universitario Hadassah si è rifiutato [di rilasciare
dichiarazioni] a causa della controversia in corso riguardo all’espulsione della studentessa.
Nashif ha commentato che, mentre le conseguenze non sono di solito così gravi, la censura è
comune e istituzionalizzata nei campus israeliani:” All’università di Haifa ci sono molte restrizioni.
Se vuoi organizzare una manifestazione, devi presentare una domanda qualche giorno prima,”
afferma .”Qualunque materiale tu voglia distribuire, deve essere tradotto in ebraico, in modo che i
funzionari dell’università possano decidere se lo puoi diffondere.”
Queste limitazioni rendono quasi impossibile fare azioni rapide e dirette. Nashif vede questa estesa
supervisione delle manifestazioni come una sottile forma di censura. ”Se succede qualcosa e gli
studenti vogliono reagire subito, non lo possono fare.”
Licenziato per aver espresso la propria opinioneGli studenti non sono gli unici ad aver scoperto che esprimere commenti e opinioni comporta un
prezzo alto. Secondo Kay LaOved, un’organizzazione israeliana che fornisce assistenza a israeliani
e stranieri per difficoltà legate al lavoro, c’è stato un notevole aumento di dipendenti che hanno
perso il loro impiego per avere espresso la propria opinione in rete.
“Abbiamo ricevuto decine di proteste da parte di lavoratori palestinesi, cittadini di Israele, che sono
stati licenziati o a cui è stato chiesto di starsene a casa (per un lungo periodo), a causa di post che
hanno pubblicato su account privati,” ha raccontato a MEE Gadeer Nicola, un avvocato e capo della
sede di Nazareth di Kay LaOved durante un’intervista. “I lavoratori che ci hanno contattato
esercitavano tutte le professioni – medici, infermieri, addetti alle pulizie, persone che lavorano
nell’industria high-tech – di ogni genere.”
In una lettera aperta al ministero dell’Economia e alla Commissione per le Pari Opportunità
nell’Impiego, Nicola ha esposto il caso di quattro gruppi riguardanti il licenziamento di dipendenti
arabi dovuto al fatto che si sono espressi contro l’operazione “Margine Protettivo.”
"C’è una legge israeliana che è molto chiara su questa questione,” sostiene Nicola, parlando delle
garanzie legali che sono concesse ai lavoratori, “vieta le discriminazioni sulla base della razza, del
sesso, della religione e dell’appartenenza politica.”
I gruppi della destra israeliana spesso si procurano l’elenco dei dipendenti delle imprese locali per
monitorare i loro post sulle reti sociali. Se un dipendente posta qualcosa di critico nei confronti di
Israele, i gruppi rendono pubblici questi post. Questi gruppi utilizzano forme di “stigmatizzazione”
pubblica postando le opinioni di dipendenti sugli account delle reti sociali delle imprese.
Nicola ha difeso presso un tribunale del lavoro palestinesi ingiustamente sospesi e [i giudici] hanno
stabilito che le opinioni espresse sui social media sono “totalmente protette dalla libertà di
espressione … hanno deciso che non c’erano le basi legali per una simile decisione da parte dei
datori di lavoro.”
Auto-censuraCiononostante, molti palestinesi hanno deciso di non tornare al loro precedente impiego. [Sono
quelli che] sentono che il loro diritto di parola è ora limitato. Nicola ritiene che il danno fatto sia
stato “molto grave”.
“Sono diventati più riluttanti nell’esprimere le proprie idee. Pensano che, anche se hanno vinto in
tribunale, ciò non significa che il datore di lavoro non voglia trovare un’altra ragione la prossima
volta per mandarli a casa,“ conclude Nicola.
La totalità della minoranza palestinese, circa il 20% della popolazione, sente questa minaccia.
“Molta gente pensava che le reti sociali fossero private, non sapevano che fossero sotto controllo,”
riflette Nashif. ”Ora, dopo tutti questi casi di attivisti e persone normali licenziate, espulse
dall’università e arrestate, i palestinesi hanno capito che è uno spazio pubblico.”
Devono stare attenti in quei luoghi pubblici che sono le reti sociali. “Ora si controllano da soli”,
dice Nashif con uno sguardo preoccupato. “Il risultato è una cultura di auto-censura.”
Comunque non tutti saranno messi a tacere. Quando gli è stato chiesto se pensa di continuare a far
sentire la sua voce dissenziente, Awaysha dice di essere determinato ad esprimersi come ha il diritto
di fare qualunque altro cittadino di una democrazia liberale. “Nello Stato di Israele protestare è un
diritto legale. Nessuno ha il diritto di arrestarmi per aver espresso le mie opinioni.”
Torna a Conseguenze
3.15 Ammutinamento nella Stasi israeliana: la denuncia del peggior lerciumedell’occupazione.56
I veterani dell’unità d’elite dell’intelligence hanno preso una decisione storica, dichiarando
che non collaboreranno più con l’occupazione [dei territori palestinesi]. Seguendo il loro
esempio, forse anche qualche veterano dei servizi di sicurezza dello Shin Bet si farà avanti e
racconterà in cosa consiste il proprio lavoro.
I 43 veterani dell’unità d’elite dell’intelligence che hanno dichiarato che non collaboreranno più con
l’occupazione hanno portato un doppio contributo alla società israeliana.
Come altri obiettori di coscienza, compresi soldati e piloti dell’aeronautica militare, questi membri
dell’Unità 8200 sono coraggiosi e morali. Ma il loro rifiuto ha un’ulteriore dimensione, senza
precedenti in Israele. Essi hanno inflitto un’altra scalfittura nell’orribile volto dell’occupazione
israeliana, più profonda di quelle che l’hanno preceduta, perché coinvolge gli aspetti più oscuri ed
abietti della perniciosa routine dell’occupazione. In una società sana, l’azione dei riservisti e la loro
denuncia dovrebbe aver scatenato un vero sconvolgimento. Ma in Israele tutti i sistemi di difesa,
offesa e propaganda, di ridicolizzazione e di negazione sono stati subito mobilitati con il proposito
di seppellire rapidamente questa importante lettera di queste spie-obiettori.
Anche loro sono tra le eccellenze della nostra gioventù, forse i migliori – tanto quanto i piloti.
L’Unità 8200, la più numerosa dell’esercito israeliano, è seconda solo all’aeronautica per la
selezione delle reclute. La loro immagine è gloriosa, e il loro futuro è garantito: le aziende di alta
tecnologia li attendono. Il loro servizio militare non comporta rischi e – come i piloti – non vedono
le proprie vittime da vicino. Finora il loro operato è stato quasi privo di scrupoli. Non uccidono,
colpiscono o arrestano, fanno lavoro d’ufficio, impiegati di prestigio, il tipo di figli che
praticamente tutti i genitori vorrebbero avere. Le loro armi sono la loro intelligenza, il loro
computer e altri strumenti sofisticati; il loro bunker è il loro ufficio. Va sottolineato che la maggior
56 Gideon Levy da Haaretz, 14 settembre 2014.
parte del loro lavoro è fondamentale e legittimo. E ancora, l’Unità 8200 è la Stasi [famigerati servizi
segreti della Germania comunista n.d.t.] israeliana.
A differenza dei servizi di intelligence della Germania est, i suoi emuli israeliani non prendono di
mira i cittadini del proprio Stato, ma piuttosto i palestinesi che da questo Stato sono occupati. Gli si
può fare qualunque cosa, usando metodi che la Stasi ci avrebbe invidiato. Come la Stasi, non è
coinvolta solo nella raccolta di informazioni e nello spionaggio, ma anche nei meccanismi di
controllo, estorsione e sfruttamento di un’intera nazione. Questa attività si basa sulla creazione di un
enorme esercito di collaboratori ed informatori, reclutati grazie al perfido uso dei loro punti deboli,
dei loro bisogni, delle loro malattie e dei loro orientamenti sessuali.
Grazie all’Unità 8200, un’intera nazione è privata del diritto alla privacy. Il grande contributo dei
nuovi obiettori è che ce ne abbiano parlato. Nei loro studi di arabo, hanno imparato tutti i modi in
cui si dice “omosessuale” in quella lingua – perché gli serve. Gli si chiede di scoprire
l’orientamento sessuale, la salute ed i problemi economici di decine di migliaia di individui. Forse
c’è un nipote di qualcuno che si trova sulla lista dei terroristi ricercati da Israele, forse un cugino a
cui si vogliono fare delle domande, che può essere ricattato. Forse accetteranno di parlare di un
vicino di casa in cambio di una cura chemioterapica; un rapporto in cambio di un’operazione
chirurgica; una spiata in cambio di soldi; qualche informazione in cambio di una notte a Tel Aviv.
Questo abbietto – non c’è altro modo per definirlo- lavoro di raccolta [di informazioni] è realizzato
da soldati dell’esercito israeliano, e “ogni madre ebrea dovrebbe saperlo”[citazione di Ben Gurion,
padre di Israele. n.d.t.]. Raccolgono importanti informazioni per la sicurezza, ma, oltre a questo,
anche informazioni politiche e personali, e segnalano le persone da uccidere. Alcuni di loro hanno
cercato di parlarne durante il fine settimana, e le stazioni radio e televisive si sono messe a ridere. I
commentatori hanno fatto a gara tra loro nella scelta degli aggettivi: “sballato”, “scandaloso”,
“insignificante”, “[roba da] marmocchi viziati” e, peggio di tutti, “politicizzati” e “sinistrorsi” –
all’unisono, naturalmente. Nessuno è andato in soccorso di un gruppo di persone che, fino a
giovedì, erano un motivo di orgoglio. Neppure gli attivisti della comunità LGBT, che sono chiamati
impropriamente in causa per ogni commento in merito a lesbiche, gay, bisessuali e transessuali.
Sono rimasti in silenzio a proposito della persecuzione ai danni dei loro consimili palestinesi da
parte dello Stato, che si vanta del proprio atteggiamento illuminato nei confronti della comunità gay.
Questo è Israele per voi. Finché i membri dell’Unità 8200 sono stati all’altezza del proprio ruolo
nell’immonda occupazione, erano considerati giovani uomini e donne con dei principi, ed erano
rispettati. Ma appena hanno deciso che ne avevano abbastanza, sono diventati oggetto di scherno e
di ostracismo. Il passo che hanno fatto è un evento importante. Seguendo il loro esempio, forse
anche alcuni veterani del servizio di sicurezza Shin Bet – l’altro pilastro della Stasi israeliana nei
territori [occupati] – si faranno avanti e finalmente diranno quello che fanno sul lavoro. I loro
comandanti lo hanno fatto, almeno parzialmente, nel documentario “The gatekeepers [in italiano I
guardiani di Israele. n.d.t.]”.
Il sistema militare e dei media schiaccerà rapidamente i 43 obiettori, ma forse non saranno
dimenticati. Dalla più profonda oscurità, hanno rotto il silenzio.
Torna a Conseguenze
3.16 Quello che la lettera dell’Unità 8200 svela dell’occupazione.57
Il rifiuto dei riservisti di prestare servizio nei Territori Occupati svela le divisioni etniche e di
classe che stanno al centro della politica israeliana rispetto ai palestinesi.
Un mese dopo la tregua a Gaza, un gruppo di riservisti dell’unità di elite 8200 dell’esercito
57 Noam Sheizaf da middleeasteye, 1 ottobre 2014. Noam Sheizaf è un giornalista israeliano che vive a Tel
Aviv. Il suo blog è +972 Magazine
israeliano ha reso pubblica una lettera nella quale esprime il proprio rifiuto di continuare ogni altra
missione contro la popolazione palestinese nei Territori Occupati.
Nelle interviste con i media israeliani, gli autori della lettera hanno rivelato alcune delle tattiche
usate dall’intelligence dell’esercito contro la popolazione civile palestinese, tra cui l’uso di ricatti di
tipo sessuale e fare leva sulle necessità di cure mediche per reclutare informatori. ”Noi cerchiamo di
fare a pezzi la società palestinese”, ha detto uno dei riservisti, parlando della sua attività di servizio
al sito indipendente di notizie Local Call.
E’ stata solo una delle molte lettere di obiezione di coscienza che sono state rese pubbliche da
quando è scoppiata la seconda Intifada nel 2000.
Essa è stata preceduta da quella scritta dai riservisti nel 2002 (un’iniziativa a cui l’autore ha
partecipato); la lettera dei piloti (2003); la lettera degli studenti delle scuole superiori nel 2005; e un
gran numero di altre piccole iniziative. Durante questi anni, dozzine di israeliani hanno scontato
pene detentive per aver rifiutato di fare il servizio militare nell’esercito israeliano o di prestare
servizio in Cisgiordania.
Tutte le lettere sono state accolte con violente critiche da parte dell’intero spettro politico, compreso
il partito Laburista, tendenzialmente di sinistra (un altro partito di sinistra, il socialista Meretz, ha
una posizione un po’ più sfumata sui refuznik e inizialmente ha rifiutato di prendere una posizione).
A questo proposito, gli autori della lettere dell’unità 8200 non sono stati un’eccezione, e alcuni dei
loro critici sono arrivati al punto di accusarli di tradimento.
C’è stato peraltro un ulteriore specifico argomento che è emerso nei molti editoriali e dichiarazioni
che hanno messo in discussione l’obiezione di coscienza nell’unità 8200: l’accusa di elitismo.
“Cosa rende la vostra opinione più importante di quelle di chi fa il servizio militare nei reparti
armati o nelle cucine dell’esercito?“ ha scritto l’ex leader laburista Shelly Yachimovich in un lungo
post su Facebook.
“Ufficiali dell’elite israeliana si prendono la libertà di denunciare l’intera società, “ ha scritto
Amnon Lord del giornale di destra "Makor Rishon". “Ciò disgusta la maggioranza della gente.” La
stessa linea di pensiero è stata espressa in molte discussioni sulla rete.
Linee di divisioneQuesta sorta di attacchi personali ignora i problemi sollevati dai membri del movimento di
obiezione di coscienza, ma costoro hanno toccato alcune questioni cruciali all’interno della società
israeliana, comprese le decennali linee di divisioni di classe e di etnia.
La legge nazionale israeliana sul servizio militare sembra egualitaria, ma le unità d’elite e dei media
– dalla radio militare ai portavoce dell’esercito - hanno sempre attirato gli elementi più forti della
società, mentre i soldati meno istruiti o con minori relazioni sono stati spesso inviati nei reggimenti
di fanteria e nelle forze para-poliziesche che l’esercito utilizza per svolgere la propria missione in
Cisgiordania, ed anche nelle città palestinesi all’interno della Linea Verde.
In questo senso, l’ 8200 non è semplicemente un’unità d’elite – è l’unità dell’elite. Attira gli studenti
più brillanti che escono dalle scuole israeliane, ed offre ai suoi veterani numerose opportunità nel
mercato del lavoro. L’unità 8200 è spesso presentata come il punto di riferimento per il mondo
dell’alta tecnologia in Israele; un altro modo per vederlo come la cerchia più ristretta della “nazione
delle start-up [nuove imprese]”.
Gli autori della lettera degli obiettori dell’unità 8200 sono stati dunque accusati di ingratitudine e di
mancanza di autoconsapevolezza della propria posizione privilegiata – o peggio, di utilizzare i
propri privilegi per guadagnare consensi all’interno del loro circolo esclusivo e con le folle fuori da
Israele, sulle spalle dei meno privilegiati, quelli che sopportano il peso giornaliero del servizio sul
campo, per non parlare dell’economia neoliberista israeliana, altamente diseguale.
Guardando al passato, si può sentire l’eco della lotta di classe in Israele in quasi tutti gli incidenti
rilevanti che hanno riguardato l’occupazione negli anni recenti. Dal caso di Eden Abargil, una
soldatessa che ha posato sorridente vicino a palestinesi imbavagliati e incappucciati, al
licenziamento di un insegnante che è stato contestato da uno studente dopo aver accusato l’esercito
israeliano di crimini di guerra, agli scontri che ci sono stati occasionalmente tra manifestanti di
destra e di sinistra durante la guerra a Gaza.
In tutti questi casi – diversamente da quanto sta succedendo alla Knesset [il parlamento israeliano.
n.d.t.] – la destra, o gli elementi nazionalisti di origine socioeconomica modesta, quasi sempre sono
degli ebrei sefarditi, cioè quelli i cui genitori o nonni sono emigrati dai paesi arabi.
Ciò non vuole assolutamente dire che tutti gli ashkenaziti (gli ebrei di origine europea) o tutti gli
ebrei benestanti si oppongano all’occupazione –neanche per sogno – ma che la maggioranza degli
ebrei che si oppongono all’occupazione sono ashkenaziti, che in genere sono istruiti e godono di
maggiori opportunità e privilegi dei loro rivali politici. I cognomi ashkenaziti dominano nelle lettere
degli obiettori di coscienza, così come negli appelli contro l’occupazione nelle pagine di Haaretz e
nei gruppi dirigenti delle organizzazioni per i diritti umani.
Questo fenomeno è diventato più forte nel momento in cui la differenza economica è aumentata. E’
facile vedere il perchè: in uno Stato che privilegia gli ebrei ed è così impegnato nel conflitto con i
palestinesi, l’unico patrimonio che i più deboli o i poveri possono far valere è il fatto di essere ebrei
e il ruolo che giocano in questo conflitto. Quindi il nazionalismo, la divisione etnica interna e il
neoliberismo vanno insieme, ognuno dei tre rinforza e alimenta gli altri due.
Per cui, dove ci sta portando tutto ciò? Senza una seria opposizione all’occupazione da parte della
comunità internazionale, o da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, la maggior parte della
società israeliana rimarrà unita nel suo appoggio allo status quo.
Ma se la pressione aumenta, gli israeliani dovranno rivedere le loro politiche sulla questione
palestinese e rendersi conto che il conflitto interno potrebbe benissimo manifestarsi lungo linee
etniche ed economiche. Come abbiamo visto durante i giorni degli accordi di Oslo, anche la
violenza può giocare un suo ruolo in questo.
Torna a Conseguenze
3.17 Israele, uno Stato di rapina a mano armata.58
Il regime israeliano si basa sull'appropriazione di terre e sul foraggiare l'apparato che mette al
sicuro la refurtiva - l'esercito, nel gergo locale.
La cosa sorprendente è che ci sia ancora qualcuno che fa finta di sorprendersi venendo a sapere di
un altro fatto compiuto di rapina a mano armata, noto in termini burocratici come dichiarare
proprietà dello Stato un lembo di terra. Sembrano stupiti che il ministero della Difesa sia diventato
una priorità quando si è arrivati al bilancio dello Stato, e che l'educazione abbia sofferto il più
grande taglio di spesa del governo.
Il nostro regime si fonda su tre punti: rubare la terra ed espellere quelli che ci vivono; destinare
risorse all'apparato di guardie del corpo - l'esercito, nel gergo locale - che garantisce la
conservazione del bottino; e distruggere il sistema di welfare cancellando il principio di solidarietà
collettiva.
Se non avesse questi tre principi fondamentali, non sarebbe il nostro regime. Ma prendere in
considerazione i dettagli, lo stupore ad hoc, la sorpresa per questo fatto specifico, ci fa dimenticare
il quadro complessivo. Ci fa dimenticare che questo è un regime.
Se in giugno tre ragazzi israeliani non fossero stati rapiti a Gush Etzion ed uccisi, i nostri ladri
armati avrebbero trovato un altro pretesto per costruire un altro insediamento più grande e, in questo
modo, creare altre enclave, gabbie a cielo aperto (un ulteriore principio fondamentale del nostro
regime) per i membri dell'altra nazione. Se la guerra di Gaza non avesse avuto luogo, le guardie del
corpo avrebbero trovato altri modi per persuadere il governo che i loro forzieri dovessero essere
riempiti. Anche senza la necessità di riempire i forzieri del sistema di sicurezza dopo un'operazione
militare, l'attuale governo israeliano avrebbe comunque evitato di salvaguardare i principi di
uguaglianza socioeconomica.
In un mondo ideale e razionale, tutti quelli che sono stati colpiti dal regime avrebbero unito le
58 Amira Hass da Haaretz, 2 settembre 2014.
proprie forze e chiesto tutti insieme un cambiamento. In un mondo ancora più ideale e razionale,
avrebbero provocato questo cambiamento. Ma nel mondo reale, l'onere di provocare questo
cambiamento spetta ai palestinesi.
Nel frattempo possiamo dimenticarci dei cittadini ebrei di Israele (tranne un pugno di militanti di
sinistra). Noi, gli ebrei, beneficiamo del regime, anche quando la sua religione è di aumentare il
benessere di pochi, mentre la maggioranza naufraga nella lotta per rimanere a galla. Lo Stato del
benessere per i soli cittadini ebraici è vivo e disponibile in quello che i coloni chiamano Giudea e
Samaria, il cui acronimo in ebraico è Yosh.
Yosh incarna la possibilità di realizzare il sogno di un miglioramento socioeconomico individuale
per tutti gli ebrei di Israele, i quali soffrono collettivamente le conseguenze di politiche contrarie
allo Stato sociale. Fai i bagagli e spostati di pochi chilometri nelle colonie o in piccole comunità
della Galilea, e la tendenza a tagliare i servizi sociali si inverte.
La chiara coscienza che c'è un modo veloce di soddisfare il legittimo desiderio di migliorare il
proprio livello di vita fa scomparire la forza collettiva di protestare da parte degli ebrei. E'
esattamente così che si è creata un'alleanza tra Yesh Atid [il secondo partito politico israeliano, di
tendenza laica e centrista. n.d.t.], che ha tratto la sua forza dalle proteste che sono iniziate a
proposito del prezzo del formaggio di fattoria, e Habayit Hayehudi [partito sionista dell'estrema
destra religiosa], che propaganda il sogno di una fattoria in Cisgiordania. Aggiungiamo a ciò il terzo
principio fondamentale e scopriamo come ogni cosa è fusa insieme come cemento armato: le
guardie del corpo di oggi sono i futuri manager di compagnie internazionali, produttori ed
esportatori di armi, istruttori degli eserciti di dittatori miliardari. La temporanea missione per
proteggere il bottino del furto (la sicurezza, nel gergo locale), garantisce la prosperità di ogni
membro di questa influente corporazione. Il desiderio di unirsi ad essa, insieme alla possibilità di
farlo, contribuisce a neutralizzare il danno causato dalle politiche del nostro regime contro lo stato
sociale.
I palestinesi sono l'unica collettività del paese (dal mare al fiume) ad essere danneggiata dai tre
principi fondamentali del regime e che cerca di lottare per un cambiamento (anche per gli interessi
degli ebrei a lungo termine). Noi di solito riduciamo in pezzi questa lotta , che poi condanniamo e
reprimiamo: lancio di pietre, terrorismo, manifestazioni, scontri, agitazioni, lancio di razzi Qassam,
tunnel offensivi, l'ONU, razzi, rivolte dei civili, infiltrazioni, BDS, costruzione di edifici senza
permesso.
Per la corporazione della sicurezza, tutto è ugualmente pericoloso, e a ragione. La discussione sui
dettagli - l' efficacia, il valore e l' eticità dei mezzi utilizzati nella lotta - non ci devono spingere a
perdere di vista il quadro generale. I palestinesi si stanno difendendo contro lo Stato della rapina a
mano armata.
Torna a Conseguenze
3.18 Altre modalità dell'occupazione. Da rimuovere il blocco.59
Ad uso dei negoziatori palestinesi e degli intermediari diplomatici, ecco un elenco dei principali
elementi dell’assedio di Gaza che i palestinesi dovrebbero chiedere di rimuovere
La tremenda guerra di quest’estate ha nuovamente portato all’attenzione del mondo il blocco della
Striscia di Gaza – o, più correttamente, la sua chiusura. E’ quindi importante continuare a scriverne,
ancora e ancora, finché il ferro è caldo (per la millesima volta), fino a che l’assedio non sia del tutto
tolto.
Come Israele, anche Hamas ha confuso e mistificato i fatti. Perciò va ripetuto a gran voce che il
blocco non comporta soltanto il divieto d’importare materie prime nella Striscia, e di esportare beni
agricoli e industriali, nonché l’assenza di un porto nel territorio.
59 Amira Hass da Haaretz, 12 Sett. 2014.
Soprattutto, il blocco viola il diritto per le persone di muoversi liberamente e di andare a studiare
dove vogliono, e di vivere nel proprio paese. Viola il diritto di vivere con la propria famiglia ed i
propri amici, di cercare lavoro e di passare il weekend dove si preferisce, nella propria terra.
Quindi sono questi i principali elementi del blocco che devono essere eliminati:• La scandalosa definizione da parte di Israele dei residenti della Striscia di Gaza come
“illegalmente presenti in Cisgiordania”. Questa definizione venne usata per la prima volta
nel 2000, quando Israele espulse o minacciò di espulsione verso Gaza i palestinesi della
Cisgiordania, per il solo fatto che avevano un indirizzo di Gaza stampato sul loro documento
di identità.
Un ambiguo visto turistico
• “Permesso di soggiorno” per i palestinesi nati a Gaza, che consente loro di risiedere nella
West Bank: è questa una sorta di ambiguo visto turistico che permette alle persone di vivere
nella propria terra. Ma è anche un ulteriore documento oltraggioso che venne concepito alla
fine del 2007 dal Coordinatore del Ministero della Difesa per le attività di governo nei
Territori, senza alcun procedimento legale né alcun preavviso. E adesso per la prima volta
rivelerò che cosa sta dietro questo documento. Vergognosamente, fu in realtà il Ministro
palestinese per gli affari civili, la controparte dell’Amministrazione civile delle forze armate
israeliane, che chiese ad Israele di crearlo.
Era il periodo della guerra tra Fatah e Hamas, quando quest’ultimo prese il controllo delle
agenzie di sicurezza nella Striscia di Gaza. Centinaia di membri di Fatah, soprattutto i
membri delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese, fuggirono da Gaza in
Cisgiordania, ovviamente con l’avallo di Israele. Ma, a causa della definizione dei gazawi
come residenti illegali della Cisgiordania, ogni soldato o poliziotto israeliano che fermava
un palestinese di Gaza ad un checkpoint della Cisgiordania, avrebbe dovuto espellerlo.
Il Ministero per gli Affari Civili palestinese è una delle roccaforti feudali che il movimento
Fatah ha ricevuto in cambio della sua partecipazione agli accordi di Oslo con Israele, anche
se fu ben presto chiaro che Israele usava quegli accordi per accrescere la sua presa sui
territori. L’attenzione per i membri di Fatah si sostituì al doveroso impegno del Ministero
per gli Affari Civili dell’Autorità Palestinese di comprendere la politica israeliana tesa a
separare la Striscia di Gaza dalla Cisgiordania. Questa politica intendeva eliminare uno dei
pochi punti positivi contenuti negli accordi di Oslo: il riconoscimento di Gaza e della
Cisgiordania come un’unica entità. E questo è il vergognoso aspetto di questa vicenda: il
fatto che la parte oppressa fornisca all’oppressore le idee su come rafforzare il proprio
predominio, assistendolo nella proliferazione burocratica di provvedimenti che inibiscono i
diritti del proprio stesso popolo.
• “Procedure per la residenza nella West Bank”, una politica sviluppata nel 2009, è un
sistema con cui Israele vieta ai palestinesi originari di Gaza di recarsi in Cisgiordania, a
meno che – e non è uno scherzo – siano orfani o persone anziane con malattie croniche
bisognose di assistenza continua, che non abbiano familiari a Gaza. Legami coniugali o
genitoriali non sono considerati motivi sufficienti a giustificare la residenza nella West
Bank. Una versione meno rigida di tale politica fu messa in atto nel 2013, in seguito ad una
insistente battaglia legale da parte dell’organizzazione israeliana Hamoked – Centro per la
difesa delle persone. Vengono previste disposizioni speciali per i gazawi che abbiano vissuto
in Cisgiordania per un lungo periodo. Tuttavia, per poter rimanere in Cisgiordania, devono
dimostrare che gli interessi principali della loro vita si trovano lì, ed iniziare l’odissea per
ottenere i “permessi di soggiorno” semestrali per un periodo di tre anni. Altrimenti, resta a
discrezione del comandante militare approvare o meno il cambio di indirizzo.
• L’appropriazione da parte di Israele dell’autorità che gli Accordi di Oslo hanno conferito ai
palestinesi, di cambiare l’“indirizzo” sui documenti di identità: gli Accordi di Oslo
stabiliscono che i palestinesi devono solamente informare Israele di tale cambio. E
sicuramente Israele non interviene sui cambi di indirizzo all’interno della Cisgiordania, per
esempio da Jenin a Tul Karm. Ciononostante, dal 1996, senza alcuna spiegazione, Israele ha
perpetuato il proprio potere di controllare i cambi di indirizzo da Gaza alla West Bank, cioè
il potere di decidere se e quando un cambio di indirizzo sarebbe stato concesso e a chi.
Ebbene sì, fin dal 1996. A dimostrazione della lungimirante volontà di Israele di spezzare il
legame tra le due parti e le loro popolazioni.
• Il divieto fin dal 1997 per i residenti di Gaza di entrare nella West Bank dalla Giordania
attraverso il ponte di Allenby.
• Il divieto totale per i residenti della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est, di entrare nella
Striscia di Gaza attraverso il checkpoint di Erez nel nord della Striscia.
• Il divieto totale per i residenti di Gaza di uscire dalla Striscia attraverso il valico di Erez,
tranne per le seguenti limitate categorie di persone: commercianti, giocatori di calcio della
squadra nazionale, malati molto gravi e i loro stretti congiunti, parenti stretti di persone
appena decedute, parenti stretti di persone che stanno per sposarsi, persone con legami con
l’Autorità Palestinese e collaboratori di Israele.
Un obiettivo: eliminare Gaza• Il divieto per i cittadini israeliani, sia ebrei che arabi, di entrare nella Striscia di Gaza. Tutte
le misure burocratiche (sulla base del fatto che“Israele ha il diritto di decidere chi può
entrare nel suo territorio”), come anche quelle relative alla sicurezza (sulla base del fatto che
è pericoloso stare a Gaza) hanno un solo scopo: isolare la Striscia di Gaza dal resto del
mondo, in particolare dagli altri palestinesi. Hamas, che considera Gaza un proprio feudo, sa
bene che i propri militanti non possono ottenere il permesso israeliano di entrare in
Cisgiordania. Non è quindi particolarmente interessato ai dettagli del blocco relativi alla
libertà di movimento delle persone, quanto invece solamente al movimento di beni e materie
prime.
Fatah, il gemello siamese delle forze di sicurezza, che si incontrano regolarmente con la
propria controparte israeliana, ha sempre contato sulla capacità della sua gente di aggirare
gli ostacoli quando viene a chiedere permessi di viaggio, anche se questi sistemi sono pochi.
E quando è stato chiaro che questi sistemi erano inutili, Fatah si è avvalso del mantra che,
una volta che ci sarà uno Stato palestinese indipendente, tutte le restrizioni verranno
eliminate in ogni circostanza.
In breve, i rappresentanti del popolo palestinese, in entrambe le sue componenti, non hanno
lottato per l’applicazione del suo diritto alla libertà di movimento. Questa lotta deve iniziare
adesso. E’ tardi, ma non troppo tardi.
Torna a Conseguenze
3.19 La guerra di Gaza può portare lentamente l’economia israeliana ad unrallentamento.60
Alla fabbrica di Askelon del produttore israeliano di materassi Polydor il suono delle sirene
provocato dal lancio di razzi da parte dei miliziani dalla Striscia di Gaza, a soli 8 km a sud, sta
facendo pagare il suo prezzo.
“Invece di produrre 100 materassi, ne facciamo 50 o 60, dovendo scappare cinque o sei volte al
giorno nei rifugi” dice il responsabile del marketing Alon Zimmermann. A causa di ciò, le vendite
sono scese di un terzo in luglio rispetto allo stesso mese del 2013, una caduta che, secondo
Zimmermann, ci vorrà un anno per recuperare.
Mentre le attività economiche nei pressi di Gaza sono le più colpite dalla battaglia di Israele contro
60 Cavel Ben-David da Bloomberg, 25 agosto 2014.
Hamas e altri gruppi di miliziani palestinesi, la lotta ha anche scoraggiato i turisti e intaccato la la
spesa dei consumatori a livello nazionale. Un indicatore che misura il clima tra i responsabili degli
acquisti societari ha mostrato una contrazione delle attività economiche in luglio per il secondo
mese consecutivo.
A differenza di precedenti conflitti con Hamas o Hezbollah, il gruppo armato libanese, Israele ha
iniziato la lotta a Gaza in un contesto economico già debole: la crescita è rallentata nel secondo
trimestre mentre le esportazioni sono crollate a causa di uno shekel forte.
La Banca Centrale di Israele, presieduta dal governatore Karnit Flug, oggi ha ridotto il tasso di
interesse medio a uno 0,25% senza precedenti, il secondo taglio imprevisto consecutivo. In un
sondaggio di Bloomberg tutti i ventuno economisti [interpellati] avevano previsto che la banca
avrebbe mantenuto il tasso invariato dopo aver operato un taglio imprevisto lo scorso mese. In
quella decisione la Banca Centrale ha affermato che precedenti conflitti militari delle stesse
dimensioni delle operazioni contro Gaza avevano ridotto di circa mezzo punto percentuale il
prodotto interno.
1.“Relativamente lungo”
“I dati sull’attività economica reale reperibili questo mese indicano una riduzione della crescita
economica già prima” che iniziassero le operazioni a Gaza, ha detto oggi la Banca Centrale. “I
primi indicatori di luglio segnalano un’ulteriore riduzione dovuta alle operazioni [militari], parte
della quale, in primo luogo quella relativa al turismo, probabilmente durerà per un tempo
relativamente lungo.”
“Non siamo entrati in questa guerra in condizioni molto buone”, ha detto Ori Greenfeld,
responsabile economico dell’Agenzia di investimenti Psagot a Tel Aviv “per cui il recupero ci
metterà probabilmente più tempo di quanto è avvenuto in passato, e ne vedremo gli effetti verso la
fine di quest’anno, e probabilmente nel 2015.” La crescita è rallentata nel secondo trimestre al
1,7%, dal 2,8% di quello precedente, mentre le esportazioni, che rappresentano circa un terzo
dell’economia complessiva, sono cadute del 18%, in base ai dati ufficiali presentati il 17 agosto. Da
allora l’indice Benchmark dei capitali netti è sceso dell’1,2%, rispetto alla stessa percentuale di
incremento dell’indice mondiale.
2.Il turismo colpito
A complicare il compito di decisori politici ed esportatori è una moneta che ha mantenuto circa il
livello dei tre anni precedenti da quando il conflitto di Gaza ha conosciuto un’escalation all’inizio di
luglio. Lo shekel ha perso l’1% rispetto al dollaro alle 16,48 di oggi a Tel Aviv.[cioè del 25 agosto.
n.d.t.]
Dall’8 luglio gli attacchi israeliani a Gaza hanno ucciso più di 2.100 palestinesi, compresi centinaia
di civili, in base a fonti ufficiali di Gaza. Dal lato israeliano 68 persone sono state uccise, tutti
soldati tranne quattro, mentre una serie di tregue sono fallite a causa del lancio di razzi dei miliziani
e degli attacchi aerei israeliani.
Il turismo, che pesa per circa il 7% dell’economia israeliana, è stato tra le attività economiche più
duramente colpite. Il numero di visitatori è sceso in luglio del 26% rispetto all’anno precedente. Il
conflitto è costato all’industria turistica almeno 566 milioni di dollari, in base ai dati del ministero
del Turismo.Rafi Gozlan, direttore dell’ Israel Brokerage & Investments-IBI Ltd, ha affermato che
si aspetta una contrazione della produzione tra l’1,5 e il 2% nel terzo trimestre.
3. La guerra contro Hezbollah
“Ciò che è stato pubblicato a proposito di luglio è molto evocativo” della guerra del luglio 2006
contro Hezbollah, ha affermato in un’intervista telefonica la scorsa settimana. L’economia subì una
contrazione dell’1,4% nel terzo trimestre del 2006. Sia Hamas che Hezbollah sono state classificate
come organizzazioni terroristiche dagli Usa e da Israele.
L’Indice israeliano dei Responsabili degli Acquisti pubblicato dalla banca Hapoalim (POLI) è sceso
da 55,6 [valore] di maggio a 48,9 [dato] di giugno. Il mese scorso è sceso ancora a 46,8, ha
affermato la banca, il maggiore operatore di prestiti ipotecari.
"Noi valutiamo che l’attività economica sta vivendo una specie di contrazione, che è iniziata prima
delle operazioni a Gaza” ha affermato la banca il 18 agosto. “Questa contrazione sarà più
pronunciata nell’attuale trimestre, benché ci potrebbe essere un certo rimbalzo appena cesseranno le
ostilità.” In base alle stime degli economisti di Bloomberg, l’economia dovrebbe comunque
crescere del 3,3% quest’anno, con una piccola differenza rispetto al 2013, in confronto all’1,75%
delle dieci economie più sviluppate del pianeta. Negli ultimi quattro anni la crescita economica di
Israele ha superato quella degli USA e dell’Eurozona.4.
Aiuti governativi
Il continuo sconvolgimento della vita quotidiana provocato dal lancio di razzi ha avuto i maggiori
effetti sugli affari nella zona ai confini con Gaza. In base a un sondaggio realizzato dalla sede
israeliana di Dun & Bradstreet (DNB) [agenzia nordamericana di informazioni e intermediazione
finanziaria. N.d. Tr.], circa il 20% delle attività economiche nel Sud sono ora a rischio di chiusura,
in quanto la loro situazione è stata aggravata dal conflitto a Gaza.
Le industrie hanno sollecitato la Banca Centrale a tagliare i tassi di base a zero e comprare
abbastanza dollari da far scendere lo shekel alla quotazione di 3,8 per un dollaro.
Stanno inoltre aumentando le richieste al governo perché aumenti gli aiuti. Il ministero delle
Finanze ha affermato che ci saranno riduzioni fiscali per le attività economiche entro i 40 km
da Gaza, in linea con le attuali direttive.
Secondo Zimmermann, della ditta Polidor, non saranno sufficienti:” Qui le imprese sono state
molto colpite, ed hanno dovuto investire molto in misure di sicurezza” ha detto. “Il governo
dovrebbe proprio fare di più.”
Torna a Conseguenze
3.20 Quali sfide economiche per Israele dopo la guerra a Gaza?61
Difesa, deficit, crescita, povertà: il conflitto a Gaza lascerà il segno sulla politica economica del
governo israeliano nel 2015.
I 50 giorni del conflitto militare contro la Striscia di Gaza segneranno l’economia israeliana: ecco le
cinque domande chiave che permettono di misurare l’impatto del conflitto sull’economia israeliana
e di capire meglio la politica economica che il governo metterà in atto a partire dal rientro [dalla
“pausa estiva”].
1. Quanto è costato ad Israele il conflitto a Gaza?
Al momento il costo dell’operazione “Margine Protettivo” per Israele è più o meno noto. In sintesi,
il computo complessivo dei 50 giorni di conflitto con Gaza ammonterebbe a circa 15 miliardi di
shekel, cioè un po’ più di 3 miliardi di euro. Questo costo si divide in tre parti: le spese militari
(circa 9 miliardi di shekel), la riduzione della produzione (circa 5 miliardi di shekel) e i danni
materiali civili (1 miliardo di shekel).
Considerando che la riduzione della produzione (0,5% del PIL) sarà recuperata in seguito e i danni
materiali, piuttosto ridotti, saranno finanziati dai Fondi d’Indennizzazione previsti a questo
riguardo, rimarrà da pagare la spesa militare: questa rappresenta il 15% del bilancio israeliano per la
61 Jacques Bendelac da israelvalley. (sito ufficiale della Camera di Commercio Francia-Israele), 1
settembre 2014.
difesa, il cui ammontare è di 60 miliardi di shekel nel 2014.
2. Quali conseguenze per il bilancio del 2015?
Evidentemente il bilancio 2015 dopo la guerra a Gaza non sarà più lo stesso di quello che sarebbe
stato senza la guerra. La principale incognita dell’equazione di bilancio resta il budget militare:
prima dell’inizio del conflitto la Difesa aveva già chiesto e ottenuto per il 2014 un incremento di 4
miliardi di shekel. Per il 2015 questo incremento chiesto prima della guerra, ma non ancora
accordato, ammontava a 5 miliardi di shekel.
Ora la Difesa [ministro Moche Ya’alon, del Likud, primo partito alle ultime elezioni. n.d.t.] esige
dal Tesoro [ministro Yair Lapid, del nuovo partito Yesh Atid, centrista e favorevole ad un aumento
della spesa sociale, secondo alle ultime elezioni. n.d.t.] un incremento di 20 miliardi di shekel per
rafforzarsi: 9 miliardi sul conto del 2014 e altri 11 miliardi per il 2015. Il Tesoro sarebbe disposto a
farsi carico di una parte del costo della guerra sul budget del 2014, ma rifiuta eventuali aumenti del
bilancio militare per il 2015.
3. Il deficit pubblico aumentera’?
Prima dello scoppio del conflitto, il governo israeliano aveva in progetto di aumentare il bilancio
2015 di 8 miliardi di shekel. E’ evidente che questa somma non sarà sufficiente: il solo incremento
del budget della Difesa potrebbe essere più significativo di quello previsto per il totale del bilancio.
Per il momento il ministro del Tesoro Yair Lapid rifiuta ogni sorta di aumento del peso fiscale: in
altre parole, il costo della guerra sarà finanziato principalmente con un innalzamento del deficit
pubblico e con tagli di bilancio.
Un rapido calcolo mostra che, alzando il deficit di un punto (cioè dal 2,5% sul PIL inizialmente
previsto al 3,5%), lo Stato sbloccherebbe 10 miliardi di shekel. Siccome questo non sarà sufficiente,
sarà altresì necessario decidersi a tagliare trasversalmente il bilancio destinato a spese civili per
ridurre lo shock; per il 2014 il governo ha appena autorizzato un taglio del 2% nelle spese civili e
gli stessi sacrifici saranno sicuramente richiesti per il 2015.
4. E la crescita, in questo contesto?
La principale posta in gioco economica per il 2015 resta l’incremento della crescita: per compensare
le perdite della produzione dovute al conflitto di Gaza, l’economia israeliana dovrà crescere a un
tasso superiore al 3% l’anno. In questo senso la decisione di non aumentare le tasse sui redditi è
favorevole alla crescita: il potere d’acquisto delle classi medie è uno dei motori della crescita
dell’economia israeliana alla fine del 2014 e nel 2015.
In compenso lo Stato dovrà limitare i tagli di bilancio e favorire gli investimenti, a costo di
aumentare il deficit pubblico. Per fortuna la congiuntura internazionale è favorevole all’economia
israeliana: il Tesoro israeliano potrebbe approfittare dei bassi tassi d’interesse nel mondo per
prendere in prestito denaro a buon mercato e finanziare gli investimenti produttivi che sono
necessari per sostenere la crescita.
5. Quale sara’ la posta in gioco sociale?
Alla vigilia del conflitto a Gaza il governo israeliano stava per adottare due importanti riforme
sociali: IVA allo 0% sulle nuove abitazioni e il piano di lotta alla povertà raccomandato dalla
commissione Elalouf [commisione incaricata nel 2013 di studiare misure per ridurre la povertà in
Israele, tra i più alte nei paesi dell’OCSE. n.d.t.].
Ora, questi due provvedimenti sociali hanno un costo non trascurabile per il bilancio dello Stato: 3
miliardi di shekel all’anno per l’Iva allo 0% e 8 miliardi all’anno per far scendere della metà il
numero di poveri nei prossimi dieci anni. Il governo dovrà scegliere le sue priorità e destinarvi i
relativi finanziamenti, senza appesantire ulteriormente il livello del debito pubblico.
Torna a Conseguenze
3.21 Israele conta i danni dei 50 giorni di guerra a Gaza.62
Il prezzo economico pagato
Il governo israeliano ha pagato un alto prezzo economico per il suo attacco contro Gaza di
quest’estate – ciò lo sconsiglerà dal continuare con i suoi periodici bombardamenti contro la
Striscia?
In Israele le proteste sociali nell’estate del 2011 e del 2012 hanno lasciato il segno sulla scena
politica. I politici che sono entrati in parlamento promettendo che avrebbero migliorato lo standard
di vita sono d’accordo sul fatto che i fondi per i servizi sociali fondamentali dovranno venire
dall’enorme budget israeliano per la difesa.
L’OCSE ha già osservato che nessun altro Stato membro dell’organizzazione presenta una
differenza così grande tra la spesa pubblica totale in rapporto al PIL (in cui Israele è leggermente al
di sotto della media) e la spesa sociale totale (nella quale Israele è al livello più basso). La
differenza [tra spesa totale e spesa per i servizi sociali. n.d.t.] è il costo delle spese militari e per la
sicurezza. I dati ufficiali sulle spese militari israeliane parlano di circa il 6% del PIL che va alla
difesa, rispetto a circa l’1% della maggior parte degli Stati europei e il 4,5% degli USA. Questi
numeri non includono neppure le enormi spese per le forze di polizia israeliane, per il sistema
carcerario e per le compagnie della sicurezza privata.
Nel maggio 2014 il dibattito sui tagli al bilancio della difesa ha raggiunto il livello più alto.
Giornalisti di prestigio e politici sperimentati hanno sostenuto che quando il ministro della Difesa si
trova con le spalle al muro, sembrano venire in suo aiuto minacce alla sicurezza e scoppia un
conflitto. E’ esttamente ciò che è successo quando, in risposta all’uccisione di tre coloni israeliani,
l’esercito ha lanciato una massiccia invasione della Cisgiordania, che è sfociata nel luglio-agosto
2014 in un attacco contro la Striscia di Gaza noto come “Margine Protettivo”, che è durato 50
giorni. La guerra ha avuto l’effetto voluto: il dibattito sui tagli al bilancio della Difesa non è più
all’ordine del giorno. La domanda è solo di quanto aumenterà [il bilancio della Difesa.n.d.t.]. Il
primo ministro Netanyahu ha detto chiaramente che le necessità militari riceveranno parecchi
miliardi in più.
La guerra con Gaza è stata iniziata dal governo israeliano, ma si è dimostrata disastrosa per
l’economia israeliana. Durante i 50 giorni di scontri, l’esercito israeliano ha colpito la Striscia di
Gaza e ucciso circa 2.200 palestinesi, molti dei quali civili disarmati. Allo stesso tempo i
rudimentali razzi lanciati da Gaza e le tattiche di guerriglia utilizzate dai gruppi della resistenza
palestinese hanno fatto pagare un pesante prezzo all’economia israeliana. Le linee aeree hanno
cancellato i loro voli verso Israele e il turismo è andato in crisi nei mesi estivi, di solito molto
affollati. Le fabbriche nei pressi della Striscia di Gaza hanno interrotto la produzione, perchè i
lavoratori avevano paura di andare al lavoro. I prodotti agricoli sono andati a male perchè non c’era
nessuno a raccoglierli. Gli israeliani, che di solito passano i mesi estivi con gli irrequieti bambini in
vacanza hanno evitato gli ipermercati, con il risultato che i consumi sono crollati. Si stima che la
caduta dell’economia israeliana sia costata almeno lo 0,5% del PIL. Il governo si appresta ad
offrire parziali compensazioni, ma non sarà facile ottenere i fondi necessari, considerando che si
sono riscosse poche tasse nel 2014 a causa della guerra.
Alla luce dei pesanti costi economici, è facile dimenticare che ci sono quelli che fanno profitti con
queste guerre. Su tutti, i produttori che riforniscono l’esercito israeliano di armamenti, e che usano
la guerra come una pubblicità per promuovere i propri prodotti presso potenziali acquirenti in giro
per il mondo. Queste industrie non sono solo israeliane, ma anche americane, inglesi, tedesche ed
altre. Mentre i proprietari di queste industrie godono di alti profitti, i cittadini israeliani si ritrovano
ulteriormente impoveriti.
Giusto quando le fosche conseguenze economiche della guerra si stavano facendo sempre più
evidenti, il ministro della Difesa ha annunciato che avrebbe chiesto un aumento del bilancio per
riempire di nuovo di armi gli arsenali svuotati e per prepararsi alla prossima fase del conflitto. La
richiesta era di 3 miliardi di dollari. Il Consiglio dei Ministri si è affrettato ad approvare tagli
62 Shir Hever da middleeasteye, 22 settembre 2014.
generalizzati – nella sanità, nell’educazione, nei trasporti e nell’edilizia – per finanziare il riarmo. In
altre parole, poichè il peso della sicurezza aumenta pesantemente, si prevede che la differenza tra le
spese sociali e quelle militari in Israele si allargherà ulteriormente. Alla luce di ciò, non c’è da
stupirsi che il 30% degli israeliani abbia risposto ad un sondaggio che se ne andrebbe dal paese se
trovasse l’opportunità di emigrare.
Non si deve mai dimenticare che, per quanto pesanti siano i costi della guerra per Israele, la
distruzione nella Striscia di Gaza è stata di molto superiore. Il governo israeliano da per scontata la
superiorità militare del suo esercito rispetto ai gruppi della resistenza palestinese, e pensava che
l’operazione “Margine Protettivo” non sarebbe stata diversa dai precedenti bombardamenti e/o
invasioni della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano nel 2006, 2008 (due volte) e 2012.
Israele si aspettava che Hamas, che governa Gaza, avrebbe accettato di buon grado una tregua per
porre fine alle stragi solo dopo qualche giorno di scontri, e che le cose sarebbero tornate normali,
nel senso che la gente di Gaza sarebbe tornata a dedicarsi alla ricostruzione e a riprendersi, gli
israeliani sarebbero tornati alla loro solita routine e le imprese di materiale bellico avrebbero tenuto
un’altra fiera espositiva di armamenti per mettere in vendita le armi che erano state testate durante
l’attacco.
Questa volta, invece, gli eventi hanno preso un’altra piega. Hamas ha offerto un cessate il fuoco di
10 anni in cambio della fine dell’assedio di Gaza, un’offerta che il governo israeliano ha rifiutato, in
quanto non è interessato ad una tregua di 10 anni, che lo priverebbe della possibilità di collaudare
nuovi sistemi d’arma. I gruppi palestinesi, con la direzione di Hamas, hanno rifiutato l’offerta
israeliana di un semplice cessate il fuoco. Hanno continuato a lottare contro forze preponderanti e
nonostante gli incessanti bombardamenti israeliani. La guerra è durata 50 giorni, molto più delle
aspettative e dei desideri del governo israeliano, assestando un pesante colpo all’economia
israeliana. E’ stata un dura lezione per gli israeliani, la superiorità militare non gli ha garantito la
vittoria e non si possono aspettare che i palestinesi rimangano passivi e accettino il loro destino. Il
tempo dirà se il governo israeliano oserà lanciare un altro attacco contro Gaza, sapendo che il
prezzo economico potrebbe essere così devastante.
Shir Hever è uno studente specializzando presso la Libera Università di Berlino ed economista del
Centro di Informazione Alternativa.
Torna a Conseguenze
3.22 Dopo ‘Margine Protettivo’: quale futuro per Palestina e Israele?63
L’operazione militare israeliana di 50 giorni che ha ucciso 2.100 palestinesi, ne ha feriti 11.000 e ha
indubbiamente traumatizzato l’intera popolazione di Gaza di 1.700.000 persone, ha ucciso anche 70
israeliani, 65 dei quali erano soldati. Questo recente violento scontro è finito senza una chiara
vittoria per l’una o l’altra parte. Malgrado questo, Israele e Hamas stanno entrambi insistendo che è
stata ottenuta la ‘vittoria’. Israele fa notare i risultati materiali, cioè i tunnel e i depositi di missili
che sono stati distrutti, le uccisioni di obiettivi presi di mira, e il complessivo indebolimento della
capacità di Hamas di lanciare un attacco. Hamas, da parte sua, rivendica risultati politici, essendo
diventato molto più forte politicamente e psicologicamente sia a Gaza che in Cisgiordania, rispetto
all’inizio dei combattimenti, avendo rifiutato di cedere riguardo alla fondamentale richiesta di
‘demilitarizzazione’ di Gaza e avendo anche appannato ulteriormente la reputazione internazionale
di Israele.
La Commissione dell’ONU per i Diritti Umani ha fatto quello che per loro è un passo eccezionale:
nominare una commissione di inchiesta per indagare sulle accuse di crimini di guerra. Il fatto che
William Schabas, un famoso esperto di legge penale internazionale, specialmente riguardo al
crimine di genocidio, sia stato scelto per presiedere l’inchiesta è di grande significato simbolico e
63 Richard Falk da znetitaly, 22 settembre 2014.Traduzione di Maria Chiara Starace.
potenzialmente di grande rilevanza per l’attuale lotta per la legittimità che viene combattuta con
successo dal popolo palestinese. Qualcuno l’ha definita ‘Goldstone 2.0’ in riferimento alla
precedente iniziativa di indagine di alta visibilità della Campagna per i Diritti Umani (HRC)
suggerita dall’operazione militare israeliana contro Gaza del 2008-2009, che aveva scioccato il
mondo per la sua ferocia e per il disprezzo delle leggi internazionali di guerra. Al contrario di
Richard Goldstone, che era un dilettante riguardo alla legge internazionale ed era allineato
ideologicamente con il sionismo, Schabas è un massimo esperto accademico, senza alcuna
inibizione ideologica nota, e con la forza di carattere di rispettare i previsti risultati e le
raccomandazioni del rapporto che produrrà l’inchiesta. Come in precedenza, gli Stati Uniti useranno
la loro forza geopolitica per proteggere Israele da censure, critiche, e, soprattutto, dalle sue
responsabilità. Questa deplorevole limitazione riguardo all’applicazione della legge internazionale
non significa che lo sforzo di Schabas manchi di significato. Il risultato politico di precedenti lotte
anti-coloniali è stato controllato dalla parte che vince la guerra di legittimità per il controllo dei
‘piani alti’ della legge e della moralità internazionale. Questo terreno simbolico è così importante
dato che rafforza la resistenza di coloro che cercano la liberazione per portare i pesi della lotta e
rinforza il movimento di solidarietà globale che fornisce un appoggio fondamentale. In questo
senso, il Rapporto Goldstone ha esercitato un’importante influenza nel delegittimare la periodica
vasta distruzione a Gaza, specialmente gli usi enormemente sproporzionati della forza contro una
popolazione civile totalmente vulnerabile e essenzialmente indifesa e intrappolata.
Il risultato più impressionante di questo recentissimo attacco violento da parte di Israele, che
sembra meno un esempio di ‘guerra’ che di ‘massacro orchestrato’, è stranamente ironico visto da
una prospettiva israeliana. La ricerca spietata di Israele di una vittoria militare ha avuto l’effetto di
rendere Hamas più popolare e legittimo di quanto fosse mai stato, non soltanto a Gaza, ma ancora di
più in Cisgiordania. L’operazione militare di Israele ha minato gravemente le rivendicazioni già
contestate dall’Autorità Palestinese di essere l’autentico rappresentante delle aspirazioni del popolo
palestinese. La spiegazione migliore di questo esito è che i palestinesi nel loro insieme preferiscono
l’opposizione di Hamas, per quanta sofferenza produca, rispetto al passivo adattamento dell’AP alla
volontà dell’occupante e dell’oppressore.
Da parte sua Israele ha segnalato un rifiuto meno mascherato di avviarsi verso una pace negoziata
nelle attuali circostanze. Il Primo ministro Netanyahu ha detto ancora una volta ai palestinesi che
devono scegliere tra la ‘pace e Hamas,’ senza dire che il suo uso della parola ‘pace’ l’ha resa
indistinguibile dalla parola ‘resa’. Netanyahu ha ripetuto la sua spesso proclamata posizione: Israele
non negozierà mai con un’organizzazione terrorista che si è impegnata nella sua distruzione.
Piantando un altro chiodo in quella che sembra la bara della soluzione dei due Stati, Israele ha
annunciato la più grossa confisca di terra per l’espansione degli insediamenti in più di 20 anni,
prendendo quasi 1000 acri di terreno pubblico vicino a Betlemme, che va aggiunto al piccolo
insediamento di Gvaot vicino al blocco di Etzion a sud di Gerusalemme. Alcuni si chiedono:
“Perché adesso?”, invece di fare la domanda più intuitiva: “Perché non adesso?”
Partendo da queste prospettive, il vero impatto della carneficina di Gaza può essere meno la
devastazione fisica e la catastrofe umanitaria, i danni imminenti di malattie epidemiche, e di 12
miliardi di danni che verranno riparati fra 20 anni, rispetto agli effetti politici. E’ come la
sospensione della diplomazia inter-governativa come mezzo di risoluzione del conflitto. Anche
l’AP, che cerca la sua riabilitazione politica, parla ora di chiedere all’ONU che stabilisca una tabella
triennale per il ritiro di Israele dalla Cisgiordania. Sta anche minacciando di ricorrere alla Corte
penale internazionale perché autorizzi un’indagine sulle accuse che di per sé l’occupazione della
Cisgiordania implichi l’aver compiuto crimini contro l’umanità.
In base a queste prospettive, la situazione sembra disperata. Le prospettive palestinesi di avere un
proprio Stato, per anni la speranza dei moderati di entrambe le parti, ora sembra irrilevante. Soltanto
il modello dei due Stati, in qualunque modo venga varato, potrebbe conciliare di nuovo le pretese
contrastanti del Sionismo israeliano e del nazionalismo palestinese. Naturalmente, i critici
palestinesi si chiedevano sempre di più se il Sionismo fosse conforme ai diritti umani della
minoranza palestinese e delle sue grandi comunità di profughi e di esiliati, e tendeva a considerare il
risultato dei due Stati come un trionfo del progetto sionista e una sconfitta ‘ricoperta di zucchero’
per le aspirazioni nazionali palestinesi. Ora ‘i giochi sono finiti’ per la soluzione dei due Stati, e la
vera lotta si sta svolgendo più chiaramente tra versioni in competizione di una soluzione con un solo
Stato.
Che cosa possiamo aspettarci? Perfino un cessate il fuoco sostenibile che permetta agli abitanti di
Gaza di riprendersi in qualche modo dalla spaventosa traversia di un crudele regime di punizione
collettiva sembra improbabile che duri molto a lungo nell’attuale atmosfera. C’è ogni motivo di
supporlo data la frustrazione di Israele per il fallimento del suo attacco per schiacciare Hamas e per
il rifiuto di Hamas di accettare senza atti di opposizione la dura realtà del suo continuo
soggiogamento.
E tuttavia ci sono barlumi di luce nei cieli oscurati. L’ostinatezza dell’opposizione palestinese unita
alla robustezza di un movimento crescente di solidarietà globale è probabile che eserciti una
pressione che si sta intensificando sul pubblico israeliano e su alcuni dei suoi capi perché rivedano
le loro scelte per il futuro, e da un punto di vista israeliano prima avverrà e meglio sarà. La
campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) sta guadagnando spinta politica e
morale ogni giorno. Il tipo di movimento internazionale non violento, che inaspettatamente ha
contribuito a provocare il crollo improvviso del regime di apartheid in Sudafrica, sembra poter a un
certo punto spingere gli israeliani a riconsiderare se un accordo non sia nell’interesse di Israele,
anche se richiede il ripensare a quella che è l’essenza della realtà di ‘una patria ebraica’, e anche se
non raggiunge una riconciliazione completa. Come indica l’esperienza in Sudafrica e anche in
Irlanda del Nord, la parte che prevale in campo militare, non riconosce la pressione politica che
aumenta, fino a quando non sarà pronta a un patto con il suo nemico, cosa che sarebbe sembrata
inconcepibile soltanto poco prima che venisse fatto. Attualmente l’esito della lotta israelo-
palestinese è oscuro. Dalla prospettiva territoriale sembra che Israele sia sul punto di vincere, ma da
una prospettiva di lotta per la legittimità i palestinesi stanno avendo lameglio.Ilflusso dellastoria fin
dalla fine della II Guerra mondiale fa pensare a un futuro di speranza per i palestinesi, e tuttavia la
forza geopolitica di Israele può essere in grado di resistere alla pressione di riconoscere il
fondamentale diritto palestinese all' autodeterminazione.
Torna a Conseguenze
Appendice
Pubblichiamo alcuni documenti che sono stati prodotti durante e dopo l'attacco a Gaza. Il primo
documento è una petizione di esperti di diritto internazionale - primi firmatari Richard Falk e John
Dugard, entrambi ex rapporteur dell'Onu per i Territori Occupati, - scritta durante l'attacco e
consegnata in settembre alle Nazioni Unite.(A1). Il secondo è la risoluzione del Tribunale Russel
per la Palestina riunitosi a Bruxelles il 25 settembre, che sulla base delle testimonianze ascoltate,
ha rilevato prove di incitamento al genocidio e di crimini contro l’umanità in Gaza.(A2) Infine
l'attacco ha prodotto tra le tante petizioni e appelli uno degli antropologi di tutto il mondo nel
quale si denuncia la politica di Israele e si invita il mondo accademico a boicottare le istituzioni
accademiche israeliane.(A3)
A.1 Dichiarazione congiunta di esperti di diritto internazionale sull'offensiva diIsraele contro Gaza.64
La comunità internazionale deve porre fine alla punizione collettiva da parte di Israele nei
confronti della popolazione civile della Striscia di Gaza.
Nota preliminare: questa è una dichiarazione congiunta di esperti internazionali di vari paesi del
mondo che sono citati alla fine come promotori. Io [Richard Falk. Ndt] sono tra questi, e il testo è
stato inizialmente abbozzato da una serie di studiosi di diritto internazionale. Ben vengano altre
firme che possono essere inviate a me nella sezione dei commenti, specificando l’ente o istituzione
accademica di appartenenza, e i nomi verranno periodicamente aggiunti al testo. Io vedo questo
[appello.] come un’importante manifestazione del parere professionale e della coscienza dei singoli
[firmatari] riguardo al comportamento di Israele a Gaza a partire dall’8 luglio, che già fatto molte
vittime innocenti e provocato così estese distruzioni. Per favore, unitevi a noi e diffondetelo
ovunque!
In quanto studiosi di diritto internazionale e penale, difensori dei diritti umani, esperti giuridici e
individui che credono fermamente nel ruolo della legge e nella necessità del suo rispetto in tempi di
pace e ancor più di guerra, sentiamo il dovere intellettuale e morale di denunciare le gravi
violazioni, mistificazioni e la mancanza di rispetto dei basilari principi delle leggi nei conflitti
armati e dei fondamentali diritti umani dell’intera popolazione palestinese commessi durante
l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza attualmente in corso. Noi condanniamo anche il lancio
di missili dalla Striscia di Gaza, come ogni attacco indiscriminato contro civili, indipendentemente
da chi lo commette, che non è solo illegale dal punto di vista delle leggi internazionali, ma anche
moralmente intollerabile. Tuttavia, come sostenuto implicitamente anche dalla Commissione per i
Diritti Umani dell’ONU nella sua Risoluzione del 23 luglio 2014, le due parti in conflitto non
possono essere considerate sullo stesso piano, e le loro azioni, ancora una volta, sono di una gravità
incomparabile.
Ancora una volta è la popolazione civile disarmata, le persone sotto la protezione del diritto
internazionale umanitario, che sono nell’occhio del ciclone. La popolazione civile di Gaza è stata
resa vittima, nel nome del falso diritto di autodifesa costruito ad arte, nel mezzo di un’escalation di
violenza provocato al cospetto dell’intera comunità internazionale. La cosiddetta operazione
“Confini di difesa” è scoppiata durante un conflitto armato in corso, nel contesto di un’aggressiva
occupazione prolungata che è iniziata nel 1967. Nel corso di questo conflitto migliaia di palestinesi
sono stati uccisi e feriti nella Striscia di Gaza durante ricorrenti ed apparenti periodi di “tregua” dal
2005, dopo il ritiro unilaterale di Israele dalla Striscia di Gaza. Neanche le morti causate dalle
provocazioni di Israele nella Striscia di Gaza prima dell’ultima escalation di ostilità possono essere
ignorate.
In base [a quanto affermato da] fonti dell’ONU, durante le ultime due settimane, circa 800
palestinesi a Gaza sono stati uccisi e più di 4.000 feriti, la grande maggioranza dei quali [sono]
civili. Molteplici fonti indipendenti affermano che solo il 15% delle vittime erano combattenti.
Intere famiglie sono state uccise. Ospedali, cliniche così come centri per la riabilitazione per disabili
sono stati colpiti e gravemente danneggiati. In un solo giorno, sabato 20 luglio, più di 100 civili
palestinesi sono stati uccisi a Shuga’iya, un quartiere residenziale di Gaza City. Questa è una delle
più sanguinose ed aggressive operazioni mai condotte da Israele nella Striscia di Gaza, una forma di
violenza urbana che costituisce una totale mancanza di rispetto della neutralità dei civili. Purtroppo,
a questo [attacco] ha fatto seguito solo un paio di giorni dopo un attacco altrettanto distruttivo a
Khuza’a, a est di Jhan Younis.
Oltre a ciò, l’offensiva ha anche causato la capillare distruzione di edifici e infrastrutture: in base [a
64 https://richardfalk.wordpress.com/2014/07/28/joint-declaration-by-international-law-experts-on-israels-
gaza-offensive/ 28 luglio 2014.
quanto riferito dall’] Ufficio di Coordinamento degli Affari Umanitari dell’ONU, più di 3.300 case
sono state colpite e distrutte o gravemente danneggiate.
Come denunciato dalla Missione d’Inchiesta dell’ONU sul conflitto a Gaza in seguito
all’operazione israeliana “Piombo fuso” nel 2008-09: “Mentre il governo israeliano ha cercato di
dipingere le sue operazioni essenzialmente come una risposta ai lanci di razzi, esercitando il proprio
diritto all’autodifesa, la missione ritiene che il piano sia stato diretto, almeno in parte, a colpire un
altro obiettivo: il popolo di Gaza nel suo complesso” (A/HRC/12/48, par. 1680). Lo stesso si può
dire dell’attuale offensiva israeliana.
La popolazione civile nella Striscia di Gaza è sottoposta ad un attacco diretto e molti sono obbligati
a lasciare lo proprie case. Quella che era una crisi umanitaria di rifugiati si è aggravata con una
nuova ondata di espulsione di civili: il numero di rifugiati ha raggiunto circa i 150.000, molti dei
quali hanno trovato rifugio nelle sovraffollate scuole dell’ UNRWA, che sfortunatamente non sono
sicure, come dimostrato dai ripetuti attacchi contro la scuola dell’ UNRWA a Beit Hanoun. Tutti a
Gaza sono traumatizzati e vivono in uno stato di costante terrore. Questo risultato è intenzionale, in
quanto Israele agisce in base alla “dottrina Dahiya”, che deliberatamente fa ricorso alla forza
sproporzionata per infliggere sofferenze alla popolazione civile per ottenere obiettivi politici
(esercitare pressioni sul governo di Hamas) piuttosto che militari.
Così facendo, Israele sta ripetutamente e palesemente violando le leggi di guerra, che stabiliscono
che possono essere colpiti i combattenti e gli obiettivi militari, per esempio “quegli oggetti che, per
loro natura, posizione, scopo o utilizzo contribuiscono in modo effettivo all’azione militare e la cui
totale o parziale distruzione, cattura o neutralizzazione, nelle circostanze del momento, offrono un
sostanziale vantaggio militare.” La maggior parte dei recenti massicci bombardamenti a Gaza non
presenta un’accettabile giustificazione militare, e, al contrario, sembra progettata per terrorizzare la
popolazione civile. Come chiarito dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, causare
volontariamente il terrore è inequivocabilmente illegale in base al diritto internazionale
consuetudinario.
Nel suo parere consultivo nel caso delle armi atomiche, la Corte Internazionale di Giustizia ha
stabilito che il principio di distinzione, che richiede agli Stati belligeranti di distinguere tra civili e
combattenti, è uno dei principi basilari del diritto umanitario internazionale e uno dei “principi
irrinunciabili del diritto internazionale consuetudinario.”
Il principio di distinzione è codificato negli articoli 48, 51(2) e 52(2) del Protocollo aggiuntivo I del
1977 alla Convenzione di Ginevra del 1949, al quale non sono state apportate modifiche. In base al
Protocollo aggiuntivo I, per “attacchi” si intende “atti di violenza contro l’avversario, sia di offesa
che di difesa” (articolo 49). Sia in base al diritto internazionale consuetudinario che ai trattati
internazionali, la proibizione di attacchi diretti contro la popolazione civile o obiettivi civili è totale.
Non è ammessa nessuna discrezionalità per invocare necessità militari come giustificazione.
Contrariamente alle affermazioni di Israele, errori che possano causare vittime civili non sono
giustificabili: in casi dubbi sulla natura dell’obiettivo, la legge stabilisce chiaramente che un oggetto
normalmente dedicato ad una funzione civile ( come scuole, case, luoghi di culto e servizi medici),
sono considerati come non utilizzati per fini militari. Durante le scorse settimane, funzionari e
rappresentanti dell’ONU hanno ripetutamente chiesto a Israele di rispettare strettamente il principio
di precauzione nell’attaccare la Striscia di Gaza, dove il rischio è notevolmente aggravato
dall’altissima densità della popolazione, e il massimo delle precauzioni devono essere adottate per
evitare vittime civili. Human Right Watch ha notato che queste disposizioni servono ad evitare
errori, [ma] “quando questi errori sono ripetuti, sorge il dubbio che siano state ignorate.”
Inoltre, anche quando vengono presi di mira obiettivi militari, Israele ha costantemente violato il
principio di proporzionalità: ciò è particolarmente evidente riguardo alle centinaia di edifici civili
distrutti dall’esercito israeliano durante l’attuale operazione militare a Gaza. Con l’intenzione
dichiarata di colpire un singolo membro di Hamas, le forze armate israeliane hanno bombardato e
distrutto anche case in cui risiedevano decine di civili, comprese donne, bambini, e intere famiglie.
E’ intrinsecamente illegale in base al diritto internazionale consuetudinario colpire intenzionalmente
obiettivi civili, e la violazione di questo fondamento del diritto può equivalere a un crimine di
guerra. Inviare un “avvertimento” – come la cosiddetta tecnica israeliana del “bussare sul tetto”, o
mandare un SMS cinque minuti prima dell’attacco – non ne riduce la gravità: rimane illegale
attaccare intenzionalmente un’abitazione civile senza dimostrarne la necessità dal punto di vista
militare, in quanto equivale ad una violazione del principio di proporzionalità. Inoltre, non solo
questi “avvertimenti” sono in genere inefficaci, e possono anche causare ulteriori vittime, ma
appaiono come scuse preordinate da Israele per dipingere la gente che rimane nelle case come
“scudi umani”.
Gli attacchi indiscriminati e sproporzionati, colpire obiettivi che non offrono effettivi vantaggi sul
piano militare e bersagliare intenzionalmente i civili e le loro abitazioni sono stati le caratteristiche
costanti della politica israeliana di lungo termine per punire l’intera popolazione della Striscia di
Gaza, che, per più di sette anni, è stata di fatto imprigionata dal blocco imposto da Israele. Questo
sistema si configura come una forma di punizione collettiva, che viola la totale proibizione stabilita
nell’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra ed è stato internazionalmente condannato in
quanto illegale. Tuttavia, lungi dall’essere effettivamente contrastata dagli attori internazionali,
l’illegale politica di Israele di blocco totale imposto alla Striscia di Gaza è continuata senza tregua,
sotto lo sguardo complice della comunità internazionale.
***
Come affermato nel 2009 dalla commissione di inchiesta dell’ONU sul conflitto a Gaza
[commissione Goldstone]:”La giustizia ed il rispetto della legge sono indispensabili basi per la
pace. La prolungata situazione ha creato una crisi del diritto nei Territori Palestinesi Occupati che
merita provvedimenti” (A/HRC/12/48, para. 1958). In effetti:”l’impunità di lunga durata è stata un
elemento chiave nella prosecuzione della violenza nella regione e nella reiterazione delle violazioni,
così come nell’erosione della fiducia tra palestinesi e molti israeliani riguardanti le prospettive per
una soluzione giusta e pacifica del conflitto.” (A/HRC/12/48, para. 1964)
Pertanto
• Noi approviamo la Risoluzione adottata il 23 luglio 2014 dal Comitato ONU per i Diritti
Umani, in cui si è decisa una commissione internazionale indipendente d’inchiesta per
verificare ogni violazione del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani nei
Territori Palestinesi Occupati.
• Noi invitiamo le Nazioni Unite, la Lega araba, l’Unione Europea, singoli Stati, soprattutto
gli Stati Uniti d’America, e la comunità internazionale nel suo complesso ed con il suo
potere collettivo a prendere iniziative con la massima urgenza per porre fine all’escalation di
violenza contro la popolazione civile della Striscia di Gaza, e a mettere in atto procedure per
chiedere conto a tutti i responsabili delle violazioni del diritto internazionale, compresi i
leader politici e i comandanti militari. In particolare:
• Tutti gli attori regionali e internazionali devono appoggiare l’immediata stipula di un
duraturo, complessivo e mutuamente accettato accordo di cessate il fuoco, che deve
garantire il rapido accesso senza restrizioni degli aiuti umanitari e l’apertura dei confini per
e da Gaza;
• Tutte le alte parti contraenti delle Convenzioni di Ginevra devono essere urgentemente e in
modo condizionale chiamate a compiere i propri obblighi fondamentali, sempre vincolanti, e
ad agire in base all’articolo 1, per prendere tutte le misure necessarie all’eliminazione delle
gravi violazioni, come chiaramente imposto dagli articoli 146 e 147 della Quarta
Convenzione di Ginevra; queste prescrizioni sono applicabili da tutte le parti interessate;
• Inoltre, denunciamo le vergognose pressioni politiche esercitate da parecchi Stati membri
dell’ONU e dall’ONU sul presidente Mahmoud Abbas, per scoraggiarlo dal fare ricorso alla
Corte Penale Internazionale, e invitiamo caldamente i leader di governo della Palestina a
invocare la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, ratificando il trattato della CPI e
nel frattempo ripresentando la dichiarazione in base all’articolo 12 (3) del Trattato di Roma,
per indagare e perseguire i gravi crimini internazionali commessi sul territorio palestinese da
tutte le parti in conflitto; e
• Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU deve finalmente esercitare la sua competenza riguardo
alla pace e alla giustizia portando la situazione in Palestina di fronte al Procuratore generale
della Corte Penale Internazionale.
Richard Falk è uno studioso di diritto internazionale e di relazioni internazionali che ha
insegnato per quarant’anni all’università di Princeton. Dal 2002 ha vissuto a Santa
Barbara, California, e ha insegnato presso l’università della California studi globali e
internazionali e dal 2005 ha presieduto il comitato direttivo della fondazione Pace dell’era
nucleare. Ha inaugurato il suo blog anche per celebrare il suo ottantesimo compleanno.
Torna all'Appendice
A.2 Il Tribunale Russell ha rilevato prove di incitamento al genocidio e dicrimini contro l’umanità in Gaza.65
– La sessione straordinaria del Tribunale Russel per la Palestina sulla operazione militare di Israele
Protective Edge tenutasi ieri a Bruxelles ha rilevato le prove di crimini di guerra, crimini contro
l’umanità, crimini di assassinio, sterminio, persecuzione ed anche di incitamento al genocidio.
La Giuria [1] ha riferito: ‘L’effetto cumulativo di un regime di lunga durata di punizione collettiva a
Gaza appare infliggere deliberatamente condizioni di vita per condurre ad una crescente distruzione
dei Palestinesi in quanto gruppo, a Gaza .’
Il Tribunale sottolinea che “un regime persecutorio può portare ad un effetto genocida, alla luce
della chiara escalation della violenza fisica e verbale relativa a Gaza diffusa nell’estate 2014, il
Tribunale sottolinea l’obbligo di tutti gli Stati firmatari della Convenzione sul Genocidio del 1948,
di prendere secondo la Carta delle Nazioni Unite, misure considerate adeguate per la prevenzione e
la soppressione di atti di genocidio.”
La Giuria ha ascoltato prove da testimoni oculari degli attacchi di Israele durante la guerra di Gaza
nel 2014, inclusi i giornalisti Mohammed Omer, Max Blumenthal, David Sheen, Martin Lejeune,
Eran Efrati e Paul Mason, e i chirurghi Mads Gilbert, Mohammed Abou Arab, l’esperto di crimini
di genocidio come Paul Behrens, il Colonnello Desmond Travers e Ivan Karakashian, capo
dell’azione di sostegno e difesa di Children International.
Relativamente al crimine di incitamento al genocidio, il Tribunale ha accolto le prove a
dimostrazione di una ripresa al vetriolo della retorica e incitamento razzista nell’estate del 2014.
‘Le prove mostrano che un tale incitamento si è manifestato in molti livelli della società israeliana,
sia sui social media che su quelli tradizionali, dai tifosi di calcio, a funzionari di polizia, a
opinionisti, a leader religiosi,e legislatori e ministri del Governo.”
Il Tribunale ha inoltre rilevato prove dei seguenti crimini:
• Omicidi volontari
• Distruzioni diffuse di proprietà non giustificate da necessità militare
• Attacchi diretti intenzionalmente contro una popolazione civile e obiettivi civili
• Uso sproporzionato della forza
• Attacchi contro edifici dedicati alla religione e alla’istruzione
• L’uso dei palestinesi come scudi umani
• Impiego di armi, proiettili, materiali e metodi nelle azioni di guerra di natura tale da causare
danni eccessivi e inutili sofferenze, intrinsecamente indiscriminati
• L’uso della violenza per diffondere terrore tra la popolazione civile.
Inoltre il Tribunale ha stabilito: “Viene riconosciuto che in una situazione dove vengono perpetrati
tipi di crimini contro l’umanità in modo impunito, e dove nella società si manifesta un incitamento
diretto e pubblico al genocidio, è molto plausibile che individui o lo stato possano decidere di
65 fonte: Tribunale Russell , 25 settembre 2014.
sfruttare queste condizioni per perpetrare il crimine di genocidio.”
Nota inoltre: ‘Abbiamo davvero paura che in un ambiente di impunità e di assenza di sanzioni nei
confronti di una criminalità grave e ripetuta, le lezioni del Rwanda e di altre atrocità di massa
possano ancora una volta restare inascolate.”
Il Tribunale chiama Israele ad adempiere ai suoi obblighi secondo il diritto internazionale e lo Stato
di Palestina ad accedere, senza ulterirori ritardi, allo Statuto di Roma della Corte penale
Internazionale, a coopeare pienamente con la Commissione di inchiesta del Consiglio dei diritti
umani e ad impegnarsi appieno nei meccanismi della giustizia internazionale.
Il Tribunale inoltre ricorda a tutti gli stati di collaborare per mettere fine alla situazione di illegalità
che deriva dalla occupazione israeliana, dall’assedio e dai crimini nella striscia di Gaza. Alla luce
dell’obbligo di non fornire aiuto e assistenza, tutti gli stati devono prendere in considerazione
appropriate misure per esercitare una sufficiente pressione su Israele, compresa l’imposizione di
sanzioni, l’interruzione di relazioni diplomatiche, collettivamente, attraverso organizzazioni
internazionali, o, in assenza di consenso, individualmente rompendo le relazioni bilaterali con
Israele.
Chiama tutti gli stati ad adempiere al loro dovere “di intraprendere secondo la Carta delle Nazioni
Unite azioni che considerino appropriate per la prevenzione e la soppressione di atti di genocidio”
Oggi il Tribunale ha presentato le sue conclusioni al Parlamento Europeo.
[1] Componenti della Giuria: http://www .[2] Testimoni: http://www.
www.
Torna all'Appendice
A.3 Gli Antropologi per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane. 66
La Petizione
Noi, antropologi firmatari, promuoviamo questa petizione per dichiarare la nostra opposizione allecontinue violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi, compresa l'occupazione militare dellaStriscia di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est e per boicottare le istituzioniaccademiche israeliane complici con tali violazioni.
Il recente attacco militare di Israele alla Striscia di Gaza è soltanto l'ultimo esempio della mancatarichiesta da parte dei governi dei paesi del mondo e dei media più diffusi a Israele di rendere contodelle sue violazioni del diritto internazionale. In qualità di studiosi che si occupano delle questionidel potere, dell'oppressione e dell'egemonia culturale, abbiamo la responsabilità morale di chiederea Israele e ai nostri governi [una presa] di responsabilità. Agire in solidarietà con la società civile
palestinese si richiama alla tradizione della nostra disciplina di sostegno alle lotte anticolonialiste eper i diritti civili, in quanto importante presa di distanza dalla storica complicità dell'antropologiacon il colonialismo. Come è scritto nella Dichiarazione del 1999 sull'Antropologia e i Diritti Umanidell'Associazione Americana degli Antropologi (AAA), “la professione dell'antropologo èimpegnata alla promozione e alla protezione del diritto delle persone e dei popoli di qualunque parte
della terra per una piena realizzazione della loro umanità... Qualora qualsiasi cultura o società neghio permetta la negazione di tali opportunità a chiunque dei propri membri o ad altri, l'AAA ha laresponsabilità morale di protestare e opporsi a una tale privazione.”Israele ha mantenuto un assedio illegale per sette anni sulla Striscia di Gaza, limitando severamenteil movimento delle persone e delle merci dentro e fuori dal territorio. I palestinesi sono stati anche
privati della loro terra e dei loro mezzi di sostentamento in tutta la Cisgiordania, dove la barriera diseparazione di Israele riduce la libertà palestinese di movimento e di istruzione. Queste e altre
66 Fonte:Anthropologists for the Boycott of Israeli Academic Institutions 1 ottobre 2014.
continue violazioni si riprodurranno finchè i popoli del pianeta non prenderanno l'iniziativa, cosache i loro governi non hanno fatto.In qualità di docenti dell'insegnamento superiore, abbiamo la specifica responsabilità di opporci alleviolazioni sistematiche e molto estese del diritto all'istruzione superiore dei palestinesi su entrambi ilati della Linea Verde da parte di Israele. Nei mesi scorsi Israele ha compiuto incursioni
nell'Università Al-Quds a Gerusalemme, nell'Università Arabo-Americana a Jenin, e nellaUniversità di Birzeit a Ramallah. Nell'attacco di quest'estate i bombardamenti aerei hanno distruttogran parte dell'università islamica di Gaza. Più in generale, lo Stato di Israele attua unadiscriminazione contro gli studenti palestinesi nelle università in Israele e isola il mondouniversitario palestinese, tra le varie tattiche impedendo agli studiosi stranieri di visitare le
istituzioni palestinesi a Gaza e nella Cisgiordania. Siamo inoltre preoccupati per la confisca diarchivi palestinesi che avviene da molto tempo e per la distruzione di biblioteche e centri di ricerca.Le istituzioni accademiche israeliane sono complici dell'occupazione e dell'oppressione deipalestinesi. L'Università di Tel Aviv, l'Università Ebraica di Gerusalemme, l'Università Bar Ilan,l'Università di Haifa, l'Università Ben Gurion e il Technion hanno pubblicamente dichiarato il loro
incondizionato sostegno ai militari israeliani. Inoltre, ci sono forti collegamenti tra le istituzioniaccademiche israeliane e l'establishment militare, politico e della sicurezza israeliano. Per fare unsolo esempio: l'Università di Tel Aviv è direttamente implicata, tramite il suo Istituto di Studi per laSicurezza Nazionale (INSS), nell'elaborazione della Dottrina Dahiya, applicata dai militari
israeliani nei loro attacchi al Libano nel 2006 e a Gaza quest'estate. Tale dottrina è favorevole amassicce distruzioni di infrastrutture civili e a “forti sofferenze” tra la popolazione civile come
strumenti “efficaci” per domare qualunque resistenza.[1]Come antropologi sentiamo l'obbligo di unirci ai docenti delle varie parti del mondo cheappoggiano l'appello palestinese per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane.
Quest'appello appartiene alla più complessiva richiesta da parte delle organizzazioni della societàcivile palestinese per una completa attuazione del boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS)
ed è appoggiato dalla Federazione Palestinese dell'Unione dei Docenti e Lavoratori Universitari(PFUUPE).Nel rispondere all'appello palestinese, noi cerchiamo di praticare quello che l'AAA definisce
“un'antropologia impegnata”cioè “legata al sostegno degli sforzi per il cambiamento sociale cheavviene mediante l'interazione tra gli obiettivi delle comunità e la ricerca antropologica”. La ricerca
antropologica ha messo in luce gli effetti distruttivi dell'occupazione israeliana sulla societàpalestinese. E la comunità palestinese ha redatto un appello per il boicottaggio accademico diIsraele come un passo necessario per assicurare ai palestinesi i loro diritti, compreso il dirittoall'istruzione.
Coerentemente con gli indirizzi in sostegno dei diritti e della giustizia, gli antropologi sia in formaindividuale che attraverso l'AAA, hanno preso delle forti posizioni su una serie di questioni:l'apartheid in Sud Africa, in Namibia e in Burundi; la violenza contro i civili nella ex Iugoslavia enel Pakistan; le violenze contro gli indigeni e le popolazioni delle minoranze in Cile, in Brasile e inBulgaria; [contro] l'uso della tortura; [contro] il colpo di Stato di Pinochet in Cile; infine contro
l'errato uso delle conoscenze antropologiche nel progetto dell'esercito statunitense “Human TerrainSystem”. Come organizzazione , l'AAA, ha inoltre partecipato in diverse occasioni ad azioni diboicottaggio contro: il programma "Fulbright-Cile" del 1975, lo Stato dell'Illinois nel 1999, lacatena di hotel degli Hilton, la Coca-Cola nel 2006 e lo Stato dell'Arizona nel 2010.Boicottare le istituzioni accademiche israeliane è in assoluta sintonia con queste precedenti
iniziative. La nostra decisione di firmare ora come individui per il boicottaggio accademico è ilsegno concreto e conseguente del nostro impegno come antropologi [di solidarizzare] nei confrontidella lotta del popolo palestinese.Nella scia delle sempre più numerose associazioni accademiche statunitensi che hanno sostenutorisoluzioni in favore del boicottaggio accademico, invitiamo i nostri colleghi antropologi a
boicottare le istituzioni accademiche israeliane. Dato che decenni di interazione, cooperazione ecollaborazione con le istituzioni israeliane non hanno prodotto una reciproca comprensione o posto
fine all'occupazione militare e le sue violazioni, pensiamo che questa forma di boicottaggio sial'unico mezzo di pressione non-violento che potrebbe persuadere gli israeliani a chiedere – e adagire per- un cambiamento significativo che potrebbe portare a una pace giusta. I palestinesi devonoessere liberi di frequentare in piena sicurezza le università, in Palestina e all'estero. Devono avereun'esperienza educativa ricca, articolata e completa. Devono essere liberi di incontrare studiosi di
ogni parte del mondo e di imparare da loro.Ci impegniamo a non collaborare a progetti, eventi che coinvolgano le istituzioni accademicheisraeliane, a non insegnare o frequentare convegni e altri eventi di simili istituzioni, a non scriveresu pubblicazioni accademiche di appartenenza israeliane. Chiediamo di agire così fino a quandoqueste istituzioni non interromperanno la loro complicità con le violazioni dei diritti dei palestinesi
come stabiliti dal diritto internazionale e non rispetteranno tutti i completi diritti dei palestinesi,chiedendo ad Israele di:Porre fine all'assedio di Gaza, all' occupazione e colonizzazione di tutti i territori arabo palestinesioccupati nel giugno del 1967 e di smantellare le colonie e i muri;Riconoscere i fondamentali diritti dei cittadini arabo-palestinesi di Israele e dare la piena
uguaglianza di diritti ai Beduini apolidi del Neghev;Rispettare, proteggere e promuovere i diritti dei profughi palestinesi a ritornare nelle loro case eproprietà come è stabilito dalla risoluzione 194 delle Nazioni Unite.Cordialmente
I seguenti firmatari
Note[1] [Vedi il saggio di Uri Keller che tratta della questione alle pagg. 168-171 de “Pianificare
l'oppressione, le complicità dell'accademia israeliana” a cura di E.Bartolomei, N.Perugini e
C:Tagliacozzo, ed.Seb27 scaricabile al sito http://bdsitalia.org/index.php/campagna-bac/661-
pianificare n.d.t]
Traduzione BDS Italia Torna all'Appendice