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Latina5stelle magazine - numero 3- anno 2016

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  • Latina5stelle magazine - numero 3- anno 2016

  • Latina una cittàpoco accessibile

    Davideversus

    GOLIA

    Museo della terra pontina: intervista alla direttriceManuela Francesconi

    italiani e romeniil mistero

    della differenza

  • L’UltimaSpiaggia

    TURISMOCULTURA E AMBIENTE:UN BINOMIO VINCENTEDA CONSIDERARE

    Torre AsturaLA GRANDE BELLEZZA

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    Latina5stelle magazine n.3/2016

    Molte persone diventano disabili o lo sono già dalla nascita, invece naturalmente tutti si diventa anziani

    Latina5stelle magazine n.3/2016

    a cura di Cinzia David

    Latina una cittàpoco accessibile

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    LATINA UNA CITTÀ POCO ACCESSI-BILE

    Molte persone diventano disabili o lo sono già dalla nascita, invece naturalmente tutti si diventa anziani

    Molti sono i quartieri della città, compre-so il litorale di Latina, che hanno carenze sostanziali e normative nelle strutture di accesso per le persone diversamente abili.Latina è un esempio di cattiva ammi-nistrazione e a farne le spese sono i di-sabili e gli anziani che devono vedersela tutti i giorni con numerose barriere archi-tettoniche dal centro città alla periferia. Numerosi gli attraversamenti pedonali poco fruibili da persone che si muovono sulla sedia a rotelle o con ridotta mobili-tà, una situazione dovuta senza dubbio alla scarsa sensibilità o alla poca lun-gimiranza dei vari dirigenti comunali e dei tecnici che, a vario titolo, sono in-tervenuti nella realizzazione delle opere di viabilità che dovevano sopperire alle

    barriere architettoniche adeguando stra-de, marciapiedi, strutture e palazzi pub-blici. Ci sono ancora molti marciapiedi senza scivoli, le strisce pedonali spo-state di diversi metri rispetto alle rampe di discesa, cunette e dossi che non si raccordano con i marciapiedi e che diventano pericolose, costringen-do gli ipovedenti, i disabili e gli anziani a evitare la rampa di discesa e utilizzare la strada mettendosi in una situazione di ri-schio. Per non parlare dei pali della luce, dei cassonetti, delle paline e tabelle che limitano i passaggi e sono da intralcio a carrozzelle e pedoni.

    INTERVISTA AL SINDACO DAMIANO COLETTA

    Programma di adeguamento per accesso ai disabili sul lido di Latina

    Queste e altre problematiche sulle barrie-re architettoniche sono state sottolineate

    https://youtu.be/U8bmON3yyKY

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    durante l’intervista, tenutasi la mattina del 30 agosto 2016, da parte di “Latina 5 Stelle Magazine” al sindaco Damiano Co-letta e a Gianfranco Buttarelli che riveste l’incarico di assessore all’urbanistica con delega alla Viabilità nell’attuale ammini-strazione di LBC - purtroppo, l’assessore, all’ultimo momento, non si è reso dispo-nibile e a rispondere alle domande era presente il sindaco. Damiano Coletta ha dichiarato che la so-luzione alle problematiche delle barriere architettoniche è un argomento prio-ritario. L’amministrazione ha già stilato un programma di adeguamento delle passerelle per accesso ai disabili sul lido di Latina e pensano, nel frattempo, di utilizzare il sostegno degli sponsor.

    Per quanto riguarda i vecchi soldi stan-ziati e, forse, spesi dalle passate ammi-nistrazioni per i lavori sul lido, viene chiesto al sindaco lo stato dell’arte sul completamento dei lavori sul lungoma-re nel tratto Foce Verde-Capo Portiere, per la riqualificazione e la realizzazione di servizi con accesso agevolato ai disabi-li sulle spiagge libere, anche alla luce del fatto che a Latina erano stati destinati

    in passato 2.230.400 Euro dal 2007 e un’altra tranche nel 2009/ 2011 di circa 1.995.150 Euro (finanziamento regio-nale). Alla domanda, il sindaco ha rispo-sto che fino a ora hanno già sollevato tanti coperchi dai quali, ha confermato, sono usciti molti dei gravi problemi del sistema delle vecchie amministrazioni, mentre sulla destinazione d’uso dei tanti milioni di euro stanziati in passato ha di-chiarato di non saper rispondere. La sua giunta, ribadisce il sindaco, però ha un piano già inserito nelle linee programma-tiche e quanto prima sarà divulgato an-che nel documento programmatico: “In base a un dossier, che un’associazione ha già completato, intendiamo mettere a norma questa città rispetto alle barriere

    architettoniche”. Aggiunge che, insieme all’assessore Buttarelli, ha già preso un accordo per un incontro con l’architetto Fabrizio Crispo di Roma.

    Accessi al mare e comitati di quartie-re

    Nel voler spiegare l’intenzione del Co-mune sugli accessi al mare, il sindaco ha

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    risposto che le passerelle sono fatiscenti e nelle scorse settimane è stato vietato l’accesso ad alcune delle discese per motivi di sicurezza. Sugli stanziamen-ti delle risorse economiche per i lavori di adeguamento delle passerelle, l’ammini-strazione è a conoscenza che i lavori non sono stati fatti dalle ditte incari-cate delle opere e ha dichiarato di voler portare chiarezza, auspicando il rispetto per i cittadini e rinnovando l’impegno del Comune per un diverso rapporto tra am-ministrazione e città. Attiverà, sostiene Damiano Coletta, i co-mitati di quartiere per una comunica-zione più diretta tra la amministra-zione e i cittadini, in modo da evitare la personalizzazione della politica dove il politico diventa il depositario delle istan-ze.

    Barriere al centro città e trasporto pubblico locale (TPL)

    Quando si parla di disabilità la intendia-mo a 360°, risponde il primo cittadino, e

    l’intento sarà quello di occuparsi di tut-te le barriere architettoniche, comprese le barriere sensoriali. Alla domanda sull’accesso dei disabili al TRASPORTO PUBBLICO LOCALE (TPL), Coletta ricor-

    da il bando che l’attuale amministrazione ha dovuto bloccare al fine di prendere in considerazione tanti altri aspetti.

    RIFLETTENDO SU QUESTI TEMI CON SENSO CIVICO A 5 STELLE Il problema più avvertito e di dimensio-ni sicuramente macroscopiche è quello dell’accessibilità alle strutture e ai luoghi pubblici per le persone con di-sabilità motoria e difficoltà sensoria-le.La vera rivoluzione sarebbe quella di coin-volgere attivamente la cittadinanza, ol-treché le associazioni e le società che si occupano di sociale, non solo attraverso la pubblicazione dei bandi di gara, ma so-pratutto nella fase di realizzazione delle opere stesse. Latina5Stelle Magazine vi-gilerà al fine che questa amministrazione dia seguito alle promesse fatte durante la campagna elettorale e ribadite anche nel corso di questa breve intervista.

    Una volta strutturata la città a misura di chi

    in qualche modo è più visibilmente svantag-giato, pensate voi quanto sarà più avvantag-giato chi cammina con le proprie gambe.

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    Davideversus

    GOLIA

    a cura di Andrea Zuccaro

    Troppo facile descrivere questa storia come la vittoria di Davide contro Golia. Bisognerebbe, infatti, capire chi sia Davide e chi sia Golia.

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    Rassegnati oramai all’idea che le multinazionali dell’energia sono le regine dispotiche del mondo, si è sempre parlato delle comuni-tà locali come dei perenni Davide, accettando assurdamente il con-cetto in base al quale i territori che ospitano migliaia di perso-ne valgano molto di meno di un pugno di consiglieri di ammini-strazione. Bisognerebbe cambia-re subito paradigma.Con una disputa durata 15 anni, il Comune di Pontinia e i suoi citta-dini più attenti sono riusciti a con-trastare e, alla fine, ad avere la me-glio su due progetti di costruzione di centrali elettriche nel bel mez-zo della sua campagna. O meglio, in una specie di zona industriale che certifica plasticamente il fal-limento di qualunque politica industriale, ed energetica, por-tata avanti dai governi italiani. Il primo progetto riguardava una

    centrale turbogas da 400 MW alimentata a gas naturale, presen-tato nel 2002 dalla società Carlton Power. Il secondo era il progetto di una centrale elettrica ali-mentata a biomasse da 20 MW presentato intorno al 2006 dalla società Pontinia Rinnovabili. Pontinia, un paese con più animali da allevamento che abitanti, dove-va diventare la turbina del centro Italia. Erano gli anni successivi alla Legge Obiettivo (2001), la trovata ber-lusconiana per contrastare la cadu-ta degli alberi in Svizzera. La legge era stata approvata in tutta fretta dopo il black out che colpì l’Italia intera nel settembre del 2001 per colpa, appunto, di un albero sviz-zero che, cadendo, tranciò i cavi di un elettrodotto. A un certo punto, l’Italia si scoprì a corto di energia. Ne nacque un inutile nonché stuc-chevole chiacchiericcio che portò

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    alla Legge Obiettivo. Il governo prometteva “paccate” di miliar-di e procedure snelle per le infra-strutture energetiche, di qualun-que tipo e dimensione. Nel Lazio vennero presentati addirittura 14 progetti di centrali elettriche, di cui 3 Turbogas in provincia di Latina, due ad Aprilia e una, per l’appunto, a Pontinia.Perché furono scelte Aprilia e Pon-tinia rimarrà per sempre un miste-ro. Girava una voce a quei tempi che descriveva le due comunità come poco coese: individualisti e forse più facilmente malleabili rispetto a

    comunità più antiche come quelle lepine o del sud pontino. Intanto, i progetti delle centra-li viaggiavano beatamente sotto traccia. Ma non sfuggirono al ra-dar di Giorgio Libralato, attivi-sta di Pontinia, che ovviamente iniziò a predicare nel vuoto. Infat-ti, il Comune di Pontinia, retto dal sindaco di centrosinistra Eligio Tombolillo, alla prima Conferen-za dei Servizi diede il suo assenso al progetto. La retorica è la stessa: sviluppo, lavoro, ricchezza e bla bla bla. Ed energia più o meno pulita.C’era così tanto bisogno di ener-

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    gia che già nel dicembre del 2005 (dopo tre anni dalla presentazione del progetto della turbogas: molto veloce per gli standard italiani) si ottenne la Valutazione di Impatto Ambientale da parte del Ministero dell’Ambiente. Il comune di Pon-tinia, guidato dal sindaco di cen-trodestra Giuseppe Mochi, non si oppose e l’opinione pubblica era poco informata e ancora frastorna-ta dal chiacchiericcio sulla scarsità di energia e sull’impossibilità di ac-cendere la luce sul comodino. Successivamente la “paccata” di miliardi del Governo si stava di-mostrando un bluff. A quel punto, il progetto della turbogas, dopo es-sere passato alla Pontinia Power, divenne di proprietà dell’Acea, la multiutility romana. Sarebbe di-ventata lei la Golia mediatica.Bisognerà aspettare l’Epifania del 2007 perché anche i cittadini di

    Pontinia, quelli più consapevoli di ciò che stava accadendo, decidesse-ro di mettersi insieme e scoprire le carte in tavola. Da una parte nac-que la Rete dei Cittadini contro la Turbogas, un gruppo di perso-ne di diversa estrazione politica e culturale, che puntò prima di tutto a informare la popolazione di Pontinia e dei paesi vicini. Dall’al-tra parte, un gruppo di profes-sionisti si mise a disposizione dell’amministrazione per coa-diuvarla nel respingere il progetto della Turbogas e della Biomasse. Il Comune, nel frattempo, era ri-tornato nelle mani di Eligio Tom-bolillo e il sindaco aveva cambiato idea, giustificando la giravolta con la metafora del “mi hanno fat-to vedere una bella valigia, ma non quello che c’era dentro”. Cosa conteneva lo mostrarono i ragazzi della Rete quando organiz-

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    zarono un incontro pubblico nel teatro cittadino. Venne proiettato un reportage sulla centrale Turbo-gas di Termoli, appena inaugurata, e fu subito chiaro che non c’era traccia dei 400 posti di lavoro promessi. Vennero ascoltati altri pareri di esperti sui rischi di una centrale del genere. Il teatro fu solo il punto di inizio. Negli anni a venire, la Rete orga-nizzò incontri e dibattiti sulla tur-bogas, arrivando a coinvolgere i cittadini e le amministrazioni di Priverno, Sezze, Terracina, Sonni-no e il Parco Nazionale. L’aerea in-

    dustriale di Mazzocchio (dove sa-rebbero dovute nascere le centrali), infatti, è al confine di questi co-muni e gli effetti delle due cen-trali sarebbero stati equamen-te divisi tra tutti. Ma Pontinia era formalmente l’unica autorizza-ta a parlare ai tavoli istituzionali. Non si arrivò mai ad azioni ecla-tanti come l’occupazione dei bi-nari della ferrovia o dell’Appia. Si sapeva che era l’ultima spiaggia. E l’errore di concedere il territorio alle due centrali fu evitato perché il Comune iniziò veramente a lavorare per affossare il progetto.

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    A ogni riunione, a ogni richiesta di atti, si mettevano in luce le con-traddizioni di questo progetto, la sua inutilità, la sua pericolosità, la sua produzione di veleni assoluta-mente ingiustificabile. Ad aiutare gli amministratori, quando magari sembrava che nicchiassero, c’era la società civile che gli ricordava sempre gli impegni e presen-ziava per quanto poteva ai ta-voli istituzionali. Sullo sfondo le idee, il lavoro e il sostegno tec-nico di avvocati, geologi, agrono-mi, professori universitari e con-sulenti che redassero i documenti e gli studi necessari a confutare le tesi del progettista. Una bella macchina da guerra che rimase più o meno unita davanti a tutto; davanti alle richieste di risar-cimenti milionari intentate da entrambe le società, davanti all’i-pocrisia della Regione Lazio; davanti all’ottusità dei tecnici ministeriali e anche davanti ai dischi rotti del “tanto le fanno!” e/o del “come accendi la luce del comodino?”. Le soddisfazioni, alla fine, sono arrivate. La prima nel 2012. Una lettera della Gaz de Suez, che nel

    frattempo era diventata il maggior azionista privato di Acea, comuni-ca al Comune di Pontinia che il pro-getto della centrale è definitiva-mente accantonato. E neanche una scusa per 10 anni di stalking.La seconda è del 2016. Il Tar del Lazio certifica che il progetto del-la centrale a biomasse da 20 Mw non esiste più. Proprio così, non esiste più, scomparso, volatilizza-to. Questa volta per il Comune ne-anche una lettera e la sgradevole sensazione di aver impegnato tem-po, fatica e denaro contro il nulla cosmico. Una specie di “abbiamo scherzato, che c’hai creduto?”.È proprio l’epilogo a stabilire chi, in questa storia, è il Davide e chi il Golia. Forse la Gaz de Suez si può definire un Golia. Ma di certo non l’Acea, una società che vive di mo-nopoli e che riesce allo stesso tem-po a essere affogata di debiti. Di certo non lo è la Pontinia Rinnova-bili, una società con un capitale so-ciale da 10 mila euro che voleva co-struire una struttura da 40 milioni di euro. Golia è lo scetticismo e la rassegnazione della gente e di chi avrebbe i titoli per poter parlare ma non lo fa. Golia è la

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    sciatteria e la faciloneria di quei diri-genti pubblici che non conoscono la geografia ma che pretendono di deci-dere sulla testa di migliaia di persone e degli organi democraticamente elet-ti. Golia è il cicaleccio diffuso con cui si affronta il tema energetico, ripeten-do che la luce sul comodino non si può accendere senza le centrali e tralasciando scientemente di dire che l’Italia esporta energia da anni. E con infrastrutture di trasmissione miglio-ri ne esporterebbe molta di più. Go-lia è l’ignavia di quei politici eletti che non prendono mai posizione, che si mettono, lautamente pagati, sul ciglio del fiume ad aspettare il ca-davere. Qualunque esso sia, basta che non sia il proprio.Golia, infine, è l’ignoranza del di-sfattismo. Quello del vicino di casa che è disposto a passare sulla salute sua, dei suoi figli e dei suoi cari pur di non fare un piccolo sforzo e affronta-re una battaglia che sembra impossi-bile vincere, senza capire che perderà comunque, anche se si rinuncia a schierarsi contro quello che apparen-temente sembrerà il più forte.

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    a cura di Antonietta De Luca

    italiani e romeniil mistero

    della differenza

  • La questione etno-linguistica: rumeni o romeni? Romeni e/rom?Si dice rumeni o romeni? Nemmeno questo sappiamo degli ospiti più numerosi sul territorio nazionale italiano. Per fugare il dubbio, basta consultare l’Accademia della Crusca che, passando in rassegna il Vocabolario Treccani, il Lessico Universale Italia-no (vol. XIX, 1978), il Devoto-Oli (dall’edizione 1971 a quella 2012), il DISC 1997 e il Sabatini-Coletti fino all’edizione del 2008, dà per accreditate entrambe le versioni, sottolineando che la variante più attestata e diffusa ad oggi è quella con la – u nella prima sillaba, non quella adottata da chi scrive in quanto, meglio della variante con-tenente la – u nella stessa posizione, qualifica i cittadini per la nazionalità, restando priva di connotazioni legate al significato di servitù1. I romeni sono cittadini e quindi liberi. Proprio come gli italiani.Occorre poi un ulteriore distinguo: […] con la parola «rumeno» (o «romeno») si indica comunemente il cittadino della Romania, mentre il termine «Rom» identifica una mino-ranza «etnico-linguistica», cioè un insieme di gruppi che parlano – o che parlava-no in passato – una medesima lingua detta romanés, a sua volta articolata in nume-rosi dialetti. I «Rom» sono diffusi in tutti i paesi d’Europa, e hanno perciò varie nazionalità: esistono così Rom italiani – cittadini a pieno titolo del nostro paese, nati da famiglie italiane e cresciuti in Italia –, Rom spagnoli, Rom serbi e così via. In Romania, la minoranza Rom è molto numerosa: i suoi componenti sono cittadini rumeni che, oltre alla lingua nazionale del loro paese (il rumeno, appunto) parlano diversi dialetti della lingua romanés. Perciò, detto in estrema sintesi, tutti i Rom rumeni sono cittadini della Romania ma, all’inverso, non tutti i rumeni appartengono alla minoranza Rom2. Come spiega chia-ramente Piasere, la lingua romena e la lingua romanés sono ben diverse: se la prima è neolatina e molto simile all’italiano, allo spagnolo e al francese, con significativi «pre-stiti» slavi e qualche parola di origine ungherese, albanese o turca, la seconda deriva dalle lingue indiane e neo-indiane: gli storici ritengono che le origini del popolo Rom siano da ricercarsi proprio in India, da dove i cosiddetti «zingari» si sarebbero sposta-ti tra l’VIII e il XII secolo, raggiungendo poi tutti i paesi d’Europa3. I rom sono, dun-que, minoranza etnico-linguistica presente in diversa misura in vari paesi. Non solo non sono necessariamente romeni, ma hanno subìto proprio dai romeni prolungate fasi di marginalizzazione, esclusioni, xenofobia, razzismo proprio a causa della bassa estrazione sociale e del loro “way of life” e per questo hanno cercato asilo in Italia, in particolare, tra il 2000 e il 2001. Quasi tutte le inchieste condotte nelle città – Milano, Bologna, Roma – mostrano che i Rom si inseriscono facilmente nei circuiti del lavoro nero 1 Luisa Valmarin, La guerra del ru- e del ro-, in Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia a cinquant’anni dalla sua laurea, Modena, Mucchi, 1989, pp. 1385-1409.

    2 https://sergiobontempelli.wordpress.com/2008/06/11/dossier-rom-rumeni/, 2008.3 L. Piasere, I Rom d’Europa. Una storia moderna, Laterza, Bari-Roma 2004, pagg. 23 e ss..

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    https://sergiobontempelli.wordpress.com/2008/06/11/dossier-rom-rumeni/

  • e dell’economia sommersa, e costituiscono una manodopera ambita soprattutto in edilizia4 ed è forse per questo che spesso vengono confusi con i romeni.

    La cittadinanza Il discorso sulla cittadinanza è articolato e complesso, qui si fa ricorso a questo con-cetto per chiarire le situazioni in cui i migranti mantengono e/o acquisiscono appun-to la cittadinanza, quell’insieme di diritti e doveri conferiti dalle legislazioni di tutti i paesi a individui da includere, considerare, riconoscere come membri di una comunità nazionale. Definita talvolta come il diritto ai diritti5, viene interpretata dal teorico inglese Marshall6 come strumento per arrivare alla conquista dei diritti sociali come libertà di espressione, diritto al processo equo, accesso al sistema normativo, i quali preludono alla conquista dei diritti politici come il suffragio e i diritti sociali. La cittadinanza in senso moderno, quindi, comprende sia la dimensione civile, sia quella politica, sia quella sociale del diritto, anche se nelle odierne società capitaliste quello che emerge secondo un altro studioso, Felik Gross7, è la dialettica conflittuale tra la cittadinanza e il ceto e la sua ricaduta sulle concrete condizioni di vita. Spesso la

    4 VAG61, La colonna senza fine. Storia dei Rom rumeni a Bologna, 2008; G. Boursier, Un piazzale per casa. Gli invisibili di Roma, in «Il Manifesto», 30 Luglio 2003.5 Virginia Leary, Citizenship. Human rights, and Diversity in Alan C. Cairns, John C. Courtney, Peter MacKinnon, Hans J.Michelmann, David, E.Smith, Citizenship, diversity and pluralism: canadian and comparative perspectives, McGill-Queen’s Press, 2000, pp. 247–264.

    6 Thomas Humphrey, Marshall, citizenship and social class, London, MA, Pluto Press, Concord, 1992, trad. it. Cittadinanza e classe sociale, a cura di Sandro Mezza-dra, Roma, GLF editori Laterza, 2002.

    7 Feliks Gross, Citizenship and ethnicity: the growth and development of a democratic multiethnic institution, Connecticut, Greenwood Press, Westport, 1999.Connecticut, 1999, pp. XI, XII, XIII, 4.

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  • cittadinanza nazionale costituisce nella storia una vera e propria barriera contro l’al-tro. È la cittadinanza democratica che sviluppa un carattere di inclusività, per il quale tutti i diritti umani, civili e politici si estendono a tutti gli abitanti senza distinzione di razza, religione, etnia o cultura, poiché, in uno stato civile, anche gli stranieri sono protetti dalla legge.

    Come funziona in ItaliaIn Italia un cittadino proveniente da un paese dell’UE come la Romania, può acquisire la cittadinanza dopo quattro anni di residenza nel territorio italiano per naturalizza-zione, ma può diventare italiano anche:chi sia nato in Italia e vi risieda da almeno 3 anni;chi sia figlio o nipote di cittadini italiani e viva in Italia da almeno 3 anni;chi sia maggiorenne, sia stato adottato da cittadini italiani e viva in Italia da almeno 5 anni dopo l’adozione;chi non sia cittadino dell’Unione Europea e viva in Italia da almeno 10 anni;chi viva nello stato di apolide  o di rifugiato politico e risieda in Italia da almeno 5 anni;chi abbia prestato servizio per 5 anni alle dipendenze dello Stato Italiano (anche in territorio straniero);chi sposi un cittadino italiano e possa dimostrare di essere residente in Italia da alme-no sei mesi con regolare permesso di soggiorno.L’Italia è favorevole alla doppia cittadinanza.Come funziona in RomaniaIn Romania un cittadino proveniente da un paese dell’UE come l’Italia, può acquisire la cittadinanza dopo sette anni di residenza nel territorio italiano per naturalizza-zione, ma può diventare romeno anche chi sia maggiorenne e abbia la fedina penale pulita;chi sposi una cittadino romeno, dopo cinque anni;chi possa mantenersi autonomamente;chi conosca a un livello almeno elementare la lingua, la cultura e la civiltà romena;chi dimostri di essere capace di integrarsi nella società;chi conosca la Costituzione Romena.La Romania è favorevole alla doppia cittadinanza.E tutti gli altri? I dati citati in seguito sono relativi alla presenza di coloro che abitano e lavorano legalmente sul territorio nazionale, ma, come è noto, esiste una parte della popola-zione romena che non ha maturato i requisiti per ottenere una residenza, un lavoro stabile e quindi la cittadinanza italiana. Questi dati non considerano, ad esempio,

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    coloro che hanno acquisito il diritto alla cittadinanza per naturalizzazione anche se, approssimativamente, pare siano pari al 15% del totale degli stranieri residenti, inol-tre ignorano la presenza di tzigani di lingua romena. L’immigrazione romena in ItaliaSi tratta di un fenomeno datato all’inizio del 1800, niente di nuovo sotto il sole. Dal 2001, quando a risiedere in Italia erano 74.885, al 2015, quando sono diventati 1.151.395, ne è corsa acqua sotto i ponti. Stando all’ISTAT naturalmente. Nel 2008 è la comunità straniera più numerosa sul territorio, nel 2011 si decuplica, nel 2012 sfiora il milione di presenze giungendo a rappresentare un quinto dell’intera comu-nità straniera in Italia, mentre in tutta l’Unione Europea quella tra i confini italia-ni risulta essere la più grande comunità romena residente all’estero. La rivoluzione del 1989, la liberalizzazione dei visti turistici in Romania nel 2002 e gli accordi di Schengen, di cui il Paese beneficia dal suo ingresso in UE, hanno accelerato il processo migratorio insieme alla contiguità linguistica, culturale e geografica con l’Italia. Un ruolo fondamentale in tal senso lo ha svolto la comunità italo-romena in Romania. I residenti di nazionalità romena scelgono per lo più il Nord e il Centro della penisola, in particolare sono 196.000 le presenze nel Lazio di cui 72.462 a Roma. L’80% dei migranti romeni in Italia è diplomato e il 10% è laureato.

    Grafico dell’immigrazione romena in Italia tra il 2001 e il 2015.

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    Secondo quanto emerge dal Dossier sull’Immigrazione del 20158, a cura del Centro Studi e Ricerche IDOS, nel Comune di Latina la Romania è rappresentata da 4149 unità, mentre nella provincia da 3841 ad Aprilia, 679 a Cisterna di Latina, 86 a Nor-ma, 1673 a Sezze, 699 a Sabaudia, 397 a Terracina, 178 a Gaeta, 89 a Formia. Gli altri paesi rappresentati in città sono, per numero di migranti, la Polonia, l’Ucraina e la Tunisia, rispettivamente con 677, 595 e 325 unità.Anche le rilevazioni Istat confermano che la comunità più presente a livello provin-ciale sia quella rumena, con 14.625 residenti, seguita da quella indiana con 2.780 residenti, da quella albanese con 1.829 presenze e da quelle ucraina, polacca, tunisina e marocchina tutte con un numero di residenti superiore a 1.000. Esiste, inoltre, una percentuale di aspiranti italiani appartenenti alle seconde generazioni di migranti ro-meni che, come segnalano l’ANOLF e lo Sportello Immigrati, sta crescendo a Latina e Sezze evidenziando un carattere di lunga durata nell’immigrazione romena in Italia.

    Grafico della presenza di cittadini romeni nella provincia di Latina al 2015.

    Nel mai troppo breve frangente della crisi economica, l’Eurostat segnala che 140.000 migranti romeni hanno fatto ritorno in patria da diversi paesi europei, ma non dall’I-talia dove la comunità romena ha mostrato l’affezione alla dimensione familiare e non ha fatto ricorso al rimpatrio di molti dei suoi membri proprio per preservare l’unità familiare. Prova ne sono anche i 150.000 figli iscritti nelle scuole italiane non-

    8 http://www.dossierimmigrazione.it/docnews/file/I%20numeri%20sull’immigrazione%20nell’area%20romano-laziale(1).pdf

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    ché i 120.000 bambini nati in Italia negli ultimi 14 anni. 770.000 sono i migranti romeni occupati inseriti in settori a basso valore aggiunto, assunti in mansioni sotto qualificate, in condizioni di pre-cariato o direttamente nel mercato nero. 100.000 sono i lavoratori assunti nel settore agricolo con contratti stagionali, settore, come è noto, di fon-damentale importanza per la provincia di Latina.Quello che accade di riflesso sul sistema lavorati-vo e socio-economico nazionale è oggetto di stu-dio e di previsioni dal boom migratorio avvenuto in Italia tra il 2004 e il 2007 con l’ampliamento dell’UE nell’Europa orientale: nel bel paese, in-fatti, i cittadini romeni sono presenti in numero maggiore rispetto ad altri paesi dell’Unione.L’impatto sul mercato del lavoro e sui sistemi as-sistenziali, sanitari e previdenziali italiani è sta-to misurato prendendo in considerazione la dif-ferenza fra l’indice di sviluppo umano italiano e quello romeno: questa discrepanza garantisce il mantenimento della spesa sanitaria e assistenzia-le italiana dentro limiti accettabili, perché, prima del 2004, sono state predisposte dall’UE alcune misure di contenimento della libera circolazione dei cittadini disoccupati per evitare fenomeni di cosiddetto “turismo sociale” verso i paesi econo-micamente più avanzati. Altri studi dimostrano il carattere di stabilità dell’emigrazione dai nuovi paesi-membri da cui si parte per cercare lavoro al-

    trove9.Quanto al sistema previdenziale, poiché è finanziato secondo il modello contributivo e solo parzialmente tramite la fiscalità generale, non subisce particolari conseguenze: le sue prestazioni, infatti, sono a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro e, in più, se il lavoratore ha maturato tale diritto nel suo Paese avendo versato i contributi presso l’istituto previdenziale del suo Stato di provenienza, nel momento in cui risiede in Italia, l’INPS può rivalersi pro quota sull’istituto del paese d’origine, secondo i mecca-

    9 Silvia Borelli, Le mobilità dei lavoratori subordinati cittadini dell’Unione europea in http://www.europeanrights.eu/, p. 4.

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    http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:yfznmtnnhxyj:www.europeanrights.eu/getfile.php%2525253fname%2525253dpublic/commenti/borelli_testo.doc+&cd=1&hl=it&ct=clnk&gl=ithttp://www.europeanrights.eu/http://www.europeanrights.eu/

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    nismi di totalizzazione disciplinati dal Regolamento UE n.883 del 2004. C’è un altro aspetto da considerare, inoltre: il sistema previdenziale italiano è strutturato su un’i-dea di solidarietà intergenerazionale in cui sono gli occupati a finanziare le pensioni delle generazioni che escono dal mercato del lavoro, quindi maggiore è il numero de-gli occupati residenti in Italia a prescindere dalla cittadinanza, maggiore è il gettito con cui vengono finanziate le prestazioni pensionistiche in corso. Questo significa, in soldoni, che a godere della condizione di “occupato” dei cittadini stranieri residenti sul territorio italiano, sono gli attuali pensionati italiani, perché beneficiano di un maggior numero di contributi in entrata. Se le loro pensioni dipendessero esclusiva-mente dai contributi versati dagli occupati connazionali, non sarebbero sufficienti e dovrebbero essere cofinanziate con il ricorso alla fiscalità generale10.

    L’immigrazione italiana in Romania – Cosa andiamo a fare?Si tratta di un fenomeno datato al termine del 1800, lo sapevate? Tra l’altro, nel de-cimo Rapporto Migrantes 2015 fondato sugli iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) si legge che gli italiani all’estero siano 4.636.647 e sembrano proprio aumentare determinati come sono a partire dalle regioni del Sud, ma anche del Nord, alla ricerca di lavoro e di una migliore qualità della vita.Presenti in Argentina, Australia, Belgio, Francia,  Germania, Regno Unito, Stati Uni-ti, Svizzera, Venezuela, gli italiani non disdegnano di scegliere mete meno gettonate, tra cui la Romania, dove inizialmente sono arrivati a rimpinguare le fila della mano-valanza non specializzata – vi ricorda qualcosa? – occorrente soprattutto nella pasto-rizia e nell’agricoltura. Solo più tardi ai pastori e ai contadini italiani impiegati sui ter-reni romeni si sono aggiunti minatori, marmisti, falegnami, fabbri, fornaciai, operai: tutti entrati con l’allora necessario visto turistico e mai tornati indietro. Moldavia, Valacchia e Craiova le regioni preferite. La Romania è stato ed è un paese ricco di opportunità e sin dall’inizio la comunità italiana residente in Romania si integra facilmente, come dimostra la nascita dell’an-tica rivista bilingue, presto trasformatasi in uno dei quotidiani più letti a Bucarest, dal titolo Fratellanza romeno-italiana. Molti italiani non rispondono neanche alla chiamata alle armi dell’Italia entrata nel secondo conflitto mondiale, alcuni ripartono nel dopo-guerra con la caduta del regime monarchico in Romania e con la proclama-zione della Repubblica popolare che ne fa uno Stato Comunista gravitante nell’orbita del Patto di Varsavia. In questo frangente, gli italiani che scelgono di restare vengono obbligati a una romanizzazione integrale, mentre coloro che scelgono di partire pos-

    10 Barbara Grandi, Diritti sociali e allargamento UE; le problematiche connesse all’estensione dei diritti, in Rivista del diritto della sicurezza sociale, nº 2, Bolo-gna, Il Mulino, 2005, pp. 580-592.

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    sono portare con sé una minima parte del patrimonio costruito lì.

    Grafico della distribuzione di cittadini Italiani in Europa nel 2012 secondo la ricognizione AIRE.

    L’impresa romena in Italia – Cosa vengono a fare?Tre anni fa, secondo le rilevazioni delle camere di commercio, 44.817 residenti ro-meni sono venuti a fare impresa nel Settentrione e nel Centro, e si sono iscritti re-golarmente nel Registro del Commercio in Italia, come ditte individuali, il 70% delle quali nel settore delle costruzioni. Si tratta spesso di ditte individuali che prendono contratti in subappalto, ma esistono anche imprese di dimensioni più significative.Esistono, poi, 29.372 società che contemplano tra i loro azionari o dirigenti un citta-dino romeno.In totale, si legge ancora sul Dossier Statistico Immigrazione 2015, sono 60.000 gli imprenditori romeni in Italia, mentre, consultando il grafico del Rapporto Annuale della Fondazione Leone Moressa del 2015, si possono rilevare i dettagli dello svilup-po imprenditoriale romeno in Italia, basati sui dati di Informare.

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    L’impresa italiana in Romania – Cosa andiamo a fare?Secondo il rapporto redatto dalle Ambasciate di Italia e di Romania per il Mae in col-laborazione con l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane e con le ICE Camere di Commercio italiane all’estero, dal titolo Info Mercati Esteri11, alla fine dell’anno scorso risultavano regolarmente registrate e attive in Romania 41.759 imprese italiane per un volume totale di investimenti diretti di 1,579 miliardi euro. Con questa cifra gli imprenditori italiani concorrono per il 3,99% al volume totale degli investimenti esteri in Romania.Da più di dieci anni l’Italia è il primo paese a investire in Romania e le prospettive sono ancora più rosee per via delle opportunità rappresentate dai fondi europei, dalla politica di privatizzazioni in atto, dalla pianificazione dell’ammodernamento delle infrastrutture dei trasporti e dall’enorme disponibilità di risorse agricole e minerarie. Strategico il settore agroindustriale che costituisce una parte consistente del PIL romeno e un’attrattiva per gli investitori grazie all’alta qualità del terreno, al costo contenuto, alle possibilità che si aprono per via della Politica Agricola Comune 2014-2020. Gli obiettivi del governo romeno comprendono la valorizzazione di piccole e medie imprese e l’ammodernamento del sistema di irrigazione oltre che il potenzia-11 Esterihttp://www.infomercatiesteri.it/public/schedesintesi/s_87_romania.pdf

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    mento dei servizi legati all’agricoltura come l’agro-processing, la catena del freddo e il packaging, settori di eccellenza italiana questi ultimi. Gli italiani possiedono ad oggi il 30% dell’intera superficie agricola detenuta dagli stranieri in Romania seguiti dalla Germania e dai Paesi Arabi. Da tempo la Romania contribuisce alle fortune di Riso Scotti, Agrimon e Maschio Gaspardo.Per quanto riguarda il settore dei trasporti, è stato approvato col placet dell’UE un Master Plan Generale in cui si fissa la strategia per la costruzione e il rinnovamento dell’infrastruttura terrestre, ferroviaria, navale e aerea entro il 2030. Aziende italiane del calibro di Astaldi, Italferr, Pizzarotti, Tirrena Scavi, Impregilo-Salini e Secol sono e continuano ad essere da molti anni titolari di commesse di rilievo.Il settore industriale sta cominciando a riprendersi dopo le difficoltà della crisi, grazie soprattutto alla produzione manifatturiera, in particolare dei comparti dell’automoti-ve, della lavorazione dei metalli, della produzione di motori elettrici e turbine e degli impianti petroliferi ed energetici. Le imprese italiane contribuiscono alla crescita del paese da oltre vent’anni.Nel settore energetico, in particolare per quanto riguarda le rinnovabili, l’impresa italiana ha investito oltre 6 miliardi di euro negli ultimi 6 anni.

    Conoscersi per capirsi: cominciamo da qui?Da un’indagine della Fondazione Moressa del 2015, nell’ambito del progetto Il valore dell’immigrazione sugli stereotipi legati all’immigrazione e alle discriminazioni che ne derivano, emerge che I romeni vengono considerati dei buoni lavoratori dal 56% degli in-tervistati, e il tasso di occupazione (63,6%) è in effetti superiore alla media degli stranieri. Per la maggioranza degli italiani, tuttavia, i rumeni non sono onesti (65%). In realtà, guardando il numero di detenuti, il rapporto con la popolazione è infe-riore rispetto alla media (3,8 su 1.000 rispetto al valore medio di 5 su 1.000). Evidentemente in questo caso la percezione è vittima di uno stereotipo che lega il rumeno ad episodi criminali. Non vengono considerati nemmeno una comunità ricca dal 73% degli intervistati, mentre i dati ufficiali mostrano che il 60% trova impiego in professioni medio-elevate.La disamina dei dati presentati si presta a riflettere meglio sulle analogie e sulle dif-ferenze tra cittadini della stessa Europa: davvero italiani e romeni sono così diversi? Diversi al punto di non riuscire ad incontrarsi? Si cominci partendo dall’informazione a porre in discussione questo, pensando ad esempio a quante persone per bene passano tutti i giorni nella quotidianità di ognu-no senza che vengano degnate della giusta attenzione e curiosità.La comunità romena crescerà ancora rapidamente in Italia come a Latina. Non po-trebbe diventare proprio Latina il luogo privilegiato per questo incontro?

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    Museo della terra pontina: intervista alla direttriceManuela FrancesconiIl museo nasce nel 1999 grazie alla Regione Lazio.Ha avviato una collaborazione con il museo Mudec di Milano e ha aderito al progetto del Consiglio dei Ministri per la raccolta dei documenti sulla prima guerra mondiale.

    a cura di Luca Pietrolucci a cura di Francesco Martello

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    Da subito, arrivando al museo, si nota la presenza dello scivolo per i disabili che conferma quanto ha dichiarato la direttrice durante l’intervista in merito all’attenzione per questi temi: sono presenti, infatti, anche un’ascensore e i bagni per disabili. C’è la seria intenzione, inoltre, di preparare percorsi sensoriali per i non vedenti. Attirano immediatamente l’attenzione alcuni vetrini di larve di zanzara usate per la ricerca in passato. Queste ultime, infatti, sono motivo di grande attrazione per gli studenti e i ricercatori italiani e non: un vero e proprio tesoro a livello scientifico. Sin dall’inizio, si rimane piacevolmente sorpresi dall’organiz-zazione del museo a dalla grande disponibilità della direttrice nel sottoporsi all’intervista. Altrettanto soddisfacente è l’eccel-lente lavoro del signor Borgognini, anziana guida del museo. Nonostante l’età avanzata, si è dimostrato estremamente pre-parato, simpatico e tagliente come una katana negli argomenti da lui trattati. Un piacere seguirlo durante la visita. Il museo è molto ben fornito e organizzato, sia a livello di reperti che per quanto riguarda la loro disposizione. Sono presenti affreschi su tela riguardanti la bonifica e album di famiglia (donazioni) inerenti alla prima guerra mondiale. È un ambiente che mette a proprio agio e la disponibilità della direttrice lo conferma.

    Dottoressa Francesconi, da quanto tempo è in servizio qui? Ha avuto esperienze in altri musei?

    Sono qui dal 1999, data di fondazione del museo. Sono io la cu-ratrice ed ho esperienze in antropologia culturale e una laurea adatta a questo museo.

    Di cosa si compone il museo e la storia che lo lega al ter-ritorio, l’idea che lo muove e lo mantiene vivo?

    Il museo si occupa della storia del territorio e della sua gente. Serve a comunicarne la storia per portare un senso di colletti-vità alla cittadinanza.

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    Come è stato affidato questo spazio alla Sua gestione (pubblico/privato)?

    Regolare convenzione pubblica tra Regione e Comune. La strut-tura è pubblica ed è di proprietà della Regione, in comodato d’uso al Comune.

    Come avviene la selezione delle opere esposte, si avvale della consulenza di esperti?

    Il museo si avvale di un comitato scientifico composto da esper-ti in ogni campo. A capo di questo comitato c’è Luigi Campanel-la, presidente del comitato dei musei de La Sapienza.

    C’è un consiglio di amministrazione che gestisce i fondi e ne prevede l’utilizzo? Se sì, come vengono nominate le cariche dirigenziali e quanto tempo rimangono in cari-ca?

    Non ci sono fondi e dunque nulla da gestire. Non c’è un con-siglio di amministrazione. Tutto ciò che riguarda il museo è sulle spalle dei volontari che si fanno a volte anche carico delle spese.

    Dove si può leggere il regolamento o statuto di questo museo?

    Il museo non ha uno statuto. Ho contattato la precedente am-ministrazione senza ricevere risposta. Una volta caduta, ho subito provveduto a contattare l’attuale amministrazione. Il regolamento è presente nel museo e visibile a tutti i visitatori.

    La multimedialità trova spazio in questo museo? Avete mai pensato di allestire laboratori o attività interattive per coinvolgere il pubblico?

    Sono già pronti dei progetti per coinvolgere il pubblico. La mul-timedialità è presente tramite dei filmati. Si lavora prettamen-

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    te con scuole e licei e viene curata la scientificità dei reperti che aiuta la lettura razionale degli avvenimenti.

    Come si compone il bilancio di un museo? Si può fare ri-corso a finanziamenti di privati? Secondo Lei, le sponso-rizzazioni sono una buona idea per valorizzare il museo?

    Come già detto i finanziamenti sono da parte di volontari, ma le sponsorizzazioni sono utili e importanti, se non necessarie. Per rendere fruibili i documenti e per la creazione dei manifesti è stata utilizzata una sponsorizzazione.

    Di quale organico amministrativo (e non) dispone per la realizzazione delle varie attività e per l’espletamen-to della pulizia e della manutenzione? Sono tutti dipen-denti o ci sono anche volontari di associazioni?

    Si tratta solo di volontari. Ci si avvale comunque di personale altamente specializzato.

    Come si configura la collaborazione con le associazioni, il territorio e/o la comunità locale?

    Le famiglie hanno donato al museo oltre 1300 reperti ( oggetti di affezione ). Il museo ha rapporti con associazioni culturali. Si organizzano anche conferenze e presentazioni dei libri ri-guardanti il territorio, con un minimo di interesse e rilevanza. Sono venuti anche studenti di università e ricercatori dall’este-ro. Il tutto è chiaramente gratuito.

    Come funziona il museo dal punto di vista della sicurez-za e dell’accessibilità?

    Sono presenti lo scivolo e l’ascensore, chiaramente funzionan-te. Sono presenti anche i bagni per i disabili.

    Quanti sono i visitatori di questo museo in un anno? Fa parte delle intenzioni future attrarre un pubblico più

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    giovane al di là dell’ambito scolastico?

    Nel 2015 vi sono stati 7000 visitatori, studenti e ricercatori stranieri inclusi. Questi ultimi si interessano dei nostri temi molto più degli abitanti del luogo. A seguire vi sono italiani provenienti da altri luoghi d’Italia. Infine i nostri concittadi-ni, il che è paradossale. Buona presenza anche nella notte dei musei. Si lavora prettamente con le scuole per la divulgazione della storia. Sì, fa parte delle nostre intenzioni attrarre un pubblico più giovane e stiamo lavorando per questo.

    Qual è l’attenzione che il museo dedica alla didattica?

    Il museo ha una responsabilità sulla didattica. Si creano pro-getti e si vuole dar vita a un museo capofila per parlare di tutte le bonifiche del Lazio. Le scuole e i licei costituiscono gran par-te dei nostri visitatori.

    Riesce a garantire un livello di promozione e comunica-zione in rete e sulla stampa? La struttura riesce ad at-tirare turisti? E attraverso quali canali? Come e cosa si può migliorare, secondo Lei, dal punto di vista turistico?

    Per quanto riguarda la promozione in rete c’è il sito su Altervi-sta. Mando comunicati stampa a tutti i giornali locali e utiliz-ziamo il passaparola per pubblicizzare. Si organizzano concerti che non vanno fuori tema ed è stata avviata una collaborazio-ne con la liuteria di Sermoneta. Serve più coordinamento e si dovrebbe stilare un programma annuale. Si richiede più sup-porto all’amministrazione, anche morale. Ci dovrebbe essere più interesse e dei fondi adeguati.

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    L’UltimaSpiaggia

    La diffusione del dossier WWF «L’Italia: l’ultima spiag-gia – Lo screening dei mari e delle coste della Penisola» ha aperto una più ampia riflessione sulle tendenze che negli ultimi 50 anni hanno consolidato il significato di «minaccia» per i territori costieri e il paesaggio.

    a cura di Cristiano Noce

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    Le aree tutelate sono sempre più soggette a pressioni edificatorie che modificano, in modo talvolta irreversibile, la morfologia della costa e, quindi, il paesaggio. L’aumento della densità dell’urbanizzazio-ne, particolarmente accentuata nel versante tirrenico, obbliga a una visione sostenibile più ampia, verso una difesa maggiormente attiva dei valori ambientali e paesaggistici locali. La Convenzione Europea del Paesaggio, nel campo di applicazione del termine, in-clude tutto il mondo fisico, naturale, rurale e urbano, come viene percepito dagli abitanti che lo vivono, il cui carattere deriva dall’a-zione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. Si af-ferma il principio giuridico del fondamento dell’identità naturale locale, componente essenziale della qualità della vita, espressione della ricchezza e della diversità del patrimonio culturale, ecologi-co, sociale ed economico” (Consiglio d’Europa, Convenzione europea del paesaggio, Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa, Fi-renze, 2000). Tali principi includono implicitamente il senso della partecipazione e della condivisione per l’avvio di un nuovo ciclo relazionale (e progettuale) di senso comunitario. Compromettere il paesaggio è come perdere una parte «dell’abitare», nel senso del riconoscimento di quei valori identitari che rendono l’abitante vivo. Non è necessario essere «ambientalisti» per comprendere i segni tangibili di una crisi che raggiunge e supera i limiti di una crescita alimentata solo dal consumo di suolo. Risorse, beni naturali e cultu-

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  • rali sono paesaggio, elementi costitutivi dell’identità locale, proiet-tati nella dimensione dell’essere territori e imprescindibili dal rap-porto uomo-ambiente.I processi di trasformazione subiti dai territori costieri non han-no eguali in altri periodi storici per ampiezza e rapidità; le trasfor-mazioni sono spesso attuate senza un riconoscimento delle pree-sistenze e, in alcuni casi, articolano paesaggi disordinati, caotici, di difficile lettura. Il paesaggio dovrebbe conservare, non soltanto nella percezione, le caratteristiche di un «bene pubblico», dove tutti gli abitanti sono potenzialmente inclusi nelle ricadute positive delle sue trasformazioni. La necessità di stabilire un quadro strate-gico normativo e operativo che consenta di adottare o incentivare indirizzi, metodi e tecniche di gestione del paesaggio (in linea con l’interesse generale), deve essere ancor prima che un obiettivo, un processo condiviso e consapevole.Una maggiore considerazione del «valore paesaggio» nella ge-stione del territorio comporta un’azione trasversale a più livelli che passa attraverso la conoscenza e la cura delle componenti naturali e culturali. Significa garantire la conservazione e ricercare una va-lorizzazione delle risorse attraverso una progettualità di rapporti mirati a una scala locale che non neghi la forma originaria di con-vivenza. Prende forma una tendenza interpretativa che lega l’am-biente, non soltanto costiero, allo sviluppo urbano secondo i tratti di una nuova cultura della città in senso sostenibile e condivisi-

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  • bile. Viene concretamente alimentata una ricerca di «valori locali» per coordinare le politiche territoriali alle diverse scale (europea, nazionale, regionale e locale) che possa integrare le tre dimensioni dei processi di sviluppo (ambientale, economica e sociale). Per su-perare «L’Ultima Spiaggia» è necessario armonizzare in un’unica prospettiva di governance i diversi ambiti di intervento (salvaguar-dia, valorizzazione della qualità ambientale, la gestione sostenibile e la pianificazione del paesaggio oltre che la protezione della natura e della diversità biologica). Questa prospettiva di gestione territo-riale o ambientale richiama allo stesso tempo l’attenzione su piani concettuali e procedurali, dal tema dell’esercizio del potere verso il tema della qualità di tali azioni soprattutto in termini di effica-cia, coerenza, informazione e partecipazione per non sprofon-dare nella disfatta.E poi «L’ultima spiaggia» ricorda il romanzo post apocalittico di Ne-vil Shute degli anni ’50 (On the Beach), dove, nell’emisfero australe, sono confinati gli ultimi sopravvissuti alla terza guerra mondiale e le nubi radioattive stanno uccidendo qualsiasi essere vivente al loro passaggio. Il governo ha distribuito delle pillole agli abitanti per affrettare la morte quando le sofferenze diventano insopportabili. Un’atmosfera di rassegnazione domina sugli ultimi mesi dell’uma-nità, una dopo l’altra le città soccombono alla nube radioattiva e le persone cercano di passare questo periodo come se tutto fosse normale.

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    https://it.wikipedia.org/wiki/romanzohttps://it.wikipedia.org/wiki/terza_guerra_mondialehttps://it.wikipedia.org/wiki/fallout_nucleare

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    a cura di Dario Di Berardino

    TURISMOCULTURA E AMBIENTE:UN BINOMIO VINCENTEDA CONSIDERARE

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    TURISMOCULTURA E AMBIENTE:UN BINOMIO VINCENTEDA CONSIDERARE

    RISVOLTI POSITIVITURISMO CULTURALE

    In un primo momento può sembrare un aspetto marginale delle potenzialità turi-stiche che la nostra città possiede, ma cer-cando nuovi spunti verso cui indirizzare lo sviluppo economico più attento all’a-spetto sociale cittadino, il turismo orien-tato alla cultura locale - anche se di una storia breve si tratta - potrebbe trovare il suo presupposto semplicemente nella più approfondita conoscenza dei monumenti e edifici urbani che hanno caratterizzato la fondazione della città di Latina e intor-no ai quali si è sviluppata fino a oggi, in maniera preponderante e molto spesso disomogenea, il resto del paesaggio urba-no. Il territorio pontino, crogiolo di luoghi poco conosciuti ma già noti alla letteratu-ra, catturò anche l’attenzione di Goethe che descrisse nel suo “Viaggio in Italia” la bellezza incontaminata e insana delle paludi pontine. Alcune pagine del capo-lavoro sono dedicate alla descrizione del panorama offerto ai viaggiatori dei Grand Tour ottocenteschi, in transito sulla via Appia verso Napoli, verso il sud Italia: “Fin dalle tre del mattino eravamo per via. Allo spuntare del giorno eravamo nelle palu-di pontine, che non hanno quel triste aspetto comunemente descritto dai romani [...] Ci si figuri un’ampia vallata che si stende in levis-sima pendenza da nord a sud e a oriente si abbassa verso i monti, mentre ad occidente in direzione del mare è più elevata [...] Per tutta la sua lunghezza è stato riattato l’an-

    tico rettilineo della via Appia, sulla destra è stato aperto il canale principale, che assicu-ra il lento deflusso dell’acqua [...] Nel luogo dell’antica Meza il Papa ha fatto costruire un grande e bell’edifizio, che segna il punto cen-trale della pianura” (cap. Napoli, par. Fondi 23 febbraio 1787, pagg. 199-200).

    Il turismo è un’industria in continua evo-luzione che incrementa un indotto varie-gato capace di influire positivamente sul-la crescita dell’economia locale. Secondo l’Istat, per i luoghi che sono di interesse storico artistico, si registrano in Italia circa 54 milioni di arrivi e 180 milioni di presenze internazionali. In termini economici, il turismo culturale conta circa il 30% di tutto il fatturato riconducibile al comparto turistico, cioè 26 miliardi di euro a fronte di circa 87 miliardi di euro che i visitatori italiani e internazionali spendono sul territorio nazionale in un anno. Il turismo che si sta diffondendo ap-prezza la cultura, nonostante la tendenza degli ultimi anni dei soggiorni “mordi e fuggi”, ossia la visita rapida delle attrazio-ni di maggior richiamo di un luogo e poi la fuga verso la destinazione successiva. Da ciò emerge la necessità di uno studio più approfondito della domanda e offerta potenziale in ambito turistico-culturale, del nuovo profilo del turista a tempo, per comprendere come dinamiche eterogenee possano essere ottimizzate in modo da garantire un tangibile ritorno economico sul territorio. Da una sommaria analisi del trend della domanda di turismo cul-

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    turale emerge, inoltre, che sia in crescita l’interesse per manifestazioni folcloristi-che, enogastronomiche, eventi collegati all’artigianato, come per festival tematici, esposizioni e borghi medievali.La grande sfida è quella di gestire la com-plessità che caratterizza il turismo cultu-rale e la varietà delle forme di fruizione.

    OFFERTA TURISTICA “MORDI E FUG-GI”O “GUSTA E RESTA”?UNA OCCASIONE DI INCONTRO E SCAMBIO.

    Hotel, B&B, agriturismi, pizzerie, caffè, ristoranti, fast food sono segnalati al pari dei monumenti. I turisti vanno nei locali alla moda e contemporaneamente visi-tano aree archeologiche e centri storici; cercano hotel di charme e agriturismi che offrono la riscoperta di sapori e tradizio-ni locali e specificatamente genuine o di prestigio, visitano cantine e godono della cucina tradizionale come degli incantesi-mi dalla vita urbana, dove le destinazioni convenzionali convivono con altre più in-formali.I musei fanno fronte a un mercato mol-to competitivo: i più noti da sempre at-traggono un vasto flusso di turisti, men-tre i meno conosciuti devono aumentare la propria visibilità, offrire un valore aggiunto, e avere risposte adeguate che sono ottenute soprattutto con l’organiz-zazione di eventi di qualità, l’elemento

    chiave per differenziarsi dalla concorren-za. Questi diventano gli orientamenti del-le amministrazioni che si propongono di incrementare l’offerta turistica con conte-nuti culturali che possono produrre una crescita in termini di flussi di visitatori sul territorio dove operano. Sensibilizza-re gli operatori del settore e integrare a una offerta di museo diffuso del patrimo-nio edilizio della città una componente importante dei Musei Civici e delle associazioni culturali private.

    RICCHEZZA CULTURALE

    Partendo dalla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea e all’associato Museo della Medaglia e della Grafica Inci-sa “M.Valeriani”, sito nel palazzo della cultura cittadino, recandosi presso il Mu-seo CIVICO DUILIO CAMBELLOTTI, per poi fare tappa al MUSEO ANTIQUA-RIUM del PROCOIO (B.go Sabotino), quando sarà possibile visitarlo si potrà an-noverare, nell’itinerario turistico culturale, anche il MUSEO di “SATRICUM”, con la storia degli scavi e i reperti archeologici e l’a-rea archeologica in località B.Go Le Ferrie-re, anche alla luce del successo ottenuto dalla mostra “Scavi e reperti archeologici” (nei locali delle antiche Ferriere di Conca) prolungata fino a novembre 2015 e curata dall’Università di Amsterdam in collabo-razione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e la So-printendenza per i Beni Archeologici del

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    Lazio.

    VIAGGIO NELLA CITTÀ DEL RAZIO-NALISMO

    Latina, viaggio nella città del raziona-lismo: i fondi per valorizzare gli edifici di fondazione. Valorizzare, promuovere l’architettura razionalista come leva di sviluppo sociale e culturale, dopo ottan-ta anni dalla sua fondazione è importan-te valorizzare dal punto di vista storico i monumenti della città: palazzo M, le poste centrali e viale Italia, Piazza del Quadrato con il Museo della terra pontina, piazza San Marco, l’Opera Combattenti, il Palazzo Comunale, il Tribunale ecc.Non solo attraverso un progetto di totem informativi multilingue o con applicazio-ni scaricabili come era stato già proposto dalla vecchia amministrazione nel proget-to “Viaggio nella città del razionalismo”, ma cercando di creare una rete culturale ed enogastronomica che incida sul tessu-to cittadino e sia di supporto alle attivi-tà commerciali relegate ormai all’interno della odiata/amata ZTL del centro città.

    ll razionalismo - Rai 3http://flashedu.rai.it/ieduportale/medi-ta/4645.mp4

    RISVOLTI NEGATIVI

    CULTURACRITICITÀ DI MOLTE GESTIONI CO-MUNALI DORMIENTI

    L’UFFICIO COMUNALE MUSEI

    L’ufficio cura e gestisce le attività relative ai servizi culturali, museali e la promozio-ne di iniziative in ambito didattico e di servizi rivolti al pubblico, in particolare alle scuole. L’ufficio comunale predetto farebbe positivamente l’ago della bilancia insieme a un associazionismo pro loco che non c’è mai stato a Latina, nella salva-guardia e nel rispetto del patrimonio pubblico. Molto di più si potrebbe ope-rare in un’ottica di rilancio del settore tu-ristico, rispetto alla carenza di iniziative e alle magre programmazioni che non incidono sulla sensibilizzazione anzitut-to dei cittadini latinensi i quali non sono stimolati e informati sulla salvaguardia culturale. E conoscenza della storia locale su un territorio tutto da lanciare, scoprire e valorizzare, se solo LA CULTURA fosse presa in considerazione, come una ric-chezza cui attingere senza aspettare le so-lite demagogiche tornate elettorali dove i politici o tendenti tali sciorinano in ma-niera spocchiosa e facilona.

    I TEATRI CITTADINI

    Chiusi e senza futuro. Certo si dovrà aspettare ancora a lungo per rivedere aperta la struttura del teatro D’Annunzio e ripristinare una stagione teatrale con

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    un ricco e variegato cartellone. Nel 2014 il Commissario prefettizio Giacomo Barba-to, dopo la caduta della giunta Di Giorgi, ha chiuso per precauzione gli unici teatri comunali esistenti a Latina (utilizzati dal-le compagnie e dalle associazioni pontine, e non, che si occupano di musica e spetta-colo) per organizzare una messa in sicu-rezza del teatro D’Annunzio e del Cafaro, lasciando la città monca di CULTURA, MUSICA E SPETTACOLI.

    LA BIBLIOTECA COMUNALE

    Non è valorizzata per il suo ruolo cultu-rale non solo di lettura e consultazione, ma neanche attraverso una promozio-ne culturale tramite attività, iniziative e manifestazioni nei diversi campi della cultura con rassegne letterarie, seminari, presentazione di libri, incontri con l’auto-re, visite guidate in luoghi esterni per far conoscere il territorio e la cultura locale con manifestazioni culturali nelle biblio-teche di quartiere ormai troppo indietro rispetto al mondo della Rete e del wi-fi.

    L’AMBIENTE E IL TERRITORIOCRITICITÀ DI ANNI DI SFRUTTA-MENTO DELLE RISORSE

    IL DEGRADO URBANO

    È soprattutto responsabilità delle passate amministrazioni che per anni hanno fa-vorito la logica del mattone, dirottan-

    do ricchezza verso pochi privati e gruppi bancari finanziatori, se le aree urbane del-la città risultano dissociate dalla propria storia e dalle quotidiane necessità dei cit-tadini.

    LA RACCOLTA DEI RIFIUTI

    Una raccolta differenziata ferma a uno sforzato 32% (secondo gli ultimi dati ufficiali), senza controlli riguardo al cor-retto conferimento a valle di una filiera comunque avvolta dal buio gestiona-le; una raccolta porta a porta partita a sin-ghiozzo e limitata alle periferie della cit-tà; cassonetti obsoleti e danneggiati che aggravano la percezione di mancanza di decoro; dal centro alle periferie, che negli ultimi mesi sono state sommerse da cu-muli di immondizia, sporcizia per le stra-de e aree verdi abbandonate a sé stesse.

    LA DISCARICA DI MONTELLO

    Esempio scellerato di mala gestione re-gionale nello smaltimento dei rifiuti che ha visto negli anni il susseguirsi di catti-ve gestioni e addirittura sospetti interra-menti di rifiuti pericolosi, cancerogeni e altamente inquinanti.

    LA CENTRALE NUCLEARE

    Una grande cupola che domina il paesag-gio, purtroppo una convivenza forzata in un territorio stretto tra la monta-

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    gna e il mare, dove il combustibile, nella centrale nucleare dismessa dopo il fermo del 1987, è stato allontanato dall’edificio reattore attraverso il sistema di movimen-tazione e caricamento. Dal punto di vista ambientale, Sogin, la società che gestisce l’impianto, a garanzia della sostenibilità, ha progettato, realizzato e monitorato tutti gli interventi in modo da non pro-durre alcun impatto, sia radiologico sia convenzionale. Rimane un mostro non ecologicamente sano alle porte del Parco Naturale del Circeo.

    L’INQUINAMENTO AMBIENTALE

    Il pesante inquinamento della falda acqui-fera sotto la centrale nucleare di Borgo Sa-botino, superamento delle concentrazio-ni di cloruro di vinile da due a venti volte il limite massimo consentito: circostanza nota alla vecchia amministrazione sin dai primi mesi del 2014 che scelse il silenzio. Non fu adottata alcuna iniziativa per informare la popolazione, né, ad oggi, sono state avviate azioni per ridurre il li-vello di contaminazione dell’acqua utiliz-zata dalle vicine abitazioni. Intanto, parte delle compensazioni economiche previste per i territori limitrofi a ex centrali nu-cleari, destinate anche a interventi di bo-nifica, sono state utilizzate per pagare le cooperative che si occupavano della ma-nutenzione del verde.

    LA PRESENZA DEL PARCO NATURALE DEL CIRCEO

    Il parco non è mai stato promosso a sim-bolo della città dalle amministrazioni che, non potendo operare uno sfruttamento commerciale ed edilizio del suolo, hanno evitato in passato qualsiasi convivenza possibile con il parco e la sua straordinaria risorsa da salvaguardare, proteggere e va-lorizzare. Latina inizialmente aveva nel parco una porzione di territorio più este-sa di quella attuale. La perimetrazione del 1934, infatti, comprendeva anche l’attua-le “Lido di Latina”, cioè il tratto di costa che va da Capo Portiere sino a Foce Verde. A seguito di abusi edilizi negli anni ‘70, questa porzione di costa è stata sottratta dal perimetro del Parco e compensata con l’inserimento dei laghi costieri di Foglia-no, Monaci e Caprolace. Nell’attuale peri-metrazione il Comune di Latina è presen-te nel Parco con il tratto di dune antiche di 1000 anni, che va da Capo Portiere a Rio Martino, con il lago di Fogliano e con lo straordinario Borgo Fogliano. http://www.parcocirceo.it/pagina.php?id=33

    AL PORTO CANALE DI RIO MARTINO

    Non si capisce l’utilità di un porto cana-le e quali siano le ricadute di tali lavori sull’ambiente e l’economia locale. Il com-mittente, ossia la Provincia di Latina, ha messo a bando una gara per i lavori che si aggira sui sette milioni Euro (lavori attualmente in corso). Il dubbio è sull’im-patto ambientale di un porto canale in un tratto di costa all’interno del Parco del

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    http://www.parcocirceo.it/pagina.php?id=33http://www.parcocirceo.it/pagina.php?id=33http://www.parcocirceo.it/pagina.php?id=33

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    Circeo, e sulle attività economiche che si potranno svolgere nel porto canale per far rientrare questi investimenti .Progetto del porto canale di rio Marti-no:http://www.interprogetti.net/proget-ti/42/porto-canale-di-rio-martino/

    UN ULTERIORE FATTORE DA CONSI-DERAREUn’azione pilota di sviluppo del turismo sostenibile

    Lo sviluppo di un TERRITORIO TESO AD ESSERE SOSTENIBILE, ossia che riesca a coniugare molti fattori che fanno da trai-no e sia concorde alla presenza dell’uomo che sfrutta le risorse in maniera bilan-ciata, relativamente senza intaccare l’e-cosistema ambientale, potrebbe essere l’obiettivo di una specifica azione-pilota da realizzarsi in una zona appositamente selezionata dove non si voglia privilegia-re uno sfruttamento del turismo di massa e agevoli, invece, una diversa maniera di candidarsi a un turismo integrato. Oltre che alla possibilità di sviluppare un turismo in un quadro di economia soft, sarebbe essenziale definire e applicare in modo anche volontario un protocollo per lo sviluppo sostenibile locale e del turi-smo, corredato da un monitoraggio che dia indicazioni sull’uso sostenibile della biodiversità, delle foreste, risorse idriche, dell’energia, del paesaggio e dell’identità culturale, in aggiunta alla normativa per

    la realizzazione di abitazioni, infrastrut-ture e strutture biocompatibili.L’art. 4 del CODICE MONDIALE DI ETI-CA DEL TURISMOadottato dall’Organizzazione Mon-diale del Turismo di Santiago del Cile nell’ottobre 1999:

    1. riconosce il turismo come “utilizzato-re del patrimonio culturale dell’uma-nità capace di contribuire al suo ar-ricchimento”;2. sottolinea la necessità di condurre le politiche e le attività turistiche nel rispet-to del patrimonio artistico, archeologico e culturale che esse devono trasmettere alle generazioni future, chiedendo un parti-colare impegno nella preservazione e valorizzazione di monumenti, santua-ri, musei, siti storici o archeologici, pur nell’impegno alla più ampia frequentazio-ne turistica”;3. riconosce come naturale la destina-zione di almeno una parte delle risor-se derivanti dal turismo dei siti cultu-rali alla gestione, alla salvaguardia, alla valorizzazione e all’arricchimento di tale patrimonio;4. promuove una politica dell’attività turistica tale da permettere la tutela e l’espansione delle produzioni cul-turali e artigianali tradizionali, come pure del folclore, senza per contro provo-carne la standardizzazione e l’impove-rimento.

    http://www.interprogetti.net/progetti/42/porto-canale-di-rio-martino/http://www.interprogetti.net/progetti/42/porto-canale-di-rio-martino/

  • Il disegno di legge sulla destagionalizzazione ha origi-ni lontane rispetto a quanto ufficializzato pochi giorni fa dalla Regione Lazio.

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    a cura di Rita Schievano

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    Da anni, infatti, le associazioni di categoria tra cui Asso-balneari e FederBalneari si interfacciano con i più alti li-velli istituzionali - governo, regioni, Ue - su questo tema e sulle possibilità che una legge in materia offrirebbe in termini di sviluppo economico e turistico nei comuni dei territori costieri.La destagionalizzazione nasce per sopperire, in parte, alla crisi economica che anche la categoria dei balneari si trova ad affrontare.Quando fu approvata, la legge regionale n° 13/2007 orga-nizzava il sistema turistico laziale, sebbene in essa non vi fossero contenuti articoli di riferimento specifici sulla de-stagionalizzazione.A cosa fa riferimento la destagionalizzazione?Il termine è divenuto molto popolare negli ultimi mesi in seguito alle vicende che hanno coinvolto il litorale pontino e, sopratutto, dopo il question time tenuto lo scorso 25 ago-sto al consiglio comunale di Latina. Lo scopo del question time, promosso da due consiglieri comunali dell’opposizio-ne (Forza Italia), era comprendere quali fossero le inten-zioni dell’amministrazione comunale.Per capire le motivazioni di tanta enfasi sulla desta-gionalizzazione, è necessario comprendere quanto la legge disponeva già la scorsa estate.Con la legge regionale n°8 del 26 giugno 2015 si è procedu-to alla modifica dell’art.52 oltreché all’inserimento dell’ar-ticolo 52 bis nella legge regionale n°13/2007.L’articolo 52 bis così recita nei suoi due commi:1. Al fine di promuovere la destagionalizzazione dell’offerta tu-ristica e lo svolgimento di attività collaterali alla balneazione sulle aree del demanio marittimo per finalità turistiche e ri-creative, l’utilizzazione delle suddette aree ai sensi dell’art. 52 comma 1, può avere durata annuale, fatto salvo quanto previ-sto dall’atto di concessione.2. In attuazione del comma 1, le strutture di facile rimozio-ne utilizzate per finalità turistiche e ricreative, eventualmente

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    presenti sull’area demaniale marittima assentita in concessio-ne, possono essere autorizzate dal comune, su istanza del con-cessionario, a rimanere allocate sull’area demaniale marittima assentita in concessione per tutto il periodo di durata della stessa, ove in possesso dei titoli abilitativi, delle autorizzazio-ni, dei pareri e degli altri atti di assenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente in materia.Una novità importante in termini di destagionalizzazione che ha visto i Comuni della costa laziale recepire la norma-tiva, a differenza del Comune di Latina che all’epoca della legge n°8 del 26 giugno 2015 era commissariato. Il braccio di ferro per la destagionalizzazione tra balneari, amministrazione e magistratura si è pro-tratto per un lungo periodo sino al mese di luglio 2016, arrivando persino al sequestro degli stabili-menti; successivamente, dopo il dissequestro delle strutture, la stagione, seppure in ritardo, ha potuto iniziare (definitivamente, e per tutti, solo a luglio).Tutto ciò ha creato incertezza nell’utenza cittadina e ha veicolato il turismo estivo (sebbene in calo su tutto il li-torale pontino) verso lidi di comuni limitrofi, in grado di offrire la garanzia dei servizi sin dall’inizio della stagione.Un danno enorme per una città che non ha mai saputo dav-vero valorizzare la propria marina e, come se non bastasse, ha visto la sua stagione balneare falcidiata: se da un tratto (Capo Portiere-Foce Verde) la situazione degli stabilimenti era incerta, dall’altro (Capo Portiere-Rio Martino) i servizi affidati ai chioschi non erano presenti in seguito ai ricor-si sulla gara d’affidamento disposta con ritardo e senza le forme adeguate dalla Latina del Commissario - con il col-pevole silenzio di tutti i partiti, compreso Forza Italia che oggi si fa domande in ritardo.Quello che è certo è che la tanto attesa legge sulla destagio-nalizzazione, a Latina, non ha sortito gli effetti auspicati.Sarà forse per la difficoltà interpretativa dell’art. 52 bis (sic!) che il 12 agosto 2016 la Regione Lazio definisce il regolamento (pubblicato sul bollettino ufficiale dell’ente

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    il 16 agosto 2016) che rende ancor più chiaro l’intento di snellire la procedura burocratica agli uffici comunali.All’articolo 18 del suddetto regolamento si fa presente che:1. La Regione, ai sensi dell’art. 52 bis della Legge Regionale 13/2007 promuove la destagionalizzazione delle attività turi-stiche e ricreative sul demanio marittimo.2. I comuni, anche nelle more di approvazione dei P.U.A comunali, fissano, entro il 30 settembre di ogni anno i criteri e le modalità ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui al comma 2, dell’ art. 52 bis della Legge Regionale 13/2007.Si arriva, dunque, alla data del question time summenzio-nato con la situazione che sembrerebbe chiara - anche nel-le more di approvazione dei P.U.A comunali, di cui Latina è sprovvista, si procede alla destagionalizzazione, vale a dire la possibilità per gli stabilimenti di tenere aperte per tutto l’anno le strutture -, se non fosse che l’assessore al Bilancio del Comune di Latina Giulio Capirci dichiara che l’ente ha dato incarico per la V.A.S. (VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA) in data 18 luglio 2016 cui dovrà far seguito una conferenza dei servizi con i vari enti per l’ottenimento di una valutazione positiva.Ribadisce inoltre che sul demanio marittimo esistono vin-coli di inedificabilità urbanistica, e che questa è una norma superiore.Ciò che l’assessore sottolinea è estremamente vero, da sempre la cubatura sull’arenile è pari a zero.Quanto detto, però, non è affatto determinante per quanto riguarda la destagionalizzazione.La V.A.S e la conferenza servizi servono in funzione dell’ap-provazione del P.U.A, come richiesto dalla Regione Lazio, poiché il vecchio P.U.A. comunale è del 2003, e quello pre-sentato in Regione (2012) non è mai stato approvato poi-ché privo di innumerevoli specifiche. Ciò è quanto si legge nella determinazione N.G08505 del 08/07/2015 della Regione Lazio che aveva per oggetto la verifica di assoggettabilità a V.A.S., ex art. 12 del D.LGS. 152//2006 E SS.MM.II. relativa al piano utilizzazione de-

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    gli arenili (P.U.A.) del Comune di Latina. La risposta della Regione Lazio in merito è: RINVIO a V.A.S., motivo per cui l’assessore ha conferito incarico per la V.A.S il 18 luglio 2016 come da lui stesso asserito du-rante il question time.Nonostante Capirci ribadisca la volontà di dar se-guito alla destagionalizzazione da parte dell’ammi-nistrazione, sottolinea che con ogni probabilità non sarà possibile prima del 2017.In sostanza, un’amministrazione e una maggioranza che non si assumono le proprie responsabilità in merito alla destagionalizzazione se non dopo aver chiesto un ulterio-re parere alla Regione Lazio e nonostante un regolamento regionale che parrebbe dare il via libera.Non c’è traccia nell’articolo 52 bis di riferimenti urbanisti-ci, né tantomeno i concessionari possono costruire nuo-vi stabilimenti - si tratterebbe di un rilascio di una nuova S.C.I.A, la stessa che gli consente già oggi di lavorare.Una destagionalizzazione che offrirebbe alcuni vantaggi come la pulizia dell’arenile che costerebbe di meno alle cas-se del comune, in quanto effettuata dai concessionari sulle spiagge di pertinenza; una maggiore sicurezza del litorale che, puntualmente, con la chiusura della stagione balne-are, viene abbandonato a se stesso; la possibilità occupa-zionale e l’incremento turistico/economico; l’opportunità per i cittadini di recarsi al mare anche in occasione dei ponti o festività (laddove il tempo lo permetta) potendo usufruire di servizi.E sarebbe sufficiente una delibera, come fatto dagli altri comuni, ma a Latina ciò che non è complicato lo si deve complicare in ogni modo.

  • a cura di Alessandro Marrocco

    Torre AsturaLA GRANDE BELLEZZA

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  • Entrando a Torre Astura diviene impossibile non ri-manere affascinati da questo luogo, sembra di essere proiettati anni luce da Latina e dalle zone limitrofe. Il contrasto con delle terre relativamente recenti (le no-stre), che distano solo una manciata di chilometri dalla torre del castello medievale, è unico. Ancora oggi, e mal-grado l’opera di tombaroli o semplici bagnanti, è pos-sibile imbattersi in un pezzo d’anfora che affiora dalla sabbia o in un laterizio di epoca romana. Il Castello e la pineta circostante si trovano all’estremità sud occidentale di quella grande distesa di terra che in epoca moderna era conosciuta come Agro Romano. Il fiume Astura che gli scorre accanto lo divide dall’Agro Pontino. L’orizzonte geografico dei pontini è delimitato a sud ovest dal monte Circeo e a nord ovest da Torre Astura. Una cornice ragguardevole, non credete? Amministrativamente si trova sotto il comune di Nettu-no, ma condivide con il territorio pontino l’ampia zona

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  • militare che parte dal poligono di tiro, posto a soli quat-tro chilometri dalla piazza di Foce Verde, e che arriva a lambire la città di Nettuno.I sostenitori della “militarizzazione” di Torre Astura ri-tengono che con i vincoli all’accesso posti dalla zona mi-litare si tuteli l’integrità delle rovine, ma forse gli stessi che affermano ciò non vi mettono piede da un bel pez-zo. È come dire che le tele di un grande pittore si tutela-no lasciandole chiuse in un magazzino.La manutenzione della pineta, del Castello medievale e dei resti del porto romano, sono un lontano ricordo. È permesso entrare durante il periodo estivo, ma non vi è nessuna vigilanza per chi ne usufruisce. I punti dove potersi far male non si contano e aver messo dei car-telli di divieto d’accesso non esaurisce il compito di chi dovrebbe tutelare la salute altrui. La plastica, i pneu-matici, i rottami ferrosi sono ovunque, e i bagnanti spesso contribuiscono a deturpare la bellezza di un po-

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  • sto che in un paese più conscio di se stesso sarebbe un museo a cielo aperto. Sì, proprio un museo!Gli investimenti mirati darebbero lavoro a qualche deci-na di persone, senza intaccare minimamente la bellezza del luogo; considerata per assodata un’apertura di dodi-ci mesi all’anno, da un forfettario calcolo si può evincere che occorrerebbe una squadra di giardinieri per la ma-nutenzione continua dell’intera area della pineta, con relativa potatura e messa in sicurezza della stessa: un minimo di tre e un massimo di cinque elementi.All’incirca tre guide esperte che portino a visitare le bellezze del castello e della spiaggia a scolaresche e tu-risti.Ovviamente si sta parlando di guide preparate dal punto di vista storico, sì perché a Torre Astura c’è stata un’e-poca romana, un’epoca medievale, e un’epoca con-temporanea poiché la zona è stata teatro dello sbarco di Anzio, a opera degli angloamericani nel gennaio del

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  • 1944.Un minimo di tre fino a dieci addetti alla ristora-zione e all’accoglienza. Per fare ciò non occorrerebbe la nascita di nuove strutture in muratura, basterebbe ristrutturare l’edificio di inizio novecento adiacente al castello. La stessa struttura potrebbe fungere anche da museo, con reperti e fotografie della zona. Con una par-ticolare attenzione ai tanti film, anche colossal ameri-cani che hanno avuto per location Torre Astura. Da Elisabeth Taylor con Cleopatra di Mankiewicz a Stefano Accorsi, è lunga la lista di star che vi hanno recitato.La ristrutturazione di un altro edificio posto ai margi-ni del bosco, anch’esso di grande bellezza ma interdetto perché pericolante, potrebbe essere adibito a foreste-ria per turisti e studiosi di botanica o di storia o ad appassionati d’immersione che volessero vedere da vicino le rovine sommerse e la fauna marina. Seguendo il calcolo forfettario, un’altra manciata di persone

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  • impiegate.Il parcheggio e il trasporto delle persone lungo la strada sterrata che costeggia il fiume Astura fino alla spiaggia, con mezzi elettrici, darebbe lavoro a due o più persone.Tirando le somme, dalle quindici alle trenta persone avrebbero un posto di lavoro e contribuirebbero a pre-servare un’area di interesse culturale, concorrendo alla ricchezza del litorale pontino e di quello di Nettuno e Anzio, con una ricaduta positiva sulle attività commer-ciali e sugli stessi gestori delle strutture dentro il parco che pagherebbero un canone allo Stato per l’affitto.Può sembrare fantascienza? Beh, chi si pone questa domanda dovrebbe farsene un’altra: lo Stato francese, tedesco o finlandese, lascerebbero una zona come quel-la di Torre Astura così come è adesso?. Semplicemente basterebbe andare nel nostro Sud Tirolo per trovare la risposta a tale domanda.

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  • Latina5stelle magazine - numero 3- anno 2016 ColophonHanno collaborato in questo numero:Alessandro Marrocco, Antonio Agostini, Cristiano Noce, Gianluca Bono, Massimo Lupi, Alessandranna Nocella, Valeria Scognamiglio, Emanuele Coletti, Dario Di Be-rardino, Cinzia David, Roberto Bertani, Antonietta De Luca, Bernardo Bassoli, Rita Schievano, Andrea Zuccaro, Francesco Martello, Luca Pietrolucci

    RingraziamentiIl sindaco Damiano Coletta per l’intervista alla nostra attivista Cinzia David

    Photo credit:

    CopertinaPhoto credit: Chris JL via Visual hunt / CC BY-NC-ND

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    https://www.flickr.com/photos/chrisjl/8071993689/http://Visual hunthttp://CC BY-NC-ND

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    Torre Astura, il castello

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