L’OZONO E I SUOI EFFETTI SULLE SPECIE VEGETALI · 4 PREMESSA I problemi legati all’inquinamento...

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L’OZONO E I SUOI EFFETTI SULLE SPECIE VEGETALI

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L’OZONO E I SUOI EFFETTI SULLE SPECIE

VEGETALI

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Progetto a cura della Regione Piemonte Realizzazione a cura di I.P.L.A. S.p.A. Testi: Federica Spaziani, Anna Maria Ferrara, Francesco Tagliaferro Fotografie: Federica Spaziani:foto 1, 2, 4, 5, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32. Anna Maria Ferrara: foto 10, 11, 12, 13, 16, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64. Elena Viotto: foto 14, 15. Renzo Lencia: foto copertina Simone Lonati: foto 3. La foto 6 è stata tratta dal sito: http://www.7springsfarm.com/fl.tabacco.lg.jpg La foto 7 è stata tratta dal sito: http://www.univ.trieste.it/~biologia/ricappl/inquaria/muschi.htm La foto 8 è stata tratta dal sito: http://space.comune.re.it/cea/scuola/pagine/ipertesti/licheni/cap2_indicatori/indicatori.htm La foto 9 è stata tratta dal sito: http://www.univ.trieste.it/~biologia/ricappl/inquaria/bioacc.htm La foto 17 è stata tratta dal sito http://www.webddc.com/ culinaria/frutta.jpg La foto 18 è stata tratta dal sito: http://turisme.paeria.es/imatges/44-1-verdura.jpg La foto 19 è stata tratta dal sito: http://www.baulevolante.it/immagini/girasole.jpg La foto 20 è stata tratta dal sito: http://www.raiffeisen.de/presse/Bildarchiv/mais-1.jpg La foto 21 è stata tratta dal sito: http://www.sistemanews.it/foto/pictures/pesce.gif La foto 22 è stata tratta dal sito: http://www.coquinaria.it/archivio/farine/immagini/crusca.jpg Arpa Piemonte: foto 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72. La fig. 1 è stata tratta dal sito: http://www.ozonoterapia.com/cosa.htm . La fig. 2 è stata tratta dal sito: http://www.itis-molinari.mi.it. La fig. 3 è stata tratta dal sito: http://digilander.libero.it/smviapascoli/3A2003/clima.it, a cura di Balsamo Pasquale, Caldironi Eva, Foschi Sara. Le figure 4, 5, 6 e 7 sono scansioni di figure tratte rispettivamente dai libri Strasburger, Mirov e Cappelletti. La fig. 8 è stata tratta da un articolo di internet. http://www.emc.maricopa.edu/faculty/farabee/BIOBK/BioBookRESPSYS.html Le figure 9, 10 e 11 sono state realizzate dall’Arpa Piemonte. Revisione a cura di: Regione Piemonte. Assessorato allo Sviluppo della montagna e foreste, lavori pubblici, difesa del suolo– Direzione Economia Montana e Foreste - Settore Politiche Forestali. Dirigente: Franco Licini. Funzionario incaricato: Franca De Ferrari. Ringraziamenti Bona Griselli e collaboratori (ARPA Piemonte) per aver fornito i dati dei rilievi del monitoraggio effettuato nel 2003 e 2004. Francesco Lollobrigida e collaboratori (ARPA Piemonte) per aver fornito i dati relativi al sistema di modellistica. Elena Paoletti e collaboratori (IPP – CNR di Firenze) per aver fornito i dati relativi agli studi degli effetti dell’ozono in condizioni controllate. COPYRIGHT ® Riproducibile con obbligo di citazione

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INDICE

PREMESSA pag. 4 INTRODUZIONE pag. 5

PARTE I – L’OZONO ED I SUOI EFFETTI

CAPITOLO 1 Che cos’è l’ozono e come si rileva 1.1. La molecola di ozono pag. 8 1.2. L’ozono nella stratosfera pag. 8 1.3. L’ozono nella troposfera pag. 10 1.4. Come si rileva la sua presenza pag. 11

1.4.1. Campionatori passivi pag. 11 1.4.2. Campionatori attivi pag. 13 1.4.3. Biomonitoraggio mediante organismi vegetali sensibili pag. 14

CAPITOLO 2 Principali danni dell’ozono 2.1. Principali danni sui vegetali pag. 17

2.1.1. La struttura fogliare delle piante pag. 17 2.1.2. Penetrazione dell’ozono pag. 20 2.1.3. Principali specie sensibili pag. 20 2.1.4. Sintomi pag. 20

2.1.4.1. Alterazioni visibili o macroscopiche pag. 21 2.1.4.2. Alterazioni invisibili o microscopiche pag. 23

2.2. Effetti sulla salute umana pag. 24

PARTE II – STUDI IN PIEMONTE CAPITOLO 3 Il primo progetto Interreg ed i lavori precedenti 3.1. I lavori precedenti pag 26 3.2. Il primo progetto Interreg pag 28 3.2.1. Raccolta dei dati pag 29 3.2.2. Studi e controlli di laboratorio pag 32 3.2.3. Elaborazione dei dati pag 33 3.2.4. Risultati pag 33 CAPITOLO 4 Il secondo progetto Interreg 4.1. Finalità pag. 35 4.2. Attività svolte in Italia pag. 35 4.3. Monitoraggio pag. 36

4.3.1. Raccolta dei dati pag. 36 4.3.2. Controlli in laboratorio pag. 43 4.3.3.Risultati pag. 44

4.4. Fumigazioni pag. 51 4.5. Modellistica pag. 52 CAPITOLO 5 Conclusioni pag. 55 ALLEGATO 1 Glossario pag. 58 ALLEGATO 2 Specie sensibili all’ozono pag. 64 ALLEGATO 3 Documentazione fotografica

A) Sintomi ozone-like pag. 67 B) Sintomi non ozone-like pag. 74

BIBLIOGRAFIA pag. 76

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PREMESSA I problemi legati all’inquinamento atmosferico sono noti da decenni e trattati ampiamente dagli

organi d’informazione, ma la consapevolezza dell’esistenza di un problema deve essere

accompagnata da studi e ricerche che permettano di comprenderne i meccanismi e gli effetti nella

maniera più puntuale possibile. Solo con solide basi è possibile mettere in campo politiche

adeguate per affrontare e possibilmente risolvere problematiche complesse e, come in questo

caso, multidisciplinari.

La Regione Piemonte – Direzione Economia Montana e Foreste, sensibile al problema

inquinamento ed ai suoi effetti anche sulla componente vegetale, ha incaricato l’I.P.L.A. S.p.a. di

Torino (Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente) di effettuare un piano di monitoraggio, che si è

concretizzato in una prima fase in uno studio decennale sul deperimento delle foreste e sulla

caratterizzazione delle ricadute inquinanti sul territorio forestale e in un secondo tempo nello studio

dell’impatto dell’ozono sulla vegetazione con due progetti finanziati dai Programmi di Iniziativa

Comunitaria Interreg condotti nell’arco di tre anni ciascuno. Il primo progetto (1999-2001) ha

coinvolto l’Italia, in particolare l’I.P.L.A. S.p.A. come esecutrice del lavoro, e la Francia nelle figure

del GIEFS (Group International d’Etudes des Forêt Subalpines) e di Qualitair 06 come esecutori

del lavoro. Il secondo progetto (2002-2004) ha invece coinvolto tre Paesi: l’Italia con il Settore

Politiche Forestali della Regione Piemonte, capofila, che si è avvalsa delle competenze tecniche di

I.P.L.A. S.p.A., ARPA-Piemonte con gli allora dipartimenti di Ivrea e di Grugliasco e IPP-CNR di

Firenze; la Francia con il Parc National du Mercantour, con il contributo del GIEFS, dell’Université

de Jussieux, del WSL Birsmendorf (Svizzera) e dell’ONF; la Spagna con la Generalitat Valenciana

ed il CEAM (Centro de Estudios Ambientales del Mediterraneo) di Valencia.

Il presente testo fornisce un contributo approfondito alla conoscenza degli effetti dell’ozono sugli

organismi vegetali. Il suo taglio divulgativo è utile per sensibilizzare ulteriormente il pubblico sul

delicato tema dell’inquinamento atmosferico in generale e su quello da ozono in particolare.

L’Assessore allo

Sviluppo della Montagna e Foreste

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INTRODUZIONE

L’aria è un bene indispensabile per la vita di animali e piante, e la sua qualità è un requisito

fondamentale per la salute e il benessere.

I processi industriali, il traffico veicolare, il riscaldamento degli edifici sono le principali attività

responsabili dell'inquinamento atmosferico, cioè di tutte quelle modificazioni della composizione

dell'aria le cui conseguenze si manifestano come danni alla salute umana, ai manufatti, alla

vegetazione ed agli ecosistemi naturali in genere, ed anche come variazioni del clima.

Gli effetti nocivi provocati dagli inquinanti atmosferici sui vegetali sono uno dei principali impatti

delle attività umane sull’ambiente. A partire dalla fine degli anni Settanta si è cominciato a

constatare che le foreste dell’arco alpino settentrionale e del Centro Europa presentavano sintomi

di deperimento manifestantisi con defogliazione prematura, diffusa clorosi (ingiallimento della

chioma o decolorazione), presenza di anomalie nella crescita e scomparsa della dominanza

apicale. Le specie coinvolte inizialmente erano l’abete bianco (Abies alba) e l’abete rosso (Picea

abies), successivamente anche il pino silvestre (Pinus sylvestris), il faggio (Fagus sylvatica) e altre

specie, sia conifere che di latifoglie.

Il monitoraggio coordinato e promosso dall’Unione Europea per il controllo dello stato di salute

delle foreste ha messo in evidenza che le cause del fenomeno non erano di natura biotica

(fungina, batterica o entomologica), bensì abiotica o quanto meno sconosciuta ed in alcuni casi

direttamente collegabile all’inquinamento atmosferico, o comunque dovuta a sintomi di stress

multifattoriale. La maggior parte dei ricercatori ritiene che questo, quando diventa cronico, sia

responsabile dell’induzione nella pianta di condizioni di stress, cui seguono manifestazioni

patologiche per cause secondarie, quali eventi climatici, attacchi di insetti, funghi, batteri, virus,

che riescono ad espletare la loro massima virulenza su questi soggetti indeboliti.

I danni causati dall’inquinamento da ozono sulla vegetazione sono ritenuti talmente ingenti che

questo gas viene considerato, assieme al biossido di zolfo, una delle principali cause del declino

delle foreste; come gli ossidanti fotochimici in genere, provoca una riduzione nella crescita delle

piante e, a concentrazioni maggiori, fenomeni di clorosi e necrosi delle foglie.

Il primo effetto visibile si manifesta sui cloroplasti che assumono una colorazione verde chiara

giacché si rompono con facilità, disperdendo la clorofilla nel citoplasma cellulare.

L’ozono determina, a livello cellulare, una serie di modificazioni che interferiscono con il bilancio

ionico, gli amminoacidi, il metabolismo proteico, la composizione in acidi grassi insaturi; inoltre

reagisce con i residui solfidrici, provoca un crollo immediato (originato quasi certamente dallo

sbilanciamento ionico)del livello di un composto essenziale per fornire l’energia necessaria alle

reazioni metaboliche, l’Adenosintrifosfato o ATP; infine, inibisce la fissazione della CO2, riducendo

la fotosintesi.

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Sulla vegetazione è stata ampiamente descritta la sintomatologia del danno cosiddetto ozone-like;

resta tuttavia oggetto di approfondito e continuativo studio il differente tipo di risposta sintomatica

in funzione della specie vegetale, della concentrazione del gas e del tempo di esposizione.

Globalmente i danni provocati dall’ozono sono di entità talmente grave da essere stati oggetto di

una Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, la direttiva 2002/3/CE del 12 febbraio 2002,

che prevede in modo specifico l’adeguamento della legislazione vigente in materia di inquinanti

atmosferici.

“È importante garantire un’efficace protezione della popolazione dagli effetti dell’esposizione

all’ozono nocivi alla salute umana. È opportuno ridurre, per quanto possibile, gli effetti nocivi

dell’ozono sulla vegetazione, sugli ecosistemi e sull’ambiente nel suo complesso.” (Direttiva

2002/3/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio).

Le finalità di tale Direttiva sono:

a) fissare obiettivi a lungo termine, valori bersaglio, una soglia di allarme e una soglia di

informazione relativi alle concentrazioni di ozono nell’aria della Comunità, al fine di evitare,

prevenire o ridurre gli effetti nocivi sulla salute umana e sull’ambiente nel suo complesso;

b) garantire che in tutti gli Stati membri siano utilizzati metodi e criteri uniformi per la

valutazione delle concentrazioni di ozono e, ove opportuno, dei precursori dell’ozono

(ossidi di azoto e composti organici volatili) nell’aria;

c) ottenere adeguate informazioni sui livelli di ozono nell’aria e metterle a disposizione della

popolazione;

d) garantire che, per quanto riguarda l’ozono, la qualità dell’aria sia salvaguardata laddove è

accettabile e sia migliorata negli altri casi;

e) promuovere una maggiore cooperazione tra gli Stati membri per quanto riguarda la

riduzione dei livelli d’ozono, e l’uso delle potenzialità delle misure transfrontaliere e

l’accordo su tali misure.

La direttiva fissa valori bersaglio, obiettivi a lungo termine, soglia di allarme e soglia di

informazione per i livelli di ozono, ed è stata recepita dal Governo italiano con il D.L. 21 maggio

2004, n. 183 che fissa i valori limite per le concentrazioni di ozono per la salute umana e per i

vegetali.

Per valore bersaglio si intende il livello fissato al fine di evitare a lungo termine effetti nocivi sulla

salute umana e/o sull’ambiente nel suo complesso, da conseguirsi per quanto possibile entro un

dato periodo di tempo.

Per obiettivo a lungo termine si intende la concentrazione di ozono nell’aria al di sotto della quale

si ritengono improbabili, in base alle conoscenze scientifiche attuali, effetti nocivi diretti sulla salute

umana e/o sull’ambiente nel suo complesso. Tale obiettivo deve essere conseguito, salvo quando

ciò non sia realizzabile tramite misure proporzionate, nel lungo periodo al fine di fornire un’efficace

protezione della salute umana e dell’ambiente.

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Per soglia d’allarme si intende il livello oltre il quale vi è un rischio per la salute umana di

esposizione di breve durata della popolazione in generale, e raggiunto il quale gli stati membri

devono immediatamente intervenire a norma degli articoli 6 e 7.

Per soglia di informazione si intende il livello oltre il quale vi è un rischio per la salute umana in

caso di esposizione di breve durata per alcuni gruppi particolarmente sensibili della popolazione e

raggiunto il quale sono necessarie informazioni aggiornate.

In particolare: Ozono: valori bersaglio Parametro Valore bersaglio per il 2010

Per la protezione della salute umana

Media massima giornaliera su 8 ore

120 µg/m3 da non superare per più di 25 giorni per anno civile come media su 3 anni

Per la protezione della vegetazione

AOT40, calcolato sulla base dei valori orari da maggio a luglio

18000 µg/m3 * h come media su 5 anni

Ozono: obiettivi a lungo

termine Parametro Obiettivo a lungo termine

Per la protezione della salute umana

Media massima giornaliera su 8 ore nell’arco di un anno civile

120 µg/m3

Per la protezione della vegetazione

AOT40, calcolato sulla base dei valori orari da maggio a luglio

6000 µg/m3 * h

Per AOT40 (espresso in µg/m3 h) si intende la somma della differenza tra le concentrazioni orarie

superiori a 80 µg/m3 (= 40 parti per miliardo) e 80 µg/m3 in un dato periodo di tempo, utilizzando

solo i valori orari rilevati ogni giorno tra le 8:00 e le 19:00, ora dell’Europa centrale.

Ozono: soglie di informazione e di allarme

Parametro Valore bersaglio per il 2010

Soglia di informazione Media di 1 ora 180 µg/m3 Soglia di allarme Media di 1 ora 240 µg/m3 Da Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, n° L 067 del 9/3/2002 (Direttiva 2002/3/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio).

Partendo dalle precedenti osservazioni sul problema ozono e sul suo recepimento a livello

normativo, il testo presenta nella prima parte un excursus sull’ozono (cosa è, come si misura e

cosa succede quando entra in contatto con organismi viventi, soprattutto vegetali) e nella seconda

parte i risultati di due studi condotti sul tema anche in Piemonte.

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PARTE I – L’OZONO ED I SUOI EFFETTI

CAPITOLO 1. Che cos’è l’ozono

1.1 – La molecola di ozono

L'ozono è una forma allotropica triatomica dell'ossigeno, la

sua molecola è costituita da tre atomi di ossigeno (O3) ed ha

un peso molecolare di 48,00 dalton.

A temperatura ambiente è un gas incolore con un

caratteristico odore acre e pungente da cui deriva il nome

(dal greco ozo = emano odore), il cui limite di percezione

olfattiva è di circa 10 ppb.

FIG. 1 - Molecola di ozono prodotta in laboratorio per la prima volta da De la Rive (1845)

I legami tra gli atomi sono deboli e rendono perciò questo gas fortemente instabile e

particolarmente reattivo con altre molecole chimiche. La sua velocità di decomposizione dipende

dalla temperatura.

In virtù del suo grande potenziale ossidoriduttivo, l'ozono è un forte agente ossidante, capace di

reagire con sostanze organiche dotate di doppi legami (insature); esso agisce a livello del doppio

legame formando un ozonide primario che, essendo fortemente instabile, si degrada con facilità.

1.2 – L’ozono nella stratosfera

In natura l’ozono è un componente gassoso

dell'atmosfera ed è presente nei vari strati in

concentrazioni diverse.

Negli strati più elevati rappresenta un vero e

proprio schermo nei confronti delle pericolose

radiazioni ultraviolette (hv) emesse dal sole. Si

forma a circa 20 Km di altezza nella stratosfera

mediante il cosiddetto “Effetto Chapman” in

seguito all'azione dei raggi ultravioletti

sull'ossigeno:

Fig. 2 – Il pianeta Terra e gli strati di atmosfera che lo circondano.

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O2 + hv -> O + O I raggi ultravioletti inducono la dissociazione delle molecole di O2 con

formazione di atomi liberi di ossigeno (O)

O + O2 -> O3 Gli atomi di ossigeno liberi si combinano con le molecole di ossigeno (O2) e

danno origine all’ozono

O3 + hv -> O2 + O L’ozono a sua volta assorbe la radiazione ultravioletta e visibile e si

decompone

O + O3 -> O2 + O2 Se l’ozono si combina con un atomo libero di ossigeno si forma una molecola

di ossigeno ed il meccanismo di formazione e decomposizione dell’ozono si

interrompe.

Le reazioni di formazione e decomposizione dell’ozono, essendo cicliche, assicurano la presenza

naturale dell’ozono nella stratosfera; l’ultima reazione è normalmente assai più lenta delle

precedenti, tuttavia può essere accelerata da alcune sostanze chimiche (quali i CFC;

clorofluorocarburi) immesse nell’atmosfera dall’uomo. Tale accelerazione provoca un

assottigliamento dello strato di ozono stratosferico.

Ogni anno, durante la primavera dell’emisfero australe, la concentrazione dell’ozono stratosferico

nell’area situata in prossimità del Polo Sud diminuisce a causa di variazioni naturali. Però, a causa

degli inquinanti rilasciati in atmosfera, sin dalla metà degli anni settanta questa periodica

diminuzione è diventata sempre più grande, tanto da indurre a parlare del fenomeno come del

“buco dell’ozono”. Recentemente si è comunque individuato un assottigliamento della fascia di

ozono anche in una piccola zona al polo Nord, sopra il Mare Artico, fatto che potrebbe preludere

alla formazione di un altro buco dalla parte opposta.

Le sostanze maggiormente implicate nella formazione del “buco dell’ozono” e più in generale nella

riduzione dell’ozono stratosferico sono i Clorofluorocarburi (CFC). I CFC sono composti costituiti

da Cloro, Fluoro e Carbonio, comunemente utilizzati come refrigeranti, solventi ed agenti

propellenti nelle confezioni spray. I più comuni CFC sono i CFC-11, CFC-12, CFC-113, CFC-114 e

il CFC-115.

I CFC non subiscono alcun cambiamento prima di arrivare nella stratosfera, dove vengono distrutti

dai raggi UV liberando cloro, che a sua volta reagisce con l’ozono causandone la distruzione:

CL + O3 = CLO + O2

CLO + O = CL + O2 il cloro che si libera torna disponibile per un altro ciclo di reazioni con l’ozono

La produzione dei CFC è stata negli ultimi anni vietata in base ad accordi internazionali.

Anche gli HCFC (Idroclorofluorocarburi) sono implicati nel fenomeno di assottigliamento della

fascia di ozono. Essi sono una classe di composti chimici che vengono utilizzati temporaneamente

per rimpiazzare i CFC. Contengono cloro e per questo sono in grado di deteriorare la fascia di

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ozono nella stratosfera, ma con intensità molto inferiore rispetto ai CFC; dal 2020 tuttavia sarà

vietata anche la loro produzione.

Altri composti coinvolti nel fenomeno sono i gas halon, anche conosciuti come Bromofluorocarburi,

composti costituiti da bromo, fluoro e carbonio. Gli halon sono utilizzati come agenti estinguenti del

fuoco sia in sistemi fissi che in estintori portatili. Causano la riduzione della fascia di ozono perché

contengono il bromo (che è molte volte più attivo nella distruzione della fascia di ozono di quanto

lo sia il cloro).

Il problema è estremamente importante in quanto una riduzione dell’effetto schermante dell’ozono

stratosferico comporta un conseguente aumento dei raggi UV che giungono sulla superficie della

Terra. Nell’uomo l’eccessiva esposizione a questi raggi è correlata ad un aumento del rischio di

cancro della pelle, generato a seguito delle mutazioni indotte nel DNA delle cellule epiteliali. I raggi

ultravioletti possono causare inoltre una inibizione parziale della fotosintesi delle piante, inducendo

un rallentamento della crescita e, nel caso si tratti di piante coltivate, una diminuzione dei raccolti.

1.3. L’ozono nella troposfera

Mentre la presenza dell’ozono nella stratosfera svolge un’importante funzione eco-protettiva, nello

strato basso dell’atmosfera che arriva sino a 10-15 Km di altezza (troposfera), le alte

concentrazioni di ozono risultano nocive per la salute degli esseri viventi, tanto che l’Unione

Europea ha definito un limite di 0,3 mg/m3 oltre il quale la concentrazione di ozono nell'aria

respirata è considerata dannosa.

Fig. 3 – Strati dell’atmosfera e loro distanza dalla crosta terrestre. L'ozono troposferico ha origini diverse da quello stratosferico. Si origina per cause naturali (come

ad esempio intrusione dalla stratosfera ed effetto dei fulmini) oppure antropiche. Pertanto, quando

presente in concentrazioni superiori a quelle “di fondo”, ovvero prodotte unicamente da processi

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naturali, è considerato, un inquinante cosiddetto secondario. Esso infatti non viene emesso

direttamente da una o più sorgenti, ma si genera a seguito dell’azione fotolitica della radiazione

solare UV su altri inquinanti primari (detti precursori, quali gli ossidi d'azoto NOx e i composti

organici volatili VOC), prodotti in larga parte dai motori a combustione (ovvero dal traffico

veicolare) e dall'uso di solventi organici. L’azione fotolitica porta alla formazione di ossigeno

atomico che reagisce con l’ossigeno molecolare dando origine all’ozono. Dal momento che queste

reazioni avvengono in presenza di luce solare, ne deriva che l’ozono avrà valori massimi durante il

giorno e minimi durante la notte e avrà valori superiori durante la stagione calda (soprattutto in

periodi di alta pressione e stabilità atmosferica) e nelle zone caratterizzate da elevata insolazione

(bacino del Mediterraneo e aree di quota elevata).

L’ozono reagisce a sua volta con altri inquinanti presenti nell’aria, e fra questi soprattutto con quelli

riducenti, fra cui primeggia il monossido di Azoto (NO); nelle ore notturne, in assenza della luce

solare che funge da catalizzatore nella reazione che porta alla sua formazione, e con minor

produzione dei suoi precursori, la sua molecola si riduce nuovamente ad ossigeno biatomico

ossidando composti ridotti come NO, molto frequente nelle aree urbane.

Per effetto delle correnti aeree tuttavia il gas viene trasportato anche in zone remote, dove

stranamente, almeno in apparenza, si registrano i valori più elevati, soprattutto nell’arco delle

ventiquattro ore. I composti riducenti quali NO sono più comuni in ambienti inquinati: quindi nelle

aree urbane le concentrazioni di ozono presentano picchi diurni e minimi notturni, mentre nelle

zone limitrofe, in quota o nelle aree rurali anche remote, dove l’aria è più pulita, l’ozono persiste

maggiormente senza che la sua concentrazione diminuisca nelle ore notturne.

1.4 - Come si rileva la sua presenza

La presenza della concentrazione di O3 si rileva tramite:

- campionatori passivi

- campionatori attivi (analizzatori fisico - chimici di ozono)

- biomonitoraggio mediante organismi vegetali sensibili

1.4.1. Campionatori passivi

Il campionatore passivo è costituito da un piccolo tubo, alla cui sommità è situato un tappo,

contenente un filtro impregnato di una soluzione specifica per assorbire o reagire con l’inquinante

che deve essere misurato. Il gas entra nel tubo attraverso il lato aperto secondo i processi della

diffusione molecolare.

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Foto 1 - Esempio di campionatore passivo: la parte inferiore blu rappresenta il tappo di chiusura, quella bianca supporta la griglia attraverso cui penetra l’aria.

Foto 2 – Campionatore passivo scomposto nelle sue parti costitutive: a sinistra la griglia attraverso cui penetra l’aria, in centro il filtro di assorbimento dell’inquinante, a destra il tappo di chiusura. Alla base del funzionamento dei campionatori passivi vi è il principio della diffusione passiva di un

gas in un mezzo adsorbente secondo la prima legge di Fick. Essa enuncia che: la diffusione

dell’inquinante è direttamente proporzionale alla sua concentrazione nell’ambiente, al tempo di

esposizione, al coefficiente di diffusione nell’aria dell’inquinante in questione e alla sezione

trasversale del tubo. Possono inoltre influire, oltre certe soglie, fattori ambientali quali la velocità

del vento e la temperatura.

Nei campionatori passivi destinati alla misurazione delle concentrazioni di ozono, i filtri (dischetti di

cellulosa) vengono impregnati di un reagente specifico che costituisce il "sensore". La reazione

scatenata dall'ozono porta alla rottura della molecola del reagente che, a seguito di estrazione con

etanolo, è possibile quantificare per via fotometrica. Il rapporto tra ozono adsorbito e

concentrazioni in aria è di tipo lineare, e permette quindi il calcolo della quantità presente.

I campionatori vengono posizionati nelle stazioni di monitoraggio, sotto appositi supporti atti a

proteggerli dalle intemperie, e vengono sostituiti periodicamente (ogni settimana, ogni 15 giorni

oppure ogni mese) a seconda dei tempi di esposizione caratteristici del campionatore stesso e

delle esigenze richieste dallo studio.

Le misure della concentrazione di O3 ottenute dai campionatori sono tanto più precise quanto

minore è il tempo di esposizione; però, poiché la manodopera per la sostituzione e lo spostamento

se si opera in zone remote e distanti l’una dall’altra è costosa, generalmente si opta per quelli con

tempo di esposizione mensile. In questo caso, però, la perdita del dato, causata da vandali che

rovinano o asportano il campionatore dalla sua sede, è un danno rilevante per le successive

elaborazioni statistiche

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Foto 3 - Stazione della Sacra di S. Michele (Valle di Susa, TO): sostituzione del campionatore passivo fissato tramite nastro biadesivo al supporto metallico.

1.4.2. Campionatori attivi. Sono gli analizzatori fisico-chimici di ozono e ne esistono molti modelli, tutti però basati sui

medesimi principi di funzionamento.

L’analizzatore opera la misura dell’ O3 basandosi sull’assorbimento della luce UV, in particolare

della banda di 254 nanometri, valore che corrisponde alla linea principale di emissione del

mercurio. Uno dei componenti dell’analizzatore è una lampada a mercurio che emette luce ad una

lunghezza d’onda di 254 nm. La luce della lampada illumina un tubo di vetro cavo il quale è

alternativamente riempito con il gas campione e con un gas standard (noto). Il rapporto tra

l’intensità della luce passante attraverso il gas standard e quella del gas campione, indicato come

I/I0 , è alla base del calcolo della concentrazione di ozono.

Il ciclo di misura è il seguente:

− passaggio del gas attraverso un filtro selettivo per O3;

− misura del gas campione;

− passaggio del gas nella cella di misura;

− misura del gas standard.

L’analizzatore è dotato di un software di elaborazione dei dati che viene installato su un personal

computer che, tramite modem, si collega all’analizzatore per visualizzare e scaricare i dati di

concentrazione registrati. Oltre ai dati di concentrazione di ozono (calcolati in ppb), esso rileva altri

parametri, quali la temperatura e l’umidità dell’aria, la velocità e la direzione del vento e la

temperatura interna allo strumento. Essendo uno strumento molto delicato che va incontro a

problemi di registrazione con temperature esterne elevate, l’analizzatore viene inserito in una

struttura isolante al fine di evitare variazioni di temperatura, ovvero collocato in ambiente

condizionato.

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I pregi di questo strumento sono le misure puntuali dei differenti parametri, misure che possono

essere orarie, giornaliere o mensili, a seconda di come si imposta il software. I limiti sono

rappresentati dal costo elevato e dalla necessità di disporre di energia elettrica.

Foto 4 e 5 – Esempio di analizzatore di ozono: a sinistra la struttura isolante entro cui viene collocato se esposto ad agenti esterni; a destra la centralina nelle sue componenti (l’analizzatore di ozono, la parte bianca superiore; il computer e il sistema di scaricamento e trasmissione dati, la parte grigia inferiore).

1.3.3. Biomonitoraggio mediante organismi vegetali sensibili Il biomonitoraggio consiste nel controllo continuo delle caratteristiche di un determinato ambiente

attraverso parametri biologici in quanto qualunque fattore (fisico, chimico o microbiologico) induce

delle variazioni ecologiche sull’ecosistema. Quindi una sostanza tossica viene rilevata dagli esseri

viventi, i quali, a soglie diverse di sensibilità, sono in grado di indicarne la presenza e, in prima

approssimazione, la quantità presente nell’ambiente.

Le variazioni ecologiche indotte si manifestano tramite alterazioni degli organismi utilizzati quali

indicatori, che mostrano sintomi differenti secondo le caratteristiche dell’inquinante. I principali

sintomi che si possono riscontrare sono:

a) accumulo degli inquinanti nell’organismo;

b) modificazioni morfologiche o strutturali dell’organismo;

c) variazioni della vitalità (modificazioni fisiologiche);

d) danni genetici;

e) modificazioni nella composizione delle comunità animali e vegetali.

Le tecniche di biomonitoraggio seguono due principali strategie:

- bioindicazione, quando si correla il disturbo ambientale a variazioni morfologiche o a dati di

biodiversità;

- bioaccumulo, quando si sfrutta la capacità di certi organismi di assorbire ed accumulare le

sostanze indagate.

15

Viene definito "bioindicatore" un organismo che risponde con variazioni identificabili del suo stato a

determinati livelli di sostanze inquinanti o più in generale a determinate soglie di disturbo; vengono

perciò selezionati organismi che soddisfano i seguenti requisiti principali:

- accertata sensibilità all’agente indagato;

- ampia distribuzione nell'area di studio o comunque facilità di trasporto ed esposizione

artificiale all’interno dell’area;

- scarsa mobilità;

- lungo ciclo vitale;

- uniformità genetica.

Un organismo viene definito "bioaccumulatore" quando viene invece usato per misurare la

concentrazione di una sostanza, ottenendo risposte quantitative oltre che qualitative.

Le principali categorie di organismi viventi utilizzati come bioindicatori o bioaccumulatori sono:

1. le piante vascolari: in particolare per il

biomonitoraggio dell’ozono troposferico

vengono utilizzate piante di tabacco

(Nicotiana tabacum varietà Bel W3), molto

sensibile all’inquinante in questione. Per

testare gli effetti, vengono allestite

coltivazioni di tabacco alle quali vengono

somministrati quantitativi noti

dell’inquinante e sulle quali

successivamente vengono studiati gli

effetti sintomatologici. Per quanto riguarda

il tabacco, nelle varietà sensibili, esso

manifesta evidenti sintomi quando la

concentrazione di ozono supera soglie di

40-50 ppb per esposizioni della durata di

4-5 ore.

Foto 6: pianta di tabacco fiorita.

Attualmente si stanno studiando anche altre specie vegetali, incluse quelle spontanee in molti

ambienti, per facilitare le campagne di biomonitoraggio.

16

Foto 7: Hypnum cupressiforme

2. i muschi: utilizzati per monitorare soprattutto la

presenza di radioattività e di metalli pesanti grazie alla

grande capacità di scambio che queste briofite hanno

con l’ambiente;

3. i licheni: simbiosi tra un’alga e un fungo,

sono sia bioindicatori che bioaccumulatori

e vengono utilizzati per rilevare la

presenza di metalli pesanti assorbiti nei

talli; alcuni inoltre sono particolarmente

sensibili all’anidride solforosa o ad altri

inquinanti, per cui un’analisi delle loro

comunità può permettere di trarre preziose

informazioni ad esempio anche

sull’eutrofizzazione ambientale;

Foto 8: Licheni.

Foto 9: Amanita muscaria

4. i funghi: non sono ancora diffusamente utilizzati,

nonostante abbiano dimostrato sensibilità

all’anidride solforosa, all’ozono e alle deposizioni

acide, oltre a possedere capacità di

assorbimento soprattutto di metalli pesanti.

L'utilizzo di organismi quali indicatori biologici di inquinamento presenta notevoli vantaggi:

• si avvale di metodiche la cui efficacia e predittività è comprovata da una ricchissima

letteratura a livello internazionale;

• le indagini richiedono bassi costi e tempi ridotti e possono venir effettuate utilizzando

tecniche diverse, in grado di evidenziare tipi di inquinanti diversi.

Il biomonitoraggio non è da considerarsi come un'alternativa nei confronti dell'uso di centraline di

rilevamento, costose ma in grado di fornire dati molto più precisi e numerosi, bensì come un

prezioso complemento, poiché, individuando le zone a rischio presenti sul territorio, costituisce lo

17

studio di base per un posizionamento ottimale delle centraline stesse; può inoltre consentire di

verificare la presenza dei fenomeni in zone remote dove risulta impossibile il posizionamento di

strumentazione sofisticata, ed è particolarmente utile per azioni dimostrative grazie

all’immediatezza visiva.

18

CAPITOLO 2. Principali danni dell’ozono 2.1 – Principali danni sui vegetali 2.1.1 – La struttura fogliare delle piante A livello microscopico la struttura fogliare è molto variabile a seconda della specie di

appartenenza. La maggior parte delle latifoglie decidue tuttavia presenta una simmetria detta

dorso-ventrale (la metà superiore è differente da quella inferiore) costituita, partendo dalla pagina

superiore, da:

- epidermide superiore: formata da uno strato di cellule con una cuticola spessa sulla parete

esterna;

- mesofillo o parenchima a palizzata: costituito da cellule cilindriche, le cellule a palizzata,

allungate nel senso perpendicolare alla superficie del lembo, che conferiscono l’aspetto di

una palizzata. Esse sono ricche di cloroplasti e sono sede di intensa attività fotosintetica;

- mesofillo o parenchima lacunoso o spugnoso: formato da cellule irregolari (più o meno

tondeggianti o poliedriche) di diverse dimensioni, riunite in modo così irregolare da lasciare

fra di loro ampi spazi (lacune) che favoriscono lo scambio dei gas tra l’esterno e l’interno

essendo direttamente a contatto con gli stomi presenti sulla pagina inferiore. Le cellule del

lacunoso, essendo più povere di cloroplasti, determinano il colore verde più chiaro della

pagina inferiore;

- epidermide inferiore: anch’essa costituita da un unico strato di cellule con cuticola

ispessita, intervallate dagli stomi.

Fig. 4 – Sezione trasversale di una foglia di faggio (Stransburger)

19

Le conifere invece, hanno foglie

con un’epidermide costituita da

uno strato di cellule con parete

fortemente ispessita al di sotto

della quale si trovano alcuni

strati di cellule con parete

lignificata che formano

l’ipoderma. Sotto l’ipoderma si

trova il mesofillo in cui sono

immersi i canali resiniferi. Gli

stomi sono infossati.

Fig. 5 – Sezione trasversale di una foglia di pino strobo (Mirov)

Gli stomi sono strutture particolari, presenti in numero maggiore sulla pagina inferiore nelle

inquinante, costituiti da due cellule (cellule stomatiche o di chiusura), diverse per forma e

grandezza, che assolvono all’importante compito di mettere in comunicazione l’ambiente esterno

(atmosfera) con i tessuti interni (camera sottostomatica o respiratoria) tramite l’evapotraspirazione.

Le cellule stomatiche sono reniformi e questo fa sì che, unendosi per la parte concava, lascino fra

loro un’apertura detta ostiolo.

Fig. 6 – Stomi sull’epidermide inferiore di foglia di elleboro (Strasburger)

Fig. 7 – Sezione trasversale di stoma. Superiormente la cuticola forma due piccoli cornetti (in nero). (da Cappelletti)

20

2.1.2. Penetrazione dell’ozono L’ozono penetra all’interno della foglia attraverso gli stomi della lamina inferiore, provocando

inizialmente danni alle sole cellule del parenchima a palizzata, che gradualmente perdono la

clorofilla e collassano, senza interessare immediatamente l’epidermide inferiore e il mesofillo

lacunoso, ma solo in una fase più avanzata. Il collasso delle cellule del palizzata si nota al

microscopio ottico dal cambiamento di colorazione delle cellule che da verdi diventano rosso o

brunastre a seconda di quali pigmenti vengono accumulati (antociani o tannini).

Foto 10 - Sezione fogliare. Il sintomo di tipo ozone- like è chiaramente visibile nel mesofillo a palizzata dove si verificano la lisi della clorofilla e il collasso delle pareti cellulari. Sono privi di fenomeni alterativi gli strati epidermici e il mesofillo lacunoso

2.1.3 - Principali specie sensibili Da vari studi effettuati in anni differenti e da istituti diversi, è emerso che alcune specie sono più

sensibili di altre ai danni ozone-like.

Nell’allegato 2 vi è una tabella che riporta, in ordine alfabetico, l’elenco delle specie

sperimentalmente accertate come sensibili all’ozono (alberi, arbusti ed erbacee), tratta dal sito

ufficiale dell’ICP-Forests (www.icp-forests.org), ed è il frutto dei 20 anni di studi e ricerche che 38

stati europei, più USA e Canada, hanno effettuato.

Le specie cui fa riferimento la tabella sono per la maggior parte specie autoctone europee

(segnalate col carattere italic) e in minima parte alloctone (segnalate col carattere normale).

2.1.4 - Sintomi La sintomatologia dei danni che l’ozono provoca alle specie vegetali è studiata da circa una

ventina di anni e si presenta diversificata in funzione delle specie vegetali.

I primi studi sono stati condotti dall’ICP Forests, nato nel 1985 sotto la convenzione “Long-Range

Transboundary Air Pollution” della Commissione economica delle Nazioni Unite per Europa

(UNECE - United Nations Economic Commission for Europe) e istituito per la sempre più

crescente consapevolezza pubblica sui possibili effetti negativi dell’inquinamento atmosferico sulle

foreste.

21

L’ICP Forests monitora le foreste europee utilizzando due livelli di controllo differenti in intensità, in

cooperazione con l’Unione Europea. La prima griglia, denominata Level I, è stata stabilita nel

1986. Da allora le chiome delle piante vengono annualmente monitorate attraverso una griglia

sistematica trans-nazionale in tutta Europa di 16 x 16 Km. Tra il 1992 e il 1996 sono stati valutati

anche le condizioni del suolo e delle foglie.

Dall’approfondimento delle conoscenze sulla suscettibilità all’ozono durante l’ontogenesi, si è

notato come le foglie giovani siano più resistenti diventando sensibili, ad iniziare dalle parti distali,

quando si espandono. Il danno tuttavia è correlato ai tempi di esposizione, e quindi la foglia

vecchia è quella che è rimasta esposta all’azione del gas più a lungo e ne risente maggiormente

gli effetti. Solitamente la lamina fogliare inferiore è asintomatica mentre l’effetto dell’ozono è

visibile sulla pagina superiore, con una maggiore intensità, nel caso di esposizione alla luce. Solo

nel caso di sintomi acuti si sono osservate, a volte, alterazioni della lamina fogliare inferiore.

I danni da esso prodotti possono essere divisi in due grandi gruppi:

- visibili o macroscopici

- invisibili o microscopici

2.1.4.1. Alterazioni visibili o macroscopiche. Le sintomatologie macroscopiche sono quelle che si osservano a occhio nudo quando si

analizzano le foglie in campo. Esse possono essere confuse o con danni causati da altri agenti

abiotici (inquinanti di varia natura), o con danni causati da agenti biotici (funghi e insetti).

Le principali sono la riduzione di biomassa, la comparsa di una clorosi più o meno diffusa e la

presenza di puntinature necrotiche.

La riduzione di biomassa si manifesta in un calo di accrescimento della pianta e in una forma di

microfillia fogliare, per cui le foglie sono più piccole del normale. Questa riduzione può presentarsi

anche a carico dell’apparato radicale.

La clorosi si palesa con un ingiallimento

generalizzato della foglia che può essere

confuso con un danno abiotico non

necessariamente causato dall’ozono, oppure

con un semplice danno da carenza idrica. In

caso il sintomo sia ozone-like la clorosi

inizialmente è presente sulla sola pagina

superiore. Le aree clorotiche risultano

solitamente localizzate nelle parti internervali e

spesso si sviluppano a partire dal margine

apicale della foglia, mentre le nervature fogliari

conservano il colore verde intenso.

Foto 11 – Clorosi generalizzata su foglie di ailanto (Ailanthus altissima)

22

Foto 12 – Necrosi su pagina superiore di lantana (Viburnum lantana)

Le puntinature necrotiche o necrosi sono

chiazze di aspetto puntiforme oppure di macchia

con forma poligonale più o meno irregolare che,

in caso di danno acuto, incrementano

l’estensione sino a confluire formando un’unica

macchia. Anche il colore delle necrosi cambia in

funzione dell’intensità del sintomo: si passa dal

giallo (lisi della clorofilla nelle cellule del

mesofillo a palizzata), al rosso (accumuli di

antociani nelle cellule del mesofillo a palizzata),

sino al marrone scuro quasi nero per la presenza di accumuli di tannini ed il collasso delle pareti

cellulari a livello del mesofillo a palizzata.

Le necrosi possono essere confuse ad una prima analisi con danni da agenti biotici. In questo

caso però il sintomo si rileverebbe anche sulla pagina inferiore e sulle nervature, mentre quando il

danno è solo causato dall’ozono le necrosi si manifestano solo sulla pagina superiore e tra le

nervature della foglia.

Uno degli effetti che permette di capire a livello

macroscopico se le necrosi sono dovute a danni

ozone-like è l’effetto ombra: gli arrossamenti o

gli imbrunimenti si presentano solo sulla

porzione di foglia esposta alla luce, mentre

quella in ombra, nascosta ad esempio da

un’altra foglia, rimane di colore inalterata.

Foto 13 – Effetto ombra su pagina superiore di Cotoneaster sp.: la porzione di foglia esposta al sole risente degli effetti dell’ozono manifestando un arrossamento, mentre la porzione nascosta da un’altra foglia mantiene il colore inalterato.

23

2.1.4.2. Alterazioni invisibili o microscopiche. Sono rappresentate dai sintomi riscontrabili solo con l’analisi microscopica.

Il primo microscopio utilizzato è

lo stereomicroscopio che

permette di osservare il

campione fogliare intero e di

visualizzare la presenza di insetti

o fruttificazioni fungine.

Foto 14 – Stereomicroscopio collegato al monitor da cui si possono eseguire foto e stampe di ciò che si analizza.

Foto 15 – Microscopio ottico da cui si possono esaminare i campioni sotto forma di sezione.

Si passa poi all’osservazione delle

sezioni fogliari al microscopio ottico, il

quale permette di capire con maggior

certezza se il sintomo è ozone-like. Infatti,

nel caso in cui il danno sia causato

dall’ozono, si noterà un’alterazione a

livello del mesofillo a palizzata

consistente in una decolorazione delle

cellule per svuotamento delle stesse e in

un accumulo di pigmenti di varia natura

che coloreranno le cellule di rosso in caso

di antociani e di bruno-nerastro in caso di

tannini. L’epidermide superiore rimane

inalterata; in caso contrario sono

sicuramente intervenuti altri agenti di

danno (ad esempio eccessi di luce).

Foto 16 – Sezione al microscopio ottico di frassino maggiore (Fraxinus excelsior): le epidermidi sono intatte, così come il mesofillo lacunoso che mantiene la colorazione verde data dai cloroplasti, mentre il mesofillo a palizzata mostra svuotamento delle cellule dalla clorofilla (cellule ingiallite, imbrunite) e accumulo di pigmenti.

24

Queste alterazioni non visibili ad occhio nudo portano scompensi a livello biochimico riscontrabili in

alterazioni della fotosintesi e quindi nella riduzione degli scambi gassosi. L’ozono, difatti, può

determinare limitazioni di natura stomatica e/o mesofillica all’assorbimento dell’anidride carbonica

(CO2). Altri problemi si riscontrano a livello di fissazione di CO2 causati dall’alterazione strutturale

dell’enzima deputato al processo di fissazione (la ribulosio-difosfato carbossilasi-ossidasi,

RubiscCO).

Gli effetti negativi a carico della fotosintesi comprendono anche lesioni alle membrane tilacoidali e

altre alterazioni strutturali dei cloroplasti, nonché la citata distruzione dei pigmenti clorofilliani, con

conseguente collasso delle cellule, svuotamento delle stesse dalla clorofilla e quindi

decolorazione.

2.2 Effetti sulla salute umana

Fig. 8 – Polmone umano

I principali effetti dell'O3 si evidenziano a

carico delle vie respiratorie dove si ha

l'induzione di una risposta infiammatoria ed

alterazioni della permeabilità sia degli epiteli

di rivestimento che degli endoteli vascolari.

L'insieme di queste alterazioni determina

una riduzione della funzione polmonare, la

comparsa di iper-reattività bronchiale fino

alla possibile insorgenza di edema

polmonare.

Altri effetti possono essere l’insorgenza di cefalee, di insonnia, di patologie epiteliari come eczemi,

o addirittura forme tumorali.

L'induzione di una risposta infiammatoria a carico delle vie respiratorie in seguito ad esposizione

ad O3 è indicata da vari studi sperimentali. In particolare, si ritiene che tale gas inquinante induca

una risposta flogistica attraverso i tre seguenti meccanismi:

a) modificazione della permeabilità cellulare per fenomeni di perossidazione dei lipidi di

membrana;

b) alterazioni della permeabilità delle vie respiratorie per azione distruttiva diretta sui componenti

citoscheletrici cellulari;

c) rilascio da parte delle cellule epiteliali ed endoteliali del microcircolo alveolare di vari mediatori

pro-infiammatori.

Alcuni Autori, tuttavia, ritengono che le concentrazioni di ozono che si raggiungono, dopo

inalazione, a livello delle vie aeree inferiori non siano sufficienti per indurre di per se stesse un

danno diretto sulle mucose respiratorie. In tal caso è stato ipotizzato che a basse concentrazioni

l'ozono potrebbe modificare, per fenomeni di ossidazione, i componenti molecolari del sottile strato

25

di muco che riveste le vie respiratorie con conseguenti alterazioni della sua viscosità (modificazioni

qualitative delle glicoproteine del muco, fenomeni di ipersecrezione delle muco-proteine, ipertrofia

ed iperplasia delle cellule e delle ghiandole mucipare) e formazione di composti tossici secondari

dotati di attività pro-infiammatoria.

Fra i vari accorgimenti che si possono prendere per evitare danni, c’è in primo luogo la riduzione

all’esposizione all’ozono, soprattutto per le categorie più a rischio (anziani, bambini, soggetti

asmatici o con patologie polmonari o cardiologiche) e nelle ore più calde della giornata in cui sono

più elevate le concentrazioni di ozono.

Inoltre si possono adottare alcuni accorgimenti di natura dietetica. Infatti l'esposizione all’ozono

riduce le concentrazioni di sostanze antiossidanti sia a livello del muco delle vie respiratorie che a

livello plasmatici; quindi la presenza di antiossidanti rappresenta uno dei principali meccanismi di

difesa del nostro organismo nei confronti dell'azione lesiva di sostanze ossidanti come l'ozono.

Pertanto, potrebbe essere utile integrare la dieta, soprattutto nei mesi estivi, con alimenti ricchi di

sostanze dalle proprietà riducenti, come:

- acido ascorbico o vitamina C, presente in

agrumi, ribes, fragole, frutta in genere,

pomodori, peperoni, varie verdure fresche,

patate; Foto 17: Frutta. Foto 18: Verdura.

Foto 19: Girasole Foto 20: Pannocchie di mais

- vitamina E o tocoferolo, che costituisce la

prima linea di difesa contro la perossidazione

dei lipidi di membrana, presente in germogli di

grano, semi di girasole, olio di soia o di mais

crudi, olio di fegato di merluzzo;

Selenio, componente integrale dell'attività

dell'enzima glutatione perossidasi coinvolto nella

riduzione dell'acqua ossigenata ad acqua, oltre

a rappresentare una seconda linea di difesa

contro la formazione di perossidi prima che

questi danneggino le membrane cellulari,

favorisce l'assorbimento intestinale di vitamina

E. Questo oligoelemento è contenuto soprattutto

nel pesce e nella crusca.

Foto 21: Pesce Foto 22: Crusca

26

PARTE II – STUDI IN PIEMONTE

CAPITOLO 3. Il primo progetto Interreg ed i lavori precedenti 3.1 - I lavori precedenti Alla fine degli anni ’70 in vaste aree dell’Europa centrale e del Nord America hanno iniziato a

manifestarsi deperimenti della vegetazione forestale con sintomi diversi da quanto sino ad allora

conosciuto.

I sintomi più ricorrenti erano:

• riduzioni dell’accrescimento, decolorazione e riduzione di superficie fogliare, senescenza

precoce, diminuzione della biomassa radicale, arresto dello sviluppo diametrico,

disseccamento di parti della chioma;

• anomalie dell’accrescimento: caduta di foglie verdi, emissione di rami avventizi, eccessive

fioritura e fruttificazione.

La novità è stata che nessuno dei fattori di stress “classico” (biotico o abiotico) poteva – per lo

meno da solo – essere individuato come responsabile.

I primi studi in Italia sono stati eseguiti in Toscana (abetine di Vallombrosa), in Valle d’Aosta, in

Trentino e in Friuli Venezia Giulia. In Piemonte, le prime indagini sono state compiute nelle Valli

Ossolane alla fine degli anni ’80. All’epoca si osservarono danni su abeti rosso e bianco (Picea

abies e Abies alba), pino silvestre (Pinus sylvestris) e faggio (Fagus sylvatica).

Tra i progetti promossi dalla Regione Piemonte e cofinanziati dall’Unione Europea e dal Ministero

per le Politiche Agricole emergono:

• “Caratterizzazione ecologica di stazioni forestali in via di deperimento – Piemonte” (1989-

1991)

• “Caratterizzazione ecologica e monitoraggio dei boschi” (1992-97)

I progetti sono stati coordinati dalla Regione Piemonte – Assessorato Economia Montana e

Foreste, Settore Politiche Forestali, che ne ha affidato l’esecuzione all’I.P.L.A. S.p.A..

Tra i siti di studio scelti nelle principali aree forestali della Regione, uno è stato localizzato sulla

Collina torinese, nella Località Millerose ai piedi della Collina di Superga, dove i danni erano

riscontrati soprattutto a carico della robinia (Robinia pseudoacacia).

Le attività previste consistevano in:

1. Misurazione della qualità delle deposizioni atmosferiche:

• raccolta delle deposizioni atmosferiche umide e secche mediante campionatori appositi

(denominati Wet and dry);

27

• misurazione dei principali parametri: pH, conducibilità elettrica, presenza di metalli,

cationi, anioni, carbonati e bicarbonati, ossidrili.

2. Caratterizzazione patologica, fitosociologica e pedologica:

• apertura di una buca pedologica e lettura del profilo;

• prelievo di campioni di suolo, loro analisi e descrizione;

• descrizione del popolamento forestale (trattamento, turno, valenza, interventi e

avversità pregresse);

• controllo delle fitopatie presenti.

3. Lettura delle chiome: eseguita mediante la metodica definita e consigliata dall’U.E. su 100

piante della medesima specie per ciascuna stazione, si basa sull’attribuzione di una classe

di danno (determinata da grado di defogliazione e di scoloramento) tra le seguenti:

Classe 0: pianta sana

Classe 1: pianta leggermente danneggiata (sintomi compresi entro margini di oscillazione

fisiologici e reversibili)

Classe 2: pianta con danno medio, normalmente non recuperabile nell’arco di una stagione

vegetativa

Classe 3: pianta con danno grave, non più in grado di recuperare fino alla classe zero

Classe 4: pianta morta

Per ogni singola pianta viene annotata la presunta origine del danno (cause ignote, note o

combinazione delle due).

4. Analisi dendrologica:

• misurazione degli incrementi su 20 piante campione per stazione sperimentale

mediante carote radiali;

• elaborazioni degli accrescimenti al fine di correlare la crescita delle piante e la loro

reazione agli stress subiti.

5. Analisi fogliari:

• prelievo di campioni fogliari nella stagione estiva effettuato secondo la metodologia

dell’ICP-Forests;

• le piante campionate (4 per stazione) dovevano presentare condizioni di deperimento

medie rispetto alla situazione della stazione.

Le conifere in generale sono risultate in buone condizioni. La specie più danneggiata era la robinia

nella stazione di Torino (maggior frequenza di piante in classe 3); seguiva la rovere, sempre a

Torino.

I principali sintomi di deperimento osservati sulla Collina Torinese sono stati:

• microfillia soprattutto apicale, mentre i ricacci avventizi parzialmente ombreggiati possono

presentare notevole vigore;

• mancata schiusura delle gemme apicali;

28

• clorosi internervali anche molto marcate;

• cascola foglie gialle a partire da giugno, indipendentemente dalla piovosità;

• diradamento della chioma e progressivo die-back (morte a ritroso, iniziando dal cimale);

• alla morte della pianta, nel caso della robinia, mancata emissione dei tipici polloni radicali

(di solito abbondantissimi e molto vigorosi).

Le cause contribuenti a questi fenomeni sono state individuate in:

• stress idrico stagionale (piovosità media annua: circa 900 mm; minimo di 720 mm

riscontrato nell’anno 1997 – primavera siccitosa);

• precipitazioni acide (pH tra 4,7 e 5,4): l’ordine di grandezza è simile a quello riscontrato nel

sud della Scandinavia e nel Nord –Est degli USA (primi effetti dell’acidificazione!);

• scarsa capacità del suolo della stazione di tamponare l’acidità delle deposizioni, per lo

meno a lungo termine;

• presenza massiccia di due funghi ad attività parassitica, del genere Armillaria (A. gallica e

A. mellea) sugli apparati radicali;

• altre cause non del tutto note, quali l’O3, abbondante sulla Collina Torinese per la vicinanza

alla città.

Quest’ultimo composto, l’ozono, con concentrazioni in aumento nel corso degli ultimi anni, ha

suscitato l’interesse dei ricercatori, avendone verificato l’amplissima distribuzione anche lontano

dalle sorgenti di emissione, nonché la sua attività tossica sui vegetali.

3.2 - Il primo progetto Interreg Essendo il deperimento delle foreste un problema transfrontaliero, come d’altronde la causa

supposta, legata all’inquinamento, si è cercata la collaborazione internazionale per poter meglio

comprendere le dimensioni del fenomeno, la sua estensione territoriale e le possibili variazioni

dovute a differenti condizioni ambientali, ampliando anche in tal modo il ventaglio delle specie

osservate. Il lavoro in équipe presenta inoltre un innegabile vantaggio per il fatto che l’argomento

degli studi era decisamente innovativo e quindi scarsa l’esperienza in merito, con conseguenti

maggiori difficoltà d’interpretazione dei fenomeni osservati.

Gli obiettivi del progetto “Studio dell’impatto e della concentrazione di ozono su differenti specie

vegetali presenti nelle regioni mediterranee” (Interreg II Italia-Francia) erano:

- l’individuazione delle specie sensibili all’ozono in Piemonte;

- l’individuazione in campo di sintomi ozonosimili, detti ozone-like;

- la messa a punto di un protocollo di analisi di laboratorio:

- l’informazione e la sensibilizzazione del pubblico.

29

Si è trattato di un progetto cui hanno partecipato Italia e Francia, iniziato nella primavera del 1999

e ultimato nell’autunno 2001, con partner l’I.P.L.A. S.p.a. (Istituto per le Piante da Legno e

l’Ambiente), il G.I.E.F.S. (Groupe International d’Etudes des Forêts Subalpines) e QUALITAIR 06.

Le attività svolte sono state:

− raccolta dei dati di concentrazione d’ozono, presenza danni e lettura delle chiome;

− verifiche di laboratorio;

− elaborazione dei dati;

− comunicazione dei risultati.

3.2.1– Raccolta dei dati Da entrambi i lati della frontiera si sono svolte azioni simili; più specificamente in Piemonte si sono

articolate nelle seguenti fasi:

1 Preparazione e scelta dei siti.

La selezione dei siti di monitoraggio per il posizionamento dei campionatori passivi, è avvenuta

sulla base dei seguenti elementi, collegialmente individuati tra i partner del progetto:

- rappresentatività delle parcelle scelte rispetto ai principali tipi forestali presenti sul territorio;

- inclusione di specie forestali segnalate come sensibili ai danni da ozono (abete bianco,

pino silvestre, robinia);

- quote ed esposizioni diverse tra siti;

- esclusione delle stazioni troppo aride, essendo la disponibilità idrica un fattore essenziale

per il manifestarsi dei sintomi.

In totale sono state scelte 24 stazioni differenti così ripartite nelle varie località:

- 9 in Valle Stura, di cui 4 forestali;

- 10 in Valle Susa, di cui 6 forestali;

- 5 sulla Collina torinese, di cui 2 forestali.

30

La tabella che segue elenca le stazioni di monitoraggio con le caratteristiche di tipologia (forestale

o no), codice identificativo, comune, località, altitudine, esposizione, giacitura e posizione della

stazione stessa.

Cod. Comune Località Quota m Esp. Giacitura / Posizionamento

VALLE STURA DI DEMONTE

ST01 Demonte Strada per Colle dell’Ortica

1280 S Medio versante / Margini di bosco di faggio

ST02 Valdieri Madonna del Colletto 1304 SW Colle / Radura in bosco di faggio ST03 Demonte Demonte 770 N Fondovalle / Prato pascolo

montano ST04 Pietraporzio Tra Pietraporzio e

Sambuco 1565 NE Fondovalle / Medio versante

ST05 Pietraporzio Bosco Balour 1465 N-NE Medio versante / Bosco di abete bianco

ST06 Pietraporzio Piano Balour 1800 NE Cresta laterale / Bosco di abete bianco

ST07 Pietraporzio Castello 1554 SW Medio versante / Bosco di pino silvestre

ST08 Pietraporzio Bersezio 1650 N Fondovalle / Prato pascolo alpino ST09 Argentera Colle della Maddalena 1993 NE Colle / Prato pascolo alpino

VALLE DI SUSA

SU01 Casellette incrocio SS n° 24 e strada per Milanere

340 W Fondovalle / Margini di bosco di robinia

SU02 Sant’Ambrogio Ai piedi della cava del M. Pirchiriano

360 N Fondovalle / Margine di bosco di robinia

SU03 Avigliana Sacra S. Michele 894 E Colle / Bosco di faggio e robinia SU04 Meana di Susa str. per Colle delle

Finestre 1114 N Medio versante / Bosco di pino

silvestre SU05 Meana di Susa Colle delle Finestre 2177 S Colle / Prato pascolo alpino SU06 Mompantero bivio str. per il rifugio

Ca’ d’Asti e Forte Pampalù

1558 S Medio versante / Bosco di pino silvestre

SU07 Mompantero bivio str. per il rifugio Ca’ d’Asti e Forte Pampalù – fuori bosco

1520 S Medio versante / Radura nel bosco di pino silvestre

SU08 Mompantero Rif. La Riposa 2155 SE Colle / Prato pascolo alpino SU09 Susa Susa 500 N Fondovalle / Prato pascolo SU10 Moncenisio Moncenisio – SS, 4 Km

prima del colle 1450 W Cresta laterale / Margini del bosco

di pino silvestre

COLLINA DI TORINO

CL01 Torino Azienda Agricola Millerose (stalla)

289 NW Medio versante / Bosco di robinia

CL02 Torino Azienda Agricola Millerose (analizzatore)

245 NW Medio versante / Prato pascolo collinare

CL03 Torino Basilica di Superga 660 NW Crinale / Bosco di robinia CL04 Pino torinese Osservatorio

Astronomico 610 _ Crinale / Bosco misto

CL05 Chieri Cascina Grondana 327 NW Medio versante

31

Nella seguente cartina è possibile osservare le aree oggetto di studio in cui sono stati posizionati i

campionatori passivi durante il lavoro.

32

1. Misura della concentrazione di ozono.

Le misure delle concentrazione di ozono sono state effettuate con i dati ottenuti dai campionatori

passivi di ozono collocati nelle 24 stazioni sopra elencate, con le misure dell’analizzatore di ozono

dell’I.P.L.A. S.p.A. posizionato nell’estate del 2000 presso la frazione Ferrere di Argentera in Valle

Stura di Demonte, spostato poi dall’autunno del 2000 presso la stazione di rilievo di Millerose.

I controlli con i campionatori passivi sono stati effettuati per cinque mesi consecutivi, da maggio a

settembre, negli anni 2000 e 2001.

I campionatori passivi, posizionati nelle stazioni di monitoraggio, sono stati sostituiti mensilmente

e, una volta ritirati, spediti al laboratorio per l’estrapolazione del dato relativo alla concentrazione di

ozono.

Dall’analizzatore di ozono si sono ricavati dati di concentrazione di ozono su base oraria nei due

anni di monitoraggio (2000 e 2001).

2. Monitoraggio dei danni e dei sintomi

Sono stati eseguiti rilievi mensili dei sintomi sulla vegetazione spontanea nelle stazioni di controllo.

I rilievi per il controllo dei sintomi sulla vegetazione spontanea sono iniziati con il mese di maggio,

in concomitanza col posizionamento dei campionatori passivi per l’ozono, intensificandosi nei mesi

di agosto e settembre.

Le parti di piante recanti sintomi ozone-like sono state prelevate per il controllo in laboratorio.

Inoltre nelle stazioni forestali sono state scelte 20 piante arboree, tra quelle dominanti o

codominanti, per la lettura delle chiome secondo i parametri utilizzati per l’inventario dei danni alle

foreste previsti dalla normativa UE.

La lettura delle chiome consiste nella valutazione della defogliazione e dello scoloramento sulla

parte di chioma in luce, assegnando valori percentuali (secondo classi che vanno di 5 in 5) a

seconda della gravità del danno.

Sono stati infine indicati i tipi di danno, se conosciuti (danno da insetto, fungo o da agenti

sconosciuti), la lesione presente e la sua sintomatologia (arresto crescita apicale, irregolarità delle

ramificazioni etc.).

3.2.2. Studi e controlli di laboratorio I campioni recanti sintomi sospetti, raccolti durante i sopralluoghi in campo, sono stati analizzati in

laboratorio dove sono stati descritti, fotografati e inseriti nella banca dati.

Le analisi di laboratorio hanno comportato l’applicazione di tecniche diagnostiche specialistiche.

Le osservazioni dei sintomi visibili, sono state eseguite mediante l’utilizzo dello stereomicroscopio

munito di illuminazione a luce trasmessa in campo chiaro, illuminatore a fibre ottiche e fotocamera

digitale. La diagnosi della sintomatologia ozone-like è stata effettuata a seguito dell’individuazione

di alcune alterazioni patogenetiche della lamina fogliare superiore: clorosi localizzata e/o

generalizzata, presenza di punteggiature di colore bianco, bruno o rosso, formazioni di aree

necrotiche di colore metallico e marrone, imbrunimenti internervali. I campioni fogliari sono stati

33

successivamente sottoposti ad analisi morfologica strutturale, mediante l’allestimento di sezioni di

tessuto fogliare al fine di osservare le eventuali degenerazioni del tessuto a palizzata.

3.2.3. Elaborazione dei dati Le indagini di campo, come pure le analisi di laboratorio, hanno permesso di identificare danni di

tipo ozone-like su alcune specie vegetali presenti nelle diverse stazioni di studio. Sulla base

dell’analisi dei dati raccolti, è stata verificata l’esistenza di una possibile correlazione tra i riscontri

patologici e le concentrazioni di ozono registrate durante i cinque mesi di monitoraggio.

3.2.4. Risultati Dal confronto fra i dati raccolti dai campionatori passivi e dagli analizzatori di ozono e i campioni

vegetali raccolti in campo e analizzati in laboratorio sono emerse alcune considerazioni:

- nella zona della Collina di Torino, area che subisce fortemente l’influenza degli inquinanti

provenienti dalla città, i valori più elevati sono stati registrati a Superga (CL03);

- in Valle di Susa, le stazioni con maggiori concentrazioni di ozono e con specie presentanti

maggiori sintomi sono risultate la Sacra di San Michele (SU03) (che subisce anch’essa

l’influenza dell’inquinamento urbano) e stazioni di alta montagna come la stazione di Moncenisio

(SU10);

- in Valle Stura di Demonte le stazioni con maggiori sintomi e concentrazioni sono risultate stazioni

di alta montagna come quella del Colle della Maddalena (ST09) e della Madonna del Colletto

(ST02).

Dallo studio si sono ottenute due importanti conferme:

− la presenza di ozono a livelli significativi di potenziale danno alla vegetazione anche in aree

remote

− la presenza di effettivi danni ozone-like sulla vegetazione, su molte specie già segnalate o

meno per la loro sensibilità a questo gas.

La difficoltà di individuare i sintomi dovuti all’ozono in campo (soprattutto per piante di notevole

altezza) dovuta alla loro somiglianza con altri sintomi magari contemporaneamente presenti,

rappresenta un notevole ostacolo all’ampliamento delle conoscenze sull’effettiva portata del

possibile impatto dell’ozono sui vegetali.

Il danno si manifesta infatti prevalentemente sulle parti di chioma in luce, e per gli alberi di

notevole sviluppo l’osservazione è difficile; manca inoltre sinora la possibilità di individuare stress

da ozono nelle prime fasi, ed anche in fasi più avanzate la loro identificazione certa non è facile in

quanto il gas non lascia tracce univoche nell’elemento danneggiato.

Sul lato francese, dove le osservazioni sono state condotte su un numero maggiore di punti di

osservazione, è stata osservata una correlazione fra il grado di deperimento delle specie

34

osservate ed i tenori in ozono (soprattutto per pino silvestre e pino cembro, mentre la terza specie,

il pino d’Aleppo, era presente su poche stazioni per poter fare elaborazioni statistiche).

L’approfondimento delle osservazioni diagnostiche, dei rilievi in località remote abbinati ad

elaborazioni modellistiche, rappresentano due passi obbligati per meglio circoscrivere il fenomeno.

A questo proposito lo studio di possibili marcatori di stress specifici, ma anche l’approfondimento

della comprensione del meccanismo di azione del gas e della risposta metabolica del vegetale,

possono risultare particolarmente importanti.

Come ultima considerazione, si deve citare la risonanza internazionale avuta dallo studio, che ha

permesso di stringere rapporti fattivi con i principali centri europei impegnati sull’argomento,

ponendo le basi per lo sviluppo di azioni tracciate in un quadro ben più ampio e sinergico,

nell’ambito di uno spirito di piena collaborazione.

35

CAPITOLO 4. Il secondo progetto Interreg Il risalto avuto dal primo progetto Interreg, e la rete di contatti formatasi, ha permesso di formulare

una proposta più ampia, per approfondire le linee di studio individuate, ampliando anche

territorialmente il campo delle osservazioni, grazie al coinvolgimento, oltre ai precedenti attori, di

uno dei più prestigiosi Istituti europei che si occupano dell’argomento, il CEAM (Centro de

Estudios Ambientales del Mediterraneo) di Valencia, ma anche del Parco Nazionale del

Mercantour in Francia, dell’ARPA Piemonte e del Centro Nazionale delle Ricerche – Istituto di

Protezione delle Piante di Firenze. La presentazione della proposta ed il successivo

coordinamento del progetto For.Med.Ozone (Interreg III B – Medocc) sono stati svolti dalla

Regione Piemonte, Direzione Economia Montana e Foreste, Settore Politiche Forestali.

4.1 - Finalità Gli obiettivi del progetto erano:

- il miglioramento della conoscenza della diffusione dell’ozono sul territorio, soprattutto

rurale;

- l’individuazione di sintomi ozone-like sulle specie spontanee (e non) presenti sul territorio;

- il miglioramento dei sistemi di modellizzazione che permettono la previsione della

distribuzione del gas sul territorio regionale, e quindi la previsione dei rischi attesi;

- l’informazione e la sensibilizzazione del pubblico.

Si è trattato di un progetto in cui hanno lavorato tre Paesi, Italia, Francia e Spagna, iniziato nella

primavera del 2002 e ultimato nell’autunno 2004. Per quanto concerne la parte italiana, il lavoro è

stato svolto dall’I.P.L.A. S.p.a. (Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente), dall’Arpa Piemonte

(Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) con gli allora dipartimenti di Grugliasco e di

Ivrea e dall’IPP (Istituto per la Protezione delle Piante) del CNR di Firenze.

Il gruppo internazionale ha permesso, come già in precedenza, di raccogliere maggiori esperienze

ma anche si sfruttare conoscenze specifiche o più approfondite che da un partner sono state

trasmesse agli altri. Egualmente la dotazione di alcuni dei partecipanti in strumentazioni ed

apparecchiature specifiche, ha permesso di svolgere studi e prove più approfonditi a vantaggio di

tutti (ad esempio prove di fumigazione condotte dal CEAM, oppure trattamenti in camere ad

atmosfera controllata condotte dall’IPP-CNR, verifiche di sensibilità di provenienze diverse di una

stessa specie forestale, etc.).

4.2 – Attività svolte in Italia

Le attività in Italia hanno riguardato 3 ambiti principali:

- monitoraggio (raccolta dei dati di concentrazione d’ozono, presenza danni e lettura delle

chiome, verifiche di laboratorio ed elaborazione dei dati);

36

- fumigazioni in atmosfera controllata di esemplari di Fraxinus excelsior e di Fraxinus ornus

di provenienze piemontesi e toscane;

- modellistica delle concentrazioni attese

4.3. Monitoraggio 4.3.1. Raccolta dei dati In Piemonte l’attività è stata svolta dall’I.P.L.A. S.p.A. di Torino e dall’Arpa Piemonte e

sostanzialmente si è articolata nelle seguenti fasi:

1 Preparazione e scelta dei siti.

La selezione dei siti di monitoraggio per il posizionamento dei campionatori passivi, è avvenuta

nuovamente sulla base dei criteri del precedente lavoro, ampliando tuttavia la gamma delle specie

arboree sensibili in osservazione specifica, includendo il frassino maggiore, specie di notevole

importanza forestale ma anche decisamente sensibile all’ozono.

Come accennato in precedenza anche gli areali di osservazione si sono ampliati, e delle

osservazioni ad hoc sono state eseguite anche su stazioni di rilievo da un punto di vista forestale,

ovvero dove erano stati individuati dei popolamenti da seme d’interesse regionale o nelle loro

vicinanze.

In totale sono state scelte 28 stazioni differenti così ripartite nelle varie località:

- 1 in Valle Pesio (forestale) nel 2003, sostituita da 1 in Valle Varaita nel 2004;

- 6 in Valle Stura, di cui 4 forestali;

- 6 in Valle Susa, di cui 4 forestali, nel 2003 portate a 7 nel 2004;

- 1 in Valle Curone e Borbera (forestale) solo nel 2003;

- 1 alle Lame del Sesia, Arborio (forestale);

- 5 sulla Collina torinese, di cui 2 forestali ;

- 5 in Valle Orco;

- 3 in Valle Soana.

37

La tabella sottostante riporta le stazioni con la loro localizzazione e le loro caratteristiche salienti.

Cod. Comune Località Quota m Esp. Coordinate

UTM Vegetazione Bosco da

seme

VALLE STURA

ST01 Demonte Colle dell’Ortica 1773 - 0364094E/4913031N

Prateria subalpina acidofila Caricetea curvulae

ST02 Valdieri Madonna del Colletto 1304 SW 0370234E/4904885N

Faggeta mesotrofica (Fagion)

ST03 Pietraporzio Bosco Balour 1465 N-NE

0342593E/4911939N

Abetina eutrofica (Fagion)

X

ST04 Pietraporzio Piano Balour 1800 NE 0342353E/4911407N

Abetina eutrofica (Fagion)

X

ST05 Pietraporzio Castello 1554 SW 0343118E/4912973N

Pineta endalpica mesoxerofila di pino silvestre (Ononido-Pinion)

ST06 Argentera Colle della Maddalena 1993 NE 0332775E/4921129N

Prateria subalpina basifica (Elyno-Seslerietea)

VALLE SUSA

SU01 Caselette incrocio SS n° 24 e strada per Milanese

340 _ 0378868E/4994775N

Robinieto

SU02 Sant’Am-brogio

Sacra S. Michele 894 E 0369636E/4995107N

Faggeta oligotrofica (Luzulo-Fagion)

SU03 Meana di Susa

str. per Colle delle Finestre

1114 N 0347699E/4997100N

Pineta mesalpica basifila di pino silvestre (Erico-Pinion)

SU04 Meana di Susa

Colle delle Finestre 2177 S 0346853E/4992984N

Prateria subalpina basifica (Elyno-Seslerietea)

SU05 Mompantero bivio str. per il rifugio Ca’ d’Asti e Forte Pampalù

1558 S 0346419E/5003466N

Pineta mesalpica basifila di pino silvestre (Erico-Pinion)

X

SU06 Mompantero Rif. Ca’ d’Asti 2155 SE 0349369E/5004882N

Prateria subalpina basifica (Elyno-Seslerietea)

COLLINA DI TORINO

CL01 Torino Azienda Agricola Millerose (stalla)

289 NW 0401151E/4993317N

Prato-pascoli del piano basale (Arrhenatheretalia)

CL02 Torino Azienda Agricola Millerose (analizzatore)

245 NW 0401114E/4993746N

Robinieto

CL03 Pino torinese Osservatorio Astronomico

610 _ 0402613E/4988385N

Querceto di rovere a Physospermum cornubiense dei rilievi collinari interni variante con castagno (Carpinion - Quercion pubescenti-petraeae)

CL04 Chieri Cascina Grondana 327 NW 0408306E/4988343N

Associazioni di piante nitrofile annuali degli ambienti antropizzati (Secalinetea – Chenopodietea)

CL05 Chieri periferia SE Strada Valle Pasano (casa privata)

295 S 0407475E/4986002N

Associazioni di piante nitrofile annuali degli ambienti antropizzati (Secalinetea – Chenopodietea)

VALLE PESIO

PE01 Chiusa Pesio Pian delle Gorre 990 _ 0392942E/48 Acero-tiglio-frassineto di X

38

96905N forra (Tilio-Acerion)

LAME DEL SESIA

SE01 Arborio 184 _ 0452893E/5039028N

Querco-carpineto della bassa pianura variante con frassino (Carpinion – Alno-Ulmion)

VALLE VARAITA

VALLE BORBERA

BO01 Mongiardino ligure

609 W 0504922E/4943202N

Querceto mesoxerofilo di roverella dei rilievi collinari interni e dell’Appennino (Cytiso sessilifolii-Quercion pubescentis)

VALLE SOANA

SO01 Ronco C.se Piamprato 1560

0388698/5045989

Margine di prato-pascolo in prossimità di Frassino maggiore

SO02 Ronco C.se Chiesale 1190 0386760/5042770

Margine di bosco msito

SO03 Ronco C.se Forzo 1175

0381946/5041297

Margine di prato-pascolo in prossimità di Frassino maggiore

VALLE ORCO

O01 Locana Piantonetto 1165 0374329/5035043

Boscaglia pioniera di invasione

O02 Locana Fornolosa 815 0373160/5032274

Prato per la fienagione a margini di bosco

O03 Noasca Noasca 955

0369869/5033877

Margini boscaglia vicino a un prato per la fienagione

O04 Ceresole Ceresole 1605 0361638/5032843

Margini di bosco presso la strada principale

O05 Ceresole Colle del Nivolet 2490 0355406/5037630

Conca di un piccolo rio

Foto 23 – Colle della Maddalena, una delle stazioni di monitoraggio in Valle Stura di Demonte (CN)

Foto 24 – Pietraporzio, località Castello, una delle stazioni di monitoraggio in Valle Stura di Demonte (CN)

39

Nella cartina sottostante sono riportate le aree oggetto di studio in cui sono stati posizionati i

campionatori passivi durante il lavoro.

2 Misura della concentrazione di ozono.

Le misure delle concentrazione di ozono sono state effettuate con i dati ottenuti dai campionatori

passivi di ozono collocati nelle 28 stazioni sopra elencate, con le misure dell’analizzatore di ozono

dell’I.P.L.A. posizionato presso una delle stazioni della collina di Torino ed i 28 analizzatori della

rete regionale dell’ARPA Piemonte.

40

Foto 25 – Stazione di Pietraporzio località Castello (Valle Stura di Demonte, CN), uno dei siti di monitoraggio.

Foto 26 – Stazione della Collina di Torino dove è stato posizionato l’analizzatore di ozono.

I controlli con i campionatori passivi sono stati effettuati per cinque mesi consecutivi, da maggio a

settembre, negli anni 2003 e 2004. I campionatori passivi, posizionati nelle stazioni di

monitoraggio, sono stati sostituiti mensilmente e, una volta ritirati, inviati al laboratorio per

l’estrapolazione del dato sulla concentrazione di ozono.

Dall’analizzatore di ozono si sono ricavati dati di concentrazione di ozono con registrazione oraria

per tutti i mesi nei tre anni di monitoraggio (2002, 2003, 2004).

Foto 27 – Colle del Lys, una delle stazioni di monitoraggio in Valle di Susa (TO)

Foto 28 – Strada per il Colle delle Finestre, una delle stazioni di monitoraggio in Valle di Susa (TO)

41

Foto 29 - Strada per il Rocciamelone, una delle stazioni di monitoraggio in Valle di Susa (TO).

Foto 30 – Osservatorio Astronomico di Pino Torinese, una delle stazioni di monitoraggio sulla collina di Torino.

3 Monitoraggio dei danni e dei sintomi

I danni da ozono sono stati identificati sulla base delle indicazioni fornite dal manuale dell’UE-ICP

Forests, le osservazioni in campo sono state eseguite secondo la metodologia comune adottata

dai partecipanti: lungo transetti di 200 m di lunghezza, localizzati nelle immediate vicinanze del

campionatore passivo, durante i mesi di agosto e settembre, si è effettuato il monitoraggio dei

sintomi e dei danni da ozono sulla vegetazione. Le parti di piante recanti sintomi ozone-like sono

state prelevate per l’analisi di laboratorio.

Foto 31 – Transetto in una delle stazioni di monitoraggio (Valle Pesio, CN).

Foto 32 – Foglia di Bidens frondosa con arrossamenti dovuti ad alterazioni di tipo ozone-like.

Inoltre nelle 20 stazioni forestali prescelte sono state nuovamente scelte 20 piante arboree, tra

quelle dominanti o codominanti, per la lettura delle chiome secondo i parametri utilizzati per

l’inventario dei danni alle foreste previsti dalla normativa UE.

La lettura delle chiome è stata eseguita nelle stazioni di seguito elencate.

42

Cod. Localizzazione stazione Lettura chiome (20 piante arboree) ST02 Valdieri - Madonna del Colletto Bosco di faggio 100 m a valle del campionatore a

margini strada che porta a Valdieri ST03 Pietraporzio – Bosco Balour Bosco di abete bianco sul versante a monte

rispetto al posizionamento del campionatore ST04 Pietraporzio – Piano Balour Bosco di abete bianco 50 m a valle del

campionatore al margine della strada di accesso al piano Balour

ST05 Pietraporzio - Castello Bosco di pino silvestre 500 m a monte del campionatore

SU01 Caselette - incrocio SS n° 24 e strada per Milanese

Bosco di robinie a margine della strada per Milanere 100 m in direzione NW dal campionatore (0378859E/4995125N)

SU02 Sant’Ambroio – Sacra S. Michele Al margine della faggeta lungo il viale pedonale che congiunge la Sacra di S. Michele e il piazzale

SU03 Meana di Susa – strada per Colle delle Finestre Nella pineta di pino silvestre sul lato orientale della strada (Colle delle Finestre-Meana di Susa) in corrispondenza del tornante su cui è posizionato il campionatore

SU05 Mompantero – bivio strada per il rifugio Ca’ d’Asti e Forte Pampalù

Nelle immediate vicinanze del campionatore sul lato orientale

CL02 Torino – Azienda Agricole Millerose (analizzatore) Nel bosco di robinia presente a NE della strada poderale poco a monte della casa coord (0401321E/4993494N)

CL05 Chieri – periferia SE strada Valle Pasano Bosco misto di latifoglie

VALLE PESIO

PE01 Chiusa Pesio – Pian delle Gorre Bosco di frassino maggiore a partire dal campionatore a monte di esso

LAME DEL SESIA

SE01 Arborio All’interno del bosco di frassino e farnia presente al margine orientale della radura

VALLE SOANA

SO01 Ronco Canavese - Piamprato Margine di prato-pascolo in prossimità di Frassino maggiore

SO02 Ronco Canavese - Chiesale Margine di bosco msito SO03 Ronco Canavese – Forzo Margine di prato-pascolo in prossimità di Frassino

maggiore

VALLE ORCO O01 Locana – Piantonetto Boscaglia pioniera di invasione O02 Locana – Fornolosa Prato per la fienagione a margini di bosco O03 Nasca Margini boscaglia vicino a un prato per la

fienagione O04 Ceresole Margini di bosco presso la strada principale In Toscana, durante l’estate 2003 e 2004, in due successive occasioni (fine giugno e fine agosto-

primi di settembre), L’IPP-CNR ha effettuato rilevamenti dei sintomi fogliari ozone-like sulla

vegetazione spontanea prossima a 3 centraline di misura dell’ozono poste in siti rurali: Carignano

(LU), Gabbro (LI), Settignano (FI). I tre siti sono risultati ben distinti per i livelli medi di O3, con

valori maggiori a Settignano, intermedi a Gabbro e minori a Carignano.

Le differenze tra i siti riguardano anche le condizioni ecologiche complessive, con una situazione

di elevata xericità a Gabbro e - in misura relativamente minore - a Settignano, e complessiva

43

mesofilia a Carignano. Di conseguenza, la vegetazione presente nei tre siti vede specie tipiche

ben diverse, con elevata frequenza di sclerofille sempreverdi a Gabbro e specie quercine a

Carignano. Il rilevamento dei sintomi ha riguardato due campionamenti per sito: un’area

dell’estensione di 1ha, dedicata alla quantificazione dei sintomi sulla vegetazione presente, senza

distinzione di presunta sensibilità; un’area dell’estensione di 4ha, dedicata al rilevamento

qualitativo sulle specie sensibili eventualmente presenti.

4.3.2. Controlli in laboratorio I campioni recanti sintomi sospetti, raccolti durante i sopralluoghi in campo, sono stati portati

presso il laboratorio dell’I.P.L.A. S.p.A. o dell’ARPA Piemonte dove sono stati descritti, fotografati e

inseriti nella banca dati.

Le analisi, quindi, sono state non il mezzo per individuare l’agente di danno, bensì l’ulteriore

conferma della validità diagnostica delle osservazioni effettuate in campo.

Nello specifico, in laboratorio si sono condotte osservazioni sia macroscopiche che microscopiche

relative ai fenomeni alterativi presenti a livello di lamina fogliare superiore ed inferiore.

L’utilizzo dello stereomicroscopio ha permesso di visualizzare l’eventuale presenza di attacchi da

insetti e di fruttificazioni fungine.

Nel caso di presenza di attacchi, è stato individuato l’agente patogeno e, per certi campioni, sono

state allestite camere di incubazione al fine di favorire la comparsa delle fruttificazioni dei miceti

per la loro successiva identificazione tassonomica.

In assenza di visibili esuvie di insetti e di residui miceliari fungini, è stata esaminata l’evoluzione

del danno, osservando entrambe le lamine fogliari: nel caso di sintomi ozone-like, infatti, le

superfici internervali della pagina superiore presentano necrosi più o meno puntiformi e confluenti,

mentre la lamina inferiore deve presentarsi fondamentalmente asintomatica.

L’evoluzione della sintomatologia riscontrata sui campioni, ossia la localizzazione dell’origine del

danno (a partire dalla parte apicale della foglia e/o dal margine fogliare e ancora a livello delle parti

fogliari più esposte alla luce) e la tipologia della necrosi sono state documentate fotograficamente

allo stereomicroscopio.

Successivamente, ogni campione fogliare è stato preparato per l’analisi microscopica. Le

osservazioni di tipo istologico sono risultate di fondamentale importanza ai fini della diagnostica dei

sintomi ozone-like. In particolare sono state esaminate le alterazioni delle cellule costituenti gli

strati epidermici e mesofillari della foglia.

Nell’allegato 3 dedicato alla documentazione fotografica sono riportate foto di foglie o loro

particolari con sintomi ozone-like, appartenenti a specie arboree, arbustive e erbacee, con loro

relativa foto della sezione al microscopio.

Inoltre, per rendere più chiare le differenze con i danni non causati da ozono, sono presenti anche

alcuni esempi di foglie che presentano sintomi ozone-like rivelatisi non tali al microscopio.

44

4.3.3. Risultati

Anche in queste campagne si sono potute notare delle interazioni fra presenza di sintomi e

concentrazioni misurate. Le variabilità fra le condizioni stazionali e dell’andamento climatico negli

anni, costituisce tuttavia un notevole limite alla verifica di correlazioni, come apparso ad esempio

nelle osservazioni condotte in Toscana.

Per quanto concerne il lavoro svolto in Piemonte, dal confronto fra i dati raccolti dai campionatori

passivi e dagli analizzatori di ozono e i campioni vegetali raccolti in campo e analizzati in

laboratorio sono emerse interessanti considerazioni.

45

Nella carta del Piemonte sottostante sono raffigurate le stazioni di monitoraggio con indicazione

delle fasce di concentrazione di ozono relative ai valori medi di 5 mesi (maggio-settembre 2003).

Come si può notare nel 2003 la stazione con valori più bassi è risultata essere quella della Valle

Pesio (PE01), mentre i valori più elevati sono stati registrati in Valle Soana (SO01, SO02, SO03),

in Valle Orco (O01 e O05) e Valle Stura (ST01, ST02, ST03, ST04, ST05 e ST06).

Classi di concentrazione dell’ozono (ICP-Forest level II Network)

Fig 9 – Valori medi concentrazione ozono maggio-settembre 2003.

I II III IV V VI < 30 ppb > 30 - < 45 ppb > 45 - < 60 ppb > 60 - < 75 ppb > 75 - < 90 ppb > 90 ppb

46

Nella carta del Piemonte sottostante sono raffigurate le stazioni di monitoraggio con indicazione

delle fasce di concentrazione di ozono relative ai valori medi di 5 mesi (maggio-settembre 2004).

Classi di concentrazione dell’ozono (ICP-Forest level II Network)

Fig 10 - Valori medi concentrazione ozono maggio-settembre 2004.

Come si può notare dal confronto delle due carte, nel 2004 si sono registrati valori di

concentrazione di ozono inferiori rispetto al 2003, connessi ad un andamento climatico differente

(minori temperature ed insolazione).

Sono state confermate alcune delle osservazioni fatte nel corso del precedente progetto: nella

zona della Collina di Torino, area che subisce fortemente l’influenza degli inquinanti derivati dalla

I II III IV V VI < 30 ppb > 30 - < 45 ppb > 45 - < 60 ppb > 60 - < 75 ppb > 75 - < 90 ppb > 90 ppb

47

città, i valori più elevati si sono riscontrati presso la tenuta Millerose (CL01 e CL02), stazione dove

sono stati rilevati numerosi campioni con sintomatologia ozone-like. Anche in Valle di Susa, le

stazioni con maggiori concentrazioni di ozono e con specie presentanti maggiori sintomi sono

risultate la Sacra di San Michele (SU02) (che subisce l’influenza dell’inquinamento urbano) e

stazioni di alta montagna come la stazione del Rocciamelone rifugio La Riposa (2155 m) (SU06) e

la stazione del Colle delle Finestre (2170 m) (SU04).

In Valle Stura di Demonte le stazioni con maggiori sintomi e concentrazioni sono risultate stazioni

di alta montagna come quella del Colle della Maddalena (1993 m) (ST06) e del Colle dell’Ortica

(1773 m) (ST01).

In valle Orco e Soana la stazione con concentrazioni di ozono più elevate è stata quella del Colle

del Nivolet (2490 m) (O05).

L’esame di questi dati lascia intravedere un possibile incremento della sintomatologia derivata

dall’ozono quando questi, nell’arco di cinque mesi, raggiunge mediamente concentrazioni superiori

ai 40 pbb. Attualmente tali esiti sono preliminari poiché la raccolta del materiale vegetale è stata

effettuata nel corso dei monitoraggi mensili in funzione della presenza puntuale dei sintomi

attribuibili all’ozono. La variabilità ambientale (es: la siccità più marcata in alcune stazioni che non

in altre), e la composizione floristica (specie a diversa sensibilità) non permettono di effettuare

rilievi statistici su un numero congruo di specie per ogni stazione. Pur fatte salve queste premesse,

permane interessante la constatazione della frequenza con cui sono stati riscontrati sintomi ozone-

like ove maggiori erano le concentrazioni del gas.

La registrazione di elevate concentrazioni del gas in zone remote di alta montagna è spiegabile col

fatto che l’ozono si trova allo stato libero e non si lega, come succede negli ambienti urbani

soprattutto nelle ore notturne, ad altri composti che lo riducono nuovamente ad ossigeno

biatomico. Negli ambienti forestali l’ozono interagisce con le chiome degli alberi, venendo

parzialmente ridotto dal contatto con le superfici fogliari, ma soprattutto viene assorbito attraverso

gli stomi e modificando quindi il metabolismo della pianta; la concentrazione di ozono è

normalmente superiore alla superficie esterna delle chiome, nelle radure o ai margini dei boschi

per via della maggior circolazione ed arrivo di masse d’aria inquinate rispetto all’interno delle

formazioni.

Per quanto riguarda il lavoro dell’IPP-CNR di Firenze, nelle aree dedicate al rilevamento qualitativo

del danno su specie sensibili all’ozono, sintomi riconducibili ad ozono sono stati rilevati nei siti di

Settignano (concentrazioni più elevate) e Carignano (concentrazioni più basse,), mentre non sono

stati rilevati a Gabbro (concentrazioni intermedie) per quanto riguarda il 2003.

Nelle aree dedicate al rilevamento quantitativo del danno, sempre nel 2003, i sintomi sono stati

rilevati solo a Carignano, anche se con una densità bassa mentre sono stati rilevati in tutti e tre i

siti nel 2004, maggiormente a Gabbro ed in misura minore a Carignano. La scarsa presenza dei

sintomi nel 2003, pur in presenza di concentrazioni elevate di ozono, e la diversa quantità e

48

distribuzione degli stessi sintomi nel 2004 è probabilmente da ricondursi ad una serie di motivi, tra

cui la condizione ecologica dei vari siti ed il diverso decorso stagionale delle estati 2003 e 2004

Il confronto invece dei dati di concentrazione raccolti tramite campionatori e tramite l’analizzatore,

ha messo in evidenza che i primi forniscono dati sottostimati, come messo in evidenza dal grafico

sottostante.

Fig 11 – Grafico rappresentante il confronto tra dati campionatori passivi e analizzatore Le specie vegetali sulle quali sono stati riscontrati danni tipo ozone-like durante gli anni di

monitoraggio sono ricordate nella tabella che segue, nella quale viene riportato il nome scientifico

della specie, quello comune, l’habitat in cui la specie vive e la sua presenza nella lista ufficiale

delle specie sensibili a cura dell’ICP-Forests.

Nome scientifico Nome comune Habitat Presente

Acer campestre Acero campestre Specie arborea autoctona presente in pianura, collina e nel piano montano inferiore x

Acer pseudoplatanus Acero di monte Specie arborea autoctona presente dalla pianura, alla collina, sino alla fascia pedemontana

x

Actinidia sinensis Kiwi Specie coltivata Aesculus hippocastanum Ippocastano Specie arborea ornamentale presente dalla

pianura alla collina

Ailanthus altissima Ailanto Specie arborea esotica naturalizzata presente dalla pianura alla media montagna x

Alchemilla spp. Alchemilla Specie erbacea autoctona presente nei prati-pascoli montani e subalpini

Alnus incana Ontano bianco Specie arborea autoctona tipica di ambienti montani e alpini, su terreni umidi x

Ampelopsis quinquefolia Vite del Canada Specie rampicante esotica tipica di ambienti di pianura x

Bidens frondosa Forbicina peduncolata

Specie erbacea autoctona che vive dalla pianura alla collina, in ambienti umidi

Centaurea sp. Fiordaliso Specie erbacea autoctona tipica del piano montano e subalpino x

Confronto tra campionatori passivi e rilevatori automatici

01020304050607080

CL0

3 05

/03

CL0

3 06

/03

CL0

3 07

/03

CL0

3 08

/03

CL0

3 09

/03

TO

01 0

5/04

TO

01 0

6/04

TO

01 0

7/04

TO

01 0

8/04

TO

0 09

/04

CL0

3 05

/04

CL0

3 06

/04

CL0

3 07

/04

ozo

no

pp

b

Rilevatori automatici Campionatori passivi

49

Nome scientifico Nome comune Habitat Presente

Clematis vitalba Vitalba Specie rampicante autoctona tipica di boschi caducifogli x

Cornus sanguinea Sanguinello Specie arbustiva autoctona diffusa in pianura, sui rilievi collinari e nella fascia basale montana x

Corylus avellana Nocciolo Specie arbustiva autoctona presente dalla pianura, al piano collinare a quello montano x

Cotoneaster sp. Specie arbustiva autoctona presente dal piano collinare a quello montano

Cynara cardunculus Carciofo Specie coltivata Dryas octopetala Camedrio alpino Specie erbacea autoctona presente nei piani

montano e alpino

Duchesnea indica Fragola matta Specie erbacea autoctona presente dalla pianura alla collina, nelle boscaglie umide

Epilobium montanum Garofanino di montagna

Specie erbacea autoctona presente dalla pianura alla montagna

Euphorbia dulcis Euforbia bitorzoluta Specie erbacea autoctona presente in pianura, collina e nei prati-pascoli montani x

Fagus sylvatica Faggio Specie arborea autoctona presente dalla collina al piano montano, raro in pianura x

Fraxinus excelsior Frassino maggiore Specie arborea autoctona presente dalla pianura al piano montano x

Fraxinus ornus Orniello Specie arborea autoctona tipica di ambienti collinari e montani in stazioni submediterranee x

Galium sp. Caglio Specie erbacea autoctona presente dalla pianura al piano montano

Geum urbanum Cariofillata comune Specie erbacea autoctona presente dalla pianura al piano montano

Helianthemum nummularium spp. Grandiflorum

Eliantemo maggiore

Specie erbacea autoctona che vive dalla pianura al piano alpino

Hibiscus syriacus Ibisco cinese Specie arbustiva ornamentale presente dalla pianura alla collina x

Hydrangea macrophylla Ortensia Specie erbacea ornamentale presente dalla pianura alla collina

Juniperus nana Ginepro nano Specie arbustiva autoctona che vive nelle brughiere subalpine e alpine

Knautia arvensis Vedovella campestre, ambretta comune

Specie erbacea autoctona presente dalla pianura al piano alpino

Laburnum anagyroides Maggiociondolo Specie arborea autoctona tipica di ambienti collinari sino al piano montano

Liriodendron tulipifera Albero dei tulipani Specie arborea ornamentale presente in pianura e collina x

Lonicera xylosteum Caprifoglio peloso Specie rampicante autoctona presente in pianura, collina e piano montano nei boschi di latifoglie

Mahonia aquifolium Mania Specie erbacea ornamentale presente in pianura e collina

Parietaria officinalis Vetriola comune, paritaria, muraiola

Specie erbacea autoctona presente in pianura, collina e piano montano

Picea abies Abete rosso Specie arborea autoctona tipica di ambienti montani e subalpini, anche se piantata come ornamentale in collina e pianura

Pinus cembra Pino cembro Specie arborea autoctona tipica di ambienti montani, subalpini e alpini x

Pinus strobus Pino strombo Specie arborea alloctona piantato come ornamentale dalla pianura al piano montano x

Pinus uncinata Pino uncinato Specie arborea autoctona tipica di ambienti subalpini e alpini

Prenanthes purpurea Lattuga montana Specie erbacea autoctona tipica dei boschi

50

montani Nome scientifico Nome comune Habitat Presente

Prunus spinosa Prugnolo Specie arbustiva autoctona diffusa dalla pianura sino alle prime pendici montane x

Robinia pseudoacacia Robinia Specie arborea alloctona naturalizzata presente dalla pianura al piano montano x

Rubus gr. fruticosus Rovo Specie erbacea autoctona presente dalla pianura al piano montano x

Rubus idaeus Lampone Specie erbacea autoctona presente dalla pianura al piano montano x

Sambucis nigra Sambuco nero Specie arbustiva autoctona presente in prevalenza in pianura e in collina, pur salendo sino alla montagna

x

Sambucus ebulus Sambuco ebbio Specie arbustiva autoctona presente in prevalenza in pianura e in collina, pur salendo sino alla montagna

x

Solanum lycopersicum Pomodoro Specie coltivata Solanum tuberosum Patata Specie coltivata Spiraea arguta Spirea Specie arbustiva ornamentale presente in

pianura e collina x

Stachys officinalis Erba betonica Specie erbacea autoctona presente dalla pianura alla montagna nei prati-pascoli aridi

Tilia cordata Tiglio selvatico Specie arborea autoctona tipica del piano alpino e pedemontano, raro in collina e pianura x

Trifolium pratense Trifoglio Specie erbacea autoctona presente dalla pianura al piano alpino nei prati-pascoli e incolti x

Ulmus minor Olmo campestre Specie arborea autoctona presente dalla pianura al piano submontano x

Vaccinium myrtillus Mirtillo Specie arbustiva autoctona presente dal piano montano a quello alpino (più raro) x

Veronica urticifolia Veronica foglie d’ortica

Specie erbacea autoctona che vive dal piano collinare a quello montano in boschi di latifoglie x

Viburnum lantana Lantana, lentaggine Specie arbustiva autoctona presente in pianura, collina sino al piano montano x

Per quanto riguarda la lettura delle chiome, sulle dodici stazioni forestali osservate nelle Valli Stura

e Susa e sulla Collina torinese, i dati raccolti nell’anno 2003 sono sinteticamente i seguenti:

Stazione Località Specie % danno assente o

lieve, classi 0 e 1 % danno moderato o grave, classi 2 e 3

ST 02 Valle Stura - Valdieri faggio 90 10 ST 03 Valle Stura - Pietraporzio abete bianco 70 30 ST 04 Valle Stura - Pietraporzio abete bianco 60 40 ST 05 Valle Stura - Pietraporzio pino silvestre 100 0 SU 01 Valle Susa - Caselette robinia 80 20 SU 02 Valle Susa – Sant’Ambrogio faggio 80 20 SU 03 Valle Susa – Meana di Susa pino silvestre 75 25 SU 05 Valle Susa - Mompantero pino silvestre 35 65 CL 01-02 Collina di Torino – Az. Agr.

Millerose robinia 0 100

PE 01 Valle Pesio – Chiusa Pesio frassino maggiore 60 40 SE 01 Lame del Sesia – Arboreo frassino maggiore 80 20 BO 01 Val Borbera – Mongiardino

Ligure orniello 80 20

La distribuzione dei danni vede una situazione gravissima sulla robinia della collina, dove in realtà

il deperimento era iniziato ormai da molti anni addietro, per cui si assiste ad un progressivo

51

decadimento della formazione. Anche le altre specie tuttavia, in alcune stazioni presentano

percentuali preoccupanti di piante sensibilmente danneggiate.

Lo scopo della lettura delle chiome è tuttavia quello di monitorare nel tempo la salute del

popolamento forestale, e i dati relativi a uno/due anni sono poco significativi, in quanto

rappresentano la fotografia di uno stato di fatto condizionato dai fattori precedenti, mentre il dato

base è il loro andamento nel corso di periodi pluriennali. Nel presente lavoro rappresentano perciò

essenzialmente la fotografia di uno stato di fatto, che potrà essere confrontata nel futuro se si

ripeteranno i rilievi negli stessi luoghi (le piante erano state individuate con numerazione apposita).

Un commento dovuto all’esperienza globale condotta sino dagli anni ottanta ad oggi, anche in altre

Regioni, permette comunque di segnalare una preoccupante tendenza al peggioramento delle

condizioni di vitalità di molti complessi boscati, in cui sicuramente gioca un ruolo importante la

siccità estiva unitamente alla alte temperature, fenomeni ormai ricorrenti e, si ritiene, influenzati

dall’inquinamento. A questi stress si sommano poi altri fattori quali le pullulazioni di parassiti

favoriti sia dal clima che dall’indebolimento delle piante, e l’azione dell’ozono, nonché gli squilibri

nutrizionali sulle stazioni ecologicamente più fragili, per via dell’alterato apporto atmosferico di

sostanze alloctone.

4.4 Fumigazioni. L’ IPP-CNR di Firenze ha effettuato osservazioni sui sintomi fogliari ozone-like presenti su piante

di frassino maggiore (Fraxinus excelsior) e orniello (Fraxinus ornus) (due differenti specie con

differenti caratteristiche ecologiche) di provenienza piemontese e toscana comparsi in seguito a

fumigazioni di ozono in atmosfera controllata.

L’obiettivo era definire i danni macroscopici, microscopici e funzionali causati dall’ozono in queste

specie, ma anche di verificare l’esistenza di differenti capacità di resistenza indotta dai livelli di

ozono a cui le piante sono normalmente sottoposte in campo, oppure comunque legata alla

variabilità genetica di popolazioni provenienti da differenti aree geografiche.

Le piante in vaso sono state sottoposte a fumigazioni di ozono in camere chiuse, esposte a 150

ppb/h di ozono, per otto ore al giorno, per un periodo di 49 giorni. Ogni due-tre giorni le piante

venivano controllate per rilevare la presenza di sintomi ozone-like. Ogni sette giorni venivano

effettuate a livello fogliare alcune misure per la determinazione dei parametri degli scambi gassosi

–fotosintetici (fotosintesi netta, conduttanza stomatica, evapotraspirazione e concentrazione

interna di anidride carbonica), del contenuto relativo di clorofilla e del tenore idrico fogliare,

potendo così monitorare degli indici di vigoria ed attività fotosintetica delle piante. Questi indici di

efficienza indicavano perciò il maggiore o minore grado di stress cui erano soggette le piante

anche in assenza di danno visibile.

È stato riscontrato che in condizioni artificiali, le foglie e le foglioline più esposte alla luce sono

quelle che manifestano la maggiore quantità di danni visibili. In entrambe le specie di frassino le

52

foglie dei palchi più alti, ovvero quelle maggiormente esposte alla luce, mostrano sintomi maggiori

di quelle sottostanti

Il F. excelsior (specie mesofila) ha mostrato più danni da ozono e più precocemente del F. ornus

(specie xerotollerante). Il 91% dei F. excelsior fumigati ha espresso i sintomi, contro il 25% dei F.

ornus. Nella prima specie il danno visibile si è espresso come piccole punteggiature (<1mm)

internervali, bruno rossastra, mentre nella seconda specie grigia.

In entrambe le specie, le provenienze piemontesi hanno manifestato più sintomi e più

precocemente delle provenienze toscane. Questo risultato è sorprendente perché il metro

comunemente adottato per valutare la sensibilità all’ozono di una pianta è la sua capacità di

assorbire l’ozono stesso, cioè la conduttanza stomatica. Il livello costitutivo di conduttanza

stomatica era viceversa più elevato in F. ornus che in F. excelsior e nelle provenienze meridionali

che in quelle settentrionali. In pratica, in presenza di ozono gli stomi si chiudevano più

efficacemente in F. ornus e nelle provenienze toscane, così che i danni visibili si esplicitavano più

precocemente e più gravemente in F. excelsior e nelle provenienze piemontesi. La maggiore

reattività degli stomi è quindi la responsabile della minore espressione dei danni visibili.

Sembra plausibile ipotizzare che questa maggiore reattività stomatica sia un adattamento allo

stress idrico, dato che è stata osservata nella specie (F. ornus) e nelle provenienze meridionali,

che negli areali di origine soffrono più frequentemente condizioni di siccità. E’ anche possibile che

la maggiore conduttanza stomatica iniziale in F. ornus e nelle provenienze meridionali sia una

risposta alle condizioni sperimentali di perfetta irrigazione, il che sottolinea la complessità di un

disegno sperimentale realistico quando si studia la sensibilità all’ozono inter e intra specifica, e

conferma le difficoltà di traslare alle condizioni di campo i risultati sperimentali ottenuti in condizioni

controllate.

Sempre in relazione ai fattori che condizionano l’espressione dei sintomi fogliari da ozono, si è

dimostrato che la densità stomatica non rappresenta un fattore determinante in questo processo,

in quanto non ne sono state osservate variazioni significative in funzione della presenza/assenza

del danno. Tuttavia potrebbe essere un fattore contribuente, in quanto il numero di stomi delle

porzioni fogliari sintomatiche era sempre inferiore, sia pure in modo non significativo, a quello delle

porzioni senza sintomi. Questa osservazione supporta l’ipotesi secondo la quale zone di lamina

fogliare con minore densità stomatica assumono più ozono per singolo stoma, a parità di scambi

gassosi e di concentrazione atmosferica di ozono, rispetto a zone con maggiore densità stomatica.

Infine, fra i marker di danno da ozono investigati, i danni alla struttura superficiale degli stomi si

sono confermati i migliori bioindicatori del danno da ozono nelle latifoglie arboree e arbustive, in

analogia a quanto già riportato per le conifere.

4.5 Modellistica La messa a punto di un sistema di modellizzazione che permetta di prevedere la distribuzione

dell’ozono sul territorio regionale e quindi dei rischi attesi è stata curata dall’ARPA Piemonte.

53

Il contributo fornito da questa simulazione è complementare alle informazioni ottenute dal

monitoraggio in campo ed è stato indirizzato a:

− mettere a punto una metodologia coerente con le indicazioni previste dalla normativa

vigente in tema di valutazione della qualità dell’aria e con le Linee Guida nazionale;

− fornire indicazioni sulle concentrazioni di ozono in aree remote, non coperte cioè dalle

stazioni di monitoraggio in continuo (analizzatore);

− fornire indicazioni sull’andamento temporale di dettaglio dell’inquinante nelle aree

monitorate con i campionatori passivi.

Il lavoro è stato complesso e si è articolato nella messa a punto della catena modellistica su un

episodio test relativo all’estate del 1999, nella raccolta e analisi dati del progetto di monitoraggio

del 2003, nella realizzazione delle simulazioni relative all’estate 2003, nella validazione ed

elaborazione dei risultati ottenuti.

La catena modellistica adottata è costituita da:

− un modulo di gestione dei dati di input geografico (topografia e uso del suolo);

− un modello meteorologico mass-consistent di tipo diagnostico, chiamato MINERVE, in

grado di ricostruire campi di vento e di temperatura a partire da informazioni sulla

topografia;

− un processore meteorologico, SURFPRO, per la ricostruzione di campi di turbolenza;

− un processore per la gestione dei dati relativi alle sorgenti di emissione presenti nel

dominio di calcolo, chiamato EMMA;

− moduli per la dispersione delle condizioni iniziali;

− un modello di dispersione, chiamato FARM, in grado di tenere conto del trasporto, della

trasformazione chimica e della deposizione di inquinanti atmosferici.

L’analisi effettuata ha mostrato che a livello metodologico il sistema modellistico è adatto allo

studio dell’inquinamento fotochimico in un territorio come quello piemontese ed è coerente con i

dettami della normativa in termini di obiettivo di qualità per la modellizzazione. Risulta quindi

possibile integrare le misura in campo con valutazioni modellistiche che permettono di calcolare

valori di concentrazione dell’inquinante con un dettaglio temporale orario anche nelle zone del

territorio non coperte da stazioni di monitoraggio.

A titolo di esempio di come si lavora con la modellistica si riporta il grafico del Piemonte in cui sono

riportati i valori di AOT40 calcolati come differenza tra i valori conteggiati dal modello e la soglia

stabilita dalla normativa, sommato sul periodo aprile-settembre. Questa elaborazione permette di

prevedere dove, sul territorio piemontese, anche in assenza di misurazioni puntuali, sono da

attendersi con maggior probabilità fenomeni di stress e potenziali danni da ozono sulla

vegetazione. Elaborazioni di altri parametri possono invece rappresentare la maggiore o minore

probabilità che vengano superati i parametri di allerta per la salute umana, ad esempio.

54

Chi desiderasse approfondire i temi trattati dal progetto For.Med.Ozone, trova al seguente

indirizzo: http://www.regione.piemonte.it/montagna/foreste/pian_gest/for_med_ozone.htm

le relazioni conclusive curate dalle Istituzioni coinvolte.

55

CAPITOLO 5. Conclusioni Il lavoro svolto nei diversi anni ed in particolare nel corso dell’ultimo progetto Interreg, nel suo

insieme ha permesso di ottenere conferme e nuove indicazioni anche a livello sperimentale; molto

importanti sono stati a questo riguardo i contatti intrattenuti con diversi laboratori anche non facenti

parte direttamente del progetto.

Dal monitoraggio esteso su tre vallate alpine e sulla collina torinese si è avuta conferma della

diffusione dell’ozono in aree remote e della sua preferenziale concentrazione massima in

prossimità di creste e valichi, per lo meno nelle situazioni orografiche e meteorologiche

piemontesi. Quest’osservazione è stata confermata dai partner francesi ed anche i colleghi

spagnoli, pur in una diversa condizione orografica, concordano sulla caratteristica. La presenza di

forti concentrazioni medie orarie non dipende dalla vicinanza ai centri di inquinamento, né dalla

quota; queste connotazioni della diffusione dell’ozono lo rendono perciò particolarmente pericoloso

per la vegetazione, sia spontanea che coltivata.

Riguardo agli impatti sulla vegetazione coltivata, è bene rimarcare che durante il lavoro si sono

potuti osservare sintomi sia su specie forestali, presenti in natura o in piantagioni a fini di

produzione legnosa, sia su alberi ed arbusti ornamentali, indigeni o esotici, ma anche su piante

erbacee ortive, confermando le segnalazioni (pur ancor rade) bibliografiche e le informazioni avute

verbalmente dal CEAM; su almeno due varietà, di patata (Désirée) e di pomodoro (Cuore di bue) i

danni si sono tradotti in un’evidente scarsità di produzione e sviluppo limitato della pianta (estate

2003 stazione di Torino presso l’azienda Millerose).

Un intralcio talora importante ai rilievi è stata la frequenza degli atti vandalici, più volte ripetutisi su

alcune stazioni; da notare, purtroppo che tali atti sono stati molto più frequenti in Italia che non

negli altri Paesi coinvolti. Nell’ultima stagione inoltre alcuni campionatori passivi hanno presentato

problemi intrinseci, aprendosi o registrando dati anomali (concentrazioni elevate o nulle).

Gli esami istologici sulla vegetazione condotti hanno permesso di meglio focalizzare l’evoluzione

del danno e le sue caratteristiche differenziali rispetto a fenomeni analoghi; soprattutto nel caso di

scottature e danni da fotolisi. Le confusioni, soprattutto ad un primo esame superficiale, erano

molto comuni. Interesse rivestono anche ovviamente le tecniche studiate ad esempio presso il

WSL di Birmensdorf, che ricerca elementi distintivi del danno da ozono a livello cellulare, quali

possibili neoformazioni precoci indicanti stress da ozono. A livello di microscopia elettronica si

conferma invece l’importanza dell’osservazione degli stomi, che essendo il punto di entrata del gas

nella foglia sono immediatamente soggetti alla sua aggressione.

L’inizio degli studi sulla sensibilità differenziale fra distinte popolazioni di specie forestali (frassino

maggiore e orniello nella fattispecie) ha fornito alcune indicazioni interessanti, dettagliate nel

rapporto del CNR-IPP di Firenze, riguardo la maggior sensibilità delle provenienze del Nord Italia

rispetto a quelle del Centro-Sud, collegandola a possibili adattamenti dovuti in origine al clima

maggiormente arido e caldo dei luoghi di origine. Questi dati ovviamente sono preliminari e da

56

indagarsi ulteriormente, tuttavia aprono una finestra verso approfondimenti che possono rivelarsi

importanti.

Uno degli aspetti che complica gli studi applicativi a livello forestale è ad esempio il tempo di

germinazione dei semi di alcune specie, per cui sicuramente i tempi di approfondimento sono

lunghi; inoltre pare che le stesse giovani piante varino la risposta alle fumigazioni con l’età, per cui

sarebbe interessante cercare di verificare se l’effetto è dovuto all’acquisizione di resistenza per via

dell’esposizione o ai cambiamenti di metabolismo dovuti all’età.

In bosco ovviamente anche le caratteristiche stazionali giocano un ruolo fondamentale, e

d’altronde gli stessi studi del CEAM indicano che nell’ambito di una stessa specie i singoli individui,

in condizioni controllate, rispondono a soglie ben differenti di fumigazione. Interessanti tuttavia

sono alcuni studi che hanno iniziato a porre in correlazione il deperimento osservato in bosco con

gli accrescimenti minori negli ultimi decenni e con la presenza di sintomi ozone-like sulle piante

stesse, in confronto con gruppi di piante sane della stessa specie.

Sotto l’aspetto puramente forestale la verifica delle diverse soglie di sensibilità fra specie ed anche

all’interno di una stessa specie, apre varie prospettive:

− prove in ambienti ad atmosfera controllata su semenzali delle diverse provenienze da boschi

da seme per verificarne la resistenza, estendendo la sperimentazione ad altre specie;

− comprensione dei meccanismi di maggior tolleranza (indotta dall’età o dall’esposizione al

gas?). Indizi su quest’interrogativo potrebbero giungere da nuove indagini in campo sugli

accrescimenti/sensibilità all’ozono di diverse specie forestali, tuttavia occorre dire che nelle

nostre condizioni climatiche il manifestarsi di sintomi fogliari chiari in campo non è così comune

né così agevole da osservarsi, per cui sarebbe molto complicato correlare una condizione di

deperimento con la sensibilità all’ozono senza clonare le piante e allevarle in ambiente

controllato;

− prove di adattabilità in campo delle provenienze non indigene (le provenienze meridionali di

frassino paiono maggiormente tolleranti all’ozono, ma occorrerebbe anche testarne

l’adattamento alle condizioni climatiche);

− a livello cellulare sarebbe interessante inoltre riuscire a giungere ad identificare uno o più

“marcatori” di stress tipico da ozono nelle fasi asintomatiche; questo sarebbe estremamente

utile per individuare i casi di sofferenza cronica, che paiono essere diffusi e talora gravi

(collasso in campo di una varietà di melone zuccherino in Spagna, riferito dai colleghi del

CEAM e verificato in coltivazione in ambiente controllato).

Per gli aspetti meno scientifici ma altrettanto importanti, ovvero la divulgazione, la presa di

coscienza e le azioni per contenere il fenomeno, nella fase finale, il progetto è entrato nel vivo, con

la produzione del CD e la “messa in cantiere” della pubblicazione a lato delle azioni ufficiali

previste. La pubblicazione dei risultati su pagine web, considerando la natura dei beneficiari del

progetto, enti pubblici i cui siti sono giornalmente consultati da molti utenti, il lavoro di

sensibilizzazione pare garantito.

57

Il problema del contenimento del fenomeno per contro è di natura politica ed economica, poiché la

riduzione dell’emissione dei precursori dell’ozono in atmosfera influenza direttamente e

profondamente le nostre abitudini e lo stesso sistema produttivo per via dell’inevitabile riduzione

necessaria del trasporto su ruote ed in generale dell’uso di combustibili fossili, per cui il presente

lavoro non poteva influire direttamente sulle decisioni indispensabili ad agire in tal senso, ma solo

evidenziare l’importanza del problema alle Amministrazioni.

58

ALLEGATO 1 - GLOSSARIO

Albero codominante Albero con chioma di forma naturale, ma non completamente sviluppata, ristretta, spesso con qualche sintomo degenerativo (apici marginali secchi, rami angolosi). Albero dominante Alberi con chioma normalmente sviluppata; costituiscono la maggior parte del soprassuolo principale e quindi sono il termine di riferimento per le altri classi. Dal punto di vista dendrometrico, albero con il diametro più grande del popolamento. Aghifoglia Albero caratterizzato dall’avere le foglie a forma di ago (ad esempio il pino, l’abete, il cedro). Alloctona Non autoctona, ovvero specie non appartenente alla flora o fauna locali. Allotropico Relativo all’allotropia che in chimica è il complesso delle modificazioni che un elemento o un composto può subire in conseguenza della diversa disposizione degli atomi o della diversa grandezza molecolare, alle quali corrispondono proprietà fisiche e chimiche diverse. Antiossidante Sostanza capace di rallentare o impedire l’ossidazione di prodotti ad essa soggetti e quindi alterabili. Antociano Pigmento azzurro, rosso o violetto che si trova nelle cellule dei fiori, dei frutti e di altre parti della pianta. Chimicamente gli antociani sono dei glicosidi. AOT40 Espresso in µg/m3 h, si intende la somma della differenza tra le concentrazioni orarie superiori a 80 µg/m3 (= 40 parti per miliardo o ppb) e 80 µg/m3 in un dato periodo di tempo, utilizzando solo i valori orari rilevati ogni giorno tra le 8:00 e le 19:00. Autoctona Specie ritenuta originaria (indigena) delle terre dove vive. Biosfera Involucro esterno alla superficie terrestre nel quale avvengono tutti i processi vitali, sia vegetali, sia animali. Biodegradabile Sostanza o materiale che può essere decomposto (trasformato) da organismi viventi, normalmente batteri o funghi. Caducifoglia Specie a foglie caduche, cioè che si rinnovano ogni anno, cadendo generalmente in autunno. Camera sottostomatica Grande spazio intercellulare a diretto contatto con il canale di aria che collega l’interno della cellula con l’esterno. Cascola fogliare Caduta precoce e anomala delle foglie, dovuta a cause diverse.

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Catalizzatore Sostanza in grado di facilitare lo svolgimento di una reazione chimica diminuendo l’energia richiesta per farla iniziare. Il catalizzatore non partecipa alla reazione, non venendo consumato nel processo e potendo quindi essere riutilizzato. Cellula Unità elementare della materia vivente, costituita essenzialmente da un nucleo, dal citoplasma e da altre strutture racchiusi all’interno della membrana cellulare Cellule epiteliali Cellule dell’epitelio, tessuto che riveste la superficie esterna e le cavità interne degli organismi animali e di vegetali pluricellulari. Cellule endoteliali Cellule dell’endotelio, tessuto formato da uno strato compatto di cellule appiattite che riveste internamente i vasi sanguigni e linfatici e il cuore Cellule stomatiche Coppie di cellule che circosrivono un’apertura (ostiolo). Ostiolo e cellule stomatiche costituiscono lo stoma, che aprendosi o chiudendosi permette gli scambi gassosi fra atmosfera ed interno della foglia. Cloroplasto Plastidio contenente clorofilla, per lo più di forma lenticolare, presente nel citoplasma delle cellule vegetali esposte al sole. Clorosi Ingiallimento delle parti verdi di una pianta per la graduale scomparsa della clorofilla. Componenti citoscheletrici (citoscheltro) Insieme delle strutture proteiche che sostengono la cellula Concentrazione Quantità relativa di una sostanza contenuta in una miscela omogenea o eterogenea. Conduttanza stomatica E’ un parametro misurabile tramite specifici strumenti che permette di valutare la funzionalità fogliare. Crescita apicale Crescita dell’apice (punta) della pianta. Cuticola Strato di grasso e/o di cera che riveste l’epidermide del fusto, delle foglie e dei frutti 8non quella della radice) che serve per ridurre le perdite di acqua da parte dell’organismo. Dalton Unità di misura della massa atomica pari a 1/16 della massa dell’atomo di ossigeno. Deciduo Destinato a cadere una volta esaurita la propria funzione. Ecosistema Sistema complesso costituito da piante, animali, funghi e microrganismi, dall’ambiente in cui vivono e dalle loro mutue interazioni. Gli ecosistemi non hanno confini ben definiti. A seconda del tipo di analisi da effettuare si possono considerare ecosistemi un singolo lago, un bacino acquifero, un’intera regione, ecc.

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Effetto serra Favorito da alcuni gas, si manifesta perché le radiazioni provenienti dal sole attraversano l’atmosfera ed invece è ostacolato il passaggio verso lo spazio esterno di parte delle radiazioni infrarosse provenienti dalla superficie terrestre e dalla bassa atmosfera. Questo processo è sempre avvenuto naturalmente e fa sì che la temperatura della terra sia circa 33°C più calda di quanto lo sarebbe senza la presenza dei gas serra. La vita come la conosciamo adesso non sarebbe possibile senza il naturale effetto serra, che tuttavia viene esasperato dalle emissioni di alcuni gas, causando un aumento anomalo della temperatura al suolo. Emissione Il rilascio di una sostanza in atmosfera. Etanolo Alcol alifatico primario, liquido, incolore, ottenuto specialmente dalla fermentazione di sostanze zuccherine e usato nella preparazione di liquori, come combustibile, come solvente e come antisettico. Eutrofizzazione In un ambiente acquatico, l’arricchirsi di sostanze nutritive Evapotraspirazione Insieme di evaporazione e traspirazione. L’evaporazione è il passaggio di un liquido allo stato di vapore che si verifica alla superficie e a qualsiasi temperatura. La traspirazione è l’eliminazione di umori, sotto forma di liquido o di vapore, attraverso i pori del tegumento esterno. Glicoproteine Proteine coniugate contenenti glicidi (carboidrati) o sostanze derivate da essi. Inquinamento Degrado dell'ambiente causato dall'immissione, da parte dell'uomo, di sostanze che ne alterano le caratteristiche chimico-fisiche naturali. Inquinante Agente che produce inquinamento. Latifoglie Albero caratterizzato dall’avere le foglie con lamina più o meno ampia (ad esempio il tiglio o l’acero). Mesofillo Complesso dei tessuti della foglia, racchiusi dall’epidermide. Mesofila Specie che necessita di medie quantità di acqua e freschezza stazionale. Metalli pesanti Metalli con densità maggiore di 5. Fra questi, alcuni (piombo, cadmio, mercurio, antimonio, selenio, nichel, vanadio e altri) sono immessi nell'ambiente, sotto forma di ossidi o di solfuri, attraverso la combustione di olio combustibile, di carbone o rifiuti (che ne contengono tracce), oppure nel corso di processi industriali. Questi composti, dopo una certa permanenza in aria possono entrare nella catena alimentare, dando luogo a pericolosi fenomeni di bioaccumulo negli organismi viventi . Microcircolo alveolare Circolo all’interno dell’alveolo, unità costitutiva del polmone situata all’estremità dei dotti alveolari e sede degli scambi gassosi tra aria e sangue Microfillia

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Sviluppo parziale delle foglie che non raggiungono le dimensioni tipiche della specie. Molecola Combinazione chimica di due o più atomi di uno stesso elemento (come in O2) o di elementi diversi (come in H2O), che rappresenta la più piccola particella in cui si può dividere una sostanza conservandone le stesse proprietà. Monitoraggio ambientale Misurazione od osservazione continua e ripetuta di sostanze presenti nell'ambiente o di fenomeni correlati alla loro concentrazione per valutarne l'entità ed i possibili impatti attraverso un raffronto con appropriati valori di riferimento basati sulla conoscenza delle possibili relazioni fra esposizione ed effetti. Mucosa Membrana che tappezza la faccia interna di alcuni organi (ad esempio l’intestino o il naso) continuamente mantenuta umida dalla secrezione di alcune ghiandole. Nanometro (nm) Unità di misura della lunghezza equivalente a un miliardesimo di metro. Necrosi Complesso di alterazioni strutturali irreversibili che comportano la perdita di gruppi cellulari, zone di tessuto, porzioni di organo. Nervatura Complesso dei fasci vascolari di un organo vegetale con struttura ramificata o a raggiera. Ontogenesi Serie di stadi evolutivi di un individuo o di un processo. Ossidante Elemento, composto o radicale capace di acquistare elettroni. Ossidazione Reazione mediante la quale un elemento o un composto cede elettroni. Ossidi Composti formati da due elementi dei quali uno è sempre l'ossigeno. Alcuni ossidi sono tra le principali sostanze inquinanti dell'atmosfera. Ossidoriduzione o redox. Reazione in cui si ha il trasferimento di elettroni da una sostanza riducente a una ossidante, in modo che la sostanza riducente è ossidata perdendo elettroni e la sostanza ossidante è ridotta acquistando elettroni. Ostiolo Piccola apertura dei tessuti, soprattutto epidermici. Parenchima Tessuto costituito da cellule vive, con membrana sottile, non lignificata. Perossidazione E’ il processo di formazione dei perossidi. Perossido Nome generico di composti ossigenati contenenti almeno due atomi di ossigeno che scambiano tra loro una valenza. Sono per lo più instabili, liberano ossigeno e sono usati come ossidanti, sbiancanti e disinfettanti (es. l’acqua ossigenata, H2O2).

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Plastidio Corpuscolo circondato da doppia membrana, incluso nel citoplasma di molte cellule vegetali; è coinvolto nella sintesi di composti nutritivi (mediante fotosintesi – cloroplasto) o nell’accumulo delle riserve nutritive (amido – aminoplasto). Pollone Ramo giovane che nasce sulle piante legnose da una gemma avventizia, specialmente intorno ai cercini di cicatrizzazione di un precedente taglio. Ppb (parts per billion, parti per miliardo) Parti di un composto chimico presenti in un miliardo di parti di un determinato gas, liquido o miscuglio. Ppm (parts per million, parti per milione) Parti di un composto chimico presenti in un milione di parti di un determinato gas, liquido o miscuglio. Potenziale ossidoriduttivo Potenziale assunto da un elettrodo indifferente o inattaccabile (ad es. il platino) posto in una soluzione contenente ioni della stessa specie chimica ma in diversi stati di ossidazione (valenza). Precursore Sostanza dalla quale se ne forma un’altra solitamente più attiva biologicamente. Precursori dell’ozono Composti chimici, come il monossido di carbonio, il metano, idrocarburi vari e ossidi di azoto, che in presenza della radiazione solare reagiscono fra di loro per formare ozono, per lo più nella troposfera. Reagente Ogni sostanza che prende parte a una reazione chimica. Risposta flogistica Risposta infiammatoria (da flogosi = infiammazione) Sistematica Disciplina delle scienze naturali che studia la classificazione e la nomenclatura degli esseri viventi e dei fossili. Stoma Complesso di due cellule delle parti aeree delle piante, che volgono la faccia concava l’una verso l’altra lasciando un’apertura attraverso la quale avvengono i processi di respirazione e traspirazione. Stratosfera Zona dell’atmosfera che ha inizio a circa 15 km d’altitudine e termina a circa 50-60 km, caratterizzata da un aumento costante della temperatura con l’altezza e dalla presenza dell’ozonosfera. Tallo Corpo delle piante quando non presenta la caratteristica differenziazione, tipica delle piante superiori, in radici, caule o fusto e foglie. Tannino Classe di composti chimici contenuti in diverse piante, con proprietà simili all’acido tannico, dotati di proprietà coloranti e concianti.

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Tassonomia Parte delle scienze naturali che, mediante un metodo induttivo, si occupa di identificare gli esemplari, distinguere le differenze tra le specie e nominare i taxa, per fornire alla sistematica le informazioni necessarie alla classificazione. Tilacoide Struttura a forma di sacco del cloroplasto, formata da due membrane in cui sono presenti clorofille, carotenoidi e proteine, in cui si svolgono le reazioni della fotosintesi. Tipo forestale Costituisce l’unità fondamentale per la classificazione dei boschi risultando omogeneo sotto gli aspetti ecologico, dinamico-evolutivo e gestionale. Nell’ambito del Tipo vi possono essere ulteriori suddivisioni con sottotipi, per evidenziare differenze di substarto (acidofilo, calcificlo), stazionali, (superiore, inferiore) o di evoluzione (pioniero, d’invasione), o varianti nel caso di variazioni della composizione dello strato arboreo ove una specie normalmente accessoria costituisce almeno il 25% di copertura. Tocoferolo Composto organico presente nei cereali, nei legumi verdi, nel latte e nel burro, cui è dovuta l’azione della vitamina E, ed al quale è attribuita un’importante funzione in diverse trasformazioni biologiche enzimatiche di alcuni processi metabolici. Transetto Linea ideale tracciata attraverso un’area geografica lungo la quale si effettuano campionamenti di organismi animali e vegetali al fine di studiarne la distribuzione. Troposfera Regione dell’atmosfera compresa fra la superficie terrestre e i 15 km di altezza (in realtà lo spessore varia in funzione della latitudine). In essa vi è una diminuzione costante della temperatura, della pressione e della densità dell’aria con l’aumentare dell’altezza. In questa zona si verifica la maggior parte dei fenomeni meteorologici dovuti al moto turbolento delle masse d’aria. UV Radiazione ultravioletta, è una porzione dello spettro elettromagnetico caratterizzato da lunghezze d'onda più corte di quelle della luce visibile. Il sole produce gli UV, che vengono comunemente suddivisi in tre bande: UVA, UVB e UVC. Di questi: gli UVA non sono assorbiti dall'ozono; gli UVB lo sono per la maggior parte (anche se alcuni raggiungono la superficie terrestre), mentre gli UVC sono completamente assorbiti dall'ozono e dal comune ossigeno. Xerofila Specie che vegeta in ambienti secchi.

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ALLEGATO 2 – SPECIE SENSIBILI ALL’OZONO

La tabella sottostante riporta, in ordine alfabetico, l’elenco delle specie sensibili all’ozono, (alberi, arbusti ed erbacee perenni incluse nella Flora Europea). Essa si trova sul sito ufficiale dell’ICP-Forests (www.icp-forests.org), ed è il frutto dei 20 anni di studi e ricerche in Europa. Le specie autoctone sono segnate in italics; le specie alloctone in carattere normale Piante arboree

Nome scientifico Nome comune Nome scientifico Nome comune Abies cephalonica Abete greco Pinus ponderosa Pino giallo Acer campestre Acero camprestre Pinus strobus Pino strobo Acer granatense Acero di Granada Pinus sylvestris Pino silvestre Acer platanoides Acero riccio Populus alba Pioppo bianco Acer pseudoplatanus Acero di monte Populus nigra Pioppo nero Acer saccharinum acero saccarino,a.

bianco, a. argentato Populus tremula Pioppo tremolo

Ailanthus altissima Ailanto Prunus armeniaca Albicocco Alnus glutinosa Ontano nero Prunus avium Ciliegio Alnus incana Ontano bianco Prunus dulcis Mandorlo Betula pendula Betulla Prunus persica Pesco Carpinus betulus Carpino bianco Prunus virginiana

Fagus sylvatica Faggio Pseudotsuga menziesii pseudotsuga, douglasia, abete di Douglas verde

Fraxinus angustifolia Frassino ossifillo Pyrus malus subspp. malus

Melo

Fraxinus excelsior Frassino maggiore Quercus robur Farnia Fraxinus ornus Orniello Ricinus communis Ricino Fraxinus pennsylvanica Robinia pseudoacacia Robinia Fraxinus spp. Frassini spp. Salix alba Salice bianco Juglans nigra Noce nero Salix caprea Salicone Juglans regia Noce bianco Salix daphnoides Salice dafnoide Laburnum alpinum Maggiociondolo alpino Salix glabra Salice glabro Larix decidua Larice Salix pentandra Salice ododroso Liriodrendron tulipifera Albero dei tulipani Sorbus aria Sorbo montano Morus alba Gelso bianco Sequoiadendron

giganteum Sequoia gigante

Morus nigra Gelso nero Sorbus aucuparia Sorbo degli uccellatori Ostrya carpinifolia Carpino nero Sorbus chamaemespilus Sorbo alpino Picea abies Abete rosso Sorbus domestica Sorbo comune Picea glauca Peccio bianco Sorbus mugeotii Sorbo di Mougeot Pinus banksiana Pino di Banks Taxus baccata Tasso, albero della morte Pinus cembra Pino cembro Tilia cordata Tiglio selvatico Pinus contorta v. latifolia Pino contorto Tilia platyphyllos Tiglio a grandi foglie Pinus halepensis Pino d’Aleppo Tsuga canadensis Abete del Canada Pinus nigra Pino nero Tsuga heterophylla Pinus pinaster Pino marittimo Ulmus glabra Olmo montano Pinus pinea Pino domestico, pino da

pinoli Ulmus minor Olmo campestre

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Piante arbustive

Nome scientifico Nome comune Nome scientifico Nome comune Alnus viridis Ontano verde, ontano

alpino Myrtus communis Mirto

Arbutus unedo Corbezzolo Parthenocissus quinquefolia

Vite del Canada, vite vergine

Asclepias syriaca Albero della seta Pistacia lentiscus Lentisco Buxus sempervirens Bosso Pistacia terebinthus Terebinto Cistus salviifolius Cisto femmina Prunus serotina Prugnolo tardivo, pruno

autunnale Clematis flammula Vitalba fiammella,

Clematide fiammola, viticcio

Prunus spinosa Pruno selvatico, prugnolo, strangolacane, susino di macchia

Clematis spp. Clematide Rhamnus alaternus Alaterno, ranno lanterno, purrolo, ilatro

Clematis vitalba Vitalba Rhamnus catharticus Spino cervino Cistus salviifolius Cisto femmina Ribes alpinum Ribes alpino Colutea arborescens Vesicaria Rosa canina Rosa canina Cornus alba Corniolo tartaro Rubia peregrina Robbia selvatica Cornus mas Corniolo Rubus ulmifolius Rovo comune Cornus sanquinea Sanguinello Rudbeckia lacinata Rudbekia comune Corylus avellana Nocciolo Salix purpurea Salice rosso Crataegus laevigata Biancospino selvatico Salix viminalis Salice da vimini Crataegus monogyna Biancospino Sambucus ebulus Sambuco ebbio Crataegus oxyacantha biancospino dei boschi,

biancospino selvatico Sambucus nigra Sambuco nero

Frangula alnus Frangola Sambucus racemosa Sambuco rosso

Hippophae rhamnoides

Olivello spinoso Solanum sodomaeum Morella di Sodoma, Pomo di Sodoma, Pomodoro selvaggio, Solano spinoso

Ligustrum ovalifolium Ligustro a foglie ovali Symphoricarpos albus Sinforicarpo bianco Ligustrum vulgare Ligustro Syringa vulgaris Lillà Lonicera caprifolium Caprifoglio Vitis vinifera Vite europea Lonicera etrusca Caprifoglio etrusco Viburnum lantana Lantana, lentiggine Lonicera implexa Caprifoglio mediterraneo Viburnum opulus Pallon di maggio Lonicera nigra Caprifoglio nero Viburnum tinus Viburno tino Lonicera xylosteum Caprifoglio peloso Viburnum x bodnantese Viburno bodnatense Piante erbacee

Nome scientifico Nome comune Nome scientifico Nome comune Agrimonia eupatoria Acrimonia comune,

eupatoria, eupatorio dei greci, erba di S. Guglielmo, erba del taglio, erba vettonica

Lapsana communis Lassana

Alchemilla xanthochlora Alchemilla giallo-verde Mycelis muralis Lattuga dei boschi Anthyllis cytisoides vulneraria Oenothera biennis Enotera Aquilegia vulgaris Aquilegia comune Oenothera rosea Enotera rosea Artemisia campestris Assenzio di campo Onobrychis viciifolia Lupinella Artemisia vulgaris Assenzio selvatico Plantago lanceolata piantaggine minore,

piantaggine femmina, lanciola, petacciola, centonervi, cinquenervi, lingua di cane, Pio quinto, erba di S.Antonio, erba pitocchina, scontamano, piantana, orecchie di gatto, orecchie d’asino

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Nome scientifico Nome comune Nome scientifico Nome comune Aruncus dioicus Asparago selvatico,

barba di capra Plantago major Cinquenervi, Lingua di

cane, Piantaggine maggiore

Astrantia major Astranzia maggiore Polygonum bistorta Bistorta, Erba serpentina, Biavetta, Amarella, Serpentaria

Atropa bella-donna Belladonna Reseda odorata Reseda odorosa Berberis vulgaris Crespino Reynoutria japonica Poligono del Giappone

Calamintha grandiflora Mentuccia montana Rubus fruticosus Rovo Calystegia sepium Vilucchio bianco,

Campanelle bianche Rubus idaeus Lampone

Centaurea nigra Fiordaliso spinoso Rubus spectabilis Centaurea nigrescens Fiordaliso nerastro Rumex obtusifolius Romice Centaurea paniculata Fiordaliso pennacchiuto Rumex pulcher Romice cavolaccio Convolvulus arvensis Vilucchio Senecio nemorensis Senecio silvano Dittrichia viscosa Senecio ovatus Senecio ovato

Epilobium angustifolium Garofanino di bosco Solidago canadensis Verga d’oro del Canada, pioggia d’oro

Epilobium collium Stachys officinalis Betonica comune

Epilobium hirsutum Garofanino d’acqua, viola di palude

Succisa pratensis Morso del diavolo

Euonymus europaeus Fusaggine,berretta del prete, evonimo europeo

Thalictrum minus Pigamo minore

Euphorbia dulcis Euforbia bitorzoluta Trifolium pratense Trifoglio

Filipendula ulmaria

Regina dei prati, spirea, ulmaria, olmaria palustre, barba di capra o caprina, filipendola, erba dell’idromele

Vaccinium myrtillus Mirtillo nero

Geranium sylvaticum Geranio selvatico, geranio dei prati

Vaccinium uligunosum gaultherioides

Mirtillo falso

Helleborus niger Rosa di Natale, Elleboro nero, Erba rocca

Valeriana montana Valeriana mantana

Heracleum sphondylium juranum

Panace, sedano dei prati, panace dei prati.

Verbascum sinuatum Verbasco sinuoso

Impatiens parviflora Balsamina minore Veronica urticifolia Veronica foglie d’ortica, veronica delle faggete

Ipomoea indica Campanella Vinca difformis Pervinca ovata Lamiastrum galeobdolon Ortica gialla Generi che comprendono specie sensibili:

Agrostis Cystisus Rosa sp. Aquilegia Forsythia Rubus

Betula Hieracium Salix sp. Calystegia Lamium Sambucus Campanula Myosotis Spiraea

Carya Populus (clones) Trifolium Cirsium Ribes

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ALLEGATO 3 – DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA

A) Sintomi ozone-like Foto 33 – Acer pseudoplatanus: arrossamenti internervali sulla pagina superiore della foglia. Nel riquadro a sinistra in basso particolare di clorosi e necrosi delle zone internervali. Le parti di lamina vicine alle nervature mantengono il colore verde più scuro.

Foto 34 - Acer pseudoplatanus: sezione di foglia con sintomi ozone-like, alterazioni degenerative del mesofillo a palizzata.

Foto 35 - Fraxinus excelsior: macchie necrotiche sulla pagina superiore, tra le nervature e a partire dal margine fogliare.

Foto 36 - Fraxinus excelsior: sezione di fogliola con danni di tipo ozone-like. Le alterazioni interessano solo le cellule del palizzata che appaiono svuotate della clorofilla. Le epidermidi superiore e inferiore e il mesofillo lacunoso sono asintomatici.

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Foto 37 - Ailanthus altissima: lamina fogliare superiore che evidenzia una diffusa clorosi a cui fa seguito la comparsa piccole necrosi puntiformi.

Foto 38 - Ailanthus altissima: sezione di fogliola di ailanto con sintomi di tipo ozone-like. Svuotamento e collasso delle cellule del mesofillo a palizzata.

Foto 39 - Mahonia aquifolium: arrossamenti della lamina fogliare per accumulo di antociani a livello del mesofillo a palizzata.

Foto 40 - Mahonia aquifolium: sezione di foglia con arrossamenti fogliari di tipo ozone-like. Le macchiettature rosseggianti si tramutano, nella sezione istologica vegetale, in evidenti accumuli di antociani localizzati nelle cellule del mesofillo a palizzata.

Foto 41 – Hibiscus spp.: macchie clorotiche internervali che degenerano in necrosi.

Foto 42 – Hibiscus spp.: sezione di foglia con sintomi ozone-like. Il mesofillo a palizzata è clorotico a seguito della lisi dei cloroplasti. Gli strati epidermici e il mesofillo lacunoso sono privi di alterazioni.

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Foto 43 - Pinus strobus: macchie clorotiche a contorni irregolari attribuibili alla sintomatologia di tipo ozone-like.

Foto 44 - Pinus strobus: sezione fogliare che evidenzia una lisi della clorofilla del mesofillo a palizzata.

Foto 45 – Robinia pseudoacacia: lamina fogliare superiore con fenomeni clorotici delle parti internervali. Segue la formazione di necrosi puntiformi che confluiscono a formare macchie necrotizzanti più ampie.

Foto 46 – Robinia pseudoacacia: sezione di fogliola con sintomi ozone-like. Le cellule del mesofillo a palizzata sono interessate da fenomeni di lisi dei cloroplasti e da successivi processi degenerativi. Non si osservano anomalie istologiche a livello delle cellule costituenti il mesofillo lacunoso e i due strati epidermici.

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Foto 47 – Cornus sanguinea: danni di tipo ozone-like sulla lamina superiore; clorosi generalizzata cui fa seguito la formazione, a partire dalla nervatura principale, di aree imbrunite e/o rosseggianti localizzate in posizione internervale.

Foto 48 – Cornus sanguinea: sezione di foglia che evidenzia i danni a livello del solo mesofillo a palizzata (lisi della clorofilla, collasso delle cellule ed accumuli di antociani).

Foto 49 - Bidens frondosa: comparsa di aree clorotiche e successiva formazione di macchie necrotiche.

Foto 50 - Bidens frondosa: sezione di foglia con fenomeni di lisi della clorofilla a livello del mesofillo a palizzata.

Foto 51 – Knautia arvensis: macchiettature clorotiche e necrotizzanti sulla lamina superiore che si ingrandiscono conferendo alla foglia un aspetto rosseggiante.

Foto 52 – Knautia arvensis: sezione di foglia con sintomi ozone-like, alterazioni del mesofillo a palizzata con degenerazione della clorofilla e accumuli di pigmenti antocianici.

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Foto 53 – Duchesnea indica: lamina fogliare superiore che manifesta una clorosi generalizzata cui fa seguito la comparsa di piccole necrosi puntiformi di colore marrone rossiccio che, unificandosi, determinano delle bande internervali con effetto di bronzatura.

Foto 54 – Duchesnea indica: Sezione di foglia. A livello delle cellule che costituiscono il mesofillo a palizzata si evidenzia sia il collasso della clorofilla (clorosi) che l’accumulo di antociani. Il mesofillo lacunoso è vitale come pure le i due strati epidermici della foglia.

Foto 55 – Geum urbanum: fenomeni necrotici sulla pagina superiore fogliare. L’immagine evidenzia la localizzazione internervale delle alterazioni e il loro colore marron- rossiccio.

Foto 56 – Geum urbanum: sezione di foglia che conferma l’ipotesi del danno di tipo ozone-like. L’epidermide superiore è intatta mentre si evidenziano fenomeni di lisi della clorofilla e liberazioni vacuolari di antociani a livello delle cellule del mesofillo a palizzata.

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Foto 57 – Viburnum lantana: le alterazioni di tipo ozone-like si manifestano, macroscopicamente, come vistosi arrossamenti della lamina fogliare superiore a partire dal margine verso la nervatura centrale.

Foto 58 – Viburnum lantana: sezione fogliare che conferma la diagnosi di sintomatologia ozone-like. Solo il mesofillo a palizzata presenta lisi della clorofilla, collasso cellulare ed accumulo di pigmenti antocianici.

Foto 59 – Cotoneaster sp.: sulla lamina fogliare superiore sono evidenti arrossamenti che interessano la parte di superficie più esposta alla luce. La sintomatologia di tipo ozone-like comporta anche una clorosi e la presenza di aree necrotiche.

Foto 60 –Cotoneaster sp.: sezione fogliare che conferma la diagnosi di danno di tipo ozone-like. Gli strati epidermici sono inalterati mentre le cellule del mesofillo a palizzata sono caratterizzate da lisi della clorofilla e da vistosi accumuli di antociani.

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Foto 61 – Fraxinus ornus: arrossamenti internervali della lamina fogliare superiore a partire dal margine.

Foto 62 – Fraxinus ornus: sezione fogliare che evidenzia come i fenomeni alterativi interessino solo il mesofillo a palizzata (lisi clorofilla e accumulo antociani), mentre l’epidermide superiore è inalterata.

Foto 63 – Vaccinium myrtillus: la lamina fogliare superiore presenta clorosi diffusa e vistosi arrossamenti.

Foto 64 – Vaccinum myrtillus: la sezione fogliare mostra un ipotetico danno di tipo ozone-like; infatti i processi degenerativi come gli accumuli di antociani sono visibili nelle cellule costituenti il mesofillo a palizzata.

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C) Sintomi non ozone-like

Foto 65 – Lapsana communis: la pagina superiore presenta una clorosi evidente, cui seguono macchie necrotiche e aree internervali brunastre. Le nervature rimangono verdi.

Foto 66 – Lapsana communis il mesofillo a palizzata non presenta lisi della clorofilla. Alcune cellule dell’epidermide superiore presentano collasso delle pareti e accumulo di antociani.

Foto 67 – Fraxinus excelsior: la pagina superiore mostra una clorosi generale con necrosi poligonali.

Foto 68 – Fraxinus excelsior: Le alterazioni cominciano dalla pagina superiore e poi interessano il mesofillo a palizzata.

Foto 69 – Fagus sylvatica: la pagina superiore presenta macchie necrotiche che formano isole brunastre internervali.

Foto 70 – Fagus sylvatica: le alterazioni sono presenti sulla pagina inferiore e in alcune aree anche su quella superiore.

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Foto 71 – Rubus idaeus: la lamina fogliare superiore presenta macchie bronzate internervali.

Foto 72 – Rubus idaeus: le alterazioni cominciano dalla pagina superiore e in un secondo tempo interessano il mesofillo a palizzata. Si tratta di un danno da calore.

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