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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 27 agosto 2020 anno LXXIII, numero 35 (4.059) Dio ci chiederà conto dei migranti morti nei viaggi della speranza Dio ci chiederà conto dei migranti morti nei viaggi della speranza

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 27 agosto 2020anno LXXIII, numero 35 (4.059)

Dio ci chiederàconto dei migrantimorti nei viaggidella speranza

Dio ci chiederàconto dei migrantimorti nei viaggidella speranza

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L’Osservatore Romanogiovedì 27 agosto 2020il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

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ANDREA MONDAD irettore

GIANLUCA BICCINICo ordinatore

PIERO DI DOMENICANTONIOProgetto grafico

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Tutti ricordano quello che accadde cinque mesifa, nel pomeriggio del 27 marzo, quando già leombre del crepuscolo si addensavano insiemealle nuvole cariche di pioggia su piazza SanPietro e il Papa lentamente saliva i gradini delsagrato per alzare la sua voce e pregare il Diocreatore che in quei giorni sembrava essersi di-menticato di vegliare sulla sua creazione. «Dasettimane sembra che sia scesa la sera» disseFrancesco, «fitte tenebre si sono addensatenelle nostre piazze, strade e città. Si sono im-padronite delle nostre vite e le hanno riempitedi un silenzio assordante. Si sente nell’aria, siavverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci sia-mo trovati impauriti e smarriti. Come i disce-poli del Vangelo, siamo stati presi da una tem-pesta improvvisa e ci siamo accorti di staresulla stessa barca, tutti fragili, ma anche neces-sari. Tutti chiamati a remare insieme, tutti bi-sognosi di confortarci a vicenda. Su questabarca ci siamo tutti. Come quei discepoli han-no detto “siamo perduti”, anche noi abbiamocapito che non possiamo andare da soli madobbiamo stare insieme. La tempesta smasche-ra la nostra vulnerabilità, lasciando scoperte lenostre false sicurezze su cui abbiamo costruitoagende, abitudini e priorità».

Il messaggio è stato forte e chiaro: non sia-mo autosufficienti, da soli affondiamo. E poiun’apertura verso la speranza, verso unosguardo più ampio e soprattutto più grato:«Le nostre vite sono sostenute da persone chedi solito passano inosservate, che sfuggono al-le riviste e ai giornali, ma che pure stanno scri-vendo le pagine della nostra storia: medici, in-fermieri, addetti ai supermercati, badanti, tra-sportatori, forze dell’ordine, volontari religiosi:tanti hanno compreso che nessuno si salva dasolo».

Anche nella catechesi dell’udienza generaledel mercoledì, il Papa è tornato su questa im-magine della tempesta e ancora una volta haaperto il nostro sguardo alla speranza: «Da-vanti alla pandemia e alle sue conseguenze so-ciali, molti rischiano di perdere la speranza. Inquesto tempo di incertezza e di angoscia, invi-to tutti ad accogliere il dono della speranzache viene da Cristo. È Lui che ci aiuta a navi-gare nelle acque tumultuose della malattia,della morte e dell’ingiustizia, che non hannol’ultima parola sulla nostra destinazione fina-le». Il rischio non è solo quello di perdere lasperanza ma anche la ragione e di far prevale-re la paura e la lotta per la sopravvivenza sulsenso della solidarietà. Quando infuria la tem-pesta il grido che si alza infatti è “si salvi chipuò!” ma c’è un inganno in quella prima paro-lina, il suffisso riflessivo “si”, sarebbe infattipiù giusto gridare “mi salvi chi può!”. Se è ve-ro che nessuno si salva da solo, allora la prete-sa deve cedere il passo alla preghiera. La vitatua diventa vita mea anziché m o rs .

C’è una storia, vera, che è accaduta circa mezzosecolo fa che dimostra questa verità e sfata unmito antico, una storia che parla proprio ditempesta. L’ha raccontata l’economista olandeseRutger Bregman nel suo saggio Humankind. AHopeful History (in uscita a ottobre da Feltrinel-li) e l’ha riproposta come reading teatrale Fran-cesco Chiamulera qualche giorno fa durante larassegna «Una montagna di libri» a Cortinad’Ampezzo: nel giugno del 1965 sei ragazzi daitredici ai sedici anni, alunni del St Andrew’s,un severo collegio cattolico a Nuku’alofa nelPacifico, un po’ per noia un po’ per desideriodi avventura, s’impossessano di una imbarca-zione e fanno rotta verso le isole Fiji, che si tro-vano a circa cinquecento miglia di distanza. Lisorprende una tempesta e li scaraventa sullapiccola isola ’Ata dove vivranno un anno inte-ro. Sembra la fotocopia della storia raccontatada William Golding nel famoso romanzo Il si-gnore delle mosche che, uscito nel 1954, diede su-bito popolarità (e un premio Nobel) al suo au-tore. Se l’avvio della vicenda è uguale molto di-verso lo sviluppo e il finale: nel romanzo diGolding il gruppo di giovani naufraghi verràlacerato da guerre intestine e alla fine la violen-za prenderà il sopravvento creando anche di-verse vittime perchè la natura umana porta ine-vitabilmente al conflitto e alla lotta per il pote-re. Questa la letteratura. Nella realtà la vicendastorica dei sei ragazzi di ’Ata è ben diversa, co-me ricorderà il capitano della nave che, dopoquindici mesi, salvò e riportò a casa i naufra-ghi: «I ragazzi avevano creato una piccola co-mune con orto, tronchi d’albero scavati per im-magazzinare l’acqua piovana, una palestra conpesi, un campo da badminton, recinti per pollie un fuoco permanente, il tutto grazie al lavoromanuale, una vecchia lama di coltello e tantadeterminazione». Organizzati in gruppi di duei ragazzi si divisero i compiti, il primo dei qua-li, fondamentale, fu quello della custodia delfuoco che per quindici mesi fu sempre mante-nuto acceso. Quando scoppiava una lite, loscontro veniva subito risolto imponendo ai liti-ganti di andare alle estremità opposte dell’isolaper rinfrescarsi gli animi e dopo circa quattroore si lavorava tutti insieme per la riconciliazio-ne. I giorni dei sei ragazzi cominciano e fini-scono con canti e preghiere e un ruolo fonda-mentale è quello della musica grazie alla “chi -tarra” modellata da uno dei ragazzi da un pez-zo di legno galleggiante, usando mezzo gusciodi noce di cocco e sei fili d’acciaio recuperatidalla loro barca distrutta. Anche quando uno diloro scivola, cade da un dirupo e si rompe unagamba la logica della solidarietà prevale suquella della sopravvivenza: la gamba sarà siste-mata con un’ingessatura rudimentale di baston-cini e foglie e la sua parte di lavoro verrà ridi-

Per attraversarela tempesta:tutti insieme

#editoriale

di ANDREA MONDA

Uno sguardodi speranzain questo tempodi incertezzae di angoscia

CO N T I N UA A PA G I N A 11

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La sera di 42 anni fa si affacciava sorridentedalla Loggia centrale della basilica di San Pie-tro il successore di Papa Paolo VI. Albino Lu-ciani, patriarca di Venezia, il 26 agosto 1978venne eletto al quarto scrutinio assumendo ildoppio nome di Giovanni Paolo, in ossequioai suoi immediati predecessori, Roncalli eMontini. Il primo l’aveva voluto vescovo diVittorio Veneto includendolo così tra i padridel Concilio, il secondo l’aveva trasferito a Ve-nezia e creato cardinale. Quella calda serad’estate nessuno poteva immaginare che ilpontificato di Giovanni Paolo I, mite e umilepastore veneto con origini montanare, sarebbestato tra i più brevi della storia. Quarantadueanni dopo quell’evento, in un tempo in cui ilconcilio ecumenico Vaticano II è oggetto di at-tacchi e di critiche, è significativo ricordareLuciani attraverso alcune sue parole scrittequando era vescovo e padre conciliare, perspiegare ai fedeli della sua diocesi ciò che sta-va accadendo a Roma.

Contro il diffuso pessimismoNella fase preparatoria Luciani non fa man-

care il suo parere scritto. Nel suo voto il ve-scovo di Vittorio Veneto auspica che il futuroConcilio metta in luce «l’ottimismo cristiano»insito nell’insegnamento del Risorto, contro«il diffuso pessimismo» della cultura relativi-stica, denunciando una sostanziale ignoranzadelle «cose elementari della fede». Lucianiparte per Roma, partecipa alle sessioni delconcilio, ascolta con attenzione i dibattiti.Non prende mai la parola ma scrive pagine epagine di appunti. Rilegge Antonio Rosmini,studia a fondo molti teologi, tra i quali Henride Lubac e Hans Urs von Balthasar. Scrivespesso ai fedeli della sua diocesi, li tiene ag-giornati sui risultati del concilio e spiega argo-menti delicati con il consueto stile didascalicoe catechistico, evitando però, allo stesso tem-po, le semplificazioni eccessive. Il vescovo Lu-ciani indica subito quello che ai suoi occhi sa-rà l’attore principale del Concilio: «Lo SpiritoSanto, presente ai lavori colla sua assistenza aimpedire errori e deviazioni dottrinali». Un’as-sistenza, scrive, che andrà ai membri del con-cilio collettivamente come a «capi-Chiesa, noncome a uomini singoli» che «rimarranno uo-mini col loro temperamento».

Un’esp erienzadi Chiesa universale

In un messaggio per la giornata missionaria,datato 14 ottobre 1963, Luciani informa i suoidiocesani che sta toccando le missioni nellepersone dei vescovi convenuti da ogni parte

scovo di Karema (Tanganika), suo ospite peralcuni giorni: un gesto di attenzione, ma an-che un modo per far respirare alla diocesi ladimensione dell’universalità della Chiesa.L’impeto missionario emerge anche dalle paro-le che il vescovo di Vittorio Veneto dedica aPapa Giovanni, celebrando nel giugno 1963una messa di suffragio per il Pontefice appenadefunto. «L’idea di Papa Giovanni, che più hacolpito il mio spirito, è questa: Ecclesia Christilumen gentium! La Chiesa deve far chiaro nonsolo ai cattolici, ma a tutti; essa è di tutti, bi-sogna cercare di avvicinarla a tutti».

Riforma liturgicaDue assaggi, dagli scritti del vescovo Lucia-

ni, per comprendere come il futuro Papa guar-dasse ad alcuni dei temi cruciali del concilio.Il primo riguarda la liturgia. «Durante la pri-ma sessione del Concilio — scrive Luciani — ilgrande problema, circa la Messa, è stato: qualiaiuti offrire ai fedeli, perché ricavino il massi-mo frutto possibile da questo, che è “il puntoculminante della vita cristiana?”. Un primoaiuto, è stato detto, venga dalla Bibbia. LaBibbia è parola di Dio; è straordinaria nelcreare un clima di giusta e fervida religiosità...La lettura dell’epistola e del Vangelo sia fattadirettamente in italiano, quando alla Messa as-sistono i fedeli, e sia messa più in risalto... Unsecondo aiuto è l’uso della lingua italiana. Allaprima sessione del Concilio ben 81 vescovihanno chiesto per la liturgia l’uso della linguamaterna. Altri vescovi erano timorosi... Altrifecero notare che la Chiesa, in passato, ha piùvolte cambiato lingua, adattandosi alla linguadel popolo. Gesù stesso parlò e pregò non inebraico, lingua nazionale della Palestina, ma inaramaico, lingua del popolo... Un terzo aiuto

Il conciliodi Albino Luciani

A quarantadue annidall’elezionealla Cattedradi Pietro

#giovannipaoloprimo

di ANDREA TORNIELLI

consiste nel semplificare i riti dellaMessa. Per essere sinceri, alcuni riti,nel corso dei secoli, si sono accavalla-ti, altri non sono capiti dal popolo dioggi, altri, per essere capiti, richiedo-no complicate spiegazioni. Un rito —s’è detto al Concilio — non dev’e s s e reuna cosa, su cui parlare e spiegare,ma una cosa che parla e spiega di persé; in ogni caso, non imponiamo aifedeli inutili difficoltà!... Un quartoaiuto consiste nel promuovere e ren-dere facile la partecipazione dei fede-li».

del mondo. E infatti scrive: «Nell’aula conci-liare, basta ch’io alzi gli occhi sulle gradinateche mi stanno davanti. Son là: le barbe dei ve-scovi missionari, le facce nere degli africani, glizigomi sporgenti degli asiatici. E basta ch’ioscambi con essi qualche parola; s’aprono da-vanti visioni e bisogni, di cui, da noi, non s’haneppur l’idea». Conclusosi il primo periodoconciliare, Luciani ritorna a casa insieme alsuo «vicino di banco», Charles Msakila, ve-

Libertà religiosaUno degli argomenti più delicati e comples-

si affrontato dal concilio fu quello della libertàreligiosa. Per Luciani fu un cambiamento si-gnificativo rispetto agli insegnamenti del semi-nario. Ecco come il vescovo di Vittorio Venetospiega quel momento: «Tutti siamo d’a c c o rd o

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ÈUn inno in favoredella vita nascente

partito dal ricordo personale degli incontri —durante gli anni trascorsi a Buenos Aires — te-nuti nei giorni delle celebrazioni in onore disan Raimondo Nonnato. Papa Francesco, nellalettera autografa inviata il 6 agosto a don Ru-bén Ceraci, parroco del santuario argentinodedicato al religioso mercedario invocato comepatrono delle donne in gravidanza e delleostetriche, assicura la sua vicinanza spiritualealla comunità che si prepara a vivere la festaliturgica del santo, ricordato con grande solen-nità nella capitale del Paese il 31 agosto diogni anno.

Il Pontefice rievoca in particolare «le bene-dizioni delle mamme, dei bambini, degli sposiche chiedono un figlio» affidandosi all’inter-cessione di Raimondo Nonnato. Si tratta, scri-ve, «di un vero inno alla vita nascente». An-che «ora — confida — quando all’udienza alcu-ni sposi mi chiedono la benedizione perché ar-rivi un figlio, dico loro di pregare san Rai-mondo Nonnato». E «se sono dell’A rg e n t i n a— continua — raccomando loro di passare peril santuario di via Cervantes» a Buenos Aires.

Il Pontefice formula gli auguri al sacerdoteper la prossima celebrazione, che questo annosi prevede «un po’ atipica» per le restrizioni acausa del covid-19. E conclude la lettera con lacertezza che, nonostante tutto, per la comunitàquesta sarà un’occasione di abbondante grazia,pace, salute e fecondità.

La novena inizierà sabato 22 e si svolgerà fi-no al 30 ogni giorno alle 19, eccetto le dome-niche, in cui sarà posticipata alle 19.30 Que-st’anno il tema scelto per la festa è «Insieme asan Raimondo, abbracciamo la speranza». Lamessa solenne sarà celebrata, lunedì 31 dal car-dinale Mario Aurelio Poli, arcivescovo di Bue-nos Aires e primate d’Argentina. Tutte le cele-brazioni potranno essere seguite tramite gli ac-

count del santuario sui social: Facebook, In-stagram e Youtube. San Raimondo è moltovenerato nella capitale argentina, dove vieneinvocato anche come protettore dei bimbi nonancora nati. Mercedario del XIII secolo, origi-nario della Catalogna — fu uno dei primi com-pagni di san Pietro Nolasco — è chiamato“non-nato” perché venne estratto vivo dalgrembo della madre ormai morta. Le donneargentine hanno la tradizione di portare dellescarpine al santuario e ricevono quelle di chile ha precedute. Si crea così una catenad’amore in favore della maternità e dell’imp e-gno a promuovere la vita in tutte le sue fasi.

L e t t e raal parroco

del santuarioa rg e n t i n o

di San RaimondoNonnato

La statua di san RaimondoNonnato in processioneper le strade di Buenos Aires

#francesco

Per l’ospedale di una delle zone più povere del Paese

Ventilatori in dono per assisterei malati di covid-19 in Malawi

I ventilatori donati in questi giorni daPapa Francesco al Likuni MissionHospital, in Malawi, arrivano al momentogiusto in un’area, quella della periferia diLilongwe, che ne è completamentesprovvista. È con questa concretaespressione di gratitudine che suor AgnesLungu, direttrice della struttura, haaccolto il dono del materiale sanitario perassistere le persone colpite dacoronavirus. Attraverso l’a rc i v e s c o v oGianfranco Gallone, nunzio apostoliconel Paese africano, a consegnare allastruttura i ventilatori — come riferiscel’Associazione delle Conferenze episcopali

dell’Africa orientale — è statopersonalmente l’arcivescovo di Lilongwe,monsignor Tarcisius Ziyaye, presidentedel Segretariato cattolico del Malawi. «IlSanto Padre è veramente preoccupato daquesta pandemia mortale che ha scossotutto il mondo. Come gesto digratitudine continueremo a pregare perlui» ha detto il presule. L’osp edale,situato a pochi chilometri dalla capitale edotato di 231 posti letto, è gestito dallesuore Missionarie di San Francescod’Assisi e assiste ogni anno circaquarantacinquemila persone, per lo piùcontadini e commercianti a basso reddito.

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Papa Francesco ha «appreso con piacere»dell’iniziativa presa dalla Pontificia Accademiamariana internazionale, che il prossimo 18 set-tembre ha organizzato un convegno per «dareinizio ufficialmente al nuovo settore, opportu-namente istituito al suo interno». Si tratta delDipartimento di analisi e di studio dei feno-meni criminali e mafiosi, ideato e realizzato«per liberare la figura della Madonna dall’in-flusso delle organizzazioni malavitose».

«Desidero esprimere il mio apprezzamentoper l’importante iniziativa e rivolgo il mio sa-luto cordiale ai promotori, ai relatori e a tutti ipartecipanti alla significativa giornata di stu-dio, volta a coinvolgere diversi settori della so-cietà civile, affinché, in collaborazione con leAutorità ecclesiastiche e le Istituzioni pubbli-che, si possano individuare efficaci proposteper una necessaria operazione culturale di sen-sibilizzazione delle coscienze e di adozione diprovvedimenti adeguati» scrive il Pontefice inuna lettera indirizzata per l’occasione al presi-dente dell’istituzione mariana, padre StefanoCecchin, dell’ordine dei Frati minori. Una let-tera che attesta l’attenzione del Papa per ilnuovo processo che sta interessando la Pontifi-cia Accademia da tempo: nuove visioni, nuoviprogrammi, nuove prospettive e metodologiedi una mariologia sempre meno “accademica”e più vicino alla società, nel pieno solco degliinsegnamenti del concilio Vaticano II e in pie-na armonia con il magistero di Francesco, cheaveva avuto modo già il 4 dicembre 2019 diindirizzare i suoi saluti alla comunità dell’isti-tuto.

Questa volta, la lettera al presidente riguar-da — in particolar modo — la nuova strutturache sta nascendo all’interno della PontificiaAccademia: il Dipartimento che si occuperà diliberare la figura di Maria dal potere crimina-le. L’ambizioso progetto — il convegno inau-gurativo del prossimo 18 settembre si svolgeràpresso l’aula Unità d’Italia della Corte d’ap-pello di Roma — vedrà coinvolti importanti fi-gure della società civile, tutti accomunati daun “sogno” che non vuole essere solo tale,bensì una realtà concreta: il bene comune, tan-to necessario nel tempo difficile che stiamo vi-vendo.

Considerato che la figura di Maria, nonchéi luoghi, le ritualità e i simbolismi a Lei asso-ciati, sono oggetto di “riconfigurazione siste-matica” da parte delle mafie e della criminalitàorganizzata non solo in Italia, ma anche in al-tri Paesi su scala globale, l’Accademia si è fatta

promotrice di questo importante nuovo Dipar-timento che avrà il compito di studiare e mo-nitorare tale problematica. A sottolineare que-sto delicato punto, è lo stesso Papa Francesconella sua lettera che porta la data della solen-nità mariana dell’Assunta: «La devozione ma-riana è un patrimonio religioso-culturale dasalvaguardare nella sua originaria purezza, li-berandolo da sovrastrutture, poteri o condizio-namenti che non rispondono ai criteri evange-lici di giustizia, libertà, onestà e solidarietà».

Cosa ha spinto l’Accademia a istituire que-sto nuovo Dipartimento? La preoccupante“operazione culturale” che si perpetua da di-versi decenni ad opera della criminalità, hacercato di creare nell’inconscio collettivo di va-rie comunità italiane e straniere una visione di-storta e storicamente irreale della madre diCristo. Da questo dato è nata una sorta di“o ccupazione” dei luoghi e delle ritualità ma-riane da parte delle mafie, in modo da svuota-re l’autentico significato evangelico della figu-ra di Maria. Per contrapporsi a questo scena-rio, la Pontificia Accademia ha ritenuto neces-saria un’altrettanto forte e coesa “op erazioneculturale” di restituzione alla verità della figu-ra di Maria. E lo farà non solo nell’ottica cri-stiana ma anche guardando alla tradizioneislamica, essendo Maria stessa il “mo dello”dell’agire credente in entrambe le religioni.

Il Dipartimento — si legge in una nota dellastessa Accademia — vuole restituire a Maria il«suo naturale contesto, non solo multi-religio-so e multi-culturale, ma anche trans-religioso etrans-culturale non solo di fatto ma anche didiritto», trovando proprio nella sua figura lapossibilità «di promuovere dimensioni non se-condarie e tutt’altro che estranee al bene co-mune della civitas, ma che possono anzi diven-tarne un potente elemento capace di valorizza-re tutto ciò che in nome della comune umani-tà contribuisce alla costruzione della pace, delbenessere per tutti, della cura per il pianeta eper la sua sostenibilità».

Il Dipartimento interesserà ben nove areetematiche: criminalità organizzata autoctona(’ndragheta, cosa nostra, camorra, mafie pu-gliesi, stidda, mafia garganica); criminalitàstraniera (nella fattispecie quella albanese, ni-geriana, turca, colombiana, cecena, messicana);ecomafia e crimini ambientali, archeomafia,zoomafia; sequestro confisca e gestione dei be-ni della criminalità mafiosa; storia del terrori-smo nazionale; terrorismo internazionale; vio-lenza intrafamiliare; violenza di genere e, inultimo, prevenzione e analisi dell’uso delledroghe tra i minori. Un programma ad ampioraggio, dunque, quello del nuovo Dipartimen-to che vede la Pontificia Accademia impegnar-si — in prima persona — in un progetto corag-gioso, ambizioso e profondamente innovativo.

Lib erarela devozionealla Verginedall’influssodelle mafie

Ap p re z z a m e n t oper la nuova

iniziativadella Pontificia

Ac c a d e m i amariana

internazionale

#francesco

di ANTONIO TARALLO

Poeta del popolo

«Uno dei grandi “poeti delp op olo”, creatore di canto,di vita, di bellezza»: conqueste parole, cariche distima e di riconoscenza,Papa Francesco, in unalettera autografa, sintetizzala figura e la testimonianzadi Julián Geronimo Zini,prete argentino originario diCorrientes, poeta ecantautore, mortoottantenne domenica 16agosto, a causa di unaforma tumorale.Nel breve testo — che èstato letto durante la seratacommemorativa tenutasisabato 22, nel teatro Juande Vera di Corrientes — ilPontefice confida che,pensando a Zini, gli tornain mente il poema La copla(che in italiano si potrebbea p p ro s s i m a t i v a m e n t etradurre con «La strofa»)del “gitano” ManuelMachado, uno dei poetispagnoli della generazionedel ’98: «Finché il popolo lecanta, / le coplas non soncoplas, / e quando le canta ilpopolo / ormai nessuno nericorda l’autore. / Fa sì chele tue coplas / arrivino alpopolo, / anche sesmetteranno d’esser tue /per essere di tutti gli altri».Francesco accosta appuntole coplas ai canti di padreJulian, che — scrive — «sonogià del popolo, di quelpopolo al quale consegnò lasua vita sacerdotale, di quelpopolo umile che servì conla generosità di un padreche solo sa dare vita».Infine, il Pontefice rivolge aZini un «grazie grandecome il suo cuore lomerita».Capace di coniugare il suoministero sacerdotale con lasensibilità poetica eculturale, espressasoprattutto sotto forma dicanzoni e attraverso lostudio della religiositàpopolare, Zini era nato inlocalità El Centinela(Corrientes) il 29 settembre1939. Aveva vissuto la suainfanzia nel “Pa r a j eCambaí” (Monte Caseros,Corrientes), antico luogodelle riduzioni gesuitiche.Nel 1963 aveva ricevutol’ordinazione sacerdotale,dopo aver frequentato ilseminario maggiore di LaPlata. Si era dedicatointensamente alla ricerca delgenere e della religiositàpopolare. Aveva scritto, tral’altro, libri come Camino alChamamé, Ñande roga, El árbolde nuestra identidad, Memoria dela Sangre. Nel 2005 avevaricevuto il “tributo allacarriera” nel campo dellacultura popolare dal Senatodella Repubblica argentina.Era stato animatore deiprincipali festival del Litorale del gran Buenos Aires.Negli ultimi tempi era statoanche vicario episcopale perla cultura della diocesi diGoya.

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Dio ci chiederà conto dei migranti mortinei viaggi della speranza

Al l ’An g e l u sil Papa ricorda

il massacrodi San Fernando

avvenutodieci anni fa

in Messico

Il dolore di uno dei familiari delle vittime del massacro (Afp)

#copertina

«Il Signore ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggidella speranza». Il nuovo monito di Papa Francesco contro la«cultura dello scarto» che miete vittime anche fra quanti lasciano leloro terre in cerca di «una vita migliore» è risuonato al terminedell’Angelus del 23 agosto, recitato a mezzogiorno con i fedeli riunitiin piazza San Pietro — nel rispetto delle misure di sicurezza invigore per contenere i contagi da coronavirus — e con quanti indiverse parti del mondo lo hanno seguito attraverso i media. Inprecedenza il Pontefice aveva dedicato la sua riflessione introduttivaal brano evangelico della liturgia domenicale (Matteo 16, 13-20),nel quale «Pietro professa la sua fede in Gesù quale Messia eFiglio di Dio».

Appello dell’episcopato messicano

Politiche migratoriepiù giuste e accessibili

Espressa in una telefonata al vescovo di Pemba

La vicinanzadi Francesco al Mozambico

ari fratelli e sorelle, buongiorno!Il Vangelo di questa domenica (cfr Mt 16, 13-20) presenta il

momento nel quale Pietro professa la sua fede in Gesù qualeMessia e Figlio di Dio. Questa confessione dell’Apostolo è pro-vocata da Gesù stesso, che vuole condurre i suoi discepoli a fa-re il passo decisivo nella loro relazione con Lui. Infatti, tutto ilcammino di Gesù con quelli che lo seguono, specialmente con iDodici, è un cammino di educazione della loro fede. Prima ditutto Egli chiede: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uo-mo?» (v. 13). Agli apostoli piaceva parlare della gente, come atutti noi. Il pettegolezzo piace. Parlare degli altri non è tantoimpegnativo, per questo, perché ci piace; anche “sp ellare” glialtri. In questo caso è già richiesta la prospettiva della fede enon il pettegolezzo, cioè chiede: “Che cosa dice la gente che iosia?”. E i discepoli sembrano fare a gara nel riferire le diverseopinioni, che forse in larga parte essi stessi condividevano. Lorostessi condividevano. In sostanza, Gesù di Nazaret era conside-rato un profeta (v. 14).

Con la seconda domanda, Gesù li tocca sul vivo: «Ma voi,chi dite che io sia?» (v. 15). A questo punto, ci sembra di perce-pire qualche istante di silenzio, perché ciascuno dei presenti è

chiamato a mettersi in gioco, manifestando il motivo per cui se-gue Gesù; per questo è più che legittima una certa esitazione.Anche se io adesso domandassi a voi: “Per te, chi è Gesù?”, cisarà un po’ di esitazione. Li toglie d’imbarazzo Simone, checon slancio dichiara: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»(v. 16). Questa risposta, così piena e luminosa, non gli viene dalsuo impulso, per quanto generoso — Pietro era generoso —, maè frutto di una grazia particolare del Padre celeste. Gesù stessoinfatti gli dice: «Né carne né sangue te lo hanno rivelato — cioèla cultura, quello che hai studiato — no, questo non te l’ha rive-lato. Te lo ha rivelato il Padre mio che è nei cieli» (v. 17). Con-fessare Gesù è una grazia del Padre. Dire che Gesù è il Figliodi Dio vivo, che è il Redentore, è una grazia che noi dobbiamochiedere: “Padre, dammi la grazia di confessare Gesù”. Nellostesso tempo, il Signore riconosce la pronta corrispondenza diSimone all’ispirazione della grazia e quindi aggiunge, in tono

solenne: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la miaChiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa» (v.18). Con questa affermazione, Gesù fa capire a Simone il sensodel nuovo nome che gli ha dato, “P i e t ro ”: la fede che ha appe-na manifestato è la “pietra” incrollabile sulla quale il Figlio diDio vuole costruire la sua Chiesa, cioè la Comunità. E la Chie-sa va avanti sempre sulla fede di Pietro, su quella fede che Ge-sù riconosce [in Pietro] e lo fa capo della Chiesa.

Oggi, sentiamo rivolta a ciascuno di noi la domanda di Ge-sù: “E voi, chi dite che io sia?”. A ognuno di noi. E ognuno dinoi deve dare una risposta non teorica, ma che coinvolge la fe-de, cioè la vita, perché la fede è vita! “Per me tu sei...”, e dire laconfessione di Gesù. Una risposta che richiede anche a noi, co-me ai primi discepoli, l’ascolto interiore della voce del Padre ela consonanza con quello che la Chiesa, raccolta attorno a Pie-tro, continua a proclamare. Si tratta di capire chi è per noi Cri-sto: se Lui è il centro della nostra vita, se Lui è e il fine di ogninostro impegno nella Chiesa, del nostro impegno e nella socie-tà. Chi è Gesù Cristo per me? Chi è Gesù Cristo per te, per te,per te... Una risposta che noi dovremmo dare ogni giorno.

Ma state attenti: è indispensabile e lodevole che la pastoraledelle nostre comunità sia aperta alle tante povertà ed emergen-ze che sono dappertutto. La carità sempre è la via maestra delcammino di fede, della perfezione della fede. Ma è necessarioche le opere di solidarietà, le opere di carità che noi facciamo,non distolgano dal contatto con il Signore Gesù. La carità cri-stiana non è semplice filantropia ma, da una parte, è guardarel’altro con gli occhi stessi di Gesù e, dall’altra parte, è vedereGesù nel volto del povero. Questa è la strada vera della caritàcristiana, con Gesù al centro, sempre. Maria Santissima, beataperché ha creduto, ci sia guida e modello nel cammino della fe-de in Cristo, e ci renda consapevoli che la fiducia in Lui dàsenso pieno alla nostra carità e a tutta la nostra esistenza.

Al termine della preghiera mariana il Papa ha invitato a pregareper tutte le vittime delle persecuzioni a sfondo religioso. Quindi,dopo aver ricordato il massacro di 72 migranti avvenuto dieci annifa a San Fernando, in Messico, ha espresso la sua vicinanza allecomunità dell’Italia centrale colpite nel 2016 dal terremoto. Infineha rinnovato la sua solidarietà alle popolazioni del Mozambico chevivono sotto la minaccia del terrorismo internazionale e ha invitatoa non dimenticare quanti sono morti e quanti ancora soffrono acausa della pandemia.

Cari fratelli e sorelle,ieri si è celebrata la Giornata mondiale in ricordo delle vittimedi atti di violenza basati sulla religione e sul credo. Preghiamoper questi nostri fratelli e sorelle, e sosteniamo con la preghierae la solidarietà anche quanti — e sono tanti — ancora oggi ven-gono perseguitati a motivo della loro fede religiosa. Tanti!

Domani, 24 agosto, ricorre il decimo anniversario del massa-cro di settantadue migranti a San Fernando, a Tamaulipas, inMessico. Erano persone di diversi Paesi che cercavano una vitamigliore. Esprimo la mia solidarietà alle famiglie delle vittimeche ancora oggi invocano giustizia e verità su quanto accaduto.Il Signore ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggidella speranza. Sono stati vittime della cultura dello scarto.

Domani si compiono anche quattro anni dal terremoto cheha colpito l’Italia Centrale. Rinnovo la preghiera per le famigliee le comunità che hanno subito maggiori danni, perché possa-no andare avanti con solidarietà e speranza; e mi auguro che siacceleri la ricostruzione, affinché la gente possa tornare a vivereserenamente in questi bellissimi territori dell’App ennino.

Desidero, inoltre, ribadire la mia vicinanza alla popolazionedi Cabo Delgado, nel Nord del Mozambico, che sta soffrendoa causa del terrorismo internazionale. Lo faccio nel vivo ricor-do della visita che ho compiuto in quel caro Paese circa un an-no fa.

Rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, romani e pellegrini. Inparticolare, ai giovani della Parrocchia del Cernusco sul Navi-glio — questi che sono in giallo, lì — partiti da Siena in biciclet-ta e giunti oggi a Roma lungo la Via Francigena. Siete statibravi! E saluto anche il gruppo di famiglie di Carobbio degliAngeli (provincia di Bergamo), venute in pellegrinaggio in ri-cordo delle vittime del Coronavirus. E non dimentichiamo, nondimentichiamo le vittime del Coronavirus. Questa mattina hosentito la testimonianza di una famiglia che ha perso i nonnisenza poterli congedare e salutare, nello stesso giorno. Tantasofferenza, tante persone che hanno perso la vita, vittime dellamalattia; e tanti volontari, medici, infermieri, suore, sacerdoti,che anche hanno perso la vita. Ricordiamo le famiglie che han-no sofferto per questo.

E auguro a tutti una buona domenica. Per favore, non di-menticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Le politiche «che cercano di frenare e reprimerela migrazione favoriscono soltanto i gruppicriminali», per i quali chi scappa dalla propriaterra e affronta lunghi viaggi per sottrarsi asofferenze e ingiustizie è considerato alla steguadi un «oggetto di affari che genera ingentisomme di denaro». È la nuova denuncia deivescovi messicani all’indomani dell’app ellolanciato dal Papa all’An g e l u s . In un messaggio afirma del vescovo José Guadalupe Torres Campo,presidente della dimensione episcopale dipastorale della mobilità umana della Conferenzadei presuli del Paese, si ricorda l’anniversario delmassacro dei 72 migranti avvenuto il 24 agosto2010 a San Fernando, nello stato di confine diTamaulipas: persone di diverse nazionalità(Brasile, Ecuador, Nicaragua, Honduras,Guatemala, El Salvador), che «cercavano una vita

migliore» e vennero uccise brutalmente. Unevento drammatico che, per l’episcopatomessicano, richiama alla memoria le tragedie ditanti altri migranti «che ancora oggi continuano aessere vittime della criminalità organizzata» ecostituisce un forte richiamo a promuovere«politiche migratorie più giuste e accessibili chenon costringano i migranti a vivere nellaclandestinità» trasformandoli in «facile preda perquesti gruppi».«Come Chiesa — assicurano i presuli — ciaddolora la situazione che stanno attraversandomolti fratelli e sorelle migranti, e siamo solidalicon le famiglie di questi 72 e di tutte le personemigranti che sono stati vittime della criminalitàorganizzata nel nostro Paese e che oggireclamano giustizia e verità».

«Santo Padre, lei ha messo Cabo Delgado sullamappa del mondo»: è questa l’espressione digratitudine che il vescovo di Pemba inMozambico, monsignor Luiz Fernando Lisboa,ha rivolto a Papa Francesco nella telefonatainaspettata ricevuta nei giorni corsi. Il presule stacontinuando a richiamare l’attenzione sulpeggioramento della situazione umanitaria aCabo Delgado dove crescenti e continueinsurrezioni mettono in pericolo gli investimentinell’imponente giacimento di gas naturaleliquido.«Ho ricevuto una chiamata dal Papa che mi hadato molte rassicurazioni e consolazioni» haspiegato monsignor Lisboa. Nella telefonata ilPontefice ha voluto esprimere vicinanza alla gentedella regione di Cabo Delgado. «Il Santo Padreha detto di seguire gli eventi della nostraprovincia con grande preoccupazione e di pregarecostantemente per noi» ha fatto presente ilvescovo. «Mi ha anche detto che se c’è

qualcos’altro che può fare non dovremmo esitarea chiederglielo. È pronto a camminare con noi.Gli ho espresso il mio profondo apprezzamentoper il gesto della telefonata — ha raccontato ilpresule — e gli ho detto quanto gli siamo gratiquando la domenica di Pasqua, il 12 aprile, hapregato per Cabo Delgado durante labenedizione Urbi et Orbi. Gli ho detto che il suoriferimento alla crisi umanitaria nella nostraprovincia ha fatto sì che anche altre persone sirendessero conto della nostra situazione.Constatiamo che diverse congregazioni, alcuneorganizzazioni umanitarie, tante persone, sialocali che da fuori, cominciano a collaborare».Monsignor Lisboa ha anche informato PapaFrancesco della difficile situazione della cittàportuale di Mocimboa da Praia. Ricordandoinfine la visita in Mozambico di un anno fa, ilPapa ha incoraggiato il vescovo «a contattare ilcardinale Michael Czerny per un aiuto sul frontedell’assistenza umanitaria».

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«Io sono tranquillo e sereno come un bimbo…».Eccomi, eccoci di nuovo a Lourdes, in un an-no tutto particolare, con un’emozione diversa,con un’intenzione unica, con la consapevolez-za di un privilegio nel rappresentare tantissimialtri pellegrini di Roma, d’Italia e del mondoche quest’anno non sono potuti partire, perdiversi motivi che conosciamo. Ci siamo accor-ti, in questo periodo, di quanto sia vera la Pa-rola di Gesù sul chicco di grano. È stato untempo in cui abbiamo visto tante persone darela vita, ma abbiamo anche sperimentato il per-corso del seme, chiamato a stare nell’oscuritàdella terra per un tempo imprecisato, per poiprodurre frutto.

Siamo qui per affidare a Maria il nostrocammino diocesano. Questo periodo non èstato una “p a re n t e s i ”, ma piuttosto un tempoin cui siamo “stati arati” per fare di noi “il ter-reno buono” che accoglie il seme dei doni diDio, nel buio, nel silenzio e nella prova. Il se-me è cresciuto, notte e giorno, «come, noistessi non sappiamo» (cfr. Ma rc o 4, 27), in unmodo originale rispetto ai nostri piani. PapaFrancesco nell’omelia della messa di Penteco-ste ha detto: «Peggio di questa crisi, c’è soloil dramma di sprecarla, chiudendoci in noistessi».

Bernadette incontra Maria, l’11 febbraio1858, in un momento di estrema crisi per lei eper i suoi familiari. È stato tolto loro tutto. Ilfallimento nel tentativo di mandare avanti unmulino si era trasformato in una miseria estre-ma in cui i Soubirous non avevano altro cheDio, a cui gridavano le loro preghiere. QuellaBella Signora, descritta come una ragazza gio-vane e piccola come lei — un’adolescente di unmetro e quaranta — toglierà a Bernadette an-che quello che credeva di sapere, ossia farsi ilsegno di croce. La sua mano sarà come para-lizzata, finché non sarà il gesto di Maria adaiutarla, come in uno specchio, a segnarsi.

Pasqua e dove i figli hanno accompagnato igenitori sulla via della semplicità. Sì, siamo aLourdes per rinunciare all’uomo vecchio chein noi crede di sapere tutto, e ricominciare, co-me un bambino influenzato a cui la mammamisura la febbre.

Mai come quest’anno ci siamo lasciati misu-rare la temperatura. Lasciamo ora che sia Ma-ria a misurare la nostra capacità di amare co-me una madre che non ha bisogno di termo-metri, ma a cui basta passare la mano sullafronte del figlio per capire se ha la febbre.Quella mano si sposterà poi al petto, per far-mi capire che sono chiamato a passare dallatesta, dalle mie idee e dalla mia volontà, alcuore, dove dimora Dio. Poi mi toccherà, inun secondo tempo, le spalle — sinistra e destra— per aiutarmi ad avvicinare gli estremi, a ca-nalizzare l’amore a servizio dell’unità. Questaè la vera penitenza che ci chiede il Signore at-traverso Maria e Bernadette: usare testa, cuoree spalle, amare Dio con tutta la mente, contutta l’anima, con tutte le forze. Solo così ciapriremo alla fecondità dell’amore, dove la pri-ma fecondità è quella delle relazioni. Occorremorire all’io per far nascere il “tu”.

Guardiamo ancora alla grotta. Tutto nasceda una comunicazione straordinariamente allapari: Maria scende al livello di Bernadette. Leloro parole, i loro sguardi, ci invitano a risco-prire una comunicazione tra noi che parta dal-la fede, senza dimenticare i tratti dell’umanità.Dio che resiste ai superbi e guarda gli umili inquesti giorni ci prenderà di nuovo per mano eci insegnerà di nuovo ad amare. Non lascia-moci sfuggire questa occasione, non perdiamodi vista Lui. Se siamo chiamati ancora a esseredistanziati socialmente e a mettere una ma-scherina, da Lui corriamo senza problemi, nontemendo di abbracciarlo forte, di stringerci a

R i c o m i n c i a refacendoci piccoli

Il cardinale vicarioalla messaper l’iniziodel pellegrinaggioa Lourdes

#diocesidiroma

di ANGELODE DO N AT I S

Con la concelebrazione eucaristica presieduta lasera del 24 agosto dal cardinale vicario allagrotta di Massabielle, è iniziato il tradizionalepellegrinaggio a Lourdes della diocesi di Roma,organizzato in collaborazione con l’Opera romanapellegrinaggi, che si è concluso il 27 agosto.Pubblichiamo l’omelia del porporato.

Quest’anno è stato per l’umanità un iniziodi crisi, economica, sociale, psicologica, rela-zionale. Ma anche per noi cristiani è stato edè un tempo in cui abbiamo dovuto rinunciarea tante sicurezze, per essere invitati a ricomin-ciare, facendoci piccoli. È stato commoventesapere che tante famiglie, soprattutto nella set-timana santa, siano diventate veramente picco-le chiese domestiche, dove i genitori hannoaiutato i figli a pregare e a vivere l’attesa della

Lui senza maschere, nella verità della nostravita e nella nudità della nostra fragilità.

Maria ci sarà da guida. Forse capiterà comediceva Bernadette alla fine della sua vita: «So-no macinata come un chicco di grano». La-sciamoci muovere come un mulino al ventoimpetuoso e leggero dello Spirito santo. Solocosì il chicco macinato potrà morire e aprirsialla gioia dell’a m o re .

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Davanti alla pandemia e alle sue conseguenzesociali, molti rischiano di perdere la speranza.In questo tempo di incertezza e di angoscia,invito tutti ad accogliere il dono della s p e ra n z ache viene da Cristo. È Lui che ci aiuta a navi-gare nelle acque tumultuose della malattia,della morte e dell’ingiustizia, che non hannol’ultima parola sulla nostra destinazione finale.

La pandemia ha messo in rilievo e aggrava-to i problemi sociali, soprattutto la disugua-glianza. Alcuni possono lavorare da casa, men-tre per molti altri questo è impossibile. Certibambini, nonostante le difficoltà, possonocontinuare a ricevere un’educazione scolastica,mentre per tantissimi altri questa si è interrottabruscamente. Alcune nazioni potenti possonoemettere moneta per affrontare l’e m e rg e n z a ,mentre per altre questo significherebbe ipote-care il futuro.

Questi sintomi di disuguaglianza rivelanouna malattia sociale; è un virus che viene daun’economia malata. Dobbiamo dirlo sempli-cemente: l’economia è malata. Si è ammalata.È il frutto di una crescita economica iniqua —questa è la malattia: il frutto di una crescitaeconomica iniqua — che prescinde dai valoriumani fondamentali. Nel mondo di oggi, po-chi ricchissimi possiedono più di tutto il restodell’umanità. Ripeto questo perché ci faràpensare: pochi ricchissimi, un gruppetto, pos-siedono più di tutto il resto dell’umanità.Questa è statistica pura. È un’ingiustizia chegrida al cielo! Nello stesso tempo, questo mo-dello economico è indifferente ai danni inflittialla casa comune. Non si prende cura della ca-sa comune. Siamo vicini a superare molti deilimiti del nostro meraviglioso pianeta, conconseguenze gravi e irreversibili: dalla perditadi biodiversità e dal cambiamento climatico fi-no all’aumento del livello dei mari e alla di-struzione delle foreste tropicali. La disugua-glianza sociale e il degrado ambientale vannodi pari passo e hanno la stessa radice (cfr Enc.Laudato si’, 101): quella del peccato di volerpossedere, di voler dominare i fratelli e le so-

relle, di voler possedere e dominare la natura elo stesso Dio. Ma questo non è il disegno del-la creazione.

«All’inizio, Dio ha affidato la terra e le suerisorse alla gestione comune dell’umanità, af-finché se ne prendesse cura» (Catechismo dellaChiesa Cattolica, 2402). Dio ci ha chiesto didominare la terra in suo nome (cfr Gen 1, 28),coltivandola e curandola come un giardino, ilgiardino di tutti (cfr Gen 2, 15). «Mentre “col-t i v a re ” significa arare o lavorare [...], “custo di-re ” vuol dire proteggere [e] preservare» (LS,67). Ma attenzione a non interpretare questocome carta bianca per fare della terra ciò chesi vuole. No. Esiste «una relazione di recipro-cità responsabile» (ibid.) tra noi e la natura.Una relazione di reciprocità responsabile franoi e la natura. Riceviamo dal creato e diamoa nostra volta. «Ogni comunità può prenderedalla bontà della terra ciò di cui ha bisognoper la propria sopravvivenza, ma ha anche ildovere di tutelarla» (ibid.). Ambedue le parti.

Difatti, la terra «ci precede e ci è stata da-ta» (ibid.), è stata data da Dio «a tutto il ge-nere umano» (CCC, 2402). E quindi è nostrodovere far sì che i suoi frutti arrivino a tutti,non solo ad alcuni. E questo è un elemento-chiave della nostra relazione con i beni terreni.Come ricordavano i padri del concilio Vatica-no II, «l’uomo, usando di questi beni, deveconsiderare le cose esteriori che legittimamentepossiede non solo come proprie, ma anche co-me comuni, nel senso che possano giovare nonunicamente a lui ma anche agli altri» (Cost.past. Gaudium et spes, 69). Infatti, «la proprie-tà di un bene fa di colui che lo possiede unamministratore della Provvidenza, per farlofruttificare e spartirne i frutti con gli altri»(CCC, 2404). Noi siamo amministratori dei be-ni, non padroni. Amministratori. “Sì, ma il be-ne è mio”. È vero, è tuo, ma per amministrar-lo, non per averlo egoisticamente per te.

Per assicurare che ciò che possediamo portivalore alla comunità, «l’autorità politica ha il

D isuguaglianzee degrado ambientale sono fruttodi un’economia malata

Al l ’udienzag e n e ra l e

il Papa continuale sue riflessioni

sulla crisip ro v o c a t a

dalla pandemia

#catechesi

CO N T I N UA A PA G I N A 10

Le disuguaglianze e ildegrado ambientale,alimentati e aggravatidalla pandemia, sonofrutto di una «economiamalata» e di una«crescita iniqua».È il nuovo severo monitodi Papa Francesco, cheall’udienza generale dimercoledì 26 agosto ètornato a riflettere sulleconseguenze della crisi,denunciando soprattutto lesperequazioni sociali —«nel mondo di oggi, pochiricchissimi possiedono piùdi tutto il restodell’umanità» ha ricordato— e rivolgendo un pensieroparticolare ai tantibambini che «muoiono difame per una non buonadistribuzione dellericchezze». All’iniziodell’incontro, svoltosi nellaBiblioteca privata delPalazzo apostolico vaticanosenza la presenza di fedeli,nel rispetto delle misureprese per contenere ladiffusione del virus, è statoletto il brano biblico trattodal libro del Deuteronomio(14, 28-29; 15, 1.4-5).Quindi il Pontefice hasvolto la sua catechesi,approfondendo il tema«La destinazioneuniversale dei beni e lavirtù della speranza».

Bambini di Harare (Zimbabwe),dove la popolazione è colpita dauna grave siccità, si aiutano nel

portare secchi d’acqua (Epa)

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Il Pontefice ha invitato i fedeli a pregare la Vergine «perché interceda per noi tutti, e soprattutto per coloroche in diversi modi soffrono a causa della pandemia, e porti a loro un sollievo». L’invito è stato rivolto inparticolare ai fedeli polacchi — salutati dal Papa al termine dell’udienza insieme agli altri gruppi linguisticiche hanno partecipato all’udienza attraverso i media — in occasione della solennità della Madonna Nera diCzęstochowa.

Saluto cordialmente le persone di lingua francese.Auspico che nelle nostre comunità cristiane abbiamo cura dei beni che ci dona il Creatore,e condividere ciò che possediamo in modo che a nessuno manchi il necessario. D aremocosì buona testimonianza del Signore risorto.Dio vi benedica!

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua inglese. Mentre l’estate volge alle fine, auguroche questi giorni di riposo portino a tutti pace e serenità. Su voi e sulle vostre famiglieinvoco la gioia e la pace di Cristo. Dio vi benedica!

Rivolgo un cordiale saluto ai fratelli e alle sorelle di lingua tedesca. Cerchiamo disuperare l’individualismo di questo tempo. Tante persone povere, malate ed abbandonatehanno bisogno di noi. Lo Spirito Santo vi riempie con la sua carità e la sua gioia.

Saludo cordialmente a los fieles de lengua española. En estos momentos de pandemia queaflige al mundo entero, los animo a acoger el don de la esperanza que viene de Dios.Cristo, Señor de la Historia, nos ayuda a navegar por las tumultuosas aguas que nos tocaatravesar, de la enfermedad, de la muerte, de la injusticia, y a navegar siempre con la mi-rada fija en Él. Que Dios los bendiga.

Saluto gli ascoltatori di lingua portoghese e vi auguro una fede grande per guardare larealtà con lo sguardo di Dio e una grande carità per accostare le persone con il suo cuoremisericordioso. Fidatevi di Dio, come la Vergine Maria! Volentieri benedico voi e i vostricari.

Saluto i fedeli di lingua araba. Se ci prendiamo cura dei beni che il Creatore ci dona, semettiamo in comune ciò che possediamo in modo che a nessuno manchi, allora dav v e ropotremo ispirare speranza per rigenerare un mondo più sano e più equo. Il Signore vibenedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!

Saluto cordialmente tutti i polacchi. Cari fratelli e sorelle, oggi la Chiesa in Poloniacelebra la solennità della Madonna Nera di Częstochowa. Portando vivo nel cuore ilricordo della mia visita in quel Santuario, quattro anni fa, in occasione delle GMG, miunisco oggi alle migliaia e migliaia di pellegrini che vi si radunano, insieme all’episcopatopolacco, per affidare se stessi, le famiglie, la nazione e tutta l’umanità alla sua maternaprotezione. Pregate la Madre Santissima, perché interceda per noi tutti, e soprattutto percoloro che in diversi modi soffrono a causa della pandemia, e porti a loro un sollievo. Perfavore pregate anche per me. Dio vi benedica!

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana, esortando tutti ad essere in ogniambiente generosi testimoni della gratuità dell’amore di Dio.

Il mio pensiero va infine agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Domani edopodomani la liturgia fa memoria di due grandi Santi, santa Monica e suo figliosant’Agostino, uniti in terra da vincoli familiari ed in cielo dallo stesso destino di gloria. Illoro esempio e la loro intercessione spingano ciascuno ad una ricerca sincera della Veritàevangelica.

Francesco affida alla Verginequanti soffrono a causa del virus

diritto e il dovere di regolare il legittimo eser-cizio del diritto di proprietà in funzione delbene comune» (ibid., 2406).1 La «subordina-zione della proprietà privata alla destinazioneuniversale dei beni [...] è una “regola d’o ro ” delcomportamento sociale, e il primo principio ditutto l’ordinamento etico-sociale» (LS, 93).2

Le proprietà, il denaro sono strumenti chepossono servire alla missione. Però li trasfor-miamo facilmente in fini, individuali o colletti-vi. E quando questo succede, vengono intacca-ti i valori umani essenziali. L’homo sapiens sideforma e diventa una specie di homo œconomi-cus — in senso deteriore — individualista, cal-colatore e dominatore. Ci dimentichiamo che,essendo creati a immagine e somiglianza diDio, siamo esseri sociali, creativi e solidali, conun’immensa capacità di amare. Ci dimentichia-mo spesso di questo. Di fatto, siamo gli esseripiù cooperativi tra tutte le specie, e fioriamoin comunità, come si vede bene nell’esp erienzadei santi.3 C’è un detto spagnolo che mi haispirato questa frase, e dice così: florecemos en

racimo como los santos. Fioriamo in comunitàcome si vede nell’esperienza dei santi.

Quando l’ossessione di possedere e domina-re esclude milioni di persone dai beni primari;quando la disuguaglianza economica e tecno-logica è tale da lacerare il tessuto sociale; equando la dipendenza da un progresso mate-riale illimitato minaccia la casa comune, alloranon possiamo stare a guardare. No, questo èdesolante. Non possiamo stare a guardare!Con lo sguardo fisso su Gesù (cfr Eb 12, 2) econ la certezza che il suo amore opera me-diante la comunità dei suoi discepoli, dobbia-mo agire tutti insieme, nella speranza di gene-rare qualcosa di diverso e di meglio. La spe-ranza cristiana, radicata in Dio, è la nostra àn-cora. Essa sostiene la volontà di condividere,rafforzando la nostra missione come discepolidi Cristo, il quale ha condiviso tutto con noi.

E questo lo capirono le prime comunità cri-stiane, che come noi vissero tempi difficili.Consapevoli di formare un solo cuore e unasola anima, mettevano tutti i loro beni in co-mune, testimoniando la grazia abbondante diCristo su di loro (cfr At 4, 32-35). Noi stiamovivendo una crisi. La pandemia ci ha messotutti in crisi. Ma ricordatevi: da una crisi nonsi può uscire uguali, o usciamo migliori, ousciamo peggiori. Questa è la nostra opzione.Dopo la crisi, continueremo con questo siste-ma economico di ingiustizia sociale e di di-sprezzo per la cura dell’ambiente, del creato,della casa comune? Pensiamoci. Possano le co-munità cristiane del ventunesimo secolo recu-perare questa realtà — la cura del creato e lagiustizia sociale: vanno insieme —, dando cosìtestimonianza della Risurrezione del Signore.Se ci prendiamo cura dei beni che il Creatoreci dona, se mettiamo in comune ciò che posse-diamo in modo che a nessuno manchi, alloradavvero potremo ispirare speranza per rigene-rare un mondo più sano e più equo.

E per finire, pensiamo ai bambini. Leggetele statistiche: quanti bambini, oggi, muoionodi fame per una non buona distribuzione dellericchezze, per un sistema economico come hodetto prima; e quanti bambini, oggi, non han-no diritto alla scuola, per lo stesso motivo.Che sia questa immagine, dei bambini biso-gnosi per fame e per mancanza di educazione,che ci aiuti a capire che dopo questa crisi dob-biamo uscire migliori. Grazie.

1. Cfr GS, 71; S. GI O VA N N I PAOLO II, Lett.enc. Sollicitudo rei socialis, 42; Lett. enc. Cente-simus annus, 40.48).

2. Cfr S. GI O VA N N I PAOLO II, Lett. enc. La-borem exercens, 19.

3. “Florecemos en racimo, como los santos”:espressione comune in lingua spagnola.

#catechesi

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 9

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Sulla retta viaÈ proprio vero che il modo più sicuro di perdere unamico, è quello di dirgli qualcosa per il suo bene.

È un’arte difficile, quella insegnata da Gesù, nelVangelo che abbiamo ascoltato: l’arte della correzio-ne fraterna. Arte delicata, qualche volta imbarazzan-te; eppure necessaria.

Ci può essere il rischio di sentirsi giudice, checontrolla e condanna i comportamenti degli altri. Cipuò essere il rischio di sentirsi come incaricato daDio di eliminare la mela marcia, per salvare le altre.

Invece la correzione fraterna va fatta con tantadelicatezza, nella carità. È un segno di grande amo-re verso chi ha sbagliato. È l’espressione più altadella misericordia.

Non è giudizio o condanna, ma medicina perchéchi ha sbagliato riconosca l’errore e possa corregger-si. Soprattutto in una società come la nostra, dovetutti i comportamenti vengono sbattuti sulle primepagine dei giornali, o commentati sui social, si fapresto a distruggere una persona.

Vedete: si cammina su un campo minato, ci vuolecautela, lealtà, finezza e garbo. I veri amici vedono inostri difetti e ci avvertono; i falsi amici li vedono eli fanno notare agli altri!

Ricordiamo: non è sufficiente riprendere chi hasbagliato, bisogna insegnargli la retta via. E noi, sia-mo sicuri di stare sulla retta via?

6 settembredomenica XXIII

del Tempoo rd i n a r i oEz 33, 1.7-9Sal 94Rm 13, 8-10Mt 18, 15-20

#spuntidiriflessione

di LEONARD OSAPIENZA

Per attraversare la tempesta:tutti insieme

stribuita tra gli altri cinque. Quandola domenica 11 settembre 1966 furonosalvati i sei naufraghi erano fisicamen-te in condizioni ottimali. Quei quindi-ci mesi non avevano scatenato la vio-lenza ma l’amicizia.Qualche giorno fa il professore eme-rito di biologia Scott F. Gilbert, alMeeeting di Rimini di Comunione eLiberazione, ha parlato del corpoumano che nella sua meravigliosacomplessità rivela che la “re g o l a ” cheregge il mondo naturale non è il con-flitto ma la collaborazione. La suacollega, la biologa statunitense LynnMargulis ha sintetizzato questa veritàin una frase: «La vita non si fa largonel mondo a forza di combattimenti,ma grazie a una rete di collaborazio-ni». Si potrebbe dunque affermareche ciascuno di noi è un individuounico e irripetibile ma non è solo:ciascun organismo da sempre vive insimbiosi con miliardi di microorgani-smi. All’interno del nostro corpo cisono circa 160 specie di microbi chesvolgono funzioni fondamentali perla nostra crescita. Bisognerebbe rileg-gere in positivo la frase del poveroindemoniato di Gerasa: “Il mio nomeè Legione, perchè siamo in molti”, lui siriferiva alla frantumazione diun’identità lacerata dallo spirito mali-gno, ma la verità della natura umananella sua quotidianità è che un orga-

nismo vivente è frutto di una fittatrama ordita da una complesso e me-raviglioso “gioco di squadra”.La conclusione del professore Gilbertva ben oltre il dato biologico: «Glianimali non esistono come entità in-dipendenti, noi “diventiamo con glialtri”. Questo è importante: oltre aldato competitivo dell’evoluzione, c’èanche questo divenire con gli altri».Ognuno di noi è quindi già, da solo,una “compagnia”, non è lasciato solonella battaglia dell’esistenza perchègià la struttura del proprio corpoparla di un’alleanza tra mille compo-nenti, invisibili quanto indispensabili.Proprio come a livello sociale accadegrazie a tutte quelle persone “che disolito passano inosservate”, come di-ce il Papa, ma che sostengono la vitadegli altri e con esse il mondo intero.Come il Papa diceva cinque mesi fa eha ripetuto nell’udienza generale conparole forti e chiare: «L’homo sapienssi deforma e diventa una specie dihomo œconomicus — in senso deteriore— individualista, calcolatore e domi-natore. Ci dimentichiamo che, essen-do creati a immagine e somiglianzadi Dio, siamo esseri sociali, creativi esolidali, con un’immensa capacità diamare. Ci dimentichiamo spesso diquesto. Di fatto, siamo gli esseri piùcooperativi tra tutte le specie, e fio-riamo in comunità, come si vede be-ne nell’esperienza dei santi».

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Il conciliodi Albino Luciani

che c’è una sola vera religione... Ma,detto questo, ci sono anche altre coseche sono giuste e bisogna dirle. Cioè,chi non è convinto dal cattolicesimoha il diritto di professare la sua reli-gione per più motivi. Il diritto natu-rale dice che ciascuno ha il diritto dicercare la verità. Ora guardate che laverità, specialmente religiosa, non sipuò cercarla chiudendosi in una stan-za e leggendo qualche libro. La sicerca seriamente parlando con gli al-tri, consultandosi... Non abbiate pau-ra di dare uno schiaffo alla veritàquando date a una persona il dirittodi usare della sua libertà».

Rispettare i dirittidei non cattolici

Scrive ancora il vescovo Luciani:«Se uno ha coscienza che quella è lasua religione ha il diritto di tenersela,di manifestarla e di farne propagan-da. Si deve giudicare buona la pro-pria religione, ma anche quella deglialtri. La scelta della religione deve es-sere libera; quanto più è libera e con-vinta, tanto più chi l’abbraccia se nesente onorato. Questi sono i diritti, idiritti naturali. Ora, non c’è un dirit-to al quale non corrisponda anche undovere. I non cattolici hanno il dirit-to di professare la loro religione, e ioho il dovere di rispettare il loro dirit-

to: io privato, io prete, io vescovo, ioStato».

Fate meglio il catechismoInfine, negli scritti di Luciani pa-

dre conciliare si ritrovano anche que-ste parole di notevole attualità nelrapporto con i credenti di altre fedi.Nonostante siano state scritte 56 annifa, colgono ancora nel segno e ap-paiono in sintonia con la frase di Be-nedetto XVI frequentemente citata dalsuo successore Francesco: «La Chiesanon cresce per proselitismo ma perattrazione». E dunque di fronte allapresenza delle altre fedi religiose,non sono certo i divieti a professarleo l’arroccamento difensivo a mante-nere in vita il cristianesimo. La fedecristiana esiste e si diffonde se ci so-no cristiani che la vivono e la testi-moniano attraverso la loro vita.«Qualche vescovo — scrive AlbinoLuciani — si è spaventato: ma alloradomani vengono i buddisti e fannola loro propaganda a Roma, vengonoa convertire l’Italia. Oppure ci sonoquattromila musulmani a Roma: han-no diritto di costruirsi una moschea.Non c’è niente da dire: bisogna la-sciarli fare. Se volete che i vostri figlinon si facciano buddisti o non diven-tino musulmani, dovete fare meglio ilcatechismo, fare in modo che sianoveramente convinti della loro religio-ne cattolica».

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Page 11: L’Osservatore Romano - Vatican News...di Pietro #giovannipaoloprimo di ANDREA TORNIELLI consiste nel semplificare i riti della Messa. Per essere sinceri, alcuni riti, nel corso dei

Oggi si compiono quattro anni dalterremoto che ha colpito l’Italia centrale

Rinnovo la preghiera per le famigliee le comunità che hanno subito maggiori

danni, perché possano andare avanticon solidarietà e speranza

@Pontifex, 24 agosto

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