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103 L’ordinaria emergenza: aspetti della questione urbana nel Mezzogiorno di Giovanni Cafiero 1. Introduzione: le città per lo sviluppo La questione urbana nel Mezzogiorno, posta con forza dalla SVIMEZ fin dagli anni ’80, riemerge con maggiore gravità nel pri- mo decennio del XXI secolo per l’ampliarsi della crisi nelle grandi aree urbane dai fenomeni economici a quelli sociali ed ambientali e per l’incapacità delle città meridionali di fare rete tra loro e con i loro territori regionali, intensificando gli interscambi di risorse umane, di beni materiali e immateriali. Con lungimiranza la SVIMEZ argomentava sulle esigenze del- la terza industrializzazione sgombrando il campo da pericolo- se prospettive di post-industrializzazione o deindustrializzazione dell’economia urbana 1 . Gli scritti della SVIMEZ 2 sottolineano il ritardo nello sviluppa- re i sistemi di relazione e di servizi che sostengono l’economia del- la terza industrializzazione nelle città del Mezzogiorno e la scarsa propensione dei sistemi urbani meridionali a sviluppare sistemi funzionali urbani integrati 3 . L’analisi evidenzia come, a differenza Codici JEL: 1 Vedi, in «Rivista economica del Mezzogiorno», S. Cafiero, Il ruolo delle città per lo sviluppo e D. Cecchini, Le aree urbane in Italia: scopi, metodi e primi risultati di una ricerca (n. 1/1988); D. Cecchini, Stadi di sviluppo del sistema urbano italiano (n. 4/1989); S. Ca- fiero, Il divario Nord-Sud nei processi di urbanizzazione (n. 2/1990) e D. Cecchini, Le aree urbane in Italia al 2003 (n. 4/1990). 2 Nel 1989 viene pubblicato il volume Tradizione e attualità del meridionalismo, che raccoglie i risultati di molti anni di ricerca e rappresenta un quadro complessivo dei temi della questione meridionale. La parte terza, «La Questione urbana», conclude il volume occupandone circa un terzo. Lo studio individua nello specifico dell’organizzazione urbana uno degli elementi del dualismo («L’urbanizzazione dualistica») e analizza l’area metropoli- tana di Napoli come una questione di rilievo nazionale. 3 Con riferimento proprio alla questione urbana la SVIMEZ sottolinea l’importanza, per il sistema economico della terza industrializzazione, del fattore innovazione. Eviden- Rivista economica del Mezzogiorno / a. XXIII, 2009, n. 1

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L’ordinaria emergenza: aspetti della questione urbana nel Mezzogiorno

di Giovanni Cafiero

1. Introduzione: le città per lo sviluppo

La questione urbana nel Mezzogiorno, posta con forza dalla SVIMEZ fin dagli anni ’80, riemerge con maggiore gravità nel pri-mo decennio del XXI secolo per l’ampliarsi della crisi nelle grandi aree urbane dai fenomeni economici a quelli sociali ed ambientali e per l’incapacità delle città meridionali di fare rete tra loro e con i loro territori regionali, intensificando gli interscambi di risorse umane, di beni materiali e immateriali.

Con lungimiranza la SVIMEZ argomentava sulle esigenze del-la terza industrializzazione sgombrando il campo da pericolo-se prospettive di post-industrializzazione o deindustrializzazione dell’economia urbana1.

Gli scritti della SVIMEZ2 sottolineano il ritardo nello sviluppa-re i sistemi di relazione e di servizi che sostengono l’economia del-la terza industrializzazione nelle città del Mezzogiorno e la scarsa propensione dei sistemi urbani meridionali a sviluppare sistemi funzionali urbani integrati3. L’analisi evidenzia come, a differenza

Codici JEL:

1 Vedi, in «Rivista economica del Mezzogiorno», S. Cafiero, Il ruolo delle città per lo sviluppo e D. Cecchini, Le aree urbane in Italia: scopi, metodi e primi risultati di una ricerca (n. 1/1988); D. Cecchini, Stadi di sviluppo del sistema urbano italiano (n. 4/1989); S. Ca-fiero, Il divario Nord-Sud nei processi di urbanizzazione (n. 2/1990) e D. Cecchini, Le aree urbane in Italia al 2003 (n. 4/1990).

2 Nel 1989 viene pubblicato il volume Tradizione e attualità del meridionalismo, che raccoglie i risultati di molti anni di ricerca e rappresenta un quadro complessivo dei temi della questione meridionale. La parte terza, «La Questione urbana», conclude il volume occupandone circa un terzo. Lo studio individua nello specifico dell’organizzazione urbana uno degli elementi del dualismo («L’urbanizzazione dualistica») e analizza l’area metropoli-tana di Napoli come una questione di rilievo nazionale.

3 Con riferimento proprio alla questione urbana la SVIMEZ sottolinea l’importanza, per il sistema economico della terza industrializzazione, del fattore innovazione. Eviden-

Rivista economica del Mezzogiorno / a. XXIII, 2009, n. 1

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delle aree più ricche del Paese, nel Sud le aree urbane restino tra loro scarsamente interrelate e perciò stesso più deboli.

In chiave europea, oggi il tema delle città per lo sviluppo nel Mezzogiorno si colloca nel crocevia tra le strategie di Lisbona volte a rilanciare la competitività del sistema economico dell’Unione e le politiche di sviluppo regionale mirate alla convergenza tra territori.

Nel momento in cui si riafferma, nelle sedi del dibattito interna-zionale4 e nella programmazione europea e nazionale, la centralità funzionale delle città nello sviluppo economico, emerge con sem-pre maggiore chiarezza la questione urbana meridionale come ele-mento specifico e centrale del ritardo di sviluppo del Mezzogiorno.

Il «divario urbano» si riaffaccia prepotentemente alla ribalta: al mancato affermarsi del ruolo propulsore dello sviluppo econo-mico delle città del Mezzogiorno fa da eco, in una connessione non casuale, l’emergere di gravi disagi sociali ed emergenze am-bientali la cui risonanza rischia di travolgere nell’immagine inter-na e internazionale gli sforzi e le esperienze di progresso di molte realtà del Sud.

L’essere la «questione meridionale» una questione di «dimen-sione nazionale» trova una non gradita, ma giusta e inevitabile conferma nella caduta di immagine che dalle emergenze delle aree metropolitane del Sud si riverbera in profondità sull’immagine e sul prestigio dell’intero Paese. È il suo stesso sistema istituzionale a denunciare la inadeguatezza a risolvere le grandi questioni na-zionali. Il tema urbano e delle aree metropolitane viene ancora affrontato con provvedimenti di emergenza: i lunghi e numerosi commissariamenti governativi, dai rifiuti, alla sicurezza fino alla gestione degli insediamenti nomadi, sono la desolante e emblema-tica risposta ad esigenze di governance che in altri Paesi e in altre città europee hanno portato alla istituzione di enti metropolitani con competenze integrate dal livello locale a quello nazionale. Ciò

ziando come l’introduzione di innovazioni (fattore competitivo tanto più essenziale oggi in epoca di globalizzazione dei mercati e di difficile competizione sul fronte dei prezzi) ri-chieda lo sviluppo di una rete di relazioni e di imprese, anche piccole, in grado di offrire soluzioni nuove ai problemi dell’industria, in un quadro di flessibilità organizzativa.

La «disintegrazione organizzativa» e la necessità di «integrazione funzionale» tipiche delle filiere produttive della terza industrializzazione indicano nei sistemi urbani (dove è possibile svolgere efficacemente le attività di contatto, confronto, integrazione delle infor-mazioni, adattamento delle strategie e degli apporti consulenziali e di supporto finanziario, tecnologico, di progettazione e design, marketing) un «luogo» essenziale per garantire la catena scienza-tecnologia-produzione-mercati.

4 Vedi ad esempio in OECD, Territorial Reviews, Competitive Cities in the Global Eco-nomy, Parigi, 2006.

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che in Italia si riesce a fare solo in occasione dei grandi eventi o sotto la spinta di emergenze, altrove è frutto di attività ammini-strative e di programmazione ordinaria che si stratificano e accre-scono nel tempo la loro efficacia.

Le riflessioni e gli accadimenti più recenti mostrano come, a causa della scarsa interrelazione tra le città del Mezzogiorno, del congestionamento dei sistemi di mobilità interni, di una condizio-ne di vita insoddisfacente in termini di servizi alla persona e alle imprese, il «vantaggio urbano» si ribalti nel Sud in oggettiva con-dizione di svantaggio.

Le aree metropolitane meridionali da potenziali «motori dello sviluppo» divengono luoghi della acutizzazione del disagio sociale, dell’aggravamento delle crisi ambientali, della accentuazione delle difficoltà di partecipazione delle donne al mondo del lavoro.

Sebbene in numerosi documenti di pianificazione e program-mazione sia assunto in forma chiara ed esplicita il ruolo della città come motore di sviluppo, è mancata una conseguente attenzione in chiave urbana e metropolitana al tema della interdipendenza tra istituzioni-economia territori. Si è a lungo trascurato di agire sull’assetto istituzionale, una delle variabili determinanti per l’effi-cacia delle politiche pubbliche per lo sviluppo economico dei ter-ritori e delle città.

Le stesse conclusioni espresse dall’unità di valutazione del DPS nell’aggiornamento della valutazione intermedia del QCS Ob.1 in merito ai ritardi e alle inefficienze nella catena istituzionale am-ministrativa Stato-Regioni-Comuni suonano a questo proposito come una sorta di autodenuncia della sottovalutazione italiana del problema, della mancanza di una severa analisi preventiva, in ter-mini di efficienza ed efficacia, della sostenibilità amministrativo-procedurale delle politiche e della condizione organizzativa e pro-fessionale delle amministrazioni attuatrici della strategia nazionale di interventi per la convergenza.

L’esperienza del QCS appare un aspetto di un fenomeno di portata generale, di un intreccio non virtuoso tra istituzioni, econo-mia e territorio di cui soffrono in particolare le grandi città, men-tre «solo agendo su tutti e tre i termini di riferimento si può essere in grado di restituire alle grandi aree urbane il livello di coesione e competitività che le politiche comunitarie sollecitano da tempo»5.

5 Vedi intervento di Paolo Urbani, Il ruolo delle istituzioni nei processi metropolitani: le grandi città come problema nazionale e non locale, in Scelte strategiche per lo sviluppo delle grandi aree urbane del Mezzogiorno, I Quaderni del Centro Studi, Unione Industriali

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Mentre in molte grandi realtà urbane europee la presenza di un governo e di strategie metropolitane è una realtà consolidata, in Italia la legge 142/90 istitutiva delle autorità metropolitane è ri-masta inattuata, intrappolata nel limbo che si è creato tra le spinte all’autoconservazione di altre autorità di media area, come le pro-vince, e l’atteggiamento – più competitivo che sussidiario – espres-so da molte Regioni nei confronti delle grandi agglomerazioni ur-bane, da un lato, e la sostanziale «neutralità» del governo centrale rispetto alla «democratica autodeterminazione» degli enti territo-riali, dall’altro.

Il D.d.l. del Governo Prodi del 20076, e le prime anticipazioni della proposta di Codice delle Autonomie annunciata per il 2009 dal ministro Calderoli, nel riassumere alcuni ragionevoli principi di efficienza e nel rendere apparentemente meno efficaci i pote-ri di veto esercitabili contro i processi istitutivi delle autorità me-tropolitane, concedono, entrambi, ampi spazi al potere di ostaco-lo inerziale «dal basso» alla «riforma metropolitana» da parte di quelle istituzioni che vedrebbero diminuire le proprie prerogative e finanche la propria sopravvivenza, come nel caso delle Province. Si collocano in definitiva in una logica di continuità con il passato che non consente di intravedere un forte rilancio nel breve termi-ne delle istituzioni per il governo metropolitano, divenute nel frat-tempo enti necessari, e non eventuali, con la modifica del Titolo V della Costituzione (art. 14).

Alcuni possibili approdi di un impulso oramai quarantenna-le verso la riforma delle istituzioni metropolitane, come nelle re-centi discussioni su «Roma Capitale», che sembrano tendere più allo schema di un rafforzamento del Comune centrale che non a una riorganizzazione metropolitana delle competenze, rischiano di condurre a soluzioni che poco hanno a che vedere con le reali esi-genze del governo dei fenomeni metropolitani, attenti come sono più ai bilanciamenti politico-istituzionali «dal basso», che non alla dimensione funzionale del problema. L’ipotesi che nell’annunciato

di Napoli, febbraio 2008, contenente gli Atti del Seminario organizzato dalla SVIMEZ e dal Centro Studi dell’Unione Industriali di Napoli sul tema «Scelte strategiche e priorità operative per lo sviluppo di Napoli e delle grandi aree urbane del Mezzogiorno».

6 Delega al Governo per l’attuazione dell’art. 117, secondo comma, lettera p della Co-stituzione, per l’istituzione delle città metropolitane e per l’ordinamento di Roma Capitale della Repubblica. Disposizioni per l’attuazione dell’art. 118, commi primo e secondo della Costituzione e delega al Governo per l’adeguamento delle disposizioni in materia di enti locali alla legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, approvato dal Consiglio dei Ministri il 19 gennaio 2007.

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Codice delle Autonomie possa essere inscritto nella legge il divie-to di istituire aree metropolitane interprovinciali ben rappresenta il prevalere sulla logica funzionale di una logica di bilanciamento politico locale e regionale.

Eppure «l’esperienza metropolitana di altri Paesi dimostra che la semplificazione delle istituzioni, la loro differenziazione in rap-porto alle esigenze dell’economia e del territorio, l’attribuzioni di funzioni d’apice, in breve il cambiamento delle istituzioni, agevola lo sviluppo economico e sociale dei territori interessati»7.

La auspicata costituzione delle autorità metropolitane rappre-senta solo un aspetto della necessità di assicurare una maggior ef-ficacia e un maggior coordinamento degli interventi nelle città. È fortissima infatti la necessità di assicurare un coordinamento per-manente tra Stato, Regione e autorità metropolitane per le politi-che urbane. Il futuro delle grandi città non può essere program-mato senza un coordinamento con i programmi infrastrutturali, con le priorità nella realizzazione di corridoi della mobilità e degli scambi nazionali e internazionali, i quali attengono pienamente alla soddisfazione di interessi nazionali e di compiti di program-mazione che vedono al centro l’azione del governo centrale.

In Spagna le città riorganizzano i loro porti e le aree retropor-tuali e programmano le loro strategie avendo a riferimento scelte strategiche e priorità chiare sul modello di organizzazione della logistica nazionale e un poderoso programma di investimenti in-frastrutturali (ad esempio per l’ammodernamento della rete fer-roviaria nazionale). In Italia, e nel Mezzogiorno in particolare, le città portuali, con il sostegno delle rispettive Regioni, perseguono modelli di sviluppo e strategie di internazionalizzazione simili, non necessariamente complementari tra loro e che, anche a prescinde-re dalla validità intrinseca dei programmi rispetto alla domanda internazionale, sono destinati a risultati quantomeno incerti, data l’impossibilità per lo Stato di sostenere contemporaneamente più modelli di logistica nazionale.

La mancanza di «scenari» di riferimento appare, insieme con l’inadeguatezza istituzionale come uno degli elementi di maggiore debolezza delle politiche urbane e metropolitane nazionali, i quali producono effetti particolarmente negativi per le agglomerazioni urbane e metropolitane del Mezzogiorno.

7 Urbani, ibidem.

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2. Modelli europei e internazionali: grandi aree urbane e reti di città

Quali sono i modelli per una efficiente armatura urbana?Se guardiamo ai documenti dell’Unione europea, si evidenzia

una impostazione chiara: le grandi città e capitali europee sono degli unicum rispetto ai quali prevalgono le tradizioni e le politi-che nazionali. Londra, Parigi, Berlino non possono essere modelli replicabili e ciascun Paese dedica una specifica attenzione legisla-tiva e programmatica alle proprie capitali e ai grandi nodi urbani; in Italia le leggi dedicate alle città sono un’eccezione, ed hanno una portata limitata al finanziamento di un elenco di opere o alla celebrazione di eventi8.

Il modello europeo, dunque, prevede una specifica attenzione alle grandi città ma guarda alla rete di città, di media dimensione, dinamiche, fortemente interconnesse, come paradigma insediativo e funzionale dei propri territori.

Tale visione è stata formalizzata con l’adozione dello Schema di sviluppo dello spazio europeo (SSSE) al Consiglio di Potsdam del maggio 1999, seguita dalla approvazione delle relative dodici azioni al Consiglio di Tampere dell’ottobre 1999.

Già nel 19949, i ministri responsabili dell’assetto del territorio avevano concordato tre finalità o modelli di politica per lo svilup-po della struttura della popolazione e del territorio dell’Ue10:

• la realizzazione di un sistema di città equilibrato e policen-trico e un nuovo rapporto tra città e campagna;

• la garanzia di un accesso equivalente alle infrastrutture e alle conoscenze;

• lo sviluppo sostenibile, la gestione attenta e la tutela del pa-trimonio naturale e culturale.

Come lo Schema del 1999 afferma esplicitamente:

Capitali mondiali come Londra e Parigi e regioni metropolitane come il baci-no della Ruhr o la Randstad, manterranno la loro posizione di rilievo nella gerar-chia urbana europea. La creazione di nuove reti e nuove funzioni potrà tuttavia in futuro esercitare un forte influsso sull’evoluzione di talune città e regioni.

8 Vedi le esperienze della legge per Roma Capitale o il finanziamento di opere come il Mose a Venezia, le leggi di finanziamento delle Olimpiadi invernali di Torino o dell’Expo di Milano. Nessun provvedimento legislativo e programmatico organico e di vasta porta-ta – al di là, quindi, dell’emergenza rifiuti – riguarda da anni la grande conurbazione me-tropolitana di Napoli.

9 Bundesministerium für Raumordnung, Bauwesen und Städtebau (Hrsg.), Grundla-gen einer europäischen Raumentwicklungspolitik, Bonn, 1995.

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Sempre più le città collaborano ed uniscono le loro forze, ad esempio, svi-luppando varie funzioni complementari o utilizzando congiuntamente infrastrut-ture e servizi.

Ciò può rappresentare un vantaggio per lo sviluppo regionale di domani, poiché migliora così l’offerta di servizi e migliorano il clima economico della re-gione e quindi anche la sua competitività.

A questo fine si sottolinea anche come essenziale il tema della interconnessione, dove l’esempio della Svezia, grandi distanze e li-mitati tempi di percorrenza, rappresenta un caso limite, inverso a quello della Calabria e a molte Regioni del Sud10, dove i tempi di percorrenza della rete ferroviaria, dove esistente, restano altissimi anche per centri e città relativamente prossimi tra loro:

Un altro fattore che rende necessaria, anche se presenta delle difficoltà, la cooperazione interurbana in vista di effetti di sinergia, sono le grandi distanze tra le città nelle regioni più debolmente popolate. La Svezia, ad esempio, ha risolto il problema collegando le città medio-grandi con treni ad alta velocità, favorendo in tal modo la valorizzazione e l’interazione tra i diversi potenziali economici e le diverse capacità, ad esempio, nel campo della formazione.

Per quanto riguarda il ruolo dell’industria tra città e aree rurali si evidenzia come:

Benché le grandi imprese si trovino soprattutto ancora sempre nelle grandi città, della produzione si occupano sempre più di frequente le sedi secondarie. Di ciò approfittano le regioni situate in aree rurali. ... La conversione dalla pro-duzione alla prestazione di servizi e le trasformazioni strutturali nell’ambito delle imprese, tra cui il trasferimento dei compiti a filiali autonome, porteranno, tutta-via, alla creazione di nuove imprese.

Il modello Ue è chiaramente corrispondente alla situazione delle aree europee più sviluppate e dinamiche e trova riscontro in particolare in Italia, nelle aree del Nord-Est, dove una rete di cit-tà medie fortemente interconnesse tra loro, ben collegate con le reti nazionali ed europee e con una dotazione di aree rurali preva-lentemente pianeggianti, dove si intrecciano attività manifatturie-re e agroindustriali, rappresenta il paradigma dello sviluppo, pur con i gravi problemi di impoverimento ambientale e paesaggistico,

10 Vedi E. Cascetta (a cura di), Il sud isolato, Milano, Edizioni Il Sole 24 Ore, 2006. Vedi anche il Capitolo XIV del Rapporto SVIMEZ 2008 sull’Economia del Mezzogiorno, Il Mulino, 2008. Nel quadro complessivo del Mezzogiorno, la Campania si distingue come la Regione del Sud che sta perseguendo in modo più costante una strategia di servizio ferro-viario metropolitano.

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come nel caso assai noto e discusso della disseminazione di capan-noni lungo le principali arterie del Veneto.

La condizione delle città del Sud appare assai distante dal mo-dello europeo di una rete di città non necessariamente popolose ma fortemente interconnesse. I sistemi territoriali del Sud sono in-fatti caratterizzati da scarsa interrelazione reciproca, scarsa mobili-tà tra le diverse città.

3. Le aree urbane e il Mezzogiorno

3.1. Città e Sistemi locali del lavoro nel Mezzogiorno

Per il terzo anno consecutivo il Rapporto annuale sulla situazio-ne del Paese dell’ISTAT11 dedica una attenzione specifica al ruolo delle città, cercando di indagarne le caratterizzazioni funzionali.

Alla indagine morfologica, che ha permesso l’individuazione di 2.705 agglomerati urbani, l’Istituto Statistico nazionale ha sovrap-posto il reticolo dei Sistemi locali del lavoro, giungendo alla indi-viduazione di 131 SLL fortemente urbanizzati. Attraverso l’analisi della dimensione e intensità degli insediamenti, dei flussi e delle funzioni è stato possibile selezionare 72 Sistemi locali con caratte-ristiche urbane.

Dal punto di vista funzionale si distinguono:a) le aree urbane ad alta specializzazione: SLL di Ivrea, Milano,

Trieste e Roma;b) le aree urbane a bassa specializzazione: 29 Sistemi locali di

media dimensione, con una media di 135 mila abitanti, tra cui per le aree del Mezzogiorno è presente solo Pescara;

c) le aree urbane senza specializzazione: 13 Sistemi locali, in media superiori ai 300 mila abitanti, concentrati nel Nord-Est, tra Veneto ed Emilia-Romagna (otto Sistemi su 13) e assenti nel Mez-zogiorno;

d) le aree urbane prevalentemente portuali: 26 Sistemi loca-li, con una popolazione totale pari a quasi 9 milioni di abitanti, ampiamente rappresentati nel Mezzogiorno, con ben 18 Sistemi (81% della popolazione del gruppo).

Con la sola eccezione di Pescara, dunque i sistemi locali con caratteristiche urbane del Mezzogiorno rientrano tutti in questa

11 La situazione del Paese nel 2007, Rapporto Annuale ISTAT, 2008.

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Fig. 1. Carta dei sistemi locali del lavoro urbanizzati (da Rapp. 2008, Fig. 1, p. 559).

Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.

SLL non urbanizzati (524) SLL non morfologicamente urbani (90)

SLL solo funzionalmente urbani (31)

Regioni metropolitane in calo (4)

Regioni metropolitante in crescita (37)

ultima categoria: Napoli e Salerno, in Campania; Gioia Tauro in Calabria; Palermo, Messina e Catania in Sicilia; Cagliari e Sassari (Porto Torres) in Sardegna; Bari e Brindisi in Puglia.

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Dalla assenza nel gruppo «sistemi portuali» dei centri urbani del Nord-Est si evidenzia come nei centri costieri emiliani o vene-ti anche dove si concentrano funzioni portuali si ha l’associazione delle funzioni portuali ad altre rilevanti in altri settori produttivi, circostanza che non trova riscontro in nessuna città del Mezzo-giorno, ove le funzioni portuali non si integrano con nuclei pro-porzionati e rilevanti di altri settori produttivi e di funzioni più tipicamente urbane.

Complessivamente, dalla sovrapposizione dei due metodi di analisi, il primo morfologico-insediativo, il secondo funzionale-relazionale l’ISTAT arriva a selezionare 162 sistemi locali: di que-sti solo 41 possiedono sia le caratteristiche morfologiche che fun-zionali urbane alla base dei due metodi di analisi e sono indicate pertanto come vere e proprie «regioni metropolitane»; 31 quelli che hanno caratteristiche funzionali urbane senza la presenza di analoghi caratteri morfologici insediativi (si presentano cioè come sistemi urbani diffusi); 90 presentano caratteri morfologici urbani in assenza di corrispondenti caratteri funzionali.

Solo 14 sono i Sistemi locali del lavoro sia morfologicamente che funzionalmente urbani nel Sud: Caserta, Salerno e Napoli, in Campania; la sola Pescara in Abruzzo; Lecce e Bari, in Puglia; Pa-ola e Catanzaro, in Calabria; Palermo, Messina e Catania, in Sici-lia; Cagliari e Sassari in Sardegna.

La loro collocazione costiera sembra riproporre la rossidoriana distinzione tra «polpa» e «osso», ma come vedremo, con caratte-ristiche distintive della prima per taluni aspetti di segno incerto o negativo.

3.2. Aspetti demografici e socio-economici

I 162 sistemi locali urbani dell’ISTAT costituiscono un insieme rilevante dell’intero sistema Paese: raccolgono oltre il 40% dei co-muni italiani, occupano il 30% del territorio nazionale, ospitano il 65,5% del totale della popolazione residente.

Articolando l’analisi rispetto alle altre tipologie sopradescritte si evidenziano alcuni aspetti rilevanti:

a) a livello nazionale la crescita demografica caratterizza complessivamente le aree urbane rispetto alla media nazionale e «premia» in particolare le aree solo funzionalmente urbane, ma-nifestandosi in forma più debole nelle altre tipologie di aree ur-bane;

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b) nel Mezzogiorno i saldi migratori dei sistemi urbani risulta-no complessivamente molto deboli e divengono in alcuni casi net-tamente negativi per le «regioni metropolitane».

Il saldo migratorio totale delle aree metropolitane del Sud ri-sulta nel 2007, rispetto all’anno 2005, sempre negativo: dal –0,5‰ di Catania su fino al –6,7 di Napoli. I dati del Sud vedono com-plessivamente accentuarsi un fenomeno abbastanza diffuso di uscita dalle città alla ricerca di condizioni ambientali e di accesso ai servizi e al mercato delle abitazioni più favorevoli.

La situazione di disagio propria di molti contesti metropolitani alimenta un flusso di uscita dalle città, normalmente compensato da un fenomeno di sostituzione che vede la manodopera immigra-ta adattarsi a condizioni abitative disagevoli12. A Milano, ad esem-pio, il saldo migratorio interno negativo, pari a –5,0‰, è larga-mente compensato dal saldo migratorio con l’estero, pari a 6,5‰.

Guardando a tutte le aree metropolitane del Paese abbiamo una netta divaricazione: nel Centro e nel Nord, con la sola ecce-zione di Genova (–0,4‰), tutte le aree hanno una saldo positivo. Nel Sud tutte le aree hanno un saldo negativo.

Per quanto riguarda il saldo complessivo, con un valore negati-vo pari a –2,7‰ – e con la sola eccezione di Genova (–5,9‰), che sconta però un saldo naturale fortemente negativo (–5,5‰) – Na-poli è l’area metropolitana in maggiore decrescita demografica, e ciò nonostante abbia il tasso di natalità più alto di tutte le altre aree urbane (11,7‰).

Se è vero che sulle scelte della popolazione non pesano soltan-to le opportunità occupazionali, ma anche il prezzo delle abitazio-ni e in genere la qualità della vita nelle grandi città, è altrettanto vero che l’attrattività delle città è essa stessa un fattore determi-nante di successo del modello urbano. Assai di rado, però, nelle aree metropolitane italiane il fenomeno del decentramento della popolazione si accompagna allo sviluppo di un sistema di mobili-tà correttamente pensato alla scala regionale, come nel noto caso delle villes nouvelles della Regione parigina, sviluppatesi in stretta connessione con i servizi ferroviari di collegamento con la Capita-

12 Sembrano riproporsi in forma più acuta alcuni fenomeni di sovraffollamento degli alloggi che avevano caratterizzato le città italiane in passato. Al Sud in molte aree urbane gli immigrati utilizzano le abitazioni notoriamente meno salubri, come i «bassi» di Napoli, o si insediano nelle aree marginali non solo delle periferie ma anche di quei centri storici che nascondono dietro le piazze monumentali barocche un tessuto edilizio anche antico ma fatiscente e degradato.

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le francese. Per il Mezzogiorno poi, più che di decentramento si deve parlare di allontanamento dalle grandi città.

Se, dunque, i dati demografici segnalano una difficoltà relativa e assoluta nell’affermarsi nel Sud delle grandi aree urbane come elementi attrattori, alcuni dati socio economici confermano che una delle principali componenti di questa minore attrattività è certamente da ricercare nella debolezza delle performances econo-miche delle città meridionali, che risultano tali da non compensa-re le condizioni complessive di disagio e di minore qualità della vita che queste città presentano.

Nonostante le minori performances da loro complessivamente registrate, le città meridionali segnalano una certa vitalità impren-ditoriale, riferita alle statistiche di natalità e mortalità delle impre-se. Ma ciò avviene particolarmente in settori tradizionali quale il commercio e non in quei settori in grado di rafforzare il tessuto di servizi che consentono di rendere, complessivamente, l’ambien-te economico più fertile e adatto allo sviluppo o alla nascita di im-prese competitive.

Fanno da riscontro a questa affermazione i dati relativi al mer-cato del lavoro: le aree urbane meridionali non si caratterizzano per performances particolarmente positive e si discostano di pochi decimali dal valore medio della ripartizione per quanto riguarda i tassi di attività e disoccupazione.

Non solo, quindi, l’aumento delle microimprese nei setto-ri tradizionali (commercio, alberghi, ristoranti, costruzioni, etc.) potrebbe segnalare una difficoltà a trovare offerte alternative di lavoro («mi metto in proprio e mi indebito perché non ho altre prospettive»), ma il fenomeno sembra accompagnarsi anche a una diminuzione del numero di persone che, alimentate dalla fiducia e dai servizi dedicati, si spingono a cercare un’occupazione.

Viene da supporre che i servizi che la città dovrebbe offrire siano largamente insufficienti e tali da annullare il vantaggio po-tenziale che dovrebbe essere costituito dal risiedere in una area urbana e disporre, pertanto, dei vantaggi della prossimità e della concentrazione.

A tali considerazioni inducono i dati di Tab. 2, che mostrano i tassi di attività nelle aree metropolitane, e il significativo raffronto tra le diverse province della Campania, con particolare riferimen-to alla condizione femminile. I dati evidenziano una condizione di maggiore difficoltà nelle province più interessate dalla conurbazio-ne Napoli-Caserta.

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Ma il fenomeno non è limitato all’accesso al lavoro, è più am-pio e rischioso.

Se nelle grandi aree metropolitane del Sud non si realizzano politiche generali e condizioni favorevoli allo sviluppo, vi è un’al-ta probabilità che esse siano sospinte indietro: nel funzionamento dell’economia, nell’ampliamento del disagio sociale, nel diffonder-si delle attività illegali, nell’esplosione delle emergenze ambientali.

3.3. Una rete di città?

Il tema delle città come perno della competitività è presente nei principali documenti europei sulle strategie di sviluppo eco-nomico e territoriale13. I vari documenti sottolineano il ruolo del-le città mettendo in evidenza non tanto le grandi agglomerazioni metropolitane ma la rete delle città. Il fattore di sviluppo cui si guarda, infatti, non è tanto l’ampiezza demografica e territoriale

13 Vedi Appendice bibliografica.

Tab. 2. Tassi di attività per sesso, nelle province della Campania e nelle Regioni meri dio-nali – Anno 2001

Regioni e province Maschi Femmine Totale

Abruzzo 58,2 35,4 46,4Molise 57,2 33,4 44,9Campania 57,9 30,8 43,8– Caserta 57,1 30,5 43,3– Benevento 54,6 34,6 44,2– Napoli 58,7 29,7 43,6– Avellino 56,7 32,0 44,0– Salerno 57,5 32,3 44,5Puglia 58,5 30,2 43,7Basilicata 57,6 33,8 45,4Calabria 54,4 31,7 42,7

Sud 57,5 31,4 44,0Isole 57,8 31,3 44,0Nord-Ovest 62,5 41,0 51,3Nord-Est 63,3 42,4 52,5Centro 60,2 39,3 49,2Italia 60,5 37,6 48,6

Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT, Censimento 2001.

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delle aree urbane ma la capacità di interconnettere i centri funzio-nali, anche se di dimensione intermedia.

Ciò che conta è dunque l’intensità degli scambi materiali e im-materiali tra i centri e verso i territori dell’insediamento rado, per i quali i gangli urbani sono soprattutto cerniere del sistema della mobilità e luoghi di concentrazione di servizi di pregio. È quanto avviene in Italia nella rete di città medie dell’Emilia Romagna e del Veneto, notoriamente una delle aree più dinamiche e ricche non solo nel contesto nazionale.

La condizione delle città del Sud appare assai distante dal mo-dello europeo di una rete di città non necessariamente popolose ma fortemente interconnesse. I sistemi territoriali del Sud deno-tano scarsa interrelazione reciproca, scarsa mobilità tra le diverse città.

Lo spostamento delle persone per lavoro è a questo proposito uno degli indicatori chiave: la ripartizione con la più elevata quota percentuale di spostamenti sul totale della popolazione che si spo-sta giornalmente è infatti l’Italia Nord-orientale (70,1%), mentre l’Italia meridionale peninsulare si ferma al 26,9% e registra inve-ce la percentuale più elevata di spostamenti per motivi di studio (47,3%), spesso un primo passo verso il trasferimento delle risor-se umane più qualificate verso il Nord14.

Il medesimo indicatore, calcolato rispetto alla popolazione re-sidente, mostra la Lombardia e l’Emilia Romagna come le Regioni dove gli spostamenti per motivi di lavoro sono relativamente più alti (rispettivamente 36,8% e 36,7%). La Campania, al contrario, registra la più alta percentuale di spostamenti per motivi di studio (20,9%) e la più bassa per motivi di lavoro (20,1%).

Gli andamenti dei dati comunali confermano l’interdipendenza tra città e territori regionali.

Nei 13 comuni italiani di maggiore dimensione, ovvero quelli che contano una popolazione di oltre 250 mila persone residenti (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firen-ze, Bari, Catania, Venezia, Verona, Messina), il 46,7% (4.252.009 unità) della popolazione residente effettua spostamenti quotidiani verso il luogo abituale di studio o di lavoro (47,0% è il valore na-zionale).

14 ISTAT, Gli spostamenti quotidiani e periodici, Censimento 2001 – dati definitivi, 9 giugno 2005.

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Tab. 3. Composizione percentuale della popolazione residente che si sposta giornalmente per motivo dello spostamento nelle ripartizioni italiane

Circoscrizioni territoriali

Studio Lavoro Totale

Unità % Unità % Unità %

Sud 2.724.778 47,3 3.039.793 52,7 5.764.571 100,0Isole 1.247.537 46,7 1.424.842 53,3 2.672.379 100,0Nord-Ovest 2.300.304 30,3 5.300.725 69,7 7.601.029 100,0Nord-Est 1.632.664 29,9 3.825.226 70,1 5.457.890 100,0Centro 1.792.121 34,0 3.476.371 66,0 5.268.492 100,0Italia 9.697.404 36,2 17.066.957 63,8 26.764.361 100,0

Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT, Censimento 2001.

Tab. 4. Percentuale della popolazione residente che si sposta giornalmente per motivo dello spostamento

Regioni Studio Lavoro Totale

Piemonte 14,7 34,8 49,5Valle d’Aosta 14,2 36,1 50,3Lombardia 16,1 36,8 52,9Trentino-Alto Adige 17,1 35,5 52,6Veneto 16,1 35,8 52,0Friuli-Venezia Giulia 14,2 34,5 48,6Liguria 13,3 29,9 43,2Emilia-Romagna 14,4 36,7 51,1Toscana 14,9 33,5 48,3Umbria 15,6 31,7 47,3Marche 15,6 33,7 49,3Lazio 17,9 30,3 48,2Abruzzo 17,3 28,6 45,9Molise 17,0 25,8 42,8Campania 20,9 20,1 41,0Puglia 19,1 22,3 41,5Basilicata 18,1 24,2 42,3Calabria 18,9 20,3 39,3Sicilia 19,2 20,4 39,6Sardegna 17,9 25,1 43,1

Italia 17,0 29,9 47,0

Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT, Censimento 2001.

I valori percentuali massimi si rilevano a Verona (50,3%, pari a 127.465 unità) e a Milano (50,2%, pari a 630.556 unità), quelli minimi a Napoli (38,4%, pari a 385.957 unità) e Catania (40,5%, pari a 126.952 unità).

Nei grandi comuni peraltro, rispetto ai valori nazionali, sono necessari tempi più lunghi per gli spostamenti quotidiani verso il luogo di studio o di lavoro.

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Il 41,6% dei pendolari dei grandi comuni raggiunge il luogo di studio o di lavoro entro un quarto d’ora (58,7% è il valore medio nazionale), il 34,2% impiega tra i 16 e i 30 minuti (24,8% è il valore nazionale); sono necessari dai 31 ai 60 minuti per il 20,7% dei pendolari (13,0% è il valore nazionale).

Se le opportunità di muoversi e di connettersi con altri sistemi territoriali e urbani a livello regionale e interregionale sono poche, alle grandi città del Sud restano in dote soprattutto gli svantaggi di un sistema di mobilità congestionato, di servizi poco accessibili e di una condizione ambientale spesso preoccupante.

3.4. La condizione ambientale

Insieme a una complessiva debolezza delle performances econo-miche delle aree urbane del Mezzogiorno, confermata dai princi-pali indicatori esaminati, la condizione ambientale costituisce in-dubbiamente un fattore di svantaggio considerevole, uno dei più gravi aspetti della debolezza complessiva del funzionamento dei grandi sistemi urbani meridionali.

Misurare la qualità ambientale di un sistema urbano non è im-presa semplice, nonostante già esistano diversi sistemi di indicato-ri riconosciuti anche a livello europeo e nazionale.

A livello nazionale l’APAT15, in collaborazione con le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente e una rete di qualifica-ti soggetti scientifici e tecnici, ha avviato a fine 2003 il Progetto pluriennale Qualità ambientale nelle aree metropolitane italiane, giunto quest’anno al suo IV Rapporto annuale16. Il Rapporto ana-lizza la situazione dei 24 capoluoghi di provincia con popolazione superiore ai 150.000 abitanti. Esso affronta un numero considere-vole di dati e variabili e – pur se non giunge a stilare una classifi-ca complessiva, come quella prodotta annualmente dalla associa-zione ambientalista Legambiente in collaborazione con il Sole 24

15 L’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), istituita dall’art. 38 del D.Lgs. n. 300 del 30.7.1999, svolge i compiti e le attività tecnico-scienti-fiche di interesse nazionale per la protezione dell’ambiente, per la tutela delle risorse idri-che e della difesa del suolo, e nasce dalla fusione tra l’Agenzia nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA) ed il Dipartimento per i Servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. È sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

16 IV Rapporto APAT, Qualità dell’ambiente urbano, Edizione 2007, Roma, marzo 2008

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Ore17 – offre la possibilità di confrontare su dati omogenei alcuni aspetti dell’ambiente urbano.

Dall’insieme dei dati raccolti dall’APAT emerge una situazione complessiva difficile per le aree urbane meridionali, che si collo-cano agli ultimi posti (segnalando spesso un progressivo peggio-ramento rispetto ai dati degli anni precedenti) nei giudizi sintetici e nelle classifiche nazionali e in riferimento a significativi indica-tori che rinviano spesso a un problema di arretratezza del siste-ma di servizi pubblici locali. Alcuni di questi servizi, specie quelli che richiedono un elevato livello di efficienza e la presenza di un tessuto di aziende altamente specializzate, denunciano uno stato di grave arretratezza dei sistemi urbani meridionali. Tra questi, la raccolta differenziata dei rifiuti segna uno dei punti più bassi del-le performances ambientali delle aree urbane meridionali e dell’in-tero Mezzogiorno. All’ultimo posto tra le grandi città italiane per percentuale di raccolta differenziata abbiamo Messina, che con Napoli, Reggio Calabria, Foggia, Taranto, Catania si collocano su percentuali inferiori al 10%, rispetto a una media nazionale del 17%, ben lontana, peraltro, dall’obiettivo del 40% fissato con la legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria 2007).

I grandi centri del Sud mostrano solo in alcuni casi performan-ces accettabili, come nel caso della qualità dell’aria; il più delle volte anche grazie a condizioni di vantaggio date dal contesto am-bientale costiero o rurale o dal progressivo abbandono di attività industriali urbane o periurbane.

Con riferimento alla presenza di impianti industriali dal forte impatto ambientale nelle aree urbane la situazione appare poco confortante o in alcuni casi decisamente grave. Se nelle città del Nord le progressive dismissioni hanno generalmente lasciato spa-zio a forti investimenti immobiliari e allo sviluppo di attività ter-ziarie, direzionali e di ricerca, nel Sud la mancanza di una robusta azione di riqualificazione urbana e funzionale lascia sul campo, in-sieme, opportunità di sviluppo mancate e condizioni e rischi am-bientali gravi.

Particolarmente significativa in questo senso è la condizione dei Comuni di Napoli e Taranto dove permangono, rispettivamen-te, 11 (43 nell’intera provincia) e 8 stabilimenti a rischio di inci-dente rilevante prossimi o interclusi nel tessuto urbano.

17 Ecosistema urbano, XIV Rapporto sulla qualità ambientale dei comuni capoluogo di provincia, 2008.

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Qualche elemento di conforto viene da alcuni progressi relativi alle dotazioni di verde pubblico pro capite, dove molte città me-ridionali mostrano buone performances e significativi progressi. In particolare, Napoli evidenzia un progresso quantitativamente si-gnificativo, + 451,3% tra il 2000 e il 2006, pur nel contesto della densità insediativa massima tra i 24 capoluoghi esaminati, pari a 8.315 abitanti per Km2.

4. Le politiche per le città

4.1. Le politiche europee e nazionali

Sebbene nei trattati europei non vi sia un chiaro ed esplicito riferimento all’importanza delle città, la attenzione alla dimensio-ne urbana si è progressivamente ampliata e consolidata nel tempo nelle politiche europee. Dalla attenzione ai problemi ambientali delle città, sotto la spinta delle nuove istanze di sostenibilità af-fermatesi a livello planetario con la Conferenza di Rio del 1992, le iniziative europee si sono via via allargate ai temi della riqualifica-zione delle aree urbane degradate (Programma URBAN) e si sono poi incentrate sul ruolo delle città per lo sviluppo.

Con l’affermarsi della consapevolezza dello stretto rapporto che esiste tra lo sviluppo delle economie dei sistemi urbani e i ter-ritori che vivono in relazione con tali sistemi la integrazione tra politiche urbane e politiche di sviluppo regionale è divenuta un approdo del tutto logico e naturale.

Alcune delle principali iniziative europee dedicate alle città, come il Programma URBAN e, in parte, il Programma EQUAL, che erano promossi e gestiti direttamente dalla Commissione, sono oggi assorbiti nel solco principale della programmazione del-lo sviluppo regionale. Si tratta di una innovazione importante che richiama a una maggiore responsabilità programmatica e gestiona-le le filiere istituzionali e amministrative dei Paesi membri.

Con il nuovo Regolamento generale sui fondi strutturali (Reg. CE 1083/2006) l’importanza delle funzioni urbane viene confer-mata e giudicata essenziale per gli obiettivi europei di competiti-vità e coesione. Coerentemente con la diffusa presenza in molti Paesi europei di una rete vitale, efficiente e dinamica di città me-die, l’attenzione non si concentra sulle grandi metropoli europee e viene promosso e auspicato un ampio ricorso al decentramento amministrativo.

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Il tema delle grandi aree metropolitane non viene assunto e af-frontato dal Regolamento. Il governo metropolitano, quale tema legato alle specifiche condizioni di ciascun Paese membro, non viene considerato quale tema centrale e generale dello sviluppo regionale. Ciò che conta è che le città europee continuino ad af-fermarsi come nodi vitali al centro di una rete di relazioni mate-riali e immateriali, che il loro sviluppo si integri con lo sviluppo delle grandi reti e corridoi europei e transeuropei, che si investa sui temi della sicurezza, della istruzione e della cultura.

Se il passo indietro dell’Europa rispecchia l’attuale dialettica tra competenze comuni e competenze nazionali, non si può non osservare che, di fronte alle gravi crisi delle metropoli meridiona-li, certamente connesse con la carenza di strategie e i problemi di governance che caratterizzano in proposito il nostro Paese, vi sia un deficit diffuso e multipolare nell’applicazione del principio di sussidiarietà.

Come risulta evidente, la condizione attuale delle città del Mezzogiorno appare molto diversa dal modello fatto proprio dall’impostazione europea. Le città del Mezzogiorno sono poco interconnesse, hanno un livello di interscambi materiali e imma-teriali assai limitato e presentano in tal senso una grave situazio-ne di svantaggio infrastrutturale, sia con riferimento alla mobilità, che alle infrastrutture tecnologiche proprie della nuova «società dell’informazione».

In questa condizione, e in presenza di un flusso di investimenti infrastrutturali del tutto inadeguato, non stupisce che la attenzione delle politiche nazionali per le città del Mezzogiorno si sia rivolta prevalentemente ai temi «più abbordabili» della sperimentazione di forme di governance multilivello e della capacità di dotarsi di piani strategici e progetti locali.

Sul fronte delle politiche nazionali – oltre alla significativa in-troduzione di un Asse Città già nel periodo di programmazione 2000-2006, le cui valutazioni, provvisorie nei numeri ma conso-lidate nelle conclusioni, mostrano una evidente inefficacia per mancanza di interventi in grado di influenzare le variabili strate-giche – per le città del Mezzogiorno infatti molta enfasi era sta-ta data alla proposta di dotare le città di piani strategici e piani urbani per la mobilità. Una indicazione interessante, ma orfana di un idoneo sistema di governo dei problemi metropolitani e di un adeguato piano di investimenti per la rete infrastrutturale del Mezzogiorno. Uno specifico finanziamento per la pianificazione

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strategica urbana, a valere sui fondi FAS, era stato previsto con la Delibera CIPE n. 20/200418.

A distanza di quasi cinque anni dalla delibera CIPE sembra potersi affermare che i processi siano mediamente partiti con grande ritardo, a causa delle medesime difficoltà della filiera isti-tuzionale che hanno caratterizzato le inefficienze nella attuazione dell’Asse città del QCS, e molte città, per non perdere i finanzia-menti, celebrano la pianificazione strategica in tempi record di pochi mesi19. Sulla solidità strategica e sul livello di concertazio-ne e operatività di tali strumenti, per i tempi e le modalità stesse con cui vengono spesso allestiti, oltre che per il permanere dei ri-chiamati problemi generali di natura istituzionale e di mancanza di scenari nazionali attendibili, sembra doveroso nutrire qualche ragionevole dubbio.

Un ulteriore elemento di analisi sul fronte delle politiche nazio-nali è offerto dalla previsione di un sistema di fiscalità di vantag-gio per zone urbane gravate da un profondo degrado sociale ed economico. Le zone franche urbane, introdotte per le Regioni del

18 Nel ripartire le risorse per interventi nelle aree sottoutilizzate del Paese per il pe-riodo 2004-2007, la Delibera CIPE n. 20/04 ha previsto una riserva per le Aree Urbane destinata a finanziare interventi nelle città e nelle aree metropolitane del Mezzogiorno at-traverso Accordi di Programma Quadro.

Il Documento Priorità e Criteri approvato dal Tavolo interistituzionale prevede («In-terventi per pianificazione e progettazione innovativa e investimenti immateriali destinati alle aree urbane») che «una quota del 10% delle risorse allocate per ciascuna Regione sia destinata a:

Piani strategici per città e aree metropolitane o raggruppamenti di comuni che tota-lizzino una popolazione di almeno 50.000 abitanti, da individuarsi sulla base degli orien-tamenti definiti dal gruppo tecnico di scrittura composto da MEF, MIT, ANCI e da una rappresentanza di Regioni e Comuni entro il 15 dicembre 2004. Le Regioni, individuano, sentiti i Comuni, i criteri e le modalità per la predisposizione dei piani strategici; Piani ur-bani di mobilità; Studi di fattibilità, e atti necessari alla costituzione di società miste pub-blico-private e/o interventi in finanza di progetto.

L’obiettivo è quindi di contribuire al superamento dei limiti evidenziati dagli attuali strumenti di programmazione attraverso la diffusione di processi di pianificazione strate-gica nel Mezzogiorno, «promuovendo la costruzione di una più efficace cornice analitica, strategica e istituzionale per i processi di pianificazione urbana e per la programmazione di investimenti per lo sviluppo»

Invertendo, in un processo bottom up, le scelte sulle priorità da esprimersi ai livelli «più alti» dell’organizzazione dello Stato si prevede che «la solidità tecnica e il consenso istituzionale costruito intorno alla proposta strategica potranno rafforzare in misura impor-tante la posizione e il potere di proposta delle città nei confronti del partner regionale, dell’investitore pubblico nazionale (nel processo decisionale e di selezione di interventi con il Fondo Aree Sottoutilizzate), comunitario (nel negoziato 2007-2013) e di operatori econo-mici e finanziari nei mercati di capitali privati».

19 Spesso a causa del ritardo delle decisioni regionali previste dalla stessa Delibera CIPE.

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Mezzogiorno con la Finanziaria 200720 con una previsione di spe-sa da parte dello Stato di 50 milioni di euro per gli anni 2008 e 2009, sono state oggetto di una successiva rivisitazione con la Leg-ge Finanziaria 200821. Si è dovuto porre rimedio ad alcuni dubbi avanzati dalla Commissione e da alcune Regioni italiane riguardo alle indicazioni territoriali esplicitate nella legge istitutiva. È sta-to eliminato il riferimento esclusivo alle Regioni del Mezzogiorno e l’indicazione vincolante riferita al centro storico di Napoli. La nuova formulazione, corretta dalla Finanziaria 2008, rinvia alla de-libera del CIPE, di concerto con il ministro dello Sviluppo econo-mico e quello della Solidarietà sociale, il compito di determinare le zone di interesse e definire i criteri di allocazione delle risorse.

Il Comitato Interministeriale per la programmazione economi-ca con la delibera n. 5/2008 ha definito i parametri demografici ed economico-sociali di degrado.

La delibera stabilisce i requisiti minimi: «per perseguire con maggiore efficacia gli obiettivi stabiliti dalla norma (lotta al disa-gio socio-occupazionale nelle aree urbane), tenuto conto del vin-colo delle limitate risorse disponibili, è opportuno stabilire alcune condizioni di ammissibilità»22.

La delibera non pone vincoli di tipo amministrativo nella de-terminazione delle aree. Si afferma infatti che «secondo le carat-teristiche socioeconomiche, demografiche e amministrative nelle diverse città ammesse, l’unità di riferimento per l’individuazione delle aree-bersaglio può essere la circoscrizione, il quartiere, o an-che unità urbane altrimenti individuate, che possono essere conte-nute in, o intersecare, più quartieri e/o circoscrizioni, ma comun-que perimetrate in modo dettagliato»23.

Con le modifiche apportate con la Legge Finanziaria 2008 e con la delibera CIPE viene in definitiva chiarito che le ZFU non possono sovrapporsi o confondersi con le politiche regionali nel-

20 Vedi Rapporto SVIMEZ 2007 sull’economia del Mezzogiorno, pp. 600-602.21 Legge 24 dicembre 2007, n. 296.22 I Comuni nel cui territorio ricadono le ZFU devono avere dimensione demografica

minima di 25 mila abitanti al 2006 e tasso di disoccupazione comunale superiore alla me-dia nazionale nell’anno 2005.

Le ZFU devono avere una dimensione demografica minima di 7.500 abitanti (ISTAT, 2001), ferma restando la soglia massima di 30 mila abitanti, fissata dalla legge. La popo-lazione residente nelle aree interessate dalle agevolazioni previste dalle ZFU non potrà superare il 30% del totale della popolazione residente nell’area urbana interessata (fonte: ISTAT, 2006). Inoltre, il tasso di disoccupazione nelle aree proposte come ZFU dovrà ri-sultare superiore alla media comunale (fonte: Censimento, 2001).

23 Delibera CIPE n. 5/2008, art. 1 «Criteri per l’identificazione, la perimetrazione e la selezione delle ZFU».

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le aree Obiettivo 1, ma vanno riferite, come peraltro facilmente desumibile dai pareri già espressi relativamente alla pluriennale esperienza delle Zones franches urbaines della Francia, a problemi di disagio sociale misurabili con indicatori oggettivi applicabili su tutto il territorio nazionale. Di nuovo si evidenzia, anche nel per-corso delle Zone franche «italiane», la debolezza e l’improvvisa-zione delle politiche urbane nazionali.

Guardando alla esperienza francese delle Zones Franches Urbai-nes, non devono sfuggire i requisiti che hanno caratterizzato i casi di applicazione che hanno mostrato performances positive. Dopo cinque anni di applicazione (1 gennaio 1997-31 dicembre 2001) il Ministère delegué à la ville et à la renovation urbaine ha potuto effettuare un Bilancio delle Zones Franches Urbaines sotto forma di rapporto al Parlamento24. Ne emerge un bilancio positivo sia in termini sociali sia economici. Ma le condizioni del successo – il forte coordinamento con le politiche di accoglienza e servizi alle imprese, la tempestiva disponibilità di aree attrezzate dove investi-re, la coincidenza tra zone franche e grandi operazioni di rinnovo urbano – non vanno dimenticate.

4.2. Verso un bilancio del periodo di programmazione 2000-2006

Il Quadro Comunitario di Sostegno 2000-2006 per le Regio-ni italiane dell’Obiettivo 1 prevedeva un Asse V «Città», distinto dall’Asse IV «Sistemi Locali di Sviluppo».

Come è stato osservato, la previsione dell’«Asse V» costituiva una novità importante, ma le sue caratteristiche lo qualificavano come l’ultimo degli Assi, sia per le ridotte dimensioni delle risorse ad esso destinate che per la relativa marginalità dei suoi indicatori rispetto alle «variabili di rottura».

Le risorse programmate per le città ammontavano inizialmente a quasi 1,3 miliardi di euro, pari al 3,4% delle risorse del QCS, e sono state complessivamente incrementate a più di 1,7 miliardi di euro, raggiungendo, così, una quota pari al 3,8%. Le cifre sono riferite al solo Asse «Città», nonostante alcune Regioni abbiano definito progetti integrati comprensivi sia degli interventi per le città, sia degli interventi per i servizi alla persona.

24 Ministère delegué à la ville et a la renovation urbaine, Rapport au Parlement Bilan des Zones franches urbaines, dicembre 2002.

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Alla verifica del 31 dicembre 2007 – al di là degli aspetti con-tabili, una verifica sostanzialmente definitiva negli esiti genera-li – risultavano ammessi a finanziamento 2.306 progetti, per un totale di quasi 2,7 miliardi di euro; gli interventi conclusi risulta-vano solo 578 (circa il 21% del totale).

La tipologia di progetti prevalente e maggiormente finanziata, è riconducibile ai temi della riqualificazione urbana, della con-servazione e promozione del patrimonio culturale, del recupero di aree dismesse. Molti progetti, prevalentemente sotto forma di erogazione di aiuti, hanno inoltre riguardato la realizzazione di in-frastrutture turistiche, sportivo-ricreative e produttive. Altra voce rilevante riguarda i progetti dedicati ai trasporti urbani e alle stra-de regionali e locali.

La prevalenza di progetti di riqualificazione ha sollevato il forte dubbio che con i fondi per lo sviluppo e la convergenza si siano impropriamente finanziati interventi di natura tradizionale riconducibili ad attività «ordinarie di manutenzione urbana», im-mediatamente visibili ma scarsamente in grado di «creare valore urbano», e che dovrebbero essere oggetto di finanziamenti e tra-sferimenti della stessa natura.

Più limitati sono stati gli interventi riguardanti le attività di stu-dio e monitoraggio, le infrastrutture e servizi per la società dell’in-formazione. Tra le infrastrutture ambientali, anch’esse finanziate in modo limitato, hanno prevalso opere di mitigazione dell’inqui-namento acustico o di risparmio energetico.

A fine 2007 risultavano in avanzato stato di realizzazione quasi il 45% dei progetti dell’intero Asse, con una prospettiva di com-pletare la spesa legata alla capacità di accelerazione delle attività e della conseguente rendicontazione, che dovrà completarsi entro il 30 giugno 2009.

In questa corsa all’utilizzo dei fondi si evidenzia il fenomeno del cosiddetto overbooking cioè la tendenza a prevedere una pos-sibilità teorica di spesa superiore alle disponibilità, nella consape-volezza che non tutti i progetti verranno completati al 100%.

Dal punto di vista dei risultati attesi, è evidente che in quest’ul-timo scorcio del periodo di attuazione dei Programmi operativi regionali (POR) difficilmente possano essere ribaltate le riflessio-ni contenute nella valutazione intermedia e dai suoi successivi ag-giornamenti25, riflessioni che sono state riportate e utilizzate nei

25 Cfr. Dipartimento per le Politiche di Sviluppo, Unità di valutazione degli investi-

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documenti di predisposizione del Quadro Strategico Nazionale 2007-2013.

Le riflessioni sull’Asse V illustravano già una applicazione che non ha prodotto i risultati attesi rispetto agli obiettivi Convergen-za e Competitività, alla base delle politiche regionali europee26. È giusto, peraltro, ricordare che l’efficacia delle strategie che pun-tavano al funzionamento delle città come motori per lo sviluppo non può, a rigore, essere riferita al solo Asse «Città», ma che per una valutazione più completa occorrerebbe partire da una analisi più ampia e dettagliata, che evidenzi tutte le risorse che dai vari Assi sono confluite sulle aree urbane e sulla rete di relazioni ma-teriali e immateriali che sulle città fanno perno.

Da un punto di vista applicativo, al fine di articolare la spesa sul territorio e in relazione alle geografie politiche locali, le Regio-ni hanno privilegiato la progettazione integrata. Questa ha interes-sato principalmente, con progetti specifici, i Comuni capoluogo, ma ha anche riguardato progetti integrati di tipo territoriale che hanno coinvolto reti di comuni minori (in particolare in Sicilia, Sardegna e Calabria). In alcuni casi ci si è indirizzati al tema dei servizi sociali e alla persona, finanziando Piani integrati interco-munali.

Sebbene le Regioni abbiano avviato la realizzazione degli inter-venti in modalità integrata, solo la Campania e la Sardegna hanno finanziato nell’ambito dello stesso progetto più tipologie di inter-venti, evidenziando una maggiore capacità di integrazione delle previsioni su base territoriale.

Per quanto riguarda le «performances amministrative» dei pro-grammi, già dall’aggiornamento della valutazione intermedia è emerso come i PIU (Programmi integrati urbani) non si siano dif-

menti pubblici (UVAL), Aggiornamento della Valutazione intermedia del QCS Ob. 1 2000-2006, Roma, novembre 2006.

26 La stessa Unità di Valutazione del DPS conclude significativamente:«A parte qualche eccezione, assenti tra gli interventi in attuazione quegli interventi in

fasi di programmazione (e comunque in numero molto limitato) finanziariamente impor-tanti e con potenziale di incidere positivamente sulle funzioni, sulla attrattività e sulla com-petitività di un quartiere o di una città».

Un dato che emerge evidentissimo nella valutazione del QCS 2000-2006 è la scarsa partecipazione di capitali e operatori privati nei progetti. Su questo tema, afferma l’Uni-tà di valutazione «è evidente il contrasto tra gli obiettivi, gli espliciti richiami, e i criteri di selezione contenuti in tutti i programmi operativi e nei singoli progetti sulla finanza di progetto o altri strumenti di PPP [partecipazione pubblico privato] e la realtà di quanto programmato».

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ferenziati significativamente dai programmi non urbani in termini di efficienza e innovatività.

Rispetto al rafforzamento delle potenzialità dei centri urbani in termini di funzioni e servizi specializzati – uno degli aspetti più qualificanti e significativi del ruolo delle città come motori per lo sviluppo, e che come si è detto registra uno stato diffuso di diffi-coltà per le città del Sud – i progetti e i primi risultati appaiono ampiamente deludenti.

Dai dati e dall’aggiornamento della valutazione intermedia del QCS emerge che, seppure tale obiettivo è stato ripreso e rilancia-to nei Programmi Operativi e nei Complementi di programmazio-ne, in fase di attuazione si sia osservata una banalizzazione e una tendenziale deriva assistenzialistica: la gran parte degli interventi classificati tra le infrastrutture economiche consistono in erogazio-ne di aiuti all’industria, artigianato e commercio. Pochi e poco ri-levanti sono stati gli interventi per le infrastrutture produttive e i servizi comuni per le PMI.

Tra gli elementi più deludenti, la collaborazione pubblico pri-vato nell’ambito delle strutture di partenariato: a fronte delle pri-me difficoltà ed incertezze, le Regioni hanno rinunciato del tutto all’utilizzo della finanza di progetto.

4.3. L’avvio della programmazione 2007-2013

Come si è visto, già nel periodo di programmazione 1999-2006 il Quadro Comunitario di Sostegno aveva previsto un Asse V «Città» dedicato agli interventi per le aree urbane del Mezzogior-no, dove peraltro confluivano altre importanti risorse sia attraver-so l’applicazione di misure relative ad altri Assi che attraverso il meccanismo dei progetti integrati, di settore o territoriali.

La programmazione 2007-2013 rafforza la presenza del tema urbano attraverso la previsione di una delle dieci priorità del Qua-dro Strategico Nazionale: «Competitività e attrattività delle città e dei sistemi urbani» (priorità n. 8) cui sono dedicati 8 miliardi di euro, rispetto agli 1,3 inizialmente previsti per l’Asse V «Citta» nella programmazione 2000-2006.

Contestualmente, scompaiono le linee di finanziamento per le città direttamente gestite dalla Commissione europea, quali UR-BAN o EQUAL. Le risorse rientrano nell’alveo della politica di sviluppo gestita a livello nazionale, nel rapporto tra enti locali e amministrazioni regionali.

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La politica urbana si ricolloca insomma tutta insieme all’inter-no della politica regionale27 secondo una impostazione teorica-mente giusta ma che stride fortemente con la passata «disatten-zione competitiva» della amministrazioni regionali italiane verso le grandi città.

Il tema evidenziato nel seminario SVIMEZ sulle città tenutosi a Napoli il 16 aprile 200728, cioè il gravissimo problema di ina-deguatezza del sistema istituzionale di governo delle aree urbane, resta la grande incognita del nuovo periodo di programmazione che si apre.

Non a caso, lo stesso Quadro Strategico Nazionale 2007-2013 riserva una specifica attenzione al miglioramento delle capacità at-tuative e gestionali delle amministrazioni e al rafforzamento della capacità di relazionarsi con il mercato con l’individuazione della priorità 10 «Governance, capacità istituzionali e mercati concor-renziali ed efficaci». L’auspicio è che le amministrazioni regionali abbiano saputo consolidare e capitalizzare l’esperienza del periodo di programmazione uscente. Resta la perplessità per il permanere di un assetto istituzionale per il governo delle grandi aree urba-ne che è il medesimo che ha portato al ricorso sistematico, ormai quasi ordinario, al commissariamento governativo e alla sostanzia-le inconcludenza della pianificazione strategica metropolitana.

Con riguardo alle città va anche segnalato un elemento nuo-vo e di grande interesse, che va nella direzione di migliorare la qualità della vita e all’accesso ai servizi delle popolazioni del Sud: ci si riferisce all’introduzione di criteri, obiettivi e indicatori per i livelli minimi di servizio, previsti nel QSN29 e confermati nella successiva programmazione finanziaria triennale30.

Con la delibera CIPE del 3 agosto 2007 «Regole di attuazione del meccanismo di incentivazione legato agli obiettivi di servizio del QSN 2007-2013» vengono definiti i meccanismi finanziari e

27 Cfr. Walter Tortorella, Città e risorse comunitarie: una strada tutta in salita, in «Ur-banistica Informazioni», n. 216, novembre-dicembre 2007.

28 Si veda Scelte strategiche per lo sviluppo delle grandi aree urbane del Mezzogiorno, I Quaderni del Centro Studi, Unione Industriali di Napoli, febbraio 2008, contenente gli Atti del Seminario organizzato dalla SVIMEZ e dal Centro Studi dell’Unione Industriali di Napoli sul tema «Scelte strategiche e priorità operative per lo sviluppo di Napoli e delle grandi aree urbane del Mezzogiorno».

29 Quadro Strategico Nazionale 2007-2013, par. III. 4.30 Vedi il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria 2008-2011 appro-

vato dal Consiglio dei Ministri il 28 giugno 2007 ed in particolare il par. VIII. 1, in cui, facendo riferimento agli «obiettivi di servizio», si evidenzia che ad essi sono associati mec-canismi premiali.

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di attribuzione degli incentivi. Gli obiettivi afferiscono ai quattro ambiti dell’istruzione, dei servizi per l’infanzia e di cura per gli anziani, del ciclo integrato dei rifiuti urbani e del servizio idrico integrato31 e sono collegati a un meccanismo premiale32.

Gli enunciati appaiono pienamente condivisibili, pur se ripro-pongono il tema della difficile demarcazione tra interventi struttu-rali e aggiuntivi e interventi di natura ordinaria. Gli obiettivi, an-che se non indirizzati esclusivamente alle aree urbane, si sovrap-pongono chiaramente ad alcune delle criticità che maggiormente incidono sulla qualità e attrattività dei sistemi urbani in termini ambientali e di politiche per il lavoro.

Esplicito in questo senso l’obiettivo di rafforzare il sistema dei servizi alla persona per favorire l’accesso al lavoro e contrastare i bassi tassi di attività femminile che caratterizzano complessiva-mente il Mezzogiorno e le sue aree urbane.

5. Il caso Napoli

5.1. Un’area urbana a modernità incompiuta

Il profilo di Napoli delineato dalla Urban Audit, banca dati comparata delle città europee promossa dalla Commissione Euro-pea in collaborazione con gli istituti di statistica degli Stati mem-bri, è quella di una grande città portuale con una economia carat-terizzata anche da importanti attività turistiche, in cui la recente diminuzione dell’occupazione delle attività industriali è stata solo in parte compensata dall’occupazione in attività commerciali, di pubblica amministrazione e nel settore delle costruzioni.

Il Comune di Napoli viene indicato come parte di una Larger Urban Zone (LUZ) che comprende 3.059.196 abitanti33 e un’area

31 Gli obiettivi sono: a) elevare le competenze degli studenti e le capacità di apprendi-mento della popolazione; b) aumentare i servizi di cura alla persona alleggerendo i carichi familiari per innalzare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro; c) tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente in relazione al servizio idrico integrato; d) tutelare e mi-gliorare la qualità dell’ambiente in relazione al sistema di gestione dei rifiuti urbani.

32 Al meccanismo premiale, che comprende le otto Regioni del Mezzogiorno, è desti-nata una quota parte della riserva generale del 30% delle risorse FAS attribuita per il pe-riodo 2007-2013 al Sud, così come previsto dal punto 5 della delibera CIPE 22 dicembre 2006, n. 174. Le risorse per l’attuazione del meccanismo premiale ammontano a 3.008,2 milioni di euro.

33 Censimento ISTAT, 2001.

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di 1.171. Km2 34 con una densità pari a 2.612 ab/Km2 che aumen-tano fino a raggiungere gli 8.585 nel comune capoluogo.

La LUZ, corrisponde alla dimensione della Provincia di Na-poli, un’area che nel Rapporto 2003 dell’Unioncamere sulle eco-nomie e sulle società locali, insieme con quelle delle province di Caserta e Salerno, veniva indicata come «area urbana a modernità incompiuta».

34 In assenza di studi più approfonditi la LUZ viene identificata con il territorio pro-vinciale, una dimensione «convenzionale», nettamente inferiore rispetto alla prima propo-sta SVIMEZ del 1981. L’area SVIMEZ comprendeva una superficie di circa 2.000 Kmq, una popolazione residente di 3.850.000 unità e 149 Comuni, estendendosi sulla costa da Pontecagnano al Monte di Procida e, all’interno, da S. Maria Capua Vetere a Mercato S. Severino, includendo, oltre a Napoli, i capoluoghi di Caserta e Salerno. Vedi L’intervento nelle aree metropolitane del Mezzogiorno, Ricerca coordinata da Salvatore Cafiero e Sabino Cassese, Milano, Giuffrè (SVIMEZ – Collana Francesco Giordani), 1981.

Fig. 2. Il sistema locale del lavoro di Napoli al 2001.

Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.

Acerra

Napoli

Porto

Procida

Ischia

Pozzuoli

Giuglianodi Napoli

ErcolanoBagnoli

SLL della Campania al 1991

SLL della Campania al 2001

SLL di Napoli al 2001

Perimetri comunali al 2001

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Tab. 5. Valore aggiunto occupazione e popolazione della provincia di Napoli e del SLL di Napoli. Anno 2003

Valore aggiunto al lordo SIFIM ai prezzi base a prezzi correnti

2003 (mln di euro)

Occupati al 2003 (unità)

Popolazione al 2003

Provincia di Napoli 42.526 970.300 3.092.859Sistema locale del lavoro 35.192 739.842 2.235.602

Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.

Tab. 6. Valore aggiunto e occupazione nella provincia di Napoli, per settore di attività eco-nomica (valori assoluti e percentuali)

Aggregati Agricoltura, silvicoltura

e pesca

Industria Servizi Totale

Valori assoluti Occupati 2003 22.500 185.500 762.300 970.300Valore aggiunto al lordo SIFIM ai prezzi base a prezzi correnti 2003 (mln di euro) 616 7.392 34.518 42.526

Composizione %

Occupati 2003 2,32 19,12 78,56 100,00Valore aggiunto al lordo SIFIM ai prezzi base a prezzi correnti 2003 (mln di euro) 1,45 17,38 81,17 100,00

Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.

Tab. 7. Valore aggiunto e occupazione nel Sistema locale del lavoro di Napoli, per settore di attività economica (valori assoluti e percentuali)

Aggregati Agricoltura, silvicoltura

e pesca

Industria Servizi Totale

Valori assoluti

Occupati 2003 9.285 139.974 590.583 739.842Valore aggiunto al lordo SIFIM ai prezzi base a prezzi correnti 2003 (mln di euro) 211 6.163 28.819 35.192

Composizione %

Occupati 2003 1,25 18,92 79,83 100,00Valore aggiunto al lordo SIFIM ai prezzi base a prezzi correnti 2003 (mln di euro) 0,60 17,51 81,89 100,00

Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.

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Un dato che trova conferma nella esclusione del sistema locale di Napoli, dalla classe dei «sistemi urbani» nel Rapporto ISTAT 2006 che segna una chiara ripresa di attenzione dell’Istituto verso il tema delle aree urbane.

Dal punto di vista demografico il Comune di Napoli conti-nua a perdere popolazione. Contava 1.070.685 abitanti nel 1991 e alla rilevazione del 2001 era arrivato a poco più di un milione (1.004.500) con una perdita di oltre 65.000 abitanti. Il fenomeno sta proseguendo a ritmo incessante e al 1o gennaio 2006 la popo-lazione residente è oramai scesa sotto il milione (984.242).

Al saldo negativo del Comune corrisponde un saldo posi-tivo della Provincia che passa dai 3.017.137 abitanti del 1991 ai 3.086.622 del 1o gennaio 2006.

Dal punto di vista insediativo e ambientale l’area comunale di Napoli è affetta da criticità elevate: a fronte di un forte sovraffol-lamento e di una delle densità edilizie maggiori in Europa si stima un deficit abitativo superiore ai 250.000 vani, senza contare che molti quartieri sono afflitti da un degrado edilizio e igienico dif-fuso.

Dal punto di vista ambientale, a parte il noto problema del malfunzionamento del ciclo dei rifiuti, e ai gravi problemi idro-geologici, va segnalato innanzitutto un grave problema di inqui-namento dei suoli, che affligge, e «zavorra» proprio le aree po-tenzialmente suscettibili di rilanciare la città sulla via dello svilup-po. Oltre ai problemi di bonifica del sito di Bagnoli, che come noto hanno contribuito in modo preminente all’avanzamento «al rallentatore» del piano di attuazione, è sufficiente ricordare che nell’ambito del Sito di interesse nazionale «Napoli orientale» sono presenti 9 «siti inquinati» identificati dal Piano regionale di boni-fica delle aree inquinate della Regione Campania35 e ben 246 «siti potenzialmente inquinati». Complessivamente, per quella che è certamente una delle aree di maggior interesse sul fronte dello svi-luppo economico urbano, la Regione ha stimato che, al netto della «caratterizzazione dei 9 siti inquinati, per gli altri sarebbe necessa-rio un investimento di 200 milioni di euro».

35 BURC speciale 9 settembre 2005.

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5.2. L’assenza di un governo metropolitano

La cronaca dell’emergenza rifiuti, delle ribellioni incendiarie nelle strade, della civile disperazione del tessuto sano della città, l’immagine del territorio come una novella Gomorra, che hanno segnato il 2008, hanno fatto il giro del mondo e spinto il Governo nazionale a rompere gli indugi, a forzare i limiti delle competenze istituzionali e costituzionali per cercare di arginare una catastrofe civile e mediatica.

Nel clima di fibrillazione che si andava diffondendo nella co-nurbazione napoletana si è quindi passati alla emergenza nomadi, con l’incendio del campo del quartiere Ponticelli e la fuga nottur-na dei suoi occupanti, che tanta eco ha avuto anche nella stampa internazionale suscitando le critiche più ampie e inedite per gra-vità sul livello di legalità e di rispetto dei diritti dell’uomo nel no-stro Paese.

Dopo il Commissario per i rifiuti per la Campania e il Com-missario al traffico per la città di Napoli arriva, così come per Mi-lano e Roma, anche il Commissario per l’emergenza Rom.

Non si può non osservare – anche a prescindere dalle allarmate considerazioni giuridiche e costituzionali e dai rischi di contesta-zioni in sede europea per le reiterate deroghe a molte direttive in materia di procedure di affidamento36 – come le emergenze com-missariali per le grandi città si manifestino in Italia, con evidente ossimoro concettuale e linguistico, come una pratica ordinaria.

Se guardiamo alla «emergenza traffico», vediamo che la prima città che in ordine di tempo ha beneficiato di questi poteri è stata Milano, nel 2001. Sono seguite negli anni successivi Venezia, Mes-sina, Catania, Palermo, Roma. L’attribuzione dei c.d. «poteri spe-ciali» al Sindaco di Napoli è avvenuta a seguito della pubblicazio-ne nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 60 del 13 marzo 2007 dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3566. L’Ordinanza prevede procedure e modalità che consentono di perseguire in maniera più immediata ed efficace gli obiettivi di miglioramento del traffico cittadino e di conseguenza della qualità della vita dei napoletani. Le leggi di riferimento – come in altri analoghi casi – richiamano la eccezionalità della situazione e de-

36 Vedi gli atti del Seminario giuridico su «La questione dei rifiuti in Campania» (10 giugno 2008), in «Quaderni SVIMEZ», n. 18, aprile 2009.

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rivano dai poteri di deroga all’ordinamento attribuiti al Governo centrale in materia di protezione civile37.

La pratica del commissariamento denuncia l’inefficacia del si-stema di governance istituzionale e costituisce in tal senso l’indica-tore di un problema molto più vasto, che incide fortemente sulla capacità di governare un’area metropolitana difficile, certamente la più difficile a livello nazionale ed europeo, come quella di Na-poli.

Il sistema di competenze non è pensato per garantire efficacia ed efficienza e il livello minimo di servizi necessario a consentire lo svolgersi e il progredire della vita economica e civile.

Nella conurbazione napoletana si sovrappongono una altissima densità di popolazione, la presenza di rischi ambientali di natu-ra idrogeologica, un’alta concentrazione di siti industriali a rischio di incidente rilevante, una diffusa presenza della criminalità orga-nizzata; circostanze che fanno della più grande area metropolita-na del Mezzogiorno una area unica per rischi e criticità rispetto all’insieme delle aree metropolitane del Paese.

A Napoli è messa a nudo l’inadeguatezza del sistema istituzio-nale e di governance del fenomeno urbano che caratterizza com-plessivamente la realtà italiana38.

Un altro esempio illuminante è rappresentato dal problema delle competenze per le bonifiche dei siti inquinanti. Problema che sta rendendo lentissimo lo sviluppo di Bagnoli e che per anni ha paralizzato lo sviluppo dell’area industriale e retroportuale ur-bana comunemente indicata come «Napoli est»39.

Qualche segnale nella giusta direzione: l’istituzione della «zona franca», l’assegnazione della concessione per la realizzazione del-la darsena turistica «Porto Fiorito» sul litorale Est di Napoli, la formulazione di alcuni «progetti urbani» significativi da parte di investitori privati.

37 La legislazione di riferimento per l’ordinanza per il Commissario Straordinario per Napoli è costituita all’art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, dall’art. 107, comma 1 del D.Lgs 31 marzo 1998, n. 112, dal D.L. 7 settembre 2001, n. 343 convertito con modi-ficazioni nella legge 9 novembre 2001, n. 401.

38 Si veda P. Urbani, Il ruolo delle istituzioni nei processi metropolitani: le grandi città come problema nazionale e non locale, Relazione al Seminario SVIMEZ su «Scelte strategi-che e priorità operative per lo sviluppo di Napoli e delle grandi aree urbane del Mezzo-giorno», Napoli, 16 aprile 2007, pubblicato in Scelte strategiche per lo sviluppo delle grandi aree urbane del Mezzogiorno, cit.

39 Si veda Napoli est: una missione possibile, Quaderni del Centro Studi dell’Unione industriali di Napoli, n. 2, Napoli, 2006.

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«Napoli est», un’area che per dimensioni e collocazione urba-na potrebbe paragonarsi alle più grandi operazioni internazionali di riqualificazione di aree industriali dismesse, ha le caratteristiche per costituire una grande occasione di rilancio per la città. Eppu-re non è stato possibile fino ad ora avviare quella grande opera di rinnovamento e di sviluppo. Le trasformazioni sono avvenute in maniera surrettizia, per piccole parti, attraverso cambi di desti-nazioni d’uso di singoli immobili, procedure di condono edilizio, diffuse pratiche di illegalità letterariamente descritte come capitoli della Gomorra napoletana.

La responsabilità della immobilizzazione delle potenzialità di sviluppo e rinnovamento urbano è dei proprietari delle aree che non vogliono sostenere gli oneri di bonifica? Della «lontananza» del Ministero dell’Ambiente, che ha le competenze primarie in relazione ai problemi del danno ambientale? Della mancanza di un progetto di livello nazionale, dotato di adeguati finanziamen-ti? Della impostazione del piano regolatore, dirigista e inidoneo a creare le condizioni adatte al coinvolgimento delle risorse de-gli investitori? Della presenza di infiltrazioni criminali nel tessu-to economico dell’area e nel porto? Delle eccessive pretese degli industriali? Della mancanza di siti alternativi per lo stoccaggio dei grandi depositi di carburante?

Ma al di là di queste domande, che recitano atti d’accusa indi-rizzati in molte direzioni, non si deve parlare anche di una grave inefficienza del sistema di governance e di una insufficiente atten-zione normativa e programmatica per la città nel contesto nazio-nale?

Non stupisce che, in questa drammatica condizione di ingo-vernabilità del sistema urbano e metropolitano di Napoli, il Piano Strategico della città, avviato nel 2006 con l’auspicio di dotare il capoluogo campano di uno strumento che ha dato felici risultati in molte città europee, sia entrato in crisi di prospettive e si sia fermato al documento preliminare40 e, sostanzialmente, alle intese istituzionalmente obbligate41 tra Comune, Provincia e Regione.

40 Piano strategico di Napoli. Vision, assi, azioni, progetti e strumenti, a cura del Comi-tato tecnico scientifico (A. Belli, R. Camagni, C. Donolo), Comune di Napoli, Assessorato al Piano Strategico, ottobre 2006.

41 Protocollo d’intesa interstituzionale per l’istituzione di un comitato di coordinamento nell’ambito del Piano Strategico della città di Napoli, Regione Campania, Provincia di Na-poli, Comune di Napoli, 22 marzo 2006.

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Certamente non è con il Piano Strategico locale che si può ri-solvere un problema istituzionale che si situa a monte della pia-nificazione strategica: il problema delle competenze, delle risorse umane e finanziarie e della loro gestione, della mancanza di un vero governo metropolitano e di un pieno coinvolgimento di com-petenze e risorse di livello nazionale.

Si sottovaluta, per convinzione o per rassegnazione, il fatto che l’aspetto istituzionale è una delle variabili determinanti per l’ef-ficacia delle politiche pubbliche per lo sviluppo economico dei territori, mentre solo agendo su tutti e tre i termini di riferimen-to – istituzioni, economia e territorio – si può essere in grado di restituire alle grandi aree urbane il livello di coesione e competiti-vità che le politiche comunitarie sollecitano da tempo.

Resta in sintesi drammaticamente irrisolto il problema istitu-zionale del governo metropolitano, che a Napoli per condizio-ni oggettive, come la impressionante densità insediativa e i gravi problemi ambientali e sociali, appare molto più complesso e dif-ficile che nelle altre realtà metropolitane italiane o europee. Solo in modo emergenziale e per la difesa della immagine del Paese, Napoli diviene elemento di interesse nazionale, essendo rimasti inascoltati, o intrappolati nelle maglie dei richiami al regionalismo costituzionale italiano, gli appelli a varare leggi nazionali dedicate alla più grande conurbazione italiana.

5.3. La questione ambientale

Il primo capitolo del Rapporto APAT 2007 sulla Qualità dell’ambiente urbano affronta in primo luogo i principali dati so-cio-economici in chiave ambientale. La densità costituisce il primo indicatore affrontato, che vede Napoli al primo posto assoluto, con 8.315 ab/km2. Un dato elevatissimo se si considera che Napoli ha una grande estensione territoriale, ma soprattutto in relazione al contesto territoriale: la Città è inserita in una grande conurbazione metropolitana che si fonde con la provincia di Caserta e si estende in tutte le direzioni, con grande densità edilizia in particolare verso l’area vesuviana, dove insistono comuni, in cui la superficie territo-riale e quella urbanizzata sostanzialmente coincidono.

Dei molti indicatori del Rapporto APAT, ne tralasciamo per brevità alcuni tesi a misurare le performances del sistema ambien-tale in relazione agli standard teorici messi a punto dagli specia-listi in riferimento ai problemi climatici e ambientali del pianeta,

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per mettere in evidenza gli elementi che più incidono sulla vivibi-lità del territorio; e ciò sulla base dell’assunto – richiamato anche in relazione alle nuove strategie di coesione e convergenza della Ue – che l’attrattività, che presuppone anche una buona gestione dei servizi ambientali essenziali, è una delle componenti rilevanti per creare un ambiente favorevole allo sviluppo economico.

Per alcuni parametri di base Napoli presenta una condizione accettabile. Napoli produce una quantità di rifiuti pro capite as-solutamente in linea e anzi sotto la media delle altre città italiane con più di 150.000 abitanti. Nel 2006 la produzione pro capite a Napoli è infatti pari a 604 Kg di rifiuti urbani (RU) contro la media di 622 delle altre grandi città. E si potrebbe anche argo-mentare che Napoli sostiene nello stesso anno anche un rilevante flusso turistico – il quale incide ovviamente sulla produzione di ri-fiuti – che, pur in diminuzione del 4,3% rispetto al 2005, si man-tiene alto, pari a circa 2,1 milioni di pernottamenti, inferiore solo a Roma (23,6), Venezia (8,2), Firenze (7,1), Milano (7,0) e Torino (2,6).

Se, dunque, i napoletani non sono né più né meno «virtuo-si» nel produrre rifiuti urbani dei cittadini delle altre metropoli italiane, i dati che indicano la funzionalità del sistema dei servizi sono invece di segno opposto: il dato sulla raccolta differenziata registra uno stato di grave arretratezza; un dato negativo in sé ma che viene considerato un indicatore significativo della efficienza del sistema. Nel 2006 a Napoli si è raccolto in modo differenziato l’8,9% dei rifiuti solidi urbani, in lieve diminuzione rispetto alle rilevazioni precedenti42. Da questo punto di vista Napoli si attesta insieme a molte altre città del Sud: tra le 24 città italiane con più di 150.000 abitanti esaminate dall’APAT l’indicatore raccolta dif-ferenziata vede agli ultimi dieci posti insieme a Napoli sette altre città del Mezzogiorno (con Messina, Catania e Taranto in coda), insieme a Roma e Genova.

I dati dell’APAT misurano alcuni aspetti certamente meno evi-denti, e non tutti negativi, delle difficili condizioni sanitarie e di ordine pubblico che caratterizzano l’area metropolitana di Napoli. Pur in una condizione complessa resa drammatica dall’emergenza rifiuti e dal timore che l’apertura di nuove discariche o l’utilizzo per questo motivo di vecchie cave abbandonate portino alla per-

42 Una inversione di tendenza è stata registrata per il 2007 con il 10,3%. Vedi ISPRA, Rapporto Rifiuti, 2008.

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dita delle poche aree verdi residue e alla «calcuttizzazione» della città partenopea43, si deve registrare anche la presenza di alcune performances positive registrate dal Rapporto APAT.

Proprio con riferimento al verde pubblico Napoli registra la migliore performance tra tutte le città italiane superiori ai 150.000 abitanti. Il verde pubblico pro capite cresce infatti, nel periodo 2000-2006 del 451%, attestandosi sulla soglia dei 28,5 m2/abitan-te.

Per quanto riguarda i dati relativi ai consumi di acqua, Napo-li si attesta vicino al valore medio, con 75,5 m3 per abitante nel 2006, rispetto a una media nazionale delle grandi città pari a 69,4 m3. A Napoli non si registrano tra il 2000 e il 2006 interruzioni e razionamenti dell’erogazione dell’acqua, a differenza di quanto rilevato in tutte le altre grandi città del Mezzogiorno, con la sola eccezione di Messina.

Con riferimento alla qualità dell’aria – secondo APAT «uno dei parametri più importanti per definire lo stato dell’ambiente nel-le aree urbane» – Napoli, grazie anche alla felice condizione di città di mare, non registra superamenti della soglia di riferimento costituita dal numero massimo di giorni di superamento (35) del valore limite di 50 μg/m3 di PM10 nel corso del 200644. Pur con le cautele dovute ad aspetti tecnici quali numero e, soprattutto, po-sizionamento delle centraline, merita di essere evidenziato che si tratta di una delle sole cinque grandi città in cui non si è superata la soglia dei 35 giorni.

Un altro capitolo del Rapporto APAT è dedicato al tema del-la biodiversità, con l’utilizzo di indicatori (il numero degli studi faunistici sistematici effettuati) che appaiono, peraltro, scelti per compensare la assenza di dati omogenei e sufficientemente diffusi.

Per quanto riguarda Napoli meritano di essere citate alcune eccellenze che riguardano gli spazi naturali in città: tra gli altri il Parco degli Astroni45 e il Parco delle colline.

43 Neologismo coniato o rilanciato nelle interviste di un noto urbanista napoletano, Aldo Loris Rossi.

44 Il valore del PM10 è considerato tra quelli più critici in relazione alla conformità alla normativa e misura quello che è comunemente definito «particolato in sospensione».

45 La Riserva Naturale dello Stato «Cratere degli Astroni» è stata istituita con decreto del Ministero dell’Ambiente n. 422 del 24/07/1987, mediante il quale il WWF Italia è sta-to individuato quale soggetto gestore. Situata nel Comune di Pozzuoli, la Riserva confina con il Parco Regionale dei Campi Flegrei ed è compresa tra il cratere di Agnano ad Est, il monte Spina a Sud, Pianura a Nord ed il monte Barbaro ad Ovest.

La gestione della Riserva è supportata dal Comitato Tecnico Scientifico, nel quale sono rappresentati il Ministero dell’Ambiente, il Ministero delle Politiche Agricole e Fore-

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Il Parco metropolitano delle Colline prende l’avvio dalla pre-visione del parco urbano del Comune di Napoli già denominato Parco delle Colline di Napoli nel Piano regolatore comunale. La sua gestione è affidata ad un Ente Parco con personalità giuridica di diritto pubblico, istituito con decreto del Presidente della giun-ta regionale» (art. 1, comma 8, LR n. 17 del 17.10.03)46.

Secondo gli obiettivi dichiarati dall’Ente Parco «le Colline di Napoli rappresentano una grande riserva ambientale a scala me-tropolitana che compensa l’eccessiva e sovraccarica urbanizzazio-ne circostante. Anche se attualmente poco conosciuta e usufruita dai cittadini stessi la zona è, insieme al centro storico, il territorio più pregiato della città».

Se è vero che Napoli non è solo un «cumulo di rifiuti» cer-tamente la percezione degli abitanti registra numerosi elementi di preoccupazione.

Un riscontro, significativo nel suo messaggio complessivo, può essere rintracciato nei dati ISTAT tratti dalla «Indagine multisco-po sulle famiglie», Aspetti della vita quotidiana, che registrano i giudizi delle famiglie su alcuni problemi ambientali della zona in cui abitano. Il dato è disponibile solo a livello regionale, ma è abbastanza logico pensare che la componente delle famiglie che risiedono nel denso abitato di Napoli non possa godere di condi-zioni migliori della media regionale.

Purtroppo non solo la percentuale delle famiglie campane che lamentano una condizione ambientale molto o abbastanza disa-gevole è dal 2002 decisamente maggiore della media italiana in tutti gli aspetti oggetto di rilevazione (con la sola eccezione del-la disponibilità di acqua per usi domestici), ma in alcuni casi la tendenza si accentua maggiormente nella rilevazione del 2007. La percezione nelle famiglie del problema della sporcizia nelle strade, ad esempio, passa dal 39,4% del 2002 al 52,8% del campione in-tervistato nel 2007. Ciò che più impressiona è la distanza dalle al-tre Regioni: dopo il Lazio, seconda Regione con il 49,7%, tutte le

stali, il WWF Italia e la Regione Campania, che è proprietaria del cratere e degli edifici di pertinenza.

46 Con la legge regionale n. 17 del 7 ottobre 2003 «Istituzione del sistema parchi ur-bani di interesse regionale», la Regione Campania, «al fine di individuare tutte le azioni idonee a garantire la difesa dell’ecosistema, il restauro del paesaggio, il ripristino dell’iden-tità storico culturale, la valorizzazione ambientale anche in chiave economico produttiva ecocompatibile soprattutto attraverso il sostegno dell’agricoltura urbana, individua, ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394, articolo 2, comma 8, il sistema dei parchi urbani di interesse regionale, costituito da: a) parchi urbani; b) parco metropolitano» (art. 1 LR n. 17 del 17.10.03).

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altre Regioni si attestano al massimo intorno al 40-41%. La media italiana (34,1%) è distante quasi venti punti percentuali rispetto alla Campania.

La Campania si attesta, invece, in prossimità della media nazio-nale, anche se con valori leggermente superiori, per quanto riguar-da il traffico (49,7%, rispetto alla media nazionale del 46,7%), l’inquinamento dell’aria (48,3%, contro 43,6%) e solo per quanto riguarda l’erogazione dell’acqua vanta una condizione percepita appena migliore della media italiana (34,1%, contro 35,4%).

5.4. Le periferizzazione della città

L’immagine dei rifiuti portati nottetempo dalle periferie e scari-cati nelle strade centrali di Napoli durante la primavera 2008 può essere considerata una rappresentazione simbolica della periferiz-zazione della città, della inversione dell’idea di città come concen-trazione di opportunità e di servizi.

La preoccupazione degli economisti, trasfusa nei molti docu-menti di politica economica nazionale, di elevare il tasso di attivi-tà del Mezzogiorno ed in particolare quello femminile per miglio-rarne significativamente le performances economiche, trova un ri-scontro negativamente sorprendente per Napoli. Anche qui i dati, espressi a livello provinciale, costituiscono un chiaro indizio e un valore di prossimità statistica della situazione della conurbazione metropolitana. Se si accoglie come ragionevole l’idea che la scar-

Tab. 8. Famiglie per giudizio su alcuni problemi ambientali della zona in cui abitano in Campania – Anni 2002 e 2007 (per 100 famiglie della stessa Regione)

Problemi ambientali 2002 2007

Campania Italia Campania Italia

Sporcizia nelle stradea 39,4 31,1 52,8 34,1Difficoltà di parcheggioa 49,0 40,8 53,6 41,4Difficoltà di collegamentoa 37,9 29,8 46,1 30,5Trafficoa 51,6 48,3 49,7 46,7Inquinamento dell’ariaa 46,2 40,0 48,3 43,6Rumorea 46,8 37,8 46,7 36,8Irregolarità nell’erogazione dell’acqua 21,4 14,7 18,1 13,2Non bevono acqua di rubinetto 33,9 40,1 34,1 35,4

a Percentuali di famiglie che dichiarano «molta» o «abbastanza» presenza del proble-ma indicato.

Fonte: ISTAT, Indagine multiscopo sulle famiglie. Aspetti della vita quotidiana.

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sa partecipazione femminile al mondo del lavoro non possa più essere ascritta soltanto a un modello culturale di tipo tradizionale ma che dipenda molto, oltre che, ovviamente, dalla insufficiente offerta di lavori di qualità, dalla qualità e accessibilità dei servizi che devono consentire di poter conciliare impegni professionali e familiari, i dati di Napoli non possono non costituire un segnale di allarme.

Il tasso di attività complessivo nella provincia di Napoli risul-ta, seppur di poco, inferiore alla media regionale: 43,6% rispetto al 43,8%. Ma è il tasso di attività femminile a registrare una per-formance negativa eclatante: 29,7% contro la media regionale del 30,8%. Il valore del tasso di attività femminile della provincia di Napoli47 è non solo più basso della media nazionale, ma dei valori medi delle altre Regioni del Mezzogiorno.

Anche restringendo il dato al perimetro del Comune di Napo-li ci si attesta su un valore bassissimo, 30,18%, inferiore a quello medio della Calabria e coincidente con quello medio della Regio-ne Puglia, pari al 30,17%. In conclusione l’accesso femminile al lavoro nel più grande Comune capoluogo del Mezzogiorno e nel-la seconda città d’Italia corrisponde o risulta inferiore, come nel confronto con la media calabrese, a quello di Regioni in ritardo di sviluppo caratterizzate da vaste aree rurali e montane.

I dati sul PIL pro capite elaborati dalla SVIMEZ registrano chiaramente per Napoli una inversione delle caratteristiche di vantaggio dell’aree urbane, considerando che in altri contesti ur-bani della Regione si evidenzia una maggiore capacità di generare valore aggiunto.

In questa situazione è evidente che l’emergenza non è solo quella della raccolta dei rifiuti ma quella più generale di contrasto alla periferizzazione della città, alla difficoltà di accesso ai servizi, al degrado del tessuto sociale.

Sebbene, come si è detto, le possibilità di dare risposte ai pro-blemi della città metropolitana superino le possibilità e le com-petenze della amministrazione locale, il Comune di Napoli ha comunque attivato da alcuni anni un Servizio speciale periferie afferente alla Direzione Centrale dell’amministrazione, con il com-

47 Nell’Urban Audit, banca dati comparata delle città europee promossa dalla Com-missione europea in collaborazione con gli istituti di statistica degli Stati membri, il Comu-ne di Napoli viene indicato come parte di una Larger Urban Zone (LUZ) corrispondente all’unità amministrativa della Provincia e che comprende 3.059.196 abitanti e un’area di 1.171 Kmq.

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Tab. 9. Valore aggiunto totale per abitante (valori concatenati, anno di riferimento 2000)

Aree 2000 2005 2006 Variazione % Numeri indici 2006

Media2000-06

2005-06 Italia = 100 Mezzogiorno = 100

Valori concatenati, anno di riferimento 2000b

Caserta 11,2 12,0 12,2 1,4 1,4 64,2 96,7Benevento 11,3 11,7 12,0 1,1 2,8 63,5 95,7Napoli 11,4 11,2 11,2 –0,3 –0,5 59,0 88,9Avellino 12,4 12,5 12,7 0,4 1,8 66,9 100,8Salerno 12,3 13,0 13,5 1,6 3,6 71,1 107,2Campania 11,6 11,8 11,9 0,5 1,0 62,9 94,8Mezzogiorno 12,3 12,4 12,6 0,3 1,1 66,4 – Sud 12,3 12,4 12,5 0,3 1,2 66,1 – Isole 12,3 12,6 12,7 0,5 0,9 66,9Centro-Nord 22,3 22,2 22,4 0,1 1,0 118,1 – Nord-Ovest 23,0 22,9 23,2 0,1 1,3 122,1 – Nord-Est 23,0 22,3 22,5 –0,3 1,3 118,9 – Centro 20,5 21,2 21,2 0,6 0,2 111,8Italiaa 18,7 18,8 19,0 0,2 1,1 100,0

a Il totale Italia differisce dalla somma delle ripartizioni per la presenza della voce «Extra-regio».

Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati EUROSTAT e ISTAT per il 2000-2004 e stime SVIMEZ per il 2005 e 2006.

pito di dare attuazione al programma di riqualificazione varato nel 199548 e avviato studi socio-economici territoriali che individuano l’intera cintura urbana da Nord-Ovest al mare come area di svan-taggio: dal grado molto elevato di Scampia e San Pietro a Patier-no a quello moderato di Barra, Ponticelli, Poggioreale, Secondi-gliano. Insieme con l’area di Pianura, posta a Nord-Est alle spal-le dell’area di Bagnoli, si completa una geografia dello svantaggio urbano che comprende oltre un terzo della superficie comunale49 e che appare difficilmente aggredibile con le sole risorse e misure attivabili attraverso lo strumento delle Zone franche urbane.

Ma nessuna misura può essere idonea alla complessità dei pro-blemi e alla necessità di un prospettiva non emergenziale, se non si considerano, a partire dal Governo e dal Parlamento naziona-li, la specificità del governo metropolitano e le specifiche emer-

48 Tra gli interventi più noti l’abbattimento delle Vele di Scampia e la realizzazione di nuovi alloggi e servizi.

49 Vedi Periferie, Comune di Napoli. Assessorato alle periferie. Servizio valorizzazione delle periferie urbane, 2004.

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genze sociali, economiche e territoriali della conurbazione napo-letana. L’alternativa è il degrado sociale e civile e la dissipazione delle risorse pubbliche, come concretamente dimostrato dai costi dell’emergenza rifiuti.

Non solo Napoli, ma ogni grande conurbazione, in quanto luogo di concentrazione e addensamento, presenta infatti al suo interno due tendenze contrapposte. Da un lato è, potenzialmente il luogo dove si concentrano le funzioni direzionali, le economie di scala del terziario, i mercati e le risorse umane più qualificate e dove quindi si possono moltiplicare gli effetti positivi dello svilup-po. Dall’altro lato presenta anche le condizioni per moltiplicare il degrado in caso di sviluppo insufficiente e per accumulare diseco-nomie da congestione e da sottosviluppo.

Appendice bibliografica

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Le città meridionali nell’attuale fase del progresso tecnico, in Vecchi e nuovi termini della questione meridionale. Scritti in ricordo di France-sco Compagna, a cura di U. Leone, Napoli, Camera di Commercio... [etc.], 1984.

Intervento di D. Cecchini, in Il governo delle aree metropolitane, a cura di P. Urbani, Milano, Angeli, 1985.

L’area metropolitana di Napoli: struttura e tendenze demografiche, insedia-tive ed economiche, di D. Cecchini e S. Cafiero, in Il regno del possi-bile, a cura del Centro storico Napoli, Milano, Il Sole 24 Ore, 1986.

Motivi ed obiettivi di un programma straordinario di intervento per il rias-setto urbanistico territoriale nel Mezzogiorno, di D. Cecchini, in «Stu-di SVIMEZ», 1986 nn. 3-4.

Prospettive dell’assetto urbano e territoriale delle regioni meridionali: la Calabria, di A. Bianchi, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1987, numero unico.

La questione urbana, in Rapporto 1987 sull’economia del Mezzogiorno, SVIMEZ, Bologna, Il Mulino, 1987.

Il ruolo delle città per lo sviluppo, di S. Cafiero, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1988, n. 1.

Le aree urbane in Italia: scopi, metodi e primi risultati di una ricerca, di D. Cecchini, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1988, n. 1.

Prospettive dell’assetto urbano e territoriale delle regioni meridionali: la Puglia, di A. Barbanente e D. Borri, in «Rivista economica del Mez-zogiorno», 1988, n. 1.

Prospettive dell’assetto urbano e territoriale delle regioni meridionali:

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l’Abruzzo, di P. Avarello, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1988, n. 2.

L’intervento pubblico per la ricostruzione nelle aree terremotate, in Rap-porto 1988 sull’economia del Mezzogiorno, SVIMEZ, Bologna, Il Mu-lino, 1988.

Comprende il capitolo su Il programma straordinario per Napoli.Prospettive dell’assetto urbano e territoriale delle regioni meridionali: il

Molise, di A. Bianchi e G. Migliorisi Ramazzini, in «Rivista economi-ca del Mezzogiorno», 1988, n. 4.

Prospettive dell’assetto urbano e territoriale delle regioni meridionali: la Basilicata, di A. Bianchi e S. Caldaretti, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1989, n. 2.

Stadi di sviluppo del sistema urbano italiano, di D. Cecchini, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1989, n. 4.

Testo predisposto per la relazione presentata all’VIII Conferenza Nazio-nale dell’Associazione Italiana di Scienze Regionali, Cagliari 1987, dal titolo La nuova dimensione urbana.

Prime riflessioni sugli interventi straordinari nelle aree metropolitane del Mezzogiorno, di P. Urbani, in «Rivista giuridica del Mezzogiorno», 1989, n. 1.

Un’analisi economico-funzionale del fenomeno urbano in Italia, di D. Cec-chini e S. Cafiero, in Studi sui sistemi urbani, a cura di D. Martellato e F. Sforzi, Milano, Angeli, 1990.

Il divario nord-Sud nei processi di urbanizzazione, di S. Cafiero, in «Rivi-sta economica del Mezzogiorno», 1990, n. 2.

Dinamiche delle funzioni urbane e Mezzogiorno, di D. Cecchini e G. Gof-fredo, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1990, n. 2.

Gli interventi speciali per le aree urbane, in Rapporto 1990 sull’economia del Mezzogiorno, SVIMEZ, Bologna, Il Mulino, 1990.

Le aree urbane in Italia al 2003, di D. Cecchini, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1990, n. 4.

L’esperienza della ricostruzione a Napoli: quali indicazioni per la riquali-ficazione urbana?, a cura della SVIMEZ, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1991, n. 3.

Fattori causali nelle trasformazioni urbane: un’analisi delle maggiori aree urbane della Comunità Europea, di P. Cheshire, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1991, n. 3.

Città, innovazione e sviluppo del Mezzogiorno, di S. Cafiero e D. Cecchi-ni, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1991, n. 4.

Le città metropolitane nel Mezzogiorno, di A. Menè, in «Rivista giuridica del Mezzogiorno», 1991, n. 4.

Per la riqualificazione delle città meridionali, a cura della SVIMEZ, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1992, n. 3.

La popolazione delle aree urbane secondo l’ultimo censimento, a cura di D. Cecchini, in «Informazioni SVIMEZ», 1992, n. 1.

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L’evoluzione del patrimonio abitativo secondo l’ultimo censimento, a cura di D. Cecchini, in «Informazioni SVIMEZ», 1992, n. 1.

Il Mezzogiorno urbano negli anni ’80, di D. Cecchini e G. Goffredo, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1993, n. 4.

L’istituzione delle autorità metropolitane nel Mezzogiorno: il caso di Bari, di F. Pace, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1995, n. 2.

L’istituzione dell’Autorità metropolitana: il caso di Palermo, di S. Bale-strieri, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1995, n. 3.

La città metropolitana di Napoli. Stato di fatto e prospettive, di R. Costa-gliola e R. Giannì, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1995, n. 4.

Aree metropolitane: il caso di Catania, di C. Cecconi e A. Mallamo, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 1996, n. 1.

Recupero urbano, riqualificazione del territorio e sviluppo economico: una convergenza parallela negli strumenti negoziali, di R. Gallia, in «Rivi-sta giuridica del Mezzogiorno», 1999, n. 4.

La potestà legislativa regionale in materia urbanistica, oggi, di P. Stella Richter, in «Rivista giuridica del Mezzogiorno», 2000, n. 3.

Il piano territoriale di coordinamento provinciale e le prospettive di rifor-ma della legislazione urbanistica, di P. Stella Richter, in «Rivista giuri-dica del Mezzogiorno», 2000, n. 4.

Le dinamiche dei processi di urbanizzazione in Italia e il dualismo Nord-Sud: un’analisi di lungo periodo, di F. Heins, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 2001, n. 4.

Cafiero e gli studi urbani, di A. Busca, in Problemi nazionali e meridio-nali nel pensiero e nell’impegno di Salvatore Cafiero, a cura di N. No-vacco, Bologna, Il Mulino (Collana della SVIMEZ), 2003.

Cafiero e il Mezzogiorno urbano, di D. Cecchini, in Problemi nazionali e meridionali nel pensiero e nell’impegno di Salvatore Cafiero, a cura di N. Novacco, Bologna, Il Mulino (Collana della SVIMEZ), 2003.

Assetto del territorio, in Rapporto 2005 sull’economia del Mezzogiorno, SVIMEZ, Bologna, Il Mulino, 2005.

Le aree metropolitane e le reti di città per lo sviluppo del Sud, in Rapporto 2007 sull’economia del Mezzogiorno, SVIMEZ, Il Mulino, 2007.

Scelte strategiche per lo sviluppo delle grandi aree urbane del Mezzogiorno, in «I Quaderni del Centro Studi», Unione Industriali di Napoli, Feb-braio 2008, contenente gli Atti del Seminario organizzato dalla SVI-MEZ e dal Centro Studi dell’Unione Industriali di Napoli sul tema «Scelte strategiche e priorità operative per lo sviluppo di Napoli e delle grandi aree urbane del Mezzogiorno».

La Questione urbana, in Rapporto 2008 sull’economia del Mezzogiorno, SVIMEZ, Il Mulino, 2008.

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