L’anima mia magnifica - SALESIANI DON BOSCO · di Dio, perché il tempo è di Dio e lui te lo...

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Nº 4- 2012 ANNO XXXIII BIMESTRALE pag. 2 NPG La rivista “Note di Pastorale Giovanile”: il “metodo preventivo” per gli educatori Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 - CB-NO/TORINO luglio-agosto pag. 23 Lo sport per tutti Tiziana Nasi, presidente della Fisip L’anima mia magnifica il Signore pag. 20 SGS tipografia voluta da Don Bosco, festeggia i primi 150 anni

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Nº 4- 2012ANNO XXXIIIBIMESTRALE

pag. 2 NPG La rivista “Note di Pastorale Giovanile”: il “metodo preventivo” per gli educatori

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pag. 23 Lo sport per tutti Tiziana Nasi, presidente della Fisip

L’anima mia magnifica

il Signore

pag. 20 SGS tipografia voluta da Don Bosco, festeggia i primi 150 anni

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II LUGLIO-AGOSTO 2012

hic domus mea

inde gloria mea

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Nel prossimo numero l'intervista a Suor Caterina Cangià, sceneggiatrice e produttrice del nuovo film su Madre Mazzarello.

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LUGLIO-AGOSTO 2012

Il saluto del Rettore

Vacanze: periodo di ricarica umana e spirituale

Carissimi amici,il periodo estivo che si apre è un periodo segnato, almeno per un certo tempo, dalle vacanze, dalla pausa dal lavoro. Certo il momento presente non permette a molti vacanze e ferie vissute come prima, anzi non mancano preoccupazioni e timori; tuttavia resta sempre un tempo di sosta, di pausa, di ricarica. Il papa Benedetto XVI propone per questo tempo di mettere il Vangelo nella valigia, per diventare, alla luce della Parola, padroni di questo tempo, saperlo valorizzare e scoprire in esso i valori che racchiude.Un primo valore è il riposo. Le vacanze sono un periodo utile per riprendere le forze fisiche, psichiche e spirituali. Un secondo aspetto è la possibilità di riflettere: abbiamo bisogno di cercare spazio e tem-po per pensare a noi, uscendo dal rumore della vita ordinaria. È un tempo per vivere un po’ di serenità interiore, che deriva dal fatto di avere possibilità di mettere ordine “dentro”; è un periodo privilegiato per una sosta ai “box” e riprendere serenamente la corsa della vita.Questo tempo permette una maggior presenza in famiglia: in una società in cui il lavoro e gli impegni occupano molto spazio, il pe-riodo delle vacanze è favorevole per rafforzare i legami familiari, au-mentare il dialogo, stare insieme e aiutare quelli che ne hanno più bisogno. È un tempo per coltivare le amicizie, riallacciare rapporti, farsi vicini a chi ha bisogno, condividere esperienze. È un tempo propizio per la lettura di qualche buon libro che aiuti ad aprire la mente e il cuore; è un tempo per riscoprire le bellezze della natura spesso guardata distrattamente e con fretta, tempo per riscoprire le bellezze della propria città, del proprio paese, del proprio territorio, spesso sconosciute. Per noi uomini e donne di fede è soprattutto un tempo per riscoprire la preghiera, il silenzio, la meditazione, alla luce dell’esperienza di Maria che «custodiva tut-te queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Don Bosco ci ripeterebbe con forza: «Vivi questo tempo, vivi tutto il tempo alla presenza di Dio, perché il tempo è di Dio e lui te lo affida perché tu ne faccia un tempo di lode e di amore a lui e di attenzione e di amore ai fratelli».A tutti il nostro saluto più cordiale e l’assicu-razione del nostro costante ricordo in Basilica.

Don Franco Lotto, [email protected]

foto di Mario Notario

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2 LUGLIO-AGOSTO 2012

A tutto campo

Il logo è fresco e accattivante. Nell’in-tenzione dell’autrice Catia Camillini il

gioco dei cerchi colorati rappresenta gli elementi fondamentali del Sistema Pre-ventivo di Don Bosco, ed evoca gli “ab-bracci” dei giovani che circondano Don Bosco fino a far risaltare la radice di tutto: la croce, richiamo dell’amore totale e gra-tuito di Gesù per l’uomo… e per i giovani in modo speciale.È l’ultimo (e per un certo verso forse “de-finitivo”) logo grafico di NPG, rivista sa-lesiana per l’educazione ed evangelizza-zione dei ragazzi e dei giovani. Dal 1967 al 2012: 46 anni di riflessioni, di proposte, di esperienze, di sussidi prati-ci, di dialogo con i lettori, per un aiuto alla correttezza delle analisi, alla proget-tazione seria, alla praticabilità dei percorsi educativi. Per dire che i giovani ci sono, che aspettano di essere chiamati perso-nalmente in causa e di scoprire la bel-lezza del Vangelo, della vita nella Chiesa e dell’impegno per il Regno. Questo può essere più facilmente realizzato se degli educatori stanno con loro, credono in loro, vivono per loro.

Un po’ di storiaPer questo brevissimo viaggio intorno a Note di Pastorale Giovanile ci serviamo di un rimando musicale, come evocato dal titolo dell’articolo.

Una “sinfonia” di vita per i giovaniLa rivista “Note Di pastoraLe giovaNiLe”

Un viaggio attorno all’unica rivista italiana per la pastorale giovanile. Essa ripropone il Sistema Preventivo alla luce della teologia e scienze umane di oggi. Nata nel 1967, si apre ora alla multimedialità.

“Note”: ovviamente come brevi appunti, cose utili ma essenziali, senza pretesa di sistematicità o compiutezza. Non si lavo-ra con i giovani “deducendo” dai libri ma “inventando”, costruendo insieme.Ma il richiamo ovvio è anche a “notazio-ni musicali”… come a dire che nel lavo-ro pastorale con i giovani - e con l’aiuto della Grazia - si possono comporre “sin-fonie”… dei veri capolavori. Don Bosco ci credeva, e Domenico Savio pure, come mostra l’immagine della stoffa e del sarto.Le note sono indicate internazionalmen-te da lettere (A, B, C, ecc.) e con alcune di queste lettere-note musicali vorremmo richiamare la carta di identità della rivista, così che nell’insieme esse costruiscano la sinfonia della vita del giovane cristiano (e del suo educatore).

Partiamo dalla lettera S (il si, la “sensibi-le” nella scala di do), con un po’ di storia.Il tempo è quello dell’entusiasmo del “dopo Vaticano II”, la contestazione gio-vanile e la messa in discussione di metodi e pratiche educative tradizionali, la vo-glia di novità: lo stesso Capitolo Generale dei Salesiani che “inventa” un centro di pastorale giovanile per produrre nuove idee e studiare nuove iniziative nel campo dell’educazione dei giovani.Spuntano qui i nomi che faranno la sto-ria della rivista: d. Elio Scotti, d. Riccardo

Il nuovo logo (vedi al termine dell’articolo) è “costruito” sulla tradizionale immagine di Don Bosco che “abbraccia” i giovani. I “cerchi a croce” ne prolungano l’effetto.

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Tonelli, d. Luigi Negri, e via via altri che si aggiungeranno (preti e laici), studiosi e operatori (G. Gozzelino, G. Piana, M. Pollo, D. Sigalini…). La rivista cresce di credito fino a diventare, nelle parole di d. J. Vecchi - compianto Rettor Maggiore -, «il fiore all’occhiello» della Congregazione Salesiana in termini di riflessione e pro-posta pastorale.Le idee e proposte, nate come aiuto a una nuova prassi salesiana, vengono ac-colte anche in altri ambienti, ecclesiali e laici: riferimento sicuro per gli operatori pastorali.

i giovani e gesù, che altro?Velocemente altre “note”: la G (il sol, o dominante nella scala di do).E abbiamo i due grandi riferimenti, i pila-stri del progetto: giovani e Gesù.I giovani come destinatari e soggetti pro-tagonisti della loro crescita personale e cristiana, come sguardo privilegiato sul mondo, persone di cui l’educatore vuole essere compagno e guida, amico e padre lungo il cammino della vita.E Gesù, la fonte e radice dell’impegno dell’educatore, Colui verso il quale in-contro esistenziale (e all’interno della co-munità-Chiesa e dunque nella Parola e liturgia si vuole accompagnare i giovani.Tutta NPG sta in questi due riferimenti

che esplicitano il perché e il che cosa del-la proposta.Il resto, tutto il resto è solo il come con-durre a questo incontro.E così il progetto educativo, gli itinerari o cammini di fede, il gruppo, l’animazio-ne, le strutture... possiamo – nella nostra metafora musicale – considerarli come le altre “note” della composizione.

Chiudiamo il cerchio con un’altra S, che si appoggia alla naturale conclusione sin-fonica: social (NPG).È il modo di oggi per avvicinare una cul-tura dell’immagine e della comunicazio-ne 2.0.Per NPG questo significa un ricco e fre-quentatissimo sito (www.notedipastora-legiovanile.it); una newsletter mensile; la connessione a facebook, twitter per bre-vi lanci di info, youtube (per le videole-zioni), una colonna sonora (una canzone sui giovani e la loro vita, della giovane e brava Margherita Pirri vincitrice di recenti concorsi nazionali e una tra le più ascol-tate cantanti di Radio Demo RAI), un blog.Tutto come desiderio e impegno ad in-contrare i giovani, dovunque e comun-que; e di creare con loro - attraverso la riflessione e la proposta - una melodia o una sinfonia della vita.Come è nello slogan del sito: «Io voglio insegnarvi un metodo di vita cristiana, che vi possa nel tempo stesso rendere allegri e contenti, additandovi quali sia-no i veri divertimenti e i veri piaceri» (Don Bosco).

giancarlo De Nicolò[email protected]

Note di Pastorale Giovanilevia Marsala 42 - 00185 RomaTelefono: 06 49 40 442Fax: 06 44 63 614www.notedipastoralegiovanile.itfacebook.com/notedi.pastoralegiovaniletwitter.com/#!/NotediPG

Abbonamento ccp n. 32701104 intestato a: Note di pastorale giovanile - Editrice Elledici, 10093 Leumann TO.

Elledici ufficio abbonamentitel. 011.95.52.164/165; fax [email protected]/periodici/servizi/ps100800.php(abbonamento on-line con carta di credito)

Il nuovo logo della rivista: i “semi-cerchi” rappresentano i giovani attorno alla figura centrale di don Bosco, e disegnano la croce, simbolo della donazione totale di Gesù.

A TUTTO cAmpO 3

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4 LUGLIO-AGOSTO 2012

Leggiamo i vangeli

gesù è il cristoQuanta strada gli Apostoli avevano fatto per capire chi fosse Gesù. Pietro a nome di tutti a Cesarea di Filippo lo aveva pro-fessato «il Cristo», il Messia. Da quel gior-no Gesù iniziò la sua discesa verso Ge-rusalemme, cioè verso la sua Pasqua. Quanta strada avrebbero però ancora dovuto percorrere i Dodici per com-prendere che tipo di messia egli fosse! Per un Giudeo – e gli Apostoli lo erano – una cosa era chiara: il messia atteso da Israele era una figura potente, che con il vigore concessogli dal Signore avrebbe restituito al popolo eletto libertà dai re-gni stranieri. Era dunque loro ferma con-vinzione che il messia non potesse che essere forte, glorioso; che fosse debole non era contemplato in alcun modo. Per altre due volte Gesù sentì la necessità di ripetere l’insegnamento sul suo essere Messia rivestito di debolezza (Mc 9,30-32; 10,32-34), ma per altrettante volte i Dodici non capirono. Solo al culmine del cammino, illuminati dalla presenza del Ri-sorto che li mandava a proclamare il Van-gelo, i loro occhi si aprirono veramente per comprendere il significato ed il valore del cammino di debolezza e della croce percorso dal loro Maestro e Signore.

l’insegnamento nUovoChiunque abbia letto con attenzione il Vangelo di Marco, resterà sorpreso che

egli, giunto alla metà del suo racconto, scriva: Gesù «incominciò ad insegnare loro». Forse che prima d’ora Gesù non aveva mai offerto insegnamenti ai Dodi-ci? Certo che ne aveva dati! L’Evangelista vuol piuttosto farci capire che questo in-segnamento è da ritenersi tanto impor-tante da segnare un punto di svolta nel-la storia della sequela e da dover essere considerato come un secondo inizio del suo Vangelo. Qual è dunque il motivo di tanta importanza e novità? Gesù sente il dovere di insegnare che il Cristo che egli realmente è «deve» soffrire, essere

Cosa significa camminare dietro a Gesù che sceglie di percorrere la via della debolezza per darci la salvezza? Un dialogo serrato tra lui e Pietro ci rivela che il cammino del discepolo deve essere di totale condivisione con la scelta del Maestro.

Non sono ammesse scorciatoie!

L’insegnamento di Gesù rivolto ai discepoli è oggi un messaggio per ciascuno di noi, un invito ad una sequela consapevole e fidu-ciosa.

© Nino Musio

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LEGGIAmO I VANGELI 5

riprovato, essere ucciso e risorgere. La sua non è insomma da subito la via del-la grandezza, ma deve essere quella del-la debolezza e della sofferenza fino alla morte: solo così egli perverrà alla gloria che Dio gli darà. La decisività di questo insegnamento viene ancora segnalata da Marco quando scrive che Gesù pronun-ciò quelle parole «apertamente», in modo chiaro, ossia senza mezzi termini né ad-dolcimento alcuno. La lezione di Gesù sul suo destino di morte e di gloria è proprio il cuore di tutto il suo Vangelo.

non si pUò rifiUtare l’insegnamento nUovoIl discepolo che non condivide ed acco-glie le parole del Maestro sulla sua sorte, rifiuta il Vangelo stesso. La posta in gioco è alta! Pietro però per il momento non riesce né ad accogliere né a condivide-re quanto Gesù ha appena detto. Marco scrive infatti che l’Apostolo, dopo aver preso in disparte Gesù, lo rimprovera per quello che aveva detto, ma non ne ripor-ta le parole pronunciate; lo fa Matteo. Leggiamole: «Dio non lo voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (Mt 16,22). È questo il tono con cui Pietro richiama Gesù: lo fa perché lui sa che il messia di Israele non può essere un debole; lo fa anche perché teme per se stesso: sa bene infatti che la sorte del discepolo è quella del Maestro! Con ardore Pietro si oppone a Gesù, ma con altrettanto impeto costui lo riprende. A differenza dell’Apostolo, il Signore parla ora davanti a tutti. Anzi, l’E-vangelista per farci capire che Gesù non intende solo rimproverare Pietro, ma an-che gli altri Apostoli che in fondo la pen-savano come lui, scrive che Gesù «volta-tosi e guardando i suoi discepoli» parla.

nessUna scorciatoia per chi segUe il signoreCi saremmo aspettati parole di biasimo, un «Volete andarvene anche voi?» insom-ma! Gesù però non si comporta così. È vero rimprovera gli Apostoli e Pietro: «Va’

dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Espressioni dure, ma volte ad un unico scopo: nessuno deve perdersi di quelli che lui aveva chiamato a seguirlo. Nes-suno, tantomeno Pietro cui egli aveva af-fidato una dignità ed un compito davvero unici. Gesù deve però compiere il proget-to che il Padre gli ha affidato: pertanto se Pietro glielo impedisce diventa per lui un ostacolo, un vero tentatore che cerca in ogni modo di stornare la sua volontà e decisione di salvare tutti passando però per la debolezza, la sofferenza e la mor-te! Tutto questo in ossequio alla volontà del Padre. Gesù non può in alcun modo permettere a Pietro di mettere al posto del progetto di Dio un altro progetto più comodo, una scorciatoia. Per questo gli dice: «Rimani con me, ma riprendi il tuo esatto posto nella sequela, quello che ti avevo assegnato quando sulle rive del mare di Galilea ti chiamai e ti dissi “Su! dietro di me”».Per essere discepoli autentici bisogna totalmente lasciarsi coinvolgere nel pro-getto della salvezza che Cristo Gesù ha vissuto fino in fondo, bisogna entrare in una situazione di totale condivisione con la sua sorte: come il Maestro possiamo dirci disponibili a passare per il crogiolo della sofferenza, a preferire la via della debolezza? A darci la gloria ci penserà poi il buon Dio.

Marco [email protected]

La strada del discepolo è quella già percorsa da Gesù, è lasciarsi morire come il chicco di grano per diventare il pane dell’uma-nità.

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6 LUGLIO-AGOSTO 2012

In cammino con Maria

Giovanni presenta il miracolo del cam-biamento dell’acqua in vino avvenu-

to a Cana come il primo “segno” operato da Gesù (Gv 2,1-11). È una parola densa di significato. Un detto sapienziale cine-se dice così: «Quando ti addito la luna, è alla luna che devi guardare e non al mio dito». Il segno non è fine a sé, ma rinvia al di là di sé, indica e significa una realtà che lo trascende.L’evento a Cana è un dito che punta su Gesù, sulla sua divinità e sulla novità del Vangelo che è venuto a portare. Non sol-tanto il fatto nella sua totalità, ma anche i singoli elementi: il terzo giorno, le noz-ze, l’acqua, il vino, le sei giare, sono tutti segni sovraccarichi di significato. E i per-sonaggi intorno a Gesù: i discepoli che giungono alla fede attraverso il segno; i servi che, con la loro obbedienza, sono

diventati collaboratori e testimoni del se-gno; il maestro di tavola il cui malinteso ha accentuato la grandezza del prodigio; tutti appaiono come segni o paradigmi, hanno in sé un’eccedenza di significato, rinviano al di là di sé per rappresentare molte altre persone simili a sé. Che dire poi di Maria? Le sue parole concise, il suo atteggiamento discreto e premuroso non assomigliano al dito puntato sulla luna?Mentre il miracolo a Cana è posto all’i-nizio della missione pubblica di Gesù, la trasfigurazione sul Tabor avviene quan-do Gesù si avvia verso la croce (Mt 17,1-5; Mc 9,2-13; Lc 9,28-36). Il monte, lo splendore, la veste candida, la nube lu-minosa, Mosè e Elia: tutto addita la gloria del Figlio di Dio e allude al suo mistero pasquale. Pietro, abbagliato dalla luce ed estasiato dalla bellezza, vorrebbe che il tempo si fermasse, che la gloria perman-ga. Egli crede ingenuamente di ottenere questo costruendo tre tende, ma ormai la gloria di Dio non abita nelle tende fatte da mano d’uomo. Egli si arresta al dito, ma Gesù lo spinge verso l’oltre.

Una voceSul Tabor, accanto alla visione, si ode una voce dal cielo. È il Padre che parla: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltate-lo» (Mt 17,5). Gesù è il Figlio prediletto, amato dal Padre. La relazione tra Padre e

Cana e Tabor Maria e il PadrePer i pellegrini che visitano la Galilea, il monte Tabor e il piccolo paese di Cana sono tra le tappe immancabili. Oltre alla vicinanza geografica, che legame c’è tra di loro?

L’amore ha bisogno di segni, gli sposi ritrovano nell’altro il segno dell’amore di Dio, il volto amore-vole del Padre e al tempo stesso sono segno testimoniando l’a-more di Dio per la sua Chiesa. L’uomo però non deve correre il rischio di ridurre la sua fede solo a una ricerca di segni spettaco-lari e miracolosi, ma aprirsi ogni momento all’orizzonte più gran-de dell’Amore di Dio cui i segni rimandano.

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Figlio è caratterizzata dall’amore. Il Padre ha voluto rendere pubblico il suo amore per il Figlio in due momenti importanti della sua vita: al battesimo sulla sponda del fiume Giordano (Mt 3,13-17; Mc 1,9-11; Lc 3,21-22) e ora sul Tabor. Da que-sta rivelazione dovremmo percepire non soltanto quanto il Padre ama il Figlio, ma anche quanto Egli ama l’umanità, per il fatto che ha donato a noi questo Figlio amato. La parola del Padre richiama le bellissime riflessioni di Giovanni: «Dio in-fatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16); «In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio uni-genito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio» (1Gv 4,9). Gesù è il dono d’amore dal Pa-dre all’umanità. La voce dal cielo in realtà è un’epifania di Dio come amore: amore verso il Figlio nello Spirito e amore verso l’umanità e verso tutte le sue creature. All’affermazione segue un imperativo: «Ascoltatelo!». Tutti gli uomini e le don-ne, se ascoltano il Figlio, sono coinvolti nell’amore reciproco e nella comunione vitale tra Padre e Figlio e diventano essi stessi figli e figlie amati dal Padre. La voce del Padre sul Tabor richiama la voce del-la Madre a Cana. Tra le poche parole di

Maria riportate nel Vangelo, c’è soltanto una indirizzata direttamente agli uomini, è la parola rivolta ai servi nelle nozze di Cana: «Qualsiasi cosa vi dica fatela» (Gv 2,5). A ragione questa parola è conside-rata “il comandamento mariano”. È anche l’ultima parola pronunciata da lei, quasi un “testamento spirituale” consegnato ai suoi figli. Come il Padre ritorna nel silen-zio dopo aver manifestato il suo amore per Gesù e invitato tutti ad ascoltarlo, così Maria non parlerà più: ha detto l’essenziale aprendo i cuori a Gesù, lui solo ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68). Ad Jesum per Mariam. Maria conduce a seguire Gesù, a obbedire alla sua parola e a considerarlo come riferimento assoluto. Maria aiuta a formare la comunità nuo-va di Gesù, anzi aiuta Gesù a farsi degli amici nel senso che Egli stesso ha detto: «Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando» (Gv 15,14).«Questi è il Figlio mio l’amato: ascoltate-lo!», «Qualsiasi cosa vi dica fatela»: sono parole proclamate con amore e sono pa-role che uniscono l’umanità a Gesù, l’uni-co Salvatore. La voce del Padre sul monte Tabor risuona solenne e misteriosa. La voce della Madre a Cana, semplice, di-screta, soave, permeata dalla tenerezza materna e dalla sapienza femminile, è al-trettanto potente ed efficace.

Maria Ko Ha [email protected]

Il monte Tabor, luogo della Tra-sfigurazione, luogo della con-templazione di un Dio che si fa voce nel cuore dell’uomo e che si manifesta nella bellezza e gran-dezza del creato e nella gioia del cuore.

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8 LUGLIO-AGOSTO 2012

In cammino con Maria

la madonna degli animaliNel Museo dell’Albertina a Vienna un magnifico disegno a penna, parzialmen-te acquerellato, di Albrecht Dürer, ritrae un momento di serenità della Santa Fa-miglia di Nazareth.Al centro della scena la Madonna, seduta con il Bambino in grembo, chiude il libro che sta leggendo, distratta forse dal pic-colo Gesù che indica San Giuseppe che si avvicina sulla destra.Numerosi animali si muovono nel piace-vole paesaggio che si perde in lontanan-za, con la scena dell’annuncio ai pastori ed il corteo dei re Magi che giunge sulla sinistra.L’artista ha voluto certamente rappre-sentare la condizione di vita del paradiso terrestre nel quale il male, simboleggiato dalla volpe, è tenuto a bada da una corda che lo imprigiona ad un ceppo.Tra gli animali si riconoscono un leone,

un pappagallino, un picchio, un gufo, una civetta, una libellula, un grillo, fringuelli, cigni, un airone, un gregge di pecore con il cane e un ariete: tutti lodano il Creatore e fanno corona a Maria.Anche i fiori, il giglio e le rose, sulla sini-stra, celebrano la verginità e l’amore della Madonna e del Bambino Gesù.

alcUne altre raffigUrazioni che esprimono devozioni mariane caratteristicheMolti sono gli artisti che si sono dilettati nel ritrarre la Madonna con il Bambino Gesù in mezzo ad alcuni animali, perso-nificazione di particolari virtù.La Divina Pastora ritrae Maria attornia-ta da pecore e da agnelli. Come la figu-ra di Gesù buon pastore ci richiama la sua amorevolezza per noi peccatori, così quella della Divina Pastora ci ricorda la delicatezza materna di Maria.La Madonna delle galline di Pagani, Saler-no. Sono alcune galline che, razzolando, ritrovano una tavoletta di legno su cui è raffigurata la Madonna del Carmine. La guarigione di uno storpio ed altri nume-rosi miracoli ne accrescono la devozione e nel 1610 le è dedicata una magnifica Chiesa.Nell’Abbazia di Chiaravalle presso Mila-no, il bel quadro del Prof. Adriano Am-brosioni raffigura la Madonna delle uova: su uno sfondo di gigli, Maria tiene in grembo il Bambino Gesù che stringe tra le manine un uovo di gallina; sulla destra un cestello con altre sei uova. Da sem-pre nel mondo cristiano l’uovo, simbolo di fertilità, sta a raffigurare la nuova vita, la Risurrezione.

La devozione alla Madonna e il mondo degli animaliTutta la natura, le piante, i fiori e gli animali rendono omaggio a Maria! «Animali tutti, selvaggi e domestici, benedite la Madre del Signore».

Santa Famiglia di Nazareth di Albrecht Dürer.

Madonna della Stalla a Porzano di Leno.

Madonna delle Galline di Pagani.

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La Madonna della stalla a Porzano di Leno, Brescia: nel 1490 la Madonna ap-pare ad una fanciulla cieca, sola in una stalla, tra gli animali, e le dona la vista.

gli Uccellini nella simbologia marianaLa Madonna del cardellino è raffigurata da Raffaello seduta, in un sereno pae-saggio umbro, con un libro in mano. Ac-canto a Lei il piccolo Giovannino e Gesù Bambino giocano con un cardellino, sim-bolo della Passione di Gesù.La Madonna di Montenero, Livorno.Il volto della Madonna è inclinato verso il Bambino Gesù che le siede in grem-bo aggrappato con le manine alla veste, mentre tiene un filo che lega delicata-mente l’uccellino, sul braccio di Maria, quasi ad indicare che la fede è come un filo che porta al cristiano la salvezza di Gesù, attraverso la devozione della Ma-donna.La Madonna della rondine in Avigliana, Torino.Su un Pilone campestre, la devozione po-polare raffigura la Madonna in atteggia-

mento materno, seduta, con in braccio il Bambino Gesù che tiene tra le manine, trastullo innocente, una rondine, simbolo di speranza e di nuova vita.Le mamme, passando lungo il sentiero, con i loro bambini al collo, hanno un pensiero di saluto ed una preghiera a Maria e si sentono rincuorate. Tra le tan-te grazie ottenute per intercessione della Madonna della rondine, forse la più in-signe, è quella ricevuta dalla contessa di Savoia, Bona di Borbone, sposa di Ame-deo VI, tanto desiderosa di poter stringe-re anche lei al proprio seno un bambino ed erede. La Madonna accoglie il suo de-siderio di mamma ed il 24 febbraio 1360 nasce Amedeo VII, il Conte Rosso.La riconoscenza verso Maria, di Bona di Borbone, di tante altre mamme felici e di tutte le persone beneficate, fu grande e continua: il Pilone si è trasformato in pic-cola Cappella e quindi in Santuario con annesso il Convento per i Padri Cappuc-cini, ed ora per i Figli di Don Bosco.

Mario [email protected]

La devozione alla Madonna e il mondo degli animali

Madonna di Monte Nero a Livorno. Madonna della rondine ad Avigliana. Divina Pastora di Pesaro.

Abbazia di Chiaravalle via Sant’Arialdo 102

20139 Milano Tel: [email protected]

Parrocchia di S. Martino Vescovo Piazza Chiesa 6

25024 Porzano di Leno (Bs)Tel: [email protected]

Santuario Madonna di Montenero

Piazza di Montenero 957128 LivornoTel: 0586.57.96.27 [email protected]

Santuario Madonna dei laghi

Corso Laghi 27810051 Avigliana (To)Tel: 011.932.88.27direttore.avigliana@ salesianipiemonte.it

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10 LUGLIO-AGOSTO 2012

Maria nei secoli

Un uragano di gloria. Un maremoto popolare universale. Un fenomeno

unico nella storia della Chiesa. Soltanto così potremmo definire quello che è av-venuto dalla sera del 30 settembre 1897, quando, dopo dodici settimane di agonia e sussurrando «Io non muoio, entro nella vita», si spegne una ragazza di ventiquat-tro anni, nell’infermeria del Carmelo di Lisieux, una cittadina di 19 mila abitanti, nella Francia settentrionale.La ragazza si chiama Thérèse Martin. Dal giorno della sua vestizione, il 10 gennaio 1889, ha assunto il nome religioso di Te-resa di Gesù Bambino e del Santo Volto. E così tutto il mondo l’ha conosciuta e la conosce. Dio che confonde i sapienti di questo mondo con la sua Sapienza, ha

“La Vergine del sorriso” e S. Teresa di LisieuxMolti, affettuosamente, la chiamano S. Teresina, ma è una grande santa. Ha scritto “Storia di un’anima”, opera che ha portato alla conversione molti e le ha meritato il titolo di Dottore della Chiesa.

fatto di questa ragazza, vissuta nell’inti-mità della famiglia e le mura del mona-stero carmelitano, il più grande teologo del secolo XIX, eccellenza riconosciu-ta anche da papa Giovanni Paolo II che nel 1997 la dichiarò Dottore della Chie-sa. Tutti i Papi l’hanno sempre tenuta in grande considerazione: da Pio XI, che la beatificò, la canonizzò e la dichiarò an-che Patrona universale delle missioni, a Giovanni Paolo I che le ha scritto una lettera: «Avevo 17 anni quando lessi la tua autobiografia. Mi fece l’effetto di un fulmine a ciel sereno».

“la vergine santa mi ha sorriso”Quando sua sorella maggiore Pauline, cui lei era affezionatissima, entrò al Carmelo, la piccola Thérèse, orfana della mamma già a quattro anni, si ammalò. Guarì sol-tanto quando la Madonna le apparve e le sorrise “al mattino della vita”. Si tratta di un episodio che segna profondamen-te la sua vita. Lei stessa lo ricorderà con queste parole: «Non trovando soccorso sulla terra, la povera Teresa si era rivolta anche lei alla Madre del Cielo, la pregava con tutto il cuore perché avesse pietà di lei. Ad un tratto la Vergine Santa mi ap-parve bella, tanto bella, che non avevo vi-sto mai cosa bella a tal segno, il suo viso ispirava bontà e tenerezza ineffabili, ma quello che mi penetrò tutta l’anima fu il sorriso stupendo della Madonna. Allora

La basilica di Lisieux, la cittadina della Francia settentrionale dove la giovane Thérèse Martin diven-ne monaca e compì il suo cam-mino verso la santità.

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tutte le mie sofferenze svanirono, delle grosse lacrime mi bagnarono le guan-ce, ma erano lacrime di una gioia senza ombre. Ah, pensai, la Vergine Santa mi ha sorriso, come sono felice!». E la Madonna continuò a sorriderle, come nel giorno della sua prima comunione, quando si consacrò a Lei. Ecco le sue parole: «Fui io a pronunciare l’atto di consacrazione alla Madonna. Ci misi tutto il mio animo a parlarle, a consacrarmi a lei, come una bambina che si getta tra le braccia di sua madre e le chiede di vegliare su di lei. Mi sembra che la Madonna dovette guar-dare il suo fiorellino e sorridergli». E la Madonna le ottenne la grazia dell’amore sponsale intensissimo per Gesù condu-cendola al Carmelo: «Non è stata forse Lei a deporre nel calice del suo fiorellino il suo Gesù, il fiore dei campi, il Giglio della valle?».La sua autobiografia, composta per ri-chiesta della sua Superiora, è diventato un bestseller: è intitolato Storia di un’a-nima. Moltissime persone, leggendola, sono passate dalla tiepidezza al fervore. Forse, il segreto di questo successo in-tramontabile è legato alla benedizione di Maria. La stessa Teresa racconta che, pri-ma di redigere il suo diario, si inginocchiò dinanzi alla statua di Maria supplicandola di guidarle la mano. E la Madonna l’ha ascoltata. Persino un criminale francese, poi condannato all’esecuzione capitale, si convertì in carcere leggendo la Storia di un’anima. Il suo nome è Jacques Fesch e di lui è in corso il processo di beatifi-cazione.

perché ti amo, o mariaLa Santa di Lisieux parla frequentemente di Maria, nei suoi scritti. Nella sua sem-plicità formula un principio teologico di grandissimo valore. Afferma che quando si parla di Maria, non bisogna mai di-menticare di proporla come un esempio da seguire e che le sue eccellenti preroga-tive non eliminano l’ordinaria quotidiani-tà della sua vita terrena e, soprattutto, che

anche la Madonna esercitò la virtù della fede. Ecco le parole della “petite Thérèse”: «Bisognerebbe mostrarla imitabile, far ri-saltare le sue virtù, dire che viveva di fede come noi, darne le prove con il vangelo dove leggiamo a proposito dei suoi geni-tori: “Non capirono ciò che diceva loro”».Teresa è stata una poetessa fine e delica-ta. Alla Vergine ha dedicato il suo ultimo suggestivo poemetto, dal titolo Pourquoi je t’aime, o Marie (Perché ti amo, o Maria), composto quattro mesi prima di morire. Sono venticinque strofe dove la lode per la Madre di Dio si accompagna a un’in-tensa meditazione degli avvenimenti del Vangelo che parlano di Lei. In esse sono contenuti autentici gioielli di teologia e spiritualità mariana, come i versi con cui Teresa spiega il motivo fondamenta-le della grandezza di Maria, l’umiltà, che la rende onnipotente per grazia: «T’amo, Maria, quando ti chiami serva del Dio che tu conquisti con l’umiltà. Per tal virtù na-scosta sei onnipotente nel tuo cuore attiri la Trinità». Ed ecco perché ogni persona devota di Maria impara anche da San-ta Teresina a rivolgersi alla Madre con illimitata fiducia ed in ogni circostanza della vita: «Se sopraggiunge una preoc-cupazione - scrive Teresa - una difficoltà, subito mi rivolgo a lei e sempre, come la più tenera delle madri, prende a cura i miei interessi».

roberto [email protected]

Quanto avrei desiderato es-sere sacerdote per predicare sulla Santa Vergine! Mi sarebbe bastata una sola volta per dirle tutto ciò che penso a questo proposito: la Santa Vergine è re-gina del cielo e della terra, ma è più madre che regina (S. Teresa di Lisieux).

Fra i capitoli più originali della scienza spirituale [di Santa Teresa di Lisieux] è da ricordare la sa-piente esplorazione che Teresa ha sviluppato del mistero e del cammino della Vergine Maria, giungendo a risultati molto vi-cini alla dottrina del Concilio Vaticano II e a quanto io stesso ho proposto nella mia Enciclica Redemptoris Mater (Beato Gio-vanni Paolo II).

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12 LUGLIO-AGOSTO 2012

Maria nei secoli

Sono stati alcuni restauratori dell’O-pificio delle Pietre Dure di Firenze,

uno dei laboratori di restauro di opere d’arte più prestigioso d’Italia, a scoprire nel vescovado di Fiesole (Firenze) questa splendida terracotta degli inizi del Quat-trocento. Ancor più singolare è che per l’attribuzione si è chiamato in causa Filip-po Brunelleschi, il grande architetto che ha costruito la cupola della cattedrale di Firenze e il portico dell’Ospedale degli In-nocenti, su piazza dell’Annunziata. Se Brunelleschi è conosciuto come uno dei più grandi architetti di tutti i tempi, pochi sanno che da giovane fu anche valente scultore, al punto di rivaleggiare con Donatello. Famosa è la formella con il “Sacrificio di Isacco”, preparata nel 1401 per il concorso di una porta del battiste-ro di Firenze e un Crocifisso per la chiesa domenicana di Santa Maria Novella.Filippo era nato nel 1377 e svolse il suo apprendistato nella bottega di un orafo. In quel contesto approntò alcuni partico-lari dell’altare di Sant’Jacopo per la catte-drale di Pistoia. Nel 1418, dopo importanti prove come scultore, cambiò indirizzo e si dedicò all’architettura. Il suo primo ri-levante impegno fu la costruzione della cupola della cattedrale fiorentina, Santa Maria del Fiore, e singolare è il fatto che realizzò l’imponente opera senza l’aiuto di ponteggi.

La Madonna di FiesoleLa splendida terracotta degli inizi del Quattrocento è stata scoperta nel vescovado di Fiesole (Firenze) ed è stata attribuita a Filippo Brunelleschi, il grande architetto. Il committente era importante: forse apparteneva alla famiglia de’ Medici.

in cerca di sicUrezza tra le braccia della mammaSuccessivamente, tra il 1421 e il 1424, progettò la Loggia per l’Ospedale degli Innocenti, esempio innovativo di chia-rezza e linearità e, a seguire, nel 1423, la chiesa di San Lorenzo con la sacrestia. Alcuni anni dopo, tra il 1430 e il 1444, Brunelleschi realizzò per la famiglia Paz-zi la cappella aperta sul chiostro di San-ta Croce.Grazie a queste importanti realizzazioni, la sua attività di scultore rimase sempre in ombra. Ora, per merito di questa splen-dida opera, che misura cm 60x17x88,5 e che è stata denominata Madonna di Fiesole dal luogo dove è stata ritrovata, la sua maestria è ancor più riconosciuta. Gli storici dell’arte la datano ai primissimi anni del Quattrocento: Brunelleschi aveva circa venticinque anni e dopo aver realiz-zato la formella del “Sacrificio di Isacco”, eccolo creare questo miracolo di arte e di umanità.L’opera rappresenta una giovanissima Madonna, con lo sguardo fisso, forse un po’ perso nel vuoto, ma che lascia intendere la tristezza dei pensieri che si affollano nella sua mente. È tradizione nell’iconografia cristiana che Maria assu-ma atteggiamenti che preludono la mor-te tragica del Bambino che stringe tra le braccia. Il Piccolo Gesù cerca sicurezza

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tra le braccia della mamma e si stringe a lei, facendo quasi tutt’uno con il corpo di Maria.

“o mater dei memento mei”, invocava il ricco committenteLe mani della Vergine sorreggono con delicatezza il piccolo corpo e con un bellissimo gioco pieno di umanità, gli trattengono le gambe, l’una tesa e l’al-tra piegata a mostrare il piede. Umani-tà e tenerezza raggiungono i vertici della loro espressione in questo capolavoro della scultura del primo Rinascimento. Il gruppo poggia su una base rettangolare, decorata con archetti intrecciati di gusto gotico, con la scritta “O mater Dei me-mento mei”, Madre di Dio ricordati di me.Che fosse una scultura destinata ad un committente importante - forse un mem-bro della potente famiglia fiorentina de’ Medici - lo dichiara non soltanto la de-corazione raffinata dei panni, ma soprat-tutto l’uso di materiali preziosi come l’oro per il manto e i capelli sia della Vergine, sia del piccolo Gesù, e poi l’azzurrite e la lacca rossa nella veste. Il corpo del Pic-colo è in parte avvolto dallo scialle della mamma, ma il suo abitino è prezioso, de-corato con bolli d’oro punzonati. Maria aveva in testa una corona che ha perso le punte, forse a causa della loro fragilità. Gli angoli della base un tempo avevano degli stemmi, certo per rendere esplici-ta la committenza, ma sono scomparsi, forse cancellati di proposito al momento della caduta in disgrazia del loro nobile referente.I restauri hanno appurato che la Ma-donna di Fiesole è un prototipo origina-le, modellato direttamente in creta, da cui è stata tratta una matrice per realizzare numerose repliche in terracotta e in stuc-co, repliche che attualmente si conserva-no nei più prestigiosi musei del mondo.

Natale [email protected]

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14 LUGLIO-AGOSTO 2012

La parola qui e ora

Allora non è vero che Gesù “ci azzec-ca” sempre! A Nazareth non riesce

a compiere nessun prodigio perché la gente non crede in Lui. I suoi compae-sani conoscono il falegname, “il figlio di Maria” (ed è probabilmente un dispre-giativo, perché gli Ebrei richiamavano il nome del padre, anche dopo la morte); ma non vogliono sapere nulla del profeta che compie miracoli. L’evangelista Luca (4,29) testimonia come venne cacciato dalla sinagoga. Questo brano di Vangelo affronta, senza nessuna paura, il problema che per noi oggi è a volte assillante: quello del con-fine sottile tra fede e credulità. Se Gesù fosse un ciarlatano qualsiasi, le parole di Marco si adatterebbero ugualmente bene: i prodigi non riescono perché la gente non ci crede abbastanza. Qualcosa di simile avviene in continuazione anche oggi: in televisione passano centinaia di maghi, astrologi, cartomanti, illusionisti; il “fatturato” di questa gente (ammesso che qualcuno di loro paghi le tasse) è di decine di miliardi all’anno; e la barac-ca funziona proprio perché la gente ci crede, anzi si tratta di un fenomeno in

continua espansione. Tempo fa a Tori-no si è svolto un convegno nazionale di coloro che analizzano le affermazioni di chi si occupa del “paranormale”: gli stu-diosi convenuti al Politecnico hanno de-nunciato i “venditori di illusioni”, svelando trucchi e malafede dei presunti “maghi”. Ma in molti di quegli scienziati c’era la convinzione, più o meno espressa, che anche la religione si alimentasse alla stes-sa fonte: perché per loro soltanto quel che è spiegabile con la scienza esiste, ed il resto è truffa.Non siamo più, e non solo in questo sen-so, nella Cacania che lo scrittore Robert Musil rimpiange con ironia: «Il paese era amministrato - con oculatezza, discrezio-ne e abilità a smussare cautamente ogni punta - dalla migliore burocrazia d’Eu-ropa, alla quale si poteva rimproverare un solo difetto: per essa, genio e spirito d’iniziativa nelle persone non autorizzate a ciò da alti natali o da incarico governa-tivo erano impertinenza e presunzione. A nessuno del resto piace farsi dettar leg-ge da chi non vi è autorizzato! E poi in Cacania un genio era sempre scambiato per un babbeo, mai però, come succe-

Il rischio della incredulità e dell’idolatria[Gesù] partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sa-pienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è di-sprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. (Mc 6, 1-6)

Nella sinagoga di Nazareth Gesù si rivela e viene cacciato, ma nes-suno, neanche gli increduli pos-sono opporsi al suo messaggio salvifico che raggiunge tutti e lascia alla libertà di ciascuno la volontà di fidarsi.

© Paolo Siccardi / sync

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LA pAROLA QUI E ORA 15

deva altrove, un babbeo per un genio» (L’uomo senza qualità).Gesù si ritrova più o meno nella stessa posizione: la sua possibilità di compiere prodigi è “ridotta” in ragione del fatto che la gente, i suoi compaesani, non credono in Lui, non lo accettano in nessun modo come figlio di Dio. Ma il problema dei miracoli di Gesù è completamente diver-so: quel che manca ai compaesani non è la credulità, ma la fede. Il brano di Mar-co rivela indirettamente la vera differen-za: per i compaesani di Gesù Egli è solo come il falegname e non sono disposti a “cambiare idea” sul suo conto. Mentre la fede è propriamente un “cambiare idea” (e molto di più: cambiare cuore) sul conto di Dio. In molti altri passaggi del Vangelo Gesù congeda le persone con la frase «la tua fede ti ha salvato»: perché chi ha ri-cevuto un miracolo ha riconosciuto non tanto il prodigio materiale compiuto, ma appunto la potenza del Signore che lo ha reso possibile.Noi, come gli abitanti di Nazareth, siamo continuamente esposti al duplice rischio della incredulità e dell’idolatria. Siamo in genere molto sospettosi nei confronti di

chi parla in nome del Signore e chiede fede, penitenza e conversione; ma siamo molto più pronti a dare credito a chi pro-mette miracoli facili - il successo, il dena-ro, l’amore, il potere… Mettiamo queste promesse al posto di Dio; e a Dio riser-viamo quella diffidenza che riteniamo sano raziocinio critico, legittimo dubbio. In questo la scienza positiva, così come è cresciuta in Europa negli ultimi secoli, non ci aiuta per nulla.Gli abitanti di Nazareth, ciechi e sordi di fronte a Gesù, ci mettono di fronte ad un altro rischio: quello di non “riconoscere” il Signore nei fratelli. Attenti alle apparenze, affezionati solo alle nostre conoscenze e al nostro modo di capire il mondo, an-che noi valutiamo soprattutto l’aspetto esterno delle persone, lasciamo che sia-no i vestiti o il successo a determinare la nostra stima e la nostra capacità di porsi al servizio degli altri. Un atteggiamento molto mondano che ci rende sicuri di una sola realtà: che non saremo in grado di riconoscere i “prodigi”, quelli veri, che il Signore opera nel cuore delle persone.

Marco [email protected]

Maghi e fattucchiere facendo leva sulle debolezze umane indu-cono a credere in prodigi e poteri fasulli, fanno leva sulle apparen-ze, ben lontani dalla logica di un Dio che guarda e ascolta il cuore dell’uomo.

© Paolo Siccardi / sync

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16 LUGLIO-AGOSTO 2012

Amici di Dio

Stiamo celebrando il decimo anniver-sario dell’Euro, nato il 1 gennaio 2002,

dopo un lunga e sofferta gestazione. Non è più un bambino quindi, ma un “ragaz-zo” sopravvissuto a tsunami monetari, a bolle speculative, al credit crunch, a fire-wall inefficaci e a ricorrenti nostalgie del passato. Eppure ha aiutato l’unificazione europea, monetaria adesso, ma in pro-spettiva politica.Un grande contributo a questo processo l’ha dato anche San Benedetto. Per que-sto Paolo VI lo ha proclamato, nel 1964, Patrono d’Europa. Qualcuno pensa che sia eccessivo. Infatti, se leggiamo i libri di storia, troviamo innumerevoli guerre e secolari inimicizie fra gli stati, pur cristiani, del Continente. Altro che unificazione. E il contributo di Benedetto? Ha scritto lo storico J. Le Goff: «Quando si pensa a tutta la violenza che ancora si scatene-rà durante questo Medioevo selvaggio, può sembrare che la lezione di Benedetto non sia stata compresa. Ma dovremmo piuttosto domandarci a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se all’inizio di quei secoli non si fosse levata questa grande e dolce voce». E gli Europei ancora stanno imparando la sua lezione.

alla ricerca della propria vocazioneBenedetto è nato a Norcia, in Umbria, nel 480, da famiglia nobile. Fu mandato a Roma per gli studi, e, particolare im-

Benedetto, Patrono d’EuropaFu un grande europeo. La sua personalità e la Regola che ci ha lasciato hanno avuto un influsso enorme su tutto il nostro Continente, aiutandolo a superare le asprezze dell’antichità e ad abbozzare una certa unione europea, nel nome dei valori cristiani.

portante, in compagnia della fedele nu-trice. Insomma, i genitori non volevano che, nella grande città, il loro rampollo si arricchisse intellettualmente e si perdes-se moralmente (pericolo sempre presen-te). Al ragazzo, già sveglio e riflessivo, lo spettacolo romano, fatto di continue lotte degli abitanti contro il re Teodorico, di in-trighi e invidie del mondo ecclesiastico, non piacque per niente. Prima decisione: via da Roma, sempre con la nutrice, verso Subiaco. Ma non per molto tempo. Un giorno all’insaputa di lei (si sentiva già maturo per stare da solo?) si ritirò in una grotta, in mezzo ai boschi.Come Cristo prima della missione si pre-parò con l’esperienza del deserto, così Benedetto. Furono tre anni di solitudine, riempita di preghiera, di meditazione, di penitenza volontaria (e involontaria, per-ché la grotta non era proprio a cinque stelle!). Un’esperienza non facile anche per le immancabili “visite” del diavolo.

Ci fu anche un gruppo di (pseudo) mo-naci che lo vollero per guida spiritua-le. La loro vera intenzione era però di darsi una patina di legalità davanti

Dalla Regola, capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano: «L’ozio è ne-mico dell’anima, perciò i mona-ci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio della pa-rola di Dio».

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AmIcI DI DIO 17

all’autorità. Ma quando Benedetto co-minciò a parlare di disciplina, penitenza ecc. questi, come risposta poco evange-lica, tentarono di avvelenarlo. E lui fuggì di corsa tornando a Subiaco. Qui trovò altri giovani volenterosi di diventare “veri” monaci, e camminare verso la santità. Si mise al loro servizio, organizzandoli e guidandoli spiritualmente. Superati altri ostacoli, finalmente arrivò a Monte Cas-sino. Correva l’anno 529.

padre del monachesimo occidentaleQui fondò l’Abbazia che diventerà la madre di tutte le Abbazie in Europa, che avranno in lui il punto di riferimento ca-rismatico.Il capolavoro di Benedetto però rimane la Regola, per molti aspetti originale, anche se debitrice di apporti provenienti da Ba-silio, Agostino, Cassiano e dall’autore ita-liano (sconosciuto) della Regula Magistri. Egli ha delineato un nuovo modo di es-sere monaci, basato su tre pilastri su cui poggerà la vita delle Abbazie. Primo: la “stabilità del luogo”. Benedetto cioè mise al bando i “monaci vaganti” che spesso erano poco monaci e molto vaganti (va-gabondi). Chi entrava in monastero, se-condo lui, doveva avere intenzione di vi-verci stabilmente. Il cenobio diventava la sua famiglia per sempre, nella “buona e…nella cattiva sorte”. Secondo: il tempo del monaco, fortemen-te strutturato da un orario, egli lo rivaluta come dono di Dio da non perdere: vie-ne quindi organizzato, con scadenze per la preghiera, il lavoro manuale, la lettura della Bibbia e il riposo. Infine il principio di uguaglianza. Tutti i monaci uguali, nei diritti e nei doveri. Una vera rivoluzione insomma. «Qui si comincia a rinnovare il mondo: qui diventano uguali e fratelli “latini” e “barbari”, ex pagani ed ex ariani, antichi schiavi ed ex padroni di schiavi. Ora tutti sono una cosa sola, stessa leg-ge, stessi diritti, stesso rispetto. Qui fini-sce l’antichità, proprio per mano di Be-

nedetto. Il suo monachesimo non fugge il mondo. Serve Dio ed il mondo, nella preghiera e nel lavoro» (D. Agasso).

l’abate sarà discreto, rispettoso e dolce con tUttiCon Benedetto finiva il concetto di mo-nachesimo-rifugio e incominciava quello di monachesimo-azione: cioè si doveva vivere per Dio nella contemplazione e nell’azione: “Ora, lege et labora”.Un altro elemento qualifica il suo mona-chesimo: il principio di autorità, rappre-sentato dall’Abate. Ci deve essere, perché il monastero e i monaci non possono vi-vere in anarchia, anche se santa. Questa autorità però deve essere condita di fra-ternità e dolcezza, virtù che renderanno l’obbedienza più leggera. La qualità che dovrà distinguerlo sarà la discrezione: non voler subito farli santi o eroi.Morto Benedetto, il “suo” monachesimo andò avanti. La Regola sarà esportata dall’Italia in tutta Europa. Era così genia-le infatti che si adattava a tutti. Furono inoltre numerosi i nuovi Ordini Religio-si, maschili e femminili, che si ispirarono ad essa. E così le sue intuizioni poterono plasmare migliaia di monaci e monache, il cui influsso, culturale e spirituale, sul popolo e sul clero fu enorme. Per que-sto è stato proclamato Patrono d’Europa.

Mario [email protected]

Benedetto, Patrono d’Europa

Tratto in forma ridotta da:

Un scorcio della foresteria di Subiaco, luogo che richiama l’importanza del silenzio e della semplicità per accostarsi a Dio, per progredire in quel cammi-no di santità che riguarda ogni cristiano: monaco, sacerdote, genitore...

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18 LUGLIO-AGOSTO 2012

Giovani in cammino

Vogliamo chiamare le cose per nome? E allora diamo un nome a certe ce-

lebrazioni eucaristiche domenicali dove i fedeli arrivano quando vogliono, tanti dopo la prima lettura, dove ci si mette uno qua e uno là in un anonimato paz-zesco, dove se si canta è solo grazie al piccolo coretto di fanciullette della prima comunione, dove la predica è sopportata e piena di sbadigli, dove tanti non fanno la comunione… Esagerato? Prova a re-gistrare la fila durante la comunione. Ti sembra di vederne uno contento? Tra un po’ potrà mangiare il suo Dio, pensa! e come mai si trascina sui piedi con tutte le rughe tese e non c’è un’ombra di feli-cità per quello che sta compiendo? Esa-gerato? Al bingo, alle gru, allo stadio e ai concerti tira tutta un’altra aria!

Un popolo triste e annoiatoUna religione subìta non desta gioia. Ma lo stesso linguaggio che ancora si adope-ra sa di commerciale: ho fatto il precet-to, ho preso Messa, oggi non ho preso l’ostia. Si può essere invitati a pranzo e non mangiare e starsene in piedi, die-tro la colonna, quasi per essere pron-ti a guadagnar l’uscita allo sprint finale? Ovviamente tutto questo è colpa della formazione ricevuta e, diciamola tutta, è colpa dei preti, questi noiosi! Ma adesso che abbiamo trovato il capro espiatorio, vogliamo guardare avanti e chiederci se la cosa deve continuare così, tirando alla meno peggio, oppure si può por mano

alla radice e alzare il livello del nostro modo di manifestare la fede in maniera che corrisponda a quello che diciamo di credere? Certo portare la croce è dura e non invita a manifestare gioia. Ma la croce è in vista della risurrezione. E questa può radunare un popolo di tristi e musoni? Siamo come quel figlio che non si sente parte della festa che il Padre organizza per il ritorno del fratello: che razza di Dio è questo che fa festa per chi se ne è scappato di casa e ha la faccia tosta di tornare per sbafarsi il vitello? No, non ci piace. Preferiamo un Dio serio. Non ci piace un Dio che fre-quenta le taverne o addirittura mangia con i peccatori, come faceva quel gali-leo famoso. A noi va bene un Dio che si fa rispettare e che quando ci riceve in casa sua alla domenica non vuole essere disturbato dalla nostra gioia. Meglio un Dio-oppio. Esagerato?

Un’esplosione di vitaFinalmente alla domenica ci si offre l’op-portunità di esplodere con gioia indici-bile quella fede che durante la settimana non abbiamo potuto manifestare perché presi dal ritmo incalzante della vita: quel Dio che ci è stato accanto sempre, ora ci invita a casa sua e offre tutto lui. Offre la sua Parola che ci illumina, ci chiarisce le idee, ci scalda il cuore stanco dell’andare quotidiano della vita. Offre e spezza per noi il Pane, quel Pane che è lui stesso fatto carne per noi perché chi ne man-

Non possiamo permetterci il lusso di essere tristi La Messa domenicale ci offre l’opportunità di far esplodere con gioia la nostra fede: il Dio che ci è stato accanto sempre, ci invita a casa sua e offre tutto lui. Altro che anonimato e musi lunghi.

L’incontro con Gesù Eucaristia, la prospettiva della Risurrezione non cancellano le fatiche quotidiane, ma offrono alle nostre sofferenze un orizzonte di speranza e pace.

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GIOVANI IN cAmmINO 19

gia avrà la vita e non morirà in eterno. E lui vuole che tutti abbiano la vita e l’ab-biano in abbondanza. Che Dio mitico e figo! Come non stupirci e commuoverci mentre ci parla, ci cura le ferite del cuo-re, versa olio sulla nostra stanchezza, ci sazia del suo Pane e ci abbraccia come il migliore dei Padri?La santa Messa è il concerto della vita. Lui è il cantautore che stuzzica la nostra voglia di bellezza, di bontà, di amore, di misericordia. Ci invita a cantare con lui come compagni di viaggio perché lui non ci lascerà orfani e sarà con noi sino alla fine dei tempi. È un preludio di quella ri-surrezione che ci vedrà tutti insieme al banchetto finale, dove quelli che lo han-no saputo riconoscere in chi aveva fame e sete, o in carcere e malato, o nudo e straniero, o diverso e indifeso, o piccolo e più debole… si sentiranno dire «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in ere-dità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25).

dimmi chi è il tUo dio e ti dirò come preghiFaccio fatica a capire come sia possibile, dopo la confessione, dare come peniten-za la preghiera. Se la preghiera è una pe-nitenza, è chiaro che non la si fa volentie-ri. Ma la preghiera nelle sue varie forme di celebrazione e nei diversi formulari è dialogare con Dio. Mi chiedo se possa essere un obbligo o un dovere. Ma che cosa c’è di più bello che poter parlare e dialogare e cantare con il nostro Dio? Ma c’è piacere più grande? Se Dio è colui che ci ama di più e non smette mai di amar-ci e se noi amiamo lui con tutto il cuore, l’anima e le forze, cosa c’è di più bello e desiderabile dell’incontrarlo in momenti di intimità? Il fidanzato non vede l’ora di incontrare la sua amata e il tempo che sta con lei passa velocissimo perché vissuto in ogni singolo attimo e goduto in ogni frazione di secondo. E noi ci annoiamo quando siamo con il nostro Dio? Ci distraiamo?

Ci dimentichiamo di pregare? Non abbia-mo tempo alla domenica? Se è così, noi crediamo, ma non abbiamo fede. Allo-ra, benvenuta tristezza! Come evitare il rischio di diventare dei bigotti che non hanno mai incontrato Dio e lo confon-dono con l’esattore delle tasse al qua-le ogni tanto debbono, purtroppo e con tristezza, l’obolo o una visita frettolosa e distratta? E poi ci stupiamo che nelle nostre assemblee mancano completa-mente certe fasce di età? Esagerato? «È ormai tempo di svegliar(vi)ci dal sonno» (Rm 13,11).

giuliano [email protected]

Non possiamo permetterci il lusso di essere tristi

La gioia del cristiano è anche la gioia di condividere un cammino. Non un percorso solitario, ma una condivisione di preghiere, fatiche e impegno che sono la forza della Chiesa.

È nella Messa che si esprime la gioia di una comunità che incontra il suo Dio ed è la Messa, cuore del tempo libero domenicale, che dà senso a tutto il tempo.

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20 LUGLIO-AGOSTO 2012

Chiesa viva

Nel ripassare i riti iniziali della Messa, Gian Luca propone di abolire il ter-

mine omissioni dalla preghiera del Con-fesso. Lui non conosce il significato del vocabolo, quindi non si sente responsa-bile di questo peccato e non deve chie-derne il perdono.Mi affanno a spiegare quante occasio-ni di bene perdiamo nella nostra vita, cominciando dall’omissione di soccor-so, che si configura come reato, e con-tinuando con l’indifferenza di fronte alle situazioni di disagio e di dolore, di cui ogni giorno siamo testimoni. Il discorso non è facile e mi viene in aiuto la saggia Monica, che apostrofa il compagno con un pizzico di aggressività: «Io ho capito benissimo e ti spiego subito che cos’è l’omissione. È, per esempio, quando TU dimentichi libri e quaderni di catechismo e IO, invece di mettermi vicino a te per aiutarti a stare attento, mi siedo vicino alle mie amiche! È quando non invitiamo Ahmed alle nostre feste di classe, perché

non parla bene l’italiano e perché temia-mo che ci rovini i giocattoli. È quando i nostri genitori chiedono di togliere quel marocchino dalla classe perché disturba e fa perdere tempo!».Nel silenzio glaciale che cala sull’inter-vento, cerco il sostegno in alcuni versetti del Vangelo di Matteo (25,42-43) per il-lustrare le omissioni che Gesù leggerà tra le pagine della nostra vita: «Avevo fame e non mi avete dato da mangiare… ero straniero, (ero Ahmed), e non mi avete accolto». Gesù dice che ogni volta che fa-remo un po’ di bene a un fratello piccolo o bisognoso, lo faremo a Lui. Anche se questo fratello sarà un pochino scomo-do e romperà i giocattoli! Adesso Gian Luca è convinto che nella preghiera del Confesso quella parola si possa proprio lasciare.

anna Maria Musso [email protected]

Abolite l’omissione!Alcune domande dei ragazzi sembrano impertinenti, ma fanno riflettere gli adulti. Che talora dimenticano l’importanza delle “omissioni”

Alcune domande dei ragazzi sembrano impertinenti, ma fan-no riflettere gli adulti. Che talora dimenticano l’importanza delle “omissioni”.

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SEGNI & VALORI 21

Segni & Valori

Lo sport per tuttitiziana Nasi, una donna a capo di una federazione in italia. Cosa significa essere la presidente di una realtà così importante come la Federazione ita-liana sport invernali paralimpici? e quali passi in avanti sono stati fatti negli ultimi anni?«Importante. Mi piace questo aggettivo per descrivere una federazione davvero mol-to importante nata al Comitato italiano paralimpico (Cip). Fino al 2002 è esistita una Federazione italiana sport disabili (Fisd) che faceva parte del Coni, poi si è passati al Cip: un ente pari al Coni seppur più piccolo. Negli ultimi due anni, 18 tra gli sport praticati da atleti con disabilità, tra cui per esempio tiro con l’arco, ciclismo tennis, scherma... - sono convogliati nelle federazioni per i normodotati. Mentre sono state create alcune federazioni specifiche all’interno del comitato paralimpico (federazione

Lo sport secondo Tiziana Nasi e Andrea

Valenti. Entrambi hanno una grande

passione per le discipline invernali: lei

presiede la Federazione Italiana Sport

Invernali Paralimpici, lui ha 14 anni e scia

da sei. Li abbiamo incontrati e ci siamo

fatti raccontare quali valori veicola e quali

emozioni suscita lo sport.

Dico sempre che sono atleti normali, ma del tutto nor-mali poi non lo sono. Reagire in maniera positiva a problemi gravi non è cosa da tutti ma alla fine lo sport aiuta moltis-simo.

fotografie di Renzo Bussio

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22 LUGLIO-AGOSTO 2012

Segni & valori

sport disabilità intellettiva, atletica leggera e sport promozionali, sport specifici per atleti ciechi e ipovedenti, nuoto, basket in carrozzina e sport invernali paralimpici). Ad oggi, solo la Fisip conta circa 600 at-leti tesserati con una trentina di società situate tra l’arco alpino e Appennini fino alla Sicilia».

Quando è nata l’idea e quindi l’occa-sione di occuparsi degli sport per di-sabili?«Io nasco con la passione per la monta-gna: mio padre Giovanni fu presidente della Federazione invernale normodota-ti per quattro anni, era la fine degli anni ‘40. Personalmente, dopo l’esperienza a inizio anni ‘90 quando ho organizzato a Sestriere i campionati italiani sci alpino disabili, un altro anno importante è stato il 1997. Il comitato paralimpico regionale, allora Fisd, era commissariato: diciamo sempre che i nostri atleti sono come gli altri e vale lo stesso, ahimè, se pur ra-ramente per fortuna, anche per i nostri dirigenti. A quell’epoca Paola Magliola, una signora di Biella mi aveva individuato come persona adatta a prendere in mano la sezione piemontese. Dal 1997 fino ad anno e mezzo fa, Tiziana Nasi è stata pre-sidente del comitato regionale del Cip (ex Fisd); dal 1982 fino al 2006, si è occupata della Sestriere Spa (società che gestisce gli impianti di risalita e le piste) e dello Sporting club Sestriere (organizzazione eventi sportivi), infine è stata presiden-te del comitato organizzatore dei Giochi paralimpici di Torino 2006.

Come si conoscono e come si com-battono i muri basati su ignoranza e stereotipi?«Purtroppo ci sono ancora persone che non sanno che i disabili possono fare sport. Quando è nato il comitato, consi-deravano le paralimpiadi come “quell’al-tro evento comunque da fare”, i “brutti anatroccoli”, poi - a partire dal Toroc - hanno imparato a conoscerci e ad amar-

ci. La frase classica nel primo approccio con l’atleta disabile è “che coraggio” poi si rimane stupiti dai risultati e il muro scom-pare. Anzi, i muri sono addirittura meno, molti atleti normodotati se la tirano mol-to di più».

Quali sono i valori e le competenze necessarie nello sport disabili?«È la stessa cosa: gare, allenamenti, corsi è tutto uguale. Anzi. I preparatori devono dimostrare professionalità e concretezza; direi che gli accorgimenti, soprattutto per il settore degli sport praticati da seduti (sitting) sono maggiori nelle nostre di-scipline. Posso dire che in Italia, dopo il 2006, sono cambiate le cose. In meglio».

Uno sport per i giovani! Un ultimo messaggio da lanciare a chi si vuole avvicinare allo sport?«L’età media degli atleti, anche tra i nor-modotati si sta alzando: è molto più lun-ga rispetto ad una volta, e vale ancora di più per noi; nel 50-60% dei casi, i nostri atleti si avvicinano alle discipline in se-guito a un incidente; dopo il trauma è necessaria una riabilitazione fisica e psi-cologica. Il messaggio che voglio lanciare è che se ne parli di più. In questo può far molto l’esempio degli atleti che ammetto-no di fare sport perché piace, diverte: un approccio positivo che contagia».

Lo staff della Federaziona Italia-na Sport Invernali Paralimpici (Fisip).

Tutte le signore per bene di Torino mi di-cono “che brava che sei”, io dico sempli-cemente che è una cosa bellissima e molto allegra: vor-remmo che la disa-bilità non esistesse, ma dato che è ine-vitabile ...tanto vale vederla dal punto di vista positivo.

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Il profeta Baruc ci regala due ver-setti bellissimi: «Le stelle han-

no brillato nei loro posti di guardia e hanno gioito; egli le ha chiamate ed hanno risposto: “Eccoci!”, e hanno bril-lato di gioia per colui che le ha create». (Bar 3,34). Senso di stupore e di mera-viglia del profeta davanti all’immenso e stupefacente spettacolo di un cielo stel-lato, che lo fa cadere in ginocchio davanti a tanta eccedenza, grandezza e bellezza dell’Universo e del suo Creatore. Tutto canta la gloria di Dio, il firmamento poi (dopo l’uomo) è il suo capolavoro. Anche le stelle del cielo sono un invito a gioire e lodare il Creatore di tutto.Siamo quindi esortati anche noi, special-mente nei giorni di vacanze, a lasciarci di nuovo incantare da tutte queste meravi-glie del Creato, da quei miracoli quoti-diani che accadono e ai quali non ci ba-diamo più. Bisogna attuare quello che gli psicologi chiamano il “processo di de automatizzazione”. Che significa? «Da adulti diventiamo automatizzati davan-ti alla bellezza delle forme, dei colori e dei profumi attorno a noi (in genere non succede ai bambini) e perdiamo il senso del piacere e della preziosità della vita» (Matthew Fox, 2011). Nella nostra fretta e nel nostro attivismo quotidiano diamo sempre tutto per scontato e non ci ba-diamo. Troppe distrazioni, troppo rumore circonda l’uomo moderno, ciascuno di noi, anche in vacanza. E così diventa dif-ficile la contemplazione e la lode a Dio. È saggio quindi recuperare un maggior autocontrollo ed una visione profonda delle cose. Ne abbiamo estremo bisogno per dare più consistenza e serietà alla no-stra vita quotidiana e per trovare così un supplemento di “salvezza”. Ha scritto A. J. Heschel: «Questa dunque è la salvezza: che ci stupiamo di fronte alla bellezza del

Giorni di stupore e di lodecreato e lodiamo il suo bellissimo Creato-re». Fare lo sforzo di vedere il tutto con gli occhi di Francesco d’Assisi, dal cui cuore sgorgò il Cantico delle Creature: per lui ogni singola creatura poteva e doveva lodare Dio: «Frate sole, sora Luna e le stelle, frate Vento, sora Aqua, la quale è multo utile…». Egli percepiva la presenza di Dio in tutto. Guardare con gli occhi di Francesco, non con quelli di Cartesio per il quale la natura era un semplice mec-canismo, un ‘oggetto’ del pensiero, non interessante come l’io pensante. L’acqua non è solo H20, ma può essere vista e contemplata come una creatura buona e bella, attraverso cui lodare il suo buo-nissimo Creatore.Nelle vacanze sviluppiamo quindi il sen-so della lode e della gratitudine per tanta meraviglia e bellezza donataci dal «Padre che è in cielo, che nutre gli uccelli che vi-vono in libertà e veste i fiori dei campi» (Mt 6,26). Facendo così daremo al nostro rapporto con Dio, cioè alla nostra spiri-tualità, un autentico respiro cristologico e cosmico insieme. Stupore, lode e rin-graziamento a Lui in Cristo Gesù che «è prima di tutte le cose e tiene insieme tutto l’universo» (Col 1,17).

Mario [email protected]

Poster

«Io benedico Dio nel mio cuo-re e continuamente per ogni cosa terrena. Nella nobiltà del-le creature e nella loro utilità io amerò Dio e non me stessa» (S. Matilde di Magdeburgo).

«La bellezza è tutt’attorno a noi, ma quanti sono ciechi. La gente non gioisce delle cose semplici, silenziose e naturali della vita» (Pablo Casals, musico).

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RIVISTA mARIA AUSILIATRIcE N. 4-2012

A te, Signore, innalzerò il mio pensiero:

apri gli occhi miei

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A te, Signore, innalzerò il mio pensiero:

apri gli occhi miei allo splendore

del bene

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O Grande SpiritO

Tua è la voce che odo nel ventoTuo è il soffio che dà vita a tutto il mondo.Io sono piccolo e debole:la tua forza e saggezza mi sostengono.Fammi camminare nel belloE i miei occhi vedano il tramonto color por-pora.Fa’ che le mie mani rispettino le cose che hai creato.Fa’ le mie orecchie acute per sentire la tua voce.Dammi la sapienza per comprendere i tuoi insegnamenti.Fammi conoscere i segretiche tu hai nascosto nell’erba e nella roccia.Dammi forza per non superare il mio fra-telloma per combattere il mio peggior nemico: me stesso.Fammi sempre pronto a venire da tecon le mani pure e gli occhi giusti.Così quando la mia vita sfumerà come il sole al tramonto,il mio spirito potrà giungere a te senza vergogna.

(Preghiera dei Pellerossa Chippewa)

LOdateLO cieLi, SOLe e Luna

Grande è il nostro Dio e grande la sua potenzaE la sua sapienza infinita.Lodatelo cieli, sole luna e pianeticon la lingua che vi è dataper lodare il vostro Creatore.E anche tu, anima mia, canta l’onore del Signore!Da lui, per lui e in lui sono tutte le cose:quelle ancora ignote e quelle già note.A lui lode, onore e gloria di eternità in eternità.Ti rendo grazie, Creatore e Signore,di avermi dato la gioiadi contemplare la tua creazione,di ammirare l’opera delle tue mani.Cercherò di annunciare agli uominiLo splendore delle tue operenella misura in cui lo spirito finitopuò cogliere l’infinito.

Giovanni Keplero (astronomo tedesco, 1571-1630)

tuO è iL GiOrnO, O diO

La tua parola, o Signore, sia in noi,come stilla di rugiada sull’erba.Sorgiamo col sole alla tua benedizione, o Dio;nel nascere della luce adoriamo con l’anima lieta.Tuo è il giorno, o Dio, tua è la notte.Tu hai creato l’aurora ed il sole,l’estate e l’inverno.Ti lodano il cielo e la terra,il mare e tutti i viventi che sono in essi.A te, Signore, innalzerò il mio pensiero:apri gli occhi miei allo splendore del bene.

(Niccolò Tommaseo, poeta e scrittore italiano 1802-1874)

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SEGNI & VALORI 23

Segni & Valori

andrea valenti, sei un promettente atleta di 14 anni, quando è nata la tua passione per lo sci?«Ho iniziato a sciare molto presto con la Freewhite di Gianfranco Martin di Sestrie-re. La passione per lo sci è di famiglia: con mamma e papà sono sempre anda-to in montagna per divertirmi, poi sono iniziate le gare, e il divertimento è au-mentato. Inizialmente non pensavo che questo sport diventasse così importante nella mia vita».

e invece... Quanti allenamenti fai e come riesci a conciliare studio e sport?«Nei primi tempi mi allenavo principal-mente il sabato e la domenica, ultima-mente l’impegno è aumentato e ho dovu-to anche fare qualche assenza da scuola. Tra i professori qualcuno non ha appro-vato subito, poi, parlando e spiegando l’importanza che lo sport ha per me le cose sono migliorate e hanno iniziato ad aiutarmi. Ho frequentato le medie all’E-

doardo Agnelli e adesso frequento il Li-ceo Madre Mazzarello: un’ottima scuola. Da quest’anno vado in palestra due volte a settimana e mi alleno nei fine settimana. I periodi più impegnativi sono in vista di una gara quando devo partire anche 2-3 giorni prima e a volte lo studio diventa difficile. Quest’anno ho cominciato a fare le prime gare fuori, ad esempio in Svizze-ra, Francia, il Gigante, lo Slalom…».

Cosa provi quando scii e quali obiet-tivi ti poni per la prossima stagione?«Provo una grande soddisfazione; prima di fare sport credevo di non poter fare niente con la mia disabilità poi grazie a Tiziana, Mariangela e Giorgio mi sono lanciato, provando sensazioni mai pro-vate prima. La prima discesa è stata la più emozionante e da lì in avanti non ho mai voluto smettere. Senza sci a volte non saprei proprio cosa fare… Nella prossi-ma stagione sono previste molte gare e durante l’anno è indispensabile tenersi in forma andando in palestra e sciando anche d’estate sul ghiacciaio...».

Qual è il tuo sogno nel cassetto, se ce lo vuoi dire?«Il sogno? Senza dubbio i Giochi Paralim-pici di Sochi nel 2014».

emanuele [email protected]

Andrea Valenti (in alto) e Tiziana Nasi, con la fiaccola dei Giochi Paralimpici di Torino 2006 (a fianco).

Senza sci non so cosa fare, sto meglio nel periodo inverna-le ma per fortuna da un paio di anni riesco a sciare anche d’estate con i ritiri dello Sci alpino Ita-liano, ad esempio allo Stelvio.

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24 LUGLIO-AGOSTO 2012

Chiesa viva

Alcune date della Chiesa hanno una forte eloquenza: sono come pietre

miliari che segnano il cammino della fede nel mondo. Nel caso nostro, si tratta del giorno 11 ottobre, in cui cadono sia avve-nimenti passati da ricordare che appun-tamenti da non mancare. Ci prepariamo già da oggi.

l’11 ottobre, è accadUto e accadrà 11 ottobre 1962: cinquant’anni fa Gio-

vanni XXIII apriva il Concilio Ecumenico Vaticano II. I testi lasciati a noi in eredità dai padri conciliari conservano oggi tutto il loro valore, ma si tratta di riscoprirli, e di assimilarne tutta la ricchezza. 11 ottobre 1992: Giovanni Paolo II pro-

mulgava il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica. Come si sa, «Il catechismo è un libro mirabile, che contiene le più grandi risposte alle più grandi domande» (Pio XI). Ha «lo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede». L’attuale è «uno dei frutti più importanti del Vatica-no II», e risulta anche oggi «un vero stru-mento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani». 11 ottobre 2011: papa Benedetto XVI

con il Motu proprio Porta fidei ha in-detto l’Anno della fede. Questo «anno di grazia», tutto da vivere, avrà inizio a cin-quant’anni esatti dall’apertura del Con-cilio, e terminerà il 24 novembre 2013, solennità di Cristo re dell’universo.

L’autunno caldo della fedeUn ottobre 2012 bollente attende i cristiani: in quei giorni la Chiesa ricorda il 50° del Vaticano II e i 20 anni del Nuovo Catechismo, celebra il Sinodo dei vescovi sulla Nuova Evangelizzazione e dà inizio all’Anno della fede 2012-2013. Tutti siamo chiamati dal Papa a fare memoria, al rinnovamento interiore e a una testimonianza sempre più credibile.

Dal 7 al 28 ottobre 2012 si svolgerà a Roma il Sinodo dei vescovi, sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmis-sione della fede cristiana”. Evento da se-guire con attenzione, perché ne scaturi-ranno gli orientamenti per la futura pre-senza della Chiesa nel mondo. 11 ottobre 2012: Benedetto XVI aprirà

l’Anno della fede, da lui pensato come im-portante «momento di grazia e di impe-gno» per tutti i cristiani. E ha già indicato gli obiettivi su cui puntare, e il modo di impegnarsi per realizzarli.

gli obiettivi sU cUi pUntareAi cristiani che intendono impegnarsi a vivere in profondità l’anno della fede, papa Benedetto ha indicato tre obiettivi,

Dal Sinodo dei Vescovi del prossimo ottobre gli orientamenti che segneranno il cammino della Chiesa nei prossimi anni. Tra i primi obiettivi l’anno della fede.

© Canção Nova / Flickr

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cHIESA VIVA 25

che risultano in progressione e comple-mentari tra loro. Essi sono: «impegno per una più piena conversione a Dio, per raf-forzare la fede in Cristo, e per annunciar-lo con gioia all’uomo del nostro tempo».A prima vista questi obiettivi proposti dal Papa al cristiano possono sembrare da sempre, ma ora andranno riconsiderati e perseguiti secondo modalità nuove, per-ché l’umanità sta vivendo un momento di profondi cambiamenti.Una situazione nuova, ricorda il Papa. «Nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamen-te accolto nel suo richiamo ai contenuti dalla fede e ai suoi valori…». Invece «oggi non sembra più così in grandi settori del-la società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone».

in concreto, che fare?Il Papa ha avanzato proposte precise.

Il punto di partenza per lui resta an-cora e sempre «un’autentica conversione al Signore», dal momento che «la Chiesa comprende nel suo seno peccatori, ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione». Il cristiano è un uomo che deve convertirsi ogni giorno.

Come suggerimento centrale il Papa raccomanda di «intensificare la celebra-zione della fede nell’Eucaristia». E spie-ga: «perché nell’Eucaristia - mistero della fede, sorgente della nuova evangelizza-zione - la fede della Chiesa viene procla-mata, celebrata e fortificata». In sostanza, «dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e nutrirci del Pane del-la vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli».

Santa Teresa di Lisieux, che aveva capi-to, diceva con garbato umorismo: «Se la gente conoscesse il valore dell’Eucaristia, l’accesso alle chiese dovrebbe essere re-golato dalla forza pubblica»…

Agli operatori pastorali il Papa suggeri-

sce la lettura e approfondimento dei testi del Concilio: «Se leggiamo e recepiamo il Concilio guidati da una giusta ermeneu-tica, esso può essere e diventare sempre più una grande forza per il sempre ne-cessario rinnovamento della Chiesa». Infine Benedetto XVI invita a «raffor-

zare la testimonianza dell’amore cristia-no», dato che «fede e carità si esigono a vicenda». Perciò insiste sul valore della «testimonianza offerta dalla vita dei cre-denti: con la loro stessa esistenza i cri-stiani sono chiamati a far risplendere nel mondo la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato».Di fatto non basta essere credenti, bi-sogna anche essere credibili. Il Papa si aspetta che «tutti i i membri della Chiesa siano testimoni credibili e gioiosi del Si-gnore risorto, capaci di indicare alle tante persone in ricerca, la porta della fede».

Perciò il prossimo autunno, sarà autunno caldo. Quale volto avrà la nuova fase di vita, che si apre per i cristiani dallo sto-rico ottobre 2012? Dipenderà da loro. È stato detto: «È vero che il futuro noi uo-mini non lo possiamo leggere, però lo possiamo scrivere».

enzo [email protected]

L’icona della Trinità di Rublev, un richiamo alla centralità dell’amore che lega Gesù, il Padre e lo Spirito e che si effonde sulla Chiesa e anima la testimonianza cristiana.

Nell’Eucaristia il cuore e la forza dell’annuncio. Nel Pane la sorgente a cui attingere per essere testimoni autentici e credibili.

© Canção Nova / Flickr

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26 LUGLIO-AGOSTO 2012

Don Bosco oggi

Che Don Bosco fosse un grande co-municatore e che fosse preoccupato

soprattutto di farsi capire dal “popolo”, dalla gente semplice, è risaputo. Già solo il fatto che leggesse le sue omelie a mam-ma Margherita prima di pronunciarle - e se sua madre gli faceva intendere di non seguire il filo del discorso, le riscriveva - la dice lunga su come ritenesse fon-damentale che il messaggio evangelico fosse ben compreso specialmente dalla povera gente.Da questa sua intuizione, dalla premura che le buone letture, ovvero la “buona stampa” - come si diceva all’epoca di Don Bosco - sia religiosa che di intrattenimen-to culturale - si diffondessero tra la gente comune perché facessero “opinione” in un tempo di feroce anticlericalismo è nata l’idea di mettere in piedi la celeberrima ti-pografia salesiana di cui nei mesi scorsi si sono celebrati a Torino i 150 anni di vita.Ma c’era un altro scopo che spinse Don Bosco a “intestardirsi” sulla tipografia, pur non disponendo dei mezzi economici per lanciarsi in una simile impresa: quello di avviare i giovani ad un mestiere, quello di tipografo e legatore, con cui guadagnarsi onestamente da vivere.

sUpporter, cafasso e rosminiQuello che oggi - a fianco della Basilica di Maria Ausiliatrice - è un centro editoriale all’avanguardia e attrezzato con le ultime tecnologie digitali per la stampa è la rea-

lizzazione di uno dei sogni di Don Bosco: del suo desiderio di creare «l’impianto di laboratori e di una stamperia» ne par-lò al suo concittadino e confessore don Giuseppe Cafasso nel 1851. Anche a don Antonio Rosmini il nostro Santo chiese aiuto per poter dare vita al suo progetto. Il filosofo roveretano lo incoraggiò, pro-mettendogli anche un sostegno econo-mico ma la morte lo colse nel 1855 prima di poter mantenere la sua promessa. In-tanto Don Bosco, sebbene privo di mezzi, metteva le fondamenta per la tipografia. Come si legge nelle “Memorie biografi-che” (Volume 5, pagg. 34-35) era il 1854 quando un giorno portò ai suoi alunni alcuni fogli stampati di un libro intitola-to gli Angeli Custodi. Si sedette al tavolo con loro e iniziò a piegarli, poi chiese a sua mamma di cucirli: così nacque il pri-mo laboratorio di legatoria e prese il via l’avventura di quella che oggi è la Scuola

Grafica Salesiana in via Ma-ria Ausiliatrice 36. Finalmente il 31 dicembre 1861 il nostro ottenne dal Prefetto di Torino la licenza di aprire la tipografia dell’Oratorio San Francesco di Sales, con direttore il cav. Ore-glia di Santo Stefano ed edito-re il sac. Bosco Giovanni, come si legge nei documenti origi-nali esposti nella mostra alle-stita lo scorso aprile per rie- vocare i 150 della tipografia.

«Ho un sogno: dieci tipografie»Dal primo volume cucito da mamma Margheria alla stampa digitale: da 150 anni la tipografia salesiana ha cavalcato con sussesso i cambiamenti di un settore in continua evoluzione.

Per Don Bosco, la tipografia era (e continua ad essere) un’oppor-tunità per insegnare ai giovani un mestiere, con cui guadagnar-si onestamente da vivere. Nella foto: il reparto legatoria nell’an-no 1930.

© Archivio SGS

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vedrete, saremo famosi!«Di lì in poi non ci siamo più fermati - spiega l’attuale direttore della tipografia Luigi Bacchin, salesiano coadiutore, me-moria storica della tipografia in cui lavora da 57 anni - all’inizio, in uno stanzone ricavato al pianterreno sotto le finestre della sua camera, Don Bosco collocò due macchine per la stampa a ruota e un torchio. E ai suoi giovani preoccupa-ti per la precarietà di quelle attrezzature prometteva «Avremo una, due tipografie, dieci tipografie. Vedrete!». E così avvenne, tanto che la tipografia salesiana col pas-sare degli anni impensierì alcuni tipografi privati tanto da presentare al Governo nel 1872 una petizione per far abolire tutte le tipografie «aventi scopo e carattere di beneficenza». Ma Don Bosco non si fece intimidire e andò avanti per la sua strada ingrandendo i locali (con la fonderia dei caratteri, la stereotipia e la calcografia) e acquistando nuovi macchinari (4 torchi, 12 macchine per la stampa prima a va-pore e poi ad elettricità) man mano che la fama della tipografia si diffondeva così da competere con quelle più conosciu-te di Torino. Nell’esposizione nazionale del 1884 in una lunga galleria dedicata a “Don Bosco: fabbrica di carta, tipografia, fonderia, legatoria e libreria salesiana” i visitatori potevano seguire in tempo reale tutto il processo del libro a cura degli al-lievi della Scuola Grafica: dalla fabbrica-zione della carta alla composizione delle pagine con i caratteri mobili, dalla stampa alla piegatura e alla rilegatura del volume. E su impulso dei premi e dei riconosci-menti che la tipografia di Don Bosco rice-vette da tutt’Europa, nacquero tipografie in tante altre Opere Salesiane.

la sfida del digitaleOggi, a 150 anni dall’inaugurazione, la Comunità Salesiana San Francesco di Sa-les di Torino Valdocco, che gestisce l’a-zienda grafica e il Centro di Formazione Professionale grafico, proprio per tener

fede a ciò che di sé diceva il fondatore «In queste cose Don Bosco vuole essere all’avanguardia del progresso» ricorda il passato glorioso di quest’opera guardan-do al futuro con il coraggio e l’ardire del nostro Santo. «Ho iniziato a lavorare a 19 anni come legatore alla tipografia di Colle Don Bosco - prosegue Luigi Bacchin - e in questi anni ho visto molti cambiamenti e generazioni di giovani passare in que-sti stanzoni, gli stessi calpestati da Don Bosco. La rivoluzione nel settore edito-riale che stiamo vivendo è paragonabile al passaggio dei libri copiati dagli ama-nuensi alla stampa di Gutenberg. Assi-stiamo a una crisi globale del prodotto stampato, la lettura sui libri viene sop-piantata da quella nei vari supporti digi-tali. Penso spesso a Don Bosco e a tutte le difficoltà che ha avuto per realizzare il sogno della tipografia e a noi tocca in-ventare nuove strade per non tradire i due obiettivi del fondatore: diffondere le buone letture e insegnare un mestiere ai giovani».E allora come fronteggiare questa nuo-va crisi? «Intanto continuando a rimane-re aggiornati per fare al meglio il nostro lavoro che deve essere di qualità - con-clude il direttore -. E poi affidandoci alla Provvidenza. Mi capita spesso, soprattut-to quando le commesse scarseggiano di andare all’urna di Don Bosco e di pregare perché ci ispiri qualcuna delle sue idee illuminanti…».

Marina [email protected]

15 0 anni della TiPOGRaFia SaleSianafondata da San Giovanni Bosco 1862-2012

Oratorio Salesiano San Francesco di SalesScuola Grafica Salesiana - Torino

scUola grafica salesiana - torinovia Maria Ausiliatrice 3610152 Torinotel. [email protected]

Un’immagine del reparto stampa negli anni Cinquanta. Da decen-ni, torchi e linotype sono stati so-stituiti da computer e stampanti laser.

© Archivio SGS

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28 LUGLIO-AGOSTO 2012

Don Bosco oggi

Negli anni 1844-1846 Don Bosco get-ta le fondamenta del suo oratorio. Si

stacca definitivamente dagli ambienti del Convitto e, affrontando difficoltà di ogni genere, comincia ad operare in modo au-tonomo nel campo educativo giovanile. Le due stanze ed il prato annesso all’O-spedaletto, messi a sua disposizione dal-la marchesa Barolo, segnano il punto di partenza per la realizzazione del sogno dei nove anni. Per la prima volta il giova-ne sacerdote non deve dipendere da altri. Nelle due stanze ci si raduna, si prega, ci si confessa, ci si incontra, si fa catechesi e scuola. Lì, l’8 dicembre 1844, per la prima volta, l’oratorio acquista il nome di “Ora-torio di San Francesco di Sales”. Il motivo? Lo racconta Don Bosco stesso: «Perché la marchesa Barolo aveva fatto eseguire il dipinto di questo Santo nell’entrata del locale. E perché questo nostro ministero esigeva grande calma e dolcezza: ci era-vamo messi sotto la protezione di San Francesco di Sales, perché ci ottenesse la sua straordinaria mansuetudine».

prime difficoltàLa calma e la mansuetudine, però, non sono sufficienti per rispondere alle ne-cessità dei ragazzi. Esse permeano la re-lazione educativa salesiana, ma devono essere supportate dalla ricerca di stru-menti e di sostegni materiali per aiutare la loro crescita umana e cristiana. Per far fronte alle esigenze dei giovani bisogna dare loro affetto, ma anche libri, abiti,

Don Bosco: i difficili inizi dell’OratorioDalle prime stanze messe a disposizione dalla marchesa Barolo, alla ricerca di una sede adatta ai suoi ragazzi, sino alla tettoia di casa Pinardi, la “terra promessa”.

strumenti di gioco. Ci vogliono soldi, che non ci sono. Don Bosco ne soffre. La sua natura ri-servata lo blocca. Si ver-gogna di dover chiedere l’elemosina. Per fortuna, l’amico don Borel in-terviene con decisione: «Se vuoi bene sul serio ai tuoi ragazzi, devi an-che fare questo sacrifi-cio vincendo tutte le tue ritrosie». Così, facendo-si violenza, pieno di ver-gogna, Don Bosco per la prima volta bussa alla porta della casa signo-rile del signor Gonella ottenendo le prime 300

lire per i suoi ragazzi. Da quel momen-to la ricerca di aiuti diventerà un impe-gno quotidiano. L’attività di Don Bosco decolla. I ragazzi aumentano di numero. Sono giovani, esuberanti e, qualche volta, un po’ discoli. Questo, con il passare dei giorni, innervosisce la Marchesa, le cui suore sono sempre più preoccupate per l’eccessiva “contiguità” tra i giovani e le ragazze di cui si prendono cura.

inizia l’esodoDon Bosco capisce. Comincia a cercare una nuova sistemazione. Ma non è faci-le. I ragazzi arrivano da ogni dove. Molti sono dei giovanotti di 18-20 anni. Sono

Fu Pancrazio Soave a mostrare a Don Bosco la tettoia Pinardi, quello spazio tanto desiderato per dare ai giovani un oratorio.

© foto archivio RMA

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pieni di voglia di vivere e suggestionabili dalla magmatica situazione politica, che presto sfocerà nei moti del 1848. Il clero guarda con invidia e sospetto al succes-so di Don Bosco. Anche le autorità ci-vili sono preoccupate. È difficile trovare luoghi e persone adatte ad ospitare ed aiutare il nascente oratorio.Comincia un esodo che durerà mesi. Le tappe sono: San Pietro in Vincoli, i Mo-lassi, casa Moretta con il prato Filippi. Fi-nalmente, il 5 aprile 1846 scopre la tet-toia di casa Pinardi. È la Terra Promessa. Durante il periodo del suo esodo Don Bosco non soltanto fa esperienza di in-vidie, incomprensioni e falsità, ma anche incontra e conosce persone che non lo abbandoneranno più. Le peggiori soffe-renze gliele procurano i confratelli pre-ti. Si sa che la gelosia e l’invidia clericale hanno sempre effetti devastanti, ingene-rando dubbi sulla salute mentale, sulla correttezza, sull’ortodossia delle perso-ne prese a bersaglio. Per fortuna questi preti, relativamente pochi, non riescono a scalfire la fiducia dell’Arcivescovo nei confronti della nascente attività pastorale. Durante la tappa dell’oratorio ai Molas-si Don Bosco incontra un ragazzino che diventerà il suo principale collaboratore, nonché primo successore: Michele Rua.Pur nella precarietà della situazione logi-stica Don Bosco, sin dall’inizio, riesce a modellare in modo originale la sua na-scente creatura educativa. Non inventa nulla. Si ispira all’opera degli oratori mila-nesi, alla originale esperienza di San Filip-po Neri a Roma e alla testimonianza data in Torino da don Cocchi. Non si limita a riproporre, ma con la sua prorompente personalità rende la sua passione educa-tiva unica ed originale. Per lui l’oratorio è autonomo dalle parrocchie, anzi, per dirla con le parole dell’arcivescovo Fran-zoni, è «la parrocchia dei giovani senza parrocchia». La sua presenza in mezzo a loro non è “seriosa” e “compassata”, secondo le abi-tudini del clero del tempo. Cerca la rela-

zione personale. Non si limita ad atten-dere i giovani, li va a cercare, li coinvolge in un rapporto di vita ricco di gioia, di allegria, di divertimento, di proposte reli-giose ed umane. Il suo stare con loro non è di tipo autoritario, ma sono loro a cer-carlo. Nessuno si sente escluso o discri-minato. Non richiede attestati di buona condotta, ma privilegia, con una attenzio-ne tutta particolare, coloro che sono più “abbandonati e pericolanti”. Non si limita a fare semplice catechismo. Partendo da una seria educazione alla fede, li accom-pagna nella realizzazione concreta di un solido progetto di crescita umana. I gio-vani capiscono e, nella stragrande mag-gioranza, lo seguono, rendendo possibile la realizzazione del sogno dei nove anni che, proprio a partire da Valdocco, muo-ve i primi passi di quel lungo cammino che arriva fino a noi.

ermete tessore [email protected]

L’affresco nella attuale cappella Pinardi che richiama le origini dell’opera di Don Bosco, di quell’affidamento alla Provvidenza che si servì di una semplice tettoia...

© foto Mario Notario

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30 LUGLIO-AGOSTO 2012

Don Bosco oggi

La partecipazione al VII Incontro mondiale delle famiglie ci ha visti presenti come ADMA sia al congresso, sia con uno stand espositivo, sia alla “festa delle testi-

monianze” che alla Messa solenne con il Papa, volendo così concretizzare il nostro impegno di rinnovamento dell’ADMA attraverso l’attenzione e l’accompagnamento delle famiglie nel loro cammino umano e cristiano. L’Incontro Mondiale delle Fa-miglie ha costituito un’occasione privilegiata per ripensare il lavoro e la festa nella prospettiva di una famiglia unita e aperta alla vita, ben inserita nella società e nella Chiesa, attenta alla qualità delle relazioni oltre che all’economia dello stesso nucleo familiare. In un contesto di emergenza educativa e di apostasia dalla fede è strategica una particolare attenzione alla situazione attuale della famiglia, soggetto originario dell’educazione e primo luogo dell’evangelizzazione. Tutta la Chiesa ha preso co-scienza delle gravi difficoltà nelle quali essa si trova e avverte la necessità di offrire aiuti straordinari per la sua formazione, il suo sviluppo e l’esercizio responsabile del suo compito educativo. Per questo anche noi dell’ADMA, guidati da Maria Ausilia-trice, ci impegniamo a rinnovare la nostra Associazione con un’attenzione speciale alla pastorale familiare.

pierluigi Cameroni, Animatore [email protected]

Maria rinnova le famiglie

rakovnik-ljUbljana 1 (slovenia) - 110 anni adma.Il 12 febbraio 1902 i salesiani avevano già costituito il primo gruppo dell’ ADMA della Slovenia, aggregato all’ADMA Pri-maria con il numero di registro n. 52. Nel 1945, con l’avvento del comunismo, il gruppo finì, per rinascere nel 1994. Oggi la Slovenia conta 5 gruppi ADMA con 238 soci e una decina di aspiranti.

adma torino 2 esercizi spiritUaliDal 14 al 16 marzo 2012 a Mornese, luo-go natale di S. Maria Domenica Mazza-rello, si sono svolti gli esercizi spirituali con una trentina di soci dell’ADMA Pri-maria e di Torino. Contemplando Don Bosco nella luce del Buon Pastore ci sia-mo sentiti rinnovati nel nostro cammino di fede in Dio e nell’impegno ad essere attenti all’educazione dei giovani.

corato (ba) 3 secondo convegno dei grUppi adma della pUglia e della basilicataPresso il bellissimo Santuario della Ma-donna delle Grazie di Corato il 15 Apri-le 2012 si è svolto il secondo Convegno dell’ADMA della Puglia e della Basilicata, con la presenza di duecento associati in rappresentanza delle ADMA di Bari, Brin-disi, Cerignola, Lecce, Manduria, Martina Franca, Molfetta e Potenza. Il tema del-la giornata, “incamminati nel Triennio di preparazione al Bicentenario della na-scita di Don Bosco riviviamo il VI Con-gresso Internazionale di Maria Ausilia-trice a Czestochowa”, è stato presentato da Tullio Lucca, Presidente dell’ADMA Primaria di Torino Valdocco, dalla mo-glie Simonetta Rossi e da Francesca Fida dell’ADMA Giovanile di Torino-Valdocco.

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© Marco Vergnano - Lightime Studio

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bombay india 4 primo incontro nazionale rappresentanti admaIl 24 e 25 marzo si è svolto il primo in-contro nazionale dei delegati dell’Asso-ciazione di Maria Ausiliatrice (ADMA) dell’India. Durante le giornate i vari rap-presentanti della Famiglia Salesiana, co-ordinati da don Maddhichetty Noel, De-legato nazionale della Famiglia Salesiana, hanno preso in considerazione il Rego-lamento, la formazione dei membri e la missione dell’ADMA. L’assemblea ha pro-posto delle linee di azione per la promo-zione dell’ADMA nella regione dell’Asia Sud.

milano 5 giornata di preparazione al vii incontro mondiale delle famiglieDomenica 29 aprile 2012 diversi grup-pi di famiglie dell’ADMA del Piemonte e della Lombardia si sono ritrovate per condividere una giornata di spiritualità e di amicizia in preparazione al grande evento ecclesiale del VII Incontro mon-diale delle famiglie. Don Roberto Carelli ha riletto la realtà della famiglia alla luce dell’icona biblica del buon Pastore. Signi-ficativa la presentazione del Servo di Dio Attilio Giordani (1913-1972), marito e pa-dre, salesiano cooperatore e animatore dell’oratorio, offerta dal figlio Piergiorgio. www.admadonbosco.org

INFO web

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ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

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32 LUGLIO-AGOSTO 2012

Don Bosco oggi

Vivono e lavorano portando avanti la loro missione in quello che oggi è

il crocevia di popoli nel centro di Tori-no, a Porta Palazzo, che circa cento cin-quant’anni fa è stato il punto di partenza dell’anima e dello spirito salesiano. Oggi sono cambiati i volti, ma non quel seme fecondo di solidarietà e fratellanza. Più che di fratellanza sarebbe forse il caso di parlare di “sorellanza” con le donne del mondo, che una piccola comunità dell’I-stituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, porta tenacemente avanti, abitando in un appartamento di condominio.Nel 2006 parte l’idea di coniugare l’im-pegno che animò la giovane Maria Do-menica Mazzarello nell’insegnare il me-stiere di sarta alle giovani del paese in un laboratorio di manualità e valori, con il carisma di donne consacrate che vivo-no con semplicità lo stare in mezzo alla gente. La loro casa è significativamente intitolata a Suor Angela Vallese, la pio-niera della prima spedizione missionaria delle FMA, in un’ottica di “restituzione” di suore dal mondo al continente europeo, e di nuova evangelizzazione.

Dove trae origine la vostra iniziativa?È nata come emanazione del Capitolo Generale XXI del 2002 (assemblea ge-nerale di una rappresentanza di suore nel mondo) e la riflessione sull’essere missio-narie oggi, individuando i bisogni delle grandi metropoli dove si concentrano i rischi del degrado e delle nuove povertà

collegate al fenomeno delle migrazioni. Con la nostra, ne sono nate altre quat-tro nel mondo, ma la nostra è l’unica con questa identità presente in Italia. Siamo arrivate senza un progetto. Un anno di rodaggio senza aver realizzato qualcosa di visibile, se non il fatto di girare e cono-scere la gente del quartiere e di metterci in contatto con le presenze già attive sul territorio per capire cosa si potesse fare rispetto al già esistente. L’idea del “gazebo itinerante” è stata efficace per avvicinare le donne e intervistarle al mercato con questionari multilingua. Un progetto che si è venuto delineando dal bisogno delle destinatarie!

Come funziona?

È una sorta di sportello ambulante - Aperta-mente Cittadine è il nome del pro-getto - sulla possibilità di avere luoghi e tempi di incontro e di laboratorio in cui trovarsi, insieme ad un gruppo di volon-tarie: quattro laboratori rivolti a giovani italiane e straniere (alfabetizzazione, ta-glio e cucito, ricamo e attività manuali va-rie di maglia e uncinetto; periodicamente anche laboratorio artistico). La finalità è quella di “stare” in mezzo alla gente, come sportello d’ascolto informale e presen-za alternativa d’opinione e di offrire alle donne luoghi di incontro e spazi di inte-grazione, in vista di una dignitosa citta-dinanza nell’ottica della prevenzione cara a noi Salesiani.

Sorelle nel cammino dell’integrazione Una presenza missionaria nel cuore della Torino multietnica, in linea con il carisma educativo di Don Bosco e l’intraprendenza solidale di Madre Mazzarello.

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le “ricadUte” sociali e familiari

Quindi svolgete una educazione utile e spendibile per chi arriva qui, magari disorientata dalla lontananza con il paese d’origine?Imparano l’italiano con i nostri labora-tori linguistici, socializzano con le altre donne, imparano cose immediatamente utili per l’economia domestica delle loro famiglie. Qualcuna si è lanciata in qualche attività in proprio, facendone una fonte di reddito. Per chi frequenta da ottobre a giugno, rilasciamo un attestato che certi-fica la raggiunta conoscenza dell’italiano, e questo è comunque gradito dai dato-ri di lavoro. Inoltre, chi vuole può venir inserito nelle classi di adulti per il con-seguimento della licenza media. La no-stra Associazione, la “2PR” (Prevenzione e Promozione), che non è assistenzialista ma dà autonomia, è segnalata con il pas-saparola nelle loro comunità.

Quante donne avete assistito sinora?Negli anni abbiamo accompagnato cir-ca 500 donne ed attualmente ne stiamo seguendo un centinaio di 12 nazionalità,

con l’aiuto di insegnanti artigiane volon-tarie. Ci sono anche momenti di svago e crescita culturale.

vi siete anche imbattute in storie difficili?Purtroppo le storie di povertà non man-cano e siamo venute in contatto anche con donne vittime della tratta o della prostituzione. All’inizio sono state loro ad aprirsi e a confidarsi con noi, e sono entrate subito nei programmi di recupe-ro delle istituzioni preposte e dei servizi sociali.

L’etnia maggiormente presente qui è di fede musulmana. Come hanno reagito gli uomini?Ci hanno viste con cordialità e simpatia perché si sono sentiti accolti con le loro famiglie. Non hanno mai temuto un’inge-renza nei loro costumi e nella loro fede e, anzi, si è aperta un’occasione di confron-to interreligioso e di dialogo.

altri progetti e cose UtiliQuali altre iniziative curate?Abbiamo un progetto che portiamo avanti con le scuole di primo e secondo grado. Abbiamo coinvolto una media di Chieri e un liceo di Torino. I ragazzi pos-sono conoscere e apprezzare le diversi-tà di una umanità colorata verso cui c’è diffidenza spesso ingiustificata, contri-buendo a “sfatare” il mito di Porta Palazzo come luogo pericoloso. Operiamo inol-tre in sinergia con varie istituzioni citta-dine, con il Sermig , l’ASAI, l’Associazione Iroko, Tampep e siamo inserite nei pro-grammi dell’Ufficio Pastorale Migranti. Inoltre una nostra consorella che è stata missionaria in Tunisia e conosce l’arabo, fa da mediatrice e coordinatrice nei cor-si d’italiano presso l’UPM e segue alcuni casi accolti al Centro di accoglienza per immigrati senza permesso di soggiorno.

anna rita [email protected]

Il progetto “Aperta-mente citta-dine”, coordinato dalle FMA, offre a donne immigrate luoghi e tem-pi di incontro dove trovarsi tutte insieme con volontarie per labo-ratori, momenti di formazione, svago, crescita culturale, dialogo, confronto interreligioso.

copy Associazione 2PR

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34 LUGLIO-AGOSTO 2012

Don Bosco oggi

Ne aveva percorsa di strada la gio-vane Maria Troncatti, nel 1900, da

Corteno (Brescia) a Rosignano Monfer-rato (Alessandria), per consacrarsi a Dio come Figlia di Maria Ausiliatrice. Inizia-ta la professione religiosa come cuoca, poi trasferita a Varazze (Savona), avrebbe imparato la pratica infermieristica, grazie alla quale nel 1922 sarebbe diventata il “medico della selva” nelle missioni sale-siane di Macas e Sucua (Ecuador).Nella foresta equatoriale avrebbe trascor-so il resto della vita (quasi mezzo secolo), contrastando, con la preghiera e la pro-fessione di infermiera, la magia nera degli stregoni e convertendo al cristianesimo

la popolazione indigena shuar. A ridosso dell’Equatore imparò a cavalcare, a gua-dare fiumi, ad affrontare le mille insidie della selva impenetrabile. Come accadde il giorno in cui fu assalita da un serpente che le si avvinghiò alle gambe, paraliz-zandone i movimenti. Contro la stretta mortale, la suora sfoderò la sua unica arma: il rosario. Dopo tante Ave Maria, il rettile si srotolò dal suo corpo, sparendo nell’intrico della selva.Il 25 agosto 1969, a ottantasei anni, suor Maria si concesse il lusso di un viaggio aereo per raggiungere Quito, capitale dell’Ecuador, dove avrebbe partecipato a un turno di Esercizi Spirituali, sua uni-ca vacanza annuale. Partito dal piccolo aeroporto di Macas, una pista nella fo-resta, l’aereo su cui volava si schiantò, poco dopo il decollo. La popolazione shuar, accorsa in massa ai funerali del-la “Madrecita”, la pianse come si piange una mamma e come di una mamma ne venera il ricordo, in attesa della sua be-atificazione.Come tutte le salesiane degli inizi, nella sua attività di cuoca suor Maria aveva imparato l’arte di utilizzare tutti gli avanzi di cibo, cosa che sicuramente aveva fatto anche Mamma Margherita, che possia-mo immaginare esperta nel riciclare gli avanzi di pane, per il piatto contadino della Panada. Ecco la ricetta: abbrusto-lire 200 g di pane raffermo a pezzi, sof-fregarli con l’aglio e coprirli con 2 litri di brodo (o acqua). Portare a ebollizione e cuocere, rimestando, sino a che il pane sarà ridotto in poltiglia. Condire con un filo d’olio e, volendo, prezzemolo tritato.

anna Maria Musso [email protected]

Un piatto antico: la “Panada”

Anche suor Maria Troncatti, pri-ma cuoca poi «medico della sel-va» nelle missioni salesiane di Macas e Sucua (Ecuador), come mamma Margherita sapeva re-cuperare sapientemente i cibi avanzati: dal pane raffermo ecco la gustosa “panada”.

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ESpERIENzE 35

Esperienze

Non giudicate dalle apparenze. Sono disoccupata. Ho due figli piccoli.

Mio marito ha partita Iva e il commer-cialista ride quando vede il totale annuo delle sue fatture. Siamo una famiglia in difficoltà. Come tante. Forse troppe, in questo periodo. I nostri amici e anche molti nostri fami-gliari non sanno quanto siamo in diffi-coltà, a livello economico. È una cosa che non hai voglia di raccontare: riservatez-za, pudore, vergogna… Conosciamo al-tre famiglie che vivono il nostro stesso disagio. Lasciate che vi spieghi la situa-zione di noi, nuove famiglie sulla soglia della povertà.Perdere il lavoro oggi, non significa che tutto ciò che fino a ieri abbiamo potu-to comprare e “permetterci” sparisce. Per esempio, la mia auto rimane quella che, fortunatamente, avevo finito di pagare prima di rimanere senza lavoro. È gran-de, perché oltre alla mia famiglia deve ospitare i nonni anziani che non se la sentono più di guidare. Qualcuno può ritenerla uno status symbol: forse lo era più di 10 anni fa, quando l’ho acquistata, ma ora è soltanto un mezzo comodo a quattro ruote!Una conoscente mi passa gli abiti dismessi del nipotino che frequenta la “Torino-

Non giudicate dalle apparenzeAnche a Valdocco, come in altre sedi salesiane, incontriamo sempre più spesso persone in difficoltà economica: cassa integrazione, licenziamenti e disoccupazione, soprattutto giovanile, hanno pesanti ripercussioni individuali e familiari. Tra le confidenze ricevute, pubblichiamo questa di “una giovane mamma”.

bene” e ha 8 anni più di mio figlio. Così, il mio bimbo ha abiti firmati di almeno otto “stagioni” fa... Mi sto facendo crescere i capelli, perché non posso più andare tutti i mesi dalla pettinatrice. Nel mio carrello della spesa non c’è il cibo “firmato”, ma soltanto prodotti a marchio del super-mercato, soprattutto se in offerta. Quan-do gli amici ci invitano a mangiare la piz-za con la famiglia, invento mille scuse. In estate sono in vacanza con i bambini tutti e tre i mesi: nelle case dei nonni, dove non pago nulla di più di quanto spen-derei rimanendo a casa. A forza di togliere e tagliare dal “super-fluo” si finisce con l’arrivare al “necessa-rio”: il dentista è rimandato per mesi, gli occhiali non sono cambiati… E pur di

lasciare il più possibile ai figli (nuoto, gita scolastica…), tu finisci col rinun-ciare a talmente tanto che alla fine ti senti (e sei) imbruttito di fuori, perché ti curi meno, ed arido dentro, perché costa troppo andare al cinema, uscire

con gli amici o fare il campo famiglia con la parrocchia. Eppure curare hobby,

svago e cultura è ciò che ti rende meno animalesco-robot e più persona, consa-

pevole della tua dignità. Allora, cer-cate di conoscere. E provate

a non giudicare. Soprat-tutto dalle apparenze.

Gesù ha detto: «Non giudicate, per non essere giudicati» (Mt 7,1). È come se avesse detto: «Giudi-ca noi, come noi giudichiamo gli altri».

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36 LUGLIO-AGOSTO 2012

Esperienze

Lo scorso marzo, in Canada, si sono incontrate le 14 banche aderenti alla

Global Alliance for Banking on Values (Gabv), un network indipendente del ri-sparmio gestito, che opera in 24 Pae-si del mondo, contando un patrimonio complessivo di 26 miliardi di dollari. Il messaggio, positivo, è che i loro bilanci godono di ottima salute. In altri termini, lo tsunami della crisi economica plane-taria non li ha nemmeno sfiorati. Com’è possibile?Il fatto si spiega con l’elemento che acco-muna i membri del Gabv: il rispetto dei princìpi della finanza etica. Tra i protago-nisti, c’è la Banca Popolare Etica, rappre-sentata dal presidente Ugo Biggeri, che lo scorso 8 marzo ha compiuto 13 anni. Forte di un capitale sociale di 35.607.000 euro (il 14% in più del 2010) e di oltre 36mila soci (di cui circa 31mila singoli cit-tadini), sin dall’inizio della crisi, nel 2008, la Banca Etica è riuscita a far crescere costantemente l’erogazione di credito a favore delle imprese sociali e delle fami-glie, come spiega Alberto Hoch, respon-sabile culturale per l’Area Nord Ovest: «Il 2011 si è chiuso registrando nei volumi una crescita a due cifre, per il terzo anno consecutivo. La raccolta di risparmio ha raggiunto i 717 milioni di euro, l’11,7% in più rispetto al 2010, mentre i crediti ero-gati sono pari a 540,8 milioni (+ 23,9% sul 2010)». Il trucco c’è. Banca Etica si pone, infat-ti, come alternativa alla finanza drogata da speculazioni e prodotti derivati, che punta al massimo profitto nel brevissimo

Quando l’Etica entra nel portafoglioNon è vero che la crisi economica ha colpito tutti gli istituti di credito. Ci sono realtà che non sono state toccate dal terremoto dello spread e dei “titoli spazzatura”. Un esempio è la Banca Popolare Etica.

periodo. «Il nostro fine - spiega ancora Hoch - è gestire il risparmio di famiglie, singoli e organizzazioni investendolo per finanziare esclusivamente iniziative eco-nomiche che perseguono finalità sociali e che operano nel pieno rispetto della di-gnità umana e dell’ambiente. Lo facciamo in modo innovativo, orientando l’attività sia operativa sia culturale ai principi della finanza etica: trasparenza, diritto di ac-cesso al credito, efficienza e attenzione alle conseguenze non economiche delle azioni economiche».

tanti pregi, Un difettoUnica pecca, il numero di filiali presenti sul territorio italiano: appena 16, nelle cit-tà più importanti, tra cui Torino (la “casa madre” è a Padova), e coadiuvate da una rete capillare di promotori finanziari, ri-battezzati “banchieri ambulanti”, oltre che da 70 Gruppi di Iniziativa Territoriale (Git), con il compito di diffondere i valori della finanza etica e di facilitare le interazioni tra soci, banca e territorio.Anche in questo caso c’è una spiegazio-ne: il sistema è stato costituito inizial-mente per sostenere le realtà non profit del Terzo Settore. Un impegno, per così dire, di “nicchia”, il cui successo ha fat-to spuntare ovunque richieste. Con il ri-sultato che oggi la Banca Etica si dedica al finanziamento dell’economia civile in senso lato, ma sempre negli àmbiti del-la cooperazione sociale, di quella inter-nazionale e degli aiuti allo sviluppo, del commercio equo e solidale, degli inter-venti per migliorare la qualità della vita,

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ESpERIENzE 37

Quando l’Etica entra nel portafoglio

della tutela ambientale, del social housing, dell’agricoltura biologica. «Ogni finanzia-mento - dice Hoch - è erogato sulla base di un’istruttoria economica a cui si af-fianca una dettagliata valutazione socio-ambientale, che permette di selezionare i progetti più validi nel rispetto degli inte-ressi della collettività».

le proposteBanca Etica sta sperimentando forme in-novative di sostegno alle imprese e all’oc-cupazione. Un esempio sono le opera-zioni di “workers buyout”, finanziate dalla Banca in collaborazione con Legacoop: piccole e medie imprese fallite o sull’or-lo del fallimento sono rilevate dai dipen-denti che si costituiscono in cooperativa, investono gli ammortizzatori sociali (Tfr, cassa integrazione) e con il finanziamen-to di Banca Etica si impegnano a salvare l’azienda, il loro posto di lavoro e la loro professionalità. Reti e alleanze tra cittadi-ni e tra lavoratori sono al centro di altre operazioni innovative che spesso coin-volgono le pubbliche amministrazioni.Il mondo non è fatto però soltanto di ci-fre. Serve una nuova cultura dell’econo-mia e del risparmio gestito, più consape-volezza delle vie che portano una società a crescere. «Banca Etica si sta impegnan-do anche per il lancio di una campagna di educazione finanziaria nella convin-zione che un reale cambiamento si po-trà avere solo con un’azione simultanea: dall’alto con nuove regole internazionali - contrasto ai paradisi fiscali; tassa sulle transazioni finanziarie; trasparenza reale - e dal basso con cittadini più responsa-bili e consapevoli dei meccanismi della finanza», afferma Hoch. Il riferimento è

all’iniziativa “Non Con I Miei Soldi”, volta a fornire tramite incontri e forum un utile vademecum, anche solo per la semplice apertura di un conto. «La finanza casinò è alimentata con i risparmi di tutti i cit-tadini e di tutte le organizzazioni - con-clude Hoch -. Ma si può dire basta, così com’è avvenuto con le campagne che negli scorsi decenni hanno imposto an-che alle grandi imprese strumenti di mo-nitoraggio della responsabilità sociale e ambientale».

Luca [email protected]

www.bancaetica.com

Sede centrale-Padova via Niccolò Tommaseo tel. 049.8771111

Sede di Torino via San Pio V 15/bis, tel. 011.6680993 [email protected]

Il coordinatore del Git di Torino-AostaFingerle Lucas tel. 333.2005815 [email protected]

Banca Etica investe nell’econo-mia reale della cooperazione sociale, degli aiuti allo sviluppo e del commercio equo e solidale. Così facendo, nel 2011 ha regi-strato una crescita a due cifre.

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Sfide educative

Chi quotidianamente frequenta il mon-do della scuola, dalle medie all’uni-

versità, non può chiudere gli occhi su una realtà inquietante: la fragilità di molti adolescenti nella gestione della propria affettività e sessualità. È di ieri la notizia di due adolescenti quattordicenni sorpre-si nei bagni della scuola mentre avevano un rapporto intimo. Pochi giorni prima i giornali sparavano, a caratteri cubitali, che in una classe di seconda media lo sport preferito dagli alunni era quello di scambiarsi sui cellulari foto che li ritrae-vano in pose hard. Arriva dall’Inghilterra la notizia che un gruppo di viziosi pedo-fili pachistani, negli ultimi tre anni, hanno circuito e stuprato oltre seicento giovani ragazze inglesi. Insomma, chi più ne ha, più ne metta. Tutto questo non può limi-tarsi a suscitare una sterile indignazione da parte chi si onora di far parte della Famiglia Salesiana sgorgata dal cuore di Don Bosco che all’educazione dei giovani ha consacrato tutta la sua esistenza. Un vero salesiano e anche un vero educatore e un vero genitore non possono restare indifferenti, apatici ed assenti.

Un film da vedereUn film, uscito di recente, offre ad ognu-no di noi la possibilità di riflettere, senza pudibondi moralismi, su un aspetto del-la condizione giovanile ben mimetizzato tra le pieghe, all’apparenza ineccepibili, del nostro vivere quotidiano. I giovani, a volte, escono completamente disorienta-ti e frastornati dalla loro quotidiana fre-quentazione con l’irrazionalità di alcuni modi di vivere, col no sense del mondo,

con l’esperienza della notte dei valori, col deserto morale ed etico del cosiddetto mondo adulto. Il film è intitolato Elles, è diretto dalla regista polacca Halgoska Szumovska ed interpretato magistral-mente da Juliette Binoche.Il tema trattato è scabroso, ma amara-mente attuale: la prostituzione femminile nel mondo giovanile. La visione del film fa male perché costringe lo spettatore non solo a prendere atto di una sotto-taciuta realtà, ma anche a schierarsi in prima persona di fronte ad un dato di fatto denunciato da statistiche ufficia-li che quantificano in parecchie decine di migliaia il numero di giovani donne che praticano la professione più vecchia dell’umanità nella sola Europa. L’attrice interpreta il ruolo di una giornalista che intende fare un reportage fra le giovani studentesse francesi. Costatando la re-altà del fatto che non poche si vendo-

Giovani lolite aumentanoPerché molti giovani “mercificano” il loro corpo? Quali gli esempi e i comportamenti di educatori e di genitori? Non basta la (sterile) indignazione: non si può restare indifferenti, apatici o assenti.

Dal film “Elles” un invito a riflette-re sul fenomeno sempre più diffu-so della prostituzione giovanile.

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no per “arrotondare” la loro disponibilità di denaro, Anna rivolge a Lola una do-manda fatale: «Perché lo fai?». La risposta che riceve la impietrisce: «Perché è come fumare. Il difficile è smettere». È eviden-te il cinismo insito in tale affermazione. Con una semplice battuta viene annullato ogni tentativo di comprendere gli oscu-ri motivi che spingono la ragazza a fare certe esperienze.

la realtà di non pochi adolescentiIl dato che non pochi adolescenti non esitino a “mercificare” il proprio corpo, direttamente nella prostituzione o indi-rettamente dietro una webcam, non può non preoccupare chi si impegna nel cam-po dell’educazione a tutti i livelli. Ricerca-re i “perché” è indispensabile per attivare i rimedi. Il motivo principale deriva dal fatto che per troppe persone il massimo valore sono i soldi. Ognuno deve fissare un prezzo al proprio modo di essere. Il sesso gode della massima considerazio-ne e valutazione. È uno dei mezzi più fa-cili e sicuri a disposizione per arricchirsi. “Fare soldi il più possibile” è il mantra che i ragazzi sentono fin dalla più tenera età nell’ambito stesso della famiglia.Se tutto questo viene integrato dalla con-statazione della frequentazione nevrotica

di siti porno da parte di molti che dovreb-bero essere educatori, o dalle infedeltà di troppi genitori, o dalle miserie morali di troppi religiosi, inevitabilmente i giovani sprofondano nella noia del vivere, nella desertificazione dell’etica e della morale, nella oggettivazione dei sentimenti e della sessualità. Qual è la differenza tra sessualità e geni-talità? Che cosa vuol dire essere uomo o donna e non semplicemente maschio o femmina? Amare è un punto di arrivo di un progetto o qualcosa da bruciare nella passione di un istante? Sono interroga-tivi che ogni appassionato del Sistema Preventivo di Don Bosco deve porre a se stesso prima di “smucinare” risposte scontate e a vanvera.

ermete [email protected]

LE dOmANdE dI suOR sImONA

Quale sentimento nasce in noi di fronte a que-sti fatti? Rabbia, giudizio, sorpresa, impotenza, indifferenza, compassione? Se ascoltiamo que-ste notizie come adulti che guardano “dall’alto al basso” e pronunciano sentenze, sarà difficile incrociare il cuore inquieto di giovani che gri-dano, come possono, il desiderio di un oltre e di relazioni umane che colmino il bisogno di trovare “un posto” in questo mondo. La nostra attenzione non può fissarsi sullo scandalo, ma sull’appello di ciò che non si vede e dal gri-do soffocato nell’uso del corpo. Ci facciamo compagni di viaggio delle loro domande di questi giovani? Riusciamo a far vedere, con il no-stro corpo, la bellezza di un corpo fatto per la relazione? La sfida educativa deve passa-re dalla nostra carne e dalle nostre scelte!

Suor Simona Corradopedagogista

e mediatrice familiare

Spesso internet veicola tra gli stu-denti la mercificazione del corpo e favorisce gli incontri a sfondo sessuale.

La società spesso banalizza i sen-timenti dei giovani che invece ancora sono capaci di riconosce-re e valorizzare l’amore che spe-rimentano. I giovani non hanno perso la voglia di credere e impe-gnarsi in relazioni forti basate sul rispetto e sul desiderio di una felicità duratura e profonda.

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Sfide educative

oltre lo spread Una crisi di civiltà?Siamo in piena crisi economico-finanzia-ria. Ma, al di là dei numeri che non tor-nano, si intravvede una crisi ben più pro-fonda. Siamo nel bel mezzo di una crisi di civiltà: manca una bussola credibile per il nostro futuro. L’idea di un bene comune è quanto mai sbiadita. Viviamo immersi in un individualismo senza futuro pieno di solitudini, senza progetti e valori. Non vediamo più ragioni sufficienti per lega-re la nostra vita a quella degli altri con i quali con-viviamo. Una società ripiegata su se stessa e dominata dal denaro non riesce più a motivare impegno e respon-sabilità sociale.Come attivare nei cristiani una cittadinan-za attiva, consapevole, responsabile nel-la società, nella professione, nel lavoro, nella politica, nell’economia, ecc., senza una formazione sociale adeguata? Que-sto libro vuole offrire un piccolo aiuto alla formazione. Buoni cristiani e onesti cittadini è la sintesi di tutta la formazione cristiana grazie alla conoscenza della dot-trina sociale della Chiesa, come si legge nel sottotitolo.

la “dottrina sociale della chiesa”: se ne parla ma non la si conosce!Purtroppo ben pochi sanno cos’è. La Chiesa sempre si è fatta carico delle si-tuazioni di povertà sociale e personale.

Basta pensare a tutte le iniziative di carità messe in atto in duemila anni di storia. Nel secolo XIX capita una vera rivolu-zione: quella industriale con tanti nuovi poveri, drammi umani e sociali. Il Papa di allora, Leone XIII, prende carta e penna, come si dice, e, illuminato dal Vangelo, scrive la Rerum novarum per denunciare il degrado umano e sociale a cui sono sottoposti gli operai nelle manifatture del tempo. Orari impossibili, paghe da fame, situazioni abitative disumane. In positivo, l’enciclica prospetta le vie morali e giu-ridiche per una vita personale, sociale e produttiva degna dell’uomo.Dopo Leone XIII, altre encicliche sociali sono state scritte dai Papi per denuncia-re gli abusi e le minacce contro la digni-tà della persona e dei popoli e, al tempo stesso, per prospettare soluzioni che ri-spondano al bene comune.Il percorso storico che il libro propo-ne dalla Rerum novarum alla Caritas in veritate di Benedetto XVI, fa vedere una Chiesa sempre attenta ai molti e profondi cambiamenti che avvengono nelle società e nel mondo intero. Si passa via via, dalla questione locale degli operai del tempo di Leone XIII, alla questione mondiale della pace e dello sviluppo dei popoli. In que-sta apertua mondiale il concilio Vaticano II pone l’attenzione sulla centralità della persona e del suo pieno sviluppo non solo economico, ma anche culturale, re-lazionale, spirituale e religioso.

Buoni cristiani e onesti cittadiniIn un tempo di smarrimento personale e sociale si avverte l’urgenza di formazione delle coscienze per essere non solo dei buoni cristiani, ma anche degli onesti cittadini.

È nella Dottrina Sociale della Chiesa che si possono ritrovare i giusti orientamenti per formare una retta coscienza, attenta al bene comune e consapevole dei veri valori.

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A questa nostra società smarrita, la dot-trina sociale della Chiesa è una provvi-denziale bussola che orienta su un futuro sempre più a misura di uomo. Essa non offre soluzioni tecniche per i problemi che ci affliggono, ma indica a tutti, cri-stiani e non, le ragioni e le vie etiche per cercare e trovare le soluzioni più adegua-te alla dignità degli uomini e dei popoli.

Tutti avvertiamo in questi tempi una grande carenza di formazione sociale che dia sostan-za a una cittadinanza consapevole e respon-sabile. Per i cristiani l’educazione alla “cittadi-nanza consapevole e responsabile” non è un optional. La fede senza le opere è morta! Il con-vivere in società non può non provocare la coscienza cristiana. Per questo motivo ho scelto come titolo «Buoni cristiani e onesti cit-tadini».

Sabino Frigato, sdb, è docente di teologia morale e

dottrina sociale della Chiesa presso l’Università Pon-

tificia Salesiana - Sezione di Torino. Con la Elledici

ha pubblicato: I lavoratori cattolici tra testimonianza

e politica, 1988; In risposta a Cristo. Piste per l’edu-

cazione morale e politica, 1991; Vita in Cristo e agi-

re morale. Saggio di teologia morale fondamentale,

1994. Con l’editrice Effatà: La difficile democrazia. La

Dottrina sociale della Chiesa da Leone XIII a Pio XII

(1878-1958), 2007. E nel 2010 ancora con la Elledici:

Vizi capitali. Come parlarne, oggi? Per un itinerario

educativo morale.

€ 7,00 ISBN 978-88-01-05124-7

SABINO FRIGATO

La forza educativa della dottrina sociale della Chiesa

Il valore della persona non deve mai essere sopraffatto dalle logi-che del profitto e da modelli indi-vidualistici di sviluppo.

Tutte le encicliche sociali dopo il concilio mettono a fuoco la dignità della persona. Più recentemente, la tecnica e la scienza hanno dato il via a manipolazioni sul-la vita estremamente minacciose per la dignità dell’uomo. La questione sociale è diventata una vera questione antropo-logica, vale a dire difesa di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Profeta indiscusso a favore della vita è stato Giovanni Paolo II.

i qUattro pilastri della dottrina sociale della chiesaChi prende in mano le encicliche sociali si accorge che, pur cambiando di tempo in tempo il tema – la condizione operaia, l’economia, il lavoro, la pace, la politica, lo sviluppo dei popoli, ecc. – il ragionamen-to che viene fatto si basa su quattro fon-damentali pilastri. Prima di tutto la dignità della persona considerata soggetto, fon-damento e fine di tutto. La persona, poi, non è un cittadino chiuso in se stesso, ma in relazione con gli altri in un rapporto di reciproca solidarietà. Non solo, ma in quanto libero e responsabile, il cittadino è capace di realizzare determinati beni sociali collegandosi e associandosi con altri concittadini senza dipendere dall’in-tervento superiore dello Stato. Anzi esso deve favorire l’autonomia dei gruppi so-ciali. Questo si chiama sussidiarietà. Una società è tanto più democratica e parte-cipata quanto più è sussidiaria, nel senso che valorizza la responsabilità dei citta-dini. Il quarto pilastro è il bene comune a cui tutto deve o dovrebbe tendere. Non si tratta solo della ricchezza prodotta in un Paese, ma anche di come viene redistri-buita a vantaggio di tutti. Non solo, ma il bene comune riguarda tutti quegli aspetti necessari per una vita buona, dignitosa per tutti e per ciascuno. Nella prospet-tiva del bene comune il perseguimento dei diritti deve accompagnarsi sempre ai doveri con la consapevolezza che favo-rire il benessere della società è lavorare per il proprio bene.

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“Bello e impossibile” come lo immagina gianna Nannini o “dolcissimo” come lo invoca irene grandi. “Disperato” come lo racconta Nada o “di plastica” come lo teme Carmen Consoli... L’amore ha dav-vero troppe sfaccettature e sfumature per essere rinchiuso in una canzone. A vol-te più idealizzato che vissuto, non si nu-tre di gesti plateali e difficilmente si lascia incontrare negli studi televisivi popolati di “tronisti”, di “pupe” e di “secchioni” che sembrano più interessati alla piega dei ca-pelli che ad ascoltare i richiami del cuore.Per provare a capirne di più ci siamo ri-volti a don ezio risatti, preside del cor-so di laurea in Psicologia della comunica-zione, che ha sede nella Scuola superiore di formazione “Rebaudengo” di Torino.

le apparenze dell’amoreperché l’amore, a qualunque età, è così importante?

«Perché, pur essendo un sentimento umano, riguarda direttamente Dio, che l’evangelista Giovanni definisce “Amore”. L’uomo, creato a immagine di Dio, gli so-miglia perché è in grado di amare».

talvolta, però, si rischia di confon-derlo con sentimenti che non sono l’amore...

«Succede che lo stimolo a formare una coppia possa essere scambiato per amo-re. Che ragazzi e ragazze desiderino vi-vere insieme più per conformarsi a tradi-zioni e a pressioni sociali che per condivi-dere un progetto di vita. È una situazione che, se sottovalutata, è destinata a creare problemi, fatiche e sofferenze».

i più giovani, non di rado, fanno fa-tica a distinguere infatuazione e in-namoramento.

«L’infatuazione è un meccanismo incon-scio che può scattare all’inizio dell’inna-moramento e che va tenuto sotto con-trollo. Proiettare su una persona le carat-teristiche che più mi affascinano, infatti, non mi permette di vivere un rapporto reale con essa ma con i caratteri che io le attribuisco. Quando ho la sensazione che il partner sia perfetto sotto ogni punto di vista è il momento giusto per doman-darmi se sono caduto vittima dell’infa-tuazione».

e non manca chi s’innamora per le-nire le ferite interiori e il male di vi-vere…

«Gli psicologi, che a volte usano termini difficili, la chiamano “compensazione di ferita d’origine traumatica” e, di solito, ha inizio nell’infanzia. Il bambino che non si sente protetto o valorizzato a sufficien-za può diventare un adulto che, quan-do incontra chi lo ama, ha la sensazione di poter colmare i propri bisogni incon-sci non soddisfatti e - come in un poz-zo senza fondo - tenta di compensare il trauma senza mai esaurirlo. Anche in questo caso non si può parlare d’amore ma di soddisfazione di un bisogno».

a complicare il quadro è in agguato anche la gelosia…

«La gelosia, al contrario di quanto si cre-de, non è dimostrazione d’amore ma pretesa inconscia che il partner si dedi-chi totalmente a me. Oltre che nei con-fronti della persona amata, la gelosia vie-

L’innamoramento, “campio ne gratuito” d’amoreA tu per tu con don Ezio Risatti per cominciare a esplorare le dinamiche che possono contribuire a edificare una storia d’amore.

Sfide educative

L’amore è vedere i limiti delpartner e sentire che, al di là di tutto, egli vale e merita di essereamato.

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ne spesso indirizzata anche verso amici, colleghi e famigliari. Dal punto di vista psicologico, oltre che cristiano, ha ragio-ne San Paolo quando, nella prima lette-ra ai Corinzi, afferma che “l’amore non è geloso”».

Un amore senza confiniMa allora, che cos’è l’amore?«Spiegarlo è impossibile, come tenta-re di descrivere il sapore della menta o del mango, e lo comprende solo chi vive l’esperienza dell’innamoramento, un “campione gratuito” d’amore, una bufera psicofisica che sconvolge l’esistenza, al punto che molti adolescenti - convinti di essere i primi a beneficiarne nella storia dell’umanità - pensano: “Se anche gli al-tri uomini sapessero che cos’è l’amore il mondo sarebbe diverso e non esistereb-bero gli orrori che riempiono le cronache dei giornali”».

Che cosa capita, dal punto di vista psicologico, quando due persone si innamorano?«Innanzi tutto, cade la barriera dell’inco-municabilità: sono consapevoli di essere sintonizzati sulle “frequenze” del partner, del fatto che si comprendono reciproca-mente senza bisogno di spiegarsi. Poi si percepisce il valore dell’altra persona al di là dei propri limiti: a differenza di chi è infatuato, l’innamorato vede le povertà e gli sbagli del partner ma sente che egli vale e che merita di essere amato. Infine, si è disposti ad affrontare dolori e fatiche: sperimentato che l’amore è un bene pre-zioso, non si intende rinunciarvi neppure quando amare significa soffrire».

Una sequenza di dinamiche che sem-brano avere molto in comune con la vita di gesù...«La percezione dei nostri limiti e, con-

temporaneamente, del nostro essere un tesoro prezioso è alla base della decisio-ne di Gesù di donare la propria vita per salvare l’umanità. Lo esprime con preci-sione San Paolo quando, nella lettera ai Romani, afferma che “Cristo ci ha amati e ha dato la vita per noi prima che fossi-mo redenti e salvati”. Infatti eravamo an-cora immersi nel peccato quando Gesù ha accettato di offrire la propria vita per noi, e lo ha fatto perché vedeva nel me-desimo tempo in ogni uomo sia l’essere peccatore sia l’essere immagine bella e preziosa di Dio».

Carlo [email protected]

L’innamoramento, “campio ne gratuito” d’amore

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44 LUGLIO-AGOSTO 2012 LETTERE A SUOR mANU

Lettere a Suor Manu

Non ho mai incontrato una mamma con tanto coraggio: grazie. Mi auguro che le sue parole possano aiutare tanti genitori a guardare i figli con umiltà e verità, an-che se ciò portasse a riconoscere di avere buona parte della responsabilità.

C’era una volta un sovrano potente. Un giorno disse al figlio: «Io non regnerò più per molto tempo e ignoro ciò che ac-cadrà dopo la mia morte. Ci sono molti nemici intorno al trono. Ho tanta paura per l’impero che ho costruito e anche per te. Morirei tranquillo se sapessi che hai un rifugio sicuro che ti protegga in caso di pericolo. Per questo ti consiglio di an-dare per il regno e di costruire fortezze in tutti gli angoli possibili». Obbediente, il giovane si mise in cammino. Percorse tutto il Paese e dove trovava il posto con-veniente, faceva costruire fortezze solide e imponenti, nelle profondità delle fore-ste, nelle valli più nascoste, sulla sommità delle colline, nei deserti, in riva ai fiumi e sui fianchi delle montagne.Stanco, dimagrito, ma soddisfatto d’aver portato a termine il compito, corse a pre-sentarsi dal padre. «Padre, in tutto il paese si innalzano fortezze imprendibili!».«Non è questo, figlio mio, che avevo in mente io. Devi tornare indietro e rico-minciare», disse. «Le fortezze che tu hai costruito non ti proteggeranno assoluta-mente in caso di pericolo: tu sarai solo e non per quei muri e quelle pietre potrai sfuggire alle imboscate e alle trappole dei

tuoi nemici. Tu devi costruirti i rifugi nel cuore delle persone oneste e buone. Devi cercare queste persone, e guadagnarti la loro amicizia: soltanto allora saprai dove rifugiarti nei momenti difficili. Là dove un uomo ha un amico sincero, là trova un tetto sotto cui ripararsi».Il principe si rimise in cammino per an-dare verso la gente e costruire dei rifugi come immaginava suo padre. Quando il vecchio sovrano si spense e lasciò questo mondo, il principe non aveva più nessun nemico da temere!

Tanti ragazzi costruiscono fortezze di mattoni e non permettono a nessuno di avvicinarsi. Ho constatato che i ragazzi più aggressivi, “difficili”, talora violenti, sono quelli che portano le sofferenze e i dispiaceri più pesanti. I bulli sono quelli che hanno più bisogno di sentirsi amati. Prima che siano costretti ad alzare fortez-ze impenetrabili, facciamo in modo che trovino in noi la fortezza di cui hanno bisogno. Questo sarà il segreto della loro serenità. E anche della nostra.

Manuela [email protected]

Se il “bullo” è mio figlioMio figlio è bullo. Non volevo crederci, ma è così. L’ho constatato di perso-na, con l’aiuto di insegnanti di fiducia. Purtroppo io sono sola e lavoro dal mattino alla sera, e ogni 15 giorni mio figlio deve stare con il mio ex marito. Ho iniziato un percorso con una psicologa, perché ho capito che il problema non è solo di mio figlio, anzi, è mio. Sento il bisogno di condividere la mia storia, perché molti ragazzi si trovano nella condizione di mio figlio. Nessu-no vorrebbe avere un figlio bullo. Soprattutto se ci si rende conto di quanto sia triste e solo un ragazzo bullo.

Spesso i ragazzi considerati più “difficili”, sono quelli che portano le sofferenze più pesanti e che per questo, hanno più bisogno d’affetto.

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MaNDateCi i vostri sMs!

Basta inviare un messaggio, anteponendo alla vostra richiesta

di preghiera la parola rivista al numero 320.2043437.

Pubblicheremo gli sms più significativi e a tutti assicuriamo

il ricordo in Basilica

Mosaico realizzato per la parrocchia di Pedemente (VR) dal prof. Marcellino Campara, devoto di Maria e appassio-nato mosaicista d’arte sacra, raffigurante Maria Ausiliatri-ce. (www.mosaiciartistici.net)

Da Bacau (Romania) giovani lettori crescono con l’aiuto di don Sergio.

MaNDateCi Le vostre Foto CoN La rivista

iN MaNo! [email protected]

Mi chiamo Roberto sono invalido e ho perso il lavoro. Sono emarginato e umiliato pregate per me grazie.

Chiedo un ricordo nella preghiera per Margherita.

Grazie che ci donate speranza.

SMS

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AVVISO PER IL PORTALETTERE In caso di MANCATO RECAPITO inviare a: TORINO CMP NORD per la restituzione al mittente: C.M.S. Via Maria Ausiliatrice 32 - 10152 Torino, il quale si impegna a pagare la relativa tassa.

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Nº 4- 2012 ANNO XXXIIIBIMESTRALE

pag. 2 NPG La rivista “Notedi pastorale giovanile”: il “metodo preventivo”per gli educatori

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luglio-agosto

pag. 23 Lo sport per tuttiTiziana Nasi, presidente della Fisip

L’anima mia magnifi ca

il Signore

pag. 20 SGStipografi a voluta da Don Bosco, festeggia i primi 150 anni

www.facebook.com/ rivista.ausiliatrice

In questo numero

segni e valori21 LO SPORT PER TuTTI

don bosco oggi26 “hO un SOgnO: 10 TIPOgRAFIE” 28 DOn BOSCO: I DIFFICILI InIzI DELL’ORATORIO 30 mARIA RInnOVA LE FAmIgLIE 32 SORELLE nEL CAmmInO DELL’InTEgRAzIOnE34 un PIATTO AnTICO: LA “PAnADA”

esperenze35 nOn gIuDICATE DALLE APPAREnzE36 quAnDO L’ETICA EnTRA nEL PORTAFOgLI

sfide edUcative38 gIOVAnI LOLITE AumEnTAnO 40 BuOnI CRISTIAnI E OnESTI CITTADInI 42 L’InnAmORAmEnTO, “CAmPIOnE gRATuITO”

D’AmORE

lettere a sUor manU44 SE IL “BuLLO” è mIO FIgLIO

poster gIORnI DI STuPORE E DI LODE

il salUto del rettore1 VACAnzE: PERIODO DI RICARICA

umAnA E SPIRITuALE a tUtto campo2 unA “SInFOnIA” DI VITA PER I gIOVAnI:

LA RIVISTA “nOTE DI PASTORALE gIOVAnILE”

leggiamo i vangeli4 nOn SOnO AmmESSE SCORCIATOIE!

in cammino con maria6 CAnA E TABOR. mARIA E IL PADRE 8 LA DEVOzIOnE ALLA mADOnnA

E IL mOnDO DEgLI AnImALI

maria nei secoli10 “LA VERgInE DEL SORRISO” E S. TERESA DI LISIEux12 LA mADOnnA DI FIESOLE

la parola qUi e ora14 IL RISChIO DELLA InCREDuLITà E DELL’IDOLATRIA

amici di dio16 BEnEDETTO PATROnO D’EuROPA

giovani in cammino18 nOn POSSIAmO PERmETTERCI IL LuSSO

DI ESSERE TRISTI

chiesa viva20 ABOLIRE L’OmISSIOnE! 24 L’AuTunnO CALDO DELLA FEDE