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L’analisi PIXE La tecnica PIXE (Particle Induced X-ray Emission) viene impiegata per analisi di piccolissime quantità di elementi. Un campione sottile del materiale da analizzare è posto nella zona bersaglio di un acceleratore e bombardato con protoni, particelle alfa, o anche ioni più pesanti. L’interazione coulombiana tra le particelle incidenti ed il bersaglio può risultare in ionizzazioni del bersaglio e la sezione d’urto per rimuovere dall’atomo un elettrone della shell K o L può essere calcolata. La lacuna creata dalla ionizzazione è riempita e ne risulta emissione di raggi X da parte dell’atomo. L’energia dei raggi X dalla shell K e/o L è una funzione che varia in maniera continua con il numero atomico Z ed è caratteristica di ogni elemento. Quindi, da una misura dei raggi X emessi dal campione durante l’esposizione al fascio è possibile risalire agli elementi che compongono il bersaglio anche in maniera quantitativa.

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L’analisi PIXE

La tecnica PIXE (Particle Induced X-ray Emission) viene impiegata per analisi di piccolissime quantità di elementi.

Un campione sottile del materiale da analizzare è posto nella zona bersaglio di un acceleratore e bombardato con protoni, particelle alfa, o anche ioni più pesanti.

L’interazione coulombiana tra le particelle incidenti ed il bersaglio può risultare in ionizzazioni del bersaglio e la sezione d’urto per rimuovere dall’atomo un elettrone della shell K o L può essere calcolata.

La lacuna creata dalla ionizzazione è riempita e ne risulta emissione di raggi X da parte dell’atomo. L’energia dei raggi X dalla shell K e/o L è una funzione che varia in maniera continua con il numero atomico Z ed è caratteristica di ogni elemento.

Quindi, da una misura dei raggi X emessi dal campione durante l’esposizione al fascio è possibile risalire agli elementi che compongono il bersaglio anche in maniera quantitativa.

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A causa del corto range delle particelle cariche (proiettili) nella materia e alla bassa energia degli X emessi (tra 10 e 100 keV), questa tecnica è applicabile solo a campioni estremamente sottili.

La sezione d’urto di ionizzazione della shell K dipende dall’energia: per elementi leggeri è dell’ordine di 100 barn, ma per elementi pesanti scende ad 1 barn.

La sensibilità della tecnica PIXE perciò decresce all’aumentare di Z, ma ciononostante può dare buoni risultati fino al Piombo.

E

n= − 1

2m

ec2 ⋅α2 Z2

n2= −13.6 Z2

n2 α = e2

c= 1

137

⎝⎜

⎠⎟

Nel grafico che segue è riportato il valore dell’energia di raggi X (eV) in funzione del numero atomico dell’elemento per le shell K e L.

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La figura mostra la variazione di produzione di raggi dalle shell K e L in funzione del numero atomico per protoni di energia 5 MeV. La sezione d’urto di produzione varia anche al variare dell’energia delle particelle incidenti, che viene quindi scelta per ottimizzare il processo di produzione di raggi X.

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La figura mostra una curva universale (ottenuta da un fit su dati sperimentali) per il fascio di protoni. (Qui λ = mp/me = 1836, e ui è l’energia di legame dell’elettrone).

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La sezione d’urto raggiunge un massimo quando E

p= λu

i=

mp

me

ui , cioè quando

vp= v

e ,

ossia quando la velocità del protone è uguale alla velocità dell’elettrone nella sua orbita K, L.

Dalla conoscenza delle sezioni d’urto si può dedurre in maniera quantitativa l’ammontare dei vari elementi presenti nel campione.

Possiamo stimare l’intensità di conteggi e quindi dedurre la sensibilità di questa tecnica.

Supponiamo di avere un campione dello spessore τ = 100 µg/cm2, irradiato con un fascio di protoni di intensità I = 0.1 µA (= 6·1011 protoni/s).

Con una sezione d’urto media di ionizzazione di 1000 barn, la velocità di reazione vale:

R = σIN = σI

NAv

Aτ ≈ 109 reazioni/s.

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La produzione di raggi X varia tra l’1% per elementi leggeri al 100% per elementi pesanti, l’efficienza intrinseca di rivelatori semiconduttori al Si per raggi X di questa energia è praticamente il 100%, mentre l’efficienza geometrica è dell’ordine di qualche percento (la geometria della reazione richiede che il rivelatore di raggi X sia relativamente lontano dal bersaglio).

La velocità di conteggio risulta dell’ordine di 105 conteggi/s, e usando un tempo tipico di conteggio di un’ora si accumulano 108 conteggi del nostro campione di 10-4 g.

Se richiediamo una statistica di 100 conteggi per identificare un picco, siamo in grado di rivelare quantità dell’ordine di 10-10 g, ossia 10-4 µg.

Questa sensibilità è confrontabile, se non addirittura migliore di quella del metodo dell’attivazione neutronica.

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tipico spettro PIXE di un aerosol

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La tecnica PIXE è non distruttiva, nel senso che il campione non viene danneggiato dall’esposizione al fascio di protoni ed è quindi largamente usata per l’analisi di opere d’arte.

Inoltre l’esposizione del campione al fascio è notevolmente semplificata rispetto alla tecnica di attivazione neutronica in quanto gli accelertori dedicati a misura PIXE hanno un canale dedicato con fascio estratto in aria.

La figura mostra appunto un particolare del punto di estrazione del fascio dal tandem del laboratorio LABEC di Firenze.

La luminescenza blu è dovuta all’interazione del fascio con l’aria e la lunghezza del “pennello” corrisponde al valore del range di protoni in aria.

Si nota anche l’allargamento conico del fascio dovuto al fenomeno dello straggling angolare.

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Particolare del fascio estratto dal tandem del laboratorio LABEC di Firenze

Il campione viene posizionato in aria alla distanza di 1 cm dal foro di uscita del fascio. Il rivelatore di raggi X è posizionato all’interno del contenitore di plexiglass a tronco di cono e punta sul campione. Nel tubicino terminale più stretto è inserita una finestra sottile di mylar che isola la zona-vuoto dell’acceleratore dall’ambiente esterno.

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L’analisi PIXE di una pergamena (laboratorio LABEC di Firenze)

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Come esempio citiamo lo studio dei manoscritti di Galileo, effettuato con una analisi PIXE della composizione degli inchiostri usati.

L’inchiostro, ai tempi di Galileo, era sicuramente “fatto in casa” ed è ragionevole aspettarsi che almeno i rapporti quantitativi tra gli ingredienti variassero da una partita all’altra.

La datazione assoluta delle varie partite di inchiostro è stata possibile analizzando l’inchiostro di un diario nel quale Galileo annotava giorno per giorno le spese di casa apponendovi la corrispondente data.

Così, per esempio, si è ricostruito che la pagina 128 delle sue note manoscritte sulle leggi del moto è stata scritta attorno al 18 ottobre 1604

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datazione del foglio 128 del manoscritto

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E si è anche ricostruito che nel foglio 164 sono presenti due diversi tipi di inchiostro: la formulazione esatta sulla legge del moto uniformemente accelerato appare come una correzione apportata molti mesi dopo con un inchiostro diverso.

evidenza dell’uso di inchiostri diversi sul foglio 164.

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Applicazioni del decadimento alfaI decadimenti alfa da nuclei a lunga vita media hanno due importanti caratteristiche che si prestano ad importanti applicazioni: sono emesse ad una energia fissata (a differenza della radiazione beta che ha uno spettro continuo) e, se la vita media è sufficientemente lunga, sono emesse ad un ritmo che è virtualmente costante.

Generatori “nucleari” di potenzaPrendiamo per esempio il decadimento alfa dal 238Pu con un tempo di dimezzamento T1/2 = 86 anni. (Il 238Pu viene prodotto dal decadimento beta del 238Np, a sua volta prodotto

da cattura di neutroni su 237Np). La reazione 94238 Pu →

92234U + α ha un Q-valore di 5.6

MeV e la attività specifica am risulta pari a 6·1011 decadimenti/s/g. Dal momento che ciascun decadimento rilascia una energia di 5.6 MeV, la potenza in uscita per unità di

massa Pm è pari a: Pm= a

m⋅Q = 0.6 W/g. Tale potenza è sufficiente ad alimentare

semplici circuiti elettrici, con l’enorme vantaggio che un alimentatore del genere (nucleare nel vero senso della parola) continua ad operare a ritmo costante anche in condizioni estremamente avverse (come può essere il vuoto o il freddo estremo dello spazio siderale) e necessita di essere rimpiazzato soltanto su scale temporali

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dell’ordine della sua vita media. Tali sorgenti di potenza sono state utilizzate, per esempio, sulla navicella spaziale Voyager che ha fotografato Giove, Saturno ed Urano, e vengono utilizzati come generatori di potenza nei pacemaker cardiaci. In questi ultimi l’energia cinetica del decadimento alfa viene depositata come calore e convertita in impulsi elettrici da un convertitore termoelettrico. Essi sono in grado di fornire circa 300 µW di potenza elettrica, in maniera continua e costante, limitati solo dagli 86 anni di tempo di dimezzamento del 238Pu.

Rivelatori di fumoI rivelatori di fumo contengono una piccola sorgente di 241Am (T1/2 = 433 anni) con un Q-valore pari a 5.6 MeV. In condizioni normali le particelle alfa ionizzano le molecole dell’aria in un rivelatore a gas; gli ioni vengono raccolti dagli elettrodi e stabiliscono una piccola corrente stazionaria. I prodotti di combustione includono ioni altamente ionizzati, e quando questi entrano nel rivelatori collidono con gli ioni generati dalle particelle alfa, la corrente stazionaria decresce e attiva l’allarme.

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Rutherford backscattering (RBS)Una analisi quantitativa può essere fatta rivelando particelle alfa diffuse da nuclei a grandi angoli, fenomeno chiamato appunto Rutherford backscattering. Nella nostra discussione al Capitolo 1 dell’esperimento di Geiger e Marsden avevamo considerato il nucleo bersaglio di massa infinita, di modo che la particella alfa emergeva con la sua energia cinetica originale. In effetti, una piccola frazione di energia è trasmessa al nucleo-bersaglio (di massa finita), e per le particelle alfa retrodiffuse a 180 gradi le perdita di energia è data da:

ΔT = T 4m / M

1 + m / M( )2⎡

⎢⎢⎢

⎥⎥⎥

dove T è l’energia cinetica della particella alfa incidente, ed m e M sono rispettivamente la massa della particella alfa e del bersaglio.

La perdita di energia é massima per nuclei leggeri, ma anche per nuclei pesanti (con m/M ≈ 0.02) è dell’ordine di 0.5 MeV e può essere facilmente rivelata.

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L’energia della particella retrodiffusa vale:

T' = T 1 − m / M

1 + m / M

⎣⎢⎢

⎦⎥⎥

2

Lo scattering da un bersaglio che contiene una varietà di isotopi o elementi produrrà uno spettro di energie alfa, ciascuna corrispondente ad un’unica massa dell’atomo urtato, dal quale possiamo dedurre la composizione del bersaglio. La differenza in energia δ (in MeV) di particelle alfa retrodiffuse da nuclei di masse adiacenti diminuisce all’aumentare di M.Da una misura di T’ si può risalire alla massa incognita del bersaglio M

M = m ⋅

1 + T'/ T

1 − T'/ TTenendo presente che la risoluzione energetica dei rivelatori a stato solido comunemente usati per la rivelazione delle particelle alfa è dell’ordine della decina di keV, si ricava che per nuclei relativamente leggeri (A < 50) la tecnica RBS consente di analizzare un campione contente elementi (o isotopi) differenti. Le figure che seguono sono un esempio dell’applicazione di questa tecnica.

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La figura mostra il rapporto T ’/T in funzione dalla massa del nucleo bersaglio quando la particella incidente è un protone (linea blu) o una particella alfa (linea viola)

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La figura mostra la differenza di energia della particelle retrodiffusa risoluzione in massa per una differenza di massa ∆M = 1 amu. In questo caso si è utilizzato un fascio di particelle alfa a due energie differenti: 10 MeV (curva blu) e 30 MeV (curva viola). È anche indicata la risoluzione tipica di un rivelatore al silicio (curva gialla)

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RBS di alfa da un sottile film contente Cu, Ag e Au.

La linea tratteggiata mostra l’andamento con Z2 atteso per la sezione d’urto Rutherford. Si noto anche il doppio picco corrispondente a due isotopi del Rame.Se lo spessore del bersaglio è maggiore, il fenomeno del backscattering può avvenire ad una profondità variabile.

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L’effetto di perdita di energia per ionizzazione allarga i picchi, che si trasformano in plateau: la loro larghezza (in energia) dipende dallo spessore del bersaglio attraversato. In questo caso si tratta di un bersaglio di Al2O3 di spessore 200 nm.

La figura che segue mostra lo spettro RBS da scattering su un bersaglio complesso.

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Si tratta di uno spettro tipico “a scalini”, dove ciascuna discontinuità in energia rappresenta un diverso elemento del campione e il corrispondente “dislivello” dipende dall’abbondanza relativa di quell’elemento.

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La tecnica RBS è stata utilizzata per l’analisi del suolo lunare dalla navicella spaziale Surveyor. A bordo del velivolo era montato un apparato in grado di effettuare misure RBS: conteneva una sorgente di 242Cf (T1/2 = 163 giorni) ed un sistema di rivelatori di particelle per analizzare sia le particelle alfa retrodiffuse che protoni provenienti dalla reazione (α,p) sugli elementi del suolo lunare.

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tecnica RBS utilizzata sul Voyager per l’analisi del suolo lunare.