L’analisi dei documenti nella ricerca...

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Osservatorio Comunicazione & Media L’analisi dei documenti nella ricerca sociale

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Osservatorio Comunicazione & Media

L’analisi dei documenti nella ricerca sociale

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Come afferma Piergiorgio Corbetta le tecniche di rilevazione della ricerca qualitativa si possono dividere

in tre grande categorie, rispettivamente basate su:

• osservazione diretta,

• interviste in profondità,

• uso dei documenti.

Attraverso l’osservazione il ricercatore studia un determinato fenomeno sociale in primo luogo

immergendosi personalmente in esso, così da viverlo dal di dentro ed essere in grado di darne una diretta

descrizione.

Con l’intervista il ricercatore coglie i comportamenti e le motivazioni all’agire attraverso la descrizione che

ne danno gli stessi soggetti, che vengono interrogati sulle loro esperienze, sentimenti, opinioni.

L’uso dei documenti consiste nell’analizzare una certa realtà sociale a partire dal materiale – in genere,

ma non unicamente, in forma scritta – che la società stessa ha prodotto e produce, sia attraverso i singoli

individui (resoconti autobiografici, lettere, ecc.) sia attraverso le istituzioni (bollettini, stampa, verbali,

schede, ecc.) .

Ogni società, da quelle preistoriche a quelle che caratterizzano il mondo contemporaneo, produce una

grande quantità di documenti.

I documenti possono essere di diverso tipo: lettere, articoli di giornale, diari, autobiografie, organigrammi

di società, verbali di consigli di amministrazione, atti parlamentari, contratti commerciali, ecc.

Questi documenti hanno la caratteristica di essere, generalmente, in forma scritta. Ma tra i documenti

sociali a cui il sociologo può fare ricorso, occorre ricomprendere anche quelle che vengono chiamate le tracce

materiali (che caratterizzano la ricerca di altre discipline, quali l’archeologia, la storia, l’antropologia).

Schematizzando quanto appena detto, possiamo classificare i documenti utilizzabili per la ricerca sociale

in:

• documenti personali,

• documenti scritti,

• testimonianze orali;

• documenti istituzionali;

• tracce materiali;

• documenti visivi.

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Documenti personali

K. Plummer afferma: “il mondo è pieno zeppo di documenti personali. La gente tiene diari, spedisce

lettere, fa fotografie, prende appunti, racconta i propri ricordi, scrive sui muri, pubblica le proprie

memorie, scrive lettere ai giornali [….]”.

L’aspetto caratterizzante dei documenti personali consiste nel fatto che si tratta di testi (o

anche semplici parole o frasi, come ad esempio quelle scritte sui muri di una città) che

sono il frutto sicuramente di una esperienza personale (e sociale) che presenta quella

caratteristica di “visioni dal di dentro”, che li iscrivono, a pieno titolo, nell’approccio

interpretativo.

Negli anni ’20 e ’30, a partire da quella che è stata la prima esperienza nell’utilizzo di

documenti personali, la ricerca di Thomas e Znaniecki, “Il contadino polacco in Europa

e in America” , pubblicata fra il 1918 e il 1920, ci fu un ampio ricorso a questo tipo di

materiale, soprattutto grazie ai ricercatori della “Scuola di Chicago”.

In anni più recenti, a partire dagli anni ’80, l’approccio biografico ha preso vigore nella

ricerca sociale, ricevendo anche alimento e stimoli dallo sviluppo della cosiddetta “storia

orale” in campo storiografico, che utilizza tecniche di rilevazione e di materiali empirici

assai simili.

Documenti scritti

Autobiografie

L’autobiografia è il resoconto scritto dell’intera vita di una persona, da lei stessa

compilato, in un periodo di tempo piuttosto limitato e quindi in una visione

retrospettiva .

Spesso nella ricerca sociale l’autobiografia è “provocata” e richiesta dal ricercatore:

Thomas e Znaniecki nella loro ricerca “Il contadino polacco in Europa e in America”,

chiesero ad un immigrato polacco, Wladek Wisznienski, di scrivere la sua autobiografia,

dietro un compenso di denaro.

Quando l’autobiografia è commissionata dal ricercatore, può essere anche “indirizzata”

attraverso, ad esempio, una scaletta di temi che si ritiene utile che vengano trattati.

Un classico dell’utilizzo del resoconto autobiografico nella ricerca sociale è il la ricerca di

Edwin Sutherland “The Professional Thief” , che consiste nell’autobiografia di un ladro

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professionista. L’autobiografia venne scritta per i due terzi dal ladro, sulla base di un

elenco di argomenti preparato dal ricercatore, e venne poi integrata da conversazioni fra

il soggetto studiato e il ricercatore. La stesura finale risultò essere la sintesi di questi due

materiali, con una trentina di pagine relative all’interpretazione fatta dal ricercatore.

Il caso classico resta tuttavia quello dell’autobiografia scritta dall’autore e pubblicata

come testimonianza personale, senza commenti né interpretazioni.

Occorre tenere presente che l'autobiografia spesso "comprende soltanto quello che l'autore

ritiene interessante e drammatico e dotato di valore narrativo, mentre esclude tutto quello che ai suoi occhi

lo può screditare" .

Diari

Il diario è stato definito il “documento personale per eccellenza”. Le sue caratteristiche

peculiari sono costituite dal fatto che vengono scritti per uso strettamente personale e

simultaneamente agli avvenimenti descritti.

Il fatto soprattutto che il diario registri le azioni, le opinioni, i modi di vedere e di sentire

nello stesso momento in cui vengono vissuti dallo scrivente, rende questo tipo di

documento una testimonianza preziosa ed unica della vita interiore dello scrivente.

Nella tradizione della ricerca sociologica i diari hanno trovato una utilizzazione

soprattutto nei primi tempi, negli anni ’20 e ’30 quanto il modello dominante di ricerca

sociale era quello della Scuola di Chicago. Occorre precisare, che l’utilizzo dei diari è

sempre stato in “funzione ausiliaria” ad altri tipi di documentazione.

Un caso particolare di diario, utilizzato nella ricerca sociale, è rappresentato da resoconti

giornalieri compilati su richiesta del ricercatore. E’ in caso tipico dei “bilanci di tempo”,

consistenti in schede consegnate ai soggetto oggetto di studio, nelle quali la giornata è

suddivisa in frazioni di tempo e per ciascuna di esse si chiede a ognuno di annotare che

cosa ha fatto per un certo periodo (per esempio, una giornata o una settimana). La

tecnica – nel caso descritto tipicamente quantitativa – può essere anche estesa alla

rilevazione qualitativa.

Si può citare la ricerca di Mass e Kuypers , i quali, nel loro studio longitudinale sui

meccanismi di adattamento alla vecchiaia di un campione di 142 soggetti di classe sociale

elevata, chiesero ad un certo numero di tenere un diario per una settimana, invitandoli ad

andare oltre la semplice cronologia delle loro attività, annotando anche pensieri,

sentimenti e commenti.

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Lettere

Una delle prime e più note ricerche sociologiche, “Il contadino polacco in Europa ed in

America” di W. Thomas e F. Znaniecki, è in buona parte basata su lettere. Si tratta di

corrispondenza scambiata fra emigranti polacchi negli Stati Uniti e loro congiunti rimasti

in Polonia, che gli autori reperirono mettendo un annuncio sul giornale della comunità

polacca di Chicago nel quale offrivano un compenso per ogni lettera. In questo modo

essi riuscirono a mettere insieme un’imponente quantità di lettere, che utilizzarono come

materiale empirico per la loro ricerca (assieme ad articoli di giornali, e all’autobiografia di

Wladek Wisznienski.

Le lettere furono utilizzate per descrivere le forme tradizionali di vita nella campagna

polacca, i primi mutamenti sociali a seguito del processo di industrializzazione e di

inurbamento di fine secolo, la disorganizzazione della tradizionale società contadina e la

sua riorganizzazione in nuove forme, il processo di inserimento degli immigrati polacchi

negli Stati Uniti. Attraverso le lettere soprattutto gli autori cercarono di mettere a fuoco

gli aspetti soggettivi dei processi sociali, il rapporto che intercorre fra individuo e società

ed in particolare i meccanismi di adattamento degli individui ad una società in via di

trasformazione.

Da citare diverse ricerche che utilizzano il materiale “lettere”: quella di Salzinger che

utilizza le lettere scritte da bambini emotivamente disturbati, ai loro amici e parenti e

quella di Janowitz condotta sulla base di lettere a diari catturati durante la guerra ai

soldati tedeschi.

Interessante lo studio di Barbagli sui mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX

secolo, nel quale l’autore, assieme ad altro materiale empirico, si serve di altre 200

carteggi fra genitori e figli, fratelli e sorelle di famiglie nobili, intercorsi fra il XVII e il

XIX secolo e reperiti presso archivi storici, al fine di studiare le trasformazioni delle

relazioni familiari e la transizione dal modello tradizionale di distacco-deferenza a quello

moderno di intimità.

Un caso particolare è poi quello rappresentato dalle lettere spedite a giornali o settimanali

e le lettere inviate a personalità. Si tratta naturalmente di documenti assai diversi dai

precedenti, in quanto la componente di spontaneità e di rivelazione della propria

soggettività può essere oscurata dal fatto che si tratta di un documento destinato al

pubblico (o comunque a una figura pubblica). Tuttavia il fatto di poter raccogliere

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un’ampia documentazione omogenea può rendere questo materiale assai interessante per

un ricerca.

Le ricerche basate – esclusivamente o quasi – su materiali epistolari sono rare nella

ricerca sociale e sempre più lo sono diventate nel tempo. Occorre tenere presente che la

comunicazione a mezzo lettera è andata rarefacendosi nelle società moderne, in parallelo

con la diffusione del telefono (oggi, però, acquistano, importanza gli “messaggini”

telefonici, che sono diventati uno strumento di comunicazione).

Testimonianze orali

Una tecnica particolare nella ricerca sociale, che si allontana da quelle che sono le

caratteristiche tipiche del "documento", che si è venuto sviluppando negli ultimi anni,

consiste nel raccogliere sistematicamente testimonianze di vita dalla viva voce degli

individui.

Si tratta di provocare quelle che potremmo chiamare delle “autobiografie”.

Questo approccio è comune a diverse discipline sociali: dall’antropologia, dove lo studio

di società illetterate ha reso obbligatorio fin dall’inizio ilo ricorso alle fonti orali in

assenza di documentazione scritta; alla psicologia, che ci ha consegnato celebri “studi di

caso” nei quali la componente biografica ha avuto un ruolo esplicativo fondamentale

nella definizione di patologie psichiche; alla storia, nella quale in tempi abbastanza recenti

si è venuto sviluppando un movimento di “storia orale” che ha portato notevoli

contributi in diversi settori di storia contemporanea (storia del movimento operaio, storia

della condizione della donna, storia urbana, storia dell’industrializzazione, ecc.).

Narrare il proprio passato ad un intervistatore presenta notevoli similitudini con la

tecnica dell’intervista non strutturata.

Esistono tuttavia almeno tre importanti elementi di differenziazione.

Innanzitutto qui si tratta di raccontare la propria vita (in genere l’intera vita trascorsa): c’è

quindi una centratura sulla dimensione autobiografica che nelle interviste qualitative non

esiste, o perlomeno non è necessariamente presente.

In secondo luogo, nelle storie di vita il ruolo dell’intervistatore è assai più limitato. Egli

ha veramente la funzione di un puro e semplice “registratore”, così come avviene in

un’autobiografia dettata ad un magnetofono o in una lettera dettata dal contadino

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analfabeta allo scrivano. Spesso l’intervista sulla propria vita è un racconto

autobiografico che procede autonomamente quasi senza domande; e quando esse ci

sono, non sono delle domande vere e proprie, ma più che altro degli stimoli per meglio

articolare il ricordo o aiutare il narratore a connettere la sequenza dei fatti. Le movenze

della conversazione, quindi, non sono quelle dell’intervista, ma quelle del racconto

condotto sul filo della memoria.

Infine il metodo biografico non si preoccupa particolarmente della numerosità dei casi

studiati. Mentre le interviste qualitative vengono in genere condotte su alcune decine di

casi, le ricerche che si servono del metodo biografico si accontentano spesso di poche

unità: e questo approccio non esclude la possibilità di operare anche su un solo caso.

Spesso il ricorso alle testimonianze orali consiste nella registrazione dei ricordi delle

generazioni più anziane: quelle generazioni che - come scrive Evans nella sua ricerca sui

villaggi dell'East Anglia - rappresentano "per così dire storia vivente, e i suoi membri [sono] "libri

ambulanti"".

In un certo senso si può affermare, quindi, che intervistare le persone sulla loro vita

trascorsa è ancora un "leggere i documenti": solo che in questo caso si tratta di una

specie particolare di documenti, una sorta di "documenti viventi".

Ancora con le parole di Evans "queste persone anziane avevano fatto il loro mestiere, conservato le

tradizioni e usato gli attrezzi esattamente come avevano fatto i loto antenati per secoli, ed erano in grado

di descrivere accuratamente le loro attività in tutti i dettagli, in un linguaggio che possedeva di per se

stesso innumerevoli echi del passato" .

Quest'approccio all'acquisizione di materiale documentario attraverso testimonianze

orali, presenta diverse sfumature applicative. Le due forme principali nelle quali si

articola questa tecnica di ricerca sono: le storie di vita e la storia orale.

Storie di vita

La storia di vita è il racconto della vita di una persona da lei stessa fatto ad un

intervistatore attraverso conversazioni o interviste.

La storia di vita ha per oggetto un individuo, la sua biografia, le sue emozioni, il suo

modo di vedere, la concatenazione delle sue vicende personali.

Le storie di vita appartengono maggiormente alla tradizione sociologica.

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Per classificare le ricerche condotte in questo modo occorre fare riferimento al "modo

con in quale il materiale biografico viene trattato dal ricercatore".

Possiamo individuare tre approcci:

Il primo approccio consiste nella pura e semplice raccolta di autobiografie: i racconti

vengono messi assieme e pubblicati in un volume, con qualche pagina di

presentazione del ricercatore. Questo modo di utilizzare il materiale biografico viene

generalmente giustificato con la motivazione "naturalistica" del rispetto delle voci

narranti: riportare i racconti autobiografici nella loro veste originaria, senza selezione,

commento ed interpretazione, significa dare voce a che normalmente non ne ah; un

modo per permettere agli oppressi, ai marginali, agli esclusi dal potere di farsi

ascoltare, e al punto di vista della "classi subalterne" di venire alla luce, senza le

mediazioni del ricercatore. Senza negare il fascino di queste tranches de vie, spesso

suggestive e dal non trascurabile valore letterario, resta il fatto che "le storie di vita,

come ogni documento sociale, non parlano da sole, ma occorre interrogarle".

Il secondo approccio consiste nel presentare, assieme alle autobiografie, nella loro

interezza ed autonomia, anche un saggio interpretativo. E' questo il caso della più

volte citata ricerca di Thomas e Znaniecki sul contadino polacco. La prima parte

della ricerca consiste nella pubblicazione integrale di 754 lettere per un totale di oltre

600 pagine; esse sono precedute da un saggio di quasi 200 pagine di analisi della

società contadina polacca (la famiglia, il sistema delle classi, la vita economica, le

credenze religiose).

La terza metodologia per analizzare i documenti biografici consiste nel far interagire

sistematicamente materiale empirico ed interpretazione teorica, in un confronto

continuo che assume anche una sua visualizzazione nel modo con il quale il testo

viene costruito. La trattazione viene guidata dai problemi ed interrogativi teorici;

questi costituiscono il filo conduttore che lega il materiale empirico. Le

considerazioni socio-antropologiche non sono più elaborate separatamente dalla

presentazione dei documenti, ma commento interpretativo e testi autobiografici

sono integrati ed intrecciati: il commento guida ed il brano narrativo illustra,

sostiene, giustifica. In altre parole, la testimonianza orale non viene lasciata sola:

viene interpretata, gli episodi vengono legati l'un l'altro, spostati dal loro naturale

ordine cronologico, collocati in un contesto più ampio: il ricercatore si assume il

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compito di organizzare il materiale, trovare nessi logici ed instaurare connessioni fra

i fatti (per esempio, fra un certo tipo di socializzazione e certi comportamenti adulti);

egli dà ordine a quel "magma caotico, casualmente mutevole e vario" di cui sopra,

per "ricondurre almeno i suoi fenomeni essenziali ad uno schema esplicativo".

Storia orale

La storia orale è il racconto di una persona su avvenimenti ai quali essa ha preso parte.

La storia orale ha per oggetto la società, i costumi, gli avvenimenti sociali. La storia orale

appartiene, nella maggior parte dei casi, alla tradizione storica.

Tradizionalmente la storia è sempre stata considerata come quella disciplina che

utilizzava come fonti il materiale scritto, era l'antropologia che si serviva di fonti orali. In

anni recenti questa impostazione è stata criticata, e sempre più di frequente

testimonianze orali, memorie della propria vita trascorsa, sono state utilizzate per la

ricostruzione storica.

Quella che sarebbe poi stata chiamata "storia orale" ha preso l'avvio verso la fine degli

anni '40 presso la Columbia University, sviluppandosi rapidamente e dando luogo ad un

movimento che negli anni '60 negli Stati Uniti aveva diverse centinai di membri,

impegnati in progetti di registrazione dalla viva voce di testimoni oculari di fatti ed eventi

di rilevanza storica. Successivamente il movimento ha assunto caratteri più accademici,

ed un rilievo importante e venuta assumendo la scuola inglese. In generale si può dire

che uno degli obiettivi di questo movimento è stato quello di contrapporre alla storia

delle battaglie e dei trattati, la storia del popolo e della vita materiale, alla storia delle élite

e delle classi dominanti le vicende delle classi subalterne e delle minoranze etnico

linguistiche, alla storia degli imperialismi quella dei movimenti di liberazione nazionale e

razziale.

Documenti istituzionali

Anche la sfera pubblica di ogni società produce una serie infinita di documenti, che

rimangono come "tracce" di quella cultura che si offrono come documenti al ricercatore

sociale. Ed anche le "cose", oltre che le persone o le istituzioni, possono parlare al

ricercatore sociale, presentandosi come "tracce fisiche" della cultura che le ha prodotte.

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Per esempio, Michel Foucault ricostruisce la nascita e lo sviluppo, fra il XVI e il XIX

secolo, di quella che egli definisce la "società disciplinare", che si realizza attraverso la

messa a punto di tutto un insieme di procedure per "incasellare, controllare, misurare,

addestrare gli individui, renderli docili e utili allo stesso tempo"; e descrive questo processo a

partire sia da documenti scritti, come i regolamenti delle scuole e degli opifici, sia da

documenti materiali come l'architettura degli edifici. Egli per esempio mette in evidenza

le trasformazioni dell'architettura pubblica, che "non è più fatta per essere vista (fasto dei

palazzi), o per sorvegliare lo spazio esterno (geometria delle fortezze), ma per permettere un controllo

interno, articolato e dettagliato", per cui le scuole, gli ospedali, le manifatture, così come le

prigioni e le caserme, assumono il carattere di strutture di sorveglianza, attraverso

architetture circolari "che permettono di vedere senza interruzione e di riconoscere immediatamente" .

La stessa preoccupazione emerge da quelli che potremmo chiamare i "documenti

aziendali ed amministrativi" dell'epoca, per esempio gli ordinamenti gerarchici degli

opifici. L'autore, riporta fra gli altri il regolamento di una fabbrica francese del 1809, che

scandisce nei dettagli il sistema disciplinare sul lavoro. A partire da questi documenti, dai

regolamenti delle fabbriche, delle scuole, dell'esercito, degli ospedali, l'autore ricostruisce

il clima disciplinare dell'epoca, che controlla la vita dell'alunno, come quella del malato,

dell'operaio o del soldato in tutti i suoi minimi dettagli.

E' soprattutto la storia, fra le discipline umanistiche, che affida la sua conoscenza allo

studio dei documenti che le società hanno depositato nel corso dei secoli. Ma anche la

sociologia può trovare in essi una valida base empirica per lo studio della realtà con

temporanea.

Le società moderne producono ogni giorno un'enorme quantità di documenti, e dei più

diversi tipi: contratti, domande e offerte di lavoro, orari ferroviari, bollette del telefono,

schede di polizia, programmi televisivi, banconote, carte d'identità, giornali, annunci

pubblicitari, fatture commerciali, certificati anagrafici, schede elettorali, bilanci ed

organigrammi aziendali, pratiche assistenziali, registri ed elaborati scolastici, testamenti,

verbali di riunioni, sentenze di tribunali, e così via per infiniti altri esempi.

Questi documenti sono il prodotto della nostra vita istituzionalizzata, ed è per questo

motivo che li abbiamo ricondotti sotto il titolo generale di "documenti istituzionali"; più

frequentemente si tratta di testi scritti, anche se non mancano i documenti materiali. Essi

non si riferiscono solo ai momenti "alti" di una società e di una cultura (testo di una

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legge o di un trattato di pace fra due nazioni), ma sono prodotti anche, e soprattutto,

dalla vita ordinaria della gente comune.

I documenti istituzionali possono quindi, diventare dei "dati" per la ricerca, materiale

empirico per studiare i più diversi fenomeni sociali: dagli elenchi telefonici utilizzati per

ricostruire la distribuzione territoriale dei cognomi ed attraverso di essa le radici

geografiche e culturali delle diverse popolazioni regionali alle vendite di biglietti teatrali o

cinematografici per studiare i consumi culturali della popolazione.

Tutta una serie di documenti prodotti da atti amministrativi viene raccolta e

sistematizzata dallo stato per produrre le statistiche ufficiali: dagli atti di nascita, morte,

matrimonio, utilizzati al fine di produrre le statistiche demografiche; alle denunce

all'autorità giudiziaria per le statistiche sui reati; ai biglietti del cinema, del teatro e dei

musei per le statistiche culturali, e via dicendo. Nelle statistiche ufficiali questi documenti

vengono organizzati in modo tale da permettere una trattazione quantitativa delle

informazioni che essi contengono.

Non si può distinguere nettamente fra documenti adatti all'analisi quantitativa e

documenti trattabili qualitativamente: spesso lo stesso documento può essere analizzato

sia con tecniche quantitative sia con tecniche qualitative.

L'osservazione vale soprattutto per i documenti scritti (o "trascritti" a partire da

comunicazioni orali, quali il racconto di una fiaba o il resoconto di un cronista

televisivo). Un testo può essere analizzato sia in maniera qualitativa, interpretandolo nella

sua globalità e dal punto di vista dei suoi significati; sia in maniera quantitativa,

suddividendolo in elementi omogenei da mettere poi in relazione fra loro.

Mezzi di comunicazione di massa

Le comunicazioni di massa (cinema, stampa, radio e televisione, opere letterarie) sono

tutte testimonianze del continuo fluire di comunicazioni che si diramano in moltissime

direzioni, intersecandosi, e avvolgendo il singolo e i gruppi in una fitta rete, dalla cui

considerazione non si può prescindere per lo studio della società umana.

Una particolare attenzione al documento scritto o iconico dei mezzi di comunicazione di

massa è assicurata dall’analisi del contenuto si occupa del “che cosa” è comunicato (sulla

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base della nota definizione di Laswell: Who says to Whom under What Condition and

What Effects).

Un primo riconoscimento dell’importanza dello studio del contenuto dal punto di vista

quantitativo applicato ai mezzi d’informazione viene già da M. Weber nel 1910 nel corso

del primo congresso della Società tedesca di sociologia a Francoforte.

“Si dovrà prendere le forbici ed il compasso e misurare le variazioni quantitative del contenuto dei

giornali, specialmente per la pubblicità. Bisognerà osservare le variazioni quantitative fra feuillettons e gli

editoriali, tra gli editoriale e le notizie, tra cosa è generalmente riportato e cosa manca. […] Dalle

analisi quantitative si passerà, poi, alle qualitative. Dovremo individuare una tipizzazione degli stili dei

vari giornali, riscontrare le differenze nella trattazione di uno stesso problema da parte dei giornali [...]

osservare l'evidente repressione dell'emotività che è alla base dell'esistenza della stampa, e così via”.

E’ soprattutto con la prima guerra mondiale e con l’avvento in Europa dei regimi

totalitari, che la ricerca sociale sui contenuti della comunicazione individua nella

propaganda e, più in generale, nella comunicazione politica un campo privilegiato di

ricerca, ed è in questo campo che si perverrà ad una prima sistemazione metodologica,

soprattutto ad opera dello scienziato politico nordamericano H. D. Lasswell.

A partire dal 1930, Lasswell conduce con i cuoi collaboratori una serie di studi sulla

rilevanza, considerata decisiva, del contesto simbolico della comunicazione nella

determinazione dell’agire politico. Per Lasswell il potere politico, in quanto fenomeno

storico e sociale, può essere adeguatamente compreso nella misura in cui è meglio

compreso il linguaggio della politica, che a sua volta può essere studiato facendo ricorso

a procedimenti quantitativi di analisi.

Lasswell identifica un procedimento sistematico e quantitativo per l’analisi della

comunicazione politica attraverso l’individuazione nel messaggio di simboli o idee-chiave

e nella loro classificazione in categorie in base al loro significato e, successivamente, nel

calcolo delle frequenze dei simboli di ciascuna categoria nell’insieme dei messaggi

opportunamente selezionati e presi in considerazione nella ricerca.

Negli anni ’60 si diffonde anche nelle ricerche di analisi del contenuto l’uso del

computer, che consente, da un lato, si semplificare enormemente parte delle operazioni

di ricerca e, dall’altro, di gestire con rapidità ed efficacia una grande quantità di dati.

Un ulteriore filone di ricerca è anche quello relativo alle analisi del contenuto condotte in

base a disegni di ricerca riconducibili all’inchiesta, nelle quali il contenuto preso in

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considerazione non è più soltanto quello linguistico, ma anche quello extra-linguistico; e

anziché scomporre il contenuto stesso in unità semplici lo si prende in esame nella sua

globalità utilizzando una scheda d’analisi appositamente progettata e costruita, del tutto

simile, quanto a struttura, ad un questionario articolato in più aree problematiche.

Questo tipo di analisi si caratterizza come un’analisi interpretativa in senso più diretto, in

altre parole come un’analisi in cui viene definitivamente meno la pretesa di una

descrizione “obiettiva” del messaggio.

Narrativa

La narrativa può rappresentare una straordinaria fonte - per quanto in genere poco

utilizzata dai ricercatori sociali - di conoscenza sociale: "Un racconto non pretende

certamente di dire il vero, non è un'esposizione scientifica. Ma le sue caratteristiche

testuali, lo stile, la scrittura, l'abilità del narratore, consentono al lettore di accedere ad

una verità forse più profonda di tante esposizioni scientifiche" .

La narrativa consente di ricostruire un evento (storico, culturale, sociale) attraverso una

procedura di tipo empatico simile al resoconto di chi vi ha effettivamente personalmente

partecipato.

Deve essere ricordato, a questo proposito, una brillante antologia di Lewis Coser sulla

Sociologia attraverso la letteratura nella quale l'autore raccoglie una serie di brani tratti

da autori classici (da Dostoevskij a Proust, da Mark Twain ad Ignazio Silone, ecc.) su

temi prettamente sociologici quali cultura, socializzazione, stratificazione, potere ed

autorità, burocrazia, comportamenti di massa, devianza, ecc., mostrando come la

letteratura sia in grado di offrire grandi affreschi ed acute analisi sociali. Naturalmente si

tratta di materiale utile soprattutto per la fase interpretativa della ricerca, fonte per lo

studioso di spunti, idee, intuizioni, ipotesi. ma non va trascurato anche il suo potenziale

valore documentario: per esempio le descrizioni veriste di Emile Zola delle condizioni di

vita dei minatori nella Francia di fine '800 nel suo romanzo Germinal rappresentano un

documento sociale di grande capacità descrittiva.

Un'importante fonte documentaria sulla cultura di una società è rappresentata dai testi

pedagogici, dai libri di testo per le scuole, ecc.. Data la loro finalità - trasmettere alle

nuove generazioni i valori e le norme del mondo degli adulti - essi probabilmente sono lo

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specchio più fedele della cultura e dell'ideologia di ogni epoca. Numerose sono le

ricerche che sono state condotte su questo materiale, specie dagli studiosi dei processi

educativi. Ricordiamo, per esempio, una ricerca condotta in Italia sui libri di lettura delle

scuole elementari, nella quale sono stati confrontati i testi utilizzati in tre epoche diverse:

il periodo fascista, l'immediato dopoguerra e gli anni '70. Dalla ricerca sono emersi con

chiarezza i cambiamenti nei valori avvenuti nell'arco di tempo esaminato: per esempio ,

la perdita di rilevanza degli ideali della "patria" e del "coraggio", che da una posizione di

prevalenza negli anni '30 scompaiono quasi del tutto nei due periodi successivi; alla

crescita della "religione" nell'Italia democristiana degli anni '50; alla stabile presenza dei

valori legati alla "famiglia".

In questo contesto non si può dimenticare i documenti della "tradizione popolare". Sono

numerosissimi, in ogni società, i documenti che fanno capo al folklore ed alla

trasmissione orale fra generazioni. Una ricerca assai nota è Morfologia della fiaba dello

studioso russo Vladimir Propp (1928) che ha analizzato la struttura (o forma: morfologia

= studio delle forme) delle fiabe della tradizione popolare russa. La sua analisi si basa

sull'idea che le unità costitutive di una fiaba non sono i personaggi e gli avvenimenti, ma

le "funzioni" che questi personaggi e questi avvenimenti svolgono: cioè il significato che

assumono per lo sviluppo della vicenda. Ogni fiaba può essere, quindi, ridotta ad una

successione di funzioni, le quali - e questa è l'acquisizione più importante del suo studio -

si presentano secondo modelli ricorrenti (pur nella diversità di vicende, personaggi ed

ambientazioni).

Materiale giudiziario

Un ambito che offre molto materiale documentario alla ricerca sociale è quello

giudiziario. Sentenze dei tribunali, verbali dei processi, trascrizioni di interrogatori,

denunce, ecc. costituiscono un'importante base documentaria per molteplici fenomeni

sociali e in particolare per lo studio della devianza.

Una ricerca che fa ampio uso di questo tipo di documenti è lo studio di Diego Gambetta

sulla mafia siciliana. L'autore sviluppa la tesi che la mafia, malgrado si presenti con

manifestazioni brutali ed oscure, "così fuori dall'ordinario che viene naturale considerarle residui di

una cultura del passato", tuttavia non appartiene ad un mondo radicalmente diverso dal

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nostro, ma rappresenta "un caso particolare di specifica attività economica: è un'industria che

produce, promuove e vende protezione privata". A partire da questa definizione l'autore sviluppa

una ricognizione delle attività mafiose, svelando i meccanismi interni, i contratti fra

protettore e protetto, le garanzie offerte, i servizi prestati, le retribuzioni pattuite, il

controllo del territorio, i rapporti con l'autorità costituita e con la politica. Inoltre egli

analizza l'organizzazione della mafia, i riti di iniziazione, gli equilibri fra i gruppi, le

carriere mafiose, le alleanze, le norme interne, i codici di comportamento.

Il materiale documentario sul quale l'autore basa le sue ricostruzioni deriva in massima

parte da trascrizioni di testimonianze di "pentiti" rese ai giudici istruttori o in sede di

deposizione nei "maxiprocessi" che si tennero a Palermo ed Agrigento nella seconda

metà degli anni '80. Si tratta di documenti ricchi di episodi particolareggiati, di analisi

delle motivazioni del proprio agire da parte degli stessi protagonisti mafiosi, di abbozzi di

interpretazione del proprio vissuto, che forniscono al ricercatore informazioni preziose

sul fenomeno mafioso. Va detto che la produzione di materiale documentario a partire

dalle deposizioni di "pentiti" rappresenta un fatto abbastanza eccezionale nell'ambito

degli studi sulla devianza. Il caso in questione è tuttavia un buon esempio su come questi

documenti (ed in particolare le testimonianze degli imputati) posano essere utilizzati per

la ricerca sociale.

Un'altra fonte informativa di origine giudiziaria è rappresentata dalle sentenze dei

tribunali. Esse sono consultabili presso gli archivi dei tribunali; inoltre alcuni dei passi

delle sentenze di maggiore interesse sono pubblicati nelle riviste giuridiche, e le

"massime" delle sentenze (cioè i principi di diritto che si affermano nel risolvere i casi

concreti) sono annualmente raccolte nel "Repertorio generale annuale del foro italiano".

Documenti politici

Ricchissimo è il materia documentario che la politica offre al ricercatore sociale: basti

pensare agli atti parlamentari, ai programmi dei partiti, ai discorsi degli uomini politici,

alla propaganda elettorale. Va anche detto che i documenti della politica sono stati fra i

primi ad interessare gli studiosi e ad essere utilizzati per la ricerca sociale. Le prime

ricerche di analisi del contenuto ebbero infatti come oggetto la propaganda politica.

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Uno dei primi studi è quello condotto da Lasswell e Leiter (1949) sugli slogan utilizzati

nell'Unione Sovietica per la festa del 1° maggio fra il 1918 e il 1943, che gli autori

classificarono a seconda del contenuto in 11 categorie (simboli "rivoluzionari", come

internazionale comunista, socialismo, rivoluzione mondiale; simboli "nazionali", come

madrepatria, patriottismo, difesa, nemico, aggressione; simboli "di persone", come Lenin

e leninismi, Marx, Engels, Luxemburg, Hitler, ecc.), analizzando poi l'evolversi nel tempo

della frequenza di questi simboli (per esempio, trovarono, col succedersi degli anni ed il

progressivo istituzionalizzarsi della repubblica, un'attenuazione di simboli rivoluzionari

ed una crescita di quelli nazionali, un calo di quello "morali" come solidarietà, disciplina,

onore, ed una crescita di quelli "liberali" come fraternità, libertà, cittadinanza). Gli autori

utilizzarono quindi gli slogan del partito come indicatori della linea del partito e del clima

politico dell'epoca.

Fra gli studi più recenti possiamo menzionare la ricerca di Jeffrey Tulis (1978)

sull'evoluzione nel corso della storia americana della "retorica presidenziale", condotta

studiando gli "appelli alla nazione" dei presidenti, e cioè quella modalità comunicativa

consistente nel rapportarsi direttamente al popolo, saltando ogni mediazione istituzionale

(come quella rappresentata dal Parlamento). Tulis analizza i discorsi i discorsi dei

presidenti che si sono succeduti nella storia americana e mette in evidenza la profonda

trasformazione intervenuta fra il XIX e il XX secolo, dimostrando che la retorica

dell'appello presidenziale è un aspetto tipico della politica americana del '900: nel secolo

scorso i discorsi del presidente erano prevalentemente di carattere cerimoniale

patriottico, e soprattutto non erano mai finalizzati a mobilitare l'opinione pubblica per

influenzare il processo legislativo.

Naturalmente le elezioni rappresentano un momento di grande produzione di documenti

sulla vita politica di una nazione. Numerosissime sono le ricerche che hanno analizzato le

campagne elettorali, i programmi dei partiti, la propaganda politica. In una delle prime

ricerche sulle elezioni italiane, relativa alla consultazione del 1958 , troviamo due saggi di

analisi di documenti politici. Luigi Visentini analizza la campagna elettorale, notando i

cambiamenti in atto rispetto alle elezioni di cinque anni prima, sua nell'atmosfera

generale della contrapposizione (ricordiamo che la campagna del 1953 fu la più aspra

dell'intera storia repubblicana, con la battaglia sulla cosiddetta "legge truffa"), sia nei

mezzi comunicativi utilizzati (entra in crisi quello che era stato fino ad allora lo

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strumento principe della propaganda politica, il comizio in piazza). Egli analizza la

pubblicità sui giornali, gli slogan, i manifesti, le canzoni. Seguendo l'esempio di Lasswell,

utilizza gli slogan dei partiti come documenti in grado di sintetizzare in poche parole di

grande efficacia comunicativa l'ideologia del partito ed il fuoco della sua campagna

elettorale.

Documenti aziendali e amministrativi

Particolare interesse nella ricerca sociologica rivestono i documenti delle organizzazioni

del lavoro. Aziende, scuole, ospedali, ordini professionali, società per azioni, ecc. nel

corso della loro vita istituzionale producono tutta una serie di documenti che sono in

grado di fornire una completa rappresentazione del pezzo di società alla quale

appartengono: bilanci, lettere, circolari, organigrammi, elenchi dei soci, inventari di

magazzini, denunce dei redditi, verbali di riunioni, relazioni annuali, resoconti finanziari,

ecc.

Si tratta di materiale assai eterogeneo. Potremo dire che, come esistono i generi letterari,

esistono dei generi burocratici. Si pensi al linguaggio della presentazione di una mostra

d’arte o a quello delle descrizione del bouquet di un particolare vino; o ancora a quello di

un bilancio aziendale; oppure al prototipo di linguaggio criptico accessibile solo agli

iniziati, il linguaggio medico.

Molte sono le ricerche condotte a partire da questi documenti. Iniziamo dal mondo

aziendale in senso stretto. Un illustre precursore in questo campo fu Max Weber, il quale

di fronte alle profonde trasformazioni che l’avvento della grande industria stava

producendo sulla società, si interrogava sulle conseguenze “sull’indole personale, il destino

professionale e lo stile di vita extraprofessionale dei propri operai” chiedendosi anche “quali qualità

fisiche e psichiche sviluppa in loro e come queste si manifestano nella condotta di vita globale dei

lavoratori”. Per approfondire questi interrogativi nel 1908 condusse una ricerca su quella

che egli chiamò la “psicofisica del lavoro industriale” in una fabbrica tessile della

Wesfalia appartenente a certi suoi parenti.

Egli, per esempio, studiò le variazioni di produttività operaia, mettendola in relazione

con le variazioni climatiche, col tipo di retribuzione (a cottimo oppure oraria), con le

caratteristiche personali degli operai (differenze fra uomini e donne, fra giovani e adulti,

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fra coniugati e non coniugati, ecc.), con l’orario giornaliero di lavoro, col tipo di

macchine utilizzate (differenti tipi di telaio), ecc. In altre parole egli effettuò la ricerca a

partire a partire dai documenti aziendali, passando “lunghe settimane sui libri contabili e

sui registri della produzione”.

I bilanci delle amministrazioni pubbliche sono naturalmente un’importante base

documentaria per lo studio delle politiche pubbliche. Una ricerca che ha utilizzato questo

materiale documentario, ed in particolare i bilanci comunali, è stata condotta all’inizio

degli anni ’80 in Italia .

Le elezioni amministrative del 1975/76 avevano per la prima volta affidato alla sinistra

l’amministrazione di molti comuni importati: Roma, Milano Torino, Venezia, Firenze,

ecc. Sorte allora il problema di studiare la portata innovativa di queste nuove gestioni, ed

una questione specifica investì le spese per la cultura.

La ricerca riuscì a mettere a fuoco questi interrogativi a partire da un’analisi dei bilanci

comunali, che permettevano di distinguere, all’interno delle spese per la cultura, quelle

per le “feste popolari” dell’effimero dalle spese tradizionali (musei, biblioteche, teatri,

ecc.).

Anche il mondo della scuola offre una grande quantità di materiale documentario

utilizzabile dalla ricerca sociale,. Per esempio, i componimenti scritti di italiano (i “temi”),

che vengono a lungo conservati negli archivi degli istituti scolastici, potrebbero essere

utilizzati per studiare la trasformazione nel tempo della cultura giovanile o per fare

confronti fra le culture giovanili delle diverse zone sociali del paese (per esempio, la

visione del lavoro, dello stato, ecc. in un paesino dell’Italia meridionale e quella dei grandi

centri metropolitani del Nord).

Un sociologo inglese, Peter Woods, ha condotto negli anni ’70 una ricerca in un istituto

superiore di una cittadina industriale della Gran Bretagna. Nel corso del suo studio,

condotto principalmente mediante osservazione partecipante, egli si servì anche

ampiamente di materiale documentario archiviato presso la scuola. Per esempio, studiò il

processo di formazione dei giudizi degli insegnati sugli allievi e le sue categorie mentali

utilizzate a questo fine, attraverso le “schede” (school reports) compilate periodicamente

(alla fine dei trimestri o dei quadrimestri) dagli insegnati ed inviate ai genitori, nelle quali

per ogni studente viene riportato per ogni materia, oltre al voto, anche un giudizio

sintetico (per esempio: “lavora diligentemente”, manca di volontà di migliorare”, ecc.).

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Woods utilizza questi giudizi per analizzare la cultura degli insegnati ed il loro modo di

giudicare; egli sostiene ce “in nessun altro luogo il sistema di categorizzazione degli

insegnati è così chiaramente evidente e così succintamente cristallizzato come nelle

schede scolastiche”.

Il mondo della sanità produce una grande quantità di documenti utilizzabili dalla ricerca

sociale. Lindsay Prior, per esempio, ha condotto nel 1997 una ricerca sul modo di

classificare le malattie e le cause di morte da parte dell’Organizzazione mondiale della

sanità. L’autore sostiene che ogni sistema di classificazione non è l’accurata

rappresentazione di un ordine esterno inerente la realtà oggettiva, ma è una espressione

delle regole e dei temi che predominano in un certo contesto socioculturale. E’ compito

del ricercatore qualitativo far emergere quanto è proiezione della cultura della società

piuttosto che il riflesso di una realtà esterna.

Anche le associazioni professionali offrono ampio materiale al ricercatore sociale: albi,

ruoli, annuari, relazioni degli organi di governo dell’associazione, verbali delle sedute,

statistiche ufficiose, riviste di categoria, costituiscono una base documentaria

fondamentale per lo studio delle professioni.

Marco Santoro , per esempio, ha studiato la professione dei notati utilizzando

ampiamente i documenti della categoria. Per ricostruire la storia sociale e professionale

del gruppo, gli equilibri fra i diversi orientamenti culturali e politici e le loro

trasformazioni nel tempo, si è servito delle riviste professionali pubblicate a partire

dall’unità d’Italia, le quali oltre a offrire moltissime notizie e informazioni sulla storia

della professione (le convocazioni di convegni, le deliberazioni dei consigli notarili,

l’emanazione di provvedimenti relativi al notariato, i calendari dei lavori parlamentari per

la riforma della legge, ecc.) contengono numerosi indizi con cui ricostruire le diverse

“culture professionali” che hanno animato (e in parte animano) la professione: per

esempio, ha evidenziato la profonda frattura culturale e politica fra notai di città e notai

rurali, tra notai delle sedi settentrionali e notai del Mezzogiorno.

Tracce materiali

L’uomo, nel corso della sua attività, lascia anche delle tracce fisiche, dei documenti

materiali dai quali è possibile risalire alle attività che hanno prodotti.

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Webb e colleghi in un noto volume che negli anni ’60 per primo affrontò questa

problematica, distinsero due ampie categorie di tracce fisiche: le tracce di erosione e le

tracce di accrescimento.

Le tracce di erosione si hanno tutte le volte che un’attività umana provoca l’usura di un

determinato supporto fisico. E la misura di questa usura può essere utilizzata come

l’indicatore dell’attività che l’ha prodotta. Gli autori riportano il caso del museo della

scienza di Chicago, nel quale il rivestimento vinilico del pavimento attorno alla sezione

che esponeva pulcini vivi doveva essere rimpiazzato ogni sei mesi, mentre in altre parti

del museo questa sostituzione non si rendeva necessaria per anni. In maniera simile –

ancora evidenziano Webb e colleghi – la popolarità dei libri di una biblioteca può essere

rilevata a partire dall’usura delle pagine (bordi consumati, segnati, arricciati ed ingialliti

per l’uso) e riportano come l’International Enciclopedia of the Social Sciences della loro

biblioteca universitaria presentasse delle sezioni immediatamente distinguibili dal colore

diverso delle pagine a causa del loro maggiore utilizzo.

Le tracce di accrescimento sono rilevabili invece quando l’attività condotta provoca un

deposito materiale. Possiamo citare gli studi di Rathje sui rifiuti, il quale organizzò delle

squadre che ritiravano i rifiuti domestici di un campione della popolazione e li

classificavano, risalendo ad importanti acquisizioni sugli stili di vita delle famiglie.

Documenti visivi

Fotografia, cinema e televisione, oltre che oggetto di studio come prodotto culturale o

forme di comunicazione di massa, possono essere utilizzati anche come strumenti di

ricerca, come documenti sociali dalla rilevante valenza conoscitiva.

Come scrive Mattioli: “la storia delle indagini del sociale inizia con la fotografia, alla fine del primo

quarto del XIX secolo. Per oltre sessanta anni sono le fotografie a restituire la realtà sociale: ritratti, foto

di guerra, documenti sulla condizione degli emarginati delle grande metropoli della civiltà industriale,

reportage di viaggio nei paesi esotici, foto ricordo di vita quotidiana e familiare” .

L’osservatore partecipante si avvale spesso di tecniche fotografiche e cinematografiche

per registrare gli eventi osservati. Nelle scienze sociali la raccolta di informazioni visive

non gode di una tradizione consolidata (se si esclude il cinema documentario nel campo

dell’antropologia), per quanto la fotografia e la cinematografia abbiano esercitato sin

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dalle prime fasi del loro sviluppo rilevanti funzioni sociali. In parte ciò deriva dalle

particolari competenze, tecniche e non, che fotografare e filmare richiedono —

competenze che non fanno parte del bagaglio del ricercatore-tipo. A ciò si aggiungono

costi considerevoli sia per la raccolta delle informazioni sia per la loro divulgazione.

In ogni caso è bene tenere presente che per la ricerca sociale fotografare e filmare

presentano vantaggi notevoli per l’immediatezza e la ricchezza delle informazioni, alle

quali si aggiunge la possibilità di “rivedere la realtà” molte volte e coglierne ogni volta

nuovi elementi. Occorre avere una grande padronanza di un complesso di codici di

trasmissione (relativi ad aspetti tecnici quali l’inquadratura, l’illuminazione, il montaggio,

etc.), iconici (relativi alla riconoscibilità degli oggetti fotografati o filmati), iconografici

(relativi alla riconoscibilità delle combinazioni di oggetti) e socio-culturali (relativi all’uso

fatto delle immagini) al fine di ridurre l’ambiguità delle informazioni stesse) .

Mattioli suggerisce che “le tecniche e i dati visivi vanno utilizzati soltanto quando

offrono informazione aggiuntiva” rispetto a ciò che si può rilevare con tecniche più

tradizionali” .

L’utilizzo di tecniche e dati visivi appare particolarmente interessante nei seguenti casi.

Nella situazione di interazione tra osservatore e osservato in una situazione di

intervista la ripresa filmata permette di registrare elementi della comunicazione, sia

verbale che non verbale, che condizionano il processo di intervista (e ne possono

eventualmente distorcere gli esiti).

Nelle situazioni di photo-elicitation le immagini, che possono essere state prodotte

sia dal ricercatore sia dai soggetti della ricerca, possono essere mostrate a questi

ultimi al fine di stimolare un’intervista libera, di approfondire una storia orale,

insomma di alimentare l’autoriflessione e di registrare le interpretazioni,

presumibilmente più informate di quelle che potrebbe formulare il ricercatore, di ciò

che è stato fissato su pellicola.

Per approfondire la conoscenza dei soggetti oggetto di ricerca: si invitano questi

soggetti a fotografare/filmare se stessi (o il loro ambiente sociale) o quanto meno a

partecipare alle decisioni circa cosa riprendere. Si procede successivamente a

un’analisi delle immagini al fine di individuare assunti, percezioni, significati che

hanno guidato la loro produzione. Un lavoro emblematico di questo filone viene

descritto da Worth e Adair : ad alcuni membri di una tribù indiana nordamericana è

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stato insegnato a usare mezzi di ripresa perché registrassero usi, costumi, luoghi,

ecc..

Per saperne di più:

Piergiorgio Corbetta

La ricerca sociale: metodologia e tecniche (III - Le tecniche qualitative)

Il Mulino (Itinerari), 2003

Genova, 28 febbraio 2011