L'Amore Sprecato by Aurora Bagnalasta

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Alba, infermiera, due figli, sta per compiere quarant’anni quando decide di chiedere di più alla propria vita e al marito lontano. Come fosse un’amica, i suoi dubbi restano a lungo impressi nella mente. Con i toni dell’autenticità fa riflettere e commuove. Una donna semplice, un amore.

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Frontespizio

Aurora Bagnalasta

L’Amore Sprecato

2015

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Colophon

ISBN xxx1° edizione (digitale) 10 Maggio 2015

ISBN xxx2° edizione (cartacea) 10 Maggio 2015

Òphiere

Copyright © 2015 Aurora Bagnalasta

Casa Bonaparte 43024 Neviano degli Arduini – Parma

telefono [email protected]

http://www.ophiere.it/

Immagine di copertina elaborata a partire dalla fotografia di Anna Subbotina Fashion Sexy Woman with flowers.

FINITO DI PREDISPORRE PER LA DIFFUSIONE ELETTRONICA O A MEZZO STAMPANEL MESE DI MAGGIO 2015

PRESSO MAMMA EDITORI

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Dedica

Questo libro è dedicato a tutte quelle donne

che prigioniere di tele di ragno

apparentemente impossibili da lacerare,

fanno comunque un tentativo,

anche a costo di rimettersi in discussione.

La lontananza è il metodo migliore per scoprire quanto siano vicine due persone che dicono d’amarsi.

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1.

16 settembre 2008

Uno spiraglio di luce penetra dalle persiane marroni. La sveglia non è ancora suonata ma al solito i miei occhi sono già spalancati e rivolti al soffitto, forse per questio‑ne di abitudine. A farmi sentire a disagio sarà questo letto matrimoniale che ormai condivido solo con me stessa?

«Mattia, Sara, alzatevi che è ora. Dai!» Non riesco a resistere agli sbadigli e ancora stropicciata dal sonno vado incontro a quella che definirei la mia “giornata tipo”. Devo essere la prima ad andare in bagno ed è fon‑damentale, visto che ne abbiamo uno solo. I bambini lascerò che si alzino con calma. “Bambini”?! Dovrei dire “ragazzi”.

Perché non mi sveglio come le attrici nei film? Quel‑le che appena sollevano le palpebre sono già pimpanti, belle e fresche? Attrici come Angelina Jolie, con cin‑quanta figli e, comunque, tanto tempo a disposizione. Ovviamente grazie all’aiuto di quattrocento persone al suo servizio.

Specchio, specchio delle mie brame, ti prego nascon‑di le imperfezioni. Macché, è implacabile.

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Che palle! Anche se sono riuscita a dimagrire di tren‑ta chili, mi basta mangiare un panino che la mattina dopo ho addosso già 700 grammi! Dovrò stare a dieta per sempre? Licenzierò la mia bilancia.

Eppure mia madre dice che sono troppo esile ma, a lei, basta non essere d’accordo con me.

Mi osservo nel riflesso. I lunghi capelli castano‑bion‑do sono ben stretti in una comoda coda di cavallo. Un trucco essenziale e, poi, quegli occhiali con montatura nera a goccia che mi caratterizzano, forse un po’ démo‑dé, ma tanto non sono mai andata al passo coi tempi. Insignificante? Almeno non sono una fotocopia.

«Sara, sei sorda?»

«Uffa, che p... mi sto alzando.»

Ricorda vagamente la Valentina dei fumetti di Cre‑pax, sicuramente più vestita. Coi suoi sedici anni siamo in piena crisi adolescenziale. Una volta ho letto da qual‑che parte che, per curare la malattia nota come “adole‑scenza”, bisogna solo attendere che il tempo se la porti via, così io aspetto!

Mio marito sostiene che lei ha il mio stesso carattere e, naturalmente, si riferisce alla sua caparbietà e non alla sua dolcezza.

Meno male che la casa non è enorme: borsa in came‑ra da letto, giacca di jeans in soggiorno, zaini nella loro stanza, merende in cucina.

Speriamo che quei 700 grammi siano diventati 500.

«Mattia, lavati i denti e la faccia!»

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Il piccolo frequenta la quarta elementare e non fa storie... È ancora nella fase dell’obbedienza. Occhi vispi color nocciola e capelli castano‑biondo come i miei, è tondo come il suo sorriso e, da giocherellone qual è, dissemina i suoi pupazzi dappertutto. Lo scenario ca‑salingo è un campo di battaglia che non mi vede mai trionfatrice.

Caffè, caffè! La caffeina servirà a tenermi sveglia al‑meno sino a stasera. Spero.

Mia figlia è lentissima. Cresce ogni giorno di più e, prima o poi, mi aspetto di vedere qualche ragazzetto fis‑so accanto a lei. Per ora la compagnia che preferisce è quella della musica rock che già le rimbalza nelle orec‑chie dagli auricolari: Led Zeppelin, Nirvana, Metallica. Che gusti differenti. Io masticherei pane e Mina ogni momento.

«Mamma, Sara mi offende!»

«Microbo! Non è vero. È lui che sfotte.»

I tipici fratelli che se un minuto prima si amano, un minuto dopo sono già in grado di litigare tanto da co‑stringermi spesso ad alzare un po’ la voce per ripristinare l’ordine. Li gestisco io, visto che Loris non c’e mai e il metodo che preferisco è quello del bastone e della caro‑ta. Punizioni se sbagliano, ricompense se obbediscono. Semplice! ...A parole.

Loro dicono che sono un generale. Cioè quella che dice di “no” almeno nove volte su dieci.

Sarà vero ma li amo più della mia stessa vita.

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«Mamma aspetta! Ho dimenticato il libro di storia dell’arte.»

Le lancette dell’orologio ci obbligano a correre per‑ché siamo perennemente in ritardo, anche quando ci svegliamo in anticipo.

«Forza Sara, altrimenti facciamo tardi,» la esorto mentre tengo il motore dell’auto acceso.

«Uffa! Non l’ho fatto a posta.» Sara non può fare a meno di controbattere a ogni cosa che dico e io devo ri‑cordarmi che sono una persona calma, pacata e paziente.

«Bene. Andiamo».

Corri, corri, corri!

Ore 07.30. Lascio Sara alla fermata del pullman, mi assicuro che il piccolino entri a scuola e alle otto e mezza sono già a fare la spesa. Fettine di vitello o cosce di pol‑lo? Cosce di pollo perché costano meno ma sono buone lo stesso. Oserei dire che come le cucino io, in forno con le patate, sono una vera leccornia. Che brava “desperate housewive” che sono!

E frutta, che non fa mai male.

«Ciao Luigi, tutto bene?» Il fruttivendolo baffuto da cui mi servo mi ha vista crescere, suo figlio veniva alle superiori con me.

«Buongiorno Alba, certo che va tutto bene. Bisogna essere positivi e dire che va sempre bene. Guarda che sole che c’e oggi, ci sorride.»

Fisico adusto e un viso rugoso nel quale affondano occhi chiari e venosi. Il figlio Diego non gli somiglia per niente, né esteticamente né caratterialmente, tanto

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che in classe lo chiamavamo “il ragazzo triste”. Secondo me, era così felice della sua tristezza che, pur di riuscire ad autocommiserarsi, i problemi se li sarebbe inventati.

Ma bando alle ciance! Alle dieci eccomi in casa a sbizzarrire la mia fantasia di cuoca provetta.

Accompagnare la porta col piede per chiuderla è d’obbligo se le buste della spesa sono più di due.

A quest’ora casa mia riceve la luce migliore dalla por‑ta‑finestra del soggiorno. Il pavimento è completamente irradiato dai raggi del sole e i giocattoli in terra quasi brillano all’ombra del divano color caramello.

Per poco non inciampo sul coniglio di peluche. In momenti come questi mi sento ridicola e sfigata come un ragionier Fantozzi.

***

«Come va? I ragazzi sono a scuola?»

«Sì, sì. Tranquillo!» Da tempo le telefonate con Loris hanno assunto un tono assai poetico, non c’è che dire.

Mio marito è alto e ha un fisico atletico che gli toglie qualche anno. Ha folti capelli di colore nero, come la figlia, e occhi color nocciola come il figlio ma lo sguardo è diverso da quello di Mattia. È spento. Spesso la barba è incolta e ha preso il vizio di fumare perché, come dice lui, gli distende i nervi. A volte il fumo circonda il suo volto come fosse il Big Ben con intorno la tipica nebbia dell’inverno londinese.

“Se almeno ci fosse il mare,” ripete frequentemente mentre annega nel grigiore del paesaggio milanese.

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Non si abituerà mai a quelle temperature gelide, lui che adora il panorama caldo tipico del litorale, con l’o‑dore della brezza marina che invade le narici.

Ci sono periodi in cui il malumore peggiora nello scrutare il cielo scuro e piovoso e, secondo voi, su chi scaricherà questo cupo stato d’animo? ...Beh! Almeno si dirà che noi mogli serviamo a qualcosa.

«Ci sentiamo stasera.» Pochi minuti per rassicurarlo e per tranquillizzare me stessa nel sapere che anche lui sta bene. D’altronde sono affezionata al padre dei miei figli...

“Affezionata”! La verità è che, se mi volto indietro, mi accorgo che sono già trascorsi sei anni e ho dovuto imparare a convivere con la sua lontananza. È divenuto la voce all’altro capo del telefono.