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L’Aminta MusicaleFavola cantata

dai versi

di

Torquato Tasso

di e con:

Francesca Del Bianchi

Regia: Laura Tedesco

Chitarra: Danilo Nastasi

Flauto traverso: Alessandro Cilona

Violino: Claudio Scimia

Aiuto Regia: Alessandra Notaro

Grafica: Giacomo Zilocchi

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L’Aminta MusicaleI

L’Aminta MusicaleRaccontando l’Aminta di Torquato Tasso, favola boschereccia in cinque atti, ho provato ad intonare un testo classico della letteratura italiana del Cinquecento: ho scelto solo alcuni versi e li ho cantati per raccontare la storia di Aminta e Silvia in otto canzoni ed un prologo. Il progetto è ambizioso ma nasce dal desiderio di mettere in pratica i miei studi e rispondere, almeno in parte, alla domanda: “Cosa vuol dire intonare un classico?”. Vuol dire leggere un testo che rappre-senti, nello stesso momento, un punto di arrivo e un punto di partenza per infinite riletture. La “mia” ha scoperto una favola profondamente attuale in molti aspetti: nel medesimo bisogno di bellezza, nella dura critica del satiro al «secol d’oro ove sol vince l’oro e regna l’oro», ma soprattutto nell’invocazione finale ad Amore, con la speranza che «restringa», cioè avvicini, ciò che la morte sembra aver allontanato. L’approccio al testo può sembrare madrigalistico ma il prodotto musicale si allontana molto dalla prassi cinquecentesca: non elaborata polifonia vocale ma semplici canzoni nate abbracciando una chitarra per portare avanti il testo di Tas-so, riallacciandomi alla tradizione popolare dei cantastorie che collocano la lingua al centro della narrazione. Le immagini che accompagnano il racconto si ispirano alla prima rappresentazione dell’Aminta che ebbe luogo a Ferrara nel 1573 sull’isola di Belvedere. Ringrazio il mio profes-sore Franco Piperno ed i miei “compagni d’avventura”: Laura Tedesco, Giacomo Zilocchi, Danilo Nastasi, Claudio Scimia, Alessandro Cilona, Alessandra Notaro, Silvia Falcone, Vitalik Vecerschi, Naima Savioli, Gi-anluca Leonardi.

Francesca Del Bianchi

I “L’Aminta musicale, il primo libro de’ madrigali a cinque voci, con un dialogo a otto” di Erasmo Marotta (Venezia, A. Gardano, 1600) mi ha suggerito il titolo del progetto: in questo libro quasi tutti i versi intonati sono tratti dall’Aminta di Torquato Tasso. Pochi anni prima Simone Balsamino intona versi tratti dall’Aminta di Tasso nelle “Novellette a sei voci” (Venezia, Amadino,1594).

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Note di Regia

L’Aminta è una storia di amore e morte, e di riti di passaggio verso un’età adulta, dunque non poteva non prendere l’attenzione di un gruppo di giovani artisti soprattutto in un tempo, come il nostro, in cui affrontare le naturali e necessarie fasi della vita sta diventando sempre più complicato e precario. La ricerca è partita da un’attenta lettura del testo da una prospettiva consapevole del valore storico/letterario dell’opera e, allo stesso tempo, incline a rivisitarlo alla luce di quello che è il nostro sentire contemporaneo: da un lato, dunque, visto come dramma pastorale del 500 dall’altro, come un testo attraverso il quale l’autore esprime un suo disappunto verso le regole che gestiscono la società (e questo dovrebbe ricordarci alcune tematiche attuali). In quest’ottica la direzione intrapresa dal gruppo è quella di amalgamare e rielaborare più ambiti artistici: alle parole alte del Tasso si associano musiche dagli influssi melodici più disparati, al dramma amoroso si abbina un dialogo cantastorie-autore dove il gioco linguistico spazia dal colloquiale all’aulico. Partendo da questo accostamento musica-narrazione, lo spettacolo risulta composto su due livelli: un livello è espresso attraverso il racconto fiabesco sostenuto da strumenti musicali che suonano le note sentimentali dei personaggi. L’altro livello fa agire i musicisti in uno spazio ovale in cui ogni spettatore viene reso partecipe in prima persona della narrazione. In questo modo la quarta parete risulta completamente abbattuta e chi guarda si ritrova traghettato in uno spazio ambiguo al confine tra sogno e critica del nostro vivere.

Laura Tedesco

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Il più sincero ringraziamento da parte di tutto il gruppo è rivolto a chi ha contribuito alla nascita di questa favola cantata con la campagna di raccolta fondi sul sito Indiegogo.com: grazie ad Andrea, Alice Bondì, Andrea Ardissone, Anna Tedesco, Barbara Filippi, Bianca Menghi, Blanche Lacoste, Claudia Carmina, Domenica Perrone, Donatella La Monaca, Elena Fratini, Ester Perrone, Eugenia Chianese, Fabrizio Cardinale, Fabrizio Tortorella, Federico Del Bianchi, Francesca Zacchia, Giovanni Gaetani, Giusy Di Gioia, Ivana Liberati, Leonardo Tortorella, Letizia Galioto, Maria Di Venuta, Maria Teresa Forle, Martina Piperno, Massimo Caccamo, Monica Sorci, Piernunzio Pennisi, Sabina Perrone, Salvatore Perrone, Simonetta Ruju, Tommaso Giuriati, Tonino Menghi, Virginia Dos Santos e ai soci della Dante Alighieri (comitato di Palermo).

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Indice

L’Aminta Musicale _____________________________________________ pag.4

Note di Regia __________________________________________________ pag.6

Prologo ________________________________________________________ pag.8

1. Pazzarella ______________________________________________ pag.12

2. Il bacio _________________________________________________ pag.18

3. Onor ___________________________________________________ pag.22

4. Satiro Blues ____________________________________________ pag.26

5. Verdincanto ____________________________________________ pag.30

6. Dolor __________________________________________________ pag.32

7. A Dio, pastori! __________________________________________ pag.34

Epilogo _______________________________________________________ pag.36

Appendice Iconografica _______________________________________ pag.38

Bibliografia ___________________________________________________ pag.45

Discografia ___________________________________________________ pag.46

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(Amore)

Chi crederia che sotto umane forme

e sotto queste pastorali spoglie

fosse nascosto un dio? Non mica un dio

selvaggio, o de la plebe degli dei,

ma tra’ grandi e celesti il più potente,

che fa spesso cader di mano a Marte

la sanguinosa spada, ed a Nettuno

scotitor de la terra il gran tridente,

ed i folgori eterni al sommo Giove.

In questo aspetto, certo, e in questi panni

non riconoscerà sì di leggero

Venere madre me suo figlio, Amore.

(Amore)

Chi crederia che sotto umane forme

e sotto queste pastorali spoglie

fosse nascosto un dio? Non mica un dio

selvaggio, o de la plebe degli dei,

ma tra’ grandi e celesti il più potente,

Venere madre me suo figlio, Amore.

PrologoII

Testo Tasso (Prologo, vv. 1-86) III Testo musicato

II T. Tasso, Teatro, cit., pp. 5-8; nel canto ho imitato una melodia usata per intonare le ottave tas-siane della Gerusalemme Liberata nella campagna romana, raccolta e trascritta da Giorgio Nataletti in Canti popolari italiani, a c. di R. Leydi, Milano, Mondadori, 1973, pp. 239-240.

III In grassetto il testo modificato o espunto.

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(v. 38)

Questo io so certo almen: che i baci miei

saran sempre più cari a le fanciulle,

se io, che son l’Amor, d’amor m’intendo;

onde sovente elle mi cerca in vano,

che rivelarmi altri non vuole, e tace.

Ma per istarne anco più occulto, ond’ella

ritrovar non mi possa ai contrasegni,

deposto ho l’ali, la faretra e l’arco.

Non però disarmato io qui ne vengo,

che questa, che par verga, è la mia face

(così l’ho trasformata), e tutta spira

d’invisibili fiamme; e questo dardo,

se bene egli non ha la punta d’oro,

è di tempre divine, e imprime amore

dovunque fiede. Io voglio oggi con questo

far cupa e immedicabile ferita

nel duro sen de la più cruda ninfa

(v. 38)

Questo so certo almen: ch’i baci miei

saran sempre più cari a le fanciulle,

se io, che son l’Amor, d’amor m’intendo;

Io voglio oggi

far cupa e immedicabile ferita

nel duro sen de la più cruda ninfa

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che mai seguisse il coro di Diana.

Né la piaga di Silvia fia minore

(che questo è’l nome de l’alpestre ninfa)

che fosse quella che pur feci io stesso

nel molle sen d’Aminta, or son molt’anni,

quando lei tenerella ei tenerello

seguiva ne le caccie e nei diporti.

E, perché il colpo mio più in lei s’interni,

aspetterò che la pietà mollisca

quel duro gelo che d’intorno al core

l’ha ristretto il rigor de l’onestate

e del virginal fasto; ed in quel punto

ch’ei fia più molle, lancerogli il dardo.

che mai seguisse Diana.

E aspetterò che la pietà mollisca

quel duro gelo intorno al core

ed in quel punto lancerogli il dardo.

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(v. 80)

Spirerò nobil sensi a’ rozzi petti,

raddolcirò de le lor lingue il suono;

perché, ovunque i’mi sia, io sono Amore,

ne’ pastori non men che negli eroi,

e la disagguaglianza de’soggetti

come a me piace agguaglio; e questa è pure

suprema gloria e gran miracol mio:

render simili a le più dotte cetre

le rustiche sampogne; e, se mia madre,

che si sdegna vedermi errar fra’ boschi,

ciò non conosce, è cieca ella, e non io,

cui cieco a torto il cieco volgo appella.

(v. 80)

perché, ovunque i’mi sia, io sono Amore,

i pastori e gli eroi,

come a me piace agguaglio; e questa è pure

suprema mia gloria e gran miracol mio.

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PazzarellaIV

Testo Tasso (Atto I, scena 1, vv. 92-198) V Testo musicato

IV T. Tasso, Teatro, cit., pp. 9-13.

V In grassetto il testo modificato o espunto.

(Dafne)

Vorrai dunque pur, Silvia,

dai piaceri di Venere lontana

menarne tu questa tua giovinezza?

Né’l dolce nome di madre udirai,

né intorno ti vedrai vezzosamente

scherzar i figli pargoletti? Ah, cangia,

cangia, prego, consiglio,

pazzarella che sei.

(Silvia)

Altri segua i diletti de l’amore,

se pur v’è ne l’amor alcun diletto:

ma questa vita giova, e ‘l mio trastullo

è la cura de l’arco e degli strali;

seguir le fere fugaci, e le forti

atterrar combattendo; e, se non mancano

(Dafne)

Vorrai dunque pur, Silvia,

dai piaceri di Venere lontana

menarne tu questa tua giovinezza?

Ah, cangia, cangia, consiglio,

pazzarella che sei. Cangia, cangia.

(Silvia)

Altri segua i diletti de l’amore,

se pur v’è ne l’amor alcun diletto:

a me questa vita giova,

la cura de l’arco e

seguir le fere fugaci.

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saette a la faretra, o fere nel bosco,

non tem’io che a me manchino diporti.

(Dafne)

Insipidi diporti veramente,

ed insipida vita; e, s’a te piace,

è sol perché non hai provata l’altra.

Così la gente prima, che già visse

nel mondo ancora semplice ed infante,

stimò dolce bevanda e dolce cibo

l’acqua e le ghiande, ed or l’acqua e le

ghiande

sono cibo e bevanda d’animali,

poi che s’è posto in uso il grano e l’uva.

Forse, se tu gustassi anco una volta

la millesima parte de le gioie

che gusta un cor amato riamando,

diresti, ripentita, sospirando:

(Dafne)

Insipidi diporti,

ed insipida vita; e, s’a te piace,

è sol perché non hai provata l’altra.

se tu gustassi

la millesima parte de le gioie

che gusta un cor amato riamando,

diresti, sospirando:

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- Perduto è tutto il tempo,

che in amar non si spende.

O mia fuggita etate,

quante vedove notti,

quanti dì solitari

ho consumati indarno,

che si poteano impiegar in quest’uso,

il qual più replicato è più soave!

Cangia, cangia consiglio,

pazzarella che sei,

che ‘l pentirsi da sezzo nulla giova.

(Silvia)

Quando io dirò, pentita, sospirando,

queste parole che tu fingi ed orni

come a te piace, torneranno i fiumi,

a le lor fonti, e i lupi fuggiranno

- Perduto è tutto il tempo,

che in amar non si spende.

Ah, cangia, cangia, consiglio,

pazzarella che sei . Cangia, cangia.

(Silvia)

Quando io dirò, pentita,

queste parole

torneranno i fiumi,

a le lor fonti,

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dagli agni, e l’ veltro le timide lepri,

amerà l’orso il mare, e ‘l delfin l’alpi.

(Dafne)

Conosco la ritrosa fanciullezza:

qual tu sei, tal io fui; così portava

la vita e ‘l volto, e così biondo il crine,

e così vermigliuzza avea la bocca,

e così mista col candor la rosa

ne le guancie pienotte e delicate.

(da v.169)

Così spero veder ch’anco il tuo Aminta

pur un giorno domestichi a tua

rozza selvatichezza, ed ammolisca

questo tuo cor di ferro e di macigno.

Forse ch’ei non è bello? O ch’ei non t’ama?

O ch’altri lui non ama? O ch’ei si cambia

amerà l’orso il mare, e ‘l delfin l’alpi.

(Dafne)

Conosco la ritrosa fanciullezza:

qual tu sei, io fui;

(da v.169)

Così spero veder ch’anco il tuo Aminta

un giorno ammolisca

questo tuo cor di ferro:

forse ch’ei non è bello? o ch’ei non t’ama?

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Per l’amor d’altri? Over per l’odio tuo?

Forse ch’in gentilezza egli ti cede?

(Silvia) (da v.192)

Faccia Aminta di sé e de’ suoi amori

quel ch’a lui piace: a me nulla ne cale;

e, pur che non sia mio, sia di chi vuole;

ma esser non può mio, s’io lui non voglio;

né, s’anco egli mio fosse, io sarei sua.

(Dafne)

Onde nasce il tuo odio?

(Silvia)

Dal suo amore.

(Silvia) ( da v.192)

Faccia Aminta di sé e de’ suoi amori

quel ch’a lui piace: a me nulla ne cale;

e, pur che non sia mio, sia di chi vuole;

(Dafne)

Dove nasce il tuo odio?

(Silvia)

Dal suo amore.

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AmintaVI

Testo Tasso (atto I, scena 2, vv. 338-349)VII Testo musicato

VI T. Tasso, Teatro, cit., pp. 19-20.

VII In grassetto il testo modificato o espunto.

Ho visto al pianto mio

Risponder per pietà i sassi e l’onde,

e sospirar le fronde

ho visto al pianto mio;

ma non ho visto mai,

compassion ne la crudele e bella,

ma niega d’esser donna,

poiché nega pietate

a chi non la negaro

le cose inanimate.

Ho visto al pianto mio

Risponder per pietate i sassi e l’onde,

e sospirar le fronde

ho visto al pianto mio;

ma non ho visto mai,

né spero di vedere,

compassion ne la crudele e bella,

che non so s’io mi chiami o donna o fera;

ma niega d’esser donna,

poiché nega pietate

a chi non la negaro

le cose inanimate.

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Il bacioVIII

Testo Tasso (Atto I, scena 2, vv. 442-493) IX Testo musicato

VIII T. Tasso, Teatro, cit., pp. 24-26.

IX In grassetto il testo modificato o espunto.

(Aminta)

A l’ombra d’un bel faggio Silvia e Filli

sedean un giorno, ed io con loro insieme,

quando un’ape ingegnosa, che cogliendo

sen’giva il mel per que’ prati fioriti,

a le guancie di Fillide volando,

a le guancie vermiglie come rosa,

le morse e le rimorse avidamente:

ch’a la similitudine ingannata

forse un fior le credette. Allora Filli

cominciò lamentarsi, impaziente

de l’acuta puntura;

ma la mia bella Silvia disse: “Taci,

taci, non ti lagnar, Filli, perch’io

con parole d’incanti leverotti

il dolor de la picciola ferita.

A me insegnò già questo secreto

(Aminta)

A l’ombra d’un bel faggio Silvia e Filli

sedean un giorno, ed io con loro insieme,

quand’ ape ingegnosa,

a le guancie di Fillide volando,

a le guancie vermiglie come rosa,

le morse e le rimorse avidamente.

Allora Filli

cominciò lamentarsi, impaziente

de l’acuta puntura;

ma Silvia disse: ”Taci,

non ti lagnar, Filli, perch’io

con parole d’incanti leverotti

il dolor de la picciola ferita”.

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la saggia Aresia, e n’ebbe per mercede

quel mio corno d’avolio ornato d’oro”.

Così dicendo avvicinò le labra

de la sua bella e dolcissima bocca

a la guancia rimorsa, e con soave

sussurro mormorò non so che versi.

Oh mirabili effetti! Sentì tosto

cessar la doglia, o fosse la virtute

di que’ magici detti o, com’io credo,

la virtù de la bocca

che sana ciò che tocca.

Io, che sino a quel punto altro non volsi

che ‘l soave splendor de gli occhi belli,

e le dolci parole, assai più dolci

che ‘l mormorar d’un lento fiumicello

che rompa il corso fra minuti sassi,

o che ‘l garrir de l’aura infra le frondi,

allor sentii nel cor novo desire

Così dicendo avvicinò le labbra

De la sua bella e dolcissima bocca

e con soave

sussurro mormorò non so che versi.

Oh mirabili effetti! Sentì tosto

cessar la doglia,

con que’ magici detti o, com’io credo,

la virtù de la bocca

che sana ciò che tocca.

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(guarda quanto Amore

aguzza l’intelletto!), mi sovvenne

d’un inganno gentile,

e finsi ch’un’ape avesse morso

il mio labro di sotto, incominciai

a lamentarmi di cotal maniera.

La semplicetta Silvia,

pietosa del mio male,

s’offrì di dar aita

a la finta ferita, ahi lasso, e fece

più cupa e più mortale

la mia piaga verace,

d’appressare a la sua questa mia bocca;

e fatto non so come astuto e scaltro

più de l’usato (guarda quanto Amore

aguzza l’intelletto!), mi sovvenne

d’un inganno gentile, co ‘l qual io

recar potessi a fine il mio talento:

ché fingendo ch’un’ape avesse morso

il mio labro di sotto, incominciai

a lamentarmi di cotal maniera,

che quella medicina che la lingua

non richiedeva, il volto richiedeva.

La semplicetta Silvia,

pietosa del mio male,

s’offrì di dar aita

a la finta ferita, ahi lasso, e fece

più cupa e più mortale

la mia piaga verace,

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quando le labbra sue

giunse a le labra mie.

quando le labra sue

giunse a le labra mie.

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OnorX

Testo Tasso (Atto I, scena 2, vv. 656-723) XI Testo musicato

X T. Tasso, Teatro, cit., pp. 33-36; nel canto ho imitato la melodia del brano “Old Adam Brown” di Benjamin Britten, tratto dalla raccolta per voci bianche e pianoforte Friday Afternoon, op. 7 , 1936.

XI In grassetto il testo modificato o espunto.

(Coro)

O bella età de l’oro,

non già perché di latte

sen’ corse il fiume e stillò mele il bosco;

non perché i frutti loro

dier da l’aratro intatte

le terre, e gli angui errar senz’ira o tosco;

non perché nuvol fosco

non spiegò allor suo velo,

ma in primavera eterna,

ch’ora s’accende e verna,

rise di luce e di sereno il cielo;

né portò peregrino

o guerra o merce agli altrui lidi il pino;

ma sol perché quel vano

nome senza soggetto,

(Coro)

O bella età de l’oro,

non già perché di latte

sen’ corse il fiume e stillò mele il bosco;

non perché i frutti loro

dier da l’aratro intatte

le terre, e gli angui errar senz’ira o tosco;

non perché nuvol fosco

non spiegò allor suo velo,

ma sol perché quel vano

nome senza soggetto,

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quell’idolo d’errori, idol d’inganno,

quel che dal volgo insano

onor poscia fu detto,

non mischiava il suo affanno

fra le liete dolcezze

de l’amoroso gregge;

(v. 695)

Tu prima, Onor, velasti

la fonte dei diletti,

negando l’onde a l’amorosa sete;

tu a’ begli occhi insegnasti

di starne in sé ristretti,

quell’idolo d’errori, idol d’inganno,

quel che dal volgo insano

onor poscia fu detto,

che di nostra natura ‘l feo tiranno,

non mischiava il suo affanno

fra le liete dolcezze

de l’amoroso gregge;

né fu sua dura legge

nota a quell’alme in libertate avvezze,

ma legge aurea e felice

che natura scolpì: S’ei piace, ei lice.

(v. 695)

Tu prima, Onor, velasti

la fonte dei diletti,

negando l’onde a l’amorosa sete;

tu a’ begli occhi insegnasti

di starne in sé ristretti,

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e tener lor bellezze altrui secrete;

tu raccogliesti in rete

le chiome a l’aura sparte;

tu i dolci atti lascivi

festi ritrosi e schivi;

opra è tua sola, o Onore,

che furto sia quel che fu don d’Amore.

Ma tu, d’Amore e di Natura donno,

tu domator de’ regi,

che fai tra questi chiostri,

che la grandezza tua capir non ponno?

Vattene, e turba il sonno

agl’illustri e potenti:

e tener lor bellezze altrui secrete;

tu raccogliesti in rete

le chiome a l’aura sparte;

tu i dolci atti lascivi

festi ritrosi e schivi;

ai detti il fren ponesti, ai passi l’arte;

opra è tua sola, o Onore,

che furto sia quel che fu don d’Amore.

E son tuoi fatti egregi

le pene e i pianti nostri.

Ma tu, d’Amore e di Natura donno,

tu domator de’ regi,

che fai tra questi chiostri,

che la grandezza tua capir non ponno?

Vattene, e turba il sonno

agl’illustri e potenti:

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noi qui, negletta e bassa

turba, senza te lassa

viver ne l’uso de l’antiche genti.

Amiam, amiam, amiam, che non ha tregua

con gli anni umana vita, e si dilegua.

Amiam,amiam, amiam, che ‘l sol si muore e poi rinasce:

a noi sua breve luce

s’asconde, e ‘l sonno eterna notte adduce.

noi qui, negletta e bassa

turba, senza te lassa

viver ne l’uso de l’antiche genti.

Amiam, che non ha tregua

Con gli anni umana vita, e si dilegua.

Amiam, che ‘l sol si muore e poi rinasce:

a noi sua breve luce

s’asconde, e ‘l sonno eterna notte adduce.

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Satiro BluesXII

Testo Tasso (Atto II, scena 1, vv. 724-820)XIII Testo musicato

XII T. Tasso, Teatro, cit., p. 37.

XIII In grassetto il testo modificato o espunto.

(Satiro)

Picciola è l’ape, e fa col picciol morso

Pur gravi e pur moleste le ferite;

ma qual cosa è più picciola d’Amore,

se in ogni breve spazio entra, e s’asconde

in ogni breve spazio? Or sotto a l’ombra

de le palpebre, or tra’ minuti rivi

d’un biondo crine, or dentro le pozzette

che forma un dolce riso in bella guancia;

e pur fa tanto grandi e sì mortali

e così immedicabili le piaghe.

Ohimè, che tutta piaga e tutte sangue

Son le viscere mie; e mille spiedi

Ha negli occhi di Silvia il crudo Amore.

Crudel Amor, Silvia crudele ed empia

Più che le selve! Oh come a te confassi

Tal nome, e quanto vide chi te ‘l pose!

(Satiro)

Picciola è l’ape, e fa col picciol morso

Pur gravi e pur moleste le ferite;

ma qual cosa è più picciola d’Amore,

se in ogni breve spazio entra, e s’asconde

sotto l’ombra

de le palpebre,

o d’un biondo crine, o dentro le pozzette

d’un dolce riso;

e pur fa tanto grandi e sì mortali

e immedicabili le piaghe.

Crudel Amor, Silvia crudele

Più che le selve!

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Celan le selve angui, leoni ed orsi,

dentro il lor verde: e tu dentro al bel petto

nascondi odio, disdegno ed impietate,

fere peggior ch’angui, leoni ed orsi

che si placano quei, questi placarsi

non possono per prego né per dono.

Ohimè, quando ti porto i fior novelli,

tu li ricusi, ritrosetta, forse

perché pomi più vaghi hai nel bel seno.

Lasso, quand’io t’offrisco il dolce mele,

tu lo disprezzi, dispettosa, forse

perché mel via più dolce hai ne le labra.

Ma, se mia povertà non può donarti

Cosa ch’in te non sia più bella e dolce,

me medesmo ti dono. Or perché iniqua

scherni ed abborri il dono? Non son io

da disprezzar, se ben me stesso vidi

nel liquido del mar, quando l’altr’ieri

Ohimè, se mia povertà non può donarti

qualcosa,

me medesmo ti dono. Perché iniqua

lo scherni?

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taceano i venti ed ei giacea senz’onda.

(v.776)

Non sono io brutto, no, né tu mi sprezzi

Perché sì fatto io sia, ma solamente

Perché povero sono. Ahi, che le ville

Seguon l’essempio de le gran cittadi!

E veramente il secol d’oro è questo,

poiché sol vince l’oro e regna l’oro.

(v.795)

Ma perché in van mi lagno? Usa ciascuno

Quell’armi che gli ha date la natura

(v.816)

E veramente il secol d’oro è questo,

poiché sol vince l’oro e regna l’oro.

(v.795)

Ma perché in van mi lagno? Usa ciascuno

l’armi che la natura gli ha dato

(v. 816)

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Pianga, sospiri pure, usi ogni sforzo

Di pietà,

Crudel Amor, Silvia crudele

Più che le selve!

Ohimé, non partirà, s’io posso

Questa mano ravvoglierle nel crine,

non partirà, ch’io pria non tinga

l’armi mie per vendetta nel suo sangue.

Pianga e sospiri pure, usi ogni sforzo

Di pietà, di bellezza: che, s’io posso

Questa mano ravvoglierle nel crine,

indi non partirà, ch’io pria non tinga

l’armi mie per vendetta nel suo sangue.

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VerdincantoXIV

Testo Tasso (Atto II, scena 2, vv. 903-916 )XV Testo musicato

XIV T. Tasso, Teatro, cit., pp. 44-45.

XV In grassetto il testo modificato o espunto.

(Dafne)

È spacciato un amante rispettoso:

consiglial pur che faccia altro mestiero,

poich’egli è tal. Chi imparar vuol d’amare,

disimpari il rispetto: osi, domandi,

solleciti, importuni, al fine involi;

e se questo non basta, anco rapisca.

Or non sai tu com’è fatta la donna?

Fugge, e fuggendo vuol che altri la giunga;

niega, e negando vuol ch’altri si toglia;

pugna, e pugnando vuol ch’altri la vinca.

(Dafne)

È spacciato un amante rispettoso:

consiglial pur che faccia altro mestiero.

Se imparar vuol d’amare,

disimpari il rispetto: osi, domandi,

solleciti, importuni, al fine involi;

e se questo non basta, anco rapisca.

Or non sai tu com’è fatta la donna?

Com’è fatta la donna?

Fugge, e fuggendo vuol ch’altri la giunga;

niega, e negando vuol ch’altri si toglia;

pugna, e pugnando vuol ch’altri la vinca.

Se imparar vuol d’amare,

disimpari il rispetto: osi, domandi,

solleciti, importuni, e al fine involi (x2);

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Ve’, Tirsi, io parlo teco in confidenza:

non ridir ch’io ciò dica. E sovra tutto

non porlo in rime. Tu sai s’io saprei

renderti poi per versi altro che versi.

Ve’, Tirsi, io parlo teco in confidenza:

non ridir ch’io ciò dica. E sovra tutto

non porlo in rime. Tu lo sai s’io saprei

renderti poi per versi altro che versi.

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DolorXVI

Testo Tasso (Atto III, scena 2, vv. 1417-1438)XVII Testo musicato

XVI T. Tasso, Teatro, cit., pp. 71-72.

XVII In grassetto il testo modificato o espunto.

(Aminta)

Dolor, che sì mi crucii,

che non m’uccidi omai? tu sei pur lento!

Forse lasci l’officio a la mia mano.

Io son, io son contento

ch’ella prenda tal cura,

poi che tu la ricusi, o che non puoi.

Ohimè, se nulla manca

a la certezza omai,

e nulla manca al colmo

de la miseria mia,

che bado, che più aspetto? O Dafne, o Daf-ne,

a questo amaro fin tu mi salvasti,

a questo fine amaro?

Bello e dolce morir fu certo allora

che uccidere io mi volsi.

(Aminta)

Dolor, che sì mi crucii,

che non m’uccidi omai? tu sei pur lento!

Forse lasci l’officio a la mia mano.

Io son, io son contento

ch’ella prenda tal cura,

che tu ricusi, o che non puoi.

Ohimè, se nulla manca

a la certezza,

e nulla manca al colmo

de la miseria mia,

che bado, che più aspetto? Dafne, o Dafne,

a questo amaro fin tu mi salvasti,

a questo fine amaro?

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Or che fatt’ha l’estremo

de la sua crudeltate,

ben soffrirà ch’io moia,

e tu soffrir lo déi.

Tu me ‘l negasti, e ‘l Ciel, a cui parea

ch’io precorressi col morir la noia

ch’apprestata m’avea.

Or che fatt’ha l’estremo

de la sua crudeltate,

ben soffrirà ch’io moia,

e tu soffrir lo déi.

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A Dio, pastori!XVIII

Testo Tasso (Atto IV, scena 2, vv.1823-1838)XIX Testo musicato

XVIII T. Tasso, Teatro, cit., p. 91; il giro armonico della chitarra imita il brano “Can’t find my way home” del gruppo rock britannico Blind Faith, tratto dall’omonimo album (Polydor, 1969).

XIX In grassetto il testo modificato o espunto.

(Silvia)

A Dio, pastori;

piagge, a Dio; a Dio, selve; e fiumi, a Dio.

(Nuncio)

Costei parla di modo, che dimostra

d’esser disposta a l’ultima partita.

(Coro)

Ciò che morte rallenta, Amor, restringi,

amico tu di pace, ella di guerra,

e del suo trionfar trionfi e regni;

e mentre due bell’alme annodi e cingi,

così rendi sembiante al ciel la terra,

che d’abitarla tu non fuggi o sdegni.

Non sono ire là su: gli umani ingegni

tu placidi ne rendi, e l’odio interno

(Silvia)

A Dio, pastori;

piagge, a Dio; a Dio, selve; e fiumi, a Dio.

(Coro)

Ciò che morte rallenta, Amor, restringi,

amico tu di pace, ella di guerra,

del suo trionfar trionfi e regni;

mentre due bell’alme annodi e cingi,

così rendi sembiante al ciel la terra,

che d’abitarla tu non fuggi o sdegni.

Non sono ire là su: gli umani ingegni

tu placidi ne rendi, e l’odio interno

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sgombri, signor,

sgombri mille furori;

e quasi fai col tuo valor superno

de le cose mortali un giro eterno.

Sgombri, signor, da’ mansueti cori,

sgombri mille furori;

e quasi fai col tuo valor superno

de le cose mortali un giro eterno.

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Epilogo

Testo Tasso (Atto V, scena 1, vv. 1978-1995)XX Testo Recitato

XX In grassetto il testo modificato o espunto.

(Coro)

Non so se il molto amaro,

che provato ha costui servendo, amando,

piangendo e disperando,

raddolcito puot’esser pienamente

d’alcun dolce presente;

ma, se più caro viene

e più si gusta dopo ‘l male il bene,

io non ti cheggio, Amore,

questa beatitudine maggiore;

bea pur gli altri in tal guisa:

me la mia ninfa accoglia

dopo brevi preghiere e servir breve;

e siano i condimenti

de le nostre dolcezze

non sì gravi tormenti,

(Coro)

Non so se il molto amaro,

che provato ha costui servendo, amando,

piangendo e disperando,

raddolcito puot’esser

d’alcun dolce presente;

ma, se più caro viene

e più si gusta dopo ‘l male il bene,

io non ti chiedo, Amore,

questa beatitudine maggiore;

me la mia ninfa accogli

dopo brevi preghiere e servir breve;

e siano i condimenti

de le nostre dolcezze

non sì gravi tormenti,

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ma soavi disdegni

e soavi ripulse,

risse e guerre a cui segua,

ristorando i cori, o pace o tregua.

ma soavi disdegni

e soavi ripulse,

risse e guerre a cui segua,

reintegrando i cori, o pace o tregua.

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Appendice Iconografica

Anonimo – Scena per il prologo dell’Aminta di T. Tasso (Venezia, 1583)XXI

XXI A. Cavicchi, La scenografia dell’Aminta nella tradizione scenografica pastorale ferrarese del sec. XVI, cit., fig. 30.

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Anonimo – Scena per l’atto primo dell’Aminta di T. Tasso (Venezia, 1583)XXII

XXII Ivi, fig. 32.

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Anonimo – Scena per il primo coro dell’Aminta di T. Tasso (Venezia, 1583)XXIII

XXIII A. Cavicchi, La scenografia dell’Aminta nella tradizione scenografica pastorale ferrarese del sec. XVI, cit., fig. 33.

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Anonimo – Scena per l’atto secondo dell’Aminta di T. Tasso (Venezia, 1583)XXIV

XXIV Ivi, fig. 34.

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Anonimo – Scena per l’atto terzo dell’Aminta di T. Tasso (Venezia, 1583)XXV

XXV A. Cavicchi, La scenografia dell’Aminta nella tradizione scenografica pastorale ferrarese del sec. XVI, cit., fig. 36.

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Anonimo – Scena per il quarto atto dell’Aminta di T. Tasso (Venezia, 1583)XXVI

XXVI Ivi, Fig. 38.

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Anonimo – Scena per l’atto quinto dell’Aminta di T. Tasso (Venezia, 1583)XXVII

XXVII A. Cavicchi, La scenografia dell’Aminta nella tradizione scenografica pastorale ferrarese del sec. XVI, cit., fig. 40.

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Bibliografia

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confronto: letteratura, musica, istruzioni, a c. di B. Marx, T. Matarrese e P. Trovato, Firenze, F. Cesati, 2003, pp. 145-159.

QuonDaM a., Note su imitazione, furto e plagio nel Classicismo, scaricabile dal sito: www.disp.let.uniroma1.it/fileservices/filesDI-SP/373-400_QUONDAM.pdf.

Discografia

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BLinD FaiTh, Blind Faith, Polydor, 1969.

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