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75 76 L’AMICIZIA ITALO-POLACCA A Padova, ultimata la visita a Lublin e Zamosc, mi misi nuovamente in contatto con il sacerdote po- lacco che mi confermò ancora una volta che nel suo alle- vamento possedeva delle galline ciuffate. Una gran bella notizia. Dunque avevo accertato che in Polonia vivevano le “Galline Padovane dal Gran Ciuffo” e c’era una città chiamata la “Padova del Nord”, tutta da scoprire. Non mi restava che chiedere lumi all’amico e storico Andrea Ca- lore, solo lui poteva darmi delucidazioni sicure e nuovo materiale di studio. Infatti mi fornì una pubblicazione riguardante un convegno universitario svoltosi nel 1964, organizzato dal Comitato per la Storia dell’Università di Padova dal tito- lo: “Relazioni tra Padova e la Polonia”. Editrice Anteno- re, Padova. Fra altre relazioni il poeta Diego Valeri così sì esprimeva in modo entusiastico di Zamosc: La città polacca di Zamosc, eretta nell’ultimo quarto del secolo XVI per volontà e a cura del grande Giovanni Zamoyski, sta a testimoniare, nel suo insieme urbanistico e in certi particolari architettonici caratteristicamente suoi, la profonda influenza esercitata dal Rinascimento italiano nel settentrione europeo e specialmente lì, in Polonia. Influenza, forse, è dir poco; meglio varrebbe dire irradiazione, poiché l’Italia, a quell’ora, è veramente un sole che fa “sentir la terra/ della sua gran virtute alcun conforto”. E già il fatto che un potente della politica e delle armi, un Gran Cancelliere e Generalissimo del regno di Polonia, pensi a costruire ex novo, dalle fondamenta, una città secondo il cuor suo, è tipicamente rinascimentale e italiano: risponde a quella stessa ambizione di gloria antica, a quello stesso umanistico orgoglio, che da noi, aveva ispirato i Signori e i Condottieri del quattrocento e del primo cinquecento. Nè meno significativo è l’altro fatto: che Zamosc si chiami così dal nome del suo fondatore, lo Zamoyski, precisamente come Pienza , un secolo prima, aveva preso nome dal suo geniale inventore, papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini. L’uomo del rinascimento, benché aspiri e sospiri senza posa all’oraziana pace dei campi, è civilizzato e cittadino fin nel midollo; e creatore di città, alla cui importanza e bellezza affida la perpetuazione della propria fama e, in qualche modo, del proprio potere nel mondo.

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L’AMICIZIA ITALO-POLACCA

A Padova, ultimata la visita a Lublin e Zamosc, mi misi nuovamente in contatto con il sacerdote po-

lacco che mi confermò ancora una volta che nel suo alle-vamento possedeva delle galline ciuffate. Una gran bella notizia. Dunque avevo accertato che in Polonia vivevano le “Galline Padovane dal Gran Ciuffo” e c’era una città chiamata la “Padova del Nord”, tutta da scoprire. Non mi restava che chiedere lumi all’amico e storico Andrea Ca-lore, solo lui poteva darmi delucidazioni sicure e nuovo materiale di studio.

Infatti mi fornì una pubblicazione riguardante un convegno universitario svoltosi nel 1964, organizzato dal Comitato per la Storia dell’Università di Padova dal tito-lo: “Relazioni tra Padova e la Polonia”. Editrice Anteno-re, Padova. Fra altre relazioni il poeta Diego Valeri così sì esprimeva in modo entusiastico di Zamosc:

La città polacca di Zamosc, eretta nell’ultimo quarto del secolo XVI per volontà e a cura del grande Giovanni Zamoyski, sta a testimoniare, nel suo insieme urbanistico e in certi particolari architettonici caratteristicamente suoi, la profonda influenza esercitata dal Rinascimento italiano nel settentrione europeo e specialmente lì, in Polonia. Influenza, forse, è dir poco; meglio varrebbe dire irradiazione, poiché l’Italia, a quell’ora, è veramente un sole che fa “sentir la terra/ della sua gran virtute alcun conforto”. E già il fatto che un potente della politica e delle armi, un Gran Cancelliere e Generalissimo del regno di Polonia, pensi a costruire ex novo, dalle fondamenta, una città secondo il cuor suo, è tipicamente rinascimentale e italiano: risponde a quella stessa ambizione di gloria antica, a quello stesso umanistico orgoglio, che da noi, aveva ispirato i Signori e i Condottieri del quattrocento e del primo cinquecento. Nè meno significativo è l’altro fatto: che Zamosc si chiami così dal nome del suo fondatore, lo Zamoyski, precisamente come Pienza , un secolo prima, aveva preso nome dal suo geniale inventore, papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini. L’uomo del rinascimento, benché aspiri e sospiri senza posa all’oraziana pace dei campi, è civilizzato e cittadino fin nel midollo; e creatore di città, alla cui importanza e bellezza affida la perpetuazione della propria fama e, in qualche modo, del proprio potere nel mondo.

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OMISSIS Giovanni Zamoyski, che in ancor giovane età fu l’uomo più in vista e più in auge nella vita politica del suo Paese, ebbe pure una parte di primo piano nella vita culturale del tempo. E’ ben noto che nella sua giovinezza ancora acerba, delibati i primi elementi della scienza giuridica a Parigi e a Strasburgo, era sceso in Italia, stabilendosi a Padova, per abbeverarsi, come il Lucenzio pisano della “Bisbetica domata”, a quell’inesauribile fonte di dottrina. Ivi aveva trovato i suoi veri maestri, e subito si era distinto tra gli scolari della sua e d’ogni altra nazione. E’ dal 1575 il suo trattato De Senatu Romano, dettato sotto la guida illuminata e illuminante di Carlo Siconio. Egli aveva allora ventidue anni e un formidabile appetito del sapere. Tornato in patria, mantenne costanti e affettuosi rapporti coi professori dello Studio da cui era uscito dottore, e nutrì in petto una lunga nostalgia della città dei suoi verdissimi anni

OMISSIS. Tosto fatto. C’era a Varsavia un operoso architetto padovano, entrato in Polonia, come pare nel 1570: Bernardo Morando. A lui lo Zamoyski si rivolse fiduciosamente e, direi, padovanamente, per realizzare il suo amoroso disegno.

OMISSIS Vale, Zamosc, sorellina saggia della Padova nostra, così tumultuosamente cresciuta e trasfigurata negli ultimi anni, da riuscir quasi irriconoscibile ai suoi propri figli. Vale, e fa’ di conservare gelosamente, nonché i tuoi monumenti solenni, i tuoi cari portici e portichetti: “portegheti” piuttosto. Quando qui da noi, i costruttori della Padova del 2000, che già sono all’opera da decenni, avranno finito di abbattere (salvi il Santo, la Ragione, gli Scrovegni e qualche altro pezzo intoccabile) tutta la Padova storica, romanica, romanicarinascimentale, barocca, neoclassica), noi verremo, pellegrini, dolenti e un poco ontosi, sulla tua Piazza del Mercato, a evocare l’immagine, a respirare l’atmosfera della vecchia Padova che a noi, come allo Zamoyski, fu alma madre e ubertosa nutrice al tempo della nostra giovinezza studiosa. (Noi nel 2000…Valga l’augurio! Ma purtroppo, se nella Padova dell’imminente domani si andrà avanti col passo di ieri e di oggi, non ci sarà da aspettare l’anno secolare per fare quel pellegrinaggio di contrizione.)

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I miei interessi e studi si concentrarono perciò sul ri-trovamento di notizie sulle origini di Bernardo Morando e sulla figura di Giovanni Zamoyski. L’amicizia che instau-rai con il prof. Miroslaw Lenart dell’Università di Opole e con sua moglie Barbara, presenti a Padova, mi permise di conoscere anche l’Associazione dei Polacchi del Vene-to la cui presidente Jolanta Piotrowski mi invitò alle riu-nioni che si svolgevano mensilmente in una sala concessa dai benedettini a Santa Giustina. Conobbi così il profes-sor Demel, artista nella composizione di vetrate colorate, che nella seconda guerra mondiale appartenne alle truppe polacche che liberò Cassino. Giunto a Padova, sposò una signora veneta e vi rimase. Frequentando quegli incontri, feci conoscere ai polacchi le mie attività in quel momento e in più occasioni ebbi occasione di capire che anche loro, oltre che i padovani, sapevano poco del pennuto ciuffato.

Il professor Lenart, che all’epoca teneva un semina-rio universitario sulla presenza dei polacchi a Padova nel secondo millennio, mi fece frequentare la biblioteca di Slavistica dell’Università di Padova che mi riservò diver-se piacevoli sorprese. Dalla lettura di molte pubblicazioni riuscii a sapere che nel passato, nel XVIII secolo, a Pa-dova gli studenti polacchi frequentavano, all’angolo tra le attuali via del Santo e via San Francesco, una spezieria più che una farmacia e forse nello stesso palazzo crearono il Collegio dei Polacchi. La notizia ci giunge da G. Saggiori in “Padova nella storia delle sue strade”. Padova 1972 pag. 394. Il palazzo che ospitava il Collegio è attribuito alla

I coniugi Barbara ( restauratrice dell’altare della Cappella Polacca ) e Miroslaw Lenart

Momento conviviale con il dottor Mikolaj Winnicki

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vecchia proprietà di Arnaldo Speroni degli Alvarotti, nato nel 1727. Da altre letture, venni a sapere, a conferma delle mie vecchie supposizioni, che i polacchi nei loro lunghi viaggi, soprattutto in Germania e in Francia, si portavano al seguito delle galline che, con la produzione delle uova, potevano fornire il loro sostentamento durante il viaggio di trasferimento. Questi fatti confermarono forse la vera motivazione dell’arrivo e della presenza delle galline po-lacche a Padova.

Il passaparola dei polacchi residenti nel Veneto, la mia visita a Zamosc e i miei contatti con il professor Lenart spinsero il Console Generale polacco a Milano a venirmi a conoscere in una delle sue visite a Padova in occasione del restauro al Santo dell’altare dedicato alla Natio Polo-nia e di alcune lapidi collocate in Basilica. Il Ministro Plenipotenziario Adam Szymczyk, un pomeriggio di un afosissimo 1 agosto 2007, giunse a casa mia in compagnia del professor Lenart per conoscermi e vedere da vicino le Galline Padovane-Polacche che tenevo in giardino. Fu per lui e il suo seguito una gradita sorpresa ed avvenimento. Naturalmente si brindò per suggellare la nuova amicizia che mi permise in seguito di rincontrare il Console Ge-nerale in varie manifestazioni e celebrazioni religiose a Sant’Antonio e di stabilire rapporti epistolari. Anche dopo il suo mandato i rapporti con il nuovo Console, Krzysztof Strzalka, continuarono in modo molto amichevole e co-struttivo nei confronti della città di Padova.

Incontro d’amicizia con il Console Adam Szymczyk e famigliari con il professor Lenart in visita a casa Holzer

Il Console Adam Szymczyk con padre Enzo Poiana

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Una delegazione polacca al Santo con padre Adam e padre Enzo Poiana

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Il Console Generale di Polonia a Milano (anno 2012), Sua Eccellenza dottor Krzysztof Strzalka, con Franco Holzer

La cantante lirica Xymena Panek Inaugurazione del restauro dell’altare della Cappella Polacca al Santo con padre Silvestro

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L’amicizia italo-polacca si rafforzò frequentando an-che le celebrazioni della Messa in lingua polacca al Santo dove svolgeva il suo ministero padre Adam. Nella “sco-letta”, ogni 2 sabati pomeriggio al mese, si riuniva quasi tutta la comunità fatta soprattutto di badanti che così po-tevano scambiare anche qualche parola nella lingua ma-dre. La mia presenza suscitava fra i presenti ampi sorrisi di sorpresa dal momento che sapevano benissimo che io, di quanto veniva detto, non capivo nemmeno una parola.

La mia tenacia nel voler scoprire le origini della “Gal-lina Padovana dal Gran Ciuffo”, involontariamente, creò anche i presupposti della bella riuscita di un fausto evento che si verificò successivamente nel 2008. a Montalcino. La mia prima visita fatta in Polonia, a Lublin, mi permise di conoscere come interprete la signora Teresa, che a suo tempo lavorava a Montalcino al servizio di una persona anziana. Fu lei che si interessò, grazie alla conoscenza con il mio amico Franco Marin, di soddisfare le mie ricerche e a farmi conoscere la prima volta Zamosc. Allora tutto il viaggio di ritorno in Italia venne fatto in compagnia. Mai viaggio fu più galeotto se i miei due amici, dopo due anni da allora, il 10 marzo 2008, si sposarono a Montalcino. Il minimo che potevo fare fu quello di prestarmi a fare da testimone. Forse quel matrimonio non sarebbe stato mai celebrato se io non avessi deciso nel 2006 di recarmi la prima volta in Polonia.

Teresa e Franco Marin nel giorno del matrimonio

I coniugi Marin felici sposi

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I coniugi Jolanta e Tadeusz Piotrowski. con il professor LuigiSpolaore