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L’ambiguità della bruttezza nel pensiero estetico di Rosenkranz Maria Luisa Bonometti Sommario Muovendo da una collocazione di Rosenkranz all’interno del con- testo filosofico d’appartenenza (hegeliano e post-hegeliano in pri- mis) il saggio vuole dimostrare come la principale categoria di lettura dell’Estetica del brutto sia l’ambivalenza, attraverso l’an- notazione di una serie di apparenti contraddizioni che si possono riunire entro tre ambiti; l’attrazione/repulsione nei confronti del brutto, il rapporto dell’autore con il pensiero settecentesco, e la sua rielaborazione del pensiero hegeliano. Copyright c 2009 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera) Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per scopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma non limitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori) in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte di ITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportata anche in utilizzi parziali.

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L’ambiguità della bruttezza nel pensiero estetico di

Rosenkranz

Maria Luisa Bonometti

Sommario

Muovendo da una collocazione di Rosenkranz all’interno del con-testo filosofico d’appartenenza (hegeliano e post-hegeliano in pri-mis) il saggio vuole dimostrare come la principale categoria dilettura dell’Estetica del brutto sia l’ambivalenza, attraverso l’an-notazione di una serie di apparenti contraddizioni che si possonoriunire entro tre ambiti; l’attrazione/repulsione nei confronti delbrutto, il rapporto dell’autore con il pensiero settecentesco, e lasua rielaborazione del pensiero hegeliano.

Copyright c© 2009 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera)Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattatiinternazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Lepagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca,scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca perscopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma nonlimitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori)in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte diITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportataanche in utilizzi parziali.

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Un indice dell’incompletezza e della lacunositàdella nostra filosofia dell’arte e del gusto è il fattoche a tutt’oggi non esiste un solo tentativo consi-derevole di fondare una teoria del brutto. Eppureil brutto e il bello sono correlati inseparabili.1

Questo scrive Schlegel nel 1795, e Rosenkranz sembra proprio acco-gliere il suo appello2 quando, nel 1853, consegna alle stampe la suaEstetica del brutto, candidandosi come primo autore a dedicare a

questo tema un’ampia trattazione sistematica3: trattazione che non si esau-risce nell’enunciazione teorica di principi astratti, ma che si configura comeuna vera e propria fenomenologia del brutto, costellata di esempi tratti dagliambiti più diversi (fisico, naturale, sociale, morale) e soprattutto dall’artee dalla letteratura contemporanea, di cui Rosenkranz si mostra un atten-to, anche se decisamente critico, conoscitore. Ritorneremo più avanti sullacompresenza di questi diversi approcci, sistematico e descrittivo, così comeapprofondiremo la concezione del brutto che emerge dalle pagine della suaEstetica – la quale si configura come descrizione di un percorso dialetticoconcludentesi con la riconciliazione della bruttezza nel bello grazie alla me-diazione del comico – il suo inserirsi nella riflessione precedente sul tema,e le novità apportate a tale “tradizione”4 o, al contrario, i “debiti” a essadovuti.

1F. Schlegel, Sullo studio della poesia greca, a cura di A. Lavagetto, con un saggio diG. Baioni, Guida, Napoli 1988, p. 132.

2Abbiamo qui utilizzato il termine “sembrare” non a caso: se infatti Rosenkranz attri-buisce a Lessing e al suo Laocoonte il merito di aver dato inizio alle prime analisi tematichesul brutto, egli nella sua Estetica tralascia completamente di citare lo Studio della poesiagreca e il suo autore, che viene ricordato in un’unica occasione come traduttore della sagadi Merlino di Robert de Borron (XXIII sec.); cfr. K. Rosenkranz, Estetica del brutto, acura di S. Barbera, presentazione di E. Franzini, appendice bibliografica di P. Giordanetti,Aesthetica, Palermo 2004, p. 237).

3Per amor di completezza, o per un eccesso di pignoleria, potremmo citare come ante-cedente un breve e misconosciuto trattatello settecentesco sul brutto, a opera di WilliamHay: Deformity: an essay (1754), in cui si cerca di dimostrare, rovesciando la convenzio-ne classica del kalos kai agathos, che la bruttezza si possa accompagnare alla bontà e lamalvagità a una bella costituzione fisica.

4Anche se, in realtà, non esiste in senso lato una “tradizione” nella riflessione sul brutto:riflessione che non presenta nelle varie epoche alcuna linearità, in quanto questo tema nonsolo è stato escluso dal dominio dell’estetica fino al XVIII secolo (con le illustri eccezionidi Aristotele e della poetica barocca del mirabile), ma è spesso stato liquidato come “meranegazione del bello” e dunque non indagato nelle sue caratteristiche specifiche; in sintesipotremmo comunque individuare tre orientamenti fondamentali nella riflessione sul con-cetto di bruttezza: la negazione del suo valore estetico e ontologico nell’identificazione conil male (la posizione d’ascendenza platonico-agostiniana caratteristica, con significativeoscillazioni, di antichità, medioevo ed età rinascimentale), una sua ammissione nella pra-tica artistica che non trova però pieno riscontro nell’analisi teorica (il tardo-Cinquecentoe il Barocco) e infine la sua parziale giustificazione come elemento necessario alla rea-lizzazione di effetti “positivi”, nel tragico e nel comico, che s’accompagna a una visionecritica dell’arte moderna non più interpretabile attraverso la categoria del bello (Lessinge il pensiero ottocentesco).

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Figura emblematica del Centro nella consueta divisione della scuola he-geliana in una Destra e Sinistra, divisione fatta per la prima volta da Strausse poi approfondita da Michelet5, Rosenkranz si fa portavoce di una posizione“moderata”, che, con le parole di Franzini, «non eccede né nella scolasticahegeliana né negli eccessi politici e ideologici dei giovani hegeliani»6; ed èproprio nell’ambito della riflessione estetica sviluppatasi in quest’orizzonte dipensiero7 che il discorso sul brutto, sollevato dalla sua abituale genericità,diventa parte integrante della meditazione estetica, intesa come autenticaindagine filosofica sull’essenza della bellezza.

È certamente Hegel dunque a rappresentare il punto d’avvio di una ri-flessione sulla bruttezza artistica che non è più concepita come il contrariodella bellezza, ma come una delle tante forme che l’arte moderna può e deveassumere; e rivolgendoci in modo più specifico all’Estetica del brutto, nonpossiamo non citare l’influenza della riflessione di Kant sul sublime e sullimite di rappresentabilità di ciò che è brutto, che magistralmente emerge

5Distinzione che si trova in D. F. Strauss, Streitschriften zur Verteidigung meinerSchrift über das Leben Jesu [Polemiche in difesa del mio scritto sulla vita di Gesù], III, Tu-binga 1838 e L. Michelet, Geschichte der letztzen Systeme der Philosophie in Deutschland[Storia degli ultimi sistemi filosofici in Germania], parte II, Berlino 1838.

6E. Franzini, “Presentazione” in K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., p. 8; a riprovadi ciò potremmo citare un passo della prima monografia rosenkranziana dedicata a Hegel,del 1844, in cui il pensatore osserva criticamente il panorama filosofico a lui contempo-raneo; il nostro, dopo una stoccata a quei giovani hegeliani che pretendono di portare acompimento la filosofia del maestro (Feuerbach, Marx, Ruge), riserva accesi strali a quanti,«con una gloria fittizia da loro stessi fabbricata per mezzo di effimere lodi giornalistiche»,improvvisano riforme e rivoluzioni della filosofia. Cfr. K. Rosenkranz, Georg WilhelmFriedrich Hegel’s Leben, Duncker und Humblot, Berlin 1844 (tr. it. di R. Bodei, Firenze1966), in K. Löwith, Da Hegel a Nietzche, Einaudi, Torino 19491, p. 92.

7Il post-hegelianesimo, appunto, per un maggior inquadramento del quale rimandiamoa F. Iannelli, “Hegel e gli hegeliani sul brutto: una ricezione contemporanea”, in Mate-riali di estetica, 2004, n.10; G. Oldrini, L’estetica di Hegel e le sue conseguenze, Laterza,Roma-Bari 1994; M. Ravera, Estetica post-hegeliana, Mursia, Milano 1978; G. Scaramuz-za, Il brutto nell’arte, Il tripode, Napoli 1995; e non avendo in questa sede la possibilitàdi soffermarci oltre sui vari “discepoli” di Hegel impegnati nella riflessione estetica sulconcetto di brutto, ci limiteremo a indicarne le principali opere, che hanno precedutoe in parte ispirato la trattazione di Rosenkranz: K. Fischer, Diotima oder die Idee desSchönen, Pforzheim 1849 (non esiste traduzione italiana); A. Ruge, Neue Vorschule derÄsthetik. Das Komische mit einen Komischen Anhange, [Nuova propedeutica all’estetica.Il comico con un’appendice comica], Halle 1837; non esiste traduzione italiana integraledell’opera, ma alcuni suoi brani sono stati tradotti da Andrea Pinotti e commentati daGabriele Scaramuzza in G. Scaramuzza, Il brutto nell’arte, cit.; F. T. Vischer, Über dasErhabene und das Komische. Ein Beitrag zur Philosophie des Schönen, Stuttgart 1837 (Il sublime e il comico. Un contributo alla filosofia del bello, a cura di E. Tavani, Aesthe-tica, Palermo 2000) le cui tesi saranno poi riprese in Id., Ästhetik oder Wissenschaft desSchönen, Stuttgart 1846-1858, 5 voll., di cui non esiste traduzione italiana; C. H. Weisse,System der Ästhetik als Wissenschaft von der Idee der Schönheit [Sistema di estetica comescienza dell’idea del bello], Leipzig 1830; anche in questo caso, come per Ruge, non esi-ste traduzione italiana integrale dell’opera, anche se alcune sue parti sono state tradotteda Andrea Pinotti e commentate da Gabriele Scaramuzza in G. Scaramuzza, Il bruttonell’arte, cit. .

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nelle pagine della Critica del giudizio e dell’Antropologia pragmatica; e so-prattutto, lo scritto kantiano sulla concezione di grandezza negativa8, fonted’ispirazione dichiarata nella composizione dell’opera del nostro.

Kant, Hegel e l’orizzonte post-hegeliano non sono tuttavia le uniche chia-vi di lettura per interpretare il pensiero estetico del nostro; un pensiero chespesso non viene teorizzato esplicitamente ma che si deve ricostruire attra-verso degli accenni e delle allusioni significative disseminate nel corso deltesto; e che presenta in più punti una forte influenza dell’estetica settecen-tesca, a dimostrare un lato “classicista” della filosofia di Rosenkranz svoltoattraverso il riferimento ad autori quali Batteux, Lessing e Baumgarten, e atemi propri della riflessione del tempo.

Da questo pur brevissimo quadro introduttivo possiamo tuttavia già no-tar emergere quella che secondo la nostra interpretazione è la cifra principaledel pensiero di Rosenkranz: l’ambivalenza, intesa come oscillazione tra po-sizioni e riferimenti contrapposti nella ricomposizione di un nucleo teoricounitario, e che acquista senso positivo nell’indicare l’irriducibilità del filosofoa una tradizione univoca e a un orizzonte di riflessione già acquisito, per cuinon è possibile comprendere la sua opera senza un confronto diretto con la“materia viva” delle sua pagine e i numerosissimi riferimenti, esplicitati omeno, che da esse si sviluppano.

Nel corso dell’Estetica del brutto molteplici sono le istanze ambivalentiche si presentano al lettore, e che vedremo potersi riassumere in tre macro-categorie; tuttavia, come appena accennato, è già possibile individuarne ilprimo ambito soltanto soffermandosi a ricostruire la “mappa” degli autori edei temi che hanno influenzato il nostro nella stesura della sua opera, carat-terizzata dall’oscillazione tra l’adesione alla filosofia hegeliana, spesso solointegrata come “struttura formale” di un pensiero che viene poi sviluppatoin modo autonomo, e la vicinanza alla riflessione estetica settecentesca.

Se è vero che già a partire dal Settecento la letteratura s’avvia a illustrarela bruttezza della nuova civiltà industriale, tuttavia di questa realtà socialee artistica ci si rende teoricamente consapevoli solamente nel momento incui essa incontra lo sguardo di una filosofia della storia “forte” come quellahegeliana, in cui il pensiero razionale deve giustificare la realtà anche lad-dove si presenti ingiustificabile; per cui possiamo affermare che le indaginihegeliane e post-hegeliane sul brutto siano da interpretarsi in primo luogocome una “giustificazione teorica” di eventi reali: giustificazione in cui assu-me una valenza fondamentale il ruolo del negativo, che per Hegel costituisceil “momento vitale” e fondante del processo dialettico, pur nel suo successivo

8Si tratta di Vesuch, den Begriff der negativen Größen in die Weltweisheit einzufüh-ren, [1763] (“Tentativo per introdurre nella filosofia il concetto delle quantità negative”,in Scritti precritici, tr. di P. Carabellese, a cura di A. Pupi, con introduzione di R.Assunto, Laterza, Roma-Bari 1982), su cui ha opportunamente portato l’attenzione H.Funk, Ästhetik des Häßlichen. Beiträge zum Verständnis negativer Ausdrucksformen im19. Jahrhundert, Berlin 1973, in G. Scaramuzza, Il brutto nell’arte, cit., p. 125.

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risolversi e annullarsi nel «per sè» o sintesi; e in questo senso analogo è ilruolo del brutto nei confronti del bello nella trattazione di Rosenkranz (e,più in generale nel pensiero estetico post-hegeliano).

Al brutto, infatti, viene rivendicato un certo spazio, variabile a secondadelle arti, a patto però ch’esso sia reso funzionale a esiti “belli” o comunqueinscrivibili nelle consuete categorie estetiche (il sublime, il tragico, o, nelnostro caso, il comico); e caratteristico a questo riguardo è l’opera di Lessing,notevole influenza nella trattazione rosenkranziana, per il quale la presenzadel brutto in arte è sì giustificata, ma entro certi limiti: esso può infattiessere rappresentato, ma soltanto in poesia, e purchè si riveli un elementoutile a creare effetti comici o tragici, in quanto essa, arte temporale, permettedi mitigare l’impatto della bruttezza nel suo svolgersi in parti successive.Procedimento, come visto, impensabile per la pittura: arte spaziale, oltre chearte bella, essa non può rappresentare il brutto nel suo esprimersi attraversosegni naturali e non arbitrari.

Rosenkranz mostra di conoscere molto bene l’opera di Lessing9, che citapiù volte nell’Estetica del brutto: e tuttavia egli non si trova a condividere ipresupposti del filosofo che pur così importante è stato per la riflessione sulbrutto, e, soprattutto, spesso mostra una comprensione poco adeguata delsuo pensiero:

È noto che Lessing, nel Laocoonte, ha cercato di determinare i confi-ni della pittura e della poesia. [. . . ] In tale ricerca, dalla sezione 23alla 25, Lessing ha escluso il brutto dalla pittura, rivendicandolo allapoesia. Ma è un errore [. . . ]. Lessing distingue a questo punto unabruttezza innocua per il ridicolo e una bruttezza nociva per l’orrido, eosserva che nella pittura la prima impressione del ridicolo e dell’orridosi dissolve presto e ciò che rimane è solo lo sgradevole e l’informe. Manel condurre la dimostrazione prende i materiali sempre e soltanto dalleopere della poesia, non della pittura e perciò – come vedremo più a fon-do nella parte successiva della nostra indagine trattando del concettodi nauseante10 – ha confinato la pittura in limiti troppo angusti.11

9K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., p. 271. «A ben vedere anche qui [riguardoalla nozione per cui il brutto è riconosciuto come momento integrativo dell’estetica], comein molte altre cose, il precursore vero e proprio è stato Lessing, nel Laocoonte, dove sitratta (capitoli XXIII-XXV) del brutto e del nauseante».

10Cfr. ibid., pp. 203-209. Nel paragrafo dedicato al nauseante pur non citando espres-samente Lessing, Rosenkranz nega implicitamente la posizione per cui alla pittura non sialecito rappresentare il brutto, riportando una nutrita serie di esempi corredati da osser-vazioni teoriche. Anzitutto, egli nota «che da questo punto di vista l’olfatto abbia unapreminenza sensitiva, è cosa certa»: motivo per cui l’arte può permettersi qualche prudenteescursione entro soggetti che nella realtà sarebbero bollati come ripugnanti. Seguono altreesemplificazioni tratte dalla poesia come dalla pittura, a negare ancora implicitamente ilparadigma lessinghiano, e infine c’imbattiamo in un caso particolare di rappresentazio-ne del nauseante, tratto dalla pittura vascolare greca, che ci mostra addirittura come lapittura possa raffigurare ciò che spesso in poesia è stato narrato con esiti inammissibili.

11Ibid., p. 117.

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Contrariamente a quanto potrebbe apparire a un primo approccio, ladifferenza tra i due autori non si situa tanto nelle posizioni opposte riguardoalla possibilità di rappresentazione del brutto (per Lessing lecita soltantoalla poesia, per Rosenkranz a qualsiasi arte), ma trova la sua radice piùprofonda in due diverse concezioni del rapporto tra le arti.

Il nucleo teorico del discorso di Lessing infatti mira a mettere in rilievola loro differenza proprio per meglio comprenderne la specificità espressiva;egli vuole cioè evidenziare come la pluricategorialità dell’artistico sia irri-ducibile a qualsiasi principio unitario: di conseguenza, l’analisi lessinghiananon può accettare la teoria delle arti sorelle, dell’ut pictura poiësis di orazia-na ascendenza che considera la pittura come poesia muta, e la poesia comepittura parlante12; essa deve bensì volgersi verso il riconoscimento della pe-culiarità di questi due modi di far arte, e il gruppo scultoreo del Laocoontesi configura come perfetta occasione per sviluppare tale riflessione: poichèl’atteggiamento che in tale rappresentazione il sacerdote assume è molto di-stante da quello descritto nei versi di Virgilio13, a dimostrazione del fatto cheuno stesso oggetto di narrazione deve essere affrontato con mezzi differentiperché diverse sono le possibilità espressive e rappresentative dell’arte14.

Tale impostazione si riflette immediatamente già nella Prefazione del-l’opera in questione: nelle prime pagine della sua trattazione, infatti, Les-sing ricapitola le tre figure tipiche della «nuova scienza» estetica: quelladell’«amatore», emblema del “pensiero ingenuo”, che riconosce la somiglian-za tra le arti attraverso il suo «fine sentimento»; quella del «filosofo», checerca di ricondurre tutte le manifestazioni artistiche e il piacere che esse ciprocurano a un’unica sorgente e a regole unitarie; e infine la figura con cuiegli s’identifica, quella del «critico», di colui che, «meditando sul valore esulla distribuzione di tali regole generali»15, sviluppa le sue considerazioni apartire «dalla corretta applicazione del caso singolo», ovvero concentrando-si sull’osservazione diretta di una precisa opera (dunque muovendo da unaprospettiva, per così dire, “fenomenica”) per poi sottolineare in senso piùgenerale le differenze e le peculiarità delle diverse forme d’arte.

Ed è proprio tale questione, cioè l’individuazione della peculiarità di ogniforma d’arte, a essere per noi motivo di grandissimo interesse, ancor più chel’affermazione lessinghiana della supremazia della poesia sulla pittura: poi-ché tale individuazione ci permette di illustrare la posizione di Rosenkranzall’interno di una precisa tradizione sviluppatasi nell’estetica del Settecento,inaugurata da Batteux con le sue Belle arti ricondotte ad un unico principio,

12Secondo il famoso detto attribuito da Plutarco a Simonide di Ceo: cfr. R. W. Lee, Utpictura poieis. La teoria umanistica della pittura, Sansoni, Firenze 1974, pp. 3-4 .

13Virgilio Publio Marone, Eneide, a cura di L. Canali, Fondazione Valla, Mondadori,Farigliano (CN) 1978-1983, libro II, vv. 199-227.

14G. E. Lessing, Laocoonte, ovvero, dei confini tra pittura e poesia, a cura di M. Cometa,Aesthetica, Palermo 2003, pp. 23-24, 31-32).

15Ibid., p. 21.

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e che lo stesso Lessing aveva esemplificato nella Prefazione appena citata alLaocoonte nella figura del «filosofo».

Il concetto stesso di «belle arti» è figlio della querelle des Anciens et des

Moderns e del suo padre fondatore Charles Perrault, che in uno scritto del1690, il Cabinet des Beaux-Arts, ne elenca ben otto, cioè l’eloquenza, la poe-sia, la musica, l’architettura, la pittura, la scultura, l’ottica e la meccanica.Sarà poi Batteux ad approfondire tale questione in un’opera fondamentaleper l’estetica settecentesca, Le Belle Arti ricondotte ad un unico principio,pubblicata nel 1746. Batteux, come del resto ci suggerisce il titolo stessodella sua opera, intende trovare un principio comune a tutte le arti, che pos-sa spiegarne sia la produzione sia la ricezione, e che permetta di andare aldi là di una trattatistica d’arte che ormai si è ridotta a un semplice insiemedi regole.

Anzitutto Batteux enumera tra le belle arti cinque “discipline”: musica,poesia, pittura, scultura e danza (a cui vanno ad aggiungersi architettura edeloquenza). La distinzione tra le arti di tipo classicistico, che prende spuntoda Platone e Aristotele, si basa sul loro rapporto mimetico con la realtà; el’imitazione è il principio a partire dal quale si svolge anche la trattazionedi Batteux: imitazione che se sì costituisce il carattere comune delle «bellearti», si configura d’altra parte come pretesto per introdurre la categoriaestetica dell’«espressione»: il principio di “unione” che sottintende ogni arteè infatti individuato nel genio-gusto16 che opera sulla natura imitandone labellezza attraverso l’arte. Il punto di partenza, come conviene a un pensatoreche non vuole spezzare del tutto le modalità classiciste, è ancora la natura,che costituisce il centro di ogni processo artistico-produttivo: essa infattiè l’oggetto di tutte le arti, ed è considerata da Batteux come un insiemeordinato di parti, un kosmos, le cui leggi regolano sia il genio che il giudiziodi gusto: per cui l’imitazione si configura inoltre come momento in cui l’uomotrasferisce nella propria attività le leggi della natura.

Tuttavia, non dobbiamo farci “ingannare” da quest’impalcatura classi-cistica: perché secondo Batteux la natura, non essendo in sé perfetta, deveessere idealmente superata: è pur vero che la perfezione degli oggetti imitatidipende solo dalla somiglianza con la realtà, ma il genio «non deve imitarela natura come essa è»: guidato dal gusto, deve piuttosto renderla «comedovrebbe essere concepita mediante lo spirito», «scegliendo gli oggetti e itratti [. . . ] con tutta la perfezione di cui sono suscettibili». Insomma, nonvi è fedeltà assoluta alla natura, ma una sua “selezione” idealizzatrice17: percui la bella natura si configura come un’espressione artistica, «un’emozione

16Nel pensiero del nostro genio e gusto sono strettamente legati, anche se il gusto sembraessere prioritario nei confronti del genio, in quanto esso “guida” l’uomo non solo nell’ambitodelle belle arti, ma nelle molteplici modalità dell’esperienza, come rapporto primo con larealtà che ci circonda: cfr. C. Batteux, Le belle arti ricondotte ad un unico principio, acura di E. Migliorini, Aesthetica, Palermo 2002, pp. 47-49, 50-51, 65-69.

17Ibid., p. 39.

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oggettiva prodotta dal lavoro congiunto del genio e del gusto»18: non a ca-so, è proprio a partire da Batteux che l’espressione si configura come quellaspecifica comunicazione tra soggetto e oggetto che caratterizza il mondodell’arte19.

Rivolgiamoci ora di nuovo alla citazione tratta dall’Estetica del brut-

to da cui si è potuto aprire quest’orizzonte di analisi: abbiamo visto cheRosenkranz rimprovera a Lessing di confinare la pittura in limiti troppoangusti, in virtù della sua impossibilità di rappresentare il brutto, derivatadall’“handicap”di essere arte che opera essenzialmente nello spazio. Tutta-via, al di là di questa “schermaglia”, egli sembra non aver colto il nucleoessenziale della teoria di Lessing: ovvero, l’esigenza di sottolineare la diffe-renza tra le varie arti per affermare come la pluricategorialità dell’artisticosia irriducibile a qualsiasi principio unitario, opponendosi alla linea di pen-siero di cui Batteux è paradigmatico esponente, e a cui Rosenkranz sembrain qualche modo rifarsi. E per confermare questa interpretazione è sufficien-te proseguire nella lettura dell’Estetica del brutto, precisamente dal puntodal quale abbiamo interrotto la precedente citazione:

Tra le arti appare un’interna connessione, che ci rappresenta il pas-saggio immanente dell’una nell’altra. Nel suo organismo più nobile,la colonna, l’architettura annuncia già la statua, ma non perciò, tut-tavia, la colonna è una statua. Nel rilievo la scultura annuncia giàla pittura, ma il rilievo in quanto tale non ha ancora alcun principiopittorico [. . . ]. La pittura già esprime il calore della vita individua-le con una forza tale che solo per caso sembra che manchi il suono[. . . ]. Solo la musica descrive con i suoi suoni i nostri sentimenti. Ilsimbolismo della sua onda melodica tocca la nostra sensibilità, maquanto più ci tocca nell’intimo, dalla sua mistica profondità aspiriamoalla poesia, per giungere alla chiarezza nel carattere determinato dellarappresentazione e della parola.20

Rosenkranz non specifica quale sia il principio unificatore delle diversearti, bensì si limita a constatarne l’intima connessione, tornando quindi auna posizione più vicina al pensiero di Batteux che era stato messo in di-scussione dall’opera di Lessing21. Vediamo descritto in quest’ultimo passo

18E. Franzini, L’estetica del Settecento, Il Mulino, Bologna 1995, p. 132.19Come del resto si evince in particolar modo dalla sua trattazione della danza e della

musica, discipline per la cui definizione la nozione di imitazione non è più sufficiente, inquanto la loro espressività non imita dei dati naturali concreti, ma sentimenti e passioni,ovvero quegli elementi che rappresentano la naturalità espressiva dell’uomo, che «sono lanatura in noi». Cfr. C. Batteux, Le belle arti ricondotte ad un unico principio, cit., p.110.

20K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., p. 117-118.21Da Lessing e da Goethe, che nella Introduzione ai Propilei esprime una posizione molto

vicina all’autore del Laocoonte e dunque contrapposta a Rosenkranz, sebbene quest’ultimonon faccia mai esplicita menzione dell’opera in questione: cfr. J. W. Goethe, “Introduzioneai Propilei”, in Scritti sull’arte e sulla letteratura, a cura di S. Zecchi, tr. it. di P. Necchie M. Ophälders, Universale Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 97.

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una sorta di sistema “progressivo” delle arti, che trapassano l’una nell’altra,contenendo in sé, per così dire, il “seme” della disciplina che occupa il po-sto successivo nella gerarchia: che così si configura, in ordine “crescente” inquanto a perfezione: architettura, scultura, pittura, musica e poesia: essehanno uguale legittimità, continua Rosenkranz, e dispute sulla superiorità diquesta o quell’arte si rivelano inutili, in quanto «la coordinazione non andràmai a scapito della subordinazione. [. . . ] Ognuna di queste arti può rag-giungere, all’interno della sua specificità di materiale e forma, l’assolutezza.[. . . ] Quando dunque indichiamo – e siamo costretti a farlo – un’ arte oun genere artistico come inferiore o più imperfetto, [. . . ] lo diciamo solo insenso relativo»22.

Se quindi in un certo senso Rosenkranz si volge alla meditazione di Bat-teux riconoscendo una «fratellanza» tra le arti, tuttavia egli inserisce questoschema in una cornice teorica più ampia, che richiama la dialettica hegeliana:affermata l’uguale legittimità di ogni arte, e avendo specificato che ogni giu-dizio di valore comparativo tra di esse è soltanto relativo, egli asserisce che inbase alla sua natura, ogni arte ha contenuto, estensione e modalità diverse,oltre a un differente modo di realizzare il bello, per cui possiamo concepirele varie arti come una via verso la liberazione estetica dello spirito che sirealizza compiutamente nella poesia23. Nel sistema rosenkranziano la suc-cessione delle arti s’accompagna a un parallelo incremento nella possibilitàdi esprimere l’essenza dello spirito: la libertà. Libertà che si configura come«autodeterminazione della necessità» e che quindi costituisce il contenutoideale del bello24, ma che si traduce contemporaneamente in una maggioreprobabilità di cadere nel brutto, che tocca infatti il suo apice nell’arte piùlibera e più complessa, la poesia25.

Non è difficile leggere in questi ultimi passi un tentativo di riferirsi alsistema hegeliano delle arti; che tuttavia si presenta in Rosenkranz in unaforma semplificata e, per così dire, “di facciata”.

All’interno del cosmo spirituale, l’arte per Hegel esprime la verità nellaforma dell’immediatezza sensibile, differenziandosi dalla religione e dalla filo-sofia per il modo in cui porta a conoscenza il comune oggetto dell’Assoluto26.L’opera d’arte in Hegel è infatti quell’unico ente che esibisce sensibilmen-te, come propria essenza, la verità e l’assoluto. Vero e bello, d’altronde, inquanto idee, sono per il filosofo equivalenti: la bellezza deve essere vera inse stessa, ma, più precisamente, la verità si distingue a sua volta da essanel suo esistere soltanto nell’idea universale della sua esistenza sensibile ed

22K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., pp. 38-39.23Cfr. ibid., pp. 38, 57.24Ibid., p. 64.25Ibid., pp. 58-59.26Cfr. G. W. F. Hegel, Ästhetik, Vorwort, in Id., Arte e morte dell’arte: percorso

nelle lezioni di Estetica, a cura di P. Gambazzi e G. Scaramuzza, tr. it. di G. F. Frigo,Mondadori, Milano 2000, p. 103.

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esteriore27. Tuttavia, l’idea deve realizzarsi anche esteriormente e ogget-tivamente, per cui il vero in quanto fenomeno esteriore si configura anchecome bello: il quale si determina perciò «come l’apparire sensibile dell’idea».L’arte per il filosofo è dunque intrinsecamente legata alla bellezza, e il suosviluppo si snoda entro due orientamenti, ovvero le forme particolari in cuiessa s’articola (arte simbolica, classica, romantica) e il sistema delle singolearti (architettura, scultura, pittura, musica e poesia).

Tralasciando la storia del bello artistico nelle sue tre modalità di rap-porto tra l’idea e la sua configurazione sensibile, dobbiamo qui concentrarcisul sistema delle singole arti, che possiamo immediatamente notare esse-re stato ripreso senza alcuna modifica da Rosenkranz. Il loro sviluppo èstrettamente correlato in Hegel allo svolgimento delle varie forme d’arte, se-condo un’articolazione che rinvia nuovamente all’organizzazione sistematicadel pensiero del filosofo: così l’architettura costituisce l’arte che per eccellen-za riguarda il periodo simbolico, la scultura il periodo classico, la musica ela poesia il periodo romantico. Naturalmente, ciascuna di queste disciplineè presente in ogni fase dello sviluppo artistico, ma realizza, per così dire,la “pienezza” della sua attitudine in uno stadio preciso dello svolgimentospirituale dell’universo estetico.

Due sono i criteri utilizzati da Hegel per la determinazione del sistemadelle arti e del loro reciproco rapporto; innanzitutto, un criterio basato sudi una “fenomenologia della sensibilità” che distingue i sensi teoretici (vi-sta e udito, cui s’aggiunge la rappresentazione sensibile del ricordo resa vivadall’intuizione) da quelli pratici (tatto, gusto e odorato) i quali «consumano»il loro oggetto e non lo lasciano sussistere nella sua autonomia, mostrandosipoco adatti a essere «organi per la comprensione di opere d’arte»; da cuiconsegue che: «questo triplice modo di comprensione dà all’arte la nota sud-divisione in arti figurative, le quali elaborano visibilmente il loro contenutoin forme e colori esteriori, oggettivi; secondariamente, nell’arte dei suoni, lamusica, e in terzo luogo, nella poesia, che come arte della parola impiegail suono come solo come segno per rivolgersi, mediante questo, all’intimodell’intuizione, del sentimento e della rappresentazione spirituali»28.

27Ibid., p. 109: «Vera è infatti l’idea com’essa è in quanto idea secondo il suo in sé e ilsuo principio universale, ed è pensata in quanto tale. Quindi, esiste per il pensiero, nonla sua esistenza sensibile ed esteriore, ma, in questa, soltanto l’idea universale».

28Ibid., pp. 271-272; si noti poi la ripresa della Critica del giudizio che qui Hegel mettein atto: lo stesso Kant infatti pone tre specie d’arti belle: arti della parola (eloquenza epoesia), arti figurative (plastica, pittura e giardinaggio) e arti del gioco della sensazione(musica e colorito). Nella gerarchia, il «primo posto» è assegnato alla poesia, seguita dallamusica o dalla pittura, a seconda che si guardi rispettivamente all’attrattiva o «alla colturache le belle arti portano all’animo». Hegel dunque riprende da Kant sia questa suddivi-sione che il primato della poesia: ma tale concordanza, in realtà, non è che concordanzaestrinseca, anche perché i contesti nei quali i due autori si muovono sono notevolmentediversi: Hegel infatti “libera” la scoperta dell’autonomia dell’arte elaborandola in una si-stematica molto moderna nel totale divorzio dall’artigianato e nell’esclusione degli «ibridi»e delle «arti imperfette» come il giardinaggio e la danza, al contrario essenziali all’ambito

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Il secondo criterio si fonda invece sul principio concettuale del rapportotra forma generale e arti singole, in quanto «l’oggettività esteriore, in cuipassano queste forme grazie a un materiale sensibile, e perciò particolare,fa sì che queste forme [d’arte generali] liberamente si frantumino in deter-minati modi della loro realizzazione, nelle arti particolari, in quanto ogniforma trova il suo carattere determinato anche in un determinato materialeesteriore e la sua adeguata realizzazione nel modo di rappresentazione»29.E nella corrispondenza tra forme generali e materiali sensibili, la massa pe-sante dell’architettura coincide con il simbolico; il marmo e i materiali dellascultura per il classico; il colore e la luce della pittura, il suono della mu-sica e le parole della poesia per il romantico30, in un ordine gerarchico chetrova appunto il suo gradino più alto nell’arte poetica, caratterizzata daun’universalità dovuta al suo sottrarsi alla dimensione “corporea” e con-sistente nel poter plasmare in ogni forma ogni contenuto: poiché «il suoautentico materiale resta la fantasia stessa, questo fondamento generale ditutte le forme d’arti particolari e di tutte le singole arti».

Come abbiamo già avuto modo di osservare, anche per quanto riguar-da il sistema delle singole arti Rosenkranz sembra riprendere la riflessionehegeliana solo a un livello “superficiale”, semplificando la complessa tra-ma dialettica del suo maestro: la successione delle discipline artistiche è sìmantenuta, così come il primato della poesia, ma la struttura generale delsuo discorso è decisamente meno elaborata e meno solida che la rigorosacostruzione hegeliana.

Rosenkranz definisce il legame tra le varie arti come una via verso la «li-berazione estetica dello spirito» che si realizza compiutamente nella poesia,l’arte più libera e, di conseguenza, maggiormente predisposta alla possibilitàdi cadere nel brutto: ma se in Hegel la superiorità della poesia è giustifi-cata in virtù della sua universalità espressiva, derivante dal suo sottrarsialla materialità, in Rosenkranz non appaiono ulteriori chiarimenti di taleaffermazione, come se implicito fosse il richiamo alla più ampia trattazio-ne hegeliana; infatti, possiamo leggere una brevissima descrizione dei varigradi della liberazione dello Spirito attraverso i «materiali in cui il bello sirealizza»31 che cita diversi elementi evidentemente estratti dall’Estetica he-

settecentesco in cui Kant si muove ancora.29Ibid., pp. 273-274.30Cfr. ibid., p. 275. Ciò non toglie che esistano però delle “deviazioni” a questo

schema: «In verità le arti particolari hanno sconfinato al di qua e al di là del loro ambitoanche in altre forme artistiche, per cui noi abbiamo potuto parlare tanto di architetturaclassica e architettura romantica, di scultura simbolica e scultura cristiana e abbiamodovuto accennare anche alla pittura e alla musica classica; questi sconfinamenti, invece dipervenire all’autentica vetta, erano, in parte, solo tentativi preparatori di cominciamentisubordinati o mostravano un iniziale superamento di un’arte, nel quale questa assumevaun contenuto e un modo di trattazione del materiale, il cui sviluppo completo e tipico erapermesso solo a un’ulteriore arte».

31K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., p. 57.

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geliana e che forse avrebbe meritato da parte di Rosenkranz una maggioreelaborazione: non solo il lessico è infatti ripreso pedissequamente dal mae-stro, ma possiamo rilevare, oltre all’accenno alla questione della libertà, ilriferimento al tema appena trattato della corrispondenza tra la materialitàe le diverse forme d’arte, con la conseguente suddivisione delle disciplineartistiche in arti figurative, musica e poesia: anch’essa quasi copiata di paripasso dalle pagine dell’Estetica hegeliana. Riferimenti solo abbozzati, tut-tavia, che non presentano nell’Estetica del brutto alcun approfondimento:non c’è in Rosenkranz l’indicazione dei due criteri sui quali Hegel basa lasua sistematica delle singole arti, né la relazione tra queste ultime e i varistadi dello sviluppo-artistico; la teoria dei sensi sviluppata dal maestro nonsi riverbera che in brevissime osservazioni32; il primato della poesia e il suocarattere “immateriale” sembrano essere considerati come nozioni scontatee in definitiva le poche pagine dedicate ai rapporti tra le discipline arti-stiche non servono che da catalogo per illustrare le differenti possibilità dirappresentazione del brutto.

Dunque, nonostante l’impalcatura hegeliana, l’impostazione di Rosen-kranz sembra in ultima analisi essere maggiormente debitrice, almeno perquanto riguarda il sistema delle belle arti, al più classico approccio di Bat-teux di un principio unificatore di ogni arte, che si traduce, nel nostro, inun generico rimando allo Spirito; come del resto s’evince anche rispetto aun’altra, fondamentale questione: la concezione dell’arte come imitazione.

Abbiamo già avuto modo di osservare che nonostante Batteux pongal’imitazione come unico tratto comune delle varie discipline artistiche, tutta-via la mimesis si configura nella sua opera come espediente per introdurre lanuova categoria estetica dell’espressione; e non è difficile osservare l’influenzadel pensatore francese nel momento in cui Rosenkranz afferma che «spettaall’arte realizzare la bellezza a cui la natura ispira, ma che spesso la suaesistenza nello spazio e nel tempo le rende impossibile: l’ideale della formanaturale. Ma per rendere possibile la verità ideale delle forme naturali biso-gna studiare scrupolosamente la natura empirica, come fanno del resto tuttii veri artisti: solo i falsi idealisti se ne vergognano»33.

Si può facilmente notare una ripresa quasi letterale della teoria esteticadi Batteux, a indicare ancora una volta la qualità essenzialmente ambivalen-te del pensiero di Rosenkranz, sospeso tra istanze settecentesche e l’adesione

32Rosenkranz accenna solo marginalmente alla distinzione hegeliana dei sensi in «teore-tici» e «pratici» [«Qui però possiamo prendere in considerazione, tra le arti, solo quelle cheoperano come libero fine a se stesse e come fine teoretico per i sensi dell’occhio e dell’udito.Le altre arti, dedicate al servizio dei sensi pratici del tatto, del gusto e dell’olfatto restanoescluse»] (ibid., p. 34), ma in alcuni luoghi mostra chiaramente di considerare i sensi pra-tici come i più predisposti a cogliere la bruttezza (ibid., p. 204). Del resto, sin dall’epocadi Pitagora, tra i sensi che trasmettono l’esperienza del bello la preferenza viene di normaaccordata alla vista e all’udito; cfr. la sintesi di R. Bodei, Le forme del bello, Il Mulino,Bologna 2008.

33Karl Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., p. 62.

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all’orizzonte hegeliano e post-hegeliano; come ne Le Belle Arti ricondotte ad

un unico principio, anche per il filosofo tedesco la nozione aristotelica di artecome imitazione non si deve ridurre a un mero copiare «gli oggetti empiri-ci»; la natura, in Rosenkranz come in Batteux, è concepita come organismo“perfettibile” che dev’essere elevato alla sua “statura” ideale (quale può es-sere concepita solo dallo spirito umano) attraverso l’“interpretazione” delgenio, tesa a selezionarne gli aspetti migliori: tale interpretazione, tuttavia,deve saldamente essere ancorata all’osservazione empirica, come sottolineainsistentemente Rosenkranz, testimoniando così il suo radicamento a unaconcezione “concreta”, fenomenica, dell’estetica.

Ma ciò che in questo caso c’interessa sottolineare non è tanto la più vol-te citata adesione alla poetica batteuxiana, quanto la sorprendente distanzadal pensiero estetico di Hegel e dalla sua feroce polemica contro l’arte co-me imitazione della natura esteriore: è vero che Rosenkranz riconosce essercompito dell’artista il dover far emergere la «forma ideale» della natura, chedev’essere condotta, nella sua imitazione, a un grado di bellezza e perfezioneconcepibile soltanto dallo spirito: ma il punto di partenza di tale operazio-ne è sempre l’osservazione e lo studio della natura empirica: al contrariodell’estetica di Hegel, che, sostenendo la superiorità del bello artistico sulbello naturale, rivolge delle pesantissime critiche al concetto di arte comemimesis.

Se per Rosenkranz l’arte bella ha il merito di poter migliorare la naturaesprimendo la sua forma ideale, al contrario per il maestro l’arte in quantoimitazione non può che soffrire di un “complesso di inferiorità” nei confrontidella natura: i suoi mezzi espressivi sono infatti limitati rispetto alla realtà,così come limitati sono i risultati prodotti dalla mimesis, che si esauriscono inun diletto che scivola rapidamente nel tedio o in una semplice manifestazionedi «destrezza» equivalente «all’abilità di colui che aveva imparato a lanciaresenza sbagliare delle lenticchie in una piccola fessura»34. In sintesi, per Hegella bellezza non è un dato naturale da imitare né un dono divino, ma unaproduzione umana che risponde a un autentico bisogno dell’uomo: quellodi crearsi cioè, anche esteriormente, un mondo in cui raddoppiarsi e in cuiriconoscersi appieno così da superare la precarietà e l’angoscia dell’esisterefinito verso una forma di realtà più alta. Un’arte concepita come imitazione,in questo contesto, non solo non permette alla «duplicazione» dello spiritodell’uomo di compiersi, ma soprattutto conduce al rischio di una sorta di“relativismo” estetico, in quanto «il principio dell’imitazione è del tuttoformale, se esso è posto come fine, [tanto che] viene a scomparirvi il bello

oggettivo stesso. Infatti non si tratta più di vedere come sia fatto ciò che

deve essere imitato, ma solo del fatto che esso venga imitato esattamente»35.

34Cfr. G. W. F. Hegel, Estetica, a cura di N. Merker e N. Vaccaro, Feltrinelli, Milano1963, pag. 54.

35Ibid.

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Nell’Estetica del brutto non c’è alcun accenno a questi temi, né si cerca diproblematizzare ulteriormente l’orizzonte di analisi aperto da Hegel; e Ro-senkranz mostra implicitamente di non condividere la posizione del maestroanche nel riferirsi alla questione del brutto naturale, presupposto fonda-mentale in Hegel per la critica alla concezione classicistica dell’arte comeimitazione.

La tesi hegeliana vuole essere una precisa presa di posizione control’estetica settecentesca, nel suo rivolgersi essenzialmente all’effetto suscita-to dall’opera d’arte sull’animo del fruitore – e intende invece concentrarsisull’arte in quanto manifestazione dell’Idea e orizzonte della manifestazio-ne del vero in forma sensibile. Nella concezione hegeliana l’arte abbandonauna dimensione soltanto naturale della bellezza per addentrarsi nell’ambitodell’elaborazione spirituale: per cui il bello artistico si configura come su-periore al bello naturale, a causa della mancata presenza in quest’ultimodell’elaborazione spirituale, del travaglio negativo che è intima testimonian-za della verità: il vero nella prospettiva hegeliana ha un carattere processualee storico, in quanto non riguarda soltanto la singola opera e il suo realizzar-si, ma l’intero svolgimento del divenire artistico, delle sue figure e dei suoigeneri, nel disporsi in una forma sensibile; un vero essenzialmente correlatoall’artistico, che non è invece presente nell’orizzonte naturale:

Con questo termine [estetica] noi escludiamo subito il bello naturale

[. . . ]. Il bello artistico sta più in alto della natura [. . . ]. Infatti labellezza artistica è la bellezza generata e rigenerata dallo spirito, e, diquanto lo spirito e le sue produzioni stanno più in alto della natura edei suoi fenomeni, di tanto il bello artistico è superiore alla bellezzadella natura. [. . . ]. La superiorità dello spirito e della sua bellezzaartistica di fronte alla natura non è però soltanto relativa, ma lo spiritosolo è il vero, quel che tutto in sé abbraccia, così che ogni bello èveramente bello, solo in quanto partecipe di questa superiorità e daquesta prodotto.36

Al contrario, per Rosenkranz è fondamentalmente impossibile affronta-re la questione dell’inferiorità del bello naturale e della sua mancanza diun’elaborazione spirituale (e quindi, della manifestazione del vero): per-ché egli non confronta bellezza artistica e bellezza naturale37, ma si limitaad asserire una «neutralità» del naturale (inorganico) rispetto alla catego-ria estetica del bello38: è infatti inesatto e improprio, secondo Rosenkranz,parlare di una bruttezza come di una bellezza naturale, qualunque cosa siintenda con queste espressioni: bellezza e bruttezza, in natura, sono sempre

36Ibid., pp. 6-7.37Anche se certamente la neutralità del naturale rispetto a ogni categorizzazione este-

tica avrà come conseguenza l’ovvia collocazione della bellezza – e della bruttezza, peropposizione – nell’orizzonte artistico, concezione perfettamente in linea con il pensierohegeliano.

38K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., p. 39.

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del tutto casuali, e la bellezza non è mai compiutamente realizzata, ma sem-pre imperfetta: sarebbe anzi più corretto dire che in sé la natura, in tuttii suoi aspetti, non è né bella né brutta, e che solo l’immaginazione umanaproietta su di essa giudizi di tal genere.

Se poi leggiamo nell’Estetica hegeliana che «a nessuno è ancora venu-to in mente di mettere in rilievo il punto di vista della bellezza delle cosenaturali e fare una scienza, una esposizione sistematica di questa bellez-za. Sentiamo di essere, con la bellezza naturale, troppo nell’indeterminato

senza criterio, e l’intraprendere tale classificazione offrirebbe perciò tropposcarso interesse»39, assistiamo invece in Rosenkranz proprio al tentativo di“sistematizzare” i diversi gradi di bellezza (e di bruttezza) della natura or-ganica che contraddice esplicitamente i dettami hegeliani nell’indicazione diun’«estetica della natura»: poiché se sì per il nostro la natura inorganicatrova la sua principale determinazione nel casuale, non si può dire lo stessoper la natura organica, la quale ha invece un «determinato carattere este-tico» in virtù dell’isolamento che «costituisce il principio di esistenza dellaforma», rendendola un «individuo reale»40.

Rosenkranz si dimostra molto più attento di Hegel alle manifestazionidel mondo naturale – anche in questo senso si può leggere la definizione diHenckmann di «sistema linneano del brutto»41 – e nella distinzione tra na-tura inorganica (neutrale rispetto alle categorie estetiche) e organica (sullaquale si può invece “innestare” un’«estetica della natura»), egli trova unefficace espediente per ricalcare da una parte la visione del maestro, e perribadire invece dall’altra, citando addirittura un’«estetica del bello di na-tura»42, la dignità estetica del mondo naturale; che si può notare nel corsodell’intera opera nei frequenti esempi tratti appunto dall’ambito animale evegetale43 e nell’ottima conoscenza che Rosenkranz mostra di possedere deiprincipali trattati dell’epoca riguardanti la botanica e la zoologia44.

E proprio l’attenzione “fenomenologica” che Rosenkranz riserva alle ma-nifestazioni estetiche ci permette di affrontare il suo legame con un altrofondamentale autore della riflessione settecentesca, ovvero Baumgarten, e diintrodurre la seconda categoria entro cui classificare le ambivalenze presentinell’Estetica del brutto: ovvero l’atteggiamento di fronte alla bruttezza, da

39G. W. F. Hegel, Estetica, cit., p. 7.40K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., p. 40.41W. Henckmann, “Vorwort”, in K. Rosenkranz, Ästhetik des Häßlichen, Wissenschaf-

tliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1973, pag. XVII.42Del resto, a eccezione del solo Ruge, l’intero ambito del post-hegelianesimo si è dimo-

strato poco fedele alle “direttive” del maestro: cfr. F. Iannelli, Hegel e gli hegeliani sulbrutto: una ricezione contemporanea, cit. .

43K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., pp. 40, 41, 103, 132, 185, solo per citarealcuni esempi tra le innumerevoli esemplificazioni in cui possiamo imbatterci nel corsodell’intera opera.

44Ibid., p. 272 (note 12, 13, 15) e p. 273 (note 16 e 18), quest’ultime con il riferimentoa un’«estetica delle piante» e a un «estetica degli animali».

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cui Rosenkranz si sente attratto e contemporaneamente ripugnato, e che tro-va nella sua vastissima illustrazione in esempi concreti quell’“autonomia”equella rilevanza che le sembra negata sul piano teorico dall’affermazione delsuo costituirsi come momento dialettico tra il bello e il comico.

Se infatti la stesura dell’Estetica del brutto si è conclusa nell’arco di settemesi, essa si basa tuttavia su oltre un decennio dedicato allo studio e allaraccolta di materiale: un vero e proprio immergersi nell’“inferno estetico”,spesso contemporaneo, che probabilmente spinge lo stesso Rosenkranz a ren-dersi conto della “dicotomia” tra l’enorme rilevanza fattuale che il brutto sitrova ad acquisire, grazie all’estensivo apparato di esempi dell’opera, e il suopoco adeguato riconoscimento teorico; non a caso, il nostro sente più voltela necessità di giustificare il suo modus operandi: poiché infatti ci trovia-mo di fronte a un soggetto poco trattato e «appartenente all’intuizione»,l’esempio, arma sì esplicativa ma “a doppio taglio”45, diventa tuttavia fon-damentale per determinare la definizione astratta del brutto: segno questodi un’ambivalenza che il filosofo non riesce a conciliare tra un livello teoreticoe un livello esplicativo, e che sicuramente costituisce uno dei tratti fonda-mentali, se non il tratto fondamentale, della sua Estetica. Ambivalenza chespinge poi Rosenkranz a “correggersi” parzialmente nella sua Prefazione, incui leggiamo che «nel corso della trattazione, una volta mi sono scusato incerto qual modo, di pensare così spesso per esempi. Ma mi accorgo che nonne avrei avuto affatto bisogno: tutti i teorici dell’estetica procedono in que-sto modo, anche Winckelmann, Lessing, Kant, Jean Paul, Hegel, Vischer, elo stesso Schiller, che raccomanda un uso contenuto dell’esempio. Del resto,non ho usato che un po’ più della metà del materiale accumulato a tale scopoin una serie di anni».

Seppur nell’elenco di autori che «procedono per esempi» Rosenkranznon ne faccia esplicita menzione, tuttavia non è possibile ignorare la suasostanziale coincidenza di vedute con un fondamentale pensatore settecente-sco: Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762), che nelle Riflessioni sulla

poesia definisce l’esempio come «la rappresentazione del più determinato ad-dotta per chiarire la rappresentazione del meno determinato», aggiungendodunque che: «pertanto troverà che la nostra definizione è feconda chi cerche-rà di risolvere il problema di come con una costruzione si deve dare ad altriun esempio o chi avrà riflettuto sulle parole autorevolissime del pio Spener,quando afferma: «La matematica, con la sua certezza e con la saldezza delledimostrazioni offre a tutte le altre scienze un esempio, che, per quanto èpossibile, esse debbono imitare».»46.

45«Con l’esempio però si corre un nuovo pericolo: in quanto caso particolare, l’esempiolimita l’universalità e del vero e rischia di mescolare il casuale col necessario. PerciòSchiller dice giustamente che un autore interessato al rigore scientifico, proprio per questosi servirà molto malvolentieri e con parsimonia di esempi». (ibid., p. 131).

46A. G. Baumgarten, Riflessioni sulla poesia, a cura di P. Pimpinella e S. Tedesco,Aesthetica, Palermo 1999, p. 45. Egli prosegue poi nella sua dissertazione sul valore

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Il riferimento a Baumgarten è basilare al fine di notare legame di Ro-senkranz con una precisa concezione dell’estetica connessa alla sensazione.Proprio nelle Riflessioni sulla poesia da cui abbiamo tratto il passo appenacitato egli infatti propone la prima definizione teorica di estetica:

Poiché la psicologia mette a disposizione principi certi, non dubitiamoche si possa dare una scienza che guidi la facoltà conoscitiva inferioreossia la scienza della conoscenza sensibili in senso lato. Poiché esistela definizione, si può facilmente escogitare il termine così definito; già ifilosofi greci e i padri della Chiesa hanno sempre distinto accuratamen-te tra gli aistheta e i noeta e pare abbastanza chiaro che gli aistheta

per essi non equivalgono alle sole cose sensibili, giacchè anche le cosepercepite come assenti (dunque le immagini) meritano questo nome.Siano dunque i noeta da conoscere con la facoltà superiore oggettodella logica; siano gli aistheta oggetto della episteme aisthetike, ossiadell’Estetica.47

La sensibilità è in Baumgarten centro unificatore dell’estetica: la quale,secondo la sua prospettiva, ha un preciso dominio specifico: l’essere cioè«conoscenza chiara e confusa»: un’affermazione che si ricollega al pensiero diLeibniz (1646-1716), nella sistematizzazione del suo allievo Christian Wolff,e alla sua definizione di conoscenza chiara e confusa, ovvero di quel gradodi conoscenza sufficiente alla necessità della vita quotidiana, che permettedi orientarsi nella comune esperienza, ma che tuttavia non è in grado dicogliere in modo preciso i propri elementi48.

Baumgarten riprende quindi la nozione di conoscenza chiara e confu-sa elevandola ad ambito specifico di una disciplina, l’estetica, in grado di

dell’esempio rifacendosi allo stesso Leibniz: «Le rappresentazioni confuse degli esempisono rappresentazioni estensivamente più chiare di quelle per la cui chiarificazione essisono addotti, perciò più poetiche, e tra gli esempi quelli particolari sono certamente imigliori. Questo ha visto il famoso Leibniz, quando nel suo eccellente libro, dove presela difesa alla causa di Dio, dice: «Le but principale de la Poésie doit être d’enseigner laprudence et la vertu par des exemples». (ibid., pp. 45-46).

47Ibid., p. 71.48Riprendendo la nozione cartesiana per cui l’unica possibilità di conoscenza non illuso-

ria si trova nell’appoggiarsi esclusivamente alle idee «chiare e distinte», che si presentanocon estrema evidenza alla nostra mente, e che non possono derivare dall’esperienza, Leib-niz cerca di riabilitare, per così dire, l’“oscurità”. Nelle Meditazioni sulla conoscenza, laverità, le idee, del 1684, egli infatti distingue, in ordine graduale, una conoscenza oscurae una conoscenza chiara. La conoscenza chiara a sua volta può essere confusa o distin-ta; e quest’ultima si suddivide ulteriormente in conoscenza inadeguata o adeguata. Laconoscenza chiara, distinta e adeguata rappresenta per Leibniz la perfezione, un’idea icui elementi sono conosciuti singolarmente e in modo estremamente preciso, avvicinabiledall’uomo solo nelle scienza matematiche; la conoscenza chiara, distinta e inadeguata è illivello solitamente raggiunto dall’uomo; la conoscenza chiara e distinta nasce da un’analisiprecisa degli elementi che la costituiscono; della conoscenza chiara e confusa abbiamo giàdetto; e infine abbiamo il gradino più basso di questa “scala”, la conoscenza oscura, chenon permette di riconoscere appieno l’oggetto della rappresentazione.

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abbracciare la varietà e la molteplicità dell’esperienza, strettamente colle-gata alla realtà quale ci si offre nell’orizzonte del sensibile e non ordinatada principi di carattere razionale, di cui anzi essa, «gnoseologia inferiore»,costituisce il fondamento. È all’interno di questa concezione che si radical’importanza dell’utilizzo metodologico dell’esempio, ed è quindi a una pre-cisa tradizione settecentesca che Rosenkranz si rifà implicitamente nel suosottolineare il valore delle esemplificazioni.

Ma la teoria rosenkranziana dell’esempio rimanda a un ulteriore ambitodi pensiero; e al proposito, nel suo saggio Estetica del bello ed estetica del

brutto49 Vittorio Stella ci offre un’interessante interpretazione della sceltadi Rosenkranz di affrontare una vera e propria fenomenologia del brutto ri-ferendosi alla nozione hegeliana del valore fondativo che nell’arte competeal contenuto; poiché essa infatti non ha altro compito che tradurre in formasensibile «il suo contenuto», ovvero l’Idea, una filosofia dell’arte secondo He-gel non può che essere analisi e studio delle sue determinazioni storiche: unaprospettiva secondo Stella adottata anche da Rosenkranz, e, del resto, da-gli altri pensatori ascritti all’orizzonte post-hegeliano che di estetica si sonooccupati: Weisse, Vischer, Ruge e Kuno Fischer. Tale prospettiva permet-terebbe sul piano teorico la giustificazione dell’approccio “descrittivo” allamateria presente nell’Estetica del brutto: approccio che non casualmente siappoggia su solide constatazioni storiche, di modo che la trattazione vienecosì impressa di una motivazione qualitativa decisamente “empirica”.

Dai contenuti prescelti tuttavia non deriva soltanto l’ambivalenza as-segnata al concetto di brutto: il loro riflesso infatti si ritrova anche nellacompresenza di due diversi approcci, sistematico e descrittivo, al brutto, inmodo da formare un’unità che comprende un ambito empirico, ovvero gliesempi di cui Rosenkranz si serve così spesso per illustrare le sue tesi, unambito sistematico, ovvero la griglia di categorie entro cui le varie formedella bruttezza sono classificate, e un ambito descrittivo-assiologico, costi-tuito dai giudizi di valore e dalla personale interpretazione data dall’autoreai contenuti trattati.

Leggiamo al proposito una missiva inviata dal nostro al Varnhagen, nel1837 (che dunque testimonia come l’idea di ordinare in tal modo le categorieestetiche era sorta in Rosenkranz molto tempo prima dell’effettiva stesuradell’opera che stiamo analizzando):

Sono in possesso di uno sviluppo che è così rigorosamente dialetticoche io stesso ne sono stupito. Si tratta di uno sviluppo del brutto nelcomico, in cui ho dimostrato in maniera stringente che il concetto dicaricatura costituisce il passaggio dal brutto al comico.50

49V. Stella, “Estetica del bello ed estetica del brutto”, in La disarmonia prestabilita,“Aesthetica preprint”, 1985, n.10.

50“Karl Rosenkranz an Karl August Varnhagen von Ense”, in Briefwechsel zwischenKarl Rosenkranz und Varnhagen von Ense, edito presso Arthur Warda, Königsberg 1926,

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«Sviluppo» che non è soltanto una modalità di esposizione: ma che ap-punto vuole sottolineare, ancora una volta, come il brutto sia un momentodella realizzazione dell’ Idea estetica; anche se, in realtà, non siamo propriodi fronte a un’esposizione «così rigorosamente dialettica», seppur, certamen-te, non si può negare che la trattazione si dispieghi in un “ritmo ternario” ditipica ascendenza hegeliana, che appare immediatamente evidente soltantoconsultando l’indice dell’Estetica del brutto. Non dobbiamo tuttavia farciingannare da tale apparato sistematico: a un’analisi più attenta infatti essoappare come una “struttura” formale ed estrinseca che, convivendo con unaseconda modalità d’approccio alla materia, di tipo empirico-descrittivo, traeda quest’ultima la sua linfa vitale evitando di trasformarsi in una sterile sche-matizzazione teorica: la ricchezza di esempi che fa da sfondo all’Estetica del

brutto, esempi spesso tratti dall’arte contemporanea, permette che il discor-so non si esaurisca nella semplice enunciazione di principi, ma che anzi certerestrizioni teoriche siano poi superate nell’indagine empirica riconoscendoal brutto un rilievo, uno “spazio”, che l’impalcatura dialettica sembrerebbesottrargli.

Tale “duplicità” di approccio, come già accennato, si può inserire all’internodella seconda categoria di ambivalenze che si può ritrovare nell’Estetica del

brutto, riguardanti l’atteggiamento di Rosenkranz nei confronti della ma-teria trattata; verso il negativo, scrive il nostro nella sua autobiografia, alcontrario di Hegel egli ha sempre provato una vera e propria attrazione,addirittura «una predisposizione psichica», che lo portava a essere «affasci-nato dalle malformazioni e dalle anomalie del gabinetto di scienze naturalidella sua città natale»51. Nella già citata lettera al Varnhagen egli poi siriferisce alla sua «inclinazione a studiare il negativo in tutte le sue forme»e dichiara che l’Estetica del brutto sarà «solo il primo di una serie di lavoriche penetreranno molto più a fondo nell’inferno nell’esistenza»52.

Abbiamo già visto nell’interpretazione di Stella il rimando alla nozionehegeliana del contenuto come fondamento di valore della rappresentazioneartistica; che ci ha permesso di “giustificare” la duplicità dell’approccio di

p. 59, cit. in R. Bodei, “Presentazione”, in K. Rosenkranz, Estetica del brutto, a cura diR. Bodei, tr. it. di S. Barbera, Aesthetica, Palermo 1994, p. 16.

51H. Funk, Ästhetik des Häßlichen. Beiträge zum Verständnis negativer Ausdrucksfor-men im 19. Jahrhundert, in G. Scaramuzza, Il brutto nell’arte, cit., p. 125; curiosamente,l’attrazione di Rosenkranz nei confronti del negativo si può accumunare a ciò che eglistesso condanna come il «piacere patologico» che la sua epoca ricerca ansiosamente nellemanifestazioni più sordide della bruttezza e della corruzione; cfr. K. Rosenkranz, Esteticadel brutto, cit., p. 59. A ulteriore riprova della duplicità insita nell’Estetica del brutto,dobbiamo inoltre aggiungere che di fronte alle manifestazioni della bruttezza è tuttaviapossibile provare un «piacere sano» che nasce «quando il brutto si giustifica come necessitàrelativa nella totalità di un’opera d’arte e viene superato dall’effetto contrario del bello».(ibid., p. 76).

52Karl Rosenkranz an Karl August Varnhagen von Ense, in G. Scaramuzza, Il bruttonell’arte, cit., p. 127.

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Rosenkranz al brutto, da interpretare come riflesso di una concezione ambi-valente rispetto al concetto di bruttezza, che ora è necessario approfondire.

Diverse sono le fonti che hanno ispirato il percorso filosofico del no-stro, come abbiamo già notato, e l’influenza di altri pensatori si nota ov-viamente anche nella sua definizione del brutto: che se sicuramente risentedell’impostazione dialettica della filosofia hegeliana, è parimenti stata con-dizionata da uno scritto giovanile di Kant sul concetto delle grandezze ne-gative, in cui il negativo non è concepito come mera mancanza ma comel’opposto positivo, dotato di qualità proprie, di ciò che nega.

Applicando alla psicologia il concetto delle grandezze negative caratteri-stico della matematica, Kant afferma che il dispiacere non è semplicementela negazione logica del piacere, ma è in se stesso un dato positivo, l’oppostodotato di una sua realtà empirica: una determinazione concettuale che si puòindividuare anche all’ambito estetico, nel breve accenno alla «bellezza nega-tiva»53. E tra i «molti filosofi» che secondo Kant hanno trascurato la nozionedi grandezza negativa, sicuramente non possiamo annoverare Rosenkranz,il quale fa tesoro dell’indicazione kantiana nella sua concezione “relativa”del brutto, che pur configurandosi come rovesciamento del bello non ha unanatura soltanto privativa ma rivendica una sua peculiare positività.

Cominciamo dunque ad analizzare più da vicino le considerazioni sultema dell’Estetica del brutto:

Estetica del brutto suonerà, a taluno, un po’ come “ferro ligneo”, per-ché il brutto è il contrario del bello. Solo che il brutto è inseparabiledal concetto di bello: quest’ultimo lo contiene costantemente nel suosviluppo come quell’errore in sé in cui si può cadere con un troppo o unpoco, spesso esigui. [. . . ] Non è difficile capire che il brutto, in quantoconcetto relativo, è comprensibile solo in rapporto a un altro concetto[. . . ] Se non ci fosse il bello, il brutto non ci sarebbe affatto, perchéesiste solo come negazione di quello. Il bello è l’idea divina originaria eil brutto, sua negazione, ha, appunto in quanto tale, un’esistenza solosecondaria.54

Se la nostra analisi si concludesse con questo passo, saremmo gioco-forza vincolati a condividere la valutazione di Raulet nella sua Prefazione

all’edizione francese dell’Estetica del brutto: muovendo dalla definizione ro-senkranziana del «bello come idea divina originaria» in cui egli sostiene che«l’Estetica di Rosenkranz si poggia su una base concettuale neo-platonicae cristiana, quasi plotiniana: l’idea è la fonte della bellezza, la materia è il

53«Ne risulta che il dispiacere non è mera assenza di piacere, bensì una causa positiva cheannulla in tutto o in parte il piacere che deriva da un’altra causa, e perciò lo chiamo piacerenegativo. [. . . ] Per queste ragioni si può chiamare l’avversione un desiderio negativo, l’odioun amore negativo, la bruttezza una bellezza negativa, il biasimo una lode negativa ecc.».(I. Kant, Versuch, den Begriff der negativen Größen in die Weltweisheit einzuführen, tr.it. cit.).

54K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., pp. 34-35.

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regno del male e dell’informe. L’ampiezza della fenomenologia delle mani-festazioni della bruttezza dispiega tutta la misura di questo dualismo chenon può essere superato a meno che l’anima non si sottragga al regno del-la materialità, e si dubiti che lo schema dialettico possa mantenere le suepromesse»55.

Al di là delle osservazioni sul legame tra la bruttezza e il male mora-le, e riguardo al quale le valutazioni di Raulet sono certamente precise, cisembra per lo meno discutibile definire come «platonica» la prospettiva ro-senkranziana: è sì vero che nel passo appena citato il brutto viene definitocome negativo del bello, «idea divina originaria», nonché suo presuppostopositivo, il che potrebbe riportarci alla prospettiva di derivazione platonicaper la quale il brutto si configura come totale opposizione della bellezza: maè doveroso sottolineare che per il filosofo antico il brutto si deve completa-mente esiliare non solo dall’ambito artistico, ma anche dallo stesso orizzontedel reale, in quanto «non-essere» in contrapposizione all’idea del Bello in sé,coincidente con la pienezza dell’ Essere e del Vero; una cornice insomma chepoco ha in comune con il “sostrato”, settecentesco da una parte, hegelianodell’altra, che invece caratterizza Rosenkranz.

Altri due elementi inoltre ci suggeriscono di considerare come parzial-mente inesatta la posizione di Raulet: il riferimento rosenkranziano all’«ideadivina originaria», espressione ripresa da Weisse – che dunque ci riporta alcontesto hegeliano e più precisamente al tema del bello come apparire sen-sibile dell’idea – e il riferimento al già citato scritto di Kant sulle grandezzenegative, che ci permette di osservare da un nuovo punto di vista la nozionedel brutto come «opposizione e negazione del bello».

L’idea del negativo in generale nella sua pura astrazione non ha alcunaforma sensibile. Ciò che non può manifestarsi sensibilmente neppurepuò diventare oggetto estetico. [. . . ] Il bello è l’idea così come trovaeffettuazione nell’elemento del sensibile, come libero configurarsi di unatotalità armonica. In quanto negazione del bello, anche il brutto necondivide l’elemento sensibile e quindi non può avere accesso in unaregione che è solo ideale, in cui l’essere esiste solo come concetto mala cui realtà, come realtà che adempie alle condizioni dello spazio e deltempo, ancora è esclusa.56

Appare evidente in questo passaggio che la negatività estetica del brut-to non può sicuramente essere assimilata a una concezione di derivazioneplatonica: la bruttezza è sì legata al male morale, è sì l’opposizione dellabellezza, ma all’interno di un contesto più ampio e complesso, che rimandaa una serie di riferimenti “esterni” e che non può essere ridotto all’ adesionealla riflessione platonica sulla negazione del bello, di cui francamente nontroviamo tracce rilevanti nell’Estetica del brutto.

55G. Raulet, “Préface”, in K. Rosenkranz, Esthéthique du laid, tr. francese di S. Muller,Circé, Parigi 2004, pp. 14-15.

56K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., p. 37.

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Abbiamo poi accennato a dei «riferimenti esterni» che emergono dalleparole di Rosenkranz: in quale senso? Ciò che vogliamo intendere è che latrattazione rosenkranziana si collega a dei temi fondamentali della riflessio-ne di altri autori, che ci sono di grandissimo aiuto per meglio comprenderee inquadrare la prospettiva del nostro, attraverso delle allusioni più o menoimplicite che spesso non sono ulteriormente approfondite, quasi a voler in-dicare il loro “status” di principi basilari ormai “interiorizzati” e accolti nelproprio pensiero. Ed è questo appunto il caso della definizione del bello comedell’«ideale della forma sensibile», una definizione ripresa dall’Estetica he-geliana e che costituisce un esempio, privo in questo caso di ogni ambiguità,del radicamento di Rosenkranz nella filosofia di Hegel.

L’apparenza del bello artistico per Hegel è la trasfigurazione del sensibileimmediato in un sensibile «spiritualizzato» ed elevato a essere manifestazio-ne e fenomeno della verità. L’arte dunque «libera entro la sfera sensibile,al contempo, dalla potenza della sensibilità»57, è un itinerario del sensibilee solo secondariamente sensuale. Il problema della verità, dunque, si ponenell’ambito dell’apparire: è infatti soltanto nella dimensione dell’apparireche la realtà può essere sua manifestazione, e in tale dimensione è appuntol’opera d’arte a costituirsi come il fenomeno del vero. L’arte, come entereale e concreto, si autonomizza dal reale riducendolo ad apparenza dellaverità, nella coincidenza tra l’affacciarsi del sensibile e quello della bellezza:è quindi la sua stessa essenza a determinare l’apparenza come unico modod’essere in cui, nel sensibile, può farsi luce la verità. L’apparire dell’operad’arte ha dunque il significato del fainesthai greco: il bello è come in Pla-tone un’eccedenza sia nei confronti del sensibile che dell’intelligibile, delleIdee e della verità: nel Fedro la bellezza è inoltre l’unica Idea che possa ma-nifestarsi sensibilmente, nell’atto di apparire che coincide con il risplendere(fainomai, appunto): essa, come abbiamo visto, è intrinsecamente legata aEros, e può dunque essere colta e amata dagli uomini in modo immediato,per un privilegio che non è concesso ad altra Idea.

In questo senso forse si può parlare di «derivazione platonica» del pensie-ro di Rosenkranz come fa Raulet: ma egli non a questo tema si riferisce nellasua analisi, e del resto la sua affermazione appare tuttora poco prudente: sipuò certo notare che l’Estetica del brutto è erede di una concezione del bello,quella hegeliana, che riprende un’apertura del pensiero ch’era stata inaugu-rata dal filosofo greco, ma in questo caso si tratta di un platonismo, per cosìdire, “spurio”, che si presenta come una premessa la quale tuttavia vienerovesciata nella svalutazione hegeliana del bello naturale e nell’inserimentodella manifestazione della verità dell’arte; arte che da Platone, ricordiamo,viene giudicata negativamente come «mimesi di un simulacro»58 e ispiratrice

57G. W. F. Hegel, Estetica, cit., p. 60.58Plat., Resp., 598b, tr. it. di F. Sartori, in Id., Opere complete, a cura di G.

Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1993.

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di poco edificanti passioni.E il riferimento al pensiero hegeliano è fondamentale per la definizio-

ne rosenkranziana del concetto di brutto nel suo inserirsi in una cornicedialettica: la bruttezza è termine medio tra il bello e il comico, e la sua“riconciliazione” con la bellezza attraverso la mediazione della caricaturasolleva il fondamentale problema della possibilità, o meno, della redenzionedel brutto.

Tuttavia, è proprio l’elaborazione della forte influenza del pensiero hege-liano, come abbiamo in parte già notato, a costituire il terzo ambito di am-bivalenza caratterizzante l’Estetica del brutto; Rosenkranz si accosta soventealla riflessione del maestro semplificando spesso le sue intuizioni e non pro-blematizzandole ulteriormente, ma anzi utilizzandole come “sostrato” benacquisito per sviluppare posizioni spesso opposte alla filosofia hegeliana: co-me nel caso emblematico della trattazione della bruttezza naturale e neitemi, ch’ora ci apprestiamo a sviluppare, della considerazione della possibi-lità di redenzione del brutto, della questione della rappresentabilità artisticadel male, della dialettica, della libertà e del concetto di divenire.

Anzitutto, il brutto è per il nostro autore concetto relativo, che devela sua esistenza al presupposto positivo della bellezza e che tuttavia, «dalpunto di vista empirico è ciò che è grazie a se stesso»; «il brutto è il pericoloche lo [il bello] minaccia internamente, la contraddizione che per sua naturaha in se stesso»; definizione che non può non rimandarci al contesto filosoficohegeliano.

Nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche Hegel elabora il concetto di fini-to come luogo della contraddizione: nel senso che le cose finite hanno sì comecaratteristica fondamentale di «essere», ma un essere i cui tratti principalisono dati dal tempo e dal divenire, per cui «l’ora della loro nascita è l’oradella loro morte»: il che comporta come elemento peculiare della finitezzadelle cose il non essere «veramente quali si mostrano immediatamente».

Il finito dunque non è il vero reale, o meglio lo è solo nell’«inquietudine»che lo spinge oltre se stesso: poiché soltanto come momento della totalitàe della totalizzazione, il finito lascia trasparire una realtà in senso più ele-vato, una realtà che invece caratterizza in modo proprio l’infinito, il veroessere, su cui si fonda l’affermazione hegeliana del carattere posto e mediatodella finitezza. Immerse nel tempo, tutte le cose finite sono in se stesse con-traddittorie, in quanto in esse giace la spinta verso il loro stesso tramontonel costituirsi quali momenti della totalità: e questo «tramonto» non è chel’Aufhebung, il superamento, un sottrarre che innalza e invera a un livellopiù alto, e sulla cui base lo spirito si riconcilia con il mondo – e nella storia– riconoscendosi in esso come compiuta attuazione della razionalità59.

59Si tratta del cammino attraverso il quale lo Spirito Assoluto si riconcilia con se stessodescritto nelle sue varie tappe nella Fenomenologia dello Spirito; cfr. G. W. F. Hegel,Fenomenologia dello Spirito, a cura di V. Cicero, Bompiani, Milano 2000.

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Su questa base teorica si fonda la precisazione di Rosenkranz per cui ilbrutto non si configura essenzialmente quale essere: ma quale divenire60.

Indagando il concetto di bellezza, Hegel ci fornisce delle indicazioni pre-ziose per cogliere il suo complesso disegno teorico, per cui l’Idea, ovverola bellezza, deriva dal congiungersi della realtà con il concetto, secondo unaforma paradigmatica che resterà tale per tutta la strutturazione delle lezionidi estetica: l’idea si configura cioè sempre in una forma determinata, dun-que come ideale61: essa infatti ha natura processuale e solo nel suo percorsoacquisisce la concretezza che le compete. Il carattere dialettico del diveni-re del concetto si definisce in relazione alla singola opera nelle categorie diuniversale, particolare e singolare, e in relazione alla storia dell’universo ar-tistico nella tre forme d’arte simbolica, classica e romantica. Nell’itinerariodella singola opera assistiamo quindi al trascorrere dall’universalità astrat-ta alla “particolarizzazione”, la quale viene a sua volta superata, in quantonegazione dell’universale, nel momento della singolarità, in cui quest’ultimosi rapporta a se stesso nell’alterità, assumendo l’aspetto di una totalità siasoggettiva che oggettiva.

Di conseguenza, l’opera è in quanto anzitutto diviene, elaborando il sensi-bile e sollevandolo dalla sua accidentalità per giungere infine all’individualitàvivente, espressione autentica dell’autonomia dello spirituale62.

Nella sua caratterizzazione del brutto come divenire, al solito Rosenkranznon si concentra sulla cornice più ampia in cui è inserito lo sviluppo di ogniquestione – in questo caso la definizione del bello e dell’opera d’arte nellasua peculiarità – in Hegel, e si limita invece a riprendere l’intuizione delmaestro applicandola a quella categoria estetica che si configura ancora comel’opposto della bellezza: la bruttezza, appunto, che non è qualcosa d’inerte opassivo, ma una potenza in divenire, la quale tanto più è sottomessa, quantopiù contribuisce alla realizzazione del bello: che a sua volta, sottolinea Bodei,«cessa di avere una natura statica, di essere un’idea eterna e immutabilealla quale l’arte deve semplicemente adeguarsi. Esso rappresenta piuttostoil trionfo dell’ordine sul disordine, la vittoria della forma su quanto è amorfo,asimmetrico, disarmonico, scorretto, sfigurato, ripugnante o nauseante»63.

Il tema del divenire si ricollega nell’orizzonte hegeliano alla nozione didialettica e alla trattazione della libertà; che ritroviamo sì ripresi in Rosen-kranz, ma secondo la sua consueta modalità “di facciata”; anche in riferi-mento al conseguente e fondamentale problema della possibilità, o meno,della redenzione della bruttezza (e del male).

«All’interno del brutto l’illibertà costituirà in modo conseguente il prin-cipio da cui prende le mosse la caratteristica estetica, o piuttosto inestetica,individuale. [. . . ] Il male è l’eticamente brutto, che avrà come conseguenza

60K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., pp. 39, 125.61G. W. F. Hegel, Estetica, cit., p. 123.62Ibid., pp. 178, 179.63R. Bodei, “Presentazione”, in K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., pp. 17-18.

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anche il brutto estetico»64. Nella sua trattazione dell’illibertà come nucleoessenziale del brutto, Rosenkranz si muove tra l’adesione e il riferimento“fugace” a tematiche d’ascendenza hegeliana e lo sviluppo di una personaleriflessione che, al contrario, da Hegel prende le distanze: se infatti la li-bertà viene frettolosamente liquidata come autodeterminazione del soggettonel processo dialettico per cui l’organismo può esprimere attraverso di sélo spirito65, trattando della suddivisione del concetto di brutto Rosenkranzci offre un’ulteriore definizione che certamente può essere molto utile percapire l’orizzonte teorico su cui la sua concezione si fonda: precisando chenon s’addentrerà in dibattiti più complessi sulla questione, egli afferma che«il concetto della libertà non è pensabile senza quello di necessità, giacchèil contenuto dell’autodeterminazione, che ne è la forma, sta nella natura delsoggetto individuale che si determina»66. Se vogliamo quindi rivolgerci auna prospettiva esclusivamente estetica, continua il nostro, ne risulterà chela libertà, in quanto necessità che si autodetermina, costituisce il contenutoideale del bello.

Non possiamo tuttavia comprendere appieno la definizione di Rosenkranzsenza addentrarci nella determinazione hegeliana della libertà in rapportoall’orizzonte artistico; e se tale questione è affrontata da Hegel in mododecisamente più approfondito, in riferimento alla sua concezione dell’artecome modalità di manifestazione dello Spirito Assoluto, tuttavia l’allievoriprende la conclusione del maestro (la libertà come fondazione estetica),inserendola in un contesto certo più “classicista”, nel porre come presuppostodell’estetica (che si configura come filosofia del bello) la libertà.

Per determinare il carattere specifico dell’arte come bisogno dell’uomo,leggiamo nell’Estetica hegeliana, dobbiamo necessariamente chiederci in chemodo si rapporti l’assoluto dell’arte con la finitezza «della vita naturale».Poiché «laddove c’è finitezza, là scoppiano sempre di nuovo l’opposizione ela contraddizione e l’appagamento non va mai oltre il relativo»67, l’uomo èspinto a ricercare una verità più alta in cui riconoscersi, una verità in cuipossano conciliarsi i conflitti e le lacerazioni del finito (soggettivo e oggettivo,libertà e necessità, spirito e natura, sapere e oggetto, interno ed esterno).In quanto lo Spirito Assoluto è la potenza che pone come relative questeopposizioni nel suo inserirle «nell’armonia e unità che è verità» l’arte, mani-festazione sensibile dello Spirito, può portare al superamento della finitezza,liberando la vita dell’uomo «dalle determinazioni e limitazioni dell’esseredeterminato contingente»: non attraverso la cancellazione dell’opposizionee della lacerazione, bensì nell’inveramento del loro contenuto al di là deldualismo; per cui essa si configura come la «vita rappresentata come libera-

64Ibid., p. 65.65Ibid., p. 64.66Ibid.67G. W. F. Hegel, Estetica, cit., p. 100.

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ta»68. Rosenkranz riprende evidentemente nella sua definizione la nozionehegeliana di libertà; ma se il suo maestro affronta questo tema in relazionealla concezione di un’arte che soddisfa l’aspirazione dell’uomo a trascende-re la finitezza, l’autore dell’Estetica del brutto, ancora legato a una visioneclassicistica dell’universo artistico, sceglie di ignorare queste implicazioni,collegando la libertà alla fondazione della bellezza69, in un orizzonte etico incui il bello si identifica con il bene e il brutto con il male morale: e in questaoperazione egli anzi si colloca in sostanziale divario con il suo maestro, inuna prospettiva del resto comune a tutto il pensiero estetico post-hegeliano.

Che il brutto non possa essere semplicemente la veste esteriore del maleè conclusione a cui Hegel giunge a partire dalla celeberrima riflessione sullarappresentazione della divinità nel Cristianesimo: la natura umana e divi-na di Gesù non può assolutamente essere colta attraverso la raffigurazioneideale usata per le divinità greche, in quanto costituirebbe un’insuperabilecontraddizione tentare di esprimere in modo armonico il dolore e la gravitàche accompagnano il drammatico vissuto del Cristo crocifisso; e nel momen-to in cui appare il dolore, anche il brutto fa il suo ingresso nell’arte perconferire un’espressione estetica adeguata alla sofferenza70. Se Rosenkranzs’inserisce dunque di diritto entro la galassia post-hegeliana nella tendenzaad accostare il male al brutto, e se limitatamente a questo aspetto possia-mo in parte condividere l’accusa di «platonismo estetico» che gli rivolgeRaulet71, con le dovute chiarificazioni prima specificate, tuttavia ci sembraingiusto nei confronti della peculiarità dell’opera ridurre il giudizio di Rosen-kranz sul brutto a una valutazione esclusivamente etica. Fermo restando chenon è nostra intenzione negare il legame che attraverso il tema dell’illibertàsi instaura tra la bruttezza e il male, la caratterizzazione rosenkranziana delbrutto rimanda a una molteplicità di temi e riferimenti che non ci permettedi identificare tale relazione come univoca determinazione della bruttezza –cosa del resto esplicitamente affermata dal nostro72. Il male, dunque, è sìlegato al brutto in quanto negazione della libertà assoluta che fonda il bello,ma come sua manifestazione più radicale; assistiamo perciò a un parzialeriavvicinamento all’orizzonte hegeliano nel riconoscimento che non tutte ledeclinazioni della bruttezza s’identificano necessariamente con la negativitàetica: riconoscimento che emerge in particolare nella trattazione del bellospirituale73, che permette di “giustificare” la bruttezza di Cristo (e di noncadere in contraddizione con Hegel), per cui un riferimento, più che nelplatonismo, si potrebbe forse trovare nella “duplicità” della concezione me-

68G. W. F. Hegel, Arte e morte dell’arte: percorso nelle lezioni di estetica, cit., pp.90-93.

69K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., pp. 46-47.70G. W. F. Hegel, Arte e morte dell’arte: percorso nelle lezioni di estetica, cit., p. 209.71G. Raulet, “Préface”, in K. Rosenkranz, Esthéthique du laid, cit. .72K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., p. 210.73Ibid., pp. 45-46.

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dievale sul tema: divisa tra la negatività estetica ed etica di una bruttezzaconsiderata come espressione del male e la rivalutazione del brutto nel suoesprimere la nuova visione cristiana della bellezza appartenente all’orizzontespirituale.

Ed è infine il problema della (possibile) redentività estetica del malea concludere il nostro breve itinerario nei meandri dell’Estetica del brutto;ponendosi come ulteriore esempio della categoria dell’ambivalenza secondola quale a nostro avviso si deve interpretare l’opera di Rosenkranz.

La riconciliazione del brutto nell’unità della bellezza si realizza attra-verso il comico, come già abbiamo accennato, in una concezione comune atutte le dissertazioni estetiche post-hegeliane; e Rosenkranz affronta speci-ficamente questa categoria estetica nell’ultimo paragrafo della sua opera74,anche se aveva già mostrato nel corso della trattazione come ogni determina-zione del brutto potesse essere volta in ridicolo. Non vogliamo approfondireulteriormente le caratteristiche e la genesi della caricatura che, seppur dinotevole interesse, s’innestano in modo solo marginale nella nostra riflessio-ne; nel suo essere elemento di mediazione dialettica tra il brutto e il bello,il comico tuttavia solleva una questione decisamente complessa: è dunquesempre possibile per Rosenkranz una “redenzione” del brutto? Una reden-zione che andrebbe a negare dunque anche quegli aspetti tragici e terribiliche accompagnano le manifestazioni più spregevoli della bruttezza (nel suolegame con il male morale)?

La questione che qui sorge riguarda in ultima analisi la negatività purae la sua possibilità di trasfigurazione: che secondo Hegel è irrappresentabileproprio nell’inattuabilità di un suo riscatto; se infatti il brutto è ammessonella rappresentazione artistica solo a patto che venga reso funzionale avalori positivi sul piano etico, tuttavia vi sono realtà che l’arte in generalemal tollera, come «le torture, le atrocità inaudite [. . . ] esteriorità in sestesse brutte, ripugnanti, repellenti, la cui distanza dalla bellezza è troppogrande perché possano essere scelte a oggetto di un’arte sana»75. Comesintetizza Scaramuzza, «brutto è dunque nell’ottica di Hegel non solo il nonriuscito, lo scorretto o l’incompiuto formalmente; ma anche tutto un mondodi negatività per lui non riscattabile sul piano dell’arte, magari rimossa,comunque ai suoi occhi non riscattata: una realtà fisica o morale, stilisticao tematica, in eccesso o in difetto di equilibrata consistenza significativa»76.Il male nella sua pienezza, espresso dalla figura del diavolo, è infatti perHegel non rappresentabile, ed è proprio su questo punto che Rosenkranz sicontrappone al maestro: dopo aver citato il passo specifico dell’Estetica incui è trattato il tema in questione77, egli elabora la sua posizione attraverso

74Ibid., pp. 243-244, 245, 263.75G. W. F. Hegel, Estetica, cit., p. 612.76G. Scaramuzza, L’estetica e il brutto, Centro Stampa, Padova 1986, p. 75.77G. W. F. Hegel, Estetica, cit., p. 249, cit. in K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit.,

p. 227.

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un serrato commento al testo hegeliano:

Ora, Hegel dice, e non senza cautela: il diavolo per sé è una figuramalvagia, esteticamente rappresentabile, inutilizzabile. Ma il diavoloper sé è come dire diavolo da solo, avulso dal contesto complessivodel mondo, soggetto isolato dall’arte. Contro questo non vi è nulla daobbiettare. Abbiamo già discusso nella prefazione il fatto che il malee il brutto possono essere pensati solo come momenti che scompaiononella totalità del grande ordinamento divino del mondo. Ma entroin tale condizione il diabolico è anche così assolutamente inestetico?[. . . ] Il risolversi del diabolico nel comico è già presente nella suacontraddizione originaria.78

Potrebbe dunque sembrare che Rosenkranz ammetta nella rappresen-tazione artistica anche il male, il brutto nella sua forma più “completa”,consentendo attraverso la figura del comico «una sorta di “teodicea esteti-ca”. Se la cornice dialettica della sua opera potrebbe effettivamente con-fermare una prospettiva del genere, nel suo risolvere ogni determinazionedella bruttezza nel ridicolo, tuttavia ancora una volta dobbiamo notareun’“incongruenza”tra il rigoroso impianto teorico dell’Estetica del brutto ele istanze che emergono invece dallo sviluppo concreto della materia: percui nel corso della sua trattazione egli s’avvicina alla posizione di Hegelnell’individuare delle realtà che non possono essere riscattate nel ridicolo onella caricatura. Nota infatti Bodei: «l’atteggiamento teorico di Rosenkranzè però più complesso di quanto appaia e, per certi versi, anche più paradossa-le. Nel suo progressivo allontanarsi dalla dialettica verso il metodo genetico,egli cerca sì di attenuare il ruolo logico della contraddizione e del negativo,ma ciò dipende anche dal fatto che [. . . ] considera la negatività del mondo,brutto e male compresi, come qualcosa che è sempre meno “dialettizzabile”e conciliabile anche dal pensiero»79. La sistematizzazione teorica in questocaso non riesce infatti a cogliere e a esprimere in pieno la molteplicità e lacomplessità del reale, nel quale esistono “zone d’ombra” inconciliabili conla trasfigurazione in un valore positivo, e di conseguenza irrappresentabi-li dall’arte. Rosenkranz si concentra in particolare sull’efferatezza, in unesempio tratto dal paragrafo sulla caricatura, e sulla sfera dell’oscenità ses-suale, ch’egli condanna con notevole enfasi nella sezione dedicata al rozzo80:e se certo i toni di Rosenkranz sono certamente meno “solenni” di quelli delmaestro nel negare la “convenienza” artistica di alcuni soggetti, tuttavia èinnegabile lo scarto tra la sua impostazione teorica e la materia “viva” dellafenomenologia del brutto ch’egli crea nelle sue pagine.

Uno scarto che dunque rende impossibile comprendere l’Estetica del brut-

to senza un confronto diretto con le sue pagine, con gli innumerevoli rife-

78K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., pp. 228, 241.79R. Bodei, “Presentazione”, in K. Rosenkranz, Estetica del brutto, cit., p. 16.80Ibid., p. 208, 244.

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ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

rimenti che Rosenkranz dissemina nel testo, spesso senza alcuna esplicita-zione, con le numerosissime ambivalenze, qui sintetizzate solo in parte, checi riportano al loro riflettersi nella stessa ambivalenza della materia trat-tata: il brutto: che spesso esiliato dall’orizzonte estetico e ontologico dallariflessione filosofica, si trova quindi a reclamare un’autonomia categorialepur nel suo oscillare tra utilizzazioni diverse, descrittive da un lato e valu-tative dall’altro81; perché se esso da un lato esprime un giudizio negativo,dall’altro reclama per sé una qualche positività nel descrivere un ambitodell’esperienza estetica che può volgersi, o “redimersi”, a più felici esiti; comedel resto lo stesso Rosenkranz ci esemplifica nel suo riconciliare la bruttezzanelle braccia del bello attraverso il comico, nella figura della caricatura.

81Cfr. G. Scaramuzza, L’estetica e il brutto, cit.

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