L’alfabeto dei diritti: Le donne oggi - simonescuola.it · Sono milioni le ragazze che si...

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1 Lezione 15 Le donne oggi Percorso 2 L’alfabeto dei diritti: valori universali AREA DI COMPETENZA 1 Lezione 15 Le donne oggi Le donne nei Paesi in via di sviluppo In tutto il mondo le donne svolgono il 70% del lavoro non pagato, nelle case, nei campi, nella cura dei bambini e degli anziani. Nei Paesi poveri producono l’80% del cibo, ma possiedono solo l’1% della terra. Sono milioni le ragazze che si prostituiscono nelle strade delle città o sono oggetto di turismo sessuale: un vero e proprio commercio di esseri umani, una forma moderna di schiavitù. La nascita di una bambina in molti Paesi poveri viene considerata una disgrazia, un peso per la famiglia, che dovrà provvedere alla sua dote per trovarle marito. In Cina la necessità di fermare l’eccessiva crescita della popolazione ha spinto lo Stato a stabilire per legge che le famiglie potessero avere un solo figlio se residenti in città e un massimo di due se residenti in campagna. Da qui episodi di discriminazione nei confronti delle donne, soprattutto nelle zone più arretrate del Paese, dove è ancora forte l’idea che il maschio debba assicurare la continuazione della stirpe: molte figlie femmine sono state abbandonate o addirittura uccise. In alcuni Paesi islamici la condizione femminile è preoccupante. Dell’eredità alle donne spetta una minima parte; la loro testimonianza a un processo vale la metà di quella di un uomo; non possono viaggiare, guidare, andare al ristorante da sole. Spesso gli uomini le costringono a indossare un velo che le copre dalla testa ai piedi, rendendone invisibile il corpo e la dignità. La maternità I diritti riproduttivi non sono tutelati in molti Paesi del Sud del mondo, dove 45 milioni di donne incinte non ricevono alcuna assistenza e molte muoiono durante il parto o subito dopo per la mancanza o l’eccessivo costo dei servizi sanitari, condizioni igieniche inadeguate, precario stato di salute. Il diritto di tutte le donne a una maternità serena e sicura è oggi un obiettivo prioritario di molte organizzazioni internazionali, che lavorano per impedire la morte o l’invalidità delle madri, che se non sono in buona salute non possono salvaguardare il benessere fisico ed emotivo dei figli. Ci sono altri problemi legati alla maternità, per i quali in molti Paesi del mondo non è prevista al- cuna tutela. Le leggi, ad esempio, riguardanti le ragazze madri e i loro figli, in molti casi vengono ignorate dalle autorità. In varie parti del mondo, insomma, le donne sono considerate proprietà degli uomini, cose da ven- dere, comprare e usare a piacimento. In questo contesto la loro protezione dalla violenza sessuale è praticamente inesistente. In alcuni Stati, come il Pakistan e il Bangladesh, se una donna è vittima di stupro, spetta a lei provare la violenza subita, altrimenti viene condannata all’incarcerazione o alla lapidazione per non aver custodito l’onore della famiglia. Il femminicidio in Italia La violenza domestica e lo stalking costituiscono spesso la premessa a quella che possiamo con- siderare l’autentica piaga dilagante di questi ultimi anni nei rapporti di genere: il femminicidio. Anche l’Italia è interessata dal fenomeno, e in misura crescente. A dispetto di leggi sempre più severe e di un’opinione pubblica sempre più sensibile, i femminicidi nel nostro paese non accennano a diminuire. Anzi, secondo le stime del quotidiano La Stampa, che da anni tiene sotto controllo il fenomeno attraverso varie fonti aperte (giornali, siti web, lanci di agenzia), anche nel 2013, seguendo una dinamica ormai consolidata, il numero delle donne assassinate «in quanto donne» è stato superiore a 100. Lo stesso monitoraggio rivela la particolare

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1Lezione 15 • Le donne oggi

Percorso 2L’alfabeto dei diritti:valori universali

A r e A d ic o m p e t e n z A 1

Lezione 15Le donneoggi

•LedonneneiPaesiinviadisviluppoIn tutto il mondo le donne svolgono il 70% del lavoro non pagato, nelle case, nei campi, nella cura dei bambini e degli anziani. Nei Paesi poveri producono l’80% del cibo, ma possiedono solo l’1% della terra. Sono milioni le ragazze che si prostituiscono nelle strade delle città o sono oggetto di turismo sessuale: un vero e proprio commercio di esseri umani, una forma moderna di schiavitù. La nascita di una bambina in molti Paesi poveri viene considerata una disgrazia, un peso per la famiglia, che dovrà provvedere alla sua dote per trovarle marito. In Cina la necessità di fermare l’eccessiva crescita della popolazione ha spinto lo Stato a stabilire per legge che le famiglie potessero avere un solo figlio se residenti in città e un massimo di due se residenti in campagna. Da qui episodi di discriminazione nei confronti delle donne, soprattutto nelle zone più arretrate del Paese, dove è ancora forte l’idea che il maschio debba assicurare la continuazione della stirpe: molte figlie femmine sono state abbandonate o addirittura uccise. In alcuni Paesi islamici la condizione femminile è preoccupante. Dell’eredità alle donne spetta una minima parte; la loro testimonianza a un processo vale la metà di quella di un uomo; non possono viaggiare, guidare, andare al ristorante da sole. Spesso gli uomini le costringono a indossare un velo che le copre dalla testa ai piedi, rendendone invisibile il corpo e la dignità.

LamaternitàI diritti riproduttivi non sono tutelati in molti Paesi del Sud del mondo, dove 45 milioni di donne incinte non ricevono alcuna assistenza e molte muoiono durante il parto o subito dopo per la mancanza o l’eccessivo costo dei servizi sanitari, condizioni igieniche inadeguate, precario stato di salute. Il diritto di tutte le donne a una maternità serena e sicura è oggi un obiettivo prioritario di molte organizzazioni internazionali, che lavorano per impedire la morte o l’invalidità delle madri, che se non sono in buona salute non possono salvaguardare il benessere fisico ed emotivo dei figli.Ci sono altri problemi legati alla maternità, per i quali in molti Paesi del mondo non è prevista al-cuna tutela. Le leggi, ad esempio, riguardanti le ragazze madri e i loro figli, in molti casi vengono ignorate dalle autorità. In varie parti del mondo, insomma, le donne sono considerate proprietà degli uomini, cose da ven-dere, comprare e usare a piacimento. In questo contesto la loro protezione dalla violenza sessuale è praticamente inesistente. In alcuni Stati, come il Pakistan e il Bangladesh, se una donna è vittima di stupro, spetta a lei provare la violenza subita, altrimenti viene condannata all’incarcerazione o alla lapidazione per non aver custodito l’onore della famiglia.

•IlfemminicidioinItaliaLa violenza domestica e lo stalking costituiscono spesso la premessa a quella che possiamo con-siderare l’autentica piaga dilagante di questi ultimi anni nei rapporti di genere: il femminicidio. Anche l’Italia è interessata dal fenomeno, e in misura crescente.A dispetto di leggi sempre più severe e di un’opinione pubblica sempre più sensibile, i femminicidi nel nostro paese non accennano a diminuire. Anzi, secondo le stime del quotidiano La Stampa, che da anni tiene sotto controllo il fenomeno attraverso varie fonti aperte (giornali, siti web, lanci di agenzia), anche nel 2013, seguendo una dinamica ormai consolidata, il numero delle donne assassinate «in quanto donne» è stato superiore a 100. Lo stesso monitoraggio rivela la particolare

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violenza di questo fenomeno: la maggior parte dei femminicidi avviene a mani nude o con armi da taglio, mentre l’uso delle armi da fuoco fa registrare una percentuale sensibilmente più bassa.Quanto alla distribuzione geografica, il fenomeno è diffuso in maniera pressoché omogenea in tutte le regioni della penisola, dal nord, al centro, al sud.I responsabili? I dati sono chiari: il 46,3% delle donne muore per mano del partner, il 35,6% di loro viene ucciso dall’uomo con cui ha vissuto, il 10,6% dall’uomo che ha lasciato. Sono aumentate le denunce di stupri, + 400% dal 1996 al 2012, eppure la percentuale di donne che non denunciano la violenza subita si aggira ancora intorno al 90%, mentre un terzo di loro neanche ne ha mai parlato con qualcuno. Più avanti ci soffermeremo sulle ragioni di questi fenomeni. Qui ci limitiamo a evidenziarne l’am-piezza, davvero inquietante considerata la percezione dell’Italia come di un paese civile e avan-zato, e la necessità di correre ai ripari. Fondamentale, in questo senso, oltre all’adozione di misure legislative più severe, il ruolo dell’educazione e della formazione. A partire dalla scuola, dove diventa necessario uscire dagli stereotipi di genere, cambiare la percezione tradizionale del ruolo che uomini e donne hanno nella società, educare i ragazzi alla relazione e impostare il rapporto maschio-femmina sul rispetto tra le persone. Allo stesso modo è necessario sensibilizzare gli ope-ratori dei media per la realizzazione di una comunicazione rispettosa della rappresentazione di genere, in particolare della figura femminile.In questo senso si è espresso anche il Consiglio d’Europa che, con la Convenzione di Istanbul, ha chiesto ai media una maggiore attenzione verso queste problematiche. Spesso, infatti, l’immagine delle donne fornita dai mezzi di comunicazione opera ancora per stereotipi di genere, o offre immagini degradanti che offendono la dignità delle donne e alimentano la cultura che le vuole confinate al ruolo attribuito loro dagli uomini. Prendiamo, ad esempio, l’immagine della donna proposta dai messaggi pubblicitari. La pubblicità ancora troppo spesso propone un’immagine stereotipata e tradizionale della donna che ostacola il raggiungimento di una vera uguaglianza. Gli spot continuano a suggerire per lo più due modelli di donna: mamme sorridenti che servono a tavola, lavano pavimenti, cercano strategie per com-battere cuscinetti adiposi, rughe o cattivi odori, oppure, all’opposto, modelle super sexy destinate a stimolare l’immaginario maschile e a consolidare l’immagine della donna-oggetto. Il fenomeno ha indotto una parte del mondo politico a chiedere una limitazione dell’uso del corpo delle donne nella pubblicità, ricordando anche il legame tra quel tipo di uso e l’istigazione alla violenza contro le donne.Non esiste ancora, tuttavia, una legge che regoli questa materia. Nel 2013 il Ministero per le Pari Opportunità e lo Iap (Istituto per l’autodisciplina pubblicitaria) hanno siglato un accordo per im-pedire che la pubblicità offenda la dignità delle donne, ma l’accordo non specifica quali siano i contenuti da ritenersi discriminatori e offensivi verso le donne, risultando così uno strumento ancora insufficiente.