L'albero in piazza - Rassegna stampa

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Libro di Claudio Bernieri. Collana I LIBERINI Vololibero Edizioni

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mercoledì 1 giugno 2011

Pubblicato da tavernacustica a 15:29

Etichette: Festa de L'unità, Festa Democratica, politica, storia

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Le Feste de l'UnitàSecondo la ricostruzione di ClaudioBernieri (L’albero in piazza – Storia,cronache e leggende delle Feste deL’Unità, Gabriele Mazzotta Editore,Milano, 1977), La prima Festa deL’Unità – o meglio “scampagnatadell’Unità” - viene organizzata aMariano Comense nel settembre del1945, sul modello delle Feste deL’Humanité che si tenevano a Parigidal 1930 e a cui gli esiliati italianiavevano partecipato con i propristand.Già nel 1947 si svolgono feste deL’Unità nelle principali città del Nord edel Centro (Torino, Milano, Genova,Firenze, Roma): si tratta ancora ritrovidi vecchi compagni e partigiani cheavevano conosciuto il confino, ilcarcere e la lotta, ma ben prestol’atmosfera diventa quella della sagrapaesana, con il ballo, il vino, la

polenta.La prima grande Festa de L’Unità che vede una partecipazione di massa è quelladi Roma del settembre 1948- immortalata in un documentario di Carlo Lizzani -,che sancisce il ritorno di Togliatti alla politica, dopo l’attentato.L’obiettivo degli organizzatori è, da questo momento, quello di creare dellealternative alle celebrazioni dei santi patroni, ereditando perciò da questeultime tutti gli aspetti tipici della festa popolare, con lo scopo tra l’altro di creare peril Pc reti di radicamento simili a quelle che la Chiesa possedeva già da secoli.Dagli anni 70, con il contributo dei movimenti studenteschi e il cambiamento deicostumi, La Festa de l’Unità si trasforma in un grande contenitore che mescolatradizione e nuova cultura pop-rock, sviluppando enormi apparatid'intrattenimento finanziati da grandi sponsor e guidati da organizzatoriprofessionisti. Accanto ai nuovi cantautori impegnati e agli interventi di illustriintellettuali troviamo ancora i divi della canzonetta (come Gianni Morandi eClaudio Villa), e il classico binomio “tortellini e ballo liscio” sopravvive - perfortuna - all’avvicendarsi delle mode. Questo sincretismo è frutto di strategiecommerciali, ma forse non solo, se pensiamo che ci troviamo negli anni delCompromesso storico.L’ultima Festa Nazionale de l’Unità si svolge nel 2007 a Bologna, mentre nelsettembre del 2008 si tiene a Firenze la prima Festa Democratica Nazionale (e sulweb la prima festa de L'Unità di Second Life). Un lungo dibattito ha animato il Pd aproposito del cambio di nome, ma quel che conta è che la sostanza è ancora lastessa. Accanto al liscio troverete i cantautori, o chi li rievoca.E qui entriamo in gioco noi, che vi proponiamo il nostro Tour Democratico 2011nelle (quasi) più importanti feste della cintura torinese…

Locandina Festa Nazionale de l'Unità di Torino, Italia ’61, 1981

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ARCHIVIO LA REPUBBLICA DAL 1984

Dai mitra dei partigiani alla lap dance l' addiosofferto alla festa dell' Unità29 maggio 2008 — pagina 13 sezione: POLITICA INTERNASi può sopravvivere senza festa dell' Unità? Certo che sì, oltretutto la manifestazione cambia solonome, d' ora in poi si chiamerà «festa democratica», e per quanto riguarda la miriade di feste dell'Unità che si tengono d' estate in tutta Italia, il cambiamento di denominazione avverrà in modograduale, assicurano al Pd. Eppure, il grido di dolore levatosi da diversi lettori dell' ex quotidianoPci Pds e Ds, nonché la protesta dei suoi giornalisti per i modi e le prospettive della decisione,vanno al di là degli effetti collaterali della più evidente fusione a freddo tra ex comunisti eMargherita, per giunta vieppiù raggelata dalla recente sconfitta elettorale. Emergeva netto nellelettere pubblicate ieri il dato ormai anche politico della nostalgia. C' è chi ha colto l' occasione perlamentare ancora la fine dei «valori», il taglio delle «radici», il ripudio dell' «identità socialista»; echi malinconicamente rimpiangeva un' «icona indimenticabile». Ma colpiva pure una valutazionepiù legata al presente, se non al futuro: «Non si butta al vento un marchio conosciuto di idealità,spettacoli e buona cucina», là dove l' elemento rimarchevole sta nel termine «marchio», mutuatodal mondo della pubblicità, del mercato, del consumo. Analogo concetto aveva espresso mesiorsono l' ultimo tesoriere diessino, Ugo Sposetti: «Non si cambierà mai nome a un prodotto disuccesso come la Nutella». Non c' è dubbio che l' accostamento tra la crema di cacao e nocciole ela festa dell' Unità sarebbe certamente suonato blasfemo a Willy Schiapparelli, protagonista dellacospirazione antifascista, oltre che misconosciuto intermediario dei finanziamenti sovietici al Pci: alui comunque si deve la prima festa, tenutasi a Mariano Comense, nel settembre del 1945, con ipartigiani e i mitra ancora nella tenda comando, pannelli e tubi Innocenti disposti in uno spiazzodal pittore Ernesto Treccani, programma a cura di Giancarlo Pajetta. Il compagno Willy s' eraispirato alle feste dell' Humanitè nella Parigi degli anni trenta, ma in un libricino pubblicato nel1977, «L' albero in piazza» (Mazzotta), lo scrittore e musicologo Claudio Bernieri teorizza ladiscendenza di questi appuntamenti dalle feste della Rivoluzione francese e riecheggiando ungramscismo realizzato li definisce «l' unica forma culturale di massa in Italia». E in qualche modolo furono, prima di diventare una specie di innesto pop nella cultura comunista e in seguito unmarchio post-politico. Dalla «grande festa nazionale», appunto, come menzionata da EdoardoBennato in «Sono solo canzonette», fino alle più piccole manifestazioni per anni e anni le festedell' Unità produssero in mirabile equilibrio politica e salamelle, socialità e tortellini (questi ultimisuccessivamente dileggiati da D' Alema in polemica con Montanelli), pedagogia e musica per tutti ipalati. Fino all' ultimo, si può dire, i militanti e le loro famiglie hanno sacrificato con entusiasmogiorni di ferie e ore di riposo per montare palchi, apparecchiare tavolate, cucinare, sciacquare piattie appuntare coccardine sul bavero dei visitatori. La stagione più felice fu senza' altro quella diBerlinguer; una vera epopea, a ripensarci, non per caso imitata da quasi tutti gli altri partiti. Ilmodello andò in crisi giusto alla metà degli anni ottanta. O forse ben prima: a dar retta ai segni, eun po' anche alle profezie comunque colpisce che fu proprio a un festival dell' Unità, e in undibattito con Giorgio Napolitano, che Pier Paolo Pasolini espose al massimo del suo vigoreapocalittico la teoria del «genocidio culturale» degli italiani da parte della società dei consumi. Cosìcome, sempre al festival dell' Unità di Milano, una dozzina d' anni dopo l' uomo della tv del Pci,Walter Veltroni, e l' imprenditore rampante Silvio Berlusconi cominciarono a prendere le misure l'uno dell' altro, e forse anche qualcosa di più - il vivido resoconto stenografico nel recentissimo librodi Michele De Lucia, Il baratto, Kaos. Anche per questo sorprende il sentimento dei lettori dell'Unità dinanzi a un evento che almeno a livello nazionale da tempo aveva definitivamente mutatopelle e senso. Il dubbio, semmai, o il sospetto, è che a un certo punto la formula festivaliera,oltretutto sempre più generica e gigantistica, abbia finito essa stessa per condensare e insiemerappresentare la decadenza e l' estinzione di una pur gloriosa cultura politica. Così, all' insegnadella «modernità», parola inevitabilmente ambigua, i dibattiti vengono organizzati come i talk-showe arrivano gli sponsor, non solo la Fininvest, per dire, ma anche Ciarrapico. E per ragioni chetrascendono la buona fede dei dirigenti e la passione dei militanti in questo modo la festa dell'Unità si trasforma nel tempio immenso della secolarizzazione rossa: gastronomia coatta evariegatissima, sfilate di moda, crollo di tabù: pubblicità, borsa, roulette, croupier, astrologia, lapdance e spogliarello. Una gran confusione dove la politica gioca ormai un ruolo secondario. Traimpegno residuale e sbraco auto-ironico l' antica egemonia, vanto del Pci, misura la propriainarrestabile scomparsa. Lungo i viali, negli stand, sotto i bianchi gazebi, insieme alle famigliole siritrovano missionari, metallari, europeisti, cocktail alcolici e distributori automatici di succhibiologici; e poi piccole imprese, comitati antimafia, emittenti di quartiere, codici a barra, danzaafrocubana e ricordi di Nilde Iotti. Ma soprattutto manca il cemento, difettano le premesse, tuttosembra giunto da quelle parti per caso, una città senza centro né cuore, un baraccone che lafantasia e l' esperienza scenica berlusconiana avrebbe concepito e realizzato con ben altraefficacia. E adesso la scelta di cambiare, ma solo il nome, per ora. Scrivono i giornalisti dell' Unità:editto di esproprio. Resta il dubbio di che cosa e un po' anche a chi. - FILIPPO CECCARELLI

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29/05: FESTE DELL'UNITA' ADDIO! (HA SENSORIMPIANGERE UN BARACCONE CHE DA MOLTIANNI MISCHIA GASTRONOMIA TRASH, LAP DANCE,IMBONITORI, VIDEOPOKER E CARTOMANTI?)

Category: General Posted by: editor

E VOI: COSA NE PENSATE? (Lasciate un commento fazioso, grazie)

Si può sopravvivere senza festa dell´Unità? Certo che sì, oltretutto lamanifestazione cambia solo nome, d´ora in poi si chiamerà «festademocratica», e per quanto riguarda la miriade di feste dell´Unità che sitengono d´estate in tutta Italia, il cambiamento di denominazioneavverrà in modo graduale, assicurano al Pd.Eppure, il grido di dolore levatosi da diversi lettori dell´ex quotidianoPci Pds e Ds, nonché la protesta dei suoi giornalisti per i modi e leprospettive della decisione, vanno al di là degli effetti collaterali dellapiù evidente fusione a freddo tra ex comunisti e Margherita, per giuntavieppiù raggelata dalla recente sconfitta elettorale.Emergeva netto nelle lettere pubblicate ieri il dato ormai anche politicodella nostalgia. C´è chi ha colto l´occasione per lamentare ancora lafine dei «valori», il taglio delle «radici», il ripudio dell´«identitàsocialista»; e chi malinconicamente rimpiangeva un´«iconaindimenticabile».Ma colpiva pure una valutazione più legata al presente, se non al futuro:«Non si butta al vento un marchio conosciuto di idealità, spettacoli ebuona cucina», là dove l´elemento rimarchevole sta nel termine«marchio», mutuato dal mondo della pubblicità, del mercato, delconsumo. Analogo concetto aveva espresso mesi orsono l´ultimotesoriere diessino, Ugo Sposetti: «Non si cambierà mai nome a unprodotto di successo come la Nutella»... (CONTINUA DENTRO...)...

Non c´è dubbio che l´accostamento tra la crema di cacao e nocciole e lafesta dell´Unità sarebbe certamente suonato blasfemo a WillySchiapparelli, protagonista della cospirazione antifascista, oltre chemisconosciuto intermediario dei finanziamenti sovietici al Pci: a luicomunque si deve la prima festa, tenutasi a Mariano Comense, nelsettembre del 1945, con i partigiani e i mitra ancora nella tendacomando, pannelli e tubi Innocenti disposti in uno spiazzo dal pittoreErnesto Treccani, programma a cura di Giancarlo Pajetta.Il compagno Willy s´era ispirato alle feste dell´Humanitè nella Parigidegli anni trenta, ma in un libricino pubblicato nel 1977, «L´albero inpiazza» (Mazzotta), lo scrittore e musicologo Claudio Bernieri teorizza ladiscendenza di questi appuntamenti dalle feste della Rivoluzionefrancese e riecheggiando un gramscismo realizzato li definisce «l´unicaforma culturale di massa in Italia». E in qualche modo lo furono, primadi diventare una specie di innesto pop nella cultura comunista e inseguito un marchio post-politico.Dalla «grande festa nazionale», appunto, come menzionata da EdoardoBennato in «Sono solo canzonette», fino alle più piccole manifestazioniper anni e anni le feste dell´Unità produssero in mirabile equilibriopolitica e salamelle, socialità e tortellini (questi ultimi successivamentedileggiati da D´Alema in polemica con Montanelli), pedagogia e musicaper tutti i palati. Fino all´ultimo, si può dire, i militanti e le loro famigliehanno sacrificato con entusiasmo giorni di ferie e ore di riposo permontare palchi, apparecchiare tavolate, cucinare, sciacquare piatti eappuntare coccardine sul bavero dei visitatori.La stagione più felice fu senza´altro quella di Berlinguer; una veraepopea, a ripensarci, non per caso imitata da quasi tutti gli altri partiti. Ilmodello andò in crisi giusto alla metà degli anni ottanta. O forse benprima: a dar retta ai segni, e un po´ anche alle profezie comunquecolpisce che fu proprio a un festival dell´Unità, e in un dibattito conGiorgio Napolitano, che Pier Paolo Pasolini espose al massimo del suovigore apocalittico la teoria del «genocidio culturale» degli italiani daparte della società dei consumi.Così come, sempre al festival dell´Unità di Milano, una dozzina d´annidopo l´uomo della tv del Pci, Walter Veltroni, e l´imprenditore rampanteSilvio Berlusconi cominciarono a prendere le misure l´uno dell´altro, eforse anche qualcosa di più - il vivido resoconto stenografico nelrecentissimo libro di Michele De Lucia, “Il baratto”, Kaos.Anche per questo sorprende il sentimento dei lettori dell´Unità dinanzia un evento che almeno a livello nazionale da tempo avevadefinitivamente mutato pelle e senso. Il dubbio, semmai, o il sospetto, èche a un certo punto la formula festivaliera, oltretutto sempre piùgenerica e gigantistica, abbia finito essa stessa per condensare einsieme rappresentare la decadenza e l´estinzione di una pur gloriosacultura politica.Così, all´insegna della «modernità», parola inevitabilmente ambigua, idibattiti vengono organizzati come i talk-show e arrivano gli sponsor,non solo la Fininvest, per dire, ma anche Ciarrapico. E per ragioni chetrascendono la buona fede dei dirigenti e la passione dei militanti inquesto modo la festa dell´Unità si trasforma nel tempio immenso dellasecolarizzazione rossa: gastronomia coatta e variegatissima, sfilate dimoda, crollo di tabù: pubblicità, borsa, roulette, croupier, astrologia, lapdance e spogliarello.Una gran confusione dove la politica gioca ormai un ruolo secondario.Tra impegno residuale e sbraco auto-ironico l´antica egemonia, vantodel Pci, misura la propria inarrestabile scomparsa. Lungo i viali, neglistand, sotto i bianchi gazebi, insieme alle famigliole si ritrovanomissionari, metallari, europeisti, cocktail alcolici e distributoriautomatici di succhi biologici; e poi piccole imprese, comitati antimafia,emittenti di quartiere, codici a barra, danza afrocubana e ricordi di NildeIotti.Ma soprattutto manca il cemento, difettano le premesse, tutto sembragiunto da quelle parti per caso, una città senza centro né cuore, unbaraccone che la fantasia e l´esperienza scenica berlusconiana avrebbeconcepito e realizzato con ben altra efficacia. E adesso la scelta di

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cambiare, ma solo il nome, per ora. Scrivono i giornalisti dell´Unità:editto di esproprio. Resta il dubbio di che cosa e un po´ anche a chi.(Filippo Ceccarelli, La Repubblica)

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Pushabin wrote:Libido Enhancer Wow, this Post is really helpful! Thanks!29/03 13:00:08

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