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78 Questi gli ingredienti indispensabili perché il Technology Transfer diventi il vero motore per tradurre ricerca di qualità in un prodotto fruibile dal paziente Viaggio nel mondo del trasferimento tecnologico Competenza internazionale e multidisciplinarità L’intervista Tiziana Azzani NCF • febbraio 2016 P er comprendere in che modo il trasferimento tec- nologico rappresenti una strategia vincente per il futuro della ricerca, abbia- mo incontrato Daniela Bellomo, gene- ral manager di TTFactor, prima impre- sa privata italiana a occuparsi di Tech Transfer, una realtà in grande fermento non solo a livello nazionale ma anche internazionale. Dottoressa Bellomo ci può spiegare cos’è TTFactor? TTFactor è un’azienda privata che si occupa del trasferimento tecnologico dei progetti di ricerca. Al momento se- gue tre strutture, l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), l’Istituto FIRC di On- cologia Molecolare (IFOM) e il Centro Cardiologico Monzino (CCM). Dico “al momento” perché tra gli obiettivi che vi è proprio quello di ampliare il portfo- lio, stipulando accordi anche con altre strutture di ricerca. L’obiettivo è aiutare i ricercatori e i cli- nici nella valutazione del potenziale commerciale delle loro ricerche e pro- muovere la relazione con l’industria per favorire lo sviluppo delle loro invenzio- ni. In poche parole TTFactor si pone come motore per tradurre ricerca di qualità in un prodotto fruibile dal pa- ziente, sia esso un diagnostico o un te- rapeutico. Attualmente solo il 38% dei farmaci in fase III in oncologia riesce a raggiungere l’approvazione. Il tasso di fallimento è quindi altissimo. Le moti- vazioni sono numerose. La sfida di TT- Factor è quella di selezionare il prima possibile i progetti di ricerca, cercando

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Questi gli ingredienti indispensabili perché il Technology Transfer diventi il vero motore per tradurre ricerca di qualità in un prodotto fruibile dal paziente

Viaggio nel mondo del trasferimento tecnologicoCompetenza internazionale e multidisciplinarità

L’intervista

Tiziana Azzani

NCF • febbraio 2016

Per comprendere in che modo il trasferimento tec-nologico rappresenti una strategia vincente per il futuro della ricerca, abbia-

mo incontrato Daniela Bellomo, gene-ral manager di TTFactor, prima impre-sa privata italiana a occuparsi di Tech Transfer, una realtà in grande fermento non solo a livello nazionale ma anche internazionale.

Dottoressa Bellomo ci può spiegare cos’è TTFactor?TTFactor è un’azienda privata che si occupa del trasferimento tecnologico dei progetti di ricerca. Al momento se-gue tre strutture, l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), l’Istituto FIRC di On-cologia Molecolare (IFOM) e il Centro Cardiologico Monzino (CCM). Dico “al momento” perché tra gli obiettivi che vi è proprio quello di ampliare il portfo-lio, stipulando accordi anche con altre strutture di ricerca. L’obiettivo è aiutare i ricercatori e i cli-nici nella valutazione del potenziale commerciale delle loro ricerche e pro-muovere la relazione con l’industria per favorire lo sviluppo delle loro invenzio-ni. In poche parole TTFactor si pone come motore per tradurre ricerca di qualità in un prodotto fruibile dal pa-ziente, sia esso un diagnostico o un te-rapeutico. Attualmente solo il 38% dei farmaci in fase III in oncologia riesce a raggiungere l’approvazione. Il tasso di fallimento è quindi altissimo. Le moti-vazioni sono numerose. La sfida di TT-Factor è quella di selezionare il prima possibile i progetti di ricerca, cercando

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di identificare le invenzioni che posso-no davvero avere un significato appli-cativo importante e su quelle investire.

Cosa significa per un ente di ricerca appoggiarsi a una struttura privata di trasferimento tecnologico?Per quanto riguarda il nostro caso, TT-Factor è licenziatario esclusivo di tutta la proprietà intellettuale di IEO e IFOM, che sono gli istituti soci fondatori. Ge-stiamo inoltre anche la proprietà intel-lettuale del Centro Monzino in regime di consulenza esclusiva con rinnovo annuale. Il nostro mandato prevede la valutazione dei progetti, lo scouting nei laboratori, il deposito brevetti, la stipu-la di accordi di valorizzazione con l’in-dustria e i venture capital. I processi sono snelli. Gli accordi sono firmati in modo congiunto con gli enti di ricer-ca, senza bisogno di approvazioni in-termedie e passaggi tra i diversi uffici. Il nostro modello “one-stop shop” è ormai consolidato ed è frutto diversi anni di esperienza.

Quali sono i criteri per selezionare un progetto di ricerca vincente?Le competenze e l’esperienza sono al-la base di tutto. L’expertise nel biotech e nel farmaceutico è un elemento cer-tamente fondamentale, ma non suffi-ciente per garantire un trasferimento tecnologico di valore. Per questo mo-tivo il nostro team raggruppa perso-ne con background misto, accademi-co ed industriale, dottorati o laureati in materie scientifiche che hanno acqui-sito master in economia o in legge e che hanno esperienza con e nell’indu-stria e conoscono i fattori di successo di un potenziale nuovo farmaco. Il te-am è poi completato anche da legali, esperti in proprietà intellettuale, in con-trattualistica, brevetti, licencing e an-che management. Il gruppo può anche contare sulle competenze di manager che lavorano nel settore della sanità e della finanza del nostro paese, e di professori internazionali esperti in tra-

sferimento tecnologico e di rappresen-tanti del venture capital.Tutte queste competenze messe in-sieme formano un “filtro” molto stret-to che consente di selezionare i pro-getti di ricerca più meritevoli dal punto di vista commerciale e conferiscono credibilità e visibilità anche oltre con-fine. Grazie a questo filtro, di 137 in-venzioni valutate abbiamo depositato solo 30 brevetti.

Cosa significa supportare il progetto lungo il suo sviluppo?Il trasferimento tecnologico deve av-venire lungo l’intera filiera di sviluppo di un farmaco o di un diagnostico, te-nendo conto dell’elevata rischiosità degli step, quali la ricerca preclinica e la sperimentazione clinica sull’uomo, fino al post-marketing con la farma-covigilanza degli effetti collaterali. In oncologia abbiamo visto che il tasso di insuccesso di uno farmaco in fa-se III, è ancora altissimo. Questo può essere dovuto a una scarsa selezio-ne dei prodotti alla base, oppure an-che a uno scollamento tra lo sviluppo del farmaco e lo studio del target su cui esso dovrà agire. Con il biotech la medicina di massa ha lasciato il posto a quella personalizzata e per questo è fondamentale, durante lo sviluppo del farmaco, continuare a controllare e validare il target, così da arrivare agli studi di fase II con un’idea il più preci-sa possibile dei pazienti che potranno rispondere alla terapia. Il trasferimen-to tecnologico quindi è la chiave per creare un sistema integrato tra ricer-ca, clinica e impresa per ottimizzare il risultato finale, che è quello di portare un beneficio al paziente.

Perché per dare valore alle proprie ricerche conviene appoggiarsi a una struttura specializzata in trasferi-mento tecnologico?In molti hanno provato da soli a portare avanti un progetto di ricerca fino allo sviluppo, ma nella maggior parte dei

IL PERSONAGGIO

Maria Luisa Nolli presenta DANIELA BELLOMODaniela Bellomo è una collega da tanti anni, ormai; con lei collaboro nelle associazioni d’impresa dagli inizi degli anni 2000, quando il trasferimento tecnologico era ancora agli albori in Italia e lei, al San Raffaele, cercava di portare i concetti di collaborazione accademia-impresa per valorizzare i progetti di ricerca, sperimentati all’estero con creatività personale. È fondatrice di TTFactor che, oltre a essere la prima impresa privata in Italia a occuparsi di tech transfer, ha caratteristiche molto singolari come quella di essere all’interno di uno dei più importanti centri di ricerca italiani, di avere un board costituito da persone esperte del settore a livello internazionale e un focus ed expertise uniche nella proprietà intellettuale. Daniela sembra intenzionata a continuare quest’opera iniziata con determinazione e che sta portando frutti importanti nel panorama del trasferimento tecnologico italiano e internazionale e magari intraprenderne altre con quell’affascinante stimolo che ti danno le cose conquistate con fatica e sacrificio. È socia di Women & Technologies, l’associazione creata da Gianna Martinengo per valorizzare il talento femminile attraverso le tecnologie. Per l’associazione abbiamo organizzato insieme due eventi nell’ambito del premio “Le Tecnovisionarie”. Nel 2010 ha ricevuto il premio Rosa Camuna per l’imprenditoria innovativa femminile.

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casi i percorsi non sono giunti al termi-ne e non si è generato valore, perché se non strutturate in modo adeguato le relazioni tra la ricerca e l’azienda, i venture capital, sono casuali, in genere molto difficili e soprattutto non sempre vantaggiose per l’accademia o la strut-tura di ricerca. Il ricercatore non sem-pre ha le competenze per compren-dere se i termini finanziari presenti nei contratti siano corretti e allineati agli standard internazionali o se offrano le giuste garanzie all’istituto. Sono tema-tiche che invece noi conosciamo be-ne, grazie anche alla nostra affiliazione alle associazioni europea e americana

di trasferimento tecnologico. Tra l’al-tro io sono direttore di EU-LIFE a cui si riferiscono 13 istituti di Technology-Transfer in altrettanti Paesi europei con l’obiettivo di identificare e stabilire le best practices a livello comunitario per il trasferimento tecnologico.Va anche detto che nel nostro Pae-se abbiamo a che fare con un siste-ma normativo molto complicato che non stimola la generazione di valore, e soprattutto non protegge la proprietà intellettuale. Proprio il contrario rispet-to agli Stati Uniti dove già quarant’an-ni fa veniva emanata la legge Bayh-Dole Act o Patent and Trademark Law Amendments Act (Pub. L. 96-517, 12 dicembre 1980), secondo la quale il governo americano riconosce la pro-prietà intellettuale ai ricercatori che fi-

nanzia a patto che gli istituti di ricer-ca organizzino e strutturino i proces-si di trasferimento tecnologico, dando in licenza i prodotti in modo preferen-ziale alle aziende americane. Questa legge ha dato una spinta significativa alla creazione di nuove PMI e impe-to agli investitori, che si sono sentiti tutelati dal governo. In questo modo gli Stati Uniti hanno costruito l’indu-stria biotech, ma non solo. Grazie alla protezione della proprietà intellettuale gli ospedali, anche della dimensione dei nostri italiani, oggi possono van-tare ritorni ingenti di royalties e quindi possono continuare a finanziare le loro

ricerche. In questo scenario il trasferi-mento tecnologico non è un costo, ma un investimento. In Italia la situazione è ben diversa, l’abbiamo detto, non esi-ste una legge di tutela della proprietà intellettuale. In questo scenario, allora una struttura che si occupa di trasfe-rimento tecnologico diventa un valore quando si propone di ricreare un pro-cesso simile a quello stimolato dagli Stati Uniti, per garantire ai ricercatori e all’Università un ritorno economico nel momento in cui l’invenzione diven-terà prodotto. Solo in questo modo la ricerca potrà continuare a finanziarsi.

Quando si può definire “finito” il la-voro del trasferimento tecnologico?In genere il lavoro di trasferimento tec-nologico termina con il contratto di li-

cencing o licenza di brevetto, che si stipula con le aziende. Nello specifico, noi stipuliamo contratti solo con azien-de che ci garantiscono di impegnarsi a sviluppare il prodotto. I nostri contratti prevedono infatti la garanzia al suo sviluppo pena la resti-tuzione del progetto qualora l’azien-da, per qualunque motivo, non riesca a portarlo avanti. Èss un punto molto importante, per-ché in questo modo si evita che gli investitori acquistino la licenza di al-cuni progetti solamente per bloccarli e quindi evitare la competizione sul mercato.

Il processo di trasferimento tecnolo-gico tutela anche la ricerca di base o rischia di comprimerla?La ricerca di base è fondamentale a qualunque ricerca applicata; per pro-teggerla nei nostri contratti è sempre specificato che le aziende non posso-no in nessun modo ostacolare o in-fluenzare l’attività del ricercatore, tut-tavia viene loro garantito il diritto di ri-levare il brevetto e di inserirlo nel loro piano di sviluppo qualora un progetto si dimostri interessante dal punto di vista commerciale.

Di quali fasi della ricerca si occupa il trasferimento tecnologico?Dipende ovviamente dalla struttura. Nel nostro caso, abbiamo recente-mente siglato un accordo con il pri-mo acceleratore del biotech italiano, che consentirà ai progetti selezionati l’accesso a finanziamenti dedicati alle prime fasi dello sviluppo preclinico di un progetto, quelle a più alto rischio, sulle quali le grandi aziende solitamen-te sono poco interessate a investire. Non abbiamo prevista alcuna forma di esclusiva verso l’acceleratore che mi piace descriverlo come un’arma in più per facilitare la creazione di valo-re attorno ai progetti più promettenti degli istituti che rappresentiamo. n

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L’intervista

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