L’intervento di Maurizio Landini, segretario generale Fiom...

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PuntoFiom 11/2010 20 ottobre 2010 grafica e impaginazione: Alessandro Geri redazione: Claudio Scarcelli Corso Trieste, 36 - 00198 Roma e-mail: [email protected] web: www.fiom.cgil.it/puntofiom www.facebook.com/Fiomnet www.twitter.com/Fiomnet Per iscriversi alla mailing list e ricevere la newsletter inviare una e-mail [email protected] 1/4 Federazione Impiegati Operai Metallurgici L’intervento di Maurizio Landini, segretario generale Fiom, alla manifestazione del 16 ottobre Che bella giornata! Ringraziamo tutte le persone che hanno par- tecipato, sostenuto e condiviso la manifestazio- ne del 16 ottobre! Abbiamo realizzato tutti insieme una grande giornata di mobilitazione per rimettere al cen- tro il lavoro e la democrazia, per difendere il contratto nazionale, la capacità delle persone di contrattare la loro condizione, la Costituzione. Ringraziamo anche tutti quelli che ci hanno scritto in questi giorni per testimoniarci la loro vicinanza anche dopo il 16 ottobre. È stata una manifestazione che ha unito tutti coloro che pensano che sia possibile cambiare la situazione e che, per uscire dalla crisi, la soluzione non sia cancellare i diritti e la dignità di chi lavora. Grazie di cuore da tutti noi! V edere questa bellissima piazza dà davve- ro tanta felicità, ma allo stesso tempo indica una speranza e una forza, ed è soprattutto una piazza che unisce questo paese e che parla al paese. Si dice che per uscire dalla gravissima crisi che stiamo vivendo c’è bisogno di mettere al cen- tro il lavoro e i diritti, e che per questa ragione è necessario contrastare la politica che il Governo sta facendo ed è necessario contrastare la politi- ca che la Confindustria sta facendo in questo paese insieme alla Federmeccanica, perché il punto di fondo da cui partire sono le ragioni per cui si è determinata questa crisi. P e r vent’anni ci hanno raccontato che era suffi- ciente lasciar fare al merca- to e che tutto sarebbe andato a posto. E dopo ven- t’anni noi siamo di fronte al fatto che la finanza non ha alcuna rego- la, anzi la politica e gli Stati sono al servizio della finanza, siamo in presenza di un’evasione fiscale che non ha precedenti, tutto a danno dei lavorato-

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PuntoFiom 11/2010 20 ottobre 2010

grafica e impaginazione: Alessandro Geriredazione: Claudio Scarcelli

Corso Trieste, 36 - 00198 Roma e-mail: [email protected]: www.fiom.cgil.it/puntofiom

www.facebook.com/Fiomnetwww.twitter.com/Fiomnet

Per iscriversi alla mailing list e ricevere la newsletter inviare una e-mail [email protected]

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Federazione Impiegati Operai Metallurgici

L’intervento di Maurizio Landini, segretario generale Fiom, alla manifestazione del 16 ottobre

Che bella giornata!Ringraziamo tutte le persone che hanno par-

tecipato, sostenuto e condiviso la manifestazio-ne del 16 ottobre!

Abbiamo realizzato tutti insieme una grandegiornata di mobilitazione per rimettere al cen-tro il lavoro e la democrazia, per difendere ilcontratto nazionale, la capacità delle persone dicontrattare la loro condizione, la Costituzione.

Ringraziamo anche tutti quelli che ci hannoscritto in questi giorni per testimoniarci la lorovicinanza anche dopo il 16 ottobre.

È stata una manifestazione che ha unito tutticoloro che pensano che sia possibile cambiarela situazione e che, per uscire dalla crisi, lasoluzione non sia cancellare i diritti e la dignitàdi chi lavora.

Grazie di cuore da tutti noi!

Vedere questa bellissima piazza dà davve-ro tanta felicità, ma allo stesso tempoindica una speranza e una forza, ed è

soprattutto una piazza che unisce questo paese eche parla al paese.

Si dice che per uscire dalla gravissima crisiche stiamo vivendo c’è bisogno di mettere al cen-tro il lavoro e i diritti, e che per questa ragione ènecessario contrastare la politica che il Governosta facendo ed è necessario contrastare la politi-

ca che la Confindustria sta facendo inquesto paese insieme allaFedermeccanica, perché il

punto di fondo da cuipartire sono le

ragioni per cui siè determinata

questa crisi. P e r

vent’annici hanno

r a c c o n t a t oche era suffi-ciente lasciarfare al merca-to e che tutto

sarebbe andato aposto. E dopo ven-

t’anni noi siamo difronte al fatto che la finanza non ha alcuna rego-la, anzi la politica e gli Stati sono al servizio dellafinanza, siamo in presenza di un’evasione fiscaleche non ha precedenti, tutto a danno dei lavorato-

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ri dipendenti. Siamo in presenzadi una precarietà del lavoro chenon ha mai avuto una dimensionecome quella che stiamo vivendo,siamo di fronte al fatto che c’èstata una redistribuzione dellaricchezza a danno di chi lavorache non ha precedenti.

Vedete, quando si lavora e si èpoveri siamo di fronte non solo aun’ingiustizia ma al fatto eviden-te che una società così non èaccettabile e che noi dobbiamoribellarci per cambiarla.

E dobbiamo dire con forza cheproprio per questa ragione usci-re da questa crisi richiede deicambiamenti.

In tanti ci descrivono semplicemente comequelli che sono capaci di dire di no, è vero: noi allaFiat abbiamo detto di no, alla Federmeccanicaabbiamo detto di no, perché quando si vuole can-cellare il Contratto, quando si vuole cancellarela dignità delle persone che lavorano, noi dire-mo sempre di no, non accetteremo mai che que-sta sia la strada per cambiare la situazione.

Ma vorrei ricordare a queste persone che noiavanziamo anche delle proposte, e lo facciamoper cambiare questa situazione. Noi vogliamo unaltro modello di sviluppo, vogliamo cioè ridiscu-tere di che cosa si produce, che ciò che si produ-ce sia ambientalmente sostenibile, vogliamo che ibeni comuni di questo paese siano difesi, che nonsiano privatizzati, vogliamo cancellare la preca-rietà, vogliamo redistribuire la ricchezza eaumentare i salari, vogliamo estendere i diritti achi non ce li ha, ai giovani, che oggi hanno di fron-te a sé nessun futuro, solo la prospettiva di esse-re precari per tutta la vita.

Noi non accettiamo que-sta cosa, la vogliamo cam-biare. E vogliamo anche chela scuola sia un diritto pub-blico, che sia possibile unireil lavoro, i diritti, il sapere. Evogliamo anche che siaestesa la democrazia.

Vedete, in questi giornitanti hanno parlato, i mini-stri addirittura hanno fatto agara a dire che chissà cosasarebbe successo oggi. Iocredo si debbano vergogna-re per quello che hannodetto, perché quando addi-rittura si arriva a invocare ilmorto, come un ministro hafatto, siamo di fronte a unairresponsabilità totale, equesta piazza ha la forza didire che non solo questa èuna manifestazione demo-cratica e pacifica madovremmo ricordare che sec’è la democrazia in questopaese è perché chi lavoral’ha conquistata e l’ha este-sa. E se questi ministri posso-no dire anche le castronerie che ogni tanto diconoè perché siamo noi che garantiamo il dirittodemocratico a tutti di poter parlare e di poteresprimere il loro pensiero. E se ci pensate un atti-mo i processi di globalizzazione che in questi annici sono stati hanno paura della democrazia,hanno paura della trasparenza, hanno paura chele persone possano sapere quello che avviene epossano decidere.

Noi siamo di fronte a una crisi gravissima, chenon abbiamo mai vissuto, che sta mettendo arischio migliaia di posti di lavoro, e nonostanteche giorno dopo giorno ci raccontano chedovremmo stare tranquilli e che va tutto bene, noisappiamo perfettamente che così non è, anzi, neiprossimi mesi se non c’è un cambiamento radica-le delle politiche industriali rischiamo di essere difronte a ulteriori chiusure, alla fine della cassaintegrazione, a migliaia di posti persi e alla disoc-cupazione. Ma tutto questo sta avvenendo.

È questo il punto di novità. Si sta cominciandoa capire che è proprio questo capitalismo chedivora tutto, senza curarsi del domani, cherischia di consumare il presente senza un’ideadel futuro e che allora abbiamo davvero lanecessità di produrre un cambiamento. Il gover-no e la Confindustria stanno usando nel nostropaese questa crisi perché vorrebbero cambiaregli assetti sociali e di potere. Del resto è da un po’

che lo stanno facendo, già nel 2001, con il «Librobianco» dell’allora ministro Maroni, il centrode-stra e la Confindustria avevano disegnato quelloche volevano fare e oggi stanno cercando di fareesattamente quello che avevano detto allora.

L’attacco alla scuola pubblica, il blocco deicontratti, la cancellazione della contrattazione, lacancellazione della democrazia nei luoghi di lavo-ro, il superamento del diritto a contrattare, l’as-

senza totale di una politicaindustriale che fa arretrarequesto paese sono parte di unostesso disegno. Ma noi l’abbia-mo capito, e proprio per questovogliamo cambiare la situazio-ne e vogliamo mettere incampo un’azione che non siesaurisce oggi, ma che è ingrado di cambiare nelle fabbri-che, nel territorio questasituazione.

Ne hanno dette di tutti icolori, sui lavoratori, sullaFiom, sulla Cgil, addiritturaBrunetta è arrivato ad accu-sarci che noi saremmo un sin-dacato che difende i fannulloni

e i lavativi. Credo che sia un falso in atto pubblico,perché noi Brunetta non l’abbiamo mai difeso equindi è evidente a tutti che siamo di fronte a dellebugie precise.

Il caso Fiat credo sia un elemento che ha aper-to gli occhi a tanti. Noi siamo di fronte a una teo-ria che si vorrebbe far passare in questo paese,secondo la quale per poter investire in Italiabisognerebbe cancellare i diritti e i contratti, cheper far funzionare le fabbriche in Italia ci vor-rebbe il diritto di poter licenziare quando sivuole. E invece noi dovremmo porci un altro pro-blema: perché la Fiat è messa peggio di altreaziende che costruiscono auto? Perché tutti par-lano del modello tedesco e in Germania gli sti-pendi sono il doppio di quelli italiani, lavoranomeno e vendono più macchine? E guardate che èesemplificativo quello che è successo negli ultimidue incontri che abbiamo avuto con la Fiat. Uno aTorino, c’erano tutti: c’era il governo, c’erano le

istituzioni, c’erano tutte le forzesindacali e Marchionne, a cui variconosciuto di parlare con chia-rezza, non ha detto solo allaFiom e alla Cgil ditemi di sì o dino, ha usato quella platea perdire che il suo piano industrialelo ha deciso lui, che non lodiscute con nessuno, che nonvuole proprio concordarlo connessuno e che semplicementechiede a tutti, anche al governoe alle istituzioni, di dire sempli-cemente di sì o di no.

Naturalmente in quella sedesolo la Fiom e la Cgil gli hannodetto che non va bene e che cosìnon può funzionare. Io sincera-mente sono allibito quando allapiù grande azienda italiana, checome è noto in questi anni haavuto tanti finanziamenti pubbli-ci che gli hanno permesso diessere quella che è, il Governo ele istituzioni non sono capaciche di dire semplicemente di sì.

Vorrei ricordare qui davantiche la prima a dire di no alla Fiatnon è stata la Fiom: quando la

Fiat è andata in Germania a chie-dere di comprare l’Opel, e ha presentato i pianiindustriali, mi pare che l’Ig Metall gli abbia dettodi no, che il governo tedesco gli abbia detto di no,perché se si assume il modello tedesco allorabisogna fare una discussione anche sulla politicaindustriale.

Non è vero che le impresenon hanno la responsabilitàsociale, non è vero che è solo

foto Ravagli

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un suo interesse, e lo ribadiamo qui da questapiazza.

Noi, la Fiom, la Cgil, le lavoratrici e i lavora-tori italiani, più ancora della Fiat di Marchionnevogliamo che in Italia si producano le auto, icamion e i trattori, perché mentre lui ha la pos-sibilità di decidere di produrre in giro per ilmondo, noi questa alternativa non ce l’abbiamoe proprio per questa ragione vogliamo che siaffrontino i problemi.

Se c’è un ritardo e si vende meno è perché inquesti anni si è investito poco nell’innovazionedei prodotti e dei processi, è perché la competi-zione non la si fa tagliando i salari e i diritti, edè sbagliato per il paese oltre che per i lavorato-ri pensare che tu la competizione la giochi solosui bassi salari. Se c’è un problema di qualità,allora non si può raccontare che in Italia non sichiede l’intervento pubblico e poi si va in Serbiaperché ti fanno i ponti d’oro, non si può raccon-tare che in Italia non si chiede l’intervento pub-blico e poi si va negli Stati Uniti perché Obama ei lavoratori mettono a disposizione i loro soldi.

Io la voglio dire con ancora più chiarezza: senon c’è un intervento pubblico nel nostro paeseche orienta gli investimenti, che orienta la ricer-ca, che orienta anche una nuova qualità dello svi-luppo, da questa crisi non si esce, perché quelliche l’hanno determinata non possono venirci araccontare che sanno loro come se ne esce.

E noi lo diciamo con grande responsabilità:non abbiamo semplicemente detto di no aPomigliano, abbiamo avanzato delle contropro-poste, abbiamo detto che eravamo pronti adaumentare l’utilizzo degli impianti perché il con-tratto che c’è permette di fare più turni, abbia-mo detto che eravamo pronti a discutere dicome migliorare la produttività, di come artico-lare in modo diverso le pause, abbiamo addirit-tura fatto una proposta che darebbe alla Fiat unutilizzo degli impianti e una capacità produttivasuperiore a quella che loro hanno avuto. Stiamoancora aspettando la risposta.

La verità è che non gli interessa quante mac-chine si fanno, vogliono affermare l’idea che nonc’è più, per le persone che lavora-no in fabbrica, il diritto di potercontrattare la propria condizione dilavoro. E badate che dire chevogliono far fuori la Fiom e la Cgil,significa dire solo una parte di veri-tà: siamo di fronte a un passaggiopiù in là, e cioè al tentativo dellaConfindustria, della Fiat e dellaFedermeccanica che con la dero-gabilità dei contratti nazionalicancellano il contratto! L’obiettivovero non è semplicemente farefuori la Cgil, ma è di più, è cancel-lare il diritto delle donne e degliuomini che lavorano in fabbrica, sevogliono, di poter contrattare, diessere persone libere, che hannola possibilità di far funzionare

meglio la fabbrica. Vuol dire farci tornare indie-tro di cent’anni, e io credo che questo imbarba-rimento non è solo inaccettabile perché peggio-ra le condizioni di chi lavora, ma lo è perché faarretrare tutto il paese, fa arretrare il sistemaindustriale del nostro paese e addirittura nel-l’ultimo incontro che abbiamo avuto alla Fiat, agiugno, in tanti ci spiegavano che sì, Pomiglianoera un brutto accordo ma si poteva firmare, per-ché lì c’è la camorra, c’è una situazione difficile,e che sarebbe rimasta una cosa isolata, che nonsi sarebbe estesa.

Non solo adesso siamo alla derogabilità delcontratto ma nell’ultimo incontro che abbiamofatto il 5 ottobre scorso, la Fiat ci ha spiegatoche se vogliamo sapere qual è il piano industria-le – perché una delle stranezze di questa situa-zione è che non si sa quali prodotti, quanti edove saranno fatti – quando entrano in produ-zione i nuovi prodotti e quali scelte si fanno, ci èstato risposto che se vogliamo conoscere questecose prima dobbiamo firmare un accordo che glipermette di estendere Pomigliano in tutti glialtri stabilimenti, anzi ci è stato detto che inalcuni casi forse c’è la necessità di andare oltrePomigliano.

Ecco, io credo che quando si teorizza che sesi vogliono i diritti ci vogliono le fabbriche, biso-gnerebbe ricordare a queste persone che inrealtà noi siamo già in presenza di fabbriche chenon hanno più diritti e bisognerebbe ricordargliche il rischio concreto, se passa questo disegno,è che l’articolo 1 della nostra Costituzione, chedice che «l’Italia è una Repubblica fondata sullavoro», è che noi siamo già di fronte al fatto chela nostra è «una Repubblica fondata sullo sfrut-tamento del lavoro» nelle fabbriche del paese.

Noi siamo un sindacato che vuol fare degliaccordi, del resto è quello che facciamo ognigiorno, in migliaia di fabbriche, ma se si vuoledavvero far funzionare meglio le fabbriche allo-ra si riaprano le trattative e si mettano nellecondizioni le lavoratrici e i lavoratori di potervotare, di poter decidere e di poter contrattare leproprie condizioni. E voglio rilanciare con forza

quelle che sono le ragionidella nostra manifestazioneche è stata capace, e c’è quiuna novità che non dobbiamodisperdere, di mettere insie-me tante persone diverse.

Quando chi studia, chi èprecario, chi lavora nel pub-blico impiego, chi è metal-meccanico, chi è pensionatotrova di nuovo la possibilità diavere un terreno comune diazione, che rimetta al centro il

lavoro, i diritti, un’idea di societàfinalmente diversa, più giusta, dove la giustiziasociale, l’eguaglianza, la solidarietà, tornano aessere elementi che unificano, io credo che que-sto patrimonio, che oggi questa piazza raccoglie,è responsabilità di ognuno di noi di non disper-derlo, perché questa è la condizione per potercambiare questo paese, per rilanciare con forzal’idea che non dobbiamo aver paura delle parole,che il nostro obiettivo è sì quello di trasformarequesta società, ingiusta, che cancella la dignitàdi chi lavora. La vogliamo proprio cambiare e lovogliamo fare dalle fabbriche, dal lavoro, ridandouna prospettiva ai giovani e dicendo soprattuttoche è possibile e che vogliamo una società senzacorruzione, senza ladrocini come è invece quellaabbiamo di fronte.

E allora, se parliamo di diritti lo diciamo conchiarezza: noi vogliamo estendere i diritti a tutti,vogliamo l’estensione degli ammortizzatorisociali a tutti.

Diciamolo, in tanti anni ci hanno raccontatoche per dare i diritti ai giovani bisognava toglier-li a quelli che già ce li hanno: facciamogli unabella risata in faccia a chi dice queste cose, ediciamogli che per noi il problema dell’estensio-ne dei diritti, dello Statuto dei lavoratori, degliammortizzatori sociali fino anche ad arrivare acose nuove, a pensare a forme di reddito di cit-tadinanza che affrontino in modo diverso unaprospettiva dei giovani è il terreno sul quale noivogliamo lavorare.

Tanti parlano, ma se le persone a volte siallontanano dalla politica è perché sono stanchedi parole e bisogna essere coerenti, provare afare quello che si dice e allora io trovo giustobattersi per un fisco più giusto, trovo necessarioche i lavoratori dipendenti e i pensionati paghi-no meno tasse perché sono gli unici che lepagano, anche per quelli che evadono, però civuole un po’ di coerenza, non si può venire a direche si è d’accordo col governo sullo scudo fisca-le e sul condono e poi fare finta di manifestareper chiedere una riforma fiscale. Ci vuole coe-renza.

E mi permetto di dire che que-sta teoria che tutti debbano paga-re meno tasse non convince tanto,perché non è mica vero. I lavorato-ri dipendenti e i pensionati devonopagare meno tasse, gli altri nedevono pagare di più perché hannoevaso il fisco in questi anni e sonoquelli che hanno i servizi pubbliciche noi gli paghiamo col nostrolavoro e con i nostri sacrifici.

E vogliamo estendere i dirittianche ai tanti lavoratori immigrati.Vorrei ricordare che al di là delledispute che ci sono nel centrode-stra noi stiamoancora pagandola legge cheBossi e Fini

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hanno fatto, perché fanno finta di discutere tradi loro ma poi, quando c’è da far pagare, sonosempre d’accordo a far pagare noi. E alloraanche questo è un punto, l’estensione dei dirittidi cittadinanza.

Diciamo anche, il contratto. Si sono incontra-ti e in dieci righe hanno scritto che non c’è più ilcontratto nazionale di lavoro. Perché se puoiderogare sia se c’è la crisi sia se ci sono gli inve-stimenti, vuol dire che il contratto nazionale nonc’è più. E questo determina una competizioneselvaggia fra le imprese e i lavoratori. Dobbiamodire con chiarezza che l’unico contratto per noilegittimo e in vigore è quello del 2008, che èstato votato da tutti i lavoratori, che è stato fir-mato da tutti e che noi difenderemo fabbrica perfabbrica nel paese anche arrivando se necessa-rio in Tribunale.

Ma penso che noi dobbiamo dire di più.Quando ho cominciato a lavorare, in fabbrica,dal centralinista al progettista, sotto lo stessotetto tutti avevano lo stesso contratto e gli stes-si diritti. Oggi se vai in un luogo di lavoro scopriche non è più così. Mentre chi comanda è sem-pre quello noi siamo frantumati e divisi. Ci sonodiversi contratti, ci sono le cooperative, c’è l’ap-palto, il subappalto, c’è il lavoratore precario.

Allora noi abbiamo bisogno di dire che l’obietti-vo di un sindacato degno di questo nome è riu-nificare i diritti in questo paese e per fare que-sto, se c’è bisogno di pensare a qualcosa dinuovo allora io credo che c’è bisogno di pensarenon a meno contratti, non alla storiella cheognuno può contrattare nella sua fabbrica e nelsuo territorio, perché se non c’è un contrattonazionale che fissa i diritti per tutti, la contratta-zione fabbrica per fabbrica è una contrattazionea perdere. E allora bisogna pensare al contrattodell’industria, al contratto dei servizi, al contrat-to del pubblico impiego. Dobbiamo cioè pensarea come si riunificano i lavoratori, e a come ildiritto di contrattare nelle fabbriche diventa undiritto integrativo.

Tanti ci hanno chiesto perché nelle paroled’ordine abbiamo parlato di legalità. Lo abbiamofatto perché basta vedere quel che è successo aL’Aquila, perché mentre ci raccontano chevogliono fare il ponte sullo stretto di Messina,nel frattempo fanno chiudere tutte le fabbricheche ci sono in Sicilia; cosa dovrebbe trasportarequel ponte se le fabbriche non ci sono più?Perché invece di sviluppare le energie alternati-ve si inventano che vogliono fare il nucleare?Perché in questo paese l’unico elemento che ci

unifica è l’estensione dell’illegalità, che ormai èdiventata un sistema. Noi lo vogliamo combatte-re, con un nuovo modello, e dobbiamo anchedire che in nome della legalità e per avere soldida investire è necessario ritirare le truppedall’Afghanistan: è un fatto di igiene, di demo-crazia e di centralità.

Noi vogliamo che il lavoro torni a esseredavvero interesse generale di questo paese, evogliamo che le persone possano realizzarsinel lavoro che fanno, ma per fare questo c’èbisogno che abbiano dei diritti e che siano ingrado di poter contrattare in fabbrica la lorocondizione.

Infine vedo due elementi di fondo. La demo-crazia è sotto attacco a ogni livello, quella del-l’informazione, dei giornali, della magistratura,ma anche nelle fabbriche. Perché esistono gliaccordi separati? Perché alle lavoratrici e ailavoratori è impedito di poter votare e decideresui loro accordi. Per questa ragione, noi diciamoche serve una legge sulla democrazia, un accor-do sulla democrazia che dia questo diritto esancisca che ogni accordo aziendale, nazionale,interconfederale, per essere valido deve essereapprovato dalla maggioranza delle lavoratrici edei lavoratori e questo non può essere solo se isindacati son d’accordo fra di loro. Deve essereun diritto delle lavoratrici e dei lavoratori: que-sta è la condizione per rispristinare l’unità, cheè un diritto innanzitutto loro.

Ci pensavo mentre ascoltavo i compagni diPomigliano e di Melfi che parlavano: se oggi pos-siamo dire che è successa una cosa straordina-ria, che c’è una novità in questo paese, che illavoro è tornato al centro della discussionesociale e politica, non è semplicemente perché laFiom o la Cgil hanno detto di no; è successo qual-cosa di più. Se non c’erano i lavoratori diPomigliano che votavano no a quall’accordo, chedicevano che i diritti non si scambiano con l’occu-pazione, se non c’erano i tre delegati di Melfi chedi fronte alla Fiat che ti dice «ti riassumo perònon ti metto in fabbrica» gli hanno risposto chenon si fanno pagare dalla Fiat, che vogliono lavo-rare, se non c’era questo scatto di dignità non cisarebbe stata questa manifestazione.

Questo è l’elemento di novità che ci dà spe-ranza, che ci dà la forza, che ci dice che è possi-bile cambiare. Ma è proprio per questa ragione,perché c’è questa piazza, perché c’è questadignità, che noi abbiamo il dovere di continuarequesta battaglia e penso che sia assolutamentenecessario che nel continuarla si arrivi alla pro-clamazione dello sciopero generale di tutti ilavoratori nel nostro paese, perché la democra-zia e un nuovo modello di sviluppo si costruisco-no con il consenso e con la capacità di cambia-re. Questo elemento ci dà la forza, grazie a tutti.

Viva la Fiom, viva la Cgil, viva le lavoratrici ei lavoratori.

Sul sito della Fiom nazionale potete vederee ascoltare tutti gli interventi di piazza SanGiovanni compresi quello diMaurizio Landini (qui tra-scritto) e Guglielmo Epifani,segretario generale Cgil.