L’IMMAGINE DEL BENE CULTURALE: LIMITI E CIRCOLAZIONE...cesso alla cultura e il vincolo...

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza L’IMMAGINE DEL BENE CULTURALE: LIMITI E CIRCOLAZIONE Relatore Dott. Antonio Cassatella Laureando Amedeo Tumicelli Bene Culturale – Immagine – Riproduzione – Accessibilità - Prassi Anno Accademico 2012/2013

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO

FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

L’IMMAGINE DEL BENE CULTURALE:

LIMITI E CIRCOLAZIONE

Relatore

Dott. Antonio Cassatella

Laureando

Amedeo Tumicelli

Bene Culturale – Immagine – Riproduzione – Accessibilità - Prassi

Anno Accademico 2012/2013

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ABSTRACT

L’immagine del bene culturale: limiti e circolazione

Classificare un bene come “culturale” significa riconoscerne l’importanza storica ed artistica

che esso può ancora esercitare tramite la capacità di propagare alti contenuti valoriali presso i con-

sociati: l’aspetto più immediato con cui si può giungere alla conoscenza del bene culturale è prende-

re visione della sua immagine. Per garantire la possibilità di accesso al bene culturale, esso deve es-

sere configurato secondo una particolare disciplina che ne permetta una quanto più estesa valorizza-

zione a beneficio di chi ne fruisce. Nell’ordinamento italiano, tale disciplina è rappresentata dal Co-

dice dei beni culturali, il quale determina anche le modalità di riproduzione del bene.

Il Codice dei beni culturali contiene delle norme che subordinano ogni riproduzione del bene

culturale ad un consenso amministrativo e, se la finalità non rientra tra quelle previste per le libere

utilizzazioni, ad un pagamento. Definendo e limitando in questa maniera le possibilità di riprodu-

zione, si rischia di porre degli ostacoli alla diffusione dell’immagine del bene culturale, rendendo

più difficile la sua missione di propagazione di contenuti. Le motivazioni che possono essere addot-

te vanno dalla volontà amministrativa di controllare l’impiego dell’immagine del bene al fine di as-

sicurarne un elevato livello qualitativo, a più concrete esigenze di stampo economico. Nell’uno e

nell’altro caso, è necessario domandarsi quale sia la portata e quali siano le ragioni nella mancanza

di una circolazione assolutamente libera dell’immagine del bene culturale.

Oltre alla comprensione dell’evoluzione normativa e dei contorni delle singole sfaccettature

della materia, sarà opportuno visualizzare come la prassi recepisce le previsioni sulla riproduzione

dei beni culturali, confrontando la situazione italiana con quella dell’ordinamento francese e dell’or-

dinamento dei Paesi anglosassoni di common law.

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INDICE – SOMMARIO

INTRODUZIONE…………………………………………………………….……9

CAPITOLO I – IL BENE CULTURALE E LA SUA RIPRODUCIBILITÀ

Sezione I – Il bene culturale1. Nozione di bene culturale……….…….……..…………..………….132. L’accessibilità e la fruibilità….……….……..…………..………….163. La moltiplicazione dell’accesso...…….……..…………..………….20

Sezione II – La riproduzione del bene culturale1. Nozione di riproduzione……………….………….………………..222. Diritto di riproduzione e diritto d’autore….……….…...…………..253. Diritto di riproduzione ed altri diritti……….……….……………...32

Sezione III – L’immagine1. L’immagine dei beni e diritto di proprietà sul bene….….………….352. L’immagine del bene e la sua alterazione…………….….…………403. Libere utilizzazioni dell’immagine…………………….….………..42

CAPITOLO II – SFRUTTAMENTO E CIRCOLAZIONE

Sezione I – La legislazione1. Dalla legge Ronchey al Testo Unico……………………………….472. Dal Codice Urbani in poi…………………………………………...513. La competenza legislativa…………………………………………..53

Sezione II – Il museo1. Il museo come impresa………….………………………………….572. Il museo e i diritti d’autore e di proprietà…………………………..623. Il museo ed il web…………………………………………………..67

Sezione III – La libertà di panorama1. Nozione di libertà di panorama…..…………………………………722. Il tramonto del panorama freedom?...................................................753. Un caso italiano: Wikipedia………………………………………...78

CAPITOLO III – ESAME DELLE PRASSI

1. Italia………………………………………………..……….………832. Francia……………………………………………..………………..933. Common Law……………………………………..……………….101

CONCLUSIONI………………………………………….………………………109

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BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………….117

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Introduzione

Tra i tanti modi con cui si potrebbe introdurre l’argomento che qui si va a trattare, “L’imma-

gine del bene culturale: limiti e circolazione”, scelgo di partire da quello più profano, che più si al-

lontana dai santi campi del Diritto.

In un film del 1961 diretto da Camillo Mastrocinque, Totòtruffa 62, è presente una delle sce-

ne più celebri del cinema italiano di tutti i tempi: quella in cui il protagonista, interpretato da Totò,

cerca di vendere ad un turista italo-americano, impersonato da Ugo D’Alessio, la Fontana di Trevi.

Per convincere il contraente della bontà dell’affare, Totò organizza uno stratagemma: avvicinandosi

ad una coppia di persone impegnate a fotografare la fontana, si fa dare 100 lire per una fantomatica

raccolta fondi per la Croce Rossa, per poi presentarle al turista come il frutto dei diritti di riprodu-

zione spettanti al proprietario dell’opera.

La comicità della scena non esenta dal porsi un curioso interrogativo: è forse possibile che

sulla Fontana di Trevi possano gravare dei diritti di riproduzione? Sicuramente, a causa di soprag-

giunti limiti temporali, non si tratta di una questione di diritto d’autore, essendo l’architetto Niccolò

Salvi passato già da diversi secoli al mondo dei più. Ma il proprietario dell’opera, che certo non è

Totò, può forse avanzare una simile pretesa per sfruttare economicamente il proprio bene?

La Fontana di Trevi è considerata un bene culturale, non solo per il suo pregio artistico, ma

per la rilevanza sociale che ha assunto assurgendo ad uno tra i molteplici simboli della città di

Roma e dell’Italia intera. Carichi di forte significato per il passato che rappresentano e per le sugge-

stioni che offrono agli esseri umani che al presente ne vengono in contatto, i beni culturali hanno

una vocazione intrinsecamente comunitaria, come ha affermato Massimo Severo Giannini, o, se si

vuole, una dimensione di interesse pubblico tale da renderli oggetto di analisi da parte di quella par-

ticolare branca del Diritto che è il diritto amministrativo.

L’Italia è un Paese ad alto tasso di concentrazione di beni culturali. Impossibile fornire una

cifra percentuale sull’intero patrimonio culturale mondiale: quel che è certo, è che l’Italia è, al 2013,

lo stato con più siti iscritti nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO e, in tutto il globo, la

nostra penisola è considerata un sinonimo di arte, storia e cultura. In un periodo di difficoltà per lo

sviluppo del Paese, puntare sulle caratteristiche per cui si è maggiormente apprezzati e riconosciuti

risulta quasi doveroso, nonostante le croniche difficoltà strutturali italiane nel conservare e gestire al

meglio l’intero patrimonio culturale di cui si dispone. Anche non volendo citare quegli orribili luo-

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ghi comuni (che solo un linguaggio politico tanto enfatico quanto volgare poteva coniare) secondo i

quali i beni culturali sarebbero il “petrolio” dell’Italia, è pur vero che le nostre opere d’arte sono co-

nosciute in tutto il mondo: si può pensare di arrivare ad uno sfruttamento della loro immagine?

Coloro che ritenessero si tratti di un vaneggiamento, di un’ipotesi impraticabile, di null’altro

che un’idea degna al massimo di una gag da cinema, non hanno fatto i conti con la realtà. Il diritto

italiano già conosce infatti precise norme sulla riproduzione dei beni culturali. E, come il diritto ita-

liano, in altri ordinamenti è previsto un controllo sulla diffusione dell’immagine di beni culturali an-

che se già entrati in pubblico dominio. Le perplessità che possono sorgere sono molteplici: innanzi-

tutto, se sia possibile avanzare dei diritti sull’immagine di un bene; in secondo luogo, quale sia la

base giuridica per poter affermare una simile pretesa; infine, quale sia la reale portata di norme re-

strittive al contatto con una realtà in cui l’informazione e lo scambio di dati si muovono sempre più

velocemente su scala planetaria. Ma, soprattutto, occorre domandarsi se vi sia un contrasto tra la

previsione di una disciplina sulla riproduzione dei beni culturali e la natura stessa di tali beni, ai

quali ciascuno ha da poter accedere per poter trarre il beneficio che da essi si pretende promanare in

termini di arricchimento di stimoli intellettuali e sociali. Il conflitto che si sprigiona tra il libero ac-

cesso alla cultura e il vincolo dell’assolvimenti di determinati oneri per la diffusione dell’immagine

del bene culturale assume una rilevanza che si riverbera nella lettura dell’articolo 9 della Costituzio-

ne: si può sacrificare lo sviluppo della cultura in vista della tutela del patrimonio storico e artistico

della Nazione? Ma il controllo sulla riproduzione dei beni culturali è determinato da un’esigenza di

tutela e valorizzazione degli stessi o da meri fini economici?

Posto sul tavolo il peso di simili questioni, ci si aspetterebbe che il Diritto, uscendo dalla tor-

re d’avorio di pretensiose elucubrazioni, incontri casi in cui si sia avuta la deflagrazione di questi

problemi nella realtà. In verità, invece, il fenomeno si presenta latente: poche sono le controversie

rintracciabili a livello giurisprudenziale, eppure è sufficiente un’approssimativa navigazione in In-

ternet per accorgersi che il dubbio sussiste, che la situazione non è affatto chiara.

Il compito del giurista non si limita ad un atteggiamento passivo di attesa di quel che potrà

avvenire nelle aule di un tribunale; se il problema sussiste, come testimoniano le incertezze e le titu-

banze che anche i pratici del settore nutrono su questa particolare tematica, il giurista che ne ha col-

to la rilevanza ha il dovere di provare a fornire una risposta con gli strumenti che ha a disposizione

al fine di tentare di portare ordine.

Ho cercato di far trasparire nella strutturazione di questo scritto la necessità di un ordine.

L’elaborato si compone, oltre che delle conclusioni finali, di tre capitoli, ognuno di essi diviso in tre

sezioni divise a loro volta, eccetto l’ultimo capitolo, in tre paragrafi. Nel corso del primo capitolo,

dedicato al bene culturale ed alla sua riproducibilità, ci si concentrerà in termini generali sui concet-

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ti che fungono da cardine in questa trattazione: quelli di bene culturale, di riproduzione e di imma-

gine. Il secondo capitolo si occupa dello sfruttamento e della circolazione dell’immagine del bene

culturale, ripercorrendo l’evoluzione della legislazione italiana e trattando i due ambiti struttural-

mente differenti del bene culturale posto in un contesto chiuso o aperto, con le loro diverse preroga-

tive e modalità di controllo eppure accomunati da una normativa che non ne evidenzia le peculiari-

tà. Il terzo capitolo sarà dedicato all’esame delle prassi, in particolar modo di quella italiana, france-

se e dei Paesi di common law: ho ritenuto necessario, dopo due capitoli di carattere analitico, visua-

lizzare lo stato di fatto così come appare e come è, al di là di come dovrebbe essere. Ritengo che

questo sia necessario per poter operare una valutazione sincera e fondata.

Il titolo di questa tesi di laurea è: “L’immagine del bene culturale: limiti e circolazione”. I li-

miti e la circolazione sono determinati dall’applicazione della apposita normativa. L’elemento che

ritengo focale all’interno del titolo è, però, il riferimento all’immagine. Parlare di immagine anziché

di riproduzione parrebbe un allontanamento da uno status tecnico a favore di uno più estetico, per-

cettivo. Forse è vero, ma l’azzardo è stato calcolato in considerazione dello specifico peso delle pa-

role, che a volte rischia di perdersi nella trattazione ma che è necessario ponderare per dare incisivi-

tà ad un titolo. Il concetto di immagine diventa di centrale importanza quale veicolo più immediato

dei valori che il bene culturale porta con sé, costituisce la prima impressione che si ha del bene e la

sua più facile modalità di richiamo e di circolazione. Quel che rileva, dal punto di vista degli utenti,

non è l’accesso ad una riproduzione, che è, di per se stessa, altra cosa rispetto al bene culturale ori-

ginale; rileva l’accesso all’immagine del bene, immagine connaturata al bene e sua espressione, im-

magine che tramite la riproduzione può sviluppare la propria diffusione e fruibilità.

Molti argomenti lambiti da questa trattazione richiederebbero appositi spazi: cercherò di

mantenere la concentrazione sul tema principale, e mi scuso per ogni eventuale divagazione o man-

cata spiegazione. Mi scuso per ogni imprecisione, per ogni superficialità e per ogni errore: forse ve

ne saranno, ma ho il conforto che, nell’incertezza che regna sovrana nella materia che sarà oggetto

di trattazione, anche un passo fuori dalla retta via sarà un passo che prova ad uscire dalla nebbia che

avvolge queste tematiche.

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Capitolo I

Il bene culturale e sua riproducibilità

SOMMARIO: 1. Il bene culturale. 1.1 Nozione di bene culturale. 1.2 Accessibilità al bene culturale. 1.3 Moltiplicazione

dell’accesso. – 2. La riproduzione del bene culturale. 2.1 Nozione di riproduzione. 2.2 Diritto di riproduzione e diritto

d’autore. 2.3 Diritto di riproduzione ed altri diritti. – 3. L’immagine. 3.1 L’immagine dei beni e diritto di proprietà sul

bene. 3.2 L’immagine del bene e la sua alterazione. 3.3 Libere utilizzazioni dell’immagine.

1. Il bene culturale

1.1 Nozione di bene culturale

La nozione di bene culturale nell’ordinamento italiano è attualmente rintracciabile all’inter-

no del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (da qui

in avanti: Codice). Sono definiti come beni culturali “le cose immobili e mobili che, ai sensi degli

articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico

e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi

valore di civiltà”1. Gli articoli 10 e 11 qui richiamati fungono da elencazioni, meramente esemplifi-

cative2, di ciò che costituisce oggetto della tutela secondo la disciplina del Codice3.

Questo tipo di definizione segue un cliché tipico delle legislazioni in questa materia. La for-

mulazione attuale, infatti, ricalca fortemente una definizione che, pur con alcuni ondeggiamenti, si è

consolidata all’interno del nostro ordinamento nel corso dei decenni4, ma non molto distanti sono

anche altre definizioni che si possono ritrovare esternamente ad esso5. Lungi dal potersi configurare

1 Art. 2, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).2 MORBIDELLI, G., Art.10, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, Milano, 2012, p.

126.3 Gli artt. 10 e 11 d.lgs. 42/04 indicano, rispettivamente, ciò che è bene culturale e ciò che è cosa oggetto di specifica

disposizione di tutela. 4 La legge 1 giugno 1939 n. 1089, Tutela delle cose d’interesse artistico e storico (c.d. legge Bottai) così principiava

all’articolo 1, comma 1: “Sono soggette alla presente legge le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artisti-co, storico, archeologico o etnografico”. Prima di essa, la legge 20 giugno 1909, n. 364, Norme per l’inalienabilità delleantichità e delle belle arti (c.d. legge Rosadi) all’art. 1, comma 1, indicava come “soggette alle disposizioni della pre-sente legge le cose immobili e mobili che abbiano interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico”.

5 In ambito UNESCO, la Convenzione concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importa-zione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, stipulata a Parigi il 14 novembre 1970 e in vigore inItalia dal 1979, all’art. 1, comma 1, considera come beni culturali “i beni che, a titolo religioso o profano, sono designati

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come mera “identità tralatizia”6, questa continuità ricavabile dai testi legislativi in materia testimo-

nia la necessità di definire una determinata categoria di beni come culturali, secondo una convinzio-

ne che affonda nei secoli le proprie radici7.

La dicitura “bene culturale”8 è un’endiadi scomponibile in due diverse polarità rappresentate

dalle due parole che la compongono.

a) Bene. Secondo una definizione valida anche per l’ambito pubblicistico del nostro ordina-

mento9, “sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”10. I beni culturali, proprio in

quanto beni, anche se ne costituiscono una tipologia peculiare, non sono oggetto di un tipo di pro-

prietà diversa da quella ordinaria11. Affinché assumano rilevanza sotto il profilo giuridico, devono

essere riconosciuti come tali dall’ordinamento, avendo cura di distinguere beni appartenenti a sog-

getti pubblici o a persone giuridiche private senza fine di lucro o a soggetti privati12. Inoltre, allo

stato attuale del diritto interno, sono beni necessariamente materiali.

b) Culturale. È evidente che, stante la neutralità del termine “bene”, spetta all’attributo “cul-

turale” la determinazione della particolarità tipologica. Al di là di tutte le definizioni retoriche o tau-

tologiche che è possibile elaborare, è necessario domandarsi la ratio che ha portato all’individuazio-

ne di questa categoria di beni. Bisogna, cioè, coglierne l’utilità, la quale non può ridursi ad una

mera e nostalgica esaltazione di quanto è stato prodotto di grande dall’uomo. Quel che vi è di cultu-

rale merita particolare riconoscimento perché, oltre a testimoniare i valori collettivi propri di un co-

da ciascuno Stato come importanti per l’archeologia, la preistoria, la storia, la letteratura, l’arte o la scienza”. Un altroesempio si può rintracciare in Spagna, laddove la ley 25 giugno 1985, n. 16, Patrimonio Histórico Español, all’art. 1,comma 2, prevede che “integran el Patrimonio Histórico Español los inmuebles y objetos muebles de interés artístico,histórico, paleontológico, arqueológico, etnográfico, científico o técnico. También forman parte del mismo elpatrimonio documental y bibliográfico, los yacimientos y zonas arqueológicas, así como los sitios naturales, jardines yparques, que tengan valor artístico, histórico o antropológico”.

6 Per identità tralatizia si intendono quei “precetti o istituti elaborati in quella [determinata] fase storica [che] venganoconservati nel sistema attuale per inerzia o, comunque, in mero ossequio alla tradizione, senza che rispondano più aduna effettiva esigenza o, peggio, si frappongano quale ostacolo ad interpretazioni frutto di nuove sensibilità”. Traggo ladefinizione da SANTUCCI, G., Diritto romano e diritti europei. Continuità e discontinuità nelle figure giuridiche, Bolo-gna, 2010, p. 38.

7 Il legame tra le legislazioni più recenti sul patrimonio culturale e le sue radici storiche sono ripercorse brevementema autorevolmente in SETTIS, S., La tutela del patrimonio culturale e paesaggistico e l’art. 9 Cost., Napoli, 2008, pp. 21ss. Più estesa, per quanto maggiormente improntata ad una visione storico-artistica limitata al caso emblematico dellacittà di Roma, l’indagine di CURZI, V., Bene culturale e pubblica utilità, Bologna, 2004; con riferimento ad altri territoridell’Italia preunitaria, si veda CLEMENTE DI SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale di diritto dei beni culturali, Napoli,2008, pp. 1-9.

8 L’espressione “bene culturale” è relativamente recente per il nostro ordinamento, essendovi stata introdotta a seguitodelle elaborazioni della Commissione Franceschini (istituita nel 1964) sulla scia del diritto internazionale e, in particola-re, della Convenzione de L’Aja del 14 maggio 1954 sulla Protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato; inprecedenza, la legislazione parlava genericamente di “cose”. Sulla nascita e fortuna dell’espressione “bene culturale”, siveda MUSUMECI, S., Il concetto di bene culturale, Acireale, 1995, pp. 13 ss.

9 FALCON, G., Lineamenti di diritto pubblico, Padova, 2008, pp. 68-69. 10 Art. 810 Codice Civile.11 CASSESE, S., I beni culturali: sviluppi recenti, in M. P. CHITI, Beni culturali e Comunità Europea, Milano, 1994, p.

344. 12 CASINI, L., Beni culturali (Dir. Amm.), in S. CASSESE (diretto da), Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, 2006, p.

681.

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mune patrimonio di memoria13, permette all’individuo un costante confronto con opere che alimen-

tano il proprio desiderio di conoscenza14: le due anime della funzione del bene culturale emergono

dalle parole del legislatore del Codice, allorché viene affermato che “la tutela e la valorizzazione del

patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territo-

rio e a promuovere lo sviluppo della cultura”15.

L’attributo “culturale” determina una connotazione particolare che rende determinati beni

necessariamente d’interesse pubblico o di interesse per il pubblico16. Tra le due polarità dell’endia-

di, è la seconda a determinare l’ambito di applicazione di questa materia rivolgendola verso il diritto

amministrativo17.

Quanto detto, è tanto più vero se si osserva anche la linea direttrice su cui si muovono le

frange più evolutive del diritto. Ci si riferisce, in particolare, ai risultati riportati dalla c.d. Commis-

sione Rodotà, operante nel 2007 sul tema della modifica delle norme del Codice Civile in materia di

beni pubblici. Tra gli aspetti più rilevanti di questo lavoro, si ricorda l’elaborazione della nozione di

“bene comune”, indicante le “cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fonda-

mentali nonché al libero sviluppo della persona”18: nella classificazione, rientrano espressamente

anche i beni culturali19. Secondo questa logica, i beni comuni - e, tra questi, i beni culturali – sono

beni, cose suscettibili di essere oggetto di diritti, proprio in quanto siano accessibili a tutti20. Non ne-

cessariamente una simile concezione deve riscontrare sul piano de iure condito la propria validità21,

perché questo tipo di analisi riguarda, più che il contenuto del diritto o le modalità di gestione del-

l’interesse, la qualità dell’investitura del soggetto22. Si tratta, in sostanza, di un ideale orientamento,

o forse anche di una consapevolezza che si va acquisendo all’interno della società, per cogliere la

motivazione dell’esistenza all’interno dell’ordinamento di determinate categorie di beni, quali i beni

13 In questo senso si parla di pubblica utilità del patrimonio culturale in SETTIS, S., Battaglie senza eroi. I beni cultu-rali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, p. 280.

14 Si veda, per incisività, MERRYMAN, J. H., The public interest in cultural property, in California Law Review, vol.77, 1989, pp. 353 ss.

15 Art. 2, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).16 CASSESE, S., I beni culturali: sviluppi recenti, in M. P. CHITI, Beni culturali e Comunità Europea, Milano, 1994, p.

341.17 La finalità di natura pubblica del bene culturale ne determina la riconduzione al settore amministrativo anche in al -

tri ordinamenti, come testimonia, in ambito francese, CORNU, M., Droit des biens culturels et des archives, inhttp://eduscol.education.fr , 2003, p. 4.

18 La proposta di articolato, all’articolo 3 lettera c), prosegue con le seguenti parole: “I beni comuni devono essere tu-telati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico, anche a beneficio delle generazioni future. Titolari di beni comunipossono essere persone giuridiche pubbliche o privati. In ogni caso deve essere garantita la loro fruizione collettiva”.Per consultare il testo della proposta, si può far riferimento all’apposita pagina all’interno del sito web del Ministerodella Giustizia, in http://www.giustizia.it.

19 Va dato merito che una prima intuizione di ideare una categoria di “beni collettivi”, né pubblici né privati, è da at -tribuirsi a GIANNINI, M. S., I beni pubblici, Roma, 1963, in part. pp. 87 ss.

20 MATTEI, U., Beni comuni. Un manifesto, Roma-Bari, 2011, p. 83. 21 Sotto questo aspetto, aspre e severe sono le critiche all’applicabilità pratica del concetto di bene comune in VITALE,

E., Contro i beni comuni: una critica illuminista, Roma-Bari, 2013. 22 RODOTÀ, S., Il terribile diritto: studi sulla proprietà privata e i beni comuni, Bologna, 2013, p. 21.

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culturali: la qualità che caratterizza il bene culturale risiede nel suo essere insieme testimonianza e

promozione di una funzione culturale, da intendersi come garanzia del godimento pubblico del va-

lore espresso dai beni culturali23. Un bene culturale non può non essere accessibile, a pena del pro-

prio snaturamento.

1.2 L’accessibilità e la fruibilità

Solitamente, per accessibilità si intende la qualità di poter entrare fisicamente in un determi-

nato luogo; per traslato, in una lettura non estranea al diritto, indica la possibilità di arrivare alla co-

noscenza di qualcosa24. Quando si parla di accessibilità del bene culturale, occorre capire se essa

vada garantita solo nella sua accezione più ristretta o se vada assunta nella sua portata più ampia.

Se si propendesse per la prima visione, il bene culturale verrebbe in gioco nella sua materia-

lità. La garanzia di accessibilità di cui dovrebbe essere oggetto consisterebbe nel recarsi ove l’og-

getto si trova per potervi prendere un diretto contatto sensoriale senza alcuna intermediazione.

Se si favorisse la seconda concezione, invece, ci si soffermerebbe con maggior rilievo sull’a-

spetto contenutistico del bene culturale, cogliendo nella conoscenza delle sue caratteristiche quel

che vi è di essenziale per configurarlo come tale.

Poiché il bene culturale nell’ordinamento italiano si configura solo in quanto materiale25,

non si pone un problema di distinzione tra corpus mysticum (l’idea contenuta nell’opera) e corpus

mechanicum (il supporto materiale con cui l’opera è realizzata) sotto quest’ambito di interesse, a

differenza di quel che potrebbe riguardare la materia della proprietà intellettuale26: l’ordinamento ri-

conosce il bene culturale in quanto dotato di una materialità che porta inscindibilmente con sé il

proprio requisito culturale. Occorre però tener presente che è l’attributo “culturale”, che riempie di

23 FOÀ, S., La gestione dei beni culturali, Torino, 2001, p. 147.24 Il nucleo semantico prettamente fisico del termine “accesso” si ritrova in disposizioni tipiche del diritto privato,

quale ad esempio l’art. 843 Codice Civile in materia di accesso al fondo; quando invece in ambito amministrativistico siè arrivati a configurare un diritto all’accesso ai documenti, si intende con tale espressione “la possibilità di conoscere idocumenti in possesso della pubblica amministrazione e di ottenerne copia”, come riscontrabile in FALCON, G., Linea-menti di diritto pubblico, Padova, 2008, p. 426. Su come l’accesso all’informazione abbia assunto sempre maggiore im-portanza rispetto all’accesso alla proprietà, si veda RIFKIN, J., L’era dell’accesso: la rivoluzione della new economy(traduzione italiana da The age of access. The new culture of hypercapitalism, New York, 2000), Milano, 2000.

25 Il problema dei beni culturali immateriali è stato prepotentemente posto in ambito UNESCO, specialmente con laConvenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 3 novembre 2003, ratificatadall’Italia nel 2007, e che è stata richiamata da d.lgs 26 marzo 2008, n. 62, Ulteriori disposizioni integrative e correttivedel decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 in relazione ai beni culturali, che ha inserito un articolo 7-bis al Codicedei Beni Culturali, in cui però il nostro legislatore richiede ancora – con un certo paradosso - che tali espressioni cultu-rali immateriali “siano rappresentate da testimonianze materiali”. Si rimanda a CROSETTI, A. - VAIANO, D., Beni cultura-li e paesaggistici, Torino, 2011, pp. 35 ss. Sulla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateria-le, è possibile consultare OGGIANU, S., La disciplina pubblica delle attività artistiche e culturali nella prospettiva del fe-deralismo, Torino, 2012, pp. 4 ss.

26 Per la fortuna che ha avuto la distinzione tra corpora nell’ambito del diritto industriale, cfr. SPADA, P., in P. AUTERI,G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto industriale – Proprietà intellettuale e concorrenza,Torino, 2012, pp. 6 ss.

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significato l’endiadi “bene culturale”, a rappresentare il senso logico che caratterizza la disciplina di

questa normativa. Si tutela, cioè, un determinato bene nella sua materialità in quanto culturale, quin-

di secondo un requisito legato ma non limitato alla materialità oggettuale; si noti, inoltre, che tale

contenuto culturale prescinde dall’idea che ha caratterizzato la realizzazione del bene da parte del

suo autore e finanche dal suo pregio artistico e si sostanzia invece in un concreto lascito spirituale

ed intellettuale27.

I beni culturali, secondo la visione emergente dal Codice, sono quindi “cose”28 che abbiano

necessariamente un substrato materiale: solo saltando a piè pari il dato testuale diventerebbe possi-

bile definirli tout court come beni immateriali29. È piuttosto da ritenere che immateriale sia non tan-

to il bene in sé, quanto la finalità cui il bene è destinato, ossia l’essere testimonianza e stimolo di

cultura30.

Avendo cura di tale finalità, è da ritenersi che l’accesso che deve essere garantito al bene

culturale sia da configurarsi come un accesso ai contenuti, più che alla struttura fisica. Alcuni esem-

pi possono confermare quanto detto: oltre al caso lampante31 dell’accesso agli archivi32, per i quali,

ove sia possibile farli rientrare nella apposita categoria, vale la disciplina dell’accesso ai documenti

amministrativi33, è possibile ricordare anche il caso delle biblioteche34, laddove l’accesso ai conte-

nuti si possa manifestare in modo anche indipendente rispetto all’accesso alla struttura fisica, qualo-

27 Esemplarmente: “l’ordinamento giuridico prende in considerazione ed assoggetta al regime vincolistico di tutela[determinati beni] non in quanto espressione, di per sé, di un interesse storico-artistico particolarmente importante, maper il legame, c.d. storico-relazionale, che li associa ad eventi della storia politica, militare e della cultura in genere”, inCROSETTI, A. - VAIANO, D., Beni culturali e paesaggistici, Torino, 2011, p. 33. Conferme vengono anche dalla giuri-sprudenza, come, ad esempio, ritrovabile nella massima redazionale di Cons. Stato, sez. VI, 24 marzo 2003, n. 1496, se-condo cui possono rientrare nella categoria dei beni culturali quei beni che, “pur non avendo in sé valore storico-artisti-co, siano ciò nondimeno di interesse particolarmente importante quale testimonianza storica”.

28 Con formula particolarmente incisiva, si parla di “coseità” del bene culturale per sottolinearne l’accezione giuridicareale in CAMMELLI, M., Il Codice dei beni culturali e del paesaggio: dall’analisi all’applicazione, in http://www.aedon.-mulino.it, 2004.

29 La tesi, forse più auspicata che sostenuta, dell’eliminazione del riferimento alla necessaria materialità dei beni cul-turali ha trovato molteplici adesioni nel corso del tempo, come in OGGIANU, S., Disciplina pubblica delle attività artisti-che e culturali, Torino, 2004.

30 Secondo le parole, ancora attuali, del Consiglio di Stato (adunanza generale 11 marzo 1999) date nel parere, in ri -spetto a quanto disposto dall’art. 1, comma 5, l. 8 ottobre 1997, n. 352, Disposizioni sui beni culturali, su quello chesarà il d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali,“il bene nella sua materialità deve costituire l’elemento centrale della fattispecie regolata dalla norma; ed il suo valoreculturale o ambientale deve improntare la ratio del contenuto dispositivo”. Per come il legislatore abbia mantenuto allo-ra, nonostante dibattiti e critiche, l’impostazione qui ricordata e su cui si basa quella attualmente vigente -, si vedaPITRUZZELLA, G., La nozione di bene culturale, in http://www.aedon.mulino.it, 2000.

31 Come ricordato in CABIDDU, M. A. - GRASSO, N., Diritto dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2007, p. 270.32 Il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani) ricorda che gli archi-

vi sono beni culturali sia se pubblici, ai sensi dell’art. 10, comma 2, lett. b); sia se privati nei casi in cui rivestano unaparticolare importanza storica, ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. b).

33 Ossia quanto previsto dagli artt. 22 ss., l. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento ammini-strativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

34 Il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani) configura le raccoltelibrarie delle biblioteche come beni culturali all’art. 10, comma 2, lett. c); mantenendo il parallelismo, il comma 3 delmedesimo articolo alla lett. c) indica come beni culturali le raccolte librarie private di eccezionale interesse culturale. Èfacile notare come, analizzate le lettere b) e c), rispettivamente dedicate ad archivi e raccolte librarie, non si può ritenereestranee a questa visione le altre tipologie di beni culturali.

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ra l’utente sfrutti il servizio dato dalla biblioteca digitale35. Numerosi progetti si sono sviluppati su

questo versante anche per quel che concerne i musei, non con l’obiettivo di sostituire alla visita fisi-

ca la visita virtuale, bensì proprio con l’intenzione di incentivare la diffusione della conoscenza e

del patrimonio culturale36. Del resto, non sempre la struttura fisica del bene culturale è accessibile:

si pensi all’annoso problema dei reperti racchiusi nei magazzini, spesso unicamente per mancanza

di spazi da esposizione o di personale. In casi come questi, un accesso al contenuto del bene avreb-

be comunque da essere garantito, tanto più in un’epoca che dispone dei mezzi tecnologici per rag-

giungere tale scopo37.

Parallelamente all’idea di accessibilità, si sviluppa quella di fruibilità. Essa va garantita a

tutti i consociati. Se il pubblico interessato al bene culturale sia soltanto la comunità nazionale o sia,

in forma lata, l’intera umanità, è prospettiva che è stata oggetto di molteplici considerazioni38: men-

tre pare corretto domandarsi a chi spettino la tutela e la conservazione di un bene culturale, nell’otti-

ca dell’accesso il problema non sembra porsi, non discriminandosi concettualmente l’utenza in base

alla provenienza39; idem per quanto riguarda la fruizione del bene40.

Come il concetto di accesso si leghi a quello di fruizione emerge dalla collocazione che nel

Codice assumono le rispettive disposizioni. La Parte Seconda del Codice, dedicata ai beni culturali,

apre il proprio Titolo II (Fruizione e valorizzazione) con un Capo I sulla Fruizione dei beni cultura-

li che, alla Sezione I, si inaugura con l’articolo 101, rubricato Istituti e luoghi della cultura, cui se-

guono tre articoli dalle significative rubriche: Fruizione degli istituti e dei luoghi della cultura di

appartenenza pubblica (art. 102); Accesso agli istituti ed ai luoghi della cultura (art. 103); Fruizio-

ne di beni culturali di proprietà privata (art. 104). Questi tre articoli consecutivi rappresentano, al-

l’interno del Codice, gli unici in cui le rubriche riportano i termini “fruizione” ed “accesso”. Inca-

35 Per biblioteca digitale si intende “una biblioteca ‘immateriale’ in cui vengono conservati e resi disponibili esclusi-vamente documenti digitali (originali o convertiti da originali cartacei), gestiti e catalogati elettronicamente. Ogni ope-razione può essere effettuata via rete da casa, dallo studio, dall’aula”. La definizione è riscontrabile in METITIERI, F. -RIDI, R., Biblioteche in rete: istruzioni per l’uso, Roma-Bari, 2003, p. 51.

36 Ricalco le parole con cui viene presentato il progetto DADDI (Digital Archive through Direct Digital Imaging) inhttp://www.uniurb.it: questo progetto, che mira a creare un database visivo della Galleria degli Uffizi di Firenze, è solouno tra i tanti attivati a livello nazionale ed europeo. Il rapporto tra museo e web verrà maggiormente approfondito diseguito in un apposito paragrafo.

37 Pur non sviluppando appieno questa intuizione, BERTUGLIA, C. S. - BERTUGLIA, F. - MAGNAGHI, A., Il museo trareale e virtuale, Roma, 1999, pp. 30 ss.

38 MERRYMAN, J. H., Two ways of thinking about cultural property, in The American Journal of International Law,vol. 80, n. 4, 1986, pp. 831 ss.

39 Per meglio dire, se si ponesse il problema di quali soggetti godono del diritto d’accesso, esso avrebbe rilevanza pu -ramente sul piano fisico e non concettuale come conoscenza del bene culturale. Il problema è stato oggetto di una sen-tenza della Corte di Giustizia (sentenza Commissione v. Italia del 16 gennaio 2003, causa C-388/01, in Raccolta dellagiurisprudenza della Corte di Giustizia, p. I-00721) che ha condannato l’uso di tariffe discriminatorie per cittadinanzaall’accesso a complessi museali italiani.

40 Risulta maggiormente sociologica che giuridica l’osservazione che accesso e fruizione siano rivolti soprattutto alpubblico nazionale, il quale in tal modo rinsalda la propria identità e senso di appartenenza nel patrimonio culturale. Siveda CIMADORI, E., Rapporto fra bene culturale e i cittadini: i risultati della ricerca qualitativa, in AA. VV., Il beneculturale è un valore per tutti?, Napoli, 2005, p.51

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stonato in questo modo tra le normative sulla fruizione dei beni, pubblici e privati, l’accesso funge

da momento cardine nell’ambito della fruizione. Difatti, senza la possibilità di accedere al bene, è

impossibile trarne una fruizione: tale accesso va dunque interpretato in chiave contenutistica, do-

vendo da esso nascere la possibilità di una fruizione41. Se ci si limitasse ad un mero accesso fisico,

svincolato dalla capacità di generare informazione, non si tutelerebbe appieno l’utente nella sua esi-

genza di fruizione del bene culturale.

Se nel concetto di accesso non ci sono difficoltà ad indirizzarsi sulla finalità contenutistica

dello stesso, il dettato normativo pone maggiori difficoltà in quello di fruizione. L’articolo 104 del

Codice, in materia di fruizione dei beni culturali che siano in proprietà di privati, valuta come pro-

prio unico campo di interesse quello legato alla visita da parte del pubblico. Viene da chiedersi, in

mancanza di una definizione espressa del concetto di fruizione, se questa scelta vada a delimitare

l’ambito in cui essa agisca o se sia semplicemente un indice chiarificatore di una situazione non

escludente altre tipologie di fruizione. Intendendosi per fruizione, in via generale, la capacità di po-

ter utilizzare un bene/servizio o di poterne godere, si potrebbe ritenere che l’ambito della visita cir-

coscriva, nell’intenzione dell’articolo 104, il tipo di fruizione più invasivo e pregiudizievole (quello

legato all’accesso fisico) per il privato che sia proprietario di un bene culturale: di conseguenza, un

tipo di fruizione meno pregnante sarebbe concepibile ed andrebbe valutato secondo principi genera-

li. Significativamente, non figura invece la parola “visita” e si parla di “fruizione” tout court nell’ar-

ticolo 102 relativo alla fruizione dei beni culturali di proprietà pubblica.

Si tenga presente che da tempo la dottrina giuridica42, più che preoccuparsi di definire il con-

tenuto della fruizione in se43, ha elaborato una contrapposizione tra i concetti di fruizione ed uso: il

primo configura una forma di uso collettivo, operata da un pubblico indistinto di utenti; il secondo

indica l’uso individuale proprio di un determinato soggetto che tragga dal bene culturale una forma

particolare di utilità, ulteriore rispetto all’accrescimento spirituale/intellettuale. Sotto quest’ottica

andrebbero lette le norme strutturalmente successive agli articoli supra presentati, destinati ad una

fruizione collettiva; gli articoli che vanno dal 106 al 110, infatti, essendo racchiusi all’interno di una

41 Quanto detto comporta di conseguenza una concezione dinamica dell’accesso, spronando ad una continua evoluzio-ne nella ricerca di rendere un contenuto in forme sempre più suscettibili ad essere colte dal pubblico, tanto da associareil termine “accessibilità” a quello di “usabilità”: si veda PAOLETTI, G., L’accessibilità delle informazioni multimedialinei e sui musei, in I. GAROFOLO – C. CONTI, Accessibilità e valorizzazione dei beni culturali: temi per la progettazionedi luoghi e spazi per tutti, Milano, 2012, pp. 115 ss.

42 Come riportato da VENTIMIGLIA, C., Art. 106, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesag-gio, Milano, 2012, pp. 819 ss.

43 Tra le diverse tesi, si segnala che la fruizione è stata qualificata come attività di gestione del servizio pubblico cul-turale in senso stretto (in contrapposizione alla valorizzazione, intesa quale attività di regolazione e gestione di beni ereti culturali) in DUGATO, M., Fruizione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e servizio privato diutilità pubblica, in http://www.aedon.mulino.it, 2007. Similmente, CLEMENTE DI SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale didiritto dei beni culturali, Napoli, 2008, p. 289. Addirittura depreca una nozione specifica di fruizione (“impropria sottoil profilo teorico”) e lamenta la scissione dei concetti di fruizione e valorizzazione CASINI, L., Valorizzazione e fruizionedei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 5/2004, pp. 479 ss.

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Sezione II dedicata all’Uso dei beni culturali, rappresenterebbero le modalità di uso individuale del

bene culturale. Caratteristica precipua dell’uso sarebbe la sua soggezione ad una preventiva attività

di delibazione e controllo su come il bene verrà impiegato, affidata all’amministrazione conceden-

te44: riservando particolari forme d’uso ad un numero ristretto di utenti, si rischia di compromettere

la pubblica fruizione del bene culturale45. D’altro canto, è pure possibile che lo sviluppo di certe for-

me d’uso possa, come effetto riflesso, portare ad un ampliamento della fruibilità del bene, renden-

dolo più facilmente accessibile o più qualitativamente godibile da parte del pubblico. In questi casi,

pur continuandosi a mantenere particolari oneri per l’utente in ragione del vantaggio individuale de-

rivante dall’uso del bene culturale, occorre, allo stesso tempo, garantire e favorire la maggiore frui-

zione che si sviluppa parallelamente all’uso. Nulla vieta di ritenere questa eventualità come una di

quelle forme di sussidiarietà orizzontale favorite e sostenute dalla Repubblica nella valorizzazione

del patrimonio culturale46.

Il legislatore del Codice, tra le tipologie di uso, configura anche la riproduzione.

1.3 La moltiplicazione dell’accesso

Prima di focalizzare la questione della riproduzione, occorre tirare le somme di queste prime

considerazioni.

L’ordinamento italiano conosce un’apposita disciplina per i beni culturali. L’accesso costi-

tuisce il modus essendi del bene culturale, non tanto sul piano fisico quanto su quello contenutistico.

La fruizione che l’utente ha del bene culturale si misura in termini di accessibilità al bene.

Alimentare l’accesso ad un bene culturale permette la maggior espressività della sua natura.

Questo obiettivo si configura nel principio di valorizzazione, la cui funzione è diretta “a promuove-

re la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e

fruizione pubblica del patrimonio stesso”47. La valorizzazione dei beni culturali non consiste, cioè,

in un accrescimento del loro valore, ma nella loro destinazione alla fruizione, attuando misure per

consentire, agevolare ed accrescere le possibilità d’accesso48. Tra le attività consone al persegui-

mento della valorizzazione del bene culturale, si ha la “organizzazione stabile di risorse, strutture o

reti”49. Da questi presupposti, si può essere portati a ritenere che le attività dirette ad una diffusione

capillare della conoscenza del bene culturale, oltre ad essere meritevoli di plauso sociale, siano in-44 VENTIMIGLIA, C., Art. 106, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2012,

p. 821.45 BROCCA, M., La disciplina d’uso dei beni culturali, in http://www.aedon.mulino.it, 2006.46 Art. 6, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).47 Art. 6, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).48 CASINI, L., Beni culturali (Dir. Amm.), in S. CASSESE (diretto da), Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, 2006, pp.

687-688.49 Art.111, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).

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coraggiate dal legislatore stesso. In particolare, tramite stabili organizzazioni (che potrebbero esse-

re, per esempio, anche in forma digitale), diventerebbe auspicabile una diffusione che metta a di-

sposizione di una vasta platea il contenuto del bene culturale così da ampliarne l’accessibilità, anche

in considerazione del fatto che il contenuto culturale di un bene è di per sé inesauribile e non rivale

nel consumo50; viceversa, porre a monte una forma di privativa creerebbe un monopolio che potreb-

be andare a ripercuotersi sul livello di qualità delle riproduzioni offerto agli utenti51.

Va aggiunto che il concetto di valorizzazione è stato talora interpretato come gestione im-

prenditoriale52, ossia come possibilità di sfruttare il bene culturale al fine di generare reddito, da

reimpiegarsi in una maggior cura del bene stesso53. Se è pur vero che lo stesso legislatore delegante

aveva posto “l’incremento delle entrate”54 tra gli obiettivi per la redazione di quello che sarebbe

stato il futuro Codice Urbani, non sembra55 che traspaia dalle disposizioni del Codice una concezio-

ne della valorizzazione finalizzata al conseguimento di maggiori entrate56: semplicemente, senza

che l’attività culturale sia funzionale ad una visione economicistica, si constata che maggiori entrate

assicurano un miglior livello di fruizione e tutela57.

Resta da identificare quale modalità di diffusione del contenuto possa essere consona ad

un’ottimale fruizione da parte degli utenti. Assecondando la linea predisposta dal legislatore, la rap-

presentazione contenutistica deve essere quanto più possibile legata alla materialità del bene. Ciò

che può unire in sé tutte le caratteristiche che si sono finora sottolineate (idoneità alla diffusione;

veicolazione del contenuto; aderenza alla materialità) è l’immagine del bene culturale.

La riproduzione dell’immagine del bene può fungere da mezzo per propagare la cultura che

promana. L’incremento dell’attività di riproduzione va, in parallelo, ad aumentare i canali di acces-

so, rendendo sempre più conoscibile il bene e, di conseguenza, valorizzandolo tramite la garanzia di

50 Si rammenti che la disciplina dei beni culturali è inserita nel settore pubblicistico del nostro ordinamento: l’accessoal bene culturale (non il bene culturale in sé) è da configurarsi come un bene pubblico, pertanto soggetto alle caratteri-stiche – come la non rivalità nel consumo - che l’analisi economica attribuisce a questo genere di beni. Si vedaKRUGMAN, P. - WELLS, R., Microeconomia (traduzione italiana da Microeconomics, New York-Basingstoke, 2005), Bo-logna, 2006, pp. 444 ss.

51 RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011, p.577.

52 CASSESE, S., Beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giorn. dir. amm., 7/1998, pp. 673 ss.53 CROSETTI, A. - VAIANO, D., Beni culturali e paesaggistici, Torino, 2011, pp. 123 ss. 54 Art. 10, comma 2, lettera d), l. 6 luglio 2002, n. 137, Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della

Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici.55 Ripercorre esaurientemente quest’aspetto, supportato dall’analisi della prassi legislativa e giurisprudenziale,

CASINI, L., Valorizzazione e fruizione dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 5/2004, pp. 469 ss. La valorizzazione è daintendersi non tanto come forma di profitto finanziario quanto piuttosto come economicità di gestione volta al pareggiodi bilancio secondo CARPENTIERI, R., Artt. 115-116-117, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e delpaesaggio, Milano, 2005, p. 510.

56 Probabilmente un approccio alla cultura secondo l’ottica del profitto è rispecchiato, più che da un singolo costruttonormativo, da una serie di politiche perpetuate nel tempo, come denunciato da SETTIS, S., Battaglie senza eroi. I beniculturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, passim.

57 CASSESE, S., Beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giorn. dir. amm., 7/1998, p. 674.

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una vasta fruibilità58. Il Codice Urbani, invece, va a limitare la facoltà di riproduzione del bene cul-

turale59. Sono, in particolar modo, gli articoli 107 e seguenti del Codice quelli che maggiormente

frenano la libera riproducibilità: tali disposizioni sono configurate all’interno della sezione dedicata

all’uso, presupponendo che la riproduzione del bene culturale sia un’attività a beneficio di un singo-

lo operatore più che della collettività.

Una parziale giustificazione a questa limitazione potrebbe essere ricercata nell’esigenza di

controllare una duplicazione confondibile del bene culturale: l’articolo 178 del Codice configura

come passibile di reato “chiunque, al fine di trarne profitto, contraffà, altera o riproduce un’opera di

pittura, scultura o grafica, ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico od archeologico”60. In

questo contesto, la riproduzione integra una fattispecie di falso d’arte, al pari della contraffazione e

dell’alterazione61. È tuttavia evidente come questo rappresenti un caso delittuoso e sicuramente non

esaustivo delle modalità di attuazione della riproduzione. Eppure, dal dato testuale del Codice, pare

che la riproduzione dell’immagine di un bene culturale sia soggetta a limitazioni anche nella sua

normalità, fuori dalla fattispecie penalistica: è quel che emerge dagli articoli 107 e 108, che rispetti-

vamente rimettono la riproduzione ad una mera possibilità data dall’autorità pubblica e ad una pre-

via corresponsione qualora si fuoriesca da un uso personale o per motivi di studio o attuato da sog-

getti pubblici per finalità di valorizzazione.

È pertanto da comprendere che portata abbiano questi limiti che il legislatore ha posto alla

riproducibilità del bene culturale, come vadano situati all’interno del nostro ordinamento e come

nella prassi si attuino o possano attuarsi.

2. La riproduzione del bene culturale

2.1 Nozione di riproduzione

58 Tale considerazione non è estranea neppure alla giurisprudenza, visto che si può leggere che certe “tecniche di ri-produzione, che incrementano la diffusione della conoscenza dell'opera d'arte, stimolano l'interesse a vedere il capola-voro riprodotto, ma non intaccano, anzi piuttosto esaltano, l'unicum dell'opera d'arte”, in TAR Reggio Calabria, Cala-bria, 10 ottobre 2003, n. 1285, in Foro Amm. TAR, 2003, p. 3355.

59 L’elemento di contraddizione tra la “vocazione comunitaria” dei beni culturali ed il tentativo di subordinarne la di -vulgazione ad un’autorizzazione ed al pagamento di un corrispettivo è stato evidenziato da molti autori, come RESTA,G., L’appropriazione dell’immateriale: quali limiti?, disponibile in http://www.estig.ipbeja.pt, 2003, p. 14.

60 Art.178, comma 1, lettera a), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codiceUrbani).

61 Le tre fattispecie sono distinguibili in questo modo: “la contraffazione, ossia la creazione dell’opera d’arte da partedi chi non sia autorizzato; l’alterazione, nel senso di modifica di un’opera originale in modo che vengano in essa inseri -te caratteristiche che non aveva; la riproduzione, ovvero la creazione di una copia o imitazione pedissequa dell’operaautentica, in modo da creare confusione con l’esemplare originale ed idonea in astratto a trarre in inganno il pubblico”.Ricavo le definizioni da RONCO, M. - ARDIZZONE, S., Codice penale ipertestuale. Leggi complementari, Torino, 2007, p.483.

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Il concetto di riproduzione potrebbe apparire di non necessaria definizione, legandosi all’uso

che comunemente si fa di questo sostantivo. Il legislatore, a scanso di equivoci, ha comunque prov-

veduto ad indicarne il contenuto nella “moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o

permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma”62. Non si hanno nell’ordina-

mento italiano altre definizioni generali del concetto di riproduzione, tantomeno nella disciplina dei

beni culturali.

Parlare di riproduzione in senso lato coglie tutta quella serie di ipotesi in cui si va a moltipli-

care l’esistenza di un oggetto, non necessariamente ripetendolo nella medesima configurazione ori-

ginale, ma anche tramite formati in qualunque modo idonei a renderne trasmissibili le sue qualità

principali. Pertanto, rappresenta una riproduzione non solo la produzione di una copia pedissequa

dell’originale, ma anche immortalare l’immagine di un bene fisico63. Nell’ambito dei beni culturali,

quest’ultimo tipo di riproduzione, non invasivo, renderebbe percepibili in forma immediata le più

risaltanti caratteristiche del bene, prestandosi allo stesso tempo alla possibilità di una rapida diffu-

sione della conoscenza (e, conseguentemente, di un accesso fruibile) del bene stesso.

La riproduzione può configurarsi come una libera facoltà esercitabile da qualunque soggetto,

ma, in taluni casi, può essere limitata dallo svilupparsi di peculiari posizioni giuridiche. Si ha un di-

ritto di riproduzione quando, nonostante un interesse altrui a limitarne il fenomeno, è ammessa la

possibilità di procedere ad una riproduzione da esercitarsi secondo modalità che non vadano a pre-

giudicare diritti di privativa di altri soggetti.

Originariamente, il rilievo della riproduzione nell’ottica giuridica ha riguardato la sfera della

proprietà intellettuale (dove, non per niente, s’è stabilmente mutuata dal mondo anglosassone l’e-

spressione copyright, diritto di copia), ma anche altri settori del Diritto possono essere interessati

agli effetti conseguenti al fenomeno della riproduzione. Un’analisi sulla riproduzione dei beni cultu-

rali deve quindi saper cogliere più ottiche differenti.

Nel Codice, con esclusione dell’articolo 178 che prevede la fattispecie delittuosa della con-

traffazione, la parola “riproduzione” è riscontrabile unicamente nel mezzo tra gli articoli 107 e 110,

ossia nel pieno di quella sezione dedicata all’Uso dei beni culturali.

Come si richiamava in precedenza, con il termine “uso” si suole configurare un uso indivi-

duale, diverso da quello generale, il quale rientra invece nell’ambito della fruizione. Tre sono le for-

me di uso individuate tradizionalmente dalla dottrina: una forma di uso eccezionale, che esclude la

62 Art. 13, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo eser-cizio.

63 Come confermato da costante giurisprudenza: si veda Cass. Civ., sez. I, 19 dicembre 1996, n. 11343, in Giur. It., I,1, 1997, p. 1194. Dottrina minoritaria sostiene, al contrario, che per copia abbia da intendersi solamente la riproduzioneche permetta al fruitore di provare le medesime o analoghe sensazioni che avrebbe di fronte all’opera originale. CosìALBERTINI, L., La riproduzione fotografica in cataloghi delle opere dell’arte figurativa, in Giust. Civ., 1997, pp. 1603ss.

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fruizione pubblica e che non è conforme alla destinazione culturale del bene; un uso particolare, che

pure esclude la fruizione pubblica ma rimane conforme alla destinazione primaria del bene; infine,

un uso speciale, individuale ma non esclusivo64. La riproduzione dell’immagine di un bene culturale

rientra generalmente in quest’ultima tipologia: fare una fotografia non preclude che altri possa libe-

ramente accedere al bene. Non è escluso che, tuttavia, il contesto della riproduzione possa toccare le

altre forme d’uso: ad esempio, per operare delle riprese in un museo potrebbe essere necessario im-

pedire in via momentanea l’accesso del pubblico. Può anche darsi il caso che sia l’amministrazione

a conferire tramite concessione a terzi un diritto allo sfruttamento dell’immagine duraturo nel tempo

La riproduzione è quindi una forma d’uso, operata da un singolo, presumibilmente per una

propria utilità, e pertanto va soggetta ad una misura autorizzatoria da parte dell’autorità competente,

nonché, normalmente, all’onere di un corrispettivo pecuniario, secondo la disciplina tratteggiata

dalle disposizioni della sezione sull’Uso dei beni culturali, di seguito richiamate.

L’articolo 107 è composto da due commi: nel primo si indica la possibilità da parte degli

enti pubblici di consentire la riproduzione dei beni culturali in loro consegna, fatte salve le disposi-

zioni in materia di diritto d’autore e quelle del successivo comma secondo, in cui si dice di regola

vietata la riproduzione tramite calchi dagli originali di sculture o di opere a rilievo.

L’articolo 108 prevede il pagamento di un corrispettivo per la riproduzione, determinato dal-

l’autorità che ha in consegna il bene in considerazione di modi e finalità della riproduzione: l’im-

porto minimo è comunque fissato per provvedimento dall’amministrazione concedente. La riprodu-

zione per uso personale, per motivi di studio o richiesta da soggetti pubblici per finalità di valoriz-

zazione non dà luogo a pagamento.

L’articolo 109 stabilisce che alla riproduzione per fini di raccolta e catalogo di immagini fo-

tografiche e di riprese consegua il deposito del doppio originale di ogni ripresa e fotografia, nonché

la restituzione del fotocolor originale dopo l’uso.

Infine, l’articolo 110 riporta che i corrispettivi per la riproduzione sono versati ai soggetti

pubblici che hanno in consegna il bene.

Di “riproduzioni” si parla inoltre anche nell’articolo 117, per specificare che tra i servizi di

assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico rientrano anche quelli per la vendita e fornitura di

riproduzioni di beni culturali.

La serie di disposizioni qui ricordate evidenzia in pochi passaggi la soggezione della disci-

plina sulla riproduzione dei beni culturali a regole che vanno a limitarne la portata. In particolar

modo, sono previste in via esclusiva quali possono essere le forme di riproduzione da considerarsi

64 CARPENTIERI, R., Art. 106, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005, p.463.

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“libere”65, seppur non svincolate da un’autorizzazione dell’autorità competente, ritenendosi, in via

residuale, ogni altra forma soggetta perlomeno a pagamento di un corrispettivo. Il problema si pre-

senta di non scarso rilievo soprattutto in un’epoca come quella odierna, in cui grande importanza ha

lo scambio e la condivisione di dati: si può forse ritenere che la pubblicazione su Internet della foto-

grafia raffigurante un bene culturale vada oltre la sfera dell’uso personale, qualora tale riproduzione

divenga accessibile ad un numero più o meno limitato di utenti66? La mancanza di una finalità lucra-

tiva non traspare come fonte di esenzione rispetto alla disciplina generale e, al contempo, la dizione

di “uso personale” implica una forma d’uso che non possa compromettere in alcun modo i diritti di

chi è titolare della possibilità di ottenere uno sfruttamento economico dalla riproduzione del bene67.

Questa considerazione dimostra di cogliere nel segno quando si osserva che il legislatore ha provve-

duto68 a disciplinare appositamente la diffusione delle immagini tramite la rete Internet, consenten-

done la libera pubblicazione solo se soddisfacenti una serie cumulativa di condizioni: che siano a ti-

tolo gratuito, che siano a bassa risoluzione o degradate, che siano per uso didattico o scientifico, che

l’utilizzo non sia a scopo di lucro69.

Si può osservare come un confine generale alla riproduzione sia posto dalla materia del dirit-

to d’autore70, tema su cui dunque diventa necessario soffermarsi.

2.2 Diritto di riproduzione e diritto d’autore

Il collegamento tra diritto di riproduzione dei beni culturali e diritto d’autore ha innanzitutto

da stornare alcuni dubbi che possono porsi nella relazione tra questi due ambiti giuridici.

La zona di interesse del diritto d’autore copre molteplici aspetti, sommariamente raggruppa-

bili in diritti morali e diritti di utilizzazione economica. I primi consistono nella possibilità per l’au-

tore di rivendicare la paternità dell’opera e di evitarne la mutilazione o altra modificazione pregiudi-

zievole71; i secondi concernono i diritti di pubblicazione, riproduzione ed ogni altra forma di utiliz-

zazione dell’opera72. I diritti morali hanno una durata potenzialmente illimitata, potendo anche esse-

65 Art. 108, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).66 Il problema che si pone nella diffusione via Internet dell’immagine dei beni culturali è oggetto di analisi già da pri-

ma dell’introduzione del Codice, come testimonia lo studio di STABILE, S., Beni culturali e proprietà intellettuale deimusei: nuovi scenari, in Dir. ind., 3/2002, pp. 299 ss.

67 Le modalità di riproduzione privata “non devono essere in contrasto con lo sfruttamento normale delle opere o deglialtri materiali, né arrecare un ingiustificato pregiudizio agli interessi dei titolari”, a mente dell’art. 71-nonies, d.lgs. 22aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.

68 Tramite l’art 2, l. 9 gennaio 2008, n. 2, Disposizioni concernenti la Società Italiana degli Autori ed Editori.69 Art. 70, comma 1-bis, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo

esercizio.70 Art. 107, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).71 Art. 20, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo eser-

cizio.72 Artt. 12 ss., d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.

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re fatti valere senza limiti di tempo dai discendenti diretti dell’autore, nonché dai discendenti dei

fratelli e delle sorelle73; i diritti di utilizzazione economica durano tutta la vita dell’autore e fino a

settant’anni dopo la sua morte74: essi sono trasferibili, seppur non automaticamente con l’eventuale

alienazione dell’opera.

Il lasso di tempo in cui si sviluppa l’efficacia del diritto patrimoniale, pur esteso, potrebbe

apparire generalmente non sufficiente per caratterizzare un’opera come bene culturale, ossia come

testimonianza di una cultura, qualificazione ben diversa rispetto al valore artistico. Sennonché oc-

corre ricordare che il Codice prevede che rientrino nella categoria dei beni culturali, per esempio, le

raccolte di musei, pinacoteche, gallerie ed altri luoghi espositivi appartenenti ad enti pubblici75. È

tuttavia da ritenersi che una simile classificazione valorizzi più la sostanza dell’intera collezione che

la singola opera76. Stante un’apposita clausola di esclusione per le opere singolarmente considerate,

secondo la quale non rientrano tra i beni culturali opere di autore vivente o la cui esecuzione non ri -

salga ad oltre cinquant’anni77, si dovrebbe ritenere che diritto d’autore e diritto dei beni culturali

non corrano molti rischi di invasioni di campo.

Il problema della riproduzione di singole opere su cui ancora non si sono esauriti i diritti

d’autore si risolve a prescindere dall’eventuale interesse culturale, il quale non costituisce esimente

del rispetto dei diritti patrimoniali dell’autore78. Simile considerazione varrà anche per quei casi la-

sciati scoperti dalla clausola di esclusione dell’articolo 10, ossia per le opere la cui esecuzione risal-

ga in un periodo compreso tra i cinquanta anni dall’esecuzione ed i settanta anni dalla morte del-

l’autore. L’autore, pertanto, in mancanza di espressa cessione dei propri diritti di utilizzazione eco-

nomica, rimane titolare del diritto di riproduzione, lato sensu inteso: infatti, non solo può opporsi

alla formazione di repliche confondibili con l’originale, ma anche ad altre forme di riproduzione

quali l’utilizzazione di immagini fotografiche in un catalogo79, specialmente dove tale riproduzione

fotografica interessi l’intera opera figurativa e non un mero particolare di essa e non si riscontri una

precisa finalità critico-didattica e la non concorrenza nell’utilizzazione economica80. Questa soluzio-

73 Art. 23, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo eser-cizio.

74 Art. 25, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo eser-cizio.

75 Art. 10, comma 2, lett. a), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Ur-bani).

76 FAMIGLIETTI, G. – CARLETTI, D., Art. 10, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio,Milano, 2005, p. 41.

77 Art. 10, comma 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).78 App. Milano, 25 febbraio 1997, in Diritto d’Autore, 3/1998, p. 346. 79 Trib. Verona, 13 ottobre 1989, in Foro Italiano, I, 1990, p. 2626. 80 App. Roma, 23 dicembre 1992, in Diritto d’Autore, 3/1994, p. 440.

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ne è ormai saldamente accolta, avendo prevalso sulla tesi che avallava il diritto di riproduzione qua-

le conseguenza del diritto di esposizione come accessorio al diritto di proprietà81.

L’esercizio di un diritto morale d’autore potrebbe contrastare con il diritto dei beni culturali

quando mini la protezione che lo Stato intende accordare al bene: tra i casi plausibili 82, si ha la pos-

sibilità che, sulla base del mancato esercizio del diritto morale, possano venire consentiti la mutila-

zione, deformazione, modificazione dell’opera ed atti pregiudizievoli all’onore e alla reputazione

dell’autore; più discusso è se anche nel nostro ordinamento possa essere considerata come diritto

morale la facoltà di riconoscere o meno un’opera come autentica83. Non sembra rintracciabile nel

diritto italiano vigente una norma simile a quanto previsto in Francia, dove l’abuso del diritto mora-

le da parte dei soggetti legittimati ad esercitarlo a seguito della morte dell’autore84 può condurre al-

l’intervento – in particolare su azione del Ministero preposto alla cultura – da parte del tribunale,

che determinerà le misure più idonee85. Vale comunque la misura di protezione verso gli interventi

vietati sui beni culturali, i quali non possono essere distrutti, deteriorati o danneggiati86. La preven-

zione della deformazione dell’opera al fine di tutelare la reputazione dell’artista incide anche sui

casi in cui vi sia stata cessione dei diritti di riproduzione e può coinvolgere la raffigurazione su og-

getti di uso comune e souvenir, nonché quelle riproduzioni che possono comportare un travisamento

dell’originale per l’alterazione dei colori o della dimensione del formato87. Inoltre, la previsione che

l’uso del bene possa essere consentito solo per finalità compatibili con la sua destinazione cultura-

le88 dovrebbe fungere da sufficiente garanzia che va a rafforzare il diritto morale ad evitare pregiu-

dizi all’onore o alla reputazione dell’autore.

A scanso di complicazioni, un precedente giurisprudenziale89 ha affermato che, a fronte del

potere pubblicistico dell’amministrazione, l’autore (e, di conseguenza ed a maggior ragione, pure il

soggetto legittimato alla morte di questi) non preserverebbe un proprio diritto morale ma verserebbe

in una situazione di interesse legittimo: è da notare, tuttavia, che una simile soluzione si basa sulla

opinabile, ma frequentemente seguita in giurisprudenza90, teoria della degradazione del diritto sog-

gettivo in interesse legittimo a seguito del carattere di autoritatività del provvedimento amministra-

tivo, anziché considerare diritti soggettivi ed interessi legittimi come due posizioni soggettive quali-

81 Sul percorso di quest’evoluzione, si segnala MOTTI, C., Opere protette e diritti dell’autore e del museo, in AIDA,1999, pp. 94 ss.

82 DE WERRA, J., Droit de l’art et des biens culturels et droit d’auteur: quel(s) lien(s)?, in AA.VV., Propriété intellec-tuelle: entre l'art et l'argent, Montréal, 2006, pp. 51 ss.

83 FREZZA, G., Opera d’arte e diritto all’autenticazione, in Dir. Famiglia, 4/2011, p. 1734. 84 Ad autore vivente, rimane pertanto in capo a lui un esercizio pieno ed assoluto del proprio diritto morale. 85 Art. L 121-3, loi 1 luglio 1992, n. 597, Code de la propriété intellectuelle.86 Art. 20, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).87 MOTTI, C., Opere protette e diritti dell’autore e del museo, in AIDA, 1999, pp. 107 ss.88 Art. 106, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).89 Trib. Napoli, 14 maggio 1997, in Dir. ind., 1997, p. 989. 90 Ex multis, si segnala, tra le pronunce amministrative più recenti, Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1540, non -

ché la costante giurisprudenza del giudice ordinario discendente da Cass., SS.UU., 18 ottobre 1993, n. 10295.

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tativamente, e non quantitativamente, differenti91. Perplessità su una simile soluzione erano state

avanzate sin dai primi commenti alla sentenza92, rilevando che il diritto morale, quale espressione

della personalità dell’autore, non può essere compresso da parte dello Stato neppure in caso di eser-

cizio di un potere amministrativo; tuttavia, è la legge stessa a prevedere che lo Stato possa farsi ga-

rante di tale diritto personalissimo nell’interesse non solo dell’artista ma dell’intera collettività, ai

fini della difesa delle opere e della loro corretta conoscenza93. Infatti, il Presidente del Consiglio dei

Ministri può, qualora finalità pubbliche lo esigano, esercitare l’azione per rivendicare il diritto mo-

rale dell’autore94. Sulla base di quest’ultimo rilievo, si può forse maggiormente comprendere la ra-

gione che ha portato a ritenere competente il giudice amministrativo a fronte di un contrasto tra il

diritto morale e l’interesse pubblico: non tanto di affievolimento o degradazione di un diritto si trat-

ta, quanto di una situazione soggettiva che già in origine si trovava condizionata da un interesse

pubblico ed in cui il subentrare di una situazione giuridica formalmente nuova a seguito del potere

dell’Amministrazione risulta “da quell’unico e medesimo interesse che dava luogo prima al diritto

soggettivo e dopo all’interesse legittimo”95.

Molto spinoso rischia di presentarsi il caso di un’altra tipologia di possibile cortocircuito con

il diritto d’autore: si tratta del caso in cui l’oggetto del diritto d’autore non sia quel che è stato rap-

presentato all’interno della riproduzione, ma sia la riproduzione stessa. In particolar modo, la forma

più tipica di riproduzione di un’immagine è costituita dalla fotografia.

La fotografia rappresenta materia di interesse per il diritto d’autore in una duplice ottica: il

legislatore scinde96, infatti, tra quelle che sono considerate opere fotografiche, di carattere creativo e

per le quali vale la generale disciplina sulle opere protette, e quelle che invece sono semplici foto-

grafie, raffiguranti persone o aspetti della vita e che sono oggetto di speciali disposizioni97, che ge-

neralmente offrono, in qualità di diritti connessi al diritto d’autore, minore tutela rispetto alle opere

fotografiche98. Inoltre, le fotografie che abbiano unicamente un fine documentativo non sono ritenu-

91 TRAVI, A., Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2013, pp. 75 ss.; prescinde dalla ricerca di una validità teori-ca alla teoria della degradazione, soffermandosi sui lati pratici di questo escamotage per garantire al giudice ammini-strativo competenza nelle controversie di diritto pubblico MAZZAMUTO, M., A cosa serve l’interesse legittimo?, in Dir.Proc. Amm., 1/2012, pp. 46 ss.

92 BEDUSCHI, P. G., nota a Trib. Napoli, 14 maggio 1997, in Dir. ind., 1997, pp. 991-992.93 SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,

4/2001, pp. 1022 ss.94 Art. 23, comma 2, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo eser-

cizio.95 Secondo le parole di una risalente ma sempre autorevole voce della dottrina quale POTOTSCHNIG, U., Atti ammini-

strativi e “affievolimento” di diritti soggettivi, in Jus, 1953, pp. 220 ss., ora in Scritti scelti, Padova, 1999, pp. 39 ss., inpart. p. 42.

96 Art. 2, comma 1, n. 7), d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suoesercizio.

97 Art. 87, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo eser-cizio.

98 Ad esempio, se la tutela dei diritti patrimoniali sulle opere fotografiche dura per tutta la vita dell’autore e fino a set -tant’anni dopo la sua morte, per le fotografie semplici la tutela non va oltre il ventesimo anno dalla produzione, come

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te oggetto di diritto d’autore e, di conseguenza, sono sprovviste di protezione99. Ora, spettando al fo-

tografo un proprio diritto di riproduzione, esso come va coordinato accavallandosi con il diritto di

riproduzione sul bene culturale? Salendo più a monte, occorre inoltre ancora riflettere se e come

possa essere tutelata un’opera dell’ingegno laddove possa non aver rispettato le peculiari norme sul-

la riproduzione dei beni culturali.

Innanzitutto, è necessario individuare in quale categoria possano rientrare le fotografie aven-

ti ad oggetto i beni culturali. Per prima cosa, va osservato che la distinzione tra opere fotografiche e

semplici fotografie non riguarda l’oggetto ritratto, bensì la particolare capacità del fotografo nel rap-

presentarlo100: essa consiste non in una semplice idea originale, ma nell’elevato grado di creatività

che caratterizza la realizzazione fotografica101.

Il contenuto della riproduzione pare invece indispensabile per poter definire se la semplice

fotografia rientri nell’ambito di tutela del diritto d’autore. Ad esempio, non sono comprese all’inter-

no di questa disciplina le fotografie di scritti, documenti ed oggetti materiali, dicitura quest’ultima

tanto ampia da risultare pressoché onnicomprensiva; come contrappeso, si possono evidenziare dei

contenuti necessariamente oggetto di applicazione della disciplina sul diritto d’autore, osservando

che in essa rientrano “le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e socia-

le […] comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinema-

tografiche”102. Sarebbe affrettato ritenere sufficiente la menzione delle “opere dell’arte figurativa”

per far rientrare tout court i beni culturali in questa categorizzazione. A rigore di definizione, se si

intendesse l’arte figurativa nella accezione più propria del suo campo di applicazione (ossia qualsia-

si arte basata su figure, restando indifferente la loro immediata riconoscibilità rispetto al mondo

concreto), ne verrebbero escluse non solo le forme di ricerca artistica più estrema sviluppatasi nel-

l’età contemporanea, ma pure manifestazioni artistiche ben più risalenti quali l’arte neolitica103.

Inoltre, non bisogna dimenticare che la nozione di “bene culturale” non coincide affatto con quella

di “opera d’arte”104, essendo slegata la portata culturale di un bene dal suo pregio artistico. In ag-

giunta a questo, si rammenta che tra i beni culturali possono figurare anche gli archivi, i quali, se

ben difficilmente possono essere considerati opere d’arte, senza sforzo possono invece essere ricol-

indica l’art. 92, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.99 Art. 87, comma 2, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo eser-

cizio.100 SAVINI, A., L’immagine e la fotografia nella disciplina giuridica, Padova, 1989, p.126.101 BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie , in AIDA, 2002, pp.

376 ss.102 Art. 87, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo

esercizio.103 Faccio riferimento alla definizione della speculare voce Arte Non Figurativa nell’edizione online dell’Enciclope-

dia Treccani, ossia http://www.treccani.it. 104 Sulla mancanza di una definizione univoca della nozione “opera d’arte” in diritto, si veda GATT, L., Le utilizzazio-

ni libere: di opere d’arte, in AIDA, 2002, pp. 194 ss.

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legati alla tipologia di documenti e scritti, per la cui riproduzione la protezione del diritto d’autore è

esclusa. Si accennava in precedenza al fatto che la protezione del diritto d’autore non vige neppure

per altri casi in cui si esclude vi sia un benché minimo apporto di creatività 105, e ciò vale anche per

le riproduzioni di oggetti materiali: tale riferimento va interpretato cum grano salis, non interessan-

do ogni fotografia raffigurante un oggetto materiale, bensì verificandone il fine solamente docu-

mentale, senza ulteriori funzioni106. Di conseguenza, ulteriori funzioni, quali quelle editoriali o pro-

mozionali, comportanti la riproduzione di oggetti materiali farebbero rientrare comunque la fotogra-

fia all’interno della disciplina del diritto d’autore107.

Da quanto riportato, è ammissibile la possibilità che il diritto d’autore sulle fotografie possa

intrecciarsi con il diritto sui beni culturali: in simili situazioni, andranno applicate congiuntamente

le disposizioni che regolano le due materie108. Tutto ciò comporta, ad esempio, che la riproduzione

di beni culturali in consegna al Ministero debba contenere la descrizione delle caratteristiche degli

stessi, la loro ubicazione, tecnica e materiale di riproduzione, la menzione della concessione da par-

te del Ministero e l’avvertenza che ogni ulteriore riproduzione è vietata109. In realtà, se ci si limitas-

se a rimanere all’interno della legislazione sui beni culturali, tale disposizione rappresenterebbe una

lex imperfecta110, non contenendo né previsioni di nullità né sanzioni in caso di trasgressione, così

come, in via più generale, non è possibile rintracciare specifiche conseguenze alla mancata richiesta

di autorizzazione alla riproduzione dei beni culturali. Diversamente, è sanzionato penalmente colui

che li destina ad un uso illecito, incompatibile con il loro contenuto111: il relativo atto giuridico che

autorizza un simile uso è da considerarsi nullo112. Per poter godere di una forma di tutela, simili

eventi possono invece ricondursi alla casistica civilistica dei fatti illeciti, similmente a quanto avvie-

ne per il mancato consenso da parte del soggetto ritratto, sebbene questa fattispecie sia oggetto di

apposite disposizioni113. Di conseguenza, sarebbero configurabili114 sia rimedi cautelari (quali il se-

105 Il requisito della creatività fotografica per il diritto d’autore è analizzato anche da un punto di vista comparato inMUSSO, A., Opere fotografiche e fotografie documentarie nella disciplina dei diritti di autore o connessi: un paralleli -smo sistematico con la tutela dei beni culturali, in http://www.aedon.mulino.it, 2010.

106 Cass. Civ., sez. I, 21 giugno 2000, n. 8425, in Massimario della Giurisprudenza Italiana, 2000, p. 1361.107 BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie, in AIDA, 2002, p.

386.108 FINOCCHIARO, G., La valorizzazione delle opere d’arte on-line e in particolare la diffusione on-line di fotografie di

opere d’arte. Profili giuridici, in http://www.aedon.mulino.it, 2009.109 Art. 4, d.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni

relative all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.110 Definizione dal sapore antico, essendo tratta dall’Epitome Ulpiani, 1, 1. Nell’ottica del più rigoroso positivismo

kelseniano, una norma che non contiene una sanzione non potrebbe neppure essere considerata come norma giuridica: siveda VILLA, V., Il positivismo giuridico: metodi, teorie e giudizi di valore, Torino, 2004, p. 53.

111 Art. 170, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).112 Art. 164, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).113 Art. 10, Codice Civile; nonché art. 96, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti

connessi al suo esercizio.114 La breve tipologia di rimedi è analoga a quella descritta in tutela dell’abuso dell’immagine altrui da SAVINI, A.,

L’immagine e la fotografia nella disciplina giuridica, Padova, 1989, pp. 91 ss.

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questro giudiziario o la richiesta di un provvedimento d’urgenza), sia rimedi ordinari (quali il risar-

cimento del danno o la reintegrazione in forma specifica tramite l’esecuzione forzata degli obblighi

di non fare, con cui è possibile ottenere l’eliminazione dei mezzi che hanno diffuso l’immagine). Si

possono sollevare dubbi su questa soluzione, dato che è una evidente forzatura testuale adattare ad

un bene culturale disposizioni specificamente riferite ad un ritratto di persona. Osare pensare a que-

sto sbocco era inimmaginabile per la giurisprudenza, che ha per lungo tempo considerato l’articolo

10 del Codice Civile come riferibile unicamente all’immagine di persone fisiche: tuttavia, la Corte

di Cassazione115 pare avere ultimamente mutato indirizzo, riconoscendo che l’immagine delle perso-

ne giuridiche sia riscontrabile negli oggetti che ne rappresentano qualificazione ed esternalizzazio-

ne.

Nel caso in cui sia stata l’Amministrazione a commissionare la fotografia di un bene cultura-

le in propria consegna, le spetteranno i diritti patrimoniali sulle opere create e pubblicate sotto il suo

nome e a propri conto e spese116. La trasmissione dei diritti dell’autore non avviene però in via diret-

ta (salvo diverso atto scritto), ma all’accettazione da parte del committente117.

Se la fotografia rappresenta il caso emblematico di come l’immagine possa essere oggetto

del diritto d’autore, sono pure immaginabili anche altri strumenti tramite cui può avvenire la ripro-

duzione. In particolare, le raccolte di fotografie possono costituire banche dati ed opere multimedia-

li. Si ricordi invece che la disciplina sui filmati è oggetto di espresso rimando a quella sulle fotogra-

fie, escluso il caso di opere cinematografiche118: anche per queste ultime, tuttavia, sul tema oggetto

di trattazione non sembrano porsi problemi differenti.

L’opera multimediale è composta dalla combinazione di contenuti diversi oltre alla fotogra-

fia, quali testi, musiche, etc. I singoli componenti dell’opera sono tutelabili secondo la loro propria

disciplina sul diritto d’autore, mentre l’opera multimediale nel suo complesso potrà essere protetta

se soddisfa il generale requisito di creatività119.

La disciplina sulla banca dati è oggetto di apposite disposizioni: esse prevedono che la sua

riproduzione avvenga solo previa autorizzazione del suo autore120, anche qualora l’accesso o la con-

sultazione siano liberi121.

115 Cass. Civ., sez. I, 11 agosto 2009, n. 18218, in Riv. Dir. Ind., 2/2010, p. 147: il tema verrà ripreso in seguito.116 Art. 11, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo

esercizio.117 BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie , in AIDA, 2002, pp.

421 ss. 118 Art. 2, comma 1, nn. 6) - 7), d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi

al suo esercizio.119 FINOCCHIARO, G., La valorizzazione delle opere d’arte on-line e in particolare la diffusione on-line di fotografie di

opere d’arte. Profili giuridici, in http://www.aedon.mulino.it, 2009.120 Art. 64-quinquies, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo

esercizio.121 Art. 64-sexies, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo eserci -

zio.

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In entrambi questi casi, le ulteriori problematiche che possono verificarsi risulterebbero di

analogo svolgimento rispetto a quanto già presentato in merito alla disciplina sulla fotografia.

2.3 Diritto di riproduzione ed altri diritti

Se il settore del diritto d’autore è quello a cui immediatamente si fa richiamo nel trattare di

riproduzione, anche in altri ambiti giuridici può essere oggetto d’interesse capire in che modo sia

consentita l’utilizzazione e diffusione delle immagini dei beni culturali.

La raffigurazione di un bene culturale potrebbe risultare un fattore economico di successo

per le caratteristiche intrinseche di valori e, spesso, di notorietà che accompagnano il bene in que-

stione. Per questi motivi, non è per niente assurdo ipotizzare un impiego dell’immagine del bene

culturale all’interno della materia dei segni distintivi di impresa e, in particolar modo, del segno di-

stintivo che ha la funzione di rendere identificabile un prodotto presso il pubblico acquirente: il

marchio.

In principio, è necessario valutare se un qualunque operatore economico possa graficamente

riprodurre l’immagine di un bene culturale all’interno del proprio marchio o come proprio marchio.

Anche in tal caso, non potrebbe non applicarsi la disciplina sull’uso dei beni culturali, in evidente

considerazione del vantaggio economico che l’utente trarrebbe dalla riproduzione. Colui che voles-

se far uso dell’immagine del bene culturale nel proprio marchio con il consenso della Amministra-

zione concedente avrebbe però da rispettare il contenuto espresso con tale simbologia, dandovi una

finalità compatibile con la destinazione culturale122. In altri termini, qualora si dovesse ritenere che

il prodotto su cui vada a cadere l’effigie del bene culturale sia vile o di contenuti estranei alla cultu-

ra, l’Amministrazione non potrebbe ammetterne l’uso123; se invece lo si ammettesse, nei casi più

estremi si potrebbe arrivare ad ipotizzare un danno all’immagine della Pubblica Amministrazione,

derivante dall’abbruttimento del contenuto del bene culturale124.

Colui che volesse procedere alla registrazione nazionale del marchio raffigurante un bene

culturale indipendentemente dall’assenso dell’Amministrazione che l’ha in consegna, avrebbe da

domandarsi se ricorrono tutti i presupposti di validità per la registrazione125: ciò che potrebbe susci-

122 Art. 106, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).123 Il concetto di “compatibilità” non va limitato alla dimensione fisica ma si amplia al contenuto espresso dal bene

culturale, e pur tuttavia sembra essere destinato ad una lettura sempre più liberalizzante secondo una interpretazione latadi cultura. Si veda VENTIMIGLIA, C., Art. 106, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio,Milano, 2012, pp. 822 ss.

124 Su come si sia evoluta una nozione di danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, si veda CANGELOSI, G.,L’immagine della pubblica Amministrazione, ovvero il valore dell’esteriorità, in http://www.giureta.unipa.it, 2009: piùavanti si verificherà se sia possibile applicare in via giudiziaria tale fattispecie al contesto dei beni culturali.

125 Tali presupposti, riassumibili in idoneità alla registrazione, capacità distintiva, estraneità alla forma, liceità, novitàe mancanza di contrasto con diritti anteriori di terzi, sono espressi dagli artt. 7 ss., d. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codi-ce della proprietà industriale.

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tare maggiori dubbi è se sussistano impedimenti relativi legati al conflitto con altri diritti di terzi.

Nulla quaestio su quel che riguarda l’impedimento derivante dalla notorietà di quel che si va a regi-

strare, poiché la norma prevede che oggetto di tale notorietà, oltre ai nomi di persona, possano es-

sere segni, denominazioni, sigle ed emblemi, anche in campo artistico126: in questa categorizzazione

non rientra il bene culturale nella sua immagine. Sembra invece configurabile una fonte di conflitto

laddove si considerasse che la registrazione della raffigurazione del bene culturale vada a violare un

diritto di esclusiva altrui127: nel caso di specie, in mancanza di apposite autorizzazioni sulla riprodu-

zione del bene culturale, unicamente all’Amministrazione spetterebbe l’uso della riproduzione, dan-

dosi un impedimento relativo alla registrazione128 che altri operasse in assenza di consenso. In que-

sto caso, tuttavia, il titolare del diritto anteriore non ha la possibilità di intervenire con un’opposi-

zione ad impedire la registrazione129 ma può solamente adire la via giurisdizionale.

La registrazione di un marchio comunitario non prevede tra gli impedimenti relativi la titola-

rità di generici diritti anteriori di esclusiva130, con la conseguenza che non si avrà in capo all’UAMI

(Ufficio di Armonizzazione del Mercato Interno) l’onere di comunicare l’accoglimento dell’istanza

di registrazione ai soggetti potenzialmente interessati ad opporsi alla richiesta131. Il titolare di un di-

ritto anteriore, come può essere l’Amministrazione rispetto all’uso dell’immagine del bene cultura-

le, è però autorizzato a presentare domanda o a proporre domanda riconvenzionale in un’azione per

contraffazione, così da far vietare la utilizzazione del marchio in ragione della sua nullità relativa132,

la quale, se dichiarata, ha efficacia retroattiva.

Nel caso in cui si possa ipotizzare un rapporto di concorrenzialità, colui che utilizzasse la

raffigurazione del bene culturale senza autorizzazione all’interno della propria attività commerciale

andrebbe sottoposto alla disciplina in merito alla concorrenza sleale133. Gli stessi enti che hanno in

consegna il bene culturale possono, infatti, avvalersene come marchio e registrarlo134, sia per con-

traddistinguere le proprie attività culturali, sia per apporlo su oggetti destinati alla commercializza-

126 Art. 8, comma 3, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale. 127 Art. 14, comma 1, lett. c), d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale. 128 Nonostante il posizionamento all’interno di un articolo dedicato all’impedimento assoluto della liceità, la violazio-

ne di diritti di esclusiva altrui rappresenta a tutti gli effetti un impedimento relativo, come giustamente osserva RICOLFI,M., in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto industriale – Proprietà intellet-tuale e concorrenza, Torino, 2012, p. 114.

129 Art. 177, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale. 130 Art. 8, Reg. (CE) n. 40/1994 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, Sul marchio comunitario, in GU L 011 del 14

gennaio 1994.131 Sul procedimento di registrazione del marchio comunitario, si confronti CASSATELLA, A., Procedimenti ammini-

strativi europei: il caso del marchio comunitario, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comunit., 3-4/2008, pp. 835 ss.132 Art. 52, comma 2, Reg. (CE) n. 40/1994 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario, in GU L

011 del 14 gennaio 1994.133 Artt. 2598-2601 Codice Civile: in un rapido sunto, si ricorda che sono sanzionati con l’inibizione dalla continua-

zione e con i provvedimenti opportuni ad eliminarne gli effetti, nonché con il risarcimento se il danno è compiuto condolo o colpa, gli atti idonei a generare confusione, a gettare discredito sulla concorrenza, ad appropriarsi dei pregi delconcorrente e gli atti non conformi alla correttezza professionale che possono danneggiare l’altrui azienda.

134 Artt. 19 e 20, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale.

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zione135: un simile uso non andrebbe a compromettere la fruibilità del bene culturale, ma anzi garan-

tirebbe una sua maggiore visibilità ampliata dalla diffusione del logo, anche se non è prevista alcuna

correlazione necessaria tra bene venduto ed espressione culturale. En passant, si fa presente che è

stato istituito136 un logo dei beni culturali la cui utilizzazione, in quei casi in cui venga abbinato al-

l’uso o alla riproduzione del bene culturale, è concessa a titolo oneroso dal Ministero nella persona

del capo dell’istituto che ha in consegna il bene.

Un altro caso in cui un bene culturale diventa oggetto di riproduzione è quando la sua imma-

gine intervenga all’interno della cronaca. L’informazione, per come è concepita oggigiorno, non si

limita a far sapere, ma richiede anche di far vedere. Che il diritto di cronaca possa esercitarsi senza

essere limitato in ciò che si propone di far conoscere è quasi insito all’interno del proprio stesso

contenuto: se non altro, deve esserne garantito il libero esercizio nell’assolvere al proprio scopo in-

formativo137. Il diritto di cronaca deve, per essere tale, basarsi sulla verità della notizia, sull’interes-

se pubblico alla conoscenza del fatto e sulla correttezza formale dell’esposizione138. Sussistendo

questi presupposti, dovrà ammettersi la riproduzione del bene culturale, sia esso scenario accidenta-

le od oggetto centrale all’interno della notizia. In tal modo viene garantito un diritto tutelato sia a li-

vello costituzionale, sia a livello internazionale139.

Diverso tipo di scopo informativo ha invece la pubblicità, tant’è vero che è ancora discussa

la sua riconducibilità al principio costituzionale del diritto alla libertà di manifestazione del proprio

pensiero o, piuttosto, di iniziativa economica140. Nelle diverse forme secondo cui può essere svilup-

pato visivamente un messaggio pubblicitario, è possibile che esso vada a raffigurare altro oltre al

prodotto reclamizzato. Nel caso in cui andasse a riprodurre un bene culturale, si configurerebbe si-

curamente un caso di uso per finalità commerciali, per il quale va richiesta autorizzazione all’ente

preposto a pena di illiceità. È infatti evidente come l’associazione di un prodotto commerciale ad un

bene culturale difficilmente possa essere giustificata con scopi culturali, didattici o scientifici: più

facilmente, essa è stata creata per generare un’impressione positiva nel pubblico, a scapito di chi sa-

rebbe stato legittimato all’utilizzo dell’immagine.

135 OLIVIERI, G. - STELLA RICHTER, M., I marchi dei musei, in AIDA, 1999, p. 229.136 Art. 10, d.m. 24 marzo 1997, n. 139, Regolamento recante norme sugli indirizzi, criteri e modalità di istruzione e

gestione dei servizi aggiuntivi nei musei e negli altri istituti del Ministero per i beni culturali e ambientali. 137 Analogamente a quanto previsto per il diritto d’autore all’art. 65, comma 2, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezio-

ne del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. 138 CATALISANO, G., Il ruolo del diritto di cronaca e di critica nell’attività giornalistica: profili di diritto dell’informa-

zione, Milano, 2013, p. 17.139 Oltre nell’art. 21 Costituzione, si ricorda che il diritto di cronaca trova fondamento nella libertà di espressione pre-

vista dall’art. 10, Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali , firmata a Romail 4 novembre 1950.

140 La Corte Costituzionale, con sentenza dell’11 ottobre 1985, n. 231, ha asserito che la legittimità costituzionale del-la pubblicità può ricondursi all’art. 41 Costituzione, come forma di iniziativa economica. Contra, ZACCARIA, R. -VALASTRO, A. - ALBANESI, E., Diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2013, p. 8.

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Va segnalato come il coinvolgimento di altre cose all’interno del messaggio pubblicitario

debba essere valutato secondo un criterio di intensità: se pertanto il bene culturale non solo non ap-

pare come elemento centrale, ma nemmeno possa considerarsi associabile al prodotto reclamizzato,

costituendo un oggetto di sfondo o, comunque, risultando non ben distinguibile, è da ritenersi che

non sia prospettabile una tutela verso simile riproduzione141.

Indubbiamente, oggigiorno l’immagine va a porsi sempre più come elemento di marketing,

imprimendosi visivamente nello sguardo dello spettatore. Diventa pertanto interessante esaminare

in che cosa consista l’immagine secondo il linguaggio giuridico.

3. L’immagine

3.1 L’immagine dei beni e diritto di proprietà sul bene

Per immagine si intende “la rappresentazione esteriore di una certa realtà”142. La nozione di

immagine del bene non coincide con quella di riproduzione né ne costituisce un semplice aspetto.

Di più: rischia di diventarne una complicazione143. Se infatti parlare di riproduzione suggerisce ne-

cessariamente un’idea di attività legata alla replicazione di un bene, il concetto di immagine appare

cristallizzato in una propria forma. Si è arrivati a configurare la seguente situazione: la riproduzione

è un’utilità, l’immagine è un bene.

Forse può parere contraddittorio ritenere che l’immagine possa avere un destino proprio ri-

spetto all’oggetto da cui prende origine144, ma il distacco s’è consumato definitivamente nell’odier-

na società dell’informazione e della diffusione dei dati.

Incatenare l’immagine al bene è una concezione tipicamente dominicale. Questa sembra es-

sere la soluzione più semplice ed immediata su chi abbia diritto ad impiegare l’immagine di un

bene, in linea con il diritto del proprietario di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusi-

vo145: se egli può trarre dal proprio bene ogni utilità, allora spetta a lui pure il monopolio sull’imma-

141 FUSI, M., Sulla riproduzione non autorizzata di cose altrui in pubblicità, in Riv. Dir. Ind., 3/2006, pp. 109 ss.142 Cfr. BAVETTA, G., Immagine (diritto alla), in Enc. Dir., XX, 1970, p. 144.143 Come osserva ZENATI, F., Du droit de reproduire les biens, in Dalloz, 2004, Chron., p. 963. Preannuncio che, sul

tema dell’immagine dei beni, mi servirò ampiamente delle ricerche effettuate dai giuristi francesi, per il motivo che im -mediatamente si vedrà.

144 “L’immagine era apparenza talvolta ingannevole, offerta preliminare, invito alla scoperta, all’incontro; dietro diessa, il soggetto, la cosa, l’essere attendevano impassibili. Il reale non aveva niente da temere dalla sua ombra ed impo-neva la sua legge: rimaneva il riferimento, il principio della rappresentazione che si calava su di lui. L’immagine si è li -berata: si modifica, si deforma, si trasferisce, si riproduce. Non ha più un suo signore. Ha un proprio destino, un propriocommercio. Si interpone come una realtà di un altro ordine e ha smesso di limitarsi a seguire”. Mi sono permesso di tra -durre dal testo originale francese il vezzoso ma suggestivo preambolo di ATIAS, C., Les biens en propre et au figuré:destitution du propriétaire et disqualification de la propriété, in Dalloz, 2004, Chron., p. 1459.

145 Cfr. art. 832 Codice Civile.

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gine che dal bene si promana. Un simile ragionamento, applicato al settore dei beni culturali, per-

mette di comprendere le norme che prevedono un corrispettivo per la riproduzione di beni di appar-

tenenza di enti pubblici, a mente dell’articolo 108 del Codice. Analogamente, per i beni di apparte-

nenza privata, tanto più avrebbe da ammettersi la possibilità per il proprietario di chiedere un corri-

spettivo. Nulla però dice la legislazione in proposito: dal momento che l’articolo 104 del Codice,

dedicato alla fruizione di beni culturali di proprietà privata, è costruito unicamente sulle modalità

della visita, nulla impone che il proprietario, che usa ed abusa del proprio diritto, abbia da consenti -

re un impiego che altri possa fare dell’immagine del proprio bene, ricordando che anche le modalità

di libera utilizzazione della riproduzione, previste dall’articolo 108, sono costruite come conseguen-

za delle autorizzazioni effettuate dagli enti pubblici sui beni in loro consegna. Una simile concezio-

ne potrebbe arrivare ad impedire qualsiasi diffusione dell’immagine del bene culturale, contrastando

quindi l’essenza stessa del bene in questione nella sua caratteristica di accessibilità.

L’aver legato il diritto all’immagine con il diritto di proprietà è una posizione su cui, per un

certo periodo, s’è assestato il diritto francese. Questo ha prodotto a cascata delle conseguenze anche

sul settore dei beni culturali, costringendo a distinguere situazioni in cui il proprietario può esercita-

re un controllo sull’immagine e situazioni in cui si ha l’esistenza di fatti giustificativi a favore del-

l’utilizzatore146. Il proprietario può contrastare l’uso che altri fa dell’immagine del proprio bene nel-

le seguenti ipotesi: quando si violi la propria vita privata; quando subisca un pregiudizio in un altro

diritto della propria personalità (in particolar modo: il proprio onore e la propria reputazione); quan-

do questo impedisca il sereno uso e godimento del proprio bene, sia in termini economici che non

economici.

Come è immediato notare, con l’eccezione dell’ultima categoria menzionata, su cui la giuri-

sprudenza francese più recente ha pure mostrato alcuni segni di ripensamento147, più che di situazio-

ni afferenti al campo del diritto della proprietà, si tratta in realtà di situazioni collegate alla sfera dei

diritti della personalità e, in particolar modo, del diritto all’immagine personale: si tende, cioè, a

concepire il bene come prolungamento della propria persona. Di conseguenza, la riproduzione non

autorizzata dell’immagine rappresenta un pregiudizio non tanto patrimoniale quanto morale.

Del resto, se è pur vero che non esiste immagine senza un bene che la promana, è altrettanto

vero che il bene è dotato di una propria materialità, tendenzialmente diversa da quella dell’immagi-

ne impressa e fissata: è lampante la differenza che corre tra i pixel di una fotografia digitale ed un146 Basandosi sulla giurisprudenza fino ad allora prodotta dalle corti d’oltralpe, CORNU, M., Droit des biens culturels

et des archives, in http://eduscol.education.fr, 2003, p. 21.147 Se infatti nella decisione della Cour de Cassation, 1ère, sentenza c.d. “Gondrée” del 10 marzo 1999, n. 96-18.699,

si diceva che solo il proprietario ha il diritto di sfruttare il suo bene in qualsiasi forma esso sia, nella decisione del 7maggio 2004, n. 02-10450, la Cour de Cassation, in formazione plenaria, asseriva che il proprietario di una cosa non di-spone del diritto esclusivo sull’immagine di questa. Ripercorre il cammino giurisprudenziale francese, all’interno dellasua Mémoire de D.E.A. presso l’Université di Aix-Marseille, DEFFAUX, A.-S., L’histoire du droit sur l’image des cho-ses, disponibile in http://junon.u-3mrs.fr, 2004.

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monumento. La riproduzione di un’immagine è intrinsecamente differente dalla riproduzione so-

stanziale di un’opera: la proiezione incorporale che si promana da un bene diventa allora difficil-

mente inquadrabile all’interno del diritto di proprietà. Si può distinguere un’immagine che appare al

senso della vista e, in contrapposizione, un’immagine che è cristallizzata su un supporto. Se que-

st’ultima sia la mera cattura di un’apparenza visiva od una vera e propria creazione, è tema già di-

scusso e risolto dal diritto d’autore. Come si è già evidenziato, la riproduzione che si ha dell’imma-

gine cristallizzata rappresenta una delle forme di utilizzazione economica del diritto d’autore: so-

stanzialmente, essa è costruita come un diritto di proprietà, considerando l’opera dell’autore simil-

mente al prodotto confezionato da un artigiano148. Ma questo resta un problema legato alla riprodu-

zione, e non risolve la questione sulla natura dell’immagine del bene e della ragione per la quale

vada tutelata, con particolare riferimento, ai fini di quest’analisi, al settore dei beni culturali.

Nel diritto italiano s’è raramente posta attenzione sul problema dell’immagine delle cose,

ma generalmente viene percepita come estranea la riconduzione di questa tematica al diritto pro-

prietario149. Solo nell’obiter dictum di un unico precedente giurisprudenziale, oltre che in un altro

remoto caso150, risulta che si sia prospettato tra le facoltà del proprietario lo sfruttamento economico

del proprio bene anche tramite il diniego ad altri della “riproduzione fotografica dei quadri senza

preventiva autorizzazione e senza adeguato compenso”151. Stornando l’immagine dei beni dal cam-

po del diritto della proprietà, questa tematica può essere ricondotta – anche in considerazione delle

tipologie potenzialmente dannose per chi abbia cura del bene – alla sfera del diritto all’immagine.

Ricordando che l’articolo 10 del Codice Civile è stato per decenni interpretato ad esclusiva prote-

zione dell’immagine raffigurante le fattezze delle persone fisiche152, ora si sono aperti spiragli giuri-

sprudenziali per poter arrivare a tutelare anche l’immagine delle cose.

Nei pochi casi che la giurisprudenza italiana ha affrontato su questo tema, si segnala come,

in una risalente vicenda sulla riproduzione fotografica di un palazzo di interesse artistico, il giudice

di merito non abbia ravvisato né un danno per violazione dell’immagine né abbia ritenuto sussisten-

te un’ipotesi di arricchimento senza causa in mancanza di un danno alieno153. Più recentemente, il

148 La tutela del diritto d’autore, come si ricorderà, richiede un tasso di creatività per quanto minimo: voler sminuirele qualità dell’uomo ritenendo che una riproduzione meccanica quale una fotografia non sia altro che una “sovra-appro -priazione del reale” è, forse anche nelle intenzioni dell’autore, più una preoccupazione per l’evoluzione di un dirittosempre più protezionista che un’immediata esigenza in EDELMAN, B., Ownership of the Image. Elements for a MarxistTheory of Law, (traduzione inglese da Le Droit saisi par la photographie, Parigi, 1973), Londra-Boston-Henley, 1979.

149 Come chiarisce anche SERRA, A., Patrimonio culturale e nuove tecnologie: la fruizione virtuale, in L. CASINI (acura di), La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, 2010, p. 237, e ricapitola pure FUSI, M., Sulla riproduzione nonautorizzata di cose altrui in pubblicità, in Riv. Dir. Ind., 3/2006, pp. 89 ss.

150 App. Trani, 15 marzo 1904, in La Legge, 1904, p. 2027, citata da FUSI, M., Sulla riproduzione non autorizzata dicose altrui in pubblicità, in Riv. Dir. Ind., 3/2006, p. 91.

151 Trib. Roma, 27 maggio 1987, inedita, citata da RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Dirittiesclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011, p. 567.

152 Cfr. BAVETTA, G., Immagine (diritto alla), in Enc. Dir., XX, 1970 p. 144.153 Trib. Napoli, 25 luglio 1958, in Giust. Civ., 1959, p. 389: pur condividendo la decisione, ritiene che tale sentenza

“abbia una costruzione logica troppo sommaria ed insoddisfacente se si pensa alla singolarità della situazione che il Tri-

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caso di una raffigurazione non autorizzata dell’immagine di un famoso teatro milanese all’interno di

un marchio ha indotto il giudice a ribadire che la tutela del diritto all’immagine è riservata alle sole

persone fisiche154.

In ultimo, però, la Cassazione155 ha ammesso la possibilità di tutelare l’immagine delle

cose. Potendo essere titolari di diritti della personalità anche persone giuridiche, il loro diritto al-

l’immagine, in assenza di una propria fisicità, si incentra sui beni che le caratterizzano facenti parte

del loro patrimonio: è questo un segno del passaggio, ormai da tempo assuefatto dalla giurispruden-

za, della tutela dell’immagine dalle sembianze fisiche alla individualizzazione del soggetto tramite

connotati e qualificazioni156. Nel caso di specie, l’immagine di una barca a vela era stata utilizzata

senza consenso all’interno di un calendario promozionale: la Suprema Corte, innovando in materia

e ribaltando l’esito della sentenza d’appello che confermava quella di primo grado, valutò un pre-

giudizio per la società titolare della barca, riscontrabile non solo nell’uso che si era fatto della foto-

grafia, modificata in modo tale che sulla vela comparisse il nome della società cartiera distributrice

del calendario così da poter suscitare un improprio accostamento tra le due società, ma pure nel

semplice “svilimento dell’immagine, ove soggetta ad una diffusione non controllata”. Pochi anni

prima, la Cassazione157, ventilando l’ipotesi della tutela dell’immagine di persone giuridiche158, ave-

va stabilito come rimedio a quest’eventualità la risarcibilità sia del danno patrimoniale sia di quello

non patrimoniale costituito dalla diminuita considerazione - anche a livello di percezione da parte

dei consociati - della persona giuridica (o dell’ente) di cui l’immagine è espressione.

Le persone giuridiche degli enti territoriali potrebbero avvalersi degli esiti di questo filone

giurisprudenziale per tutelarsi rispetto ad una diffusione incontrollata delle immagini dei beni cultu-

rali quali beni che più connotano l’appartenenza di una popolazione ad un territorio ed alla sua cul-

tura? Necessariamente, una simile configurazione del danno all’immagine è differente rispetto a

quella che, già da alcuni anni159, è stata ritenuta ammissibile all’interno della giurisdizione della

Corte dei Conti. Finora, infatti, per danno all’immagine della Pubblica Amministrazione si è inteso

quel danno morale derivante da eventi che pregiudicano od alterano la fiducia dei cittadini, in situa-

bunale era stato chiamato ad esaminare” il commentatore DELLA ROCCA, F., In tema di diritti cinematografici, ibidem, p.389.

154 Trib. Milano, 28 gennaio 1993, in AIDA, 1994, p. 325: illustrando la sentenza, reputa “difficile condividere le con-clusioni della pronuncia in commento, poiché il riconoscimento di un diritto economico allo sfruttamento della notorietàacquisita non può valere in modo diverso per le persone fisiche e quelle giuridiche” MAYR, C. E., La registrazione comemarchio del nome di un teatro, ibidem, p. 331.

155 Cass. Civ., sez. I, 11 agosto 2009, n. 18218, in Riv. Dir. Ind., 2/2010, p. 147, con nota di ROMANATO, N., Sullosfruttamento dell’immagine di un bene nella disponibilità di una persona giuridica, ibidem, pp. 160 ss.

156 Pret. Roma, 15 novembre 1986, in Dir. informatica, 1987, p. 249.157 Cass. Civ., sez. III, 4 giugno 2007, n. 12929, in Giur. it., 2008, p. 276.158 “Anche nei confronti della persona giuridica ed in genere dell'ente collettivo è configurabile la risarcibilità del dan-

no non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente chesia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l'immagi -ne della persona giuridica o dell'ente”.

159 Perlomeno da C. conti, sez. Lombardia, 24 marzo 1994, n. 31, in Foro amm., 1994, p. 2573.

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zioni di particolare gravità integranti gli estremi di reato ed operate internamente all’Amministra-

zione; il legislatore160 ha posto un limite all’estendersi dell’evoluzione della giurisprudenza della

Corte dei Conti su questo tema, ammettendo l’azione per il risarcimento del danno d’immagine nei

soli casi di condanne definitive per i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazio-

ne. Con la sentenza 18218/2009 della Cassazione, si può aprire una strada per individuare una nuo-

va ed ulteriore evoluzione del concetto di danno all’immagine delle persone pubbliche, sulla cui

base si possa spiegare il motivo per il quale l’immagine dei beni culturali possa essere oggetto di

controlli sulla sua diffusione, nella prospettiva del mantenimento di un delicato equilibrio tra acces-

sibilità alla cultura e cura nell’evitarne la banalizzazione.

Per i beni culturali di proprietà di persone fisiche il riferimento al riconoscimento della tute-

la dell’immagine delle persone giuridiche non risolve alcuna questione. Bisogna tuttavia ricordare

che i limiti alla riproduzione di beni culturali previsti dal Codice Urbani riguardano i beni in conse-

gna alle Amministrazioni: nessuna disposizione accorda un corrispettivo verso il privato (nel caso

in cui questo sia una persona fisica) proprietario di un bene culturale, il cui godimento non è pregiu-

dicato. Nel rispetto del principio di accessibilità ai beni culturali, il privato non potrebbe impedirne

la diffusione se non qualora ciò gli causasse un danno. Qualora il privato sia una persona giuridica,

bisognerebbe verificare se essa possa vedere nel bene culturale il riflesso della propria attività; se

invece il bene culturale si trovasse, per così dire, in sua proprietà per accidens, allo stato attuale del

diritto non troverebbe applicazione la disciplina che si è sviluppata sulla scia della sentenza

18218/2009 della Cassazione. Il riflesso della propria personalità sulle cose di cui si è proprietari

andrebbe visto come una proiezione della propria immagine, creando una personificazione della

cosa. Ancora la giurisprudenza francese aveva esplorato questa strada: l’impiego all’interno di un

romanzo scandalistico dell’immagine della dimora di una signora dalla condotta irreprensibile è sta-

to condannato dal giudice perché incompatibile con la personalità della proprietaria161.

Un caso a sé stante è costituito dai beni culturali di proprietà ecclesiastica162. Per essi valgo-

no, oltre alla disciplina generale sui beni culturali, anche norme proprie163, incentrate sul promovi-

mento di un uso corretto delle immagini nel rispetto del valore che esse rappresentano per la religio-

160 Il riferimento è all’art. 17, comma 30-ter, d.l. 1 luglio 2009, n. 78, Provvedimenti anticrisi nonché proroga di ter-mini e della partecipazione italiana a missioni internazionali, convertito nella l. 3 agosto 2009, n. 102, Conversione inlegge con modificazioni del decreto legge 1° luglio 2009 n. 78, e poi (sic!) modificato con il d.l. 3 agosto 2009, n. 103,Disposizioni correttive del decreto legge anticrisi n. 78 del 2009, convertito a sua volta nella l. 3 ottobre 2009, n. 141,Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 3 agosto 2009 n. 103: al di là dei tanti travagli in così brevetempo, la Corte Costituzionale ha avallato la legittimità costituzionale della disposizione in esame con la sentenza del15 dicembre 2010, n. 355.

161 TGI Seine, 1 aprile 1965, in JCP, 2/1966, p. 14572.162 Sulle seguenti considerazioni, si veda STELLA FAGGIONI, L., La libertà di panorama in Italia, in Dir. ind., 6/2011,

pp. 535 ss. 163 In materia di beni culturali, collaborazione ed accordo tra Repubblica ed istituzioni religiose sono richiamati pure

dall’art 9, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).

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ne. L’autorizzazione per l’uso delle immagini dovrà essere inoltrata al competente Ufficio della

Diocesi: la riproduzione potrà essere utilizzata solo secondo l’uso concordato ed ogni ulteriore im-

piego avrà da essere nuovamente autorizzato. Sono previste diverse procedure a seconda del fine

della riproduzione, se esso sia commerciale, o per motivi di studio, o per scopo divulgativo.

3.2 L’immagine del bene e la sua alterazione

La decisione della Corte di Cassazione164 che ha aperto la strada al riconoscimento della tu-

tela dell’immagine delle persone giuridiche negli oggetti a loro disposizione è stata agevolata, per

quanto non esclusivamente determinata, anche dagli avvenimenti che hanno caratterizzato il caso

concreto, nel quale colui che aveva utilizzato l’immagine l’aveva modificata inserendovi il marchio

della propria impresa, con chiari vantaggi commerciali senza nulla aver dato in cambio a chi detene-

va l’oggetto raffigurato. L’alterazione dell’immagine del bene culturale è, rispetto all’obiettivo del-

l’Amministrazione di assicurare una corretta diffusione del valore culturale del bene165, uno dei ri-

svolti che maggiormente si presentano sensibili e rischiosi.

Occorre chiarire in quale scenario si svolga l’alterazione dell’immagine del bene avendo

cura delle finalità della modificazione: se la modificazione sia stata attuata per piegare la rappresen-

tazione del bene a finalità commerciali, laddove possibile sarà applicabile la disciplina sulla concor-

renza sleale.

Pare poi necessario individuare se si spacci per conforme alla realtà un’immagine modificata

o se si affermi e riconosca l’estraneità della nuova immagine rispetto al bene culturale originario.

La prima ipotesi comporta la perseguibilità penale: l’alterazione, sulla base dell’articolo 178

del Codice, rappresenta una forma di reato i cui soggetti attivi sono coloro che la compiono al fine

di trarne profitto, coloro che pongono l’opera in commercio o in circolazione e coloro che autentica-

no o in ogni altro modo contribuiscono a far ritenere autentico il bene alterato166.

Nella seconda ipotesi, l’autore dell’alterazione riconosce egli stesso di aver proceduto alla

realizzazione di un’opera che, pur presentando i connotati di base del bene culturale originario, co-

stituisce una novità rispetto a quanto preesisteva. In tali casi, sussistendo un requisito minimo di

creatività, si potrà configurare l’alterazione come un’opera soggetta al regime del diritto d’autore,

con la cura di evitare pregiudizi per i diritti esistenti sull’opera originaria167. Questa ricostruzione è

164 Cass. Civ., sez. I, 11 agosto 2009, n. 18218, in Riv. Dir. Ind., 2/2010, p. 147.165 In rispetto dell’art. 9 Costituzione, che affida alla Repubblica il compito di promuovere la cultura e di tutelare il pa-

trimonio storico ed artistico della Nazione.166 Art. 178, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani): la

pena prevista è la reclusione da tre mesi a quattro anni e la multa da euro 103 a euro 3099.167 Art. 4, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.

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confermata anche dalla giurisprudenza: nello specifico, si fa riferimento ad un caso168 in cui il Mini-

stero per i beni e le attività culturali aveva contestato ad una società la messa in vendita di riprodu-

zioni di beni del demanio archeologico, demanio di cui fa parte la Grotta di Lamalunga, contenente

i resti scheletrici di un ominide noto come “Uomo di Altamura”. La società in questione aveva pro-

ceduto alla riproduzione del teschio di questo ominide, integrandolo secondo rilevazioni peritali

nella parte in cui esso non risultava visibile, essendo il cranio incastrato nella roccia: ritenendo sus-

sistente una forma di riproduzione mancante di una previa concessione onerosa, il Ministero richie-

deva la cessazione della commercializzazione ed il risarcimento dei danni. La Suprema Corte ha in-

vece smentito la tesi del Ministero ed ha osservato che la ricostruzione della parte nascosta si confi-

gura come autonoma attività creatrice di carattere intellettuale e non come riproduzione. Molteplici

possono essere, secondo l’analisi della Cassazione, le modalità con cui si esprime creatività: da una

medesima idea possono essere tratte differenti forme espressive o interpretazioni soggettive; un’o-

pera può trarre ispirazione da un’opera antecedente pur mediante una diversa forma di espressione

con cui viene rappresentata; un particolare parziale o non significativo di un’opera può essere ripre-

so, inserito e trasformato in un altro contesto del tutto diverso. Nei casi appena elencati il minimo di

creatività utilizzato per scostarsi dall’oggetto originale dà vita ad opere protette dal diritto d’autore:

non si ritiene possa soddisfare questo minimum il mero fotoritocco, consistente nell’eliminare le im-

perfezioni della fotografia originaria o nel dare maggior risalto ai colori169. Più specificamente, la

forma di tutela derivante dal diritto d’autore dovrebbe essere ricavata dalla norma sulle opere collet-

tive, le quali sono costituite dalla riunione di opere o di parti di opere, con carattere di creazione au-

tonoma170; manca, nel diritto italiano, un puntuale riferimento a caricatura, parodia e pastiche, nono-

stante queste forme creative di alterazione siano esplicitamente richiamate anche all’interno del di-

ritto comunitario quali espressioni meritevoli di tutela171. Se la trasposizione comica, o comunque

parodistica, di un bene culturale permette di evidenziarne la differenza e quindi di escludere un ri-

schio di contraffazione, il timore che tale forma espressiva vada a compromettere il carattere cultu-

rale del bene è limitato dai confini che sono posti al diritto costituzionalmente garantito di libera

manifestazione del proprio pensiero dall’esigenza, ugualmente espressa dalla Costituzione, di tute-

lare il patrimonio storico ed artistico172. Come giustamente è stato osservato173, l’innumerevole nu-

mero di caricature a cui è stata sottoposta la Gioconda di Leonardo da Vinci non pregiudica l’ammi-

168 Cass. Civ., sez. VI, 23 aprile 2013, n. 9757. 169 BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie, in AIDA, 2002, p.

414.170 Art. 3, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.171 In particolare, il riferimento è all’art. 5, comma 3, lett. k), della Direttiva del 22 maggio 2001 del Parlamento Euro-

peo e del Consiglio, n. 2001/29/CE, Sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nellasocietà dell’informazione.

172 Rispettivamente, artt. 21 e 9 Costituzione.173 HAMMA, K., Public Domain Art in an Age of Easier Mechanical Reproducibility, in http://www.dlib.org, 2005.

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razione che l’opera originaria suscita negli osservatori: caratteristica precipua della parodia, a diffe-

renza del plagio, è l’intenzione di presentarsi come opera diversa agli occhi del pubblico, frutto di

un’intersezione tra creazione, invenzione e critica174. Il fenomeno della appropriazione artistica, tra-

mite cui un’opera cita o compie una parodia di altre opere, dal momento che non si pone in confu-

sione o concorrenza con queste ultime, avrebbe da considerarsi una forma di libera utilizzazione175.

La libertà nella rappresentazione dei beni culturali è segnatamente ammessa in alcuni conte-

sti che si provvederà ad esaminare.

3.3 Libere utilizzazioni dell’immagine

Espressamente, l’articolo 108 del Codice contempla tre forme di riproduzione del bene cul-

turale per le quali non è dovuto alcun corrispettivo: l’uso personale; l’uso per motivi di studio; l’uso

effettuato da soggetti pubblici per finalità di valorizzazione. Le spese sostenute dall’amministrazio-

ne concedente dovranno essere comunque rimborsate176. È fatto salvo da queste limitazioni il diritto

di cronaca, il quale è liberamente esercitabile177.

Il Codice Urbani ha mantenuto lo schema sulle libere utilizzazioni figurante nel previgente

Testo Unico178, aggiungendovi la previsione che nessun pagamento è dovuto dalle amministrazioni

che hanno intenti di valorizzazione. I lavori preparatori per il Testo Unico prevedevano pure la gra-

tuità per le riproduzioni effettuate a scopo artistico e culturale, tanto da indurre ad elaborare una no-

zione di “unitarietà dello scopo culturale o artistico” che avrebbe potuto fungere da clausola che li-

beralizzasse una serie di utilizzazioni connesse alla divulgazione dell’immagine del bene, come la

pubblicizzazione di un evento culturale179: la mancata conseguenza che il legislatore ha dato a que-

sta previsione, in seguito non più richiamata, induce a ritenere che questa ipotesi di libera utilizza-

zione sia da considerarsi abbandonata e solo parzialmente compensata dall’uso gratuito concesso ai

soggetti pubblici con fini valorizzatori. In questi casi, il carattere gratuito della riproduzione può es-

sere indice di come l’ente debba di norma autorizzare la riproduzione, a meno che non vi sia rischio

di un pregiudizio per il bene180.

174 STOKES, S., Art and copyright, Oxford, 2012, p. 173.175 GATT, L., Le utilizzazioni libere: di opere d’arte, in AIDA, 2002, pp. 214 ss.176 Art. 108, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).177 Art. 8, d.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni

relative all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.178 Art. 115, comma 4, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni cul-

turali e ambientali.179 Su queste premesse aveva elaborato il suo contributo MUSSO, A., Impresa museale e libere utilizzazioni delle opere

d’arte, in AIDA, 1999, pp. 200 ss.180 CORTESE, W., Art. 107, in M. CAMMELLI (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2007, p.

424.

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Le previsioni di gratuità indicate dal Codice sono, in una certa misura, raffrontabili ad alcu-

ne delle norme contenute all’interno della legislazione sul diritto d’autore, laddove sono previste ap-

posite eccezioni e limitazioni per consentire un libero utilizzo delle opere181. Come nel caso del con-

cetto di “riproduzione”, sarà necessario tener presente anche le elaborazioni sviluppatesi sulla mate-

ria del diritto d’autore in mancanza, all’interno del Codice dei beni culturali, di definizioni di cosa

rappresentino queste fattispecie.

L’uso personale è definito come l’uso effettuato unicamente per sé ed inidoneo a diffondersi

al pubblico, senza alcun fine lucrativo o, più o meno direttamente, commerciale182. Il combinarsi di

queste esigenze ha portato a dare una lettura severa e stringente sui casi in cui sia ammissibile un

uso personale. Non potrà ritenersi esentato l’uso che, per quanto fedele ad una espressione culturale,

sia collocato all’interno di una attività di impresa, che è potenzialmente lucrativa; non può conside-

rarsi libera l’utilizzazione che si diffonda o possa diffondersi presso un pubblico indistinto183: per

questo motivo, non può ritenersi come uso personale l’immissione sulla rete Internet di immagini

che, così facendo, possono diventare alla portata di tutti da qualunque luogo ed in qualunque mo-

mento; pure l’invio a mezzo e-mail può suscitare il dubbio che si dia origine ad una diffusione in-

controllata dell’immagine, ancorché l’e-mail fosse inviata ad un unico destinatario184. La libera pub-

blicazione su Internet di immagini degradate o a bassa risoluzione è consentita se è a titolo gratuito,

per uso didattico o scientifico e nel caso in cui l’utilizzo non sia a scopo di lucro: i limiti all’uso di-

dattico o scientifico sono, in questo caso, da definirsi con decreto185.

L’uso per motivi di studio è un’ulteriore previsione di libera utilizzazione della riproduzione

secondo il Codice Urbani. La legge sul diritto d’autore parla, senza porre definizioni atte a distin-

guere, di uso didattico, uso scientifico, uso scolastico, scopo di ricerca, scopo di attività privata di

studio, studio personale: la varietà di espressioni trova comunque una radice comune nello scopo il-

lustrativo, di critica o di discussione, tramite cui si può essere istruiti od informati. È da intendersi

che i motivi di studio devono mantenersi puri, senza contaminarsi con finalità lucrative o commer-

ciali o in qualunque altro modo contrastanti con il normale sfruttamento delle opere o con gli inte-

ressi dei titolari di diritti su di esse186.

181 Il riferimento è agli artt. da 65 a 71-decies, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altridiritti connessi al suo esercizio, così come sostituiti dall’art. 9, d.lgs. 9 aprile 2003, n. 68, Attuazione della direttiva2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazio-ne.

182 Art. 68, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.183 Su queste problematiche, si veda MUSSO, A., Impresa museale e libere utilizzazioni delle opere d’arte, in AIDA,

1999, pp. 206 ss.184 BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie , in AIDA, 2002, pp.

402 ss.185 Art. 70, comma 1-bis, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo

esercizio.186 Art. 71-nonies, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo eserci-

zio.

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L’ultima previsione espressa, contemplata dal Codice, di libera utilizzazione della riprodu-

zione è data dall’uso di soggetti pubblici con finalità di valorizzazione. Rispetto al concetto di pro-

mozione culturale, rintracciabile pure nella legge sul diritto d’autore187, la valorizzazione richiede

non solo la diffusione di una conoscenza ma anche l’assicurazione di migliori condizioni di utilizza-

zione e fruizione con fini di sviluppo culturale188. Pare quindi da ritenersi che il soggetto pubblico

non possa accedere all’utilizzazione gratuita della riproduzione del bene culturale per semplici fini

pubblicitari o propagandistici, slegati da un contesto culturale: occorreranno scopi idonei ad incre-

mentare il contenuto valoriale del bene, come può esserlo l’associazione dell’immagine ad un parti-

colare evento culturale, una mostra od un’esposizione.

Occorre ricordare che il Codice prevede che per l’accesso a biblioteche ed archivi pubblici,

al contrario di quanto concerne gli altri luoghi della cultura, sia privilegiato il principio della gratui-

tà189. Questo aspetto non intende riverberarsi oltre il mero servizio di consultazione, lasciando che la

riproduzione sia comunque soggetta a pagamento190.

La previsione di un numero limitato di libere utilizzazioni della riproduzione del bene cultu-

rale comporta, di conseguenza, che la generalità dei casi in cui si impiega l’immagine di un bene

culturale richieda la previa autorizzazione della preposta autorità e il pagamento di un corrispettivo.

La situazione sulle libere utilizzazioni non è uniforme in tutti gli ordinamenti, nemmeno in

quelli dell’Unione Europea nonostante l’ispirazione comune data dalla Direttiva 2001/29/CE sul-

l’armonizzazione di aspetti importanti del diritto d’autore. In Germania, per esempio, impiegare

l’immagine per pubblicizzare nella misura necessaria un’esposizione al pubblico o una vendita al-

l’asta di opere d’arte è considerato libero utilizzo, senza che siano poste limitazioni in relazione ad

un uso commerciale191. Qualora alcuni Paesi godessero di maggiori possibilità nel procedere alla li-

bera riproduzione di opere, questa situazione andrebbe a determinare non solo vantaggi economici,

per esempio nel campo dell’editoria, ma anche una maggiore diffusione della cultura di certe zone

del mondo a scapito di quelle dove si continuasse a privilegiare una visione protezionistica192.

Una diffusione dell’immagine quale portatrice del messaggio contenuto nel bene culturale

alimenta l’essenza del bene stesso sulla base del principio di accesso. Con elegante ironia, si è os-

servato che, mentre in Italia è proibito fotografare un grazioso castello abruzzese sperso tra le mon-

187 Art. 69, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suoesercizio.

188 Art. 6, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).189 Art. 103, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).190 CABIDDU, M. A. - GRASSO, N., Diritto dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2007, p. 269.191 §58, comma 1, Urheberrechtsgesetz del 9 settembre 1965, BGBl., I, p. 1273, dove non si riprende la formula

“escludendo qualsiasi altro uso commerciale” proposta dell’art. 5, comma 3, lett. j), della Direttiva del 22 maggio 2001del Parlamento Europeo e del Consiglio, n. 2001/29/CE, Sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e deidiritti connessi nella società dell’informazione.

192 GATT, L., Le utilizzazioni libere: di opere d’arte, in AIDA, 2002, pp. 209 ss.

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tagne e che non richiama più di una decina visitatori al mese, davanti al museo francese del Louvre

sono in vendita macchine fotografiche193. E sarebbe assurdo, a questo punto, imputare al caso il fat-

to che nel 2012 lo stesso Louvre abbia contato un numero di visitatori solo di poco inferiore alla

somma di quelli di tutti i musei statali italiani194.

193 L’aneddoto è raccontato in forma personale da DAVERIO, P., Conclusioni, in AA. VV., Il bene culturale è un valo-re per tutti?, Napoli, 2005, p. 99.

194 Cfr. ANSA, 13 maggio 2013, Louvre senza rivali, è il re dei musei, in http://www.ansa.it: per la precisione, purcon le dovute cautele nel maneggiare simili dati, nel 2012 il Louvre avrebbe totalizzato 9720260 visitatori, mentre i mu-sei statali italiani (dal cui conteggio sono escluse aree archeologiche e monumenti) 10072267, ossia circa 350mila visi-tatori in più. Il conteggio effettuato dall’Ufficio di Statistica del Ministero dei beni culturali risulta ancora più penaliz -zante, avendo registrato per il 2012 un’affluenza ai musei statali di appena 10053271 unità: http://www.statistica.beni-culturali.it.

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Capitolo II

Sfruttamento e circolazione

SOMMARIO: 1. La legislazione. 1.1 Dalla legge Ronchey al Testo Unico. 1.2 Dal Codice Urbani in poi. 1.3 La competen-

za legislativa. – 2. Il museo. 2.1 Il museo come impresa. 2.2 Il museo e i diritti d’autore e di proprietà. 2.3 Il museo ed il

web. – 3. La libertà di panorama. 3.1 Nozione di libertà di panorama. 3.2 Il tramonto del panorama freedom? 3.3 Un

caso italiano: Wikipedia.

1. La legislazione

1.1 Dalla legge Ronchey al Testo Unico

Il cammino che ha portato la disciplina italiana sui beni culturali a prevedere che la riprodu-

zione della loro immagine vada soggetta a richiesta ed a pagamento non è di lungo corso. Fino in

tempi recenti, la legislazione sui beni culturali è stata improntata sulla conservazione: solo ultima-

mente s’è passati da una concezione statica ad una dinamica, imperniata sul concetto di valorizza-

zione. All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, ha incominciato ad affacciarsi all’interno

della legislazione italiana una disciplina concreta sulla gestione dei beni culturali, con la quale si in-

tendeva principalmente regolare l’intervento dei privati in alcuni ambiti relativi a fruizione e valo-

rizzazione195. Complici le esigenze economiche di alleviare la spesa pubblica, si pensò di far parte-

cipare i privati a quel business culturale che per le amministrazioni pubbliche rappresentava invece

una voce in perdita, nonostante si intravvedessero già possibilità di caratterizzare la produttività ita-

195 CLEMENTE DI SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale di diritto dei beni culturali, Napoli, 2008, p. 308.

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liana a partire dalla tradizione storica del nostro Paese. La necessità di trovare la soluzione a questo

problema portò all’adozione di un decreto legge196 che, una volta convertito, avrebbe dato origine

alla c.d. “legge Ronchey”197, dal nome dell’allora Ministro per i beni culturali e ambientali. Questo

atto normativo segna il punto di svolta nel coinvolgimento dei privati in questo settore, in particolar

modo prevedendo, per quanto concerne l’utilizzo dell’immagine del bene culturale, il servizio ag-

giuntivo editoriale e di vendita riguardante riproduzioni, cataloghi ed ogni altro materiale informati-

vo198. È a seguito di questo intervento legislativo che venne adottato un tariffario199 in cui furono de-

terminati canoni e corrispettivi per le varie tipologie di uso e riproduzione: l’importo dovuto per

ciascun utilizzo venne stabilito in misura fissa, applicandosi nella stessa maniera a realtà culturali

pur differenti tra loro. Il regolamento in questione, oltre al tariffario, conteneva una serie di disposi-

zioni che andavano a definire i contorni delle modalità di riproduzione del bene culturale.

In verità, la previsione di un canone nel caso di uso dei beni culturali, anche sotto il profilo

della loro immagine, era già prevista nella legislazione italiana: pur non facendosi esplicito riferi-

mento all’impiego derivante da forme di riproduzione, era stabilito il pagamento di un canone per

riprese cinematografiche e televisive, fuorché a scopo illustrativo, nonché per le riprese fotografiche

a scopo di lucro; per riprese fotografiche a scopo artistico o culturale era escluso il pagamento, ma,

in ogni caso, per qualunque tipo di ripresa occorreva un permesso200. Un regolamento successivo201

confermò la regola generale di gratuità per le riprese fotografiche: solo in alcuni casi, come per fo-

tografie svolte in ambito di attività professionale o fuori dell’orario di apertura degli istituti, era ne-

cessaria, oltre al semplice permesso, l’apposita autorizzazione del soprintendente e l’eventuale ver-

samento di un canone sussistendo uno scopo di lucro.

Quel che di decisivo ha apportato il tariffario susseguente alla legge Ronchey è la generaliz-

zazione della fattispecie. Da questo momento, si inizia a considerare la riproduzione tout court qua-

le facoltà non più a libera disposizione dell’utente. Essa è202, difatti, oggetto di concessione, sogget-

ta a pagamento di canoni e corrispettivi, richiesta tramite un apposito procedimento in cui dovrà es-

sere indicato al responsabile amministrativo ogni particolare su modi e fini dell’utilizzo. La conces-

196 D.l. 14 novembre 1992, n. 433, Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali. Disposizioni in materia dibiblioteche statali e di archivi di stato.

197 L. 14 gennaio 1993, n. 4, Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 14 novembre 1992, n. 433 (c.d.legge Ronchey).

198 Art. 4, comma 1, lett. a), l. 14 gennaio 1993, n. 4, Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 14 no-vembre 1992, n. 433 (c.d. legge Ronchey).

199 D.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relativeall'uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.

200 Artt. 3 e 5, l. 30 marzo 1965, n. 340, Norme concernenti taluni servizi di competenza dell’Amministrazione stataledelle antichità e belle arti.

201 D.P.R. 2 settembre 1971, n. 1249, Regolamento di esecuzione della l. 30 marzo 1965, n. 340, concernente taluniservizi di competenza dell’Amministrazione statale delle antichità e belle arti.

202 Quanto segue rappresenta il combinato disposto emergente dagli artt. 1-2-3 del d.m. 8 aprile 1994, Tariffario perla determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative all'uso strumentale e precario dei beniin consegna al Ministero.

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sione è incedibile e viene rilasciata in via non esclusiva, previo esame dei requisiti e versamento del

corrispettivo. Prima della diffusione, dovrà essere consegnato un esemplare di ogni riproduzione al-

l’Amministrazione per ricevere il nulla osta. Per quanto l’uso strettamente personale o per motivi di

studio non preveda un pagamento, salvo il rimborso delle spese sostenute dall’Amministrazione, il

richiedente deve comunque sottoscrivere un impegno per non divulgare al pubblico le copie ottenu-

te. Ai sensi del tariffario, non sono soggette al pagamento le riproduzioni e riprese con fini istituzio-

nali della ricerca con carattere tecnico scientifico, nonché le concessioni in uso degli spazi secondo i

fini istituzionali dell’Amministrazione. Oltre alle garanzie del mantenimento dell’integrità del bene,

sono fatti salvi i diritti degli autori.

L’anello di congiunzione tra quanto stabilito con questo decreto e la legge Ronchey è costi-

tuito da un altro regolamento203, di pochi mesi precedente rispetto al tariffario. Con quest’atto nor-

mativo, il Ministero non solo ha stabilito le modalità di gara e di concessione dei servizi aggiuntivi,

ma ha pure ridefinito alcuni aspetti delle concessioni d’uso e riproduzione. Pur rimandando al suc-

cessivo tariffario le indicazioni su richieste e determinazione di canoni e corrispettivi, si ha cura di

specificare che il rilascio della concessione per la riproduzione deve essere preceduto da passaggi

circostanziati che fungano da garanzia sul corretto impiego dell’immagine; l’uso strettamente perso-

nale o per motivi di studio è improntato alla gratuità purché sia eseguito con mezzi inidonei alla dif-

fusione presso il pubblico204. Con disposizioni particolari sono regolate le riproduzioni di opere, ma-

noscritti e documenti soggetti a particolari rischi e delle immagini fotografiche e riprese contenute

nel servizio di fototeca205.

Osservando la denominazione dell’atto in relazione al contenuto ivi proposto, pare di com-

prendere che si sia avuta l’intenzione, nel prevedere la partecipazione di privati alla gestione di ser-

vizi aggiuntivi al settore culturale, di predisporre con gli atti che sono seguiti alla legge Ronchey

una situazione favorevole ai concessionari. Si è consumato il capovolgimento della prospettiva sulla

riproduzione dell’immagine dei beni culturali: dalla previsione di un pagamento connesso all’uso in

situazioni particolari, si è passati ad un generalizzato obbligo di richiesta di concessione previo ver-

samento di un corrispettivo, con l’esclusione di delimitati casi di utilizzazioni libere. Questo muta-

mento serve a garantire ai concessionari dei servizi di riproduzione la possibilità di agire all’interno

203 Si tratta del d.m. 31 gennaio 1994, n. 171, Regolamento recante determinazione di indirizzi, criteri e modalità perla gestione del servizio editoriale e di vendita riguardante le riproduzioni di beni culturali e la realizzazione di catalo-ghi ed altro materiale informativo, dei servizi riguardanti i beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni eil recapito nell'ambito del prestito bibliotecario, nonché dei servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba e divendita di altri beni correlati all'informazione museale presso i musei, le gallerie, gli scavi archeologici, le bibliotechee gli archivi di Stato e gli altri istituti dello Stato consegnatari di beni culturali, da qui in poi: Regolamento sui serviziaggiuntivi.

204 Combinato disposto degli artt. 18-19-20, d.m. 31 gennaio 1994, n. 171, Regolamento sui servizi aggiuntivi.205 Rispettivamente, artt. 23 e 21, d.m. 31 gennaio 1994, n. 171, Regolamento sui servizi aggiuntivi.

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della loro nicchia di mercato senza timore che le riproduzioni di immagini possano liberamente dif-

fondersi a dismisura pregiudicando la loro attività.

Per inciso: la scelta politica di concentrare sui servizi aggiuntivi le possibilità di introiti deri-

vanti dal settore culturale è stata sviluppata, tramite apposite disposizioni normative, in parallelo

con la progressiva attenuazione della volontà di generare ricavi dall’ingresso. La tassa d’ingresso ai

musei statali, risalente al XIX secolo, è stata soppressa206, lasciando ai sovrintendenti la possibilità

di stipulare convenzioni per il servizio di biglietteria, i cui oneri sono inclusi nel prezzo del bigliet-

to. Si deve notare inoltre come, da norme molto restrittive sul libero ingresso ai luoghi della cultura,

si è passati attraverso diciture per le quali il pagamento di un biglietto era la modalità di accesso che

avveniva di regola, fino all’attuale formulazione di indifferenza sul fatto che l’accesso sia a paga-

mento o gratuito, con l’assicurazione di gratuità per l’accesso con fini di studio e ricerca a bibliote-

che ed archivi pubblici207.

Un ulteriore passaggio sulla disciplina dei beni culturali è segnato dall’approdo ad un Testo

Unico208 con funzioni di riordinare la materia. Furono rielaborate anche le norme relative alla ripro-

duzione: viene previsto che sia il capo dell’istituto ad avere la possibilità di concedere la riproduzio-

ne dei beni in consegna al Ministero ed a determinare canoni di concessione e corrispettivi connessi

alle riproduzioni secondo una serie di parametri quali il carattere delle attività cui si riferiscono le

concessioni d’uso, i mezzi e le modalità d’esecuzione, il tipo ed il tempo di utilizzazione degli spazi

e dei beni e le utilizzazioni e le destinazioni delle riproduzioni medesime anche con riferimento al

beneficio economico del destinatario; si prescrive il deposito del doppio originale di ogni fotografia

e la restituzione del fotocolor originale con relativo codice; l’uso personale e per motivi di studio ri-

mane esentato dal pagamento209. È opportuno osservare che la disciplina sulla riproduzione, a parti-

re dal Testo Unico, non è più accostata ai servizi aggiuntivi (definiti ora come “servizi di assistenza

culturale e di ospitalità”, denominazione che mantengono anche attualmente nel Codice): mentre la

disciplina di questi è inserita in un’apposita sezione sulla fruizione, le disposizioni riguardanti la ri-

206 Istituita con la l. 27 maggio 1875, n. 2554, Sulla tassa di entrata nei musei, nelle gallerie e negli scavi archeologi-ci, poi ripresa ed aggiornata dal r.d. 11 novembre 1885, n. 3191, Regolamento generale per la riscossione e pel conteg-gio della tassa d’ingresso nei Musei, nelle Gallerie, negli Scavi e nei Monumenti nazionali , la tassa è stata soppressacon la l. 25 marzo 1997, n. 78, Soppressione della tassa d’ingresso ai musei statali: per la prima evoluzione della tassasull’ingresso ai musei, si può confrontare il contributo di RICCO, A., Tasse e tessere d’ingresso in musei, gallerie, scavie monumenti governativi del Regno d’Italia (1875-1939), in http://www.aedon.mulino.it, 2011.

207 L’evoluzione è tracciabile attraverso l’art. 4, l. 23 luglio 1980, n. 502, Istituzione del comitato per il coordinamen-to e la disciplina della tassa d’ingresso ai monumenti, musei, gallerie e scavi di antichità dello Stato ; l’art. 1, comma 2,l. 25 marzo 1997, n. 78, Soppressione della tassa d’ingresso ai musei statali; art. 103, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004,n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani). Si confronti altresì CABIDDU, M. A. - GRASSO, N.,Diritto dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2007, p. 249, nonché CARPENTIERI, R., Art. 103, in R. TAMIOZZO (acura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005, p. 457.

208 D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, anorma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997 n. 352.

209 Artt. 115 e 116, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni cultura-li e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997 n. 352.

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produzione vengono collocate nella sezione sull’uso individuale. Le due sezioni, su fruizione ed uso

individuale, sono contigue ed entrambe inserite nel capo dedicato a valorizzazione e godimento

pubblico, ma rimangono pur sempre sezioni distinte. Se originariamente la previsione generalizzata

del versamento di un corrispettivo per la riproduzione di un bene culturale era giustificata dalla vo-

lontà di evitare una forma di concorrenza per l’impresa aggiudicatrice del servizio aggiuntivo di ri-

produzione editoriale, la separazione tra i due ambiti diventa segno non della superficialità del legi-

slatore ma di una indirizzata strategia politica che, di conseguenza, determina anche la necessità di

inquadrare in una nuova ottica simili previsioni.

1.2 Dal Codice Urbani in poi

Cinque anni dopo l’emanazione del Testo Unico, fu emanato il Codice dei beni culturali e

del paesaggio. Riprendendo ampiamente il dettato del Testo Unico, le disposizioni sulla riproduzio-

ne di beni culturali risultano essere pressoché identiche. Alcune sfumature permettono tuttavia di ri-

levare i sentieri su cui intende indirizzarsi il legislatore. A livello di struttura, si conferma e si evi -

denzia quello che già iniziava a risaltare dal Testo Unico: questa volta, la disciplina sui servizi di as-

sistenza culturale e di ospitalità per il pubblico, per quanto non distante se si leggessero in modo

continuato le disposizioni del Codice, transita addirittura in un capo diverso rispetto a quello in cui

si regola la riproduzione210. Anche a livello lessicale, le piccole variazioni apportate contribuiscono

ad alimentare l’idea che la riproduzione dei beni culturali sia diventata un ambito di controllo da

parte dell’Amministrazione a prescindere dall’esistenza o meno di un apposito servizio di riprodu-

zione in concessione. Un esempio è costituito dal cambiamento operato sul verbo, portato da “con-

cedere” a “consentire”: non è dunque più previsto che l’atto di assenso sia di tipo concessorio211.

Affermare, sic et simpliciter, che gli enti pubblici possono consentire la riproduzione dei beni cul-

turali212, è ulteriore testimonianza dell’allontanamento concettuale rispetto alla disciplina che ini-

zialmente era stata prevista in parallelo alle esternalizzazioni dei servizi aggiuntivi verso i privati.

Infatti, mentre la concessione è caratteristica di una situazione in cui l’amministrazione attribuisce

ad un numero necessariamente ristretto di privati un beneficio dato dalla possibilità di usare certe ri-

sorse, il limitare tout court la riproduzione a prescindere dall’esistenza o meno di un servizio edito-

riale comporta anche il conseguente passaggio da una forma concessoria ad una forma autorizzato-

ria: esiste, cioè, una limitazione all’esercizio di una libertà del cittadino a causa di un divieto gene-

rale, il quale, a seguito di richiesta del privato, può essere rimosso con un provvedimento dell’auto-

210 L’art. 117, rubricato Servizi per il pubblico, è infatti situato nel Capo II, Principi della valorizzazione dei beni cul-turali, laddove gli articoli che vanno dal 101 al 110 si trovano nel Capo I, Fruizione dei beni culturali.

211 Come osserva BROCCA, M., La disciplina d’uso dei beni culturali, in http://www.aedon.mulino.it, 2006. 212 Art. 107, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).

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rità competente qualora l’esercizio del diritto non contrasti con l’interesse pubblico213. Anche nei

casi in cui l’autorizzazione venga ammessa, si ha comunque per l’utente un dispendio di tempo e di

oneri derivanti dalla burocrazia tali da non agevolarlo.

Altro cambiamento rispetto al Testo Unico è l’inversione logica operata sulle forme di im-

piego del bene: se prima si poteva concedere “l’uso strumentale e precario nonché la riproduzione”,

ora si può consentire “la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario”214. Questo mutamento,

per quanto non sembri comportare grossi sconvolgimenti nella prassi, trasforma concettualmente la

riproduzione da peculiare species d’uso a principale modalità di come possa essere impiegato il

bene culturale.

Oltre alle modifiche più sottili, è possibile rintracciare nel Codice cambiamenti più evidenti:

vi è una maggior razionalizzazione della disciplina rispetto al Testo Unico, essendosi disposti in ar-

ticoli differenti (il 107 ed il 108) il profilo della riproduzione e quello inerente alla determinazione

di canoni e corrispettivi215. Il pagamento in forma anticipata è considerato non più un obbligo, ma

semplice regolarità216. Tra le maggiori innovazioni esplicite, va considerata la previsione che gli im-

porti minimi di canoni e corrispettivi siano determinati dall’amministrazione concedente con prov-

vedimento217: in tal modo, è da ritenersi superato il carattere vincolante degli importi stabilito dal ta-

riffario del 1994, il quale, peraltro, rimane vigente, anche se con un valore meramente orientativo.

Nell’anno successivo all’entrata in vigore del Codice, l’ordinamento italiano ha visto nuove

disposizioni che sono andate a specificarne i contenuti. Con una circolare218, si sono date indicazio-

ni su come gli studiosi potessero accedere al materiale archivistico e riprodurlo: ogni riproduzione

veniva indicata come soggetta a richiesta di autorizzazione, a precise regole nella modalità di esecu-

zione ed al versamento di un importo e di copia delle immagini ottenute. In modo più incisivo, po-

chi mesi prima un decreto219 aveva invece provveduto a stabilire le norme tecniche sulla riproduzio-

ne. L’autorizzazione del responsabile deve avvenire previa determinazione dei corrispettivi e valu-

tando finalità, quantitativi e tollerabilità della riproduzione. Riprendendo quanto stabilito dal tariffa-

rio, è poi rammentato che la richiesta di riproduzione deve esprimere dettagliatamente contenuti e

213 Per la distinzione tra autorizzazione e concessione, si vedano le voci Autorizzazioni Amministrative e ConcessioniAmministrative, rispettivamente di FRACCHIA, F. e MAMELI, B., in Dizionario di Diritto Pubblico, diretto da S. CASSESE,Milano, 2006, specialmente pp. 604 e 1118.

214 Il confronto è tra l’art. 115, comma 1, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative inmateria di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997 n. 352, e l’art. 107, comma 1,d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).

215 Come osserva VENTIMIGLIA, C., Art. 107, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio,Milano, 2012, p. 830.

216 Art. 108, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).217 Art. 108, comma 6, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).218 Circ. Direzione generale per gli archivi, Servizio II, 17 giugno 2005, n. 21, Disposizioni per l’esecuzione di ripro-

duzioni con propria fotocamera digitale.219 D.m. 20 aprile 2005, Indirizzi, criteri e modalità per la riproduzione di beni culturali, ai sensi dell’articolo 107 del

decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

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modi di utilizzo e che è necessario presentare un esemplare di riproduzione presso l’amministrazio-

ne così da ricevere il nulla osta per procedere alla diffusione al pubblico; poiché l’uso diverso da

quello dichiarato deve essere autorizzato, è da ritenersi che l’uso successivo, ulteriore rispetto a

quello originariamente previsto, debba prevedere la richiesta di un nuovo consenso da parte del-

l’Amministrazione. Ogni esemplare di riproduzione deve riportare l’indicazione delle caratteristiche

sia dell’opera originale sia di tecnica e materiale della riproduzione stessa. L’amministrazione si

considera esente da responsabilità per danni derivanti dalla riproduzione220. Queste disposizioni sui

principi generali per la riproduzione dei beni culturali sono precedute da due articoli che trattano

della riproduzione mediante calchi di sculture ed opere a rilievo: questa forma particolarmente inva-

siva di riproduzione, che il Codice Urbani ha espressamente ripreso dopo il silenzio del Testo Unico

su quest’argomento, è generalmente vietata, ma l’evolversi della tecnologia ha portato ad ampliare

la normativa sui casi consentiti, non più limitati solo ai calchi di copie degli originali, ma anche a

quelli ottenuti con tecniche escludenti il contatto diretto con l’originale221. Queste ultime limitate

aperture rimangono peraltro sottoposte alla disciplina generale sulla riproduzione e, di conseguenza,

soggette a preventiva autorizzazione e versamento di corrispettivo.

Non pare, quindi, che sia possibile rintracciare dalla littera legis aperture nell’atteggiamento

del legislatore verso una generale libertà di riproduzione dei beni culturali, nemmeno nelle occasio-

ni in cui non v’è rischio di arrecare alcun danno al bene222: occorrerà pur sempre un’attenta valuta-

zione delle modalità e delle tecniche adoperate, nonché delle motivazioni dell’istanza.

1.3 La competenza legislativa

Tra le innovazioni più macroscopiche che il Codice ha apportato nell’ambito della riprodu-

zione dei beni culturali, v’è senz’altro il mutamento del soggetto esprimente la sua valutazione sulla

destinazione del bene. Secondo il Testo Unico, l’uso strumentale e precario e la riproduzione dei

beni in consegna al Ministero erano concessi dal capo dell’istituto; la previsione del Codice Urbani

enuncia che tale forma di impiego può essere consentita da Ministero, regioni ed altri enti pubblici

territoriali per i beni che abbiano in consegna223. È opportuno notare che la formulazione dell’artico-

220 Quanto precede, è il combinato disposto degli artt. 3-4-5, d.m. 20 aprile 2005, Indirizzi, criteri e modalità per lariproduzione di beni culturali, ai sensi dell’articolo 107 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

221 Art. 107, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani),così come modificato dall’art. 2, lett. ttt), d.lgs. 26 marzo 2008, n. 62, Ulteriori disposizioni integrative e correttive deldecreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali.

222 Sulla base di questa giustificazione, ritiene invece che l’Amministrazione non debba essere particolarmente severanell’autorizzare le riproduzioni CORTESE, W., Art. 107, in M. CAMMELLI (a cura di), Il codice dei beni culturali e delpaesaggio, Bologna, 2007, p. 424.

223 Nuovamente, il confronto è tra l’art. 107, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e delpaesaggio (c.d. Codice Urbani) e l’art. 115, comma 1, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legi-slative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997 n. 352.

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lo 107 del Codice risulta diversa da quella attuale224 dell’articolo 106, dove è menzionato “lo Stato”

in luogo del “Ministero”: la modifica di quest’ultimo articolo era stata suggerita per accogliere a sé

tutti i beni culturali di appartenenza statale anche al di fuori della disponibilità dell’apposito Mini-

stero225, ma tale soluzione non è stata proposta per l’articolo 107, nonostante non vi sia visibile mo-

tivo di diverso trattamento per le due norme nella scelta di distinguere due diversi procedimenti per

la concessione di uso individuale e per la riproduzione a seconda che i beni siano in consegna al Mi-

nistero o no. In entrambi i casi, la dizione è comunque esplicita nell’escludere un ruolo non solo ai

privati, ma anche alle cosiddette autonomie funzionali (come l’università) ed agli altri enti pubblici

non territoriali226.

L’espresso riconoscimento di un ruolo per regioni ed enti locali nella determinazione della

fruizione dei beni culturali nasce sulla scia della riforma costituzionale che nel 2001 ha riscritto il

riparto di competenze legislative227. Prima della riforma, tra le competenze esclusive riservate alla

legislazione regionale erano compresi anche musei e biblioteche di enti locali; ora il quadro s’è fatto

più composito. Infatti, mentre la tutela dei beni culturali rientra nella legislazione esclusiva statale,

tra le materie di legislazione concorrente ne figura la valorizzazione: alla luce di questa categorizza-

zione, la potestà legislativa in materia spetta alle Regioni, mentre lo Stato ne determina i principi

fondamentali228. Il Codice stesso, che rappresenta l’atto che fissa quei principi, ricorda che l’attività

di valorizzazione deve svolgersi in forma di coordinamento, armonizzazione ed integrazione tra enti

pubblici229: in questo modo, infatti, tramite una cooperazione tra i diversi livelli di governo in uno

sforzo congiunto, si auspica la creazione e l’incentivo di modalità di fruizione che possano ampia-

mente coinvolgere il pubblico fruente230. In particolare, è disciplinata mediante legislazione regiona-

le la fruizione dei beni presenti in luoghi della cultura ed istituti non appartenenti allo Stato o di cui

lo Stato abbia trasferito la disponibilità231. Le funzioni amministrative, seguendo quanto previsto

dalla riforma costituzionale, sono normalmente attribuite ai Comuni: forme di intesa e coordina-

mento sono infatti espressamente richieste in materia di tutela dei beni culturali, ma non sotto l’a-

spetto della valorizzazione232. La limitazione alla riproduzione del bene culturale può assolvere an-

che a finalità di tutela dello stesso, sia in forma di mantenimento di un elevato standard comunicati-

vo di valori, sia, in taluni casi, anche a livello materiale per preservarlo dall’usura; tuttavia, questo

224 In base alle modifiche apportate dall’art. 2, lett. dd), n. 1, d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156, Disposizioni correttive edintegrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali.

225 BROCCA, M., La disciplina d’uso dei beni culturali, in http://www.aedon.mulino.it, 2006.226 CABIDDU, M. A. - GRASSO, N., Diritto dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2007, p. 236.227 L.cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.228 Art. 117, comma 3, Costituzione.229 Art. 7, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).230 CROSETTI, A. - VAIANO, D., Beni culturali e paesaggistici, Torino, 2011, pp. 121 ss. 231 Art. 102, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).232 Art. 118, commi 1 e 3, Costituzione.

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aspetto della disciplina dei beni culturali è primariamente attinente a fruizione e valorizzazione, non

fosse altro che è questo il posizionamento che è stato assegnato dal legislatore che ha redatto il Co-

dice. È comunque da escludersi che i Comuni possano esercitare la loro potestà amministrativa sui

beni culturali di cui siano stati mantenuti sotto il controllo di Stato e Regioni compiti di fruizione e

valorizzazione per esigenze di unitarietà233.

Gli atti amministrativi possono assumere una rilevanza giuridica non solamente locale ma

sopranazionale qualora siano configurati all’interno di Piani di gestione234, adottati con funzioni

programmatiche e coordinative da quei siti che aspirano all’iscrizione, o siano già iscritti, alla

World Heritage List della UNESCO235: tra gli standard fissati da questa organizzazione internazio-

nale, i quali inevitabilmente finiscono per condizionare l’attività amministrativa del luogo ove il sito

si trova, non si stabiliscono ulteriori livelli di limitazione alla riproduzione dell’immagine del bene.

Tuttavia, tra le linee guida, l’uso dell’immagine viene menzionato allorché si lascia allo Stato la

possibilità di approvare il contenuto (in testo ed immagini) dei prodotti distribuiti con l’emblema

World Heritage; gli Stati vengono caldeggiati a consentire all’UNESCO l’uso delle immagini che

accompagnano la richiesta di iscrizione alla lista, in termini di comunicazione, diffusione, pubblica-

zione, riproduzione e sfruttamento in ogni forma di supporto, lasciando che gli eventuali profitti de-

rivanti vadano al Fondo per i Patrimoni dell’Umanità236.

A livello internazionale, non si riscontrano convenzioni che, nel settore dei beni culturali,

pongano delle regole sull’impiego dell’immagine. È giusto segnalare, tuttavia, come esistano docu-

menti che garantiscono all’essere umano un accesso alla cultura: nella Dichiarazione universale dei

diritti umani è previsto che ogni individuo abbia il diritto di partecipare liberamente alla vita cultu-

rale della comunità e di godere delle arti237, con la conseguenza che non si possono porre ostacoli

tanto gravosi da precludere la fruizione del patrimonio culturale. Nessun ulteriore problema è posto

dal diritto dell’Unione Europea, la quale, pur riconoscendo l’esistenza di un patrimonio culturale di

importanza europea238, s’è interessata all’argomento dei beni culturali quasi esclusivamente per re-

golarne la circolazione materiale239; più incisivi sono stati gli interventi comunitari che, in tema di

233 CLEMENTE DI SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale di diritto dei beni culturali, Napoli, 2008, p. 94.234 Si confronti CASSATELLA, A., Tutela e conservazione dei beni culturali nei Piani di gestione Unesco: i casi di Vi-

cenza e Verona, in http://www.aedon.mulino.it, 2011.235 Al 2013, l’Italia è, tra tutti i Paesi, quello che conta il maggior numero (49) di siti iscritti come patrimonio dell’u-

manità, come consultabile all’apposita pagina del sito internet ufficiale http://whc.unesco.org.236 WORLD HERITAGE CENTRE, Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention,

luglio 2012, in http://whc.unesco.org. 237 Art. 27, comma 1, Dichiarazione universale dei diritti umani.238 Art. 167, comma 2, Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.239 Ad esempio, con il Reg. (CE) n. 116/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, Relativo all’esportazione di beni

culturali, in GU L 39 del 10 febbraio 2009.

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copyright, hanno fornito indicazioni per una quanto maggior circolazione della conoscenza, con

particolare attenzione per l’ambito digitale240.

Se poco è intervenuto il diritto ultranazionale su questo particolare settore, anche a livello

interno alla Repubblica, nonostante le aperture della Costituzione e del Codice, non si sono segnala-

te prese di posizione particolarmente eclatanti. Le regioni, generalmente, non hanno portato muta-

menti di disciplina negli spazi loro concessi: laddove si è proceduto, si è in linea di massima confer-

mato l’impianto codicistico. La Regione siciliana241, per esempio, ricorda che la riproduzione di

beni culturali in possesso dell’Amministrazione non protetti dal diritto d’autore ricade nella fattispe-

cie prevista dall’articolo 108 del Codice; in più, si limita ad aggiungere che è sempre dovuto il ca-

none di concessione nei casi di utilizzo economico dei beni culturali e che è previsto un tariffario

sostitutivo rispetto a quello emanato a seguito della legge Ronchey.

Il consenso alla riproduzione avviene per mezzo del soprintendente, intendendosi generica-

mente con esso l’organo periferico dell’amministrazione: a livello regionale, tale competenza, stan-

te l’attuale mancanza di apposite soprintendenze, è di tipo delegato al soprintendente di settore da

parte del direttore regionale242. Il Ministero ha la possibilità di esperire un controllo preventivo al-

l’autorizzazione all’uso per valutarne la compatibilità: si ritiene che questo valga anche verso i beni

di appartenenza privata243, per i quali, a differenza delle amministrazioni statali e degli enti mora-

li244, non è previsto alcun onere informativo al Ministero sulla destinazione d’uso del bene culturale.

Lo stesso privato può chiedere preventivamente alla soprintendenza un giudizio se l’uso ipotizzato

possa essere compatibile, per quanto sia da considerarsi che il vincolo sui beni culturali riguardi

esclusivamente l’oggetto materiale con i suoi contenuti valoriali e non l’uso, il quale è mero stru-

mento di conservazione245.

Il contesto spaziale in cui può situarsi il bene culturale può generare una sommaria distinzio-

ne tra beni situati in un ambiente chiuso ed idealmente sottratto alla vista altrui se non a quella dei

visitatori, e beni esposti alla pubblica vista e collocati in una posizione che li rende visibili a chiun-

que. Queste due diverse situazioni non sono distinte dal Codice in tema di riproduzione del bene

culturale, ma, per la loro profonda differenza, costituiscono due ambiti in cui la circolazione del-

l’immagine del bene assume una rilevanza sua propria. In un ambiente chiuso, è relativamente faci-

240 Particolarmente importante è, sotto questo aspetto, il Libro Verde del 16 luglio 2008 della Commissione Europea,Il diritto d’autore nell’economia della conoscenza.

241 Circ. reg. Sicilia 18 marzo 2005, n. 7, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. 242 CARPENTIERI, R., Art. 106, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005, p.

467.243 CARPENTIERI, R., Art. 106, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005,

pp. 466-467.244 Per essi vale ancora, in conformità anche all’art. 130 del Codice, il disposto dell’art. 51, r.d. 30 gennaio 1913, n.

363, Che approva il regolamento per l’esecuzione delle leggi 20 giugno 1909, n. 364, e 23 giugno 1912, n. 688, relativealle antichità e belle arti.

245 BROCCA, M., La disciplina d’uso dei beni culturali, in http://www.aedon.mulino.it, 2006.

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le mantenere un controllo sull’immagine di quanto esposto, con il rischio di frenare la conoscenza

del bene culturale e la diffusione del suo contenuto valoriale se non nella ristretta cerchia dei visita-

tori; viceversa, in un ambiente aperto, l’immagine alla mercé di tutti rischia di produrre una visione

banalizzata del bene e del suo aspetto contenutistico. Per rispondere a queste esigenze differenti, oc-

corre trattare separatamente le vicende che riguardano uno spazio chiuso, di cui il museo rappresen-

ta l’esempio più evidente246, e quelle che riguardano uno spazio aperto, con il conseguente problema

dell’estensibilità della libertà di panorama.

2. Il museo

2.1 Il museo come impresa

Il museo, di per sé, non è un bene culturale, a differenza dei singoli oggetti e finanche delle

raccolte che esso potrebbe contenere. È tuttavia un ambiente in cui si svolge attività culturale, atto

ad accogliere beni culturali. Il museo figura al primo posto tra gli istituti e luoghi della cultura non

solo per la lettera del Codice ma anche, probabilmente, nell’immaginario collettivo: con esso si in-

tende una “struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali

per finalità di educazione e di studio”, destinata alla pubblica fruizione ed espletante un servizio

pubblico se appartenente a soggetti pubblici, costituente un servizio privato di utilità sociale se ap-

partenente a privati247. Una simile definizione, per quanto dettagliata, appare più asettica di quella

fornita a livello internazionale dall’ICOM (International Council of Museums, organismo associato

all’UNESCO con funzioni di consulenza), secondo la quale “il museo è un’istituzione permanente,

senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico e che acquisisce,

conserva, ricerca, comunica ed espone le testimonianze materiali ed immateriali dell’umanità e del

suo ambiente con finalità di educazione, studio e diletto”248. Tra le interessanti divergenze fra le due

definizioni, ci si può focalizzare sull’assenza della finalità lucrativa, puntualizzazione non presente

nel testo normativo italiano. Forse ritenuto di non necessario inserimento da parte del nostro legisla-

tore, data la cronica risultanza in forte perdita economica delle strutture museali pubbliche italiane,

il mancato inserimento della assenza dello scopo di lucro, ossia della ricerca di un incremento patri-

moniale positivo, tra le caratteristiche del museo può ipoteticamente dar origine a tentativi di rende-

re profittevole economicamente il bene culturale a scapito della sua diffusione e fruibilità?

246 È giusto ricordare come esistano anche esperienze di musei all’aria aperta. Si veda LEMME, G., Gli Open Air Mu-seums come risorsa economica, in http://www.aedon.mulino.it, 2010.

247 Art. 101, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).248 Art. 3, Statuto ICOM, approvato in Vienna, 24 agosto 2007.

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Il museo è ritenuto un’istituzione senza fini di lucro anche laddove sono più ampiamente

diffuse le istituzioni museali private, come negli Stati Uniti, dove, per l’appunto, il museo è consi-

derato un ente non profit249. È subito da rilevare come anche in Italia siano certamente presenti mu-

sei privati, ma le loro raccolte non rientrano tra i beni culturali secondo la categorizzazione del Co-

dice, a meno che non si tratti di collezioni di particolare fama e rilevanza250: quanto detto non pre-

clude che i singoli oggetti conservati possano essere considerati beni culturali nella loro individuali-

tà, ma in tal caso verrebbe meno il concepire l’ambiente museale come caratterizzante.

Difficilmente, anche quando gestito al meglio, un museo può pensare di ripianare la maggior

parte delle spese per mezzo di entrate proprie: credere di poter raggiungere una soglia di guadagno

non solo non collima con lo scopo primario del museo, ossia la diffusione di valori culturali, ma,

alla luce della realtà dei fatti, è quasi un’utopia. Per questa ragione, trovare modalità per reperire en-

trate proprie in grado perlomeno di coprire parte delle esigenze economiche del museo non è da

considerarsi una degenerazione per un luogo di cultura, ma un’esigenza per garantire la continua-

zione del servizio offerto. La previsione di un corrispettivo per la riproduzione di beni culturali siti

in un museo è un mezzo rispondente a queste esigenze? Già la previsione del pagamento all’entrata

aveva intaccato il principio di assoluta gratuità nel godimento della cultura, principio ispirato dal-

l’illuminismo e caratterizzante i primi anni di vita del museo moderno, quando peraltro il tasso di

alfabetizzazione era talmente scarso tra la popolazione da far dubitare che un gran numero di perso-

ne potesse trarre giovamento dalla frequentazione di luoghi culturali: ad una simile previsione, la

dottrina italiana ha dato una spiegazione dapprima come condizione per l’ammissione all’uso del

bene pubblico, poi, con il passaggio dalla tassa d’ingresso al biglietto, come contributo per coprire i

costi di una prestazione pubblica251. Medesima natura potrebbe rintracciarsi anche per spiegare la

ragione del versamento di un corrispettivo alla riproduzione di un bene culturale.

In ambito museale, la necessità di trovare simili spiegazioni viene meno se si volesse dar ret-

ta ad una tendenza secondo cui la gestione di un museo andrebbe considerata alla stregua di un’im-

presa commerciale252: in tal caso, nel voler trattare come merci i beni ivi contenuti, l’imprenditore

avrebbe sufficiente potere per volerne impedire imitazioni e controllare l’immagine, facendo anzi di

essa un contenuto economico di non disprezzabile potenziale. Ampio è il dibattito sul punto: è pur

vero che, nel rispetto di una sana gestione delle risorse, anche il museo deve puntare alla maggior

efficienza possibile, ma la tesi che assimila il museo ad un’impresa non può essere ritenuta applica-

249 BENHAMOU, F., L’economia della cultura (traduzione italiana da L’économie de la culture, Parigi, 2011). Bologna,2012, p. 79.

250 Art. 10, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).251 Si confronti RICCO, A., Tasse e tessere d’ingresso in musei, gallerie, scavi e monumenti governativi del Regno d’I-

talia (1875-1939), in http://www.aedon.mulino.it, 2011. 252 Aleggia questa preoccupazione, espressa significativamente in un capitolo intitolato Può il Museo diventare im-

presa?, in SETTIS, S., Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, pp. 70 ss., passim.

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bile fino in fondo per una serie di ragioni253, al cui fondamento sta il principio secondo cui è il valo-

re culturale che precede e guida il valore economico, e non viceversa254. Non si disconosce al bene

culturale un valore economico, ma esso va colto solo in subordine rispetto alla tutela e valorizzazio-

ne culturale255.

Il paragone tra museo ed impresa è stato più volte ripreso nel tempo, a partire dalle aperture

alla gestione di servizi aggiuntivi da parte dei privati, previste dalla legge Ronchey. Da questo pun-

to di partenza, si è talvolta tentato di arrivare ad una lettura indirizzata verso una gestione imprendi-

toriale del museo tout court. Si arriva ad ammettere che il museo abbia una natura ed uno scopo pe-

culiari, ma questo non pregiudica la doverosità di una gestione condotta secondo i principi della

scienza economico-aziendale256. Si tratterebbe, tuttavia, più di una gestione manageriale che im-

prenditoriale: l’autonomia gestionale del museo, più che a realizzare ardui utili di bilancio, traguar-

do che pure in casi eccezionali è stato sporadicamente raggiunto da qualche raro ente museale, mira

ad una responsabilità finalizzata a contenere il passivo secondo parametri di economicità, efficienza

ed efficacia, così da raggiungere una miglior gestione di risorse e contributi257. A livello locale, per

evitare inutili dispersioni, le legislazioni regionali hanno spesso intrapreso strade volte a condurre a

forme di collaborazione tra musei, quali i sistemi museali, dove la cooperazione tra istituti genera

economie di scala e favorisce una migliore fruizione: mentre i musei statali risentono di immobili-

smo ed incapacità di iniziativa, i musei locali divengono, se non altro, poli di attrazione a livello di-

vulgativo e di ricerca258. Non è un caso che una delle rare gestioni museali italiane ad avere, in

qualche annata, ottenuto un bilancio attivo sia stato il sistema dei Musei Civici di Venezia259, ma oc-

corre considerare che la maggior parte delle entrate che hanno permesso un simile risultato è deriva-

ta da contributi pubblici260. Solo un cambiamento di finalità, con il posizionamento al primo posto

253 Ragioni valevoli tanto per i musei pubblici, quanto per quelli privati: lo fa notare, con molteplici argomenti (man-canza di eadem ratio rispetto alle vicende dell’azienda; qualificazione di servizio pubblico soggettivo derivante dal vin-colo di destinazione delle cose; consapevolezza dell’impossibilità di coprire i costi con i ricavi, tale da precludere qual -siasi aspettativa di risultato economico), SEVERINI, G., Musei pubblici e musei privati: un genere, due specie, inhttp://www.aedon.mulino.it, 2003.

254 Corte Costituzionale, 27 giugno 1986, n. 151. 255 È la stessa UNESCO ad osservare come “senza lasciarsi sfuggire il grande valore economico e sociale del patrimo-

nio culturale e naturale, devono essere prese misure per promuovere e rinforzare l’eminente valore culturale ed educati-vo di questo patrimonio”, così come è possibile leggere nell’art. 62, Raccomandazione concernente la protezione, a li-vello nazionale, del patrimonio culturale e nazionale, approvata a Parigi il 16 novembre 1972.

256 GAMPAGLIA, G., L’azienda Museo: profili economici e gestionali, in Impresa commerciale e industriale, vol. 26,3/2004, pp. 436 ss.

257 TARASCO, A. L., La gestione dei beni culturali degli enti locali: profili di diritto dell’economia, in Foro Amm.CDS, 2006, pp. 2392 ss.

258 BARBATI, C., L’impresa museale: la prospettiva giuridica, in http://www.aedon.mulino.it, 2010.259 TARASCO, A. L., La gestione dei beni culturali degli enti locali: profili di diritto dell’economia, in Foro Amm.

CDS, 2006, pp. 2396 ss. 260 La Corte dei Conti, con la delibera n. 8/2005/AUT, ha approvato la Relazione sul controllo Musei degli Enti loca-

li, 2005, disponibile su http://www.corteconti.it: tale indagine ha evidenziato come, negli anni 2001-2002, più del 50%delle entrate del sistema museale veneziano siano state di provenienza statale; le entrate derivanti dalla biglietteria e daiservizi, ossia quelle su cui andrebbe valutata l’economicità della gestione imprenditoriale, raggiungono a stento il 30%,dato comunque superiore rispetto ad una media nazionale che si aggira intorno al 25%.

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del criterio di economicità, porterebbe ad integrare una fattispecie d’impresa261, che, viceversa, è in

linea di principio da escludere qualora il museo tragga una cospicua parte delle proprie entrate non

dalla propria attività ma da sussidi pubblici o privati262. Allo stato attuale della situazione, è pertanto

arduo poter ritenere configurabile una caratterizzazione imprenditoriale dei musei italiani.

Il risultato veneziano è derivato principalmente da una gestione più severa della biglietteria,

con la diminuzione delle fasce gratuite e l’aumento del costo del biglietto: queste iniziative non

hanno portato ad una contrazione delle visite, tanto che il Palazzo Ducale rappresenta il secondo

museo più visitato d’Italia263. Pare dunque che condizioni più restrittive all’entrata, riscontrabili nel

maggior pagamento di un biglietto, non abbiano influenzato il grado di accessibilità al bene cultura-

le264. Parallelamente, una restrizione delle possibilità di libera e gratuita riproduzione dell’immagine

del bene culturale potrebbe essere un fattore neutro all’utenza e non pregiudicare il grado di fruibili-

tà dello stesso? Diventa difficile valutare la portata degli effetti di questo interrogativo alla luce del-

la prassi, in mancanza di dati specifici.

Se l’attività complessiva del museo non può considerarsi imprenditoriale, possono d’altro

canto esserlo le attività ad esso connesse singolarmente considerate. La gestione del servizio di ri-

produzione è da considerarsi di natura privatistica e commerciale, in quanto esso è accessorio e fa-

coltativo rispetto allo scopo del museo: questo vale per i concessionari, ma non per gli enti pubblici

che vendono pubblicazioni265. Secondo rilevazioni statistiche riferite ad oltre dieci anni dopo l’en-

trata in vigore della legge Ronchey, solo un terzo dei musei locali aveva organizzato un servizio

editoriale, facendo in gran parte ancora leva su una gestione diretta anziché esternalizzare mediante

affidamento ai privati: in aggiunta a questo, i musei pubblici tendono a non avere una contabilità di-

stinta rispetto all’ente di appartenenza, rendendo difficile stabilire quantitativamente non solo la mi-

surazione dei costi, ma anche una chiara percezione delle voci in entrata, tra cui quella relativa ai

corrispettivi per la riproduzione del bene culturale266.

L’autonomia organizzativa che ha da essere riconosciuta al museo pubblico perché esso pos-

sa indirizzarsi verso una migliore definizione delle proprie attività e finalità267 non è affatto un pun-

261 Come osserva che possa avvenire per le collezioni d’arte LEOZAPPA, A. M., Le collezioni d’arte contemporanea tradiritto di autore e diritto di impresa, in Giur. Comm., 5/2005, pp. 658 ss.

262 OLIVIERI, G. - STELLA RICHTER, M., I marchi dei musei, in AIDA, 1999, p. 225.263 Secondo la classifica per il 2012 di The Art Newspaper, in http://www.theartnewspaper.com.264 In effetti, indagini sulla elasticità della domanda museale sembrano testimoniare che l’agire sul prezzo del biglietto

non comporta grosse variazioni nell’affluenza di pubblico: la domanda si presenta quindi sostanzialmente anelastica. Siveda FREY, B. S. – MEIER, S., The Economics of Museums, in GINSBURGH, V. - THROSBY, C. D. (a cura di), Handbook ofthe Economics of Art and Culture, Amsterdam, 2006, p. 1021.

265 Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 1995, n. 1532, in Foro Amm., 1995, p. 2586, fondando l’esclusione degli enti pub-blici sulla base dell’art. 61, comma 12, lett. l), d.m. 4 agosto 1988, n. 375, Norme di esecuzione della legge 11 giugno1971, n. 426, sulla disciplina del commercio.

266 TARASCO, A. L., La gestione dei beni culturali degli enti locali: profili di diritto dell’economia, in Foro Amm.CDS, 2006, pp. 2392 ss.

267 Lo sviluppo di una politica che tuteli e valorizzi queste istanze autonomistiche culturali dei musei trova ragiond’essere negli articoli 9 e 33 della Costituzione secondo AINIS, M., Lo statuto giuridico dei musei, in Riv. Trim. Dir.

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to fermo nello sviluppo del settore, sia per i musei statali, vincolati in una rigida rete istituzionale,

sia per i musei locali, frenati talvolta dalle restie politiche dei governi territoriali268. Su questo ver-

sante, si è cercato di passare da un museo-oggetto, concepito come semplice ufficio dell’ammini-

strazione, ad un museo-soggetto, tramite il conferimento di personalità giuridica di diritto privato,

secondo il modello di fondazioni ed associazioni, ossia di organizzazioni a finalità non economi-

che269, avvicinando il museo pubblico al museo privato, che si autodetermina ed è autoresponsabile.

Naturalmente, la trasformazione nella soggettività giuridica del museo non determina un mutamento

nelle finalità dell’istituto museale, che rimangono orientate al promovimento della cultura, e nem-

meno nello status del bene culturale eventualmente ivi contenuto: il cambiamento del regime del

museo non determina a cascata un diverso tipo di proprietà degli oggetti che esso raccoglie, per cui

è ben possibile immaginare raccolte di appartenenza pubblica contenute in musei a gestione priva-

ta270. Le raccolte dei musei, se appartenenti allo Stato, alle province o ai comuni, fanno parte del de-

manio pubblico e, per questa ragione, sono inalienabili271. Il bene culturale, pertanto, per quanto

possa essere detenuto in una struttura a gestione privata, rimane di appartenenza dell’ente pubblico

e, di conseguenza, resta la necessità di versamento di un corrispettivo per la riproduzione. Il Codice

prevede espressamente che i corrispettivi per la riproduzione dei beni culturali siano versati ai sog-

getti pubblici cui gli istituti, i luoghi o i singoli beni appartengono o sono in consegna272: da un si-

mile dettato normativo deriva che all’ente pubblico spetta il corrispettivo per la riproduzione di un

bene culturale di sua appartenenza, fosse anche sito in una struttura non direttamente afferente al-

l’amministrazione. Non necessariamente, tuttavia, la creazione di una fondazione comporta il confe-

rimento in uso dei beni da parte del Ministero. Occorre notare che l’articolo 107 prevede il consen-

so dell’amministrazione per i soli beni che abbia in consegna: se la gestione materiale è di un ente

privato, spetterà ad esso, e non ad un responsabile pubblico, vagliare le richieste per porre il proprio

consenso.

Un’autonomia organizzativa non implica l’approdo alla dimensione dell’impresa commer-

ciale273, ma è il primo passo per la creazione di un sistema culturale pluralista, in cui il confronto tra

le diverse offerte museali può essere svolto in primo luogo tramite la distinzione operata da un se-

Pubbl., 1998, pp. 396 ss.268 BARBATI, C., L’impresa museale: la prospettiva giuridica, in http://www.aedon.mulino.it, 2010.269 Sulle nozioni base di associazioni e fondazioni, si veda, TORRENTE, A. - SCHLESINGER, P., Manuale di diritto priva-

to, Milano, 2007, pp. 147 ss. 270 SEVERINI, G., Musei pubblici e musei privati: un genere, due specie, in http://www.aedon.mulino.it, 2003.271 Combinato disposto degli artt. 822, comma 2; 823, comma 1; 824, comma 1, Codice Civile. Il medesimo regime è

ripreso e specificato negli artt. 53 ss. d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codi-ce Urbani).

272 Art. 110, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).273 Evidenzia i rischi di questo fraintendimento ZAN, L., La trasformazione delle organizzazioni culturali in fondazio-

ne: la prospettiva manageriale, in http://www.aedon.mulino.it, 2003.

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gno distintivo quale il marchio274. Il marchio non ha l’unica funzione di distinguere un prodotto al-

l’interno del mercato: esso, in casi come questo, permette la caratterizzazione di un territorio e di un

ambito culturale. In quest’ottica, l’impresa risulta idealmente formata dai soggetti che operano nel-

l’ambito di quel territorio avvantaggiandosi del suo marchio275. Un museo ha interesse ad adottare

un marchio perché con esso va a caratterizzare la propria offerta culturale, rendendo i beni culturali

l’oggetto di un’impresa consistente nel servizio pubblico della fruizione, visiva e culturale, delle

opere esposte276. In particolar modo, a questo punto l’immagine del bene culturale verrebbe a rileva-

re sotto il profilo della concorrenza sleale qualora altri utilizzasse l’immagine. Le restrizioni a cui è

sottoposta la riproduzione dei beni culturali potrebbero essere giustificate dalla volontà di impedire

un uso scorretto della loro immagine a danno della comunità territoriale per la conseguente possibi-

lità di creare confusione, determinare discredito ed anche danneggiare la reputazione dei beni cultu-

rali stessi277. Si tratta di una suggestione difficilmente ancorabile al diritto positivo, ma che, astratta-

mente elaborata, si pone come alternativa economicistica alla giustificazione della limitazione alla

riproduzione dei beni culturali tramite la soluzione del danno all’immagine. In entrambi i casi, la

ratio del controllo sull’immagine del bene culturale a discapito della sua accessibilità può essere

rintracciata nella volontà di evitare un danno alla comunità. A ben vedere, è questa la dimensione

più consona a rintracciare un profilo economicamente interessante a partire dal museo, il quale non

crea profitto in sé e per sé, ma, oltre a generare un indotto turistico a vantaggio del luogo circostan-

te, qualifica culturalmente le attività che trovano sede in quella comunità, aumentandone l’apprez-

zamento ed il valore. E allo stesso modo con cui un prodotto, nell’intenzione dell’imprenditore,

deve essere conosciuto senza essere svilito, così anche per il bene culturale occorre trovare un giu-

sto compromesso tra il suo grado di accessibilità e la preservazione del suo alto contenuto, nell’inte-

resse non solo degli utenti ma anche della comunità di provenienza.

2.2 Il museo e i diritti d’autore e di proprietà

Sembrerà banale rilevarlo, ma l’accesso alle immagini dell’arte è essenziale per studio, ricer-

ca e diffusione della cultura, ragion per cui è fondamentale capire come un museo gestisca simili

immagini278. Sull’altro piatto della bilancia, occorre considerare che il controllo sull’immagine dei

beni del museo rappresenta un’occasione per l’ottenimento di corrispettivi dalla riproduzione di im-

magini dei beni ivi contenuti ed una garanzia di corretta diffusione fungendo da ostacolo a riprodu-

274 OLIVIERI, G. - STELLA RICHTER, M., I marchi dei musei, in AIDA, 1999, p. 222.275 LEMME, G., Gli Open Air Museums come risorsa economica, in http://www.aedon.mulino.it, 2010.276 Così secondo SCOGNAMIGLIO, C., Proprietà museale ed usi non autorizzati di terzi, in AIDA, 1999, p. 67. 277 In parallelismo con il disposto dell’art. 2598, Codice Civile. 278 È a partire da questa riflessione che si muove l’indagine di CREWS, K. D., Copyright, museums, and licensing of

art images, in http://www.kressfoundation.org, 2011.

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zioni inaccurate279. Paradossalmente, i musei stessi, nel loro tentativo di arginare la proliferazione di

riproduzioni, talvolta danno origine alla diffusione di immagini che non rispecchiano l’opera: se per

evitare che un’immagine rappresentativa venga utilizzata ad libitum si fornisce alle pubblicazioni o

sulle pagine multimediali una raffigurazione a risoluzione degradata od a colori alterati, non si ri-

schia di ottenere un risultato peggiore tale da compromettere addirittura la conoscenza dell’opera

stessa da parte del pubblico? Ricordando d’altra parte che scarsità non è sempre sinonimo di miglio-

re qualità, l’istituto museale può ottenere il risultato di restringere il diffondersi delle immagini del-

le opere in esso custodite impedendo, con un apposito divieto, la possibilità ai visitatori di scattare

fotografie: ragionamento, questo, che va a soffocare anche quelle possibilità in cui sono state confi-

nate le libere utilizzazioni e che si pone in contrasto con la “natura comunitaria” del bene culturale,

che dovrebbe essere considerato un patrimonio di tutti. Ovviamente, un bene culturale non può ri-

manere ignoto al pubblico e quindi una sua conoscenza, anche tramite la rappresentazione visiva,

deve essere in qualche modo assicurata. Che ciò avvenga anche solo tramite poche fonti a questo

appositamente autorizzate, è sufficiente per aprire falle nel sistema di controllo sull’immagine, dato

che con la tecnologia simili raffigurazioni possono trovare modo di essere replicate, a pregiudizio di

quegli operatori economici che fanno di tali riproduzioni un potente contenuto del loro giro d’affari.

Tali operatori, di solito, sono scelti dal museo in base alle garanzie di professionalità nel gestire la

diffusione delle immagini: in particolar modo, si avrà cura di specificare il contenuto dei diritti di

proprietà, le tematiche sullo sviluppo delle immagini, gli standard di qualità delle immagini, i corri-

spettivi dovuti, le garanzie e le responsabilità nella corretta esecuzione del contratto280.

Il museo può avere un diritto di riproduzione in base alla legge sul diritto d’autore se lo ha

esplicitamente acquisito in via definitiva o temporanea, altrimenti ne è titolare l’autore stesso281: ra-

ramente tuttavia il museo si assicura tale diritto. Sulla tematica del diritto d’autore, valga quanto si è

già detto in precedenza: qui è possibile aggiungere un’ulteriore postilla su come anche la riprodu-

zione nelle antologie ad uso scolastico, e quindi all’interno di mezzi che per principio sono funzio-

nali alla diffusione della cultura, sia vincolata al rispetto di determinate misure ed a pagamento me-

diante equo compenso282. Bisogna ricordare che, tuttavia, solo minima parte dei beni culturali ricade

nella sfera del diritto d’autore e, per di più, è appositamente specificato che la riproduzione dei beni

culturali è oggetto di particolare regime al di fuori del diritto d’autore283, il quale, come già ricorda-

to, ha presupposti e ragioni totalmente differenti. Analizzando le forme con cui i musei statunitensi279 Sono queste le ragioni che porta a proprio sostegno il Museum Copyright Group, come è possibile leggere all’in-

terno della sua pagina web all’URL http://museumscopyright.org.uk. 280 STABILE, S., Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, in Dir. ind., 3/2002, p. 303.281 Art. 109, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo

esercizio.282 Art. 70, comma 2, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo

esercizio.283 Art. 107, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).

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reclamano un controllo sulla diffusione delle opere in essi contenute, è stato osservato che spesso

v’è un richiamo improprio alla tutela della proprietà intellettuale mediante diversi espedienti: riven-

dicazione di falsi copyright; affermazione di copyright non posseduti dal museo; rivendicazione di

ulteriori diritti rispetto al copyright; affermazione di diritti di stampo morale284. Simili giustificazio-

ni risultano labili se non addirittura inappropriate, mascherando il tentativo di frenare una incontrol-

lata diffusione di riproduzioni in pubblico dominio che l’istituto museale ritiene sfruttabili in termi-

ni economici. Tutt’altro discorso è, naturalmente, quel che riguarda le riproduzioni di proprietà del

museo, per le quali si applicherà, ove possibile, la disciplina del diritto d’autore sulla riproduzione

stessa.

Tipicamente, il ruolo di intermediario tra l’opera e la diffusione al pubblico mediante ripro-

duzione dell’opera è svolto dagli editori, che con le loro pubblicazioni agevolano conoscenze e flus-

so di informazioni, ma la cui funzione risulta ultimamente come schiacciata tra un’incudine ed un

martello. Da un lato, gli editori hanno da concordare l’accesso e l’utilizzazione dell’immagine del

bene culturale con l’autorità di riferimento, non valendo a nulla l’invocazione della libera utilizza-

zione per finalità culturali o per la parzialità della riproduzione o per l’assenza di finalità lucrative

in presenza di prezzi fissati a livello più basso rispetto ai costi di riproduzione 285; dall’altro lato,

essi rischiano di non vedersi riconosciuti diritti d’autore sulle riproduzioni meramente rappresentati-

ve e prive di una minima creatività, come può avvenire nell’illustrare un bene culturale qualora si

abbia un fine meramente documentale286. A quest’ultimo riguardo, ha fatto molto discutere oltreo-

ceano un caso risolto dalla Corte del Distretto Meridionale di New York: pur non essendo una deci-

sione derivante da una corte superiore, il caso c.d. Bridgeman287 ha avuto molta eco, ispirando an-

che corti di altri stati federati. Esso è andato a frustrare le aspettative di un editore che, anziché riu-

scire a frenare l’uso che un’altra impresa faceva delle immagini di sua proprietà raffiguranti opere

d’arte, s’è visto disconoscere il requisito di tutela secondo copyright di quelle fotografie in quanto

ritenute copie servili senza un minimo di originalità rispetto alle opere d’arte riprodotte. Si può in-

vece osservare come nelle riproduzioni operate manualmente si ritrovi generalmente quel requisito

di abilità sufficiente a rendere la riproduzione oggetto di tutela288.

284 CREWS, K. D., Museum policies and art images: conflicting objectives and copyright overreaching, in FordhamIntell. Prop. Media & Ent. L. J., vol. 22, 2012, pp. 821 ss.

285 Con richiamo anche ai casi giurisprudenziali in cui si è vanamente cercato di far valere simili motivazioni, si vedaMOTTI, C., Opere protette e diritti dell’autore e del museo, in AIDA, 1999, p. 104.

286 Si ricorda che il riferimento per le fotografie raffiguranti oggetti materiali è l’art. 87, comma 2, d.lgs. 22 aprile1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. Si ricorda che il comma 1 delsuddetto articolo fa salve le riproduzioni di opere dell’arte figurativa, proprio per assicurare una maggior tutela alle in -dustrie editoriali secondo BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie ,in AIDA, 2002, p. 384.

287 Bridgeman Art Library, Ltd. v. Corel Corp., 36 F. Supp. 2d 191 (S.D.N.Y. 1999).288 Sempre in ambito statunitense, il riferimento è al caso Alfred Bell & Co. v. Catalda Fine Arts, Inc. 191 F.2d 99 (2d

Cir. 1951), in cui le acqueforti raffiguranti opere artistiche in pubblico dominio sono state ritenute meritevoli della tute-la del copyright in quanto forme di interpretazione artistica.

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Spesso i musei si affidano ad apposite società per la vendita e la gestione dei diritti di ripro-

duzione delle loro opere. In ambito italiano, il Ministero preposto ai beni culturali ha stipulato ac-

cordi con società in possesso di notevoli archivi fotografici: mentre il Ministero potrà ottenere in

uso a condizioni agevolate le fotografie di tali archivi, le suddette società potranno utilizzare le foto-

grafie raffiguranti beni culturali a fronte del pagamento di una ridotta somma forfetaria e rispettan-

do precise condizioni su modalità e qualità delle riproduzioni289.

Il tipo di controllo che l’istituto museale esercita sul bene culturale non nasce ispirandosi

tanto al campo del diritto d’autore quanto a quello della proprietà. Occorre sempre tenere presente

che il potere del proprietario del bene museale non consiste tanto nella possibilità di escludere i terzi

dal godimento del bene, quanto nell’interesse a controllare e determinare l’utilizzazione economi-

ca290. L’immagine in sé non rientra fra le tipiche attività di controllo del proprietario sul suo bene,

anche perché l’immagine è esterna al bene, formandosi mediante l’impressione su un supporto, sia

esso la retina oculare o la carta da fotografia. Il proprietario può però impedire che la diffusione del-

l’immagine pregiudichi le modalità di utilizzo del bene, la qual cosa varrebbe a dire, nel caso dei

musei, che si va ad esercitare un controllo sulla conformità della riproduzione secondo un interesse

che riguarda più l’intera comunità che il singolo museo in cui si trova il bene culturale. Simile pre-

giudizio può svilupparsi sotto aspetti diversi. Oltre alle ragioni prettamente economiche per ottenere

ricavi funzionali al sostenimento del museo ed ai più nobili motivi di controllo di un adeguato stan-

dard qualitativo sulla circolazione dei contenuti del bene culturale, sono state rintracciate altre giu-

stificazioni per spiegare come mai un museo avrebbe da limitare la diffusione delle immagini delle

opere in esso conservate: v’è infatti la possibilità che tali limiti siano stati posti come clausola al

momento dell’acquisizione del bene da parte del museo, specialmente in caso di donazione; inoltre,

un’ulteriore spiegazione consiste nella volontà del museo di assicurarsi una tale reputazione da arri-

vare a censurare usi non consoni al raggiungimento di questo obiettivo291; infine, possono sussistere

esigenze di preservazione del bene e di garanzia della sicurezza pubblica. Sono valide motivazioni

per ritenere che, in loro mancanza, venga pregiudicata la funzione del bene culturale innanzi alla

comunità? La valutazione non può che essere fatta caso per caso. In effetti, se ben si considera, que-

sto ragionamento non spiega le restrizioni poste anticipatamente alla riproduzione in sé, ma, sem-

mai, pone le basi per una maggior razionalizzazione dell’uso che verrà fatto della riproduzione: con

ciò, si torna a considerare che difficilmente possono spiegarsi gli ostacoli alla libera riproduzione di

289 All’URL http://www.unsabeniculturali.it è disponibile il rinnovo dell’accordo tra il Ministero e le società FratelliAlinari I.D.E.A. e Scala Group stipulato nel 2006 secondo una prassi costante già dai primi anni successivi alla leggeRonchey.

290 SCOGNAMIGLIO, C., Proprietà museale ed usi non autorizzati di terzi, in AIDA, 1999, p. 74. 291 CREWS, K. D., Museum policies and art images: conflicting objectives and copyright overreaching, in Fordham

Intell. Prop. Media & Ent. L. J., vol. 22, 2012, pp. 812 ss.

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beni culturali sulla base del diritto di proprietà292. Del resto, s’è notato che i modi differenti di con-

notarsi della titolarità della proprietà museale sul piano soggettivo non comportano diversità nei ri-

medi, specialmente risarcitori293, nonostante le peculiarità con cui si manifestano le modalità e la na-

tura del pregiudizio in un contesto di collettività pubblica rispetto ad una dimensione privata294.

Occorre valutare a quale parametro commisurarsi: oltre alla strada del risarcimento del dan-

no, si possono avanzare altre ipotesi. Si può, per esempio, ritenere sussistente il conseguimento di

un ingiusto arricchimento295, ma è incerto se da una simile fattispecie sia possibile ricavare un gene-

rale principio che porti a versare al titolare dell’interesse stesso quanto ricavato, e non soltanto la

correlativa diminuzione patrimoniale verificatasi. Il danno risarcibile derivante dall’illecita utilizza-

zione delle riproduzioni del bene culturale può stabilirsi in base al valore di mercato delle riprodu-

zioni ed alle conseguenze dell’utilizzazione che abbiano comportato una compromissione della fun-

zionalità per il museo, quale, per esempio, lo scioglimento di un contratto di sponsorizzazione a

causa del diminuito prestigio dell’opera296. Sennonché, è immediatamente rilevabile come l’ipotesi

dell’ingiusto arricchimento richieda – e come potrebbe essere altrimenti? – un altrui arricchimento.

Non potrebbe rientrare nella fattispecie l’impiego improprio dell’immagine del bene culturale che

non comporti un fine di profitto per l’utente, come nel caso di una diffusione dell’immagine per

scopi puramente ludici o di intrattenimento. Per quanto una simile configurazione sia ragionevole,

le norme del Codice, prevedendo un regime specifico di libere utilizzazioni, rende tout court sog-

getto ad autorizzazione ed a corrispettivo ogni altro uso.

Il risarcimento del danno si presenta come la strada preferibile per configurare la possibilità

per il museo di far valere i propri diritti violati. A monte, la previsione di un corrispettivo a priori

non può trovare giustificazione in un danno non ancora avvenuto. Solo successivamente all’uso non

consentito si potrà proporre domanda di risarcimento in base al danno causato per lo svilimento del

bene culturale. La previsione di un corrispettivo anticipato dovuto per la riproduzione dei beni cul-

turali in consegna all’autorità pubblica, senza che sia remissivamente considerato un dato di fatto,

va spiegata in altro modo. A fidarsi della terminologia adoperata dal legislatore, l’onere pecuniario

previsto non è configurato come una tassa, bensì come un corrispettivo297. Ne consegue che il paga-

mento è dovuto in risposta ad un servizio ricevuto, presumibilmente consistente nella effettiva ed

292 STÉRIN, A.-L., Un musée peut-il interdire de photographier?, in http://www.adbs.fr, 2011.293 SCOGNAMIGLIO, C., Proprietà museale ed usi non autorizzati di terzi, in AIDA, 1999, pp. 70 ss. 294 In base a quest’osservazione, mostra alcune perplessità nell’ipotizzare una fattispecie di danno all’immagine per

beni culturali di proprietà pubblica CORNU, M., Droit des biens culturels et des archives, in http://eduscol.education.fr,2003, p. 25.

295 Art. 2041, Codice Civile.296 SCOGNAMIGLIO, C., Proprietà museale ed usi non autorizzati di terzi, in AIDA, 1999, pp. 79 ss. 297 La distinzione tra tasse e corrispettivi di pubblici servizi è riconosciuta ardua dagli stessi tributaristi, ma, in via ge -

nerale, si può configurare un corrispettivo se la fonte del rapporto sia un contratto o, in mancanza di esso, il procedi-mento acquisitivo non è di stampo esclusivamente coattivo. Si veda FALSITTA, G., Corso istituzionale di diritto tributa-rio, Padova, 2012, pp. 15-16.

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efficace messa a disposizione del bene culturale. È questa però la missione stessa del museo, che ri-

schia di essere tradita dalla restrizione nella diffusione della cultura in luogo del suo promovimento.

Già in molti casi è previsto il pagamento di un biglietto all’ingresso: rispetto ad esso, il corrispettivo

per la riproduzione si affianca per coprire un servizio ulteriore298. La previsione di simili limiti sul-

l’accesso alla cultura corre il rischio di apparire beffarda e, talvolta, paradossale: mentre la riprodu-

zione effettuata dall’utente ha da valicare il consenso dell’autorità ed eventualmente il pagamento di

un corrispettivo, il museo stesso può aver messo a libera disposizione sul web una galleria fotografi-

ca delle opere esposte.

La ricostruzione di gallerie multimediali è una pratica che sta avendo notevole diffusione.

Numerosi sono i progetti che vedono coinvolta una grande quantità di istituti museali. Per la larga

propensione alla diffusione che caratterizza il web, si ritiene opportuno dedicare un apposito para-

grafo a questa tematica.

2.3 Il museo ed il web

Tra le misure annunciate all’inizio dell’agosto 2013 per valorizzare la cultura secondo un

progetto normativo che, a detta dei proponenti, rappresenterebbe il più importante intervento nel

settore culturale in Italia dopo decenni, è specificamente presente la previsione di una massiccia di-

gitalizzazione del patrimonio culturale al fine di facilitarne l’accesso e la fruizione da parte del pub-

blico299. In precedenza, già nel 2010 il Ministero per i beni e le attività culturali aveva sottoscritto

un accordo con una nota impresa di servizi online per la digitalizzazione e messa in rete di circa un

milione di pregiati volumi custoditi nelle biblioteche nazionali, per renderli reperibili gratuitamente

in rete con facilità nel giro di pochi anni. Limitandosi all’analisi di quanto è stato già fatto al mo-

mento della redazione di questa scrittura, si può osservare come il percorso verso la multimedialità,

dopo le diffidenze iniziali, è stato decisamente riconsiderato da parte degli istituti museali. Si è por-

tati a ritenere la rete Internet la forma probabilmente più idonea, per caratteristiche tecniche e socia-

li, a diffondere in modo rapido contenuti culturali presso un’ampia parte della popolazione mondia-

le. Allo stesso tempo, però, l’immissione sul web di immagini di beni culturali comporta il rischio

di una loro diffusione incontrollata, con i conseguenti interrogativi in tema di libera riproduzione

delle immagini, di protezione contro riproduzioni o alterazioni non autorizzate, di commercializza-

298 CARPENTIERI, R., Artt. 107-108-109, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Mila-no, 2005, p. 472.

299 Tale annuncio s’è poi concretato nell’art. 2, comma 1, d.l. 8 agosto 2013, n. 91, Disposizioni urgenti per la tutela,la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo , convertito in legge 7 ottobre 2013, n. 112,Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti per la tu-tela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo.

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zione abusiva300, nonché di lesione della fede pubblica, di superficialità e confusione nella fruizio-

ne301.

Per evitare di incorrere in simili rischi, si è assistito ad una proliferazione di progetti di digi-

talizzazione che garantiscano qualità e sicurezza sulla provenienza dell’informazione, tanto ad ope-

ra dei singoli musei (una delle prime notevoli esperienze è stata quella operata dal Rijksmuseum di

Amsterdam) quanto in forma coordinata tra reti culturali, sia a livello nazionale sia a livello comu-

nitario ed internazionale302. La via verso la digitalizzazione è stata tracciata a livello globale: l’U-

NESCO303 ha riconosciuto che il patrimonio digitale va sviluppato e preservato per le sue importanti

funzioni, in primis culturali; l’Unione Europea304, ritenendo che le conoscenze culturali e scientifi-

che europee formino un patrimonio di pubblico valore, ha stabilito dei princìpi pratici ed orientativi

per garantire una digitalizzazione di contenuti culturali funzionale al cittadino. Non solo: la digita-

lizzazione delle opere dei musei è stata incoraggiata anche dall’OMPI (Organizzazione Mondiale

della Proprietà Intellettuale), che ha avviato studi per definire procedure tipo e modelli contrattuali

adeguati in tema di licenze, e dall’IIPI (International Intellectual Property Institute), che ha attivato

un progetto per formare professionalità che assistano i musei nella digitalizzazione delle immagini e

nella gestione successiva a tale processo. Tra le cause che hanno in alcuni casi frenato le procedure

di digitalizzazione da parte dei musei, soprattutto riguardo ai repertori più vasti, oltre alla lamentata

carenza di fondi e di tecnologie adeguate a loro disposizione, c’è infatti anche la mancanza di appo-

site competenze nel personale305. Il procedimento di digitalizzazione consiste nella creazione di co-

pie virtuali mediante l’acquisizione di molteplici fotografie così da ottenere una riproduzione fedele

ai minimi particolari: sostanzialmente, quindi, la disciplina applicabile rimane quella legata alle fo-

tografie306, avendo costantemente la cura di ricordarne le conseguenze in tema di diritto d’autore.

Diverse sono le possibilità con cui un museo può utilizzare il proprio web-space: può sem-

plicemente fornire informazioni e notizie ed un limitato e parziale assaggio delle immagini dei beni

ivi contenuti, ma può anche costituire una vera e propria galleria multimediale delle opere che espo-

ne e delle mostre che ospita, così da formare una sorta di museo virtuale in corrispondenza al museo300 STABILE, S., Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, in Dir. ind., 3/2002, pp. 299 ss.301 SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,

4/2001, pp. 1019 ss.302 Per avere una rapida impressione di come sia divenuta di preponderante importanza la questione della diffusione

on-line del patrimonio culturale, è sufficiente scorrere il sommario del testo monografico, presentato al Forum dellaPubblica Amministrazione tenutosi a Roma il 16-19 maggio 2012, Il MIBAC a servizio dei cittadini, reperibile inhttp://www.beniculturali.it.

303 Con la Carta sulla conservazione del patrimonio digitale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003.304 In particolar modo, si segnalano i risultati conseguiti dalla riunione di esperti a Lund, il 4 aprile 2001, che hanno

fissato i punti fondamentali per poter dare origine al progetto MINERVA (MInsterial NEtwoRk for Valorising Activitiesin digitisation), che ha funzioni di supporto e coordinamento a livello europeo tra i Ministri della Cultura.

305 ZORICH, D., Transitioning to a Digital World: Art History, Its Research Centers, and Digital Scholarship , consult-abile all’URL http://www.kressfoundation.org, 2012, pp. 18 ss.

306 SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,4/2001, pp. 1046 ss.

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reale307. Tendenzialmente, non ci dovrebbe essere il rischio di una sovrapposizione tra i due ambien-

ti: finora non si è verificato il timore che la virtualità erodesse la realtà. Certo si può ben capire che

difficilmente un soggetto potenzialmente interessato alla visita di un museo possa accontentarsi di

un’immagine digitale308: per quanto già dalla riproduzione dell’immagine in alta risoluzione possa

avvenire una prima trasmissione di contenuti, la decisione di visitare un museo raramente viene

meno per la soddisfazione nell’aver preso visione dell’immagine dell’opera, mentre è più vero il di-

scorso inverso, e cioè che la conoscenza dell’opera può indurre alla visita colui che altrimenti non

si sarebbe interessato a quell’ambito culturale. La riproduzione dell’immagine non è neutra rispetto

all’utente, ma nemmeno sostitutiva in toto: fornisce una prima serie di informazioni e veicola quella

parte di contenuti più immediata309.

Seguendo questo presupposto, i musei, nell’organizzare gallerie digitali delle opere che

espongono, non solo svolgono appieno la loro missione culturale al servizio della società, ma anche

pubblicizzano le loro esposizioni in modo da attirare più visitatori: anziché affannarsi nella ricerca

di dispendiosi mezzi legali e tecnologici per difendere il proprio controllo sui beni, i musei traggono

un’indubbia pubblicità da una libera circolazione delle immagini di quanto contengono310.

Per garantire un corretto impiego delle immagini messe a disposizione del pubblico, si può

ricorrere ad un sistema di Digital Rights Management, come può esserlo la marchiatura elettronica

(digital watermarking), la quale prevede l’inserimento all’interno del bene di informazioni utili a

definirne i contorni di proprietà intellettuale. Inoltre, si può ricorrere a forme di tracing, ossia avere

la possibilità di rintracciare la copia distribuita in rete; a meccanismi che controllino se vi siano le

dovute autorizzazioni; a sistemi automatici di pagamento per la visualizzazione del file311. In caso di

mancata autorizzazione, la responsabilità della diffusione illecita mediante Internet è del singolo

utente che l’ha causata, salvo casi di siti web che indicizzano le informazioni degli utenti o di diretta

responsabilità del provider, il quale, comunque, dovrà procedere prontamente alla rimozione dei

contenuti dal momento in cui è venuto a conoscenza della violazione312. Colui che, autorizzato a far-

lo, immette l’immagine in rete accetta ed anzi presuppone l’ipotesi che tale immagine venga visua-

lizzata da terzi necessariamente tramite una forma di riproduzione, perlomeno in via temporanea

307 BERTUGLIA, C. S. - BERTUGLIA, F. - MAGNAGHI, A., Il museo tra reale e virtuale, Roma, 1999, p. 148. 308 Non esclude a priori quest’eventualità PINNA, A., Problemi relativi alla riproduzione on line di opere museali pro-

tette dal diritto d’autore, in Nuova Museologia, 1/2001, p. 12. 309 Si vedano le riflessioni di BERTUGLIA, C. S. - BERTUGLIA, F. - MAGNAGHI, A., Il museo tra reale e virtuale, Roma,

1999, pp. 149 ss.310 BALLON, H. - WESTERMANN, M., Art History and its publications in the Electronic Age, disponibile in

http://cnx.org, 2006, pp. 30 ss.311 SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,

4/2001, pp. 1054 ss.312 Il riferimento legislativo legato alla responsabilità del provider (ossia del fornitore di servizi Internet) è il d.lgs. 9

aprile 2003, n. 70, Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società del-l’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico. Data l’esponenziale diffusio-ne del web, la giurisprudenza che ne è seguita è copiosa.

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sullo schermo del computer nel momento della visualizzazione. Quel che non si accetta è che, a par-

tire da questo punto, possa prodursi un’ulteriore diffusione fuori dal controllo del sito di provenien-

za, con la produzione di altre copie non autorizzate. Si tratta di un fenomeno particolarmente carat-

teristico del mondo digitale, dove la mancanza di un supporto fisico implica che la circolazione dei

contenuti avvenga mediante copia313. Per questo motivo, si suole distinguere dalla riproduzione tout

court la comunicazione al pubblico, la quale è contraddistinta dall’immissione di un’opera nella rete

telematica senza che ciò comporti la cessione del diritto di riproduzione ma soltanto quello di co-

municazione314.

Certamente anche le fotografie su supporto materiale possono venire duplicate, ma, in ag-

giunta al fatto che la copia conseguente risulta di qualità visibilmente inferiore, il museo può eserci-

tare su questo tipo di riproduzioni una forma più agevole di controllo, non essendovi una tale capil-

larità di canali di distribuzione come invece avviene nel mondo digitale, dove un’immagine può es-

sere copiata e messa in circolazione nel giro di pochi secondi315. Inoltre, la disponibilità di copie in

formato digitale consente di avere immagini in alta risoluzione, in grado di poter essere ingrandite,

non suscettibili al deterioramento operato dal tempo, cumulabili in database di grandi dimensioni e

facilmente accessibili: queste caratteristiche sono particolarmente appetibili soprattutto per la schie-

ra di operatori professionali del settore, quali gli studiosi della storia dell’arte. D’altro canto, il pas-

saggio dal formato analogico a quello digitale ha comportato effetti positivi anche per il business

museale: i musei più piccoli, con budget ridotto, che difficilmente potevano sostenere i costi di un

servizio di riproduzione specialmente di stampe in alta qualità, a fronte dei prezzi teoricamente infe-

riori delle immagini digitali possono essere incentivati ad aprirsi a questo settore secondo la modali-

tà virtuale, per quanto, più che dall’offrire la riproduzione in sé, una maggior rimuneratività derivi

dalla gestione dei diritti legati all’immagine316. In realtà, si verifica talvolta che il prezzo al pubblico

dell’immagine digitale offerta dal museo sia più elevato del corrispondente analogico, vuoi per la ti-

tubanza nello scindere online prezzi distinti per uso professionale o personale data la difficoltà di

scoprire le intenzioni di chi si cela dietro uno schermo317, vuoi per la meticolosità del procedimento

di digitalizzazione ed il conseguente innalzamento del livello qualitativo offerto318. Inoltre, spesso la

previsione del pagamento è riferita ad una licenza temporale: scaduto quel periodo d’utilizzo (soli-

313 SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,4/2001, pp. 1048 ss.

314 Art. 16, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.315 HAMMA, K., Public Domain Art in an Age of Easier Mechanical Reproducibility, in http://www.dlib.org, 2005.316 TANNER, S. – DEEGAN, M., Exploring Charging Models for Digital Cultural Heritage in Europe, in

http://www.dlib.org, 2003.317 BALLON, H. - WESTERMANN, M., Art History and its publications in the Electronic Age, disponibile in

http://cnx.org, 2006, p. 26.318 SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,

4/2001, p. 1048.

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tamente ristretto, da uno a cinque anni), se la licenza non è rinnovata si viene privati della disponi-

bilità dell’immagine319.

Spesso, i musei si rivolgono ad apposite società per la creazione e lo sviluppo di prodotti on-

line: generalmente, tali società forniscono ai musei anche servizi di web hosting e di registrazione

dei nomi di dominio, secondo contratti redatti sulla base di prototipi definiti Museum Web Site De-

velopment Agreements. Le società interessate ad acquisire e gestire il portafoglio immagini sono

dette agency: possono poi cedere a terzi la licenza ove non sia altrimenti espressamente escluso.

L’accesso può richiedere una previa registrazione, non necessariamente ristretta a determinate classi

di utenti, per l’accettazione di policy del sito e licenza d’uso320. La banca dati delle immagini, al pari

delle fotografie, può soggiacere al regime del diritto d’autore ove ciò sia possibile in virtù del suo

carattere creativo321: nel caso di raccolte di opere d’arte, il carattere della creatività nella selezione

ed organizzazione dei dati si ritiene raggiunto nella quasi totalità dei casi322.

Le esperienze virtuali offrono altre prospettive per allargare gli orizzonti della diffusione del

bene culturale. Per alimentare l’accessibilità e la fruibilità di chi difficilmente riesce a godere appie-

no della visita al museo, si può sostenere la creazione di società che possano proporre sul mercato la

sottoscrizione a servizi di ausilio per l’utente, come, per esempio, un’applicazione che funga da gui-

da al museo per i non vedenti323. Con l’applicazione delle nuove tecnologie, il futuro dei musei può

essere radioso324. Necessariamente, questo può avvenire se si privilegia la maggior disponibilità ed

accessibilità dell’opera a scapito dei tentativi di volerne controllare la diffusione. Lo sviluppo tecno-

logico difficilmente può essere arrestato con prese di posizione restrittive; può, però, essere indiriz-

zato verso le finalità più consone al raggiungimento degli obiettivi che caratterizzano le finalità de-

gli istituti museali e dei beni culturali.

3. La libertà di panorama

3.1 Nozione di libertà di panorama

319 ZORICH, D., Transitioning to a Digital World: Art History, Its Research Centers, and Digital Scholarship , consult-abile all’URL http://www.kressfoundation.org, 2012, p. 33.

320 GUERZONI, G. – STABILE, S., I diritti dei musei: la valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights ma-nagement, Milano, 2003, pp. 233 ss.

321 Si ricorda che le disposizioni espressamente previste sulle banche di dati sono gli artt. 64-quinquies e 64-sexies,d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.

322 MANSANI, L., Musei, esposizioni e banche dati, in AIDA, 1999, p. 190. 323 ABRAMO, A. – SIAGRI, R., Le tecnologie dell’informazione e i servizi per l’accessibilità, in I. GAROFOLO – C. CONTI,

Accessibilità e valorizzazione dei beni culturali: temi per la progettazione di luoghi e spazi per tutti , Milano, 2012, pp.91 ss.

324 “The digital future is bright for museums”: con queste parole introduce il proprio studio SHAPIRO, M. S., Museumsand the Digital Future, in http://www.wipo.int, 2000.

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Nulla pare più spontaneo che osservare il mondo che ci circonda. Poter guardare l’ambiente

circostante è una facoltà tanto banale e connaturata all’uomo, come a molteplici altri esseri viventi,

da non essere mai stata messa in discussione. Un paesaggio, infatti, appartiene a tutti, ciascuno può

contemplarlo liberamente; allo stesso modo, ciascuno può disegnarlo o fotografarlo e riprodurre il

suo disegno o il suo scatto325. Ma fin dove possono spingersi i nostri occhi? Certi luoghi sono pre-

clusi da barriere fisiche che ostacolano la vista: tipicamente, si tratta di ambienti racchiusi dentro un

perimetro artificiale di muri. La possibilità di superare questi confini e di accedere alla visione di

quanto è posto al loro interno dipende dalla tipologia di ambiente: se per vedere l’interno di un’abi-

tazione privata occorrerà il consenso del proprietario a pena della violazione della sua privacy, per

accedere ad un museo sarà sufficiente presentarsi durante l’orario in cui esso è aperto al pubblico e,

in taluni casi, pagare un biglietto di ingresso. Per la natura preclusa alla pubblica vista (perlomeno

in un momento iniziale superabile successivamente) di questi luoghi, potrebbe non stupire il fatto

che sia posto un controllo sulla diffusione delle immagini di quanto contengono. Un panorama che

invece è pienamente godibile da tutti non dovrebbe porre questi problemi: ci si aspetta che ciò che è

liberamente visibile sia anche liberamente riproducibile. Questa situazione è nota al diritto con il

concetto di libertà di panorama (Panoramafreiheit secondo la terminologia tedesca, da dove trova

origine, ossia panorama freedom nella traduzione inglese): su queste basi, ciascuno è libero di fare

riproduzioni di spazi pubblici ed utilizzarle tanto per fini personali quanto per fini commerciali.

Nell’epoca contemporanea, caratterizzata da mezzi di riproduzione sempre più sofisticati e

da una sempre maggiore velocità nella circolazione delle informazioni, il pubblico in grado di acce-

dere alla vista di quanto non è precluso da alcuna barriera fisica è oramai identificabile con qualsiasi

cittadino del mondo. Emblematico è il servizio offerto da svariati siti e programmi informatici che

permettono ovunque e a chiunque la visualizzazione di ogni angolo del globo tramite immagini rea-

lizzate principalmente per via aerea o via satellite, ma non solo. D’altronde, ben diverso è escludere

l’accesso fisico alla proprietà rispetto all’inibire la divulgazione di quanto si può cogliere dall’ester-

no326.

Diversi ordinamenti conoscono espresse previsioni relative alla libertà di panorama. Tra tut-

ti, alcuni testi particolarmente significativi meritano di essere ricordati. In Germania, è consentito ri-

produrre, diffondere e rendere pubblicamente fruibili le opere che si trovano esposte permanente-

mente in vie, strade o piazze pubbliche, con la precisazione che tale autorizzazione vale, nel caso

325 Quest’affermazione è l’esatta traduzione della riflessione giuridica di ROUAST, A., nota a CA Grenoble, 15 luglio1919, in Dalloz Périodique, 2/1920, p. 9.

326 RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011,pp. 552 ss.

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degli edifici, soltanto per il loro aspetto esterno327. In Spagna, le opere situate permanentemente in

parchi, strade, piazze o altre vie pubbliche possono essere riprodotte, distribuite e comunicate libe-

ramente328. In Brasile, le opere situate permanentemente in luoghi pubblici possono essere libera-

mente riprodotte in pitture, disegni, fotografie e processi audiovisivi329. In Danimarca, si ha la cura

di distinguere la sorte degli edifici, sempre liberamente riproducibili, da quella delle opere d’arte

permanentemente situate in un luogo pubblico, per le quali la libera riproduzione non è consentita

unicamente nel caso in cui l’opera sia il soggetto principale di una riproduzione che abbia scopi

commerciali330. In Svizzera, le opere permanentemente situate in luogo pubblico o accessibile al

pubblico sono liberamente riproducibili, purché le immagini riprodotte non siano in formato tridi-

mensionale né siano utilizzate per lo stesso scopo dell’originale331. In sede di diritto dell’Unione Eu-

ropea, occorre ricordare che, nell’armonizzare le discipline nazionali sul diritto d’autore, è possibile

che opere realizzate per essere collocate stabilmente in luoghi pubblici, come quelle architettoniche

o scultoree, siano oggetto di deroga rispetto al diritto di riproduzione332: concettualmente, la solu-

zione apportata dal diritto europeo rischia di presentarsi come un’arma a doppio taglio perché, se da

un lato offre agli stati membri l’opportunità di non applicare il regime del diritto d’autore a quanto

si trova esposto alla pubblica vista, dall’altro presenta questa eventualità quale una possibile deroga

al diritto d’autore e non come una situazione naturaliter data. Nel common law statunitense, il con-

cetto di panorama freedom difatti viaggia separatamente rispetto a quello di fair use333, anche se,

come si vedrà nell’esame della prassi, possono presentarsi dei punti di contatto.

In Italia, non c’è un’apposita previsione legislativa in merito alla libertà di panorama. In se-

guito alla legge Ronchey, una circolare del Ministero dei Beni Culturali indicava che le eventuali ri-

prese di esterno eseguite fuori dai confini del monumento interessato non fossero soggette a conces-

sione né tantomeno ad alcun pagamento334. Non di vera ammissione di libertà di panorama si tratta:

pare piuttosto una deroga a quella disciplina generale che limita la riproduzione del bene culturale,

deroga dettata dall’impossibilità materiale di controllare tutto ciò che avviene nel flusso esterno del327 § 59, Urheberrechtsgesetz del 9 settembre 1965, BGBl., I, p. 1273. 328 Art. 35, Real Decreto legislativo, 12 aprile 1996, n. 1, Por el que se aprueba el texto refundido de la Ley de la

Propiedad Intelectual regularizando, aclarando y armonizando las disposiciones legales vigentes sobre la materia, cosìcome modificato dalla ley 6 marzo 1998, n. 5, Incorporaciόn al Derecho español de la Directiva 96/9/CE delParlamento Europeo y del Consejo, de 11 de marzo de 1996, sobre la protecciόn juridica de las bases de datos.

329 Art. 48, lei 19 febbraio 1998, n. 9610, Altera, atualiza e consolida a legislação sobre direitos autorais e dá outrasprovidências.

330 § 24, LBK 27 febbraio 2010, n. 202, Ophavsretsloven.331 Art. 27, legge 9 ottobre 1992, n. 231.1, Legge federale sul diritto d’autore e sui diritti di protezione affini. 332 Art. 5, comma 3, lett. h), della Direttiva del 22 maggio 2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio, n.

2001/29/CE, Sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informa-zione.

333 Ricordando che per fair use si intende l’insieme di casi in cui l’uso di un’opera protetta da copyright è libero e le-gittimo, chiarisce fin dalle prime battute della sua analisi la differenza che intercorre tra questo concetto e quello di pa-norama freedom NEWELL, B. C., Freedom of Panorama: a Comparative Look at International Restrictions on PublicPhotography, in Creighton Law Review, vol. 44, 2011, p. 405.

334 Circ. Ministero per i beni culturali e ambientali, Gabinetto, Servizi Aggiuntivi, 7 giugno 1995, n. 50.

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mondo. La formulazione stessa della norma rischia di creare effetti paradossali: forse che salire i

primi gradini della scalinata di un monumento significa penetrare nei suoi confini, e pertanto le fo-

tografie scattate da quella posizione, a differenza di quelle scattate da coloro che stanno appena

qualche metro più distanti, fuori dal perimetro del bene culturale, non avrebbero potuto godere del-

l’apposita esenzione? Ciononostante, l’espresso richiamo a questa normativa è presente in taluni re-

golamenti locali a fini chiarificatori: occorre infatti ricordare che le modalità di fruizione del bene

da parte del pubblico sono determinate dai singoli enti territoriali.

La legislazione tedesca appositamente riconosce la sostanziale differenza in termini di esclu-

dibilità che intercorre tra un bene posto in un luogo chiuso e quello situato in un luogo aperto, la-

sciando, in quest’ultimo caso, piena libertà di impiego della riproduzione da parte dell’utente, consi-

derando l’immagine oggetto di pubblico dominio335. Nel Codice Urbani manca tale distinzione e

non si riconosce un’espressa libertà di panorama. La disciplina legata alla riproduzione dei beni cul-

turali sembra pertanto applicarsi indistintamente tanto a quei beni situati in un contesto chiuso quan-

to a quelli esposti alla pubblica vista. La portata di questa mancata distinzione diventa notevole se si

ricorda che, nell’elencare i beni culturali, in questa categoria rientrano, ad esempio, anche ville, par-

chi, giardini, pubbliche piazze, vie, strade ed altri spazi aperti urbani di interesse artistico o stori-

co336, cioè un notevole numero di ambienti pubblicamente visibili. Quando un bene è esposto alla

pubblica vista, pare pretenzioso voler porre una riserva sulla fruizione dell’immagine, non fosse al-

tro che l’esposizione, anche senza volersi considerare un atto di rinuncia ad un diritto esclusivo di

riproduzione del bene, ne rende in concreto impossibile l’esercizio337.

In realtà non è così. Sulla libertà di riprodurre il panorama circostante si sono spesso con-

centrati attenzione e dibattiti, a causa di tentativi di espansione sia delle prerogative personalistiche

private sia del controllo pubblico sulla valorizzazione del proprio patrimonio338. Una valutazione a

livello comparato non si imbatte solo in enunciati legislativi, come quelli sopra riportati, che ricono-

scono espressamente la libertà di panorama. Sono presenti anche casi in cui tale libertà è negata, an-

che in riferimento a quei beni che, tra tutti, dovrebbero godere del massimo grado di diffusibilità: i

beni culturali. C’è la possibilità che gli articoli 107 e seguenti del Codice vadano a consentire una

lettura che avalli questa tendenza.

3.2 Il tramonto del panorama freedom?

335 RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011, p.579.

336Art. 10, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani). 337 FUSI, M., Sulla riproduzione non autorizzata di cose altrui in pubblicità, in Riv. Dir. Ind., 3/2006, pp. 101 ss. 338 RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011,

pp. 553 ss.

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I motivi per cui si può avere una ragione per impedire la riproduzione di un luogo esposto

alla pubblica vista sono molteplici. All’utente si richiede un arduo compito non solo nella capacità

di cogliere quali ambienti sono soggetti ad un limitato regime di riproduzione, ma anche nel com-

prendere l’autorità a cui rivolgersi nell’espletamento delle necessarie pratiche burocratiche per l’e-

ventuale autorizzazione.

Vi possono essere ragioni legate alla pubblica sicurezza, nel proibire fotografie di luoghi

“sensibili” per ragioni politiche o militari: fino al 2010, era in vigore in Italia una normativa 339 sulla

cui base si impediva la divulgazione di notizie e di immagini non solo relative a siti prettamente mi-

litari, ma anche di ferrovie ed altri luoghi a cui garantire massima sicurezza.

Vi possono essere ragioni di stampo commerciale, qualora il proprietario tema un possibile

utilizzo sotto forma di concorrenza sleale, specialmente, ma non necessariamente, qualora la raffi-

gurazione dell’edificio sia utilizzata come segno connotante un’attività di impresa. La giurispruden-

za straniera fornisce spunti interessanti su questo versante: la Cour de Cassation francese ha ritenu-

to che costituisse un danno sufficientemente grave da suscitare un risarcimento l’impiego, da parte

di un’impresa vitivinicola, dell’immagine di un castello caratterizzante la zona di produzione ma di

proprietà di un’impresa concorrente340; di converso, in un celebre caso deciso da una Corte statuni-

tense, si è ritenuto che l’impiego costante su prodotti commerciali dell’immagine dell’edificio di un

museo non fosse sufficiente per caratterizzarsi come emblema commerciale tale da meritare tutela a

fronte dell’impiego dell’immagine da parte di un fotografo all’interno di un poster, osservando che

l’oggetto dell’opera del fotografo non fosse un marchio bensì il bene stesso341.

Principalmente, però, le limitazioni più evidenti sorgono al confine con il diritto d’autore,

dove occorre contemperare la previsione di una remunerazione per l’autore con l’esigenza di garan-

tire la fruizione, l’informazione e la condivisione dell’opera da parte della collettività342.

Alcune celebri installazioni non vedono ancora esauriti i diritti patrimoniali d’autore che si

possono rivendicare su di esse. Una particolare querelle ha riguardato l’immagine dell’Atomium,

costruzione tra le più caratterizzanti della città di Bruxelles343: i diritti di riproduzione su quest’ope-

ra si esauriranno al 1 gennaio 2076, ossia al settantesimo anniversario della morte di André Water-

keyn, il suo ideatore, e la gestione di tali diritti è garantita dalla SABAM, la società belga degli au-

tori, e dalla società senza fini di lucro Atomium, la quale ha soprattutto cura di evitare che l’immagi-

ne dell’opera sia impiegata in modo sconveniente rispetto al suo valore simbolico. Attualmente, nel-

l’apposita pagina web, è possibile leggere sia che è considerato libero l’uso dell’immagine da parte

339 Il r.d. 11 luglio 1941, n. 1161, Norme relative al segreto militare, è stato abrogato dall’art. 2268, comma 1, d.lgs.15 marzo 2010, n. 66, Codice dell’ordinamento militare.

340 Cour de Cassation, 1ère , 28 giugno 2012, n. 10-28.716, in Recueil Dalloz, 2012, p. 2218. 341 Rock & Roll Hall of Fame & Museum v. Gentile Prods., 71 F. Supp. 2d 755, 765 (N.D. Ohio 1999). 342 STELLA FAGGIONI, L., La libertà di panorama in Italia, in Dir. ind., 6/2011, p. 535.343 Le informazioni sulla riproduzione dell’Atomium sono contenute nel sito web ufficiale http://www.atomium.be.

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di privati che per scopi non commerciali inseriscano fotografie all’interno dei propri siti Internet

personali, sia che le tariffe per l’uso dell’immagine dipendono a seconda del fine culturale, educati-

vo o commerciale: a quanto pare, non si ritiene che la libertà concessa allo scopo informativo possa

stridere con la previsione di un pagamento per quello culturale o educativo.

Negli Stati Uniti d’America, gli edifici sono protetti da copyright solo se costruiti dopo il

primo dicembre 1990, ma l’esclusiva sulla riproduzione non riguarda quelle costruzioni situate in

luogo pubblico o visibili da un luogo pubblico344: per i monumenti e le altre opere creative non si

applica questa disciplina, ma quella più generale di tutela del copyright. In quest’ambito, il caso c.d.

Gaylord345 si presenta come uno dei più discussi all’interno della recente giurisprudenza statuniten-

se. Nella fattispecie, lo scultore Frank Gaylord lamentava l’impiego, da lui non consentito, dell’im-

magine di una sua opera, installata in un parco nazionale, in un francobollo emesso dal Servizio Po-

stale: la Corte non solo ha sentenziato, contro la tesi sostenuta dall’Amministrazione, che ai monu-

menti resta applicabile la disciplina del copyright, ma pure non ha riconosciuto al Governo alcun

tipo di fair use, sebbene la scultura fosse stata realizzata tramite l’autorizzazione ed i fondi del Con-

gresso.

Anche se su di essa si sono già esauriti i diritti di riproduzione, la Tour Eiffel non costituisce

il tipico paesaggio immortalabile secondo la libertà di panorama. Difatti, la SETE (Société d’Ex-

ploitation de la Tour Eiffel) ha cura di specificare346 che, a differenza delle riprese diurne, la diffu-

sione di riproduzioni aventi ad oggetto la Tour Eiffel illuminata di notte va a violare il diritto d’au-

tore. Il motivo di questo divergente trattamento è rintracciabile nel riconoscimento di opera creativa

all’impianto luminoso installato sul monumento in occasione del festeggiamento del suo centenario:

per l’utilizzazione dell’immagine del celebre monumento in versione notturna occorrerà fare do-

manda all’apposita società, la quale proporrà, a seconda del tipo di progetto presentato, una consona

tariffa. Similmente, monumenti che sono stati temporaneamente caratterizzati in forme particolari

godono della tutela del diritto d’autore: rinomati sono i casi aventi ad oggetto l’imballaggio di luo-

ghi quali il Pont-Neuf o il Reichstag secondo una scenografia artistica347.

Alla luce di questa sommaria carrellata casistica internazionale, le limitazioni poste alla li-

bertà di panorama, nonostante vadano ad impedire un’assoluta godibilità del bene in questione an-

che se particolarmente celebre, trovano una ragion d’essere in un diritto più ampio che possa giusti-

ficarle. Nessun vincolo alla riproduzione su quanto è esposto alla pubblica vista dovrebbe essere ri-

scontrabile appositamente per limitare la circolazione dell’immagine di quei beni che più caratteriz-

344 §120(a), Title 17, United States Code, così come modificato dall’Architectural Works Copyright Protection Act del1 dicembre 1990.

345 Gaylord v. United States, 595 F.3d 1364, 1368 (Fed. Cir. 2010). 346 Si confronti l’apposita pagina web ufficiale http://www.tour-eiffel.fr.347 Rispettivamente: CA Paris, 13 marzo 1986, in Gaz. Pal., 1/1986, p. 238 e BGH, 24 gennaio 2002, Verhüllter Rei-

chstag, in Gewerbücher Rechtsschutz und Urheberrecht, 2002, p. 605.

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zano una cultura. Un certo clamore destò pertanto l’intento (forse più una boutade, non concretizza-

tasi in alcun atto legislativo) di porre un copyright da parte dell’Egitto sui propri monumenti ed an-

tichità, quali le Piramidi, al fine di destinare i proventi degli usi autorizzati alla conservazione ed al

restauro348. L’ipotetica adozione di un simile accorgimento rappresenterebbe l’estensione ai beni

esposti alla pubblica vista di quella strategia di valorizzazione economica già adottata dallo Stato

per limitare la riproduzione dei beni culturali ed artistici conservati all’interno di strutture ad acces-

so regolamentato349. Il Codice Urbani, non dimostrando di cogliere la differente natura in termini di

godibilità tra i beni culturali posti all’esterno rispetto a quelli contenuti in luoghi chiusi, non preve-

de un differente trattamento tra le due situazioni. Questo stato di fatto può indurre a ritenere che le

previsioni in materia di riproduzione dei beni culturali si estendano anche a quei beni culturali espo-

sti alla pubblica vista.

La disciplina italiana sulla riproduzione dei beni culturali è ritenuta particolarmente garanti-

sta, forse più ancora che per le persone fisiche, la cui immagine può essere riprodotta anche senza il

consenso delle stesse in casi di pubblico interesse350: interesse collettivo che, se non fosse per le re-

strittive norme del Codice indirizzate in senso opposto, si avrebbe da ritenere presente nella quanto

più ampia diffusibilità di contenuti culturali351. Tuttavia, ritenere applicabile ai beni culturali esposti

in luogo pubblico la disciplina prevista per la riproduzione dal Codice Urbani rischia di portare alle

estreme conseguenze una situazione già di per sé gestibile soltanto a fatica all’interno della società

dell’informazione. La legge Ronchey, da cui è scaturito il processo che ha portato all’attuale assetto

della disciplina, era espressamente dedicata al funzionamento di musei, biblioteche ed archivi stata-

li, non ai monumenti o all’intera categoria dei beni culturali; da allora, però, molti passi sono stati

fatti, definendo la riproduzione dei beni culturali secondo contorni diversi da quelli originariamente

previsti. Il Codice infatti fa soggiacere tutti i beni culturali alle medesime norme sulla riproduzione,

rendendo legittima anche una possibile lettura estensiva verso i beni esposti alla pubblica vista352.

Una prima soluzione al problema consiste nel distinguere le immagini prettamente panora-

miche da quelle che ritraggono l’opera in sé. In tal modo, il rispetto delle prerogative volte a limita-

re una libera riproduzione verrebbe garantito dalla graduazione tipologica di immagini, lasciando li-

beramente fruibili quelle in cui l’opera oggetto di privativa non è decontestualizzata rispetto al pa-

348 La proposta era stata avanzata da un archeologo di fama internazionale, Zahi Hawass, Segretario generale del Con-siglio Supremo delle Antichità Egizie: la notizia è stata riportata, tra gli altri, in data 25 dicembre 2007 in un articolo in -titolato Egypt ‘to copyright antiquities’ sul sito http://news.bbc.co.uk.

349 RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011, p.554.

350 Art. 97, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suoesercizio.

351 STELLA FAGGIONI, L., La libertà di panorama in Italia, in Dir. ind., 6/2011, pp. 541-542.352 RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011,

pp. 580 ss.

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norama circostante, ma ne costituisce un elemento353: mancano tuttavia sicuri appigli al testo norma-

tivo per poter giungere a questa conclusione.

Diverso tipo di soluzione è stato prospettato in un’occasione che in Italia si è avuta per porre

la pubblica attenzione sulla tematica della libertà di panorama, a seguito di alcune vicissitudini che

hanno accompagnato lo sviluppo di Wikipedia, la ben nota enciclopedia telematica.

3.3 Un caso italiano: Wikipedia

“Wikipedia, l’enciclopedia libera” è un’enciclopedia online, le cui caratteristiche principali

sono la gratuità nell’accesso e la natura collaborativa che consente a qualsiasi internauta di parteci-

pare alla composizione di una voce ritenuta di interesse enciclopedico, mediante la scrittura di un

testo o l’inserimento di file multimediali di supporto. È gestita da Wikimedia Foundation, una fon-

dazione statunitense senza fini di lucro, ma conosce edizioni in molteplici lingue, compresa quella

italiana.

All’inizio del gennaio 2007, l’edizione italiana di Wikipedia ricevette, da parte della Soprin-

tendenza ai beni culturali di Firenze, una diffida a mezzo email dall’utilizzare immagini dei beni

culturali in consegna alla suddetta autorità prive del consenso richiesto dalla normativa del Codice

Urbani354. Onde evitare conseguenze, gli utenti dell’edizione italiana iniziarono a provvedere alla ri-

mozione delle immagini caricate sui database di Wikipedia e di Wikimedia Commons (una raccolta

di file liberamente utilizzabili) riguardanti le opere in consegna alla Soprintendenza del polo musea-

le fiorentino, come quadri di Raffaello o Botticelli; della diffida furono informati anche gli altri pro-

getti collegati a Wikimedia, al fine di evitare di incorrere in un illecito contro un’amministrazione

pubblica italiana. Presa coscienza della legislazione vigente, gli internauti si posero il dubbio di fin

dove potesse estendersi la loro possibilità di pubblicare su un sito ad accesso pubblico ed a licenza

libera immagini di beni culturali, dibattendo se le limitazioni fatte presenti dal polo museale fioren-

tino e, in seguito, da quello romano si estendessero anche alle riprese in ambienti esterni. Mentre

con le soprintendenze interessate si tentava di raggiungere un accordo per la pubblicazione di im-

magini in bassa risoluzione, l’eco mediatica della vicenda giungeva in Parlamento tramite una lette-

ra aperta sottoscritta da numerosi utenti di Wikipedia. Una prima soluzione si trovò con l’approva-

zione di una legge355 che introdusse, modificando la legge sul diritto d’autore, una libertà di pubbli-

cazione delle immagini su Internet modellata sul format che nel frattempo Wikipedia stava adottan-

do: la pubblicazione su Internet diventò libera per le immagini immesse a titolo gratuito, con risolu-

353 STELLA FAGGIONI, L., La libertà di panorama in Italia, in Dir. ind., 6/2011, pp. 540-541.354 La ricostruzione del “caso Wikipedia” è ottenibile dalla lettura delle svariate pagine web create all’interno di

http://it.wikipedia.org dalla comunità stessa di utenti a fini di discussione.355 L. 9 gennaio 2008, n. 2, Disposizioni concernenti la Società Italiana degli Autori ed Editori.

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zione bassa o degradata, per uso didattico o scientifico e solo nel caso di non utilizzo per scopo di

lucro356, lasciando a successivi decreti ministeriali il compito di precisare le clausole aperte di tale

formulazione, in particolar modo la definizione dei limiti dell’uso didattico o scientifico e dei con-

cetti di bassa risoluzione e degrado.

L’innovazione legislativa permise la ripresa della pubblicazione di immagini sulle pagine

dell’enciclopedia telematica, seppur mediante l’adozione di versioni in bassa risoluzione; tuttavia,

al di là del rimedio trovato, il problema in termini generali restava insoluto, sia per quel che concer-

neva la libertà di panorama, sia per quel che riguardava i beni culturali non sottoposti alla disciplina

del diritto d’autore. A seguito di alcune interrogazioni scritte da parlamentari bi-partisan della XV

legislatura357, il Governo fu costretto a rispondere sull’esistenza o meno di una forma di libertà di

panorama in Italia rispetto ai beni culturali. Le risposte provenienti dai sottosegretari358 furono so-

stanzialmente concordi: fatta salva l’eventuale applicazione del diritto d’autore, che non conosce

esenzioni per le opere esposte alla pubblica vista, gli articoli 107 e 108 del Codice Urbani non sono

applicati alle opere collocate in luogo pubblico, in virtù del fatto che, non essendo previsto uno spe-

cifico limite di libertà di panorama in Italia, deve intendersi che è lecito ciò che non è vietato; i suc-

citati articoli sono pertanto destinati a trovare applicazione unicamente per i beni culturali in conse-

gna nei musei o negli altri luoghi della cultura. Non rileva il fatto che tra i luoghi della cultura figu-

rano anche ambienti visibili dall’esterno quali i complessi monumentali359, poiché la ratio testimo-

niata dalla linea adottata dall’esecutivo volge verso un’applicazione della disciplina della riprodu-

zione secondo il Codice Urbani unicamente a quei beni culturali internamente custoditi e quindi tali

da poter essere esclusi dalla pubblica vista.

Le risposte provenienti dalle più alte sfere dell’Amministrazione garantirono l’incanalamen-

to del problema sull’esistenza o meno della libertà di panorama in Italia verso una soluzione affer-

mativa. Tuttavia, la risonanza che ebbe la vicenda, data dalla popolarità dell’enciclopedia online,

aveva lasciato dubbi e perplessità che riemersero in occasione di un evento collegato a Wikipedia: il

concorso fotografico annuale “Wiki Loves Monuments”, un progetto internazionale diretto a coin-

volgere cittadini di ogni nazione nella documentazione del proprio patrimonio culturale360. La co-

munità italiana di Wikipedia aderì al concorso soltanto a partire dal 2012: l’anno precedente, la sua

356 Si tratta del già richiamato art. 70, comma 1-bis, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e dialtri diritti connessi al suo esercizio.

357 Interrogazioni dell’onorevole Mancuso e degli onorevoli Grillini e Dato, rispettivamente n. 4-04417 presentata il18 luglio 2007 e n. 4-05031 presentata il 1 ottobre 2007; si segnala anche la lettera aperta dell’onorevole Muscardini,parlamentare europea, all’allora Ministro dei beni e delle attività culturali Rutelli.

358 Rispettivamente, risposta del Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali Marcucci del 12 novembre2007 e del Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali Mazzonis del 19 febbraio 2008.

359 Art. 101, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).360 Il sito web della versione italiana è http://www.wikilovesmonuments.it, da cui è possibile ricavare la storia della ras-

segna.

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partecipazione era stata frenata dal timore di incorrere in violazioni non solo della legge sul diritto

d’autore, ma anche della legge sui beni culturali. È comprensibile come, in un concorso fotografico,

non ci si possa accontentare di diffondere immagini in bassa risoluzione di opere ancora soggette al

diritto d’autore, dovendo inoltre palesare che l’uso sia didattico o scientifico361. Anche sui beni cul-

turali il discorso però non pareva ancora chiuso: nonostante le risposte ricevute alcuni anni prima

dal Governo ed in mancanza di ulteriori interventi normativi chiarificatori in quel lasso di tempo, gli

organizzatori del concorso temevano che una lettura estensiva degli articoli 107 e 108 del Codice

Urbani potesse comportare l’impossibilità di fare fotografie ai monumenti e licenziarle con licenza

d’uso Creative Commons CC-BY-SA (ossia in forma copyleft, purché venga riconosciuta la paterni-

tà dell’autore e all’opera derivata sia attribuita la medesima licenza dell’originale) in mancanza di

una specifica autorizzazione dell’ente consegnatario del bene. Per questa ragione, si cercò previa-

mente di accordarsi con gli enti territoriali potenzialmente interessati, nonché con il Ministero dei

beni e delle attività culturali stesso. Laddove l’accordo venne raggiunto, i partecipanti al concorso si

sentirono liberi di poter scattare le fotografie con cui avrebbero partecipato al concorso; con il Mini-

stero si raggiunse un accordo di validità annuale, in seguito rinnovato per l’edizione dell’anno suc-

cessivo, per il nulla osta alla riproduzione di beni culturali, purché il fotografo fosse in possesso di

un apposito documento di riconoscimento che certificasse la sua partecipazione al concorso362.

Anche a seguito della partecipazione italiana a due edizioni di “Wiki Loves Monuments”,

sulle pagine di Wikipedia si è continuato a considerare l’Italia come un Paese in cui non è ammessa

la libertà di panorama363. D’altronde, non solo la disciplina del diritto d’autore, ma anche il fatto che

si sia sentita la necessità di giungere ad un previo accordo con le competenti autorità per riprodurre

l’immagine di beni culturali visibili dall’esterno, sono testimonianza di come, nell’ordinamento ita-

liano, non sia ancora percepita con fermezza la sussistenza di una libertà di panorama sui beni cul-

turali. Nell’accordo con il Ministero, è stata la stessa istituzione pubblica a richiedere l’apposito in-

serimento della clausola sul beneficio accordato nella libera riproduzione dei beni culturali, disco-

noscendo la formulazione abbozzata da Wikimedia che dava per acquisita la libertà di panorama in

Italia. Molto dipende da come gli enti territoriali stessi procedono all’applicazione delle norme che

sono loro fornite: le linee direttrici date dall’Amministrazione, che in linea di massima parrebbero

possibiliste sull’ammissibilità della libertà di panorama, potrebbero capovolgersi ad una interpreta-

zione più rigorosa. Un’analisi della prassi italiana può fornire delle interessanti chiavi di lettura,

361 Secondo i requisiti richiesti dall’art. 70, comma 1-bis, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autoree di altri diritti connessi al suo esercizio.

362 La notizia è riportata sul sito web di entrambe le parti dell’accordo, in http://www.beniculturali.it e http://www.wi-kilovesmonuments.it.

363 Non solo nella versione italiana di Wikipedia, ma anche in quella inglese: i link sono http://it.wikipedia.org ehttp://en.wikipedia.org.

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specialmente se confrontata con quella che si riscontra in altri ordinamenti giuridici, in particolar

modo in quello francese ed in quello di common law.

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Capitolo III

Esame delle prassi

SOMMARIO: 1. Italia – 2. Francia – 3. Common Law.

1. Italia

L’analisi della prassi italiana risulta frammentata non solo per le differenze intercorrenti tra i

vari enti locali, ma anche per il diverso grado di impegno che gli istituti profondono nel far rispetta-

re le norme comuni date dalla legislazione nazionale.

La vicenda analizzata nel capitolo precedente, riferita alle vicissitudini che hanno visto come

protagonista Wikipedia in relazione al riconoscimento ed alla effettività di una libertà di panorama

sui beni culturali in Italia, non è che un lampante segnale della confusione che avvolge gran parte

della materia della riproduzione dei beni culturali nella sua reale applicazione.

Per agevolare la partecipazione degli utenti al proprio concorso fotografico, all’interno delle

pagine web di “Wiki Loves Monuments”364 è stato inserito un modello di e-mail con cui poter rivol-

gersi all’ente pubblico territoriale interessato per ottenere il consenso al libero utilizzo delle imma-

gini dei monumenti. Il prototipo a cui potersi riferire è indicato nella apposita delibera365 del Comu-

ne di Pavia, tra i più celeri ad accogliere le istanze degli organizzatori di “Wiki Loves Monuments”.

Indicando un elenco di beni a carattere storico-monumentale (non comprensivo di tutti i beni del

Comune), la Giunta Comunale, valutando favorevolmente tale iniziativa in grado di poter dare visi-

bilità internazionale alla città di Pavia, ha concesso l’immagine in uso dei beni presenti nella propria

lista con licenza libera Creative Commons nella versione CC-0, ossia a copyleft totale.

364 http://wlm.wikimedia.it.365 Direttiva della Giunta Comunale di Pavia, 4 maggio 2012, n. 214, consultabile in http://wlm.wikimedia.it.

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Tale previsione non riguarda unicamente “Wiki Loves Monuments” ed i progetti ruotanti in-

torno alla Wikimedia Foundation, ma si estende erga omnes: in altre parole, con questa delibera il

Comune pavese ha indicato su quali, tra i beni in proprio possesso, eviterà di creare un contenzioso

sull’uso dell’immagine, lasciando la stessa a libera disponibilità di chiunque per qualsiasi tipologia

di uso. Così facendo, perlomeno, si crea una certezza del diritto non facilmente riscontrabile altrove

in questo particolare settore dell’ordinamento italiano, se non laddove, viceversa, vi sono espresse

indicazioni in senso restrittivo366. In aggiunta a questo, in taluni comuni è prevista un’apposita auto-

rizzazione per effettuare riprese della città, specialmente se esse riguardano luoghi del centro stori-

co, indipendentemente dall’occupazione del suolo pubblico, bensì rifacendosi ad un controllo che

l’Amministrazione intende riservarsi sulle riprese367.

Non infrequenti sono le richieste rilanciate dagli operatori nel settore ad una maggior chiari-

ficazione della materia.

Tra le ultime in ordine di tempo368, emergono le esigenze di una più agevole libertà di utiliz-

zazione per fini scientifici e di una maggiore semplificazione burocratica: sotto quest’ultimo aspet-

to, viene evidenziato come una riconsiderazione della procedura di autorizzazione in una versione

maggiormente liberale porterebbe anche ad uno snellimento delle attività dell’Amministrazione,

con conseguenti risparmi di costi in apertura di pratiche. L’individuazione dell’origine del problema

è rintracciata nelle evoluzioni della disciplina originariamente fissata dalla legge Ronchey, con la

previsione di servizi aggiuntivi che, per quanto riguarda il servizio di riproduzione, talvolta con

l’andare del tempo sono stati affidati in outsourcing con stringenti clausole di esclusività. L’aspira-

zione dei richiedenti è infine rivolta ai principi di gratuità che avrebbero da caratterizzare un servi-

zio pubblico essenziale, come dovrebbe essere ritenuto quello culturale.

Secondo dati riferibili nell’anno 2000 agli istituti statali369, il Ministero dei beni culturali e

ambientali ha ricavato 4,4 milioni di euro dai canoni fissi di locazione e dalle royalty sui fatturati

dei concessionari, per cui, in mancanza di un’analisi disaggregata delle entrate, è ipotizzabile stima-

re che le concessioni dei diritti di riproduzione ed uso abbiano generato entrate totali per 4,5 milio-

ni, cifra che arriva a sfiorare i 5 milioni considerando gli introiti della Fototeca e Discoteca naziona-

366 Un esempio può essere dato da quanto previsto dal Comune di Livorno, Disciplinare per la riproduzione dei beniculturali di proprietà dell’Amministrazione Comunale di Livorno, dove, all’art.1, è possibile leggere che “non è permes-so fotografare, filmare o riprodurre in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo le opere di proprietà del Comune di Livor-no senza autorizzazione espressa”. Il testo è reperibile al link http://sdp.comune.livorno.it.

367 Ne è esempio il comune di Roma, con la delibera della Giunta Comunale n. 4724/1996, come riportato da STELLA

FAGGIONI, L., La libertà di panorama in Italia, in Dir. ind., 6/2011, p. 537.368 In particolare, il riferimento è all’appello a firma BRUGNOLI, A. – GARDINI, S., Appello a Massimo Bray, Ministro

dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo per la semplificazione amministrativa e la liberalizzazione nella ripro-duzione di beni culturali, visualizzabile in http://www.roars.it.

369 L’analisi, con le conseguenti considerazioni, è compiuta da GUERZONI, G. – STABILE, S., I diritti dei musei: la valo-rizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights management, Milano, 2003, pp. 11 ss.

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li e le royalty sui fatturati degli archivi fotografici privati che hanno raggiunto una convenzione con

il Ministero.

A questa somma dovrebbero essere sottratte una serie di voci, che vanno dall’acquisto di

macchinari e materiale d’uso all’istituzione delle pratiche di selezione e gestione dei rapporti con i

concessionari, nonché quanto è stato versato dagli enti locali per acquisire diritti dagli istituti statali;

se non altro, dal Codice è previsto che i richiedenti procedano al rimborso delle spese sostenute dal-

l’Amministrazione concedente la specifica riproduzione, nonché al versamento di una cauzione per

le attività potenzialmente pregiudizievoli370.

In confronto a gran parte delle esperienze straniere, un simile giro d’affari è di dimensioni

molto ridotte (rappresenta il 60% di quanto la francese RMN, Réunion des Museés Nationaux, ha

incassato dalla vendita del solo cd-rom ufficiale del Louvre) e questo a dispetto della straordinaria

offerta che può garantire il patrimonio culturale italiano. Le norme sulla riproduzione dei beni cul-

turali, all’apparenza tanto restrittive, rappresentano dunque un bluff mal riuscito?

In realtà, occorre considerare come la disciplina della riproduzione dei beni culturali trovi

applicazione nella prassi. La grande maggioranza del merchandising avente ad oggetto beni cultura-

li italiani avviene senza essere stato sottoposto ad alcuna autorizzazione. Un certo lassismo nel far

rispettare le norme è stato agevolato dalla mancanza di mezzi per operare efficaci controlli e, talvol-

ta, dalla mancanza di salde linee politiche degli enti di riferimento.

Purtroppo, c’è il rischio che simili situazioni siano influenzate dai rapporti di forza dei sog-

getti interessati: se una grande impresa utilizza l’immagine di un bene culturale senza alcuna auto-

rizzazione, l’Amministrazione interessata, specialmente se periferica, potrebbe essere scoraggiata

nel far valere i propri diritti e, anzi, per propria volontà politica potrebbe scegliere una precisa stra-

tegia di non belligeranza per non inimicarsi il privato; viceversa, un istituto culturale importante

avrà più forza (per numero e qualificazione di addetti competenti, per costanti contatti con uffici le-

gali, per fama, per disponibilità finanziarie o interessi economici) nel far valere i propri diritti sulla

riproduzione rispetto ad uno meno conosciuto371. La Soprintendenza fiorentina, diffidando Wikipe-

dia dall’utilizzo di immagini di beni culturali ad essa in consegna, aveva tra l’altro inteso dar senso

al dispendioso progetto di watermarking delle fotografie digitali adottato nella costruzione del pro-

prio sito web372.

Paradossalmente, una maggiore scrupolosità nella richiesta del necessario consenso per la ri-

produzione del bene culturale potrebbe essere dimostrata da chi è destinato a farne un uso limitato.

Si ponga il caso della seguente ipotesi: è facile che un piccolo imprenditore che volesse adoperare

370 Art. 108, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).371 Informazioni ricavate da colloqui con responsabili del settore. 372 Si rimanda alle vicende trattate nel paragrafo 3.3 del capitolo II.

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l’immagine di un bene culturale invii, per quieto vivere, un’apposita richiesta all’ente interessato, il

quale, a quel punto, si troverà quasi costretto ad esigere il versamento di un corrispettivo, a meno

che non lasci libertà d’utilizzo per omogeneità di trattamento rispetto a tutti i casi in cui l’Ammini-

strazione non è intervenuta; se esistono spazi di manovra, è pure possibile ritenere che al richiedente

venga domandato il pagamento di un corrispettivo per la riproduzione di immagini di esterni, disat-

tendendo nel singolo caso quello che in via generale gli organi governativi hanno ripetutamente af-

fermato riguardo all’esistenza della libertà di panorama in Italia373.

Anche altre tipologie di utenti possono rientrare in queste categorizzazioni: il Dipartimento

di Civiltà e Forme del sapere dell’Università di Pisa, nella realizzazione di un progetto sul potenzia-

le archeologico della città pisana con conseguente pubblicazione degli elaborati su un portale onli-

ne, ha ritenuto necessario, prima di procedere alla pubblicazione di riproduzioni di beni culturali,

munirsi delle autorizzazioni degli enti presso cui i beni potenzialmente interessati dal progetto erano

in custodia374.

Naturalmente, i soggetti più direttamente interessati dalle norme sulla riproduzione risultano

essere gli editori. Essi, tuttavia, in gran misura sfruttano ancora gli archivi cumulati nella situazione

previgente alla legge Ronchey, quando le lacune legislative permettevano l’inserimento di clausole

che lasciavano libere le case editrici e le agenzie fotografiche di riutilizzare liberamente le riprodu-

zioni autorizzate375; oggi, invece, l’ente pubblico continua a mantenere un controllo sugli usi suc-

cessivi dell’immagine, senza che si compia alcun esaurimento delle proprie prerogative a seguito

della prima riproduzione376. È stato calcolato377 che, nel solo settore editoriale, le istituzioni italiane

mancano di incassare diverse decine di milioni di euro tra royalty e canoni di concessione non ver-

sati. È possibile che, in base all’attuale legislazione sui beni culturali, grazie alle norme sulla remu-

nerazione si vadano ad incamerare i diritti utilizzati illegalmente da editori, agenzie, archivi fotogra-

fici e fotografi378?

Una risposta affermativa viene da una sentenza del giudice amministrativo379: la vicenda og-

getto di controversia era scaturita da una comunicazione di richiesta di pagamento in merito alla ri-

produzione di immagini di beni culturali di proprietà dell’Amministrazione che il Comune di Mila-

373 Informazioni ricavate da colloqui con responsabili del settore.374 In riferimento a questa vicenda, online è possibile leggere CIURCINA, M., Parere legale sul portale Mappa Open

Data, in http://mappaproject.arch.unipi.it.375 GUERZONI, G. – STABILE, S., I diritti dei musei: la valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights ma-

nagement, Milano, 2003, p. 22.376 In base all’art. 4, d.m. 20 aprile 2005, Indirizzi, criteri e modalità per la riproduzione di beni culturali, ai sensi

dell’articolo 107 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.377 I dati, riferiti ai primi anni 2000, provengono sempre da GUERZONI, G. – STABILE, S., I diritti dei musei: la valoriz-

zazione dei beni culturali nella prospettiva del rights management, Milano, 2003, p. 54.378 L’auspicio è di SERRA, A., Patrimonio culturale e nuove tecnologie: la fruizione virtuale, in L. CASINI (a cura di),

La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, 2010, p. 243.379 TAR Milano, Lombardia, sez. I, 23 novembre 2012, n. 2858, in Foro Amm. TAR, 2012, p. 3427.

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no aveva rivolto ad una società gestrice di un ampio archivio fotografico. La società ricorrente de-

duceva che il possesso delle fotografie oggetto della controversia risaliva fin agli anni Sessanta, ma

il giudice ha ritenuto di respingere il ricorso in merito sulla scorta di due osservazioni: in primo luo-

go, tali fotografie non potevano essere tutelate in base alla disciplina del diritto d’autore, non poten-

do neppure annoverarsi tra le riproduzioni di opere dell’arte figurativa380 a causa del mancato rispet-

to delle necessarie indicazioni di origine della fotografia381; in secondo luogo, doveva ritenersi da

essere soddisfatto l’obbligo di conseguire l’autorizzazione alla riproduzione e di pagare i correlati

corrispettivi, dal momento che in giudizio è stato risultato provato che la società ricorrente non ave-

va mai ottenuto autorizzazione di sorta e smentendosi la pretesa di irretroattività della normativa del

Codice Urbani. Del resto, se l’applicazione della legge non riguardasse quelle imprese già in pos-

sesso da anni di archivi fotografici, si creerebbe una forte disparità di trattamento a vantaggio di

queste rispetto a quelle appena entrate sul mercato della riproduzione di beni culturali382.

I rapporti di concessione rientrano nella giurisdizione amministrativa tranne che per le que-

stioni concernenti indennità, pagamenti e corrispettivi. Così stante il testo della disposizione383, non

sotto questo aspetto rileva la distinzione384 che il Codice pone tra canone e corrispettivo, riferibili, in

linea di massima, rispettivamente l’uno all’uso individuale in concessione che è volto a limitare una

fruizione generale, l’altro a quell’uso di carattere temporaneo e non esclusivo che non entra in con-

flitto con una pubblica fruizione385. Senza dubbio rilevante è invece la differenza tra le due tipologie

che danno accesso all’uso, la concessione e l’autorizzazione. La concessione segna infatti una tipo-

logia di rapporto duraturo a struttura prevalentemente contrattuale tra l’Amministrazione ed il priva-

to: quest’ultimo riceve un beneficio, consistente nell’origine di un diritto all’uso di beni pubblici o

di gestione di pubblici servizi, di cui controparte è la stessa pubblica amministrazione, la quale pe-

raltro mantiene una forma di controllo sul concessionario386. Nell’evoluzione del settore dei beni

culturali a seguito della legge Ronchey, ai fini di quel che è oggetto d’interesse in questa sede, oc-

corre ricordare che tra i servizi per il pubblico affidabili in concessione è pure presente il servizio

editoriale e di vendita riguardante anche la riproduzione di beni culturali387, il quale, anche se non

380 Art. 87, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suoesercizio.

381 Art. 90, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suoesercizio.

382 MUSSO, A., Impresa museale e libere utilizzazioni delle opere d’arte, in AIDA, 1999, p. 215.383 Il riferimento è l’art. 133, lett. b) – c), d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, allegato 1, Codice del processo amministrativo.384 Art. 108, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).385 Con precisazione accolta anche da dottrina successiva, CARPENTIERI, R., Artt. 107-108-109, in R. TAMIOZZO (a cura

di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005, p. 472.386 Ex multis, D’ALBERTI, M., Le concessioni amministrative: aspetti della contrattualità delle pubbliche amministra-

zioni, Napoli, 1981, in part. pp. 315 ss.; FALCON, G., Lineamenti di diritto pubblico, Padova, 2008, pp. 406 ss.;GIANNINI, M. S., I beni pubblici, Roma, 1963, pp. 112 ss.

387 Art. 117, comma 2, lett. a), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. CodiceUrbani).

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configurabile come bisogno essenziale, è pur sempre un servizio pubblico in forma latamente inte-

sa, la cui attività di utilità per gli utenti è andata progressivamente liberalizzandosi, anche se pur

nella limitativa accezione di apertura ai privati più che nel ricercare una vera concorrenzialità nel

settore388: il servizio pubblico di offerta del bene culturale rappresenta l’esplicazione della modalità

di fruizione dello stesso389, così da permettere l’erogazione di una prestazione che soddisfi, all’inter-

no del contesto sociale, il bisogno collettivo di cultura390. È dalla legge Ronchey, lo si ricorda, che

ha avuto origine una generalizzata previsione di limitazione della circolazione dell’immagine del

bene culturale, al fine di garantire al concessionario, il quale appositamente paga un canone deter-

minato dal soprintendente391 in cambio del diritto di gestire il servizio, una salda attività sul mercato

delle riproduzioni392, in modo da ottenere una remunerazione dall’attività svolta.

Sommariamente, è possibile ritenere che la riproduzione delle immagini di beni culturali sia

oggetto di concessione quando la riproduzione sia destinata ad un uso costante e prolungato, mentre

sia oggetto di autorizzazione in caso d’uso legato ad una situazione contingente. Entrambi i provve-

dimenti si riferiscono ad una valutazione preventiva rispetto all’uso della riproduzione effettuata

dall’utente. Nel caso in cui l’immagine sia fornita direttamente dal repertorio fotografico dell’Am-

ministrazione, non si avrà né concessione né autorizzazione, bensì un noleggio393, anch’esso previa

richiesta394. La previsione di un istituto di natura privatistica anziché provvedimentale per la ripro-

duzione di fotocolor nella disponibilità dell’Amministrazione deriva dalla tipologia stessa dell’atto:

in questo caso, non è incisa la facoltà individuale alla libera riproduzione, ma si ricerca un accordo

di stampo contrattuale nell’utilizzo di risorse già esistenti. Naturalmente, essendo le fotografie del

388 Nell’enorme bibliografia disponibile sui servizi pubblici, mi limito a segnalare i testi consultati ai fini di questatrattazione: ALLA, L., La concessione amministrativa nel diritto comunitario, Milano, 2005, in part. pp. 37 ss.; ARENA,A., La nozione di servizio pubblico nel diritto dell’integrazione economica, Napoli, 2011, in part. pp. 200 ss.; FALCON,G., Lezioni di diritto amministrativo, Padova, 2009, pp. 191 ss.; FLORENZANO, D., I servizi pubblici locali tra liberaliz-zazione ed efficienza gestionale nella disciplina statale, in A. CASSATELLA – M. COZZIO, Appalti pubblici e servizi: temidi diritto europeo e nazionale, Torriana, 2013, pp. 141 ss.; RINALDI, R., La posizione giuridica soggettiva dell’utente diservizi pubblici, Padova, 2011; VOLPE, C., Servizi pubblici, concessione, risoluzione e giurisdizione: certezze e incertez-ze del sistema, in http://www.giustizia-amministrativa.it, 2005.

389 CLEMENTE DI SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale di diritto dei beni culturali, Napoli, 2008, p. 289. 390 “Per pubblico servizio deve intendersi un'attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bi-

sogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale” secondo TAR Milano, Lombardia, sez. III, 20dicembre 2005, n. 5633. Che i servizi di cui all’art. 117, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni cultu-rali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani), siano servizi pubblici è giurisprudenza unanime sia del Consiglio di Stato(Consiglio di Stato, ad. plen., 6 agosto 2013, n. 19) sia della Corte di Cassazione (Cass., SS. UU., 27 maggio 2009, n.12252).

391 Art. 106, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).392 Che la garanzia di una certa area di monopolio possa essere caratteristica della concessione di servizi pubblici è

notato anche da FALCON, G., Lezioni di diritto amministrativo, Padova, 2009, p. 200.393 Le difficoltà nel ricostruire una generale fattispecie di noleggio a partire da una troppo generica definizione di

“ogni ipotesi in cui si attribuisca, dietro corrispettivo, il godimento (in senso lato) di un bene mobile” sono evidenziateda MOSCATI, E., Noleggio (dir. priv.), in Enc. Dir., XXVIII, 1978, pp. 228 ss.; nel caso di riproduzioni di beni culturali,più opportuno sembra parlare di “locazione”, ex artt. 1571 ss., Codice Civile.

394 A definire come “noleggio” tale eventualità è l’art. 7, d.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di cano-ni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative all'uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.

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bene culturale cosa diversa dal bene culturale in sé, ad esse non si applica la disciplina sull’uso indi-

viduale di beni culturali395.

Il tipo di concessione alla riproduzione di beni culturali è quello tipico delle imprese di ser-

vizi: il servizio in questione è la garanzia verso il pubblico nell’effettuazione di assistenza culturale

e di ospitalità396. Il fatto che il concessionario eserciti un’attività definibile come commerciale, con-

tribuendo il servizio di riproduzione alla maggiore redditività della attività di valorizzazione397, non

incide sulla natura del servizio398, che resta rivolto al pubblico, sussistendo, oltre ad una finalità di

valorizzazione, la destinazione del servizio a soddisfare le esigenze della collettività e l’imputabilità

e la titolarità del servizio in capo alla pubblica amministrazione, la quale predispone anche un piano

di gestione e mantiene poteri di indirizzo, vigilanza ed intervento399. Il Codice400 prevede che le atti-

vità di valorizzazione dei beni culturali ad appartenenza pubblica possano avvenire mediante gestio-

ne diretta (con strutture organizzative interne alle amministrazioni) o con gestione indiretta: que-

st’ultima è indicata quale migliore modalità per assicurare un adeguato livello di valorizzazione dei

beni culturali. Essa può concretizzarsi o in un affidamento a soggetti costituiti dalla stessa ammini-

strazione pubblica o tramite una concessione a terzi; la procedura di evidenza pubblica, finalizzata

ad individuare il privato contraente, va svolta sulla base della valutazione comparativa di specifici

progetti, compiendo la scelta più adeguata al perseguimento dell’interesse pubblico401. La scelta del

concessionario deve ovviamente avvenire secondo i principi del diritto amministrativo402. Infatti,

pur avendo avuto origine come atti contrattuali403, le concessioni furono ben presto inquadrate al-

l’interno del diritto amministrativo404: testimonianza ne è la devoluzione esclusiva al giudice ammi-

nistrativo di questa materia405, fuorché per controversie su canoni, indennità ed altri corrispettivi.

Alla luce della disamina precedente, si possono comprendere le ragioni dei caratteri, tipici della

concessione, di doverosità nell’attività da parte del concessionario e di controllo da parte dell’Am-

ministrazione: la doverosità nasce dalla predisposizione a garantire che vi sia un servizio di riprodu-

zione del bene culturale al fine di diffonderne i contenuti; il controllo sorge dalla necessità di assi-395 Art. 106, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).396 Art. 117, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).397 PIEMONTE, S., Art. 117, in A. ANGIULI – V. CAPUTI JAMBRENGHI (a cura di), Commentario al codice dei beni cultu-

rali e del paesaggio, Torino, 2005, p. 295.398 Il perseguimento di uno scopo pubblico non è incompatibile con un fine lucrativo secondo Cons. Stato, sez. VI, 28

ottobre 1998, n. 1478, come da massima in Riv. giur. edilizia, I/1999, p. 334. 399 Cass. Civ., SS. UU., 27 maggio 2009, n. 12252, in Giust. Civ., 5/2010, p. 1179. 400 Art. 115, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).401 SANDULLI, A., Il procedimento, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2000, p. 1130.402 In particolare, si faccia riferimento all’art. 30, comma 3, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici

relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. 403 Si ripercorra l’intero sviluppo storico dell’istituto tracciato da D’ALBERTI, M., Le concessioni amministrative:

aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981.404 Riferendosi agli studi compiuti alla fine del XIX secolo da O. RANELLETTI, definisce le concessioni come la prima

figura elaborata dalla giuspubblicistica italiana FRACCHIA, F., Concessione amministrativa, in Enc. Dir., Annali, I/2007,p. 250.

405 Art. 133, comma 1, lett. b)-c), d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, allegato 1, Codice del processo amministrativo.

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curare che tale servizio si svolga su livelli qualitativi consoni alla propagazione del modello cultura-

le proposto.

Il controllo che l’Amministrazione mantiene sull’immagine, non permettendo utilizzazioni

successive a quella accordata se non dopo una nuova valutazione, potrebbe indurre a categorizzare

come concessione qualsiasi atto che accordi la possibilità di riprodurre un bene culturale. Avendo

cura di non utilizzare impropriamente in modo massiccio la nozione di concessione406, l’uso occa-

sionale può ritenersi oggetto non di concessione ma di autorizzazione non solo sulla scorta di già ri-

levate considerazioni linguistiche (l’utilizzazione del verbo “consentire” anziché “concedere”; la di-

stinzione tra canoni e corrispettivi tracciata dalla dottrina; la precisa menzione di un’autorizzazione

del soprintendente all’interno dell’articolo 107), ma anche per la funzionalità stessa del diverso tipo

di provvedimento. L’autorizzazione occorrerà quando l’utente non si prefigura un’attività d’uso du-

raturo e continuo dell’immagine che andrà a riprodurre, a differenza del concessionario. Ciò deter-

mina altresì che l’autorizzato non abbia un obbligo di svolgere l’attività407, ma semplicemente si tro-

vi nella condizione di poter procedere ad un atto (quello della riproduzione del bene culturale) che,

in assenza di apposita richiesta, gli era precluso. Mentre la concessione determina l’ammissione del

privato in un ambito pubblicistico, l’autorizzazione lo fa accedere ad una situazione che appartiene

alla sua sfera giuridica soggettiva e che egli potrebbe comunque attivare408. Il controllo che l’Ammi-

nistrazione continuerà ad esercitare sulla riproduzione oggetto di autorizzazione sarà circoscritto al-

l’accertamento che l’attività non sia dannosa per l’interesse pubblico409.

Come il canone è riferibile alla concessione, il corrispettivo lo è alla autorizzazione. In veri-

tà, nonostante il Codice Urbani abbia separato le due differenti situazioni di chi mantenga un rap-

porto duraturo con l’Amministrazione e chi, invece, ne venga in contatto una tantum, il testo legi-

slativo non sempre segue linearmente questa via: per esempio, alla luce della lettura della apposita

disposizione410, il deposito del doppio originale di ogni ripresa o fotografia e la restituzione, dopo

l’uso, del fotocolor originale con relativo codice si riferiscono espressamente alla sola concessione,

e non all’autorizzazione che, tecnicamente, parrebbe quindi non essere interessata da questa norma.

Di conseguenza, anche la prassi ancora fatica a delineare un linguaggio formale ed utilizza disinvol-

tamente termini quali autorizzazione, concessione, canone e corrispettivo, senza, per questo, che gli

effetti ne risultino compromessi411. L’autorizzazione “si limita a rendere lecito per l’interessato un

406 Seguendo la raccomandazione di GIANNINI, M. S., I beni pubblici, Roma, 1963, p. 113.407 Considera questo un tratto saliente nella distinzione tra autorizzazione e concessione D’ALBERTI, M., Le concessio-

ni amministrative: aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981, p. 341. 408 È quanto evidenziato da FRACCHIA, F., Concessione amministrativa, in Enc. Dir., Annali, I/2007, p. 265.409 Tratto caratteristico dell’autorizzazione nell’analisi di SILVESTRI, E., Concessione amministrativa, in Enc. Dir.,

VIII, 1961, p. 371.410 Art. 109, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).411 Leggasi, per esempio, il regolamento riguardante Criteri e direttive per l’accesso e la fruizione dell’archivio foto-

grafico del Castello del Buonconsiglio di Trento, disponibile in http://www.buonconsiglio.it.

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comportamento che altrimenti gli sarebbe interdetto […] senza però che venga ad esistenza un rap-

porto giuridico di durata tra l’autorizzato e l’amministrazione”412. Infatti, l’utente che occasional-

mente si troverà interessato a riprodurre l’immagine di un bene culturale avrà da ottenere il consen-

so dell’Amministrazione e, se il suo uso non rientra tra quelli liberi per cui non è dovuto alcun ca-

none (rectius: corrispettivo), procedere ad un pagamento. Il provento di canoni e corrispettivi è ver-

sato, anche su conto corrente postale o bancario, ai soggetti pubblici cui gli istituti, i luoghi o i sin-

goli beni appartengono o sono in consegna, al fine di finanziare la valorizzazione, la conservazione

e l’incremento del patrimonio culturale; qualora il soggetto pubblico interessato sia lo Stato, i pro-

venti verranno versati alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato413. Ne consegue che le entrate

si riversano nelle casse dell’ente territoriale di riferimento: solo per i proventi di luoghi e beni ad

appartenenza statale si ha la previsione di una separazione rispetto a tutte le altre risorse economi-

che di bilancio, ma la ridestinazione degli introiti è comunque valutata liberamente, anche nell’otti-

ca di assicurare una maggiore equità tra le strutture più conosciute e quelle minori414. La previsione

dell’imposizione IVA sul versamento415 è conferma del non poter classificare il pagamento del ca-

none o corrispettivo come tributo416.

Canoni e corrispettivi sono determinati in base a diversi parametri: carattere dell’attività;

mezzi e modalità di esecuzione; tipo e tempo di utilizzazione; uso, destinazione e benefici economi-

ci417. In questa valutazione solitamente risulta rilevante la quantità di copie su cui attuare la riprodu-

zione. Le quote di pagamento che erano state previste dal tariffario418 della legge Ronchey variava-

no a seconda della loro riconducibilità alle seguenti categorie: riproduzioni eseguite dall’Ammini-

strazione; noleggio di fotocolor e diapositive; riprese fotografiche non eseguite dall’Amministrazio-

ne; riprese cinematografiche e televisive; riproduzioni in facsimile, copie e prodotti derivati; edizio-

ni a stampa e pubblicazioni. Ognuna di queste categorie era stata a sua volta oggetto di particolari

distinzioni interne, a seconda, per esempio, del formato, o di una riproduzione in bianco e nero o a

colori, o della sua già esistenza o meno, o della previsione di una riutilizzazione.

412 Con chiare parole, FALCON, G., Lineamenti di diritto pubblico, Padova, 2008, p. 405; si veda altresì CORSO, G.,Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2010, pp. 205 ss., e D’ALBERTI, M., Le concessioni amministrative: aspettidella contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981, pp. 341 ss.

413 Art. 110, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).414 SERRA, A., Patrimonio culturale e nuove tecnologie: la fruizione virtuale, in L. CASINI (a cura di), La globalizza-

zione dei beni culturali, Bologna, 2010, pp. 240-241.415 Come viene esplicitato, ad esempio, all’interno del modulo di Richiesta di autorizzazione all’utilizzo e riproduzio-

ne di immagini di beni culturali di spettanza dei Musei Civici Palazzo Buonaccorsi di Macerata, disponibile inhttp://www.maceratamusei.it.

416 Le tasse, a differenza dei corrispettivi, non sono assoggettabili ad imposta: si veda FALSITTA, G., Corso istituziona-le di diritto tributario, Padova, 2012, p. 15.

417 Art. 108, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).418 D.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative

all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.

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L’autorizzazione andrà richiesta all’autorità competente: per i beni in consegna al Ministero,

al soprintendente; altrimenti, all’ente territoriale interessato419. L’accoglimento della richiesta, per

luoghi della cultura quali musei o archivi, spesso viene ancora direttamente valutata dal direttore o

dal responsabile dell’istituto420, nonostante il Codice Urbani abbia espressamente eliminato l’attri-

buzione di tale prerogativa al capo dell’istituto421. Basandosi su un consenso potenziale dell’Ammi-

nistrazione, è possibile, sebbene si tratti di un’eventualità estremamente rara, che la richiesta venga

rifiutata: in mancanza di indicazioni contrarie, si deve ritenere che in tal caso occorra apportare una

motivazione al provvedimento422; trattandosi di una forma ampia di discrezionalità tecnica423, in cui

oggetto di valutazione non è solo la prospettiva di ottimale conservazione del bene riprodotto ma

anche la salvaguardia della sua dignità culturale, il ricorso andrà proposto al giudice amministrati-

vo.

Il procedimento per l’autorizzazione all’uso strumentale e precario nonché alla riproduzione

di beni culturali prevede un termine massimo di novanta giorni424, a partire dal giorno successivo al

ricevimento dell’istanza: sarà necessario attendere un preciso consenso espresso dell’autorità richie-

sta425, che impedisce strumenti quali la dichiarazione di inizio attività (ora: segnalazione certificata

di inizio attività) o il silenzio assenso426. Se l’Amministrazione omette di provvedere, si deve ritene-

re che sia esperibile azione avverso il suo silenzio427.

L’autorizzazione avrà generalmente da essere richiesta con un certo anticipo in caso di ripre-

se professionali; la successiva pubblicazione comporta la precisazione di quale Amministrazione

419 Un esempio è dato da quanto previsto nei moduli predisposti dal Polo Museale Fiorentino, reperibili all’indirizzohttp://www.uffizi.firenze.it.

420 È il caso, per esempio, di quanto previsto dal Comune di Bassano del Grappa nel Regolamento per la riproduzionee uso del patrimonio storico artistico bibliotecario archivistico del Museo Biblioteca Archivio, disponibile inhttp://www.bassanodelgrappa.gov.it.

421 Prevista dall’art. 115, comma 1, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materiadi beni culturali e ambientali.

422Art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso aidocumenti amministrativi.

423 FANIZZA, A., Artt. 106-107-108-109, in A. ANGIULI – V. CAPUTI JAMBRENGHI (a cura di), Commentario al codicedei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2005, p. 272

424 D.P.C.M. 22 dicembre 2010, n. 271, all. 1, Regolamento di attuazione dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n.241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per i beni e le attività culturali aventi duratanon superiore a novanta giorni.

425 Art. 107, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani): semplice-mente ripropositivi di quanto espressamente previsto dalla norma del Codice sono atti di più chiara lettura quali la Deli -bera della Giunta Provinciale di Trento, 28 dicembre 2007, n. 3064, all. D, Dichiarazione di inizio attività e silenzio as-senso - attuazione degli articoli 9, 23 e 23-bis della legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23.

426 Rispettivamente artt. 19 e 20, l. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo edi diritto di accesso ai documenti amministrativi.

427 Art. 31, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, allegato 1, Codice del processo amministrativo.

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abbia consentito all’utilizzazione e la consegna di copia del prodotto realizzato428, in linea con la di-

sciplina del tariffario seguito alla legge Ronchey429.

Il modus operandi che caratterizza la prassi italiana è sintomatico di forme che non si atta-

gliano alla sostanza: tanto la normativa sulla riproduzione prevista dal Codice Urbani comporta po-

tenzialità di restrizione alla circolazione dell’immagine del bene culturale ed una limitazione alla

possibilità di accedere alla sua rappresentazione visiva, tanto la realtà dei fatti dimostra come le am-

ministrazioni trattino tendenzialmente con superficialità questo problema, come dimostra la rarità di

casi giurisprudenziali o di controversie di un certo rilievo a caratterizzare il panorama italiano.

Le ragioni per cui si ha un manifestarsi di così poche controversie in questo settore può deri-

vare da diverse cause: il mancato adattamento dei regolamenti locali alla disciplina legislativa più

recente, la volontà da parte delle amministrazioni di mantenere un profilo maggiormente aperto alla

diffusione dei loro contenuti culturali, il tentativo di risolvere in via transattiva l’insorgenza di even-

tuali contrasti… Questo stato di fatto non preclude ovviamente che l’indirizzo interpretativo possa

cambiare e volgersi, entro l’applicazione consentita dalla legge, in un senso più severo e stringente.

Un vivace teatro di casi giurisprudenziali in materia di riproduzione dell’immagine dei beni

(tra cui quelli culturali) è rappresentato, invece, dalla Francia. Se questo dipenda semplicemente da

una connaturata attenzione che quella cultura giuridica ha riservato all’aspetto esteriore delle cose430

o se invece derivi da una precisa predisposizione ordinamentale ha da essere oggetto di un’apposita

riflessione.

2. Francia

Sul finire del 2006, il Ministero francese dell’Economia ricevette il frutto di mesi di lavoro

di una apposita commissione, presieduta da Maurice Lévy e Jean-Pierre Jouyet e dedicata a deluci-

dare sul modo in cui la Francia avrebbe affrontato le opportunità offerte dall’economia dell’immate-

riale, definito come fattore chiave della crescita e del successo delle economie sviluppate431. Seria-

mente considerato ed anche dibattuto432, tale rapporto ha portato all’istituzione di un’Agenzia per il

428 Vedasi, per esempio, il Regolamento e tariffario per l’uso e la riproduzione di beni culturali della Soprintendenzadelle province di Cagliari ed Oristano, disponibile al link http://www.archeocaor.beniculturali.it.

429 Artt. 1 e 3, d.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le conces-sioni relative all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.

430 Così ipotizza FUSI, M., Sulla riproduzione non autorizzata di cose altrui in pubblicità, in Riv. Dir. Ind., 3/2006, pp.92-93.

431 LÉVY, M. – JOUYET, J.-P., L’économie de l’immatériel: la croissance de demain, Parigi, 2006.432 In particolare, tale rapporto è stato considerato il frutto di un malsano modo di vivere il capitalismo, improntato

alla deregolazione e privatizzazione anche di un bene dell’umanità quale la cultura, da MUSSO, P., Une critique de “l’é-conomie de l’immatériel” vue par le rapport Jouyet-Lévy, in Quaderni, 1/2007, pp. 81 ss.

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patrimonio immateriale dello Stato ed alla approvazione di regolamenti per la valorizzazione del pa-

trimonio pubblico immateriale, compresa l’immagine dei beni pubblici, in modo da far partecipare

la pubblica amministrazione ai vantaggi ottenuti dai privati tramite lo sfruttamento dell’immagine

del patrimonio culturale nazionale433. Già in una legge434 di qualche anno precedente, in effetti, veni-

va invitato il Governo ad esaminare all’interno di un rapporto il diritto all’immagine ed i mezzi per

renderne beneficiarie le amministrazioni pubbliche relativamente alle opere d’arte di cui esse aveva-

no la proprietà o la gestione.

Quest’indirizzo politico non ha ottenuto molto successo all’interno di uno dei primi casi in

cui avrebbe dovuto trovare riscontro435. L’immagine del castello di Chambord, bene facente parte

del demanio nazionale francese, era stata utilizzata all’interno della pubblicità di una birra. Affer-

mando che ogni occupazione od utilizzo del demanio pubblico dà luogo a pagamento d’un cano-

ne436, l’Amministrazione aveva richiesto il pagamento di quanto riteneva dovuto. Il giudice, invece,

negò che l’immagine della cosa potesse essere assimilata alla cosa stessa o ai diritti di proprietà su

di essa: la fotografia di un bene del demanio non è destinata né all’uso diretto del pubblico né ad un

servizio pubblico né costituisce un indissociabile accessorio del bene, pertanto, in mancanza di spe-

cifiche disposizioni che vietano la riproduzione del bene, non poteva considerarsi illecito l’uso che

si sarebbe fatto della sua immagine. Alla libertà di fotografare i beni culturali, deve essere aggiunta

quella di pubblicarne le immagini anche con fini di sfruttamento437.

L’evoluzione di questo settore è giovata da un dibattito frutto di ampie discussioni nella giu-

risprudenza transalpina: se ora le amministrazioni pubbliche francesi studiano le possibilità di far ri-

conoscere un diritto sull’immagine dei beni, è perché spiragli su questo fronte sono stati aperti in

passato nella mentalità giuridica francese, soprattutto in ambito civilistico. Fin dalla metà del XIX

secolo, i giudici francesi si sono trovati a considerare ipotesi di riproduzione dell’immagine di beni,

adottando, in primo luogo, una visione permissivista438: significativa è una sentenza del 1889, in cui

si escludeva che lo Stato avesse inteso riservare all’autore l’esclusiva nella riproduzione della Tour

Eiffel perché sarebbe stato assurdo privare il pubblico del diritto di procurarsi liberamente l’imma-

gine439. Si era in un’epoca in cui le riproduzioni avvenivano tramite pittura o con apparecchiature

fotografiche di non comune diffusione e questa considerazione può aver determinato l’indirizzo dei

433 Con maggiori dettagli, il filo conduttore di queste vicende è delineato da RESTA, G., L’immagine dei beni, in G.RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011, pp. 580 ss.

434 Art. 20, loi 4 gennaio 2002, n. 5, Relative aux musées de France. 435 TA Orléans, 6 marzo 2012, n. 1102187, in Recueil Dalloz, 2012, p. 2222, confermato sostanzialmente in Cour ad-

ministrative d’appel di Nantes, 2ème, 28 dicembre 2012, n. 12NT00754. 436 Art. L. 2125-1, ordonnance 21 aprile 2006, Relative à la partie législative du code général de la propriété des

personnes publiques. 437 Secondo quel che già affermava KAYSER, P., L’image des biens, in Dalloz, 1995, Chron., pp. 291 ss.438 CA Paris, 5 giugno 1855, in D. P., 2/1857, p. 29; Tribunal de commerce Seine, 7 marzo 1861, in D. P., 3/1861, p.

32. 439 Tribunal civil Seine, 18 aprile 1889, in Ann., 1893, p. 221.

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giudici e la non preoccupazione riguardo la circolazione dell’immagine, anche a scapito dei diritti di

proprietà intellettuale degli architetti440.

I primi dubbi furono instillati solo nel corso del XX secolo, quando, in una sentenza441, fu ri-

tenuta illecita l’utilizzazione commerciale di una fotografia d’un luogo di pellegrinaggio per la de-

naturazione che si apportava alla sacralità del sito. Pochi anni prima442, era stata valutata come ille-

cita l’utilizzazione di una fotografia scattata nel corso dell’apertura al pubblico di un castello, in

quanto, essendo stata destinata a fini commerciali all’interno di una cartolina postale, risultava una

potenziale fattispecie di concorrenza sleale rispetto all’impiego che il proprietario poteva fare del

proprio bene.

Nel corso degli anni, la tutela dell’immagine dei beni oscillò in alterne fortune. Nel caso c.d.

Buffet443, fu interdetta la commercializzazione della raffigurazione di un castello dipinto a memoria

da un’artista, stante la dicitura sul biglietto d’ingresso dello stesso castello che ogni riproduzione

era vietata: potendo il proprietario impedire l’accesso alla sua proprietà, a fortiori poteva subordina-

re l’autorizzazione all’accesso al rispetto di determinate clausole. Al contrario, fu consentita, a sca-

pito del diritto d’autore, la riproduzione dell’immagine d’una statua colta nell’occasione pubblica

della sua inaugurazione444.

Molto s’è discusso intorno alla riconoscibilità e caratterizzazione dell’opera all’interno del-

l’immagine: riproduzioni troppo imprecise inadatte a comunicare al pubblico le caratteristiche prin-

cipali dell’opera445 o in cui l’opera figurasse come mero elemento paesaggistico senza funzione di

valorizzazione o decoro446 non sono state ritenute oggetto di protezione. Un piccolo cammeo sull’I-

talia: in un caso riguardante l’indebita utilizzazione della fotografia scattata ad una coppia di turisti

francesi dinnanzi alla Torre di Pisa, si è ritenuto che l’elemento centrale dell’immagine fosse costi-

tuito non dal monumento ma dai due individui, con conseguente violazione, nella fattispecie con-

creta, del diritto di personalità447.

L’approdo di simili controversie sembrava essere segnato dalla sentenza c.d. Gondrée448, la

quale recepì un cambiamento di interpretazione che s’era andato sviluppando nel corso degli anni

Novanta449, ossia l’inquadramento del controllo sull’immagine dei beni all’interno del diritto di pro-

440 Come in Tribunal civil Seine, 28 ottobre 1903, in Ann., 1903, p. 314.441 CA Grenoble,15 luglio 1919, in Dalloz, 2/1920, p. 9. 442 Tribunal civil Meaux, 7 marzo 1905, in Ann. Prop. Ind., 1907, p. 17. 443 CA Paris, 18 febbraio 1972, in RIDA, 1972, p. 214. 444 TGI Seine, 24 novembre 1965, in JCP, 2/1966, p. 14521. 445 TGI Paris, 28 maggio 1997, in Gaz. Pal., 17 maggio 1998, p. 15. 446 CA Paris, 14 settembre 1999, Legipresse, 3/2000, p. 33; Cour de Cassation, 1ère, 4 luglio 1995, in Recueil Dalloz,

1996, Jur., p. 4. 447 Tribunal commercial Seine, 26 febbraio 1963, in JCP, 2/1963, p. 13364.448 Cour de Cassation, 1ère, 10 marzo 1999, in Dalloz, 1999, Jur., p. 319. 449 CA Metz, 26 novembre 1992, in Dalloz, 1994, Somm., p. 161; CA Paris, 12 aprile 1995, in JCP G., 2/1997, p.

22806.

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prietà, sennonché, pochi anni dopo, tale interpretazione venne sconfessata dalla Cassazione stessa,

ritenendo che tale tutela potesse accordarsi al proprietario solo in combinazione di ulteriori elemen-

ti, ossia un’utilizzazione a carattere commerciale segnata da una anormale turbativa450. Pertanto, un

soggetto non ha un diritto assoluto di impedire la riproduzione del castello di sua proprietà all’inter-

no di un’opera finalizzata alla pubblicizzazione del patrimonio culturale francese, in ragione degli

scopi pedagogici dell’utilizzazione riconducibili al principio di libertà d’espressione451: d’altronde,

la libertà d’espressione e la libertà di riprodurre non sono formalmente contrastate in alcun testo le-

gislativo da un presunto diritto sull’immagine dei beni452.

La libertà di riprodurre ha valicato la disciplina del diritto d’autore nel seguente caso 453: la

Place des Terraux di Lione era da sempre oggetto di riproduzioni ad uso commerciale in virtù della

sua ambientazione a carattere turistico; quando due autori installarono le loro opere nella suddetta

piazza, reclamarono il proprio diritto di riproduzione sulle immagini circolanti della piazza così

come appariva in quel momento. I giudici, valutando che le riproduzioni in questione non coglieva-

no le opere singolarmente considerate ma il complesso scenografico, respinsero la domanda poiché

risultava impossibile distinguere, a causa della loro correlazione, patrimonio storico e strutture mo-

derne a tal punto che, in caso di accoglimento, si sarebbe avuta l’assurda situazione per cui gli auto-

ri avrebbero tratto giovamento dalla riproduzione di monumenti storici pubblici: l’esito della sen-

tenza venne poi confermata nei gradi successivi di giudizio, in considerazione della natura accesso-

ria delle opere moderne rispetto all’intera ambientazione454.

La particolare caratterizzazione paesaggistica, in un caso riguardante delle riprese aeree del-

la città di Port Grimaud, portò i giudici ad asserire che “è la totalità della città di Port Grimaud, con-

siderata come un’opera d’arte, che beneficia della protezione della legge, e non questo o quel deter-

minato edificio”455.

Il patrimonio culturale francese è costituito dall’insieme di beni, immobili o mobili, di pro-

prietà pubblica o privata, che presenta un interesse storico, artistico, archeologico, estetico, scienti-

fico o tecnico456. Indubbiamente, le amministrazioni pubbliche si trovano a possedere anche in Fran-

cia un patrimonio che sono tenute a gestire nel modo migliore per la collettività secondo l’interesse

generale457. Il diritto stesso di riproduzione dei monumenti pubblici viene generalmente gestito dallo

Stato, ma se una volta questo accadeva per l’autorità del potere pubblico, ora avviene dietro ingenti

450 Cour de Cassation, Ass. plén., 7 maggio 2004. in Dalloz, 2004, Jur., p. 1545. 451 CA Paris, 31 marzo 2000, in Dalloz, 2001, Jur., p. 770.452 DUCREY, G. – LANCRENON, T., Dessine-moi une maison!, in Rec. Gaz. Pal., 11-12/2000, p. 2236.453 TGI Lyon, 4 aprile 2001, JCP G, 2/2001, p. 10563.454 Cour de Cassation, 1ère, 15 marzo 2005, n. 567. 455 TGI Draguignan, 16 maggio 1972, in Gaz. Pal. 2/1972, p. 568. 456 Art. L. 1, ordonnance 24 febbraio 2004, n. 178, Relative à la partie législative du code du patrimoine.457 RAVANAS, J., L’image d’un bien saisie par le droit, in Recueil Dalloz, 2000, pp. 19 ss.

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compensi forfettari agli autori458, la qual cosa aiuta a comprendere come, nel giro di un secolo, si sia

capovolto il paradigma sulla libertà di riproduzione delle opere monumentali. Abbandonato l’altrui-

smo del XIX secolo, lo Stato ricerca un interesse finanziario nel coltivare un controllo sull’immagi-

ne dei beni, come, in un certo qual modo, già avviene con le opere contenute nei musei anche se ca-

dute in pubblico dominio459.

La riproduzione di immobili di proprietà pubblica può essere impedita da esigenze legate ad

un interesse per la sicurezza nazionale, ma tali da non arrecare ingiustificati pregiudizi ai cittadini.

In particolar modo, sui monumenti storici e sul patrimonio culturale in genere, dovrebbe ritenersi

garantita una libera riproduzione, come avvenuto nella seguente vicenda460. Un architetto stava foto-

grafando l’esterno delle cattedrale di Chartres, quando un agente di polizia lo portò al commissaria-

to dove, senza alcuna spiegazione, le fotografie furono confiscate; qualche settimana più tardi, il

medesimo architetto si vide negare l’accesso alla cattedrale di Chartres da parte dell’Amministra-

zione di Belle Arti. Il Consiglio di Stato valutò come l’operato dell’Amministrazione nel corso del-

l’intera vicenda non fosse stato corretto: la preoccupazione di adottare misure che garantissero pro-

tezione dei beni storico-artistici non poteva scontrarsi con la facoltà d’utilizzo dei beni del demanio

pubblico in conformità alla loro destinazione. Per la medesima ragione, il Consiglio di Stato ha pure

annullato quelle deliberazioni municipali che stabilivano un divieto di ripresa in pubblico, anche

temporanea, se non previa autorizzazione461. Allo stesso modo, il giudice amministrativo462 aveva

annullato, in ragione della libertà d’impresa, il divieto che era stato posto dall’amministrazione di

Tours ad un fotografo professionista nello scattare fotografie all’interno del museo di Belle Arti,

laddove fosse stata garantita la sicurezza e la conservazione delle opere: tuttavia, sulla stessa vicen-

da, il Consiglio di Stato463 rilevò che, posto che per l’utilizzazione del demanio pubblico bisognava

pur sempre richiedere un’autorizzazione, la tutela della libertà d’impresa non fosse una ragione suf-

ficiente a piegare il rifiuto dell’Amministrazione, a meno di violazioni del principio di uguaglianza.

Per le opere conservate nei musei delle pubbliche amministrazioni vigono apposite regole.

La Direzione museale francese ha stabilito mediante un regolamento interno464 una libertà di ripro-

duzione per le riprese private, comunque subordinata ad un’autorizzazione del capo dell’istituto.

Molto tempo addietro, ma con effetti validi ancora oggi, era stato previsto465 che il diritto di dipin-

458 EDELMAN, B., La rue et le droit d’auteur, in Dalloz, 1992, Chron.¸ pp. 91 ss. 459 DUCREY, G. – LANCRENON, T., Dessine-moi une maison!, in Rec. Gaz. Pal., 11-12/2000, p. 2238. 460 CE, 18 novembre 1949, in RDP, 1950, p. 172 461 CE, 22 giugno 1951, in Dalloz, 1951, Jur., p. 589. 462 Cour administrative d'appel di Nantes, 2ème, 4 maggio 2010, n. 09NT00705.463 CE, 29 ottobre 2012, n. 341173: il ragionamento del giudice s’è basato sugli artt. L. 2112-1, L. 2121-1, L. 2122-1,

ordonnance 21 aprile 2006, Relative à la partie législative du code général de la propriété des personnes publiques.464 Arrêté del ministro della Cultura e della Comunicazione, 13 marzo 1979, Règlement intérieur des musées de Fran-

ce. 465 Art. 119, loi 31 dicembre 1921, Loi de finances pour 1922.

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gere, disegnare, fotografare e riprendere in musei, collezioni e monumenti avrebbe dato luogo alla

percezione di una tassa speciale, il cui ammontare sarebbe stato stabilito da un successivo regola-

mento. È da notare come un simile onere sia richiesto a prescindere da modi e finalità per cui la ri-

produzione verrà diffusa, ma al suo semplice effettuarsi. Trattandosi d’una tassa per servizio reso,

l’ammontare del pagamento dovrebbe essere calcolato solamente sulle spese sostenute dall’ente e

non, come invece accade nella prassi, in considerazione del formato dell’immagine riprodotta, del

tipo di supporto o dell’utilizzazione: sotto questo aspetto, l’uso a fini scientifici non dovrebbe gode-

re di tariffe preferenziali rispetto a quello a scopo commerciale466. Per questa ragione, il Consiglio

Costituzionale467 ha escluso il carattere fiscale o parafiscale di questa tassa, tant’è vero che su di

essa si applica l’imposta sul valore aggiunto468. Deve trattarsi di un servizio reso in termini effettivi,

mediante l’apposita messa a disposizione degli oggetti e l’impiego di personale: il semplice visitato-

re, che già ha pagato un biglietto d’ingresso, non ha da pagare la tassa poiché non ha bisogno dei

servizi del museo per effettuare le sue riproduzioni fotografiche469; per il medesimo motivo, era sta-

ta espressamente470 esclusa la percezione della tassa in caso di fotografie ottenute con il solo ausilio

della luce della stanza mediante apparecchi tenuti a mano.

Originariamente la devoluzione di una simile tassa era indirizzata alle casse dell’istituto a

cui i beni appartenevano od erano in consegna; in seguito471, il provento per le tasse speciali sulle ri-

prese fotografiche e cinematografiche venne destinato alla RMN (Réunion des Musées Nationaux,

attualmente Réunion des Musées Nationaux et du Grand Palais des Champs-Élisées), la quale l’a-

vrebbe ripartito in parti uguali tra la cassa nazionale dei monumenti storici e dei siti e la RMN stes-

sa. Istituita472 nel 1895, la RMN è un ente pubblico autonomo sotto la tutela del Ministero della Cul-

tura avente diversi compiti: acquisizione di opere d’arte per tutti i musei statali francesi; gestione

del servizio di biglietteria, di cui stabilisce le tariffe; organizzazione di mostre e conferenze; pubbli-

cazione e diffusione di libri ed oggetti. Pur non detenendo l’esclusiva delle pubblicazioni dei musei

nazionali francesi, la RMN è un importante editore di riferimento per quanto concerne cataloghi,

guide ai musei, documenti di divulgazione, libri per ragazzi, pubblicazioni scientifiche, prodotti

multimediali; gestisce inoltre l’archivio fotografico dei musei statali ed un settore-immagini desti-

nato alla produzione di cartoline e manifesti473.

466 CORNU, M., Droit des biens culturels et des archives, in http://eduscol.education.fr , 2003, p. 24.467 Conseil Constitutionnel, 10 marzo 1966, n. 38.468 Si veda, ad esempio, il tariffario applicato dal Museo Delacroix in http://www.musee-delacroix.fr.469 STÉRIN, A.-L., Un musée peut-il interdire de photographier?, in http://www.adbs.fr, 2011.470 Art. 2, arrêté 20 febbraio 1959, Taxe spéciale de photographie dans les musées nationaux, leurs cours, jardins et

dépendances extérieurs. 471 Art. 7, loi 22 dicembre 1962, n. 1529, Loi de finances pour 1963.472 Art. 52, loi 16 aprile 1895, Loi de finances pour 1896.473 RONCACCIOLI, A., L’azienda museo: problemi economici, gestionali e organizzativi, Padova, 1996, pp. 188 ss.

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Al di là dei compiti della RMN, i musei statali francesi vivono in forma indipendente tra

loro, non essendo prevista una struttura amministrativa di coordinamento come la soprintendenza in

Italia: la politica francese nel settore culturale non conosce diversi livelli di potere474. La Direzione

museale statale controlla in via diretta i musei nazionali e, per apposita disposizione legislativa o

per prassi, alcuni altri musei; può esercitare inoltre un controllo tecnico sui musei locali475. Ciò de-

termina delle diversità nelle modalità di gestione, che si riflettono anche nel controllo sulle riprodu-

zioni dei beni culturali in essi contenuti. Le divergenze non riguardano solo musei gestiti privata-

mente476, ma anche gli stessi musei pubblici. Il Louvre, dopo aver tentato una virata restrittiva pron-

tamente abbandonata, lascia libertà di fotografia salvo in aree in cui sia espressamente proibito, ma

altri istituti, come il Museo d’Orsay, esigono un’apposita richiesta per la riproduzione delle opere in

loro possesso477. Non manca, anche in Francia, chi critica una simile situazione: dopo il susseguirsi

di lettere aperte478 ed altre iniziative, il Ministero stesso è intervenuto per organizzare incontri chia-

rificatori sul tema. Da questo sostrato, la Direzione Generale del Patrimonio ha indirizzato ai diret-

tori di musei e monumenti nazionali una carta di buone pratiche fotografiche479, in cui si richiede

collaborazione sia da parte del visitatore (disattivazione del flash, uso strettamente privato della ri-

produzione…), sia da parte dell’istituto (disponibilità gratuita sul proprio sito Internet di riproduzio-

ni in alta risoluzione, chiarezza nelle indicazioni e nella segnaletica…).

Il panorama che offre l’ordinamento francese sulla riproduzione di beni culturali si presenta

quindi per ora formalmente di libertà, ma più torbido alla luce della realtà e nei suoi presupposti

evolutivi. Il racconto di un’ulteriore vicenda480 servirà a verificare come anche la prassi francese

mostri incertezze nell’affrontare questa tematica.

Nel 2008, uno scultore francese fu scelto da un museo asiatico per eseguire la copia di una

scultura del XVII secolo presente all’interno del parco di Versailles. Per compiere il suo lavoro,

l’artista richiese l’autorizzazione per effettuare delle misure sull’opera originaria mediante raggio

laser: dal responsabile gli fu risposto che doveva essere versata a titolo di diritto di riproduzione

una cifra di oltre un milione di euro all’ente pubblico che gestisce Reggia, museo e demanio nazio-

nale di Versailles, richiesta poi scesa ad un milione di euro con la fissazione di ulteriori condizioni.

474 BENHAMOU, F., L’economia della cultura (traduzione italiana da L’économie de la culture, Parigi, 2011). Bologna,2012, pp. 136 ss.

475 FOÀ, S., La gestione dei beni culturali, Torino, 2001, pp. 375 ss.476 Tra cui il Museo Unterlinden di Colmar, come è possibile visualizzare nell’apposita pagina web http://www.mu-

see-unterlinden.com.477 Si veda l’apposita pagina web http://www.musee-orsay.fr.478 Come la lettera aperta datata 20 febbraio 2012 a firma CHAUMIER, S., ed altri, Lettre collective adressée à Frédéric

Mitterrand pour demander que soient organisées, sous l’égide du ministère de la Culture, des réunions de réflexion surla pratique photographique au musée, disponibile in http://www.louvrepourtous.fr.

479 Datata 14 giugno 2013, la Charte des bonnes pratiques photographiques dans les musées et monuments nationauxè reperibile in http://www.louvrepourtous.fr.

480 La vicenda è narrata in un articolo dal titolo Le droit de reproduction des oeuvres domaniales appartenant auxMusées de France datato 10 gennaio 2012 sul blog del giornalista PERRAULT, G., in http://www.gillesperrault.com.

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Alle rimostranze dello scultore di non comprendere su che ragione fosse fondata quella richiesta di

pagamento, fu risposto che tale versamento era conseguenza della previsione di una convenzione di

mecenatismo481, che però non era conforme all’intenzione dell’artista, il quale non era mosso da al-

cuno spirito di conservazione del patrimonio culturale bensì dalla volontà di divulgare l’opera origi-

naria.

Ulteriore mossa dell’amministrazione demaniale fu la decisione che l’ente pubblico di Ver-

sailles (établissement public a carattere amministrativo dotato di autonomia di gestione amministra-

tiva e finanziaria) non avrebbe concorso alla realizzazione dell’opera, in considerazione della presa

di posizione dello scultore e dalla mancata associazione allo studio del progetto. Le insistenze del

richiedente portarono l’Amministrazione ad elaborare un’ulteriore opinione: la copia avrebbe com-

portato delle differenze notevoli rispetto all’originale, la qual cosa contrastava con la missione di

protezione che l’ente aveva sulle collezioni della Reggia di Versailles. In realtà, sulla base di questa

argomentazione non si poteva evincere la possibilità di interdire una riproduzione o di controllarne

la qualità, ma la sola applicabilità della disciplina delle copie, con la previsione di una esplicita

menzione dell’originale482. Lo scultore minacciò il ricorso alle vie legali: ricordando di aver sempli-

cemente richiesto l’autorizzazione all’effettuazione della misurazione di una statua, riteneva il con-

seguente rifiuto dell’Amministrazione come un atto privo di valida motivazione, caratterizzato da

abuso di diritto ed eccesso di potere, contro cui sarebbe stato possibile ricorrere innanzi al giudice

amministrativo. Dopo aver chiesto una proroga per riconsiderare la vicenda, l’ente preposto autoriz-

zò lo scultore a procedere alla realizzazione della copia; solo successivamente fu data l’autorizza-

zione alla misurazione della statua originaria.

Le difficoltà in cui è incorso il protagonista di questa vicenda e, d’altra parte, la necessità

per gli enti preposti alla cura di beni culturali di reperire fondi mai sufficienti anche tramite vie tra-

verse testimoniano la confusione in cui versa la situazione della riproduzione dei beni culturali an-

che in Francia. Questa sfasatura si riversa di conseguenza da un lato nello smarrimento del pubblico

fruente e dall’altro nell’incapacità del settore pubblico di attuare politiche coerenti incentrate sulla

valorizzazione del patrimonio culturale. “Nobili palazzi, magnifiche ville, grandi collezioni di libri,

di statue, di pitture e di altri oggetti di curiosità sono spesso un ornamento e un onore non solamente

dei luoghi ove si trovano, ma ancora dell’intiero Paese cui appartengono: Versailles è un ornamento

ed un onore alla Francia, Stowe e Wilton per l’Inghilterra”. Così scriveva Adam Smith in La ric-

481 La convenzione di mecenatismo consiste nell’apportare sostegni materiali al settore culturale senza alcuna contro-partita ma con la possibilità di ottenere vantaggi fiscali: in Francia è disciplinato dalla loi 1 agosto 2003, n. 709, Relati-ve au mécénat, aux associations et aux fondations.

482 Art. 8, décret 3 marzo 1981, n. 255, Sur le répression des fraudes en matière de transactions d’oeuvres d’art etd’objects de collection.

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chezza delle nazioni483, dimostrando di cogliere il valore aggiunto e le esternalità positive degli in-

vestimenti culturali484. Alla luce dei fatti, si potrebbero ancor oggi affermare con sicurezza le stesse

cose per Versailles? E l’Inghilterra, con l’intero mondo del common law, in che situazione versa?

3. Common Law

Quando si parla di common law, ci si riferisce ad ordinamenti sì accomunati nella matrice e

nel modo di concepire il diritto, ma pur sempre differenti ed autonomi tra loro. Per questi motivi, se

pur sarà possibile sviluppare alcune riflessioni di portata generale, bisogna considerare le peculiarità

che si sono formate nelle diverse legislazioni. Infatti, mentre negli Stati Uniti, come si è già avuto

modo di osservare nel trattare il caso c.d. Gaylord, non è riconosciuta una libertà di panorama sulle

opere artistiche e sculture su cui vigono diritti d’autore anche se installate in luoghi pubblici, nel re-

sto del mondo di common law non si ha la medesima percezione: nel Regno Unito485, è sempre con-

sentita la riproduzione, oltre che di edifici, di sculture, modelli per edifici ed opere di artigianato ar-

tistico, similmente a quanto vale per Australia, Canada ed altri Paesi di comune cultura anglofona.

Di primo acchito, parrebbe che la tradizionale caratterizzazione liberale di questi ordinamen-

ti valga anche e soprattutto nel settore culturale, anche se ciò comporta conseguenze talvolta delete-

rie: nel periodo tra il secondo dopoguerra e gli anni Settanta, in Gran Bretagna sono state abbattute

dai proprietari oltre 700 ville storiche486, nonostante i tentativi del legislatore di arginare il fenome-

no487; all’inizio degli anni Novanta, suscitò ampio dibattito anche sulla stampa la vendita di un pre-

giato mobile di raffinata manifattura da parte di un duca inglese ad una ereditiera americana per

svariati milioni di sterline488. Il tipico approccio del mondo anglosassone ai beni culturali è indiriz-

zato al riconoscimento di una forma di proprietà diversa da quella ordinaria e propriamente cultura-

le489. Nel Regno Unito, la classificazione dei beni culturali (cultural property o, per quanto la distin-

zione sia molto labile490, cultural heritage se ci si riferisce ad un concetto più astratto) non è basata

infatti sulla dicotomia pubblico-privato, perché la forma con cui generalmente si concretizza la loro483 SMITH, A., Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (traduzione italiana da The wealth of

nations, Londra, 1776), Torino, 1851, p. 239.484 BENHAMOU, F., L’economia della cultura (traduzione italiana da L’économie de la culture, Parigi, 2011). Bologna,

2012, pp. 132 ss.485 Section 62, Act 15 novembre 1988, Copyright, Designs and Patents Act. 486 Dato riportato da SETTIS, S., Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, p. 280. 487 Come l’Act 31 luglio 1953, Historic Buildings and Ancient Monuments Act. 488 Il travagliato destino del Badminton Cabinet è stato descritto da GILLMAN, D., The idea of cultural heritage, New

York, 2010, pp.65 ss.489 CASSESE, S., I beni culturali: sviluppi recenti, in M. P. CHITI, Beni culturali e Comunità Europea, Milano, 1994, p.

344. 490 Si veda FRIGO, M., Cultural property v. cultural heritage: a “battle of concepts” in international law? , in Interna-

tional Review of the Red Cross, vol. 86, 2004, pp. 367 ss.

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gestione è il trust, strumento che consente l’amministrazione di beni secondo disposizioni impartite

dal costituente per l’interesse di un terzo o il raggiungimento di uno specifico fine491: indubbiamen-

te, questo istituto si confà al caso dei beni culturali, la cui gestione secondo quanto previsto dalla

pubblica amministrazione va a riversare i propri benefici sulla generalità dei consociati, ed è questa

la ragione per cui il regime dominicale del bene culturale assume una connotazione differente dagli

altri casi di property rights492, rendendosi assimilabile ad un lascito ereditario trasmesso di genera-

zione in generazione493.

Questo approccio determina anche che l’intervento pubblico nel settore culturale sia tenden-

zialmente limitato. Negli Stati Uniti, è stilata dal NEA (National Endowment for the Arts) una lista

di istituzioni soggette a sovvenzione, ma il versamento pubblico potrà essere accordato solo se il so-

stegno privato ammonti ad una cifra almeno equivalente: nel 2007, il Metropolitan Museum di New

York ha ricevuto per sovvenzione una somma costituente solo il 12% del suo intero budget494. Da

tale situazione deriva la necessità per gli enti culturali di garantirsi autonomamente entrate finanzia-

rie, obiettivo raggiungibile in buona misura tramite donazioni private ed appositi investimenti, ma

che può essere agevolato dallo sfruttamento delle risorse stesse che sono offerte dall’istituto cultura-

le, in primis l’immagine dei suoi beni. Una simile idea è soggetta a modalità differenti di realizzarsi

in rapporto a quel che si va a riprodurre, anche in considerazione del fatto che le opere moderne

vengono generalmente acquisite dai musei senza assicurarsi il diritto di riproduzione dall’autore.

All’interno del sito web dell’Opera House di Sydney495 (opera che, nonostante sia stata co-

struita appena negli anni Cinquanta del XX secolo, è già stata iscritta nel 2005 nel patrimonio cultu-

rale australiano e nel 2007 in quello dell’UNESCO) viene dettagliatamente analizzata la questione

delle riprese fotografiche e filmiche. Tali riproduzioni non sono affatto proibite se destinate ad un

uso personale o comunque dissociato da finalità commerciali: per scopo commerciale si intende la

vendita di beni o servizi non correlati all’Opera House ma che suggeriscono in terzi, mediante l’uti-

lizzo dell’immagine dell’edificio, l’impressione che un simile collegamento esista, creando un dan-

no al marchio ed all’esclusività che il trust di gestione offre ai propri sponsor finanziatori. Particola-

ri autorizzazioni vanno richieste pure qualora l’Opera House costituisca un mero elemento del pa-

norama cittadino o della baia o nei casi di riprese televisive o documentaristiche. Le limitazioni po-

491 Ricalco la definizione fornita da TORRENTE, A. - SCHLESINGER, P., Manuale di diritto privato, Milano, 2007, p. 585.492 Che “nella concezione di common law l’oggetto della proprietà non sia mai la cosa materiale, ma un diritto ben de-

finito” è l’icastica considerazione di GAMBARO, A. – SACCO, R., Sistemi giuridici comparati, Milano, 2009, p.122. 493 PELLIZZARI, S., Il ruolo dei privati e la tutela del patrimonio culturale nell’ordinamento giuridico inglese: un mo-

dello esportabile?, in http://www.aedon.mulino.it, 2010; si veda anche MEER, Y., The legal dimension of Cultural Pro-perty ownership: taking away the right to destroy, in http://www.aedon.mulino.it, 2011.

494 BENHAMOU, F., L’economia della cultura (traduzione italiana da L’économie de la culture, Parigi, 2011). Bologna,2012, pp. 80 ss. e pp. 136 ss.

495 http://www.sydneyoperahouse.com.

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ste alla riproduzione di quest’opera architettonica nascono dal desiderio di evitare un pregiudizio

commerciale.

Per quanto posizionate in altro contesto, non dissimili sono le condizioni poste dai musei

nell’utilizzo delle immagini delle opere in essi contenute: forse a maggior ragione, essendo esse si-

tuate in un contesto chiuso e senza altra funzionalità di utilizzo che quella di ammirazione culturale.

In ambito statunitense, sono state oggetto di osservazione496 le modalità con cui i musei d’oltreocea-

no presentano la loro offerta culturale sui propri siti Internet. Le riproduzioni delle opere sono, in li-

nea di massima, sempre soggette a limitazioni, in ragione di formule che riportano: asserzioni di di-

ritti di copyright; proibizioni nella riproduzione o distribuzione; delimitazione degli usi permessi; li-

mitazioni dell’uso ad un’unica occasione; restrizioni degli usi delle immagini da altre fonti; affer-

mazioni di Digital Rights Management e relativo controllo sull’immagine digitale; restrizioni tem-

porali o di formato; discrezionalità nell’accordare il permesso alla riproduzione. La dissuasione dal-

l’utilizzazione delle immagini messe a disposizione dai musei passa attraverso: informazione sulla

possibile esistenza di diritti di terzi; affermazione della responsabilità dell’utente in caso di viola-

zione di diritti di terzi; inserimento di disclaimer; l’invito a richiedere il permesso a terzi; clausole

di indennizzo; impossibilità di rendere disponibile l’immagine. Ulteriormente, le immagini per cui è

stata consentita l’utilizzazione devono rispettare certi modi di utilizzazione: divieto di modificazio-

ni; uso del dettaglio solo se autorizzato; rispetto della composizione cromatica; dimensione dell’im-

magine; risoluzione; margini e bordi; posizionamento in copertine. È spontaneo osservare che un si-

mile regime di tutele ha come formale oggetto di riferimento la riproduzione fotografica, ma come

terminale sostanziale l’opera d’arte riprodotta, di cui si limita la circolazione. La logica conseguen-

za è un forte controllo su questo settore di mercato da parte dell’ente museale, o, spesso, dell’edito-

re che si è assicurato i diritti di riproduzione e distribuzione, frequentemente in forma di lunga dura-

ta e limitando le possibilità di impiego da parte del museo stesso497.

Questo interesse al controllo del settore si mantiene anche in seguito alla già richiamata sen-

tenza498 di una corte statunitense che ha disconosciuto alle riproduzioni fotografiche di opere d’arte

il minimo requisito di originalità necessario per accedere alla protezione del copyright. Il caso c.d.

Bridgeman era stato preconizzato dall’opinione espressa in un giudizio precedentemente deciso dal

Privy Council britannico499: nel valutare un caso di tutela del copyright, fu preso come termine di

paragone la copia artistica mediante pittura o fotografia, ed il giudice commentò che, nonostante

l’abilità ed il lavoro richiesti per l’effettuazione della riproduzione, essa, da copia, non poteva esse-

496 L’indagine è stata condotta da BROWN, M. A. - CREWS, K. D., Art image Copyright and Licensing, in http://acade-miccommons.columbia.edu, 2010.

497 PESSACH, G., Museums, Digitization and Copyright Law: Taking Stock and Looking Ahead, in The Journal of In-ternational Media and Entertainment Law, 2007, pp. 253 ss.

498 Bridgeman Art Library, Ltd. v. Corel Corp., 36 F. Supp. 2d 191 (S.D.N.Y. 1999).499 Interlego AG v. Tyco Industries Inc., 1 A.C. 217, Privy Council, 1988.

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re rivendicata come prodotto originale su cui affermare un copyright. Tuttavia, successivamente, la

giurisprudenza britannica500 meglio precisò il suo punto di vista, riconoscendo una sufficiente crea-

tività alle riproduzioni richiedenti una certa abilità nel posizionamento, nell’angolazione, nella scel-

ta della luce, in particolar modo per gli oggetti tridimensionali, ma è da ritenersi anche per quelli bi-

dimensionali, poiché sarebbe assurdo creare una sfasatura nella riproduzione, ad esempio, di scultu-

re e dipinti: in entrambi la riproduzione arriva a cogliere solo una porzione dell’opera d’arte e non

l’intera essenza dell’originale501. Non vi è quindi alcuna scollatura con quanto previsto dalla legge

britannica, la quale riconosce la fotografia come oggetto di copyright se qualificabile come opera

artistica502, tutelabile fino a un periodo di settant’anni a seguito della morte dell’autore503. Ma la ri-

produzione di un’opera d’arte può arrivare a configurarsi come un’opera artistica?

La prassi insegna che gli enti che forniscono immagini dei beni culturali che hanno in ge-

stione danno per implicitamente assodato questo requisito, anche correndo il rischio di ritenere og-

getto di copyright fotografie che non accedono a tale tutela504. In questa maniera, si va a creare un

processo di privatizzazione dei depositi di memoria degli enti culturali505.

Per la riproduzione delle opere d’arte contenute nel Palazzo di Westminster506, occorrerà nor-

malmente compilare un apposito modulo per ricevere immagini di alta qualità contenute nelle rac-

colte dell’Amministrazione: l’uso commerciale, in ogni caso, deve essere espressamente autorizza-

to; vanno assicurate specifiche condizioni sull’uso, quali la non modificazione, la non ulteriore dif-

fusione, la consegna di due copie del prodotto ottenuto. Le tariffe dipendono, oltre che dalla tipolo-

gia di uso, dalla copertura dei costi amministrativi.

Il British Museum, tra i termini e le condizioni per l’utilizzazione editoriale di riproduzioni

fotografiche fornite dal museo507, precisa che, nel procedere unicamente all’uso accordato dalla li-

cenza, sono proibiti impieghi in promozione di attività commerciali in concorrenza con il museo o

che ne compromettono o svalorizzano il buon nome, la reputazione, l’immagine. La medesima isti-

tuzione prevede, con apposite indicazioni per i casi in cui l’impiego è gratuito (uso privato, didatti-

co o di ricerca), delle condizioni generali per l’utilizzazione del materiale messo a disposizione on-

500 Antiquesportfolio.com plc v. Rodney Fitch & Co. Ltd, FSR 23, 2001. 501 ALLAN, R. J., After Bridgeman: copyright, museums, and public domain works of art, in University of

Pennsylvania Law Review, vol. 155, 2007, p. 978.502 Section 4, Act 15 novembre 1988, Copyright, Designs and Patents Act.503 Section 12, Act 15 novembre 1988, Copyright, Designs and Patents Act; identico termine per le opere create a par-

tire dal 1978 è previsto negli Stati Uniti da §302, Title 17, United States Code. 504 Si ricorda che, ai sensi di §506, lett. c), Title 17, United States Code, la fraudolenta indicazione dell’esistenza di un

copyright comporta una multa fino a 2500 dollari di importo, ma si tratta di una norma che, non avendo mai trovato ri -scontro pratico, “abbaia ma non morde” secondo l’ironica osservazione di MAZZONE, J., Copyfraud, in New York Uni-versity Law Review, vol. 81, 2006, p. 1036.

505 È il tema centrale dell’analisi di PESSACH, G., [Networked] Memory Institutions: Social Remembering, Privatiza-tion and its Discontents, in Cardozo Arts & Entertainment Law Journal, vol. 26, 2008.

506 http://www.parliament.uk.507 http://www.bmimages.com.

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line508: uso ristretto ad un’unica occasione; divieto di modificazioni; limitazione del formato; inseri-

mento della dicitura di provenienza dal trust del British Museum.

Il mancato rispetto di condizioni come queste, riscontrabili in molti altri regolamenti in me-

rito alla riproduzione di opere d’arte del mondo anglosassone, rischia di comportare delle conse-

guenze legali.

Un caso emblematico ha riguardato nuovamente Wikipedia, questa volta nella sua edizione

inglese509. L’internauta statunitense Derrick Coetzee, nel marzo 2009, aveva caricato sul database

di Wikimedia Commons alcune migliaia di immagini in alta risoluzione di opere d’arte, tratte dal

sito Internet della National Portrait Gallery di Londra, e le aveva inserite nelle correlate pagine di-

vulgative di Wikipedia. Dopo aver vanamente richiesto alla Wikimedia Foundation di rimuovere le

immagini, proponendo di sostituirle con altre a bassa risoluzione, la National Portrait Gallery pro-

spettò di ricorrere alle vie legali contro lo stesso Coetzee, reclamando la violazione del copyright

che deteneva sulle fotografie oggetto della contesa, le cui condizioni di utilizzo erano ben visibili al-

l’interno del sito; l’aver destinato le immagini ad un uso su Wikipedia, ad opinione della pinacoteca,

avrebbe autorizzato qualsiasi utente a produrre ulteriori copie in alta risoluzione. Il sito web dell’en-

te culturale proteggeva, mediante un apposito software, da un’incontrollata diffusione al grande

pubblico le immagini in alta risoluzione delle proprie opere, essendo stato investito oltre un milione

di sterline per il progetto di digitalizzazione. La National Portrait Gallery avrebbe adito il giudice

britannico essendo il proprio server violato nel Regno Unito e sostenendo che i contenuti delle pagi-

ne di Wikipedia fossero rivolti ad un pubblico britannico; la scelta del giudice sarebbe stata conte-

stata dalla difesa, la quale sosteneva che Coetzee ed i server della Wikimedia Foundation erano do-

miciliati oltreoceano, con la conseguente applicazione del diritto statunitense, diritto in cui si poteva

rinvenire un precedente favorevole: il caso c.d. Bridgeman510, di cui la parte attrice arrivò a prospet-

tare il capovolgimento concettuale, ossia la rilevanza artistica di una copia pedissequa proprio in ra-

gione della difficile resa dell’aderenza all’originale. Tuttavia, a causa della pubblicità negativa che

stava ricevendo dal protrarsi della vicenda, la National Portrait Gallery abbandonò la contesa; Wi-

kimedia comunque provvide a far accompagnare le immagini inserite da Coetzee dall’avviso che, a

seconda delle giurisdizioni di riferimento, simili riproduzioni potevano essere oggetto di contesta-

zione. In una nota511, la sezione britannica di Wikimedia ha preso posizione contro le ambiguità del-

508 http://www.britishmuseum.org.509 Sulla ricostruzione di questa vicenda, si veda STOKES, S., Art and copyright, Oxford, 2012, pp. 156 ss.510 Curioso è ricordare come, prima della definitiva sentenza Bridgeman II, 36 F. Supp. 2d 191 (S.D.N.Y. 1999), si

ebbe la decisione di Bridgeman I, 25 F. Supp. 2d 421(S.D.N.Y. 1998), in cui il giudice, ritenendo di applicare il dirittoinglese in ragione della sede della parte attrice, giungeva alle medesime conclusioni in tema di assoluta mancanza dioriginalità delle immagini.

511 http://upload.wikimedia.org.

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la situazione di accessibilità alle opere d’arte in pubblico dominio causate dalle incertezze sulla ri-

conoscibilità di un copyright sulle fotografie di opere bidimensionali.

In precedenza, era pure stato risolto fuori dalle aule del tribunale un caso512 in cui si conte-

stava la copia di fotografie d’archivio cadute in pubblico dominio fornite da un’istituzione con la

precisa condizione che non fossero oggetto di riproduzione, clausola che l’utente riteneva inapplica-

bile: il caso c.d. Schwartz provocò un primo dibattito sul ruolo delle istituzioni nel loro controllo sui

beni a loro disposizione tra chi asseriva una libera fruizione della cultura e chi paventava un’anar-

chia nel settore dannosa per le istituzioni stesse513.

Il controllo del copyright della riproduzione fotografica è presentato come il principale osta-

colo alla diffusione dell’immagine dei beni culturali; anche quando non si pone un simile problema

come nel caso in cui, ad esempio, l’immagine sia liberamente licenziata online, l’ente che ha in cura

il bene avrà spesso interesse ad evitarne un impiego commerciale che possa risultare pregiudizievo-

le alla propria reputazione o fuorviante per il pubblico. Si spiega così il successo ed il giro d’affari

di alcuni siti web specializzati nella raccolta di archivi iconografici, i quali, avendo compiuto acqui-

sti nell’ordine di milioni e milioni di originali fotografici, si sono garantiti un’importante posizione

di mercato a livello globale per contrattare le utilizzazioni delle immagini con la più vasta gamma di

utenti interessati: a seconda della destinazione, varia il prezzo, che può arrivare a toccare centinaia

di migliaia di euro, per un giro totale di affari di diversi miliardi di dollari con costanti margini di

crescita514. Accanto a queste raccolte, ne sono disponibili altre in forma gratuita seppur di qualità

minore.

L’utilizzazione gratuita potrebbe essere invocata in due casi515: l’esenzione per la riproduzio-

ne con fini di preservazione di biblioteche ed archivi516 e quella prevista dalla disciplina di fair use

che consente un legittimo utilizzo dell’opera nonostante la previsione di un copyright su di essa. A

differenza del concetto restrittivo di fair dealing del Regno Unito517 e di altri Paesi del Common-

wealth, i casi di fair use negli Stati Uniti sono stati spesso flessibilmente coniati da situazioni af-

frontate dalla giurisprudenza e dalla dottrina e poi codificati all’interno di un’apposita legislazio-

ne518: tra questi, sono espressamente previsti l’insegnamento, lo studio e la ricerca. Tuttavia, le pub-

blicazioni degli studiosi, oltre ad avere un fine di acculturamento, comportano anche un ritorno eco-

512 Schwartz v. Berkeley Historical Society, No. C05-01551 JCS (N.D. Cal. 2005). 513 Si veda CORBETT, S. – BODDINGTON, M., Copyright law and the digitisation of cultural heritage, in Centre for Ac-

counting, Governance & Taxation Research Working Paper Series, vol. 77, 2011.514 GUERZONI, G. – STABILE, S., I diritti dei musei: la valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights ma-

nagement, Milano, 2003, pp. 37 ss.515 L’osservazione è di PESSACH, G., Museums, Digitization and Copyright Law: Taking Stock and Looking Ahead, in

The Journal of International Media and Entertainment Law, 2007, pp. 253 ss. 516 §108, Title 17, United States Code.517 Section 29-30, Act 15 novembre 1988, Copyright, Designs and Patents Act.518 §107, Title 17, United States Code.

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nomico per gli autori: raramente, però, vi sono sufficienti ragioni economiche per adire le vie legali

in riferimento ad usi non autorizzati all’interno di articoli a diffusione universitaria o presso stampa

specialistica, ma la situazione è destinata ad evolversi anche in seguito alle nuove opportunità offer-

te dal mondo telematico; la pubblicazione di monografie ad ampia diffusione presso il pubblico può

invece arrivare a comportare un esborso complessivo per l’autore di decine di migliaia di dollari519.

La possibilità di invocare il fair use è determinata dall’esistenza di un copyright: qualora, seguendo

la giurisprudenza c.d. Bridgeman, si disconoscesse tale regime alle immagini che riproducono opere

d’arte, si rischierebbe che i musei, per mantenere un controllo sulla diffusione delle loro opere, va-

dano a ricorrere a particolari clausole limitative di stampo contrattuale, in cui il fair use, a meno di

un’evoluzione della materia nel particolare settore degli enti culturali520, non sarebbe rivendicabile

dagli utenti521. Quest’eventualità risulterebbe ancora più preclusiva per la circolazione dell’informa-

zione culturale, rappresentando un forte sbarramento all’accesso che mal si concilia con quanto soli-

tamente concepito dalla mentalità anglosassone, favorevole ad una libera e gratuita disposizione

della cultura: nel Regno Unito l’ingresso alle collezioni permanenti statali è gratuito, mentre il Me-

tropolitan Museum di New York si limita a richiedere un contributo volontario522.

Pare difficile coordinare due spinte propulsive entrambe caratteristiche della cultura anglo-

sassone: il dovere di garantire la libertà della conoscenza e la necessità di ricorrere alla protezione

del copyright. Con alcune notevoli eccezioni523, le istituzioni culturali degli ordinamenti di common

law pongono, spesso per necessità economiche, restrizioni nella libera circolazione dei beni cultura-

li nell’intenzione di monetizzare quanto più possibile, giustificando la propria pretesa con il richia-

mo mediato alle norme sulla riproduzione di opere coperte da copyright quali potrebbero essere le

fotografie. Non uniformemente tale giustificazione è stata percepita come valida, per cui, anche in

questi ordinamenti, v’è la sensazione che la disciplina sulla riproduzione dei beni culturali debba

fronteggiare incertezze e rivisitazioni rese ancora più urgenti dalla raggiunta portata globale dell’in-

formazione.

519 BALLON, H. - WESTERMANN, M., Art History and its publications in the Electronic Age, disponibile inhttp://cnx.org, 2006, pp. 24 ss.

520 È quanto auspica, promuovendo anche proposte di riforma, PESSACH, G., [Networked] Memory Institutions: SocialRemembering, Privatization and its Discontents, in Cardozo Arts & Entertainment Law Journal, vol. 26, 2008, pp. 126ss.

521 ALLAN, R. J., After Bridgeman: copyright, museums, and public domain works of art, in University ofPennsylvania Law Review, vol. 155, 2007, pp. 984 ss.

522 BENHAMOU, F., L’economia della cultura (traduzione italiana da L’économie de la culture, Parigi, 2011). Bologna,2012, p. 85.

523 Per esempio, l’Università di Yale ha posto in pubblico dominio migliaia di immagini delle proprie collezioni mu -seali, archivistiche e bibliotecarie, come riferito in http://ydc2.yale.edu; sono open access anche le collezioni digitalidella National Gallery of Art di Washington, come riportato in https://images.nga.gov.

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Conclusioni

La disciplina sulla riproduzione dei beni culturali prevista dal Codice Urbani rappresenta il

punto di riferimento normativo su questa tematica in Italia, ma non segna l’arrivo ad una salda e

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condivisa valutazione in materia. Quand’anche il panorama legislativo non dovesse mutare, la situa-

zione può essere oggetto di evoluzioni nel comportamento degli enti e nella percezione degli utenti.

Una maggior consapevolezza del ruolo di entrambi altro non può che giovare ad un miglior godi-

mento pubblico del bene culturale.

Ripercorrendo succintamente quanto è stato scritto, si ha un sufficiente quadro di valutazio-

ne per compiere alcune considerazioni. Il bene culturale è oggetto di una particolare disciplina nel

nostro ordinamento per l’attributo da cui è caratterizzato, che lo destina ad essere oggetto d’ammi-

razione per quanta più gente possibile. Perché questo possa avverarsi, è necessario assicurarne l’ac-

cessibilità, affinché, accedendo ai contenuti di cui il bene fisico s’è fatto carico, si possa averne una

fruizione tale da poter portare giovamento agli individui che ne entrano in contatto. La diffusione

dell’immagine, quale specchio del bene culturale, è la via più immediata per ampliare le possibilità

di accedere al significato del bene culturale.

La diffusione dell’immagine avviene mediante il processo di riproduzione, il quale è conce-

pito come replica di qualsiasi genere, anche in formato diverso rispetto all’originale. Di diritto di ri-

produzione si parla solitamente nella disciplina del diritto d’autore: fotografie, opere multimediali,

banche dati o le stesse opere classificabili come beni culturali possono essere tutelate da tale disci-

plina, generalmente considerata preminente rispetto a quella sui beni culturali. Il diritto di riprodu-

zione può però comparire anche in altri contesti: tra i segni d’impresa, nella cronaca, nella pubblici-

tà. Quando oggetto della riproduzione è un bene culturale, occorrerà valutare l’incidenza che tale

immagine avrà nella riproduzione.

Il concetto di immagine, se riferito ad un bene, non riconduce ad una chiara situazione giuri-

dica: sembra da escludersi la sua qualificazione come accessorio del diritto di proprietà, mentre più

feconda pare la tesi, in via di evoluzione, che ne fa un prolungamento del diritto all’immagine delle

persone. Il rispetto per l’immagine delle cose passa anche attraverso le cautele con cui si accettano

sue alterazioni, che possono portare alla creazione di nuove opere o a forme di parodia. La libera

utilizzazione dell’immagine del bene culturale è ammessa in un limitato numero di casi: l’uso per-

sonale, l’uso per motivi di studio, l’uso effettuato da soggetti pubblici con finalità di valorizzazione.

In Italia, lo sviluppo di una disciplina sulla riproduzione dei beni culturali è solitamente ri-

condotto ad una legge del 1994, la legge Ronchey, la quale prevedeva l’entrata dei privati nella ge-

stione di alcuni servizi quale quello editoriale e di riproduzione. Da quel momento, ogni lieve muta-

mento delle disposizioni ha spostato il baricentro verso una generalizzata situazione consolidatasi

indipendentemente da un riferimento a servizi per il pubblico. L’attuale normativa di riferimento è

quella elaborata nel Codice Urbani, ma alcune forme di influenza si possono avere anche ad altri li-

velli territoriali ed istituzionali.

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La legislazione non distingue tra le modalità di riproduzione di beni culturali contenuti in un

ambiente che li racchiude e beni culturali esposti alla pubblica vista. Sotto il primo aspetto, è para-

digmatica la trattazione di quello che è l’istituto della cultura per eccellenza: il museo. Esso non può

essere configurato nel suo complesso come un’impresa, non avendone i requisiti, e deve rispettare il

suo ruolo di diffusore di cultura: non può rivendicare sull’immagine dei propri beni diritti di esclu-

siva dominicale; raramente avrà occasione di far valere diritti d’autore; esigenze di evitare pratiche

di concorrenza sleale si avranno soltanto limitatamente ai servizi destinati al pubblico. Un canale

per sviluppare una maggiore fruibilità delle risorse culturali è il web, che permette un facile accesso

da qualunque luogo del mondo. Nonostante gli impegni profusi nella digitalizzazione di beni conte-

nuti nei musei, è presente una opposta pretesa di controllare il diffondersi delle immagini e le moda-

lità con cui verranno utilizzate.

Fosse anche possibile controllare la diffusione di riproduzioni di opere contenute in luoghi

chiusi, difficile è comprendere come possano attuarsi previsioni restrittive in riferimento a beni cul-

turali collocati in un contesto aperto alla vista di tutti. Vi sono ordinamenti che appositamente rico-

noscono, in forma più o meno estesa, una libertà di panorama, nozione che in Italia fatica a trovar

strada, corrispondente alla libertà di ripresa di quanto è pubblicamente visibile. Il concetto di libertà

di panorama non è affatto scontato: esso è ristretto da esigenze di tutela della sicurezza, della con-

correnza, del diritto d’autore. Arrivare da qui a considerare la possibilità di estendere tali limitazioni

ai beni culturali manca di salde ed evidenti ragioni, eppure le norme lasciano aperti spiragli per po-

ter giungere a simili conclusioni, al punto da riverberarsi in una prassi altalenante. Un primo dibatti-

to su questi temi si è acceso sulle immagini pubblicate all’interno di una nota enciclopedia online:

Wikipedia.

A questa presentazione di tematiche generali, è seguito un capitolo appositamente dedicato

all’esame delle prassi sulla riproduzione dei beni culturali in diversi ordinamenti. In Italia, al di là

delle norme generali previste dal Codice Urbani, le valutazioni sulle autorizzazioni e l’applicazione

di tariffe sono lasciate alle politiche delle singole amministrazioni. Pur in mancanza di consolidate

pronunce giurisprudenziali, si possono ricostruire i caratteri del procedimento in base alle comuni

disposizioni sugli atti e sul processo amministrativo.

In Francia non c’è una esplicita disciplina preclusiva come quella italiana, ma, anche in

mancanza di apposite norme, c’è una similarità di risultati. Nel corso dei decenni, oltralpe s’è svi-

luppato un serrato dibattito sulla riconoscibilità di un diritto sull’immagine dei beni, dibattito che

s’è riversato anche nella materia dei beni culturali ed è destinato a comportarne sviluppi: molto di-

penderà dalle precise politiche adottate da ciascun ente.

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Nei Paesi anglosassoni, i cosiddetti ordinamenti di common law, v’è incertezza principal-

mente sull’accesso alle immagini dei beni contenuti nei musei. La prospettiva adottata è diversa: il

meccanismo con cui si concretizza il controllo sull’immagine dei beni è il riconoscimento di un co-

pyright sulle riproduzioni, le quali costituiscono il mezzo per garantirne la diffusione.

Fin qui la ricapitolazione di quello che già è stato scritto, ma qualcos’altro può ancora essere

aggiunto.

L’esame delle prassi permette di osservare come, in diversi ordinamenti, gli enti culturali

siano arrivati, mediante strade profondamente diverse tra loro, ad avere un controllo sulla riprodu-

zione dei beni culturali. Il percorso scelto dall’ordinamento italiano non rappresenta un unicum nel

panorama globale. La previsione di una apposita disciplina sulla riproduzione dei beni culturali si

ritrova in altri Paesi: è il caso della Grecia524, la quale prevede che le riproduzioni dei propri monu-

menti siano oggetto di permessi e tariffe non solo per utilizzazioni commerciali, ma anche per fina-

lità artistiche, scientifiche o didattiche; una legge turca525 dispone che ogni tipologia di riproduzione

dei beni culturali dei siti archeologici e dei musei del Ministero vada soggetta ad autorizzazione del

Ministero stesso per qualsiasi scopo.

L’effettuazione di una riproduzione non dà adito ad un uso che comporta un rischio di con-

servazione per il bene culturale o un’escludente occupazione fisica. Piuttosto, la logica sottesa a

queste normative è data, formalmente, dall’esigenza di assicurare una corretta diffusione dell’imma-

gine dei beni culturali, così da garantire la tutela dei loro contenuti valoriali nella cura che si ha nel-

l’evitarne lo svilimento. Se è questa la ragione che fa da sfondo a simili previsioni, occorre trarne la

conseguenza che una loro violazione comporta un danno alla figura del bene culturale e, di rimbal-

zo, all’Amministrazione gerente. In mancanza di apposite disposizioni per dirimere quest’eventuali-

tà, l’Amministrazione potrà richiedere all’utente il rispetto di quanto previsto dagli articoli 107 e

108 del Codice Urbani, ma con la consapevolezza che il richiamo al dato legislativo è basato sul

presupposto del danno creato con l’uso improprio della riproduzione.

Questa è l’unica spiegazione attualmente plausibile per trovare una motivazione alle previ-

sioni degli articoli 107 e 108 del Codice. Non si può trovare giustificazione sulla base del puro dirit-

to di proprietà: oltre alla mancanza di conferme dalla giurisprudenza, il proprietario non ha una

esclusiva di utilizzo dell’immagine, entità autonoma rispetto al bene, e non ne ha neppure un’utilità.

Chi potrebbe avere un’utilità nel controllo sulla diffusione dell’immagine di un bene è invece colui

che potesse soffrire di fattispecie di concorrenza sleale. Tuttavia, non sussistono i requisiti per defi-

nire la totalità dei beni culturali in senso imprenditoriale: in particolare, s’è riflettuto sulla possibili-

524 Art. 46, Νόμος 28 giugno 2002, n. 3028, Για την προστασία των Αρχαιοτήτων και εν γένει της ΠολιστικήςΚληρονομιάς.

525 Art. 34, Kanun 21 luglio 1983, n. 2863, sayılı Kültür ve Tabiat Varlıklarını Koruma Kanunu.

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tà di qualificare il museo come impresa, ma ne mancano i presupposti normativi, specialmente con

riferimento alla possibilità di prospettarsi un risultato economico. Solo ad una visione più generale

si potrebbe cogliere una valutazione economica del bene culturale all’interno di una comunità, come

qualificatore della stessa. In tal caso, però, diventa più opportuno e maggiormente consono al diritto

attuale riscontrare nel bene culturale un elemento di qualificazione dell’ente pubblico di riferimen-

to, il quale ha interesse a non vedere svilita l’immagine del bene culturale in riproduzioni che ne

possono danneggiare la sua portata contenutistica, essendo il bene culturale emblema della cultura

che quel luogo rappresenta.

Sennonché, in che modo una riproduzione può danneggiare un bene culturale? Il rischio ver-

rà non tanto da una sua alterazione, quanto dalla sua associazione ad usi che tradiscano un inesisten-

te collegamento con il bene culturale o, semplicemente, la possibilità che simili ipotesi possano con-

seguire da una diffusione che sia incontrollabile per l’amministrazione di riferimento. Occorre però

domandarsi fin dove possano spingersi simili esigenze di tutela, temperandole con le dinamiche del

principio di valorizzazione, che pretende che i beni culturali siano fruiti e conosciuti. Le limitazioni

ad una libera riproduzione non sono forse eccessive, specialmente in riferimento a quegli usi divul-

gativi ma non commerciali quale il servizio di enciclopedia online offerto da Wikipedia?

Non sono molti gli ordinamenti al mondo che sanciscono una tutela costituzionale per la cul-

tura526. La Costituzione italiana, all’articolo 9, prevede che la Repubblica tuteli il patrimonio storico

ed artistico della Nazione; sempre la Costituzione, all’articolo 33, asserisce che l’arte e la scienza

sono libere e libero ne è l’insegnamento. È legittimo l’intervento pubblico nel settore culturale per

definirne modalità e contorni, ma non può arrivare a spingersi al punto da negare una libertà all’arte

ed alla cultura527, anche perché, se un bene culturale non fosse destinato ad un beneficio per il pub-

blico, perderebbe la sua stessa connotazione e funzione caratteristica. La natura comunitaria dei

beni culturali o, se si vuole, il loro annoverarsi tra i beni comuni comportano che, idealmente, la

loro proprietà non sia circoscritta ma venga percepita a beneficio di tutti. Beninteso, non sussiste al-

cun divieto assoluto di riproduzione ma una semplice esigenza di rispetto delle regole, regole che

però rischiano di presentarsi come oscure o misconosciute, come la prassi stessa provvede a dimo-

strare, e fanno sorgere perplessità nella loro portata operativa. Focalizzandosi sulla prassi italiana,

risulta evidente come vi sia uno scollamento tra il dato normativo e l’applicazione della disciplina

sulla riproduzione dei beni culturali: questa situazione rappresenta una grande questione che il set-

tore culturale deve affrontare per dirimere i dubbi interpretativi o per procedere ad un maggior rigo-

rismo.

526 Un elenco è fornito da SETTIS, S., Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, p.283.

527 Seppur con implicazioni diverse, CLEMENTE DI SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale di diritto dei beni culturali,Napoli, 2008, pp. 45 ss.

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È pur vero che l’interesse che procura il bene culturale può essere veicolato solo parzialmen-

te dalla riproduzione, non tanto per imperfezioni visive che la sempre maggior evoluzione tecnolo-

gica riduce, quanto perché anche una riproduzione estremamente perfetta di un’opera d’arte manca

di un elemento: la sua presenza nel tempo e nello spazio, la sua esistenza unica nel posto dove si

trova528. Una riproduzione non sostituisce l’originale, ma, tramite la rappresentazione visiva, può

fornire un primo flusso delle informazioni del bene culturale e delle sue caratteristiche più evidenti.

L’immagine è la forma più immediata di manifestazione del bene culturale, ma mentre il bene cul-

turale è quel che è solamente nella sua irripetibile fisicità, l’immagine resta immagine anche se fis-

sata altrove che sulla retina oculare. Essa è messaggera di contenuti e pare un’impresa improba ten-

tare di controllarne la diffusione, specialmente in un’epoca in cui, anche per il contributo della digi-

talizzazione, lo scambio di contenuti e di informazioni rappresenta un tratto caratterizzante della so-

cietà globale.

Un’ulteriore soluzione può essere trovata per spiegare gli articoli 107 e 108 del Codice. Più

prosaicamente, forse proprio a causa della consapevolezza della rilevanza che hanno le informazio-

ni nell’epoca moderna si è assistito ad un fenomeno di enclosure529 di contenuti culturali: gli stessi

enti pubblici che dovrebbero curare la propagazione della cultura hanno poche remore a tentare di

vendere pezzetti di quel che è già in pubblico dominio530. A questo, essi sono stati legittimati dalle

norme giuridiche e necessitati dai bisogni economici. Mentre i bisogni economici sono sempre pre-

senti in un istituto culturale per gli ingenti costi di ricerca e conservazione, le norme giuridiche sui

beni culturali non dappertutto autorizzano il verificarsi di un simile fenomeno, ma, come è emerso

dall’esame delle prassi, si può trasferire il meccanismo di protezione dal bene al supporto che ne

cattura l’immagine, oppure imporre limitazioni a prescindere dall’esistenza di una specifica discipli-

na legislativa, facendo semplicemente valere la propria autorità sulla cosa oggetto di riproduzione.

L’evoluzione degli ultimi anni s’è incamminata verso un controllo sempre più stringente531.

La possibilità che gli enti che hanno a disposizione beni culturali facciano commercio delle

immagini di opere in pubblico dominio anziché lasciarle alla libera riproducibilità può forse diven-

tare una scelta non legata a considerazioni giuridiche, ma solamente al business532? Aver ripercorso

528 BENJAMIN, W., The work of art in the age of its technological reproducibility, and other writings on media(traduzione inglese da Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, Francoforte sul Meno, 1955),Cambridge, 2008, p. 21.

529 Non esita a definirlo così PESSACH, G., [Networked] Memory Institutions: Social Remembering, Privatization andits Discontents, in Cardozo Arts & Entertainment Law Journal, vol. 26, 2008, p. 117.

530 “A publisher would be crazy not to try to sell off pieces of the public domain” è la sarcastica considerazione diMAZZONE, J., Copyfraud, in New York University Law Review, vol. 81, 2006, p. 1038.

531 Sia in Francia sia nel Regno Unito, i casi di libera utilizzazione di opere d’arte sono stati ritenuti limitati da un’in -terpretazione restrittiva della direttiva del 22 maggio 2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio, n. 2001/29/CE, Sul-l’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione , secondoGATT, L., Le utilizzazioni libere: di opere d’arte, in AIDA, 2002, pp. 211 ss.

532 Dà risposta affermativa HAMMA, K., Public Domain Art in an Age of Easier Mechanical Reproducibility, inhttp://www.dlib.org, 2005.

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l’evoluzione della disciplina italiana nel tempo ha permesso di denotare come un approccio restritti-

vo sia stato sviluppato a partire dall’esigenza di attirare l’entrata di privati nel servizio di riprodu-

zione. Che poi, a partire da quel punto, la disciplina sia andata evolvendosi fino ad assurgere a nor-

ma valevole anche se sganciata dal settore dei servizi al pubblico, va a giovare alla possibilità di im-

missione nel mercato delle riproduzioni di beni culturali. Ma un bene culturale non è un bene d’a-

zienda: il fatto che la gestione del bene sia valorizzata da servizi aggiuntivi a fini economici non

muta la sua complessiva natura non economica, improntata alla predisposizione verso un godimento

ed un beneficio per la collettività533. Neppure potrebbe obiettarsi che la prospettiva di un pagamento

vada a coprire i costi di un servizio reso, perché la generale previsione di restrizioni alla riproduzio-

ne prescinde dall’attivazione dell’Amministrazione ad una predisposizione d’ambiente verso l’uten-

za. Semplicemente, si potrebbe giungere al punto di ritenere le norme sulla riproduzione dei beni

culturali come schiette imposizioni iure imperii, senza motivazione di sorta.

Le soluzioni che in passato sono state proposte534 prevedono o l’abolizione tout court della

disciplina in materia di riproduzioni dei beni culturali, o un’armonizzazione operata a livello euro-

peo, o un graduale passaggio verso un regime meno restrittivo. In quest’ultimo caso, gli accorgi-

menti da apportare comprendono: la semplificazione del processo di autorizzazione; l’assicurazione

di eccezioni agli usi non-commerciali e di meccanismi di attribuzione; l’uso di soft law; la specifi-

cazione del concetto di uso personale; l’esaurimento alla prima autorizzazione del controllo sull’im-

magine; la distinzione tra il rilascio delle immagini di opere culturali e il permesso di creare nuove

immagini; la previsione di una maggior protezione del pubblico dominio e di un maggior uso di li -

cenze libere anche all’interno della legislazione sui beni culturali.

Alla luce dei fatti, le previsioni normative di autorizzazioni e pagamenti per l’utilizzo del-

l’immagine dei beni culturali dimostrano solamente di creare confusione senza andare realmente a

cogliere quelle utilità economiche che restano appannaggio degli editori professionisti. Sicuramen-

te, un miglior chiarimento nel settore sarà necessario, perché se i singoli istituti e le singole ammini-

strazioni non possono usare efficacemente o non conoscono appieno le potenzialità che riserva la

gestione dell’immagine di beni culturali, soprattutto in un Paese come l’Italia, ciò significa che la

legislazione necessita di maggiori sviluppi. Se è stata una mera esigenza economica ad aver indotto

il legislatore a mantenere le norme restrittive sulla riproduzione dei beni culturali previste dal Codi-

ce Urbani, essa non ha certo portato i frutti sperati e rischia, più che altro, di creare timori ed incom-

prensioni negli utenti. Se tali norme sono state invece ispirate dal meritevole intento di assicurare un

533 Si veda CARPENTIERI, R., Artt. 115-116-117, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesag-gio, Milano, 2005, pp. 527 ss.

534 MORANDO, F. – TSIAVOS, P., Diritti sui beni culturali e licenze libere (ovvero, di come un decreto ministeriale puòfar sparire il pubblico dominio in un paese), in Quaderni del Centro Studi Magna Grecia – Università degli Studi diNapoli Federico II, 2011.

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uso corretto dell’immagine dei beni culturali come presidio del loro alto contenuto storico ed artisti-

co evitandone ogni tentativo di svilimento, più efficaci devono dimostrarsi le politiche che mirano a

proteggere i beni culturali, ma con la cura di non esacerbarsi in eccessive restrizioni tali da preclu-

dere il libero accesso all’immagine dei beni culturali quale mezzo più immediato in grado di portar-

ne il significato.

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Legge 30 marzo 1965, n. 340, Norme concernenti taluni servizi di competenza dell’Amministra-zione statale delle antichità e belle arti

D.P.R. 2 settembre 1971, n. 1249, Regolamento di esecuzione della l. 30 marzo 1965, n. 340, con-cernente taluni servizi di competenza dell’Amministrazione statale delle antichità e belle arti

Legge 23 luglio 1980, n. 502, Istituzione del comitato per il coordinamento e la disciplina dellatassa d’ingresso ai monumenti, musei, gallerie e scavi di antichità dello Stato

D.M. 4 agosto 1988, n. 375, Norme di esecuzione della legge 11 giugno 1971, n. 426, sulla disci-plina del commercio

Legge 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di dirittodi accesso ai documenti amministrativi

D.L. 14 novembre 1992, n. 433, Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali. Disposi-zioni in materia di biblioteche statali e di archivi di stato

Legge 14 gennaio 1993, n. 4, Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 14 no-vembre 1992, n. 433

D.M. 31 gennaio 1994, n. 171, Regolamento recante determinazione di indirizzi, criteri e modali-tà per la gestione del servizio editoriale e di vendita riguardante le riproduzioni di beni cultu-rali e la realizzazione di cataloghi ed altro materiale informativo, dei servizi riguardanti i benilibrari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito nell'ambito del prestito biblio-tecario, nonché dei servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba e di vendita di altri benicorrelati all'informazione museale presso i musei, le gallerie, gli scavi archeologici, le bibliote-che e gli archivi di Stato e gli altri istituti dello Stato consegnatari di beni culturali

D.M. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per leconcessioni relative all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero

Circ. Ministero per i beni culturali e ambientali, Gabinetto, Servizi Aggiuntivi, 7 giugno 1995, n.50

Legge 25 marzo 1997, n. 78, Soppressione della tassa d’ingresso ai musei statali

D. M. 24 marzo 1997, n. 139, Regolamento recante norme sugli indirizzi, criteri e modalità diistruzione e gestione dei servizi aggiuntivi nei musei e negli altri istituti del Ministero per i beniculturali e ambientali

Legge 8 ottobre 1997, n. 352, Disposizioni sui beni culturali

D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni cultu-rali e ambientali

L.cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione

Legge 6 luglio 2002, n. 137, Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Pre-sidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici

D.lgs. 9 aprile 2003, n. 68, Attuazione della direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluniaspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione

D.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridi-ci dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento alcommercio elettronico

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D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio

D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale

Circ. reg. Sicilia 18 marzo 2005, n. 7, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi alsuo esercizio

D.M. 20 aprile 2005, Indirizzi, criteri e modalità per la riproduzione di beni culturali, ai sensidell’articolo 107 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42

Circ. Direzione generale per gli archivi, Servizio II, 17 giugno 2005, n. 21, Disposizioni per l’ese-cuzione di riproduzioni con propria fotocamera digitale.

D.lgs. 24 marzo 2006, n. 156, Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gen-naio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali

D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture inattuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE

Delibera della Giunta Provinciale di Trento, 28 dicembre 2007, n. 3064, all. D, Dichiarazione diinizio attività e silenzio assenso - attuazione degli articoli 9, 23 e 23-bis della legge provinciale30 novembre 1992, n. 23

Legge 9 gennaio 2008, n. 2, Disposizioni concernenti la Società Italiana degli Autori ed Editori

D.lgs 26 marzo 2008, n. 62, Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo22 gennaio 2004 n. 42 in relazione ai beni culturali

D.L. 1 luglio 2009, n. 78, Provvedimenti anticrisi nonché proroga di termini e della partecipazio-ne italiana a missioni internazionali

Legge 3 agosto 2009, n. 102, Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 1° luglio2009 n. 78

D.L. 3 agosto 2009, n. 103, Disposizioni correttive del decreto legge anticrisi n. 78 del 2009

Legge 3 ottobre 2009, n. 141, Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 3 agosto2009 n. 103

D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, Codice dell’ordinamento militare

D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, allegato 1, Codice del processo amministrativo

D.P.C.M. 22 dicembre 2010, n. 271, all. 1, Regolamento di attuazione dell'articolo 2 della legge7 agosto 1990, n. 241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per ibeni e le attività culturali aventi durata non superiore a novanta giorni.

D.L. 8 agosto 2013, n. 91, Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio deibeni e delle attività culturali e del turismo

Legge 7 ottobre 2013, n. 112, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 ago-sto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei benie delle attività culturali e del turismo

Normativa estera

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Francia

Loi 16 aprile 1895, Loi de finances pour 1896

Loi 31 dicembre 1921, Loi de finances pour 1922

Arrêté 20 febbraio 1959, Taxe spéciale de photographie dans les musées nationaux, leurs cours,jardins et dépendances extérieurs

Loi 22 dicembre 1962, n. 1529, Loi de finances pour 1963

Arrêté del ministro della Cultura e della Comunicazione, 13 marzo 1979, Règlement intérieur desmusées de France

Décret 3 marzo 1981, n. 255, Sur le répression des fraudes en matière de transactions d’oeuvresd’art et d’objects de collection

Loi 1 luglio 1992, n. 597, Code de la propriété intellectuelle

Loi 4 gennaio 2002, n. 5, Relative aux musées de France

Loi 1 agosto 2003, n. 709, Relative au mécénat, aux associations et aux fondations

Ordonnance 24 febbraio 2004, n. 178, Relative à la partie législative du code du patrimoine

Ordonnance 21 aprile 2006, Relative à la partie législative du code général de la propriété despersonnes publiques

Stati Uniti d’America

United States Code

Architectural Works Copyright Protection Act del 1 dicembre 1990

Regno Unito

Act 15 novembre 1988, Copyright, Designs and Patents Act

Act 31 luglio 1953, Historic Buildings and Ancient Monuments Act

Altri Stati esteri

Urheberrechtsgesetz del 9 settembre 1965, BGBl [D]

Kanun 21 luglio 1983, n. 2863, sayılı Kültür ve Tabiat Varlıklarını Koruma Kanunu [TR]

Ley 25 giugno 1985, n. 16, Patrimonio Histórico Español [E]

Legge 9 ottobre 1992, n. 231, Legge federale sul diritto d’autore e sui diritti di protezione affini[CH]

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Real Decreto legislativo, 12 aprile 1996, n. 1, Por el que se aprueba el texto refundido de la Leyde la Propiedad Intelectual regularizando, aclarando y armonizando las disposiciones legalesvigentes sobre la materia [E]

Lei 19 febbraio 1998, n. 9610, Altera, atualiza e consolida a legislação sobre direitos autorais edá outras providências [BR]

Ley 6 marzo 1998, n. 5, Incorporaciόn al Derecho español de la Directiva 96/9/CE delParlamento Europeo y del Consejo, de 11 de marzo de 1996, sobre la protecciόn juridica de lasbases de datos [E]

Νόμος 28 giugno 2002, n. 3028, Για την προστασία των Αρχαιοτήτων και εν γένει της ΠολιστικήςΚληρονομιάς [GR]

LBK 27 febbraio 2010, n. 202, Ophavsretsloven [DK]

Normativa internazionale

Dichiarazione universale dei diritti umani, stipulata a New York il 9 dicembre 1948

Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, stipulata aRoma il 4 novembre 1950

Convenzione sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, stipulata a L’Aja il 14maggio 1954

Convenzione concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione,esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, stipulata a Parigi il 14 novembre1970

Raccomandazione concernente la protezione, a livello nazionale, del patrimonio culturale e na-zionale, approvata a Parigi il 16 novembre 1972

Regolamento (CE) n. 40/1994 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, Sul marchio comunitario

Direttiva del 22 maggio 2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio, n. 2001/29/CE, Sull’ar-monizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’infor-mazione

Carta sulla conservazione del patrimonio digitale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003

Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 3 no-vembre 2003

Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, così come sottoscritto il 13 dicembre 2007quale Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituiscela Comunità europea

Libro Verde del 16 luglio 2008 della Commissione Europea, Il diritto d’autore nell’economiadella conoscenza

Regolamento (CE) n. 116/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, Relativo all’esportazione dibeni culturali

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World Heritage Centre, Operational Guidelines for the Implementation of the World HeritageConvention, 2012

Decisioni giudiziarie

Giurisprudenza italiana

App. Trani, 15 marzo 1904, in La Legge, 1904

Trib. Napoli, 25 luglio 1958, in Dir. Aut., 1959

Corte Costituzionale, 11 ottobre 1985, n. 231

Corte Costituzionale, 27 giugno 1986, n. 151

Pret. Roma, 15 novembre 1986, in Dir. informatica, 1987

Trib. Roma, 27 maggio 1987

Trib. Verona, 13 ottobre 1989, in Foro Italiano, I, 1990

App. Roma, 23 dicembre 1992, in Diritto d’Autore, 3/1994

Trib. Milano, 28 gennaio 1993, in AIDA, 1994

Cass., SS.UU., 18 ottobre 1993, n. 10295

C. conti, sez. Lombardia, 24 marzo 1994, n. 31, in Foro amm., 1994 Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 1995, n. 1532, in Foro Amm., 1995

Cass. Civ., sez. I, 19 dicembre 1996, n. 11343, in Giur. It., I, 1, 1997

App. Milano, 25 febbraio 1997, in Diritto d’Autore, 3/1998

Trib. Napoli, 14 maggio 1997, in Dir. Ind., 1997 Cons. Stato, sez. VI, 28 ottobre 1998, n. 1478, in Riv. giur. edilizia, 1/1999

Cass. Civ., Sez. I, 21 giugno 2000, n. 8425, in Massimario della Giurisprudenza Italiana, 2000

Cons. Stato, Sez. VI, 24 marzo 2003, n. 1496

TAR Reggio Calabria, Calabria, 10 ottobre 2003, n. 1285, in Foro Amm. TAR, 2003

TAR Milano, Lombardia, sez. III, 20 dicembre 2005, n. 5633

Cass. Civ., sez. III, 4 giugno 2007, n. 12929, in Giur. it., 2008

Cass., SS. UU., 27 maggio 2009, n. 12252, in Giust. Civ., 5/2010 Cass. Civ., sez. I, 11 agosto 2009, n. 18218, in Riv. Dir. Ind., 2/2010

Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1540

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Corte Costituzionale, 15 dicembre 2010, n. 355

TAR Milano, Lombardia, sez. I, 23 novembre 2012, n. 2858, in Foro Amm. TAR, 2012, p. 3427

Cass. Civ., sez. VI, 23 aprile 2013, n. 9757

Cons. Stato, ad. plen., 6 agosto 2013, n. 19

Giurisprudenza francese

CA Paris, 5 giugno 1855, in D. P., 2/1857

Tribunal de commerce Seine, 7 marzo 1861, in D. P., 3/1861

Tribunal civil Seine, 18 aprile 1889, in Ann. 1893

Tribunal civil Seine, 28 ottobre 1903, in Ann. 1903

Tribunal civil Meaux, 7 marzo 1905, in Ann. Prop. Ind., 1907

CA Grenoble,15 luglio 1919, in Dalloz, 2/1920

CE, 18 novembre 1949, in RDP, 1950

CE, 22 giugno 1951, in Dalloz, Jur.,1951

Tribunal commercial Seine, 26 febbraio 1963, in JCP, 2/1963

TGI Seine, 1 aprile 1965, in JCP, 2/1966

TGI Seine, 24 novembre 1965, in JCP, 2/1966

Conseil Constitutionnel, 10 marzo 1966, n. 38

CA Paris, 18 febbraio 1972, in RIDA, 1972

TGI Draguignan, 16 maggio 1972, in Gaz. Pal. 2/1972

CA Paris, 13 marzo 1986, in Gaz. Pal., 1/1986

CA Metz, 26 novembre 1992, in Dalloz, Somm.,1994

CA Paris, 12 aprile 1995, in JCP G., 2/1997

Cour de Cassation, 1ère, 4 luglio 1995, in Recueil Dalloz, Jur., 1996

TGI Paris, 28 maggio 1997, in Gaz. Pal., 17 maggio 1998

Cour de Cassation, 1ère, 10 marzo 1999, in Dalloz, Jur.,1999

CA Paris, 14 settembre 1999, Legipresse, 3/2000

CA Paris, 31 marzo 2000, in Dalloz, Jur., 2001

TGI Lyon, 4 aprile 2001, JCP G, 2/2001

Cour de Cassation, plen., 7 maggio 2004, in Dalloz, Jur., 2004

Cour de Cassation, 1ère, 15 marzo 2005, n. 567

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Cour administrative d'appel di Nantes, 2ème, 4 maggio 2010, n. 09NT00705

TA Orléans, 6 marzo 2012, n. 1102187, in Recueil Dalloz, 2012

Cour de Cassation, 1ère , 28 giugno 2012, n. 10-28.716, in Recueil Dalloz, 2012

CE, 29 ottobre 2012, n. 341173

Cour administrative d’appel di Nantes, 2ème, 28 dicembre 2012, n. 12NT00754

Giurisprudenza statunitense

Alfred Bell & Co. v. Catalda Fine Arts, Inc. 191 F.2d 99 (2d Cir. 1951) Bridgeman Art Library, Ltd. v. Corel Corp., 25 F. Supp. 2d 421(S.D.N.Y. 1998)

Bridgeman Art Library, Ltd. v. Corel Corp., 36 F. Supp. 2d 191 (S.D.N.Y. 1999)

Rock & Roll Hall of Fame & Museum v. Gentile Prods., 71 F. Supp. 2d 755, 765 (N.D. Ohio1999)

Schwartz v. Berkeley Historical Society, No. C05-01551 JCS (N.D. Cal. 2005)

Gaylord v. United States, 595 F.3d 1364, 1368 (Fed. Cir. 2010)

Altra giurisprudenza

Interlego AG v. Tyco Industries Inc., 1 A.C. 217, Privy Council, 1988

Antiquesportfolio.com plc v. Rodney Fitch & Co. Ltd, FSR 23, 2001

BGH, 24 gennaio 2002, Verhüllter Reichstag, in Gewerbücher Rechtsschutz und Urheberrecht,2002

CdG, Commissione v. Italia del 16 gennaio 2003, causa C-388/01, in Raccolta della giurisprudenzadella Corte di Giustizia

Sitografia* pratica degli istituti * tutti i link di questo elaborato sono risultati attivi nell’anno 2013

Atomium: http://www.atomium.be

Tour Eiffel: http://www.tour-eiffel.fr

Disciplinare per la riproduzione dei beni culturali di proprietà dell’Amministrazione Comunale diLivorno, in http://sdp.comune.livorno.it

Criteri e direttive per l’accesso e la fruizione dell’archivio fotografico del Castello del Buonconsi-glio di Trento, in http://www.buonconsiglio.it

Richiesta di autorizzazione all’utilizzo e riproduzione di immagini di beni culturali di spettanza deiMusei Civici Palazzo Buonaccorsi di Macerata, in http://www.maceratamusei.it

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Polo museale fiorentino: http://www.uffizi.firenze.it

Regolamento per la riproduzione e uso del patrimonio storico artistico bibliotecario archivisticodel Museo Biblioteca Archivio, in http://www.bassanodelgrappa.gov.it

Regolamento e tariffario per l’uso e la riproduzione di beni culturali della Soprintendenza delleprovince di Cagliari ed Oristano, in http://www.archeocaor.beniculturali.it

Museo Delacroix: http://www.musee-delacroix.fr

Museo Unterlinden: http://www.musee-unterlinden.com

Museo d’Orsay: http://www.musee-orsay.fr

Sydney Opera House: http://www.sydneyoperahouse.com

Westminster: http://www.parliament.uk

British Museum: http://www.britishmuseum.org

Università di Yale: http://ydc2.yale.edu

National Gallery di Washington: https://images.nga.gov

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