laici nella chiesa e nel mondo - Stefano Gentili · DI SALVEZZA E DI LIBERAZIONE DELLA CHIESA NEL...

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Consiglio Pastorale Diocesano Christifideles laici nella chiesa e nel mondo Diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello Pitigliano (GR) Gennaio 2002 SOMMARIO SOMMARIO SOMMARIO SOMMARIO L’ESSERE L’ESSERE L’ESSERE L’ESSERE

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Consiglio Pastorale Diocesano

Christifideles

laici

nella chiesa

e nel mondo

Diocesi di

Pitigliano-Sovana-Orbetello

Pitigliano (GR)Gennaio 2002

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L’ESSEREL’ESSEREL’ESSEREL’ESSERE

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- IL BATTESIMO E LA NOVITÀ CRISTIANA

- PARTECIPI DELL’UFFICIO SACERDOTALE, PROFETICO, REGALE

DI GESÙ CRISTO

- L’INDOLE SECOLARE

- LA LAICITÀ DALLA PROSPETTIVA COSMOLOGICA A QUELLA

CRISTOLOGICA

- CHIAMATI ALLA SANTITÀ

- LE DIMENSIONI DELLA LAICITÀ

IL FAREIL FAREIL FAREIL FARE

- IL CHRISTIFIDELES LAICO E LA PARTECIPAZIONE ALLA VITA

ECCLESIALE

- IL CHRISTIFIDELES LAICO E L’ATTUAZIONE DELLA MISSIONE

DI SALVEZZA E DI LIBERAZIONE DELLA CHIESA NEL MONDO

- IL CHRISTIFIDELES LAICO E LA COSTRUZIONE DI UN

ITINERARIO

- SPIRITUALE APPROPRIATO

L’ESSERE

I CHRISTIFIDELES LAICI E…

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Il Concilio Vaticano II ha riservato un'attenzione del tutto particolare alla realtà

del laico.

Il capitolo IV della Lumen gentium rappresenta il primo testo conciliare in tutta la

storia della Chiesa dedicato all'identità e al ruolo del laico.

Vi si affermano, in particolare, due elementi che vengono a qualificare il laico in

rapporto alla missione: (1)

◊ L'ecclesialità: non solo il laico appartiene alla Chiesa ma è la Chiesa, e il

suo farsi presente al mondo non è altro che il farsi presente della Chiesa

al mondo. Si supera decisamente il concetto di laico che fa da ponte, da

delegato della Chiesa nei rapporti con il mondo. "Il laico non è più

intermediario, ma è la Chiesa stessa 'nel' mondo, nel mondo profano". (2)

◊ La secolarità: cioè il laico è chiamato a vivere la sua ecclesialità, in

maniera secolare, nell'ambito cosiddetto temporale, dove egli è impegnato

nella costruzione del regno di Dio. "Per loro vocazione è proprio dei laici

cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo

Dio". (3)

Ma, procediamo per ordine.

IL BATTESIMO E LA NOVITÀ CRISTIANA

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Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa ha preso sempre più coscienza della

necessità di elaborare teologicamente l’identità del cristiano laico e, a seguito

del Sinodo dei Vescovi del 1987, Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica

Christifideles laici, ne ha tracciato le linee principali.

L’identità o la natura del laico, più che nella contrapposizione negativa di ‘non-

chierico’, viene finalmente valutata in positivo: “I fedeli laici, come tutti i membri

della Chiesa, sono tralci radicati in Cristo, la vera vite, da Lui resi vivi e

vivificanti”. (4)

Il laico quindi ha la sua identità essenziale nel fatto che egli è in Cristo quale

tralcio vivo: ciò implica che la laicità cristiana si fonda anzitutto sulla decisione

della persona di accettare il progetto divino di salvezza, quale dono gratuito,

scegliere Cristo quale modello di vita e lasciarsi veramente plasmare alla scuola

della sua Parola. Quindi, in definitiva, l’identità del laico si fonda essenzialmente

sull’essere di Cristo, sull’appartenere a Lui e non sul fatto di non essere

chierico. E questa identità si fonda a sua volta sull’aver ricevuto il Battesimo e di

essere con esso divenuto nuova creatura in Cristo.

E’ su questa identità, poi, che all’interno della Comunità dei discepoli di Cristo,

avvengono le diverse ministerialità e le diverse distinzioni gerarchiche.

Il Concilio Vaticano II pone dunque la sua attenzione sul fatto che il laico è da

considerarsi colui che, non esercitando una ministerialità ordinata o non

essendo un religioso, è un battezzato, incorporato a Cristo e costituito popolo di

Dio per mezzo del Battesimo (5) e come tale è presenza di inculturazione del

Vangelo nella storia.

Precisando ulteriormente si può dire che l’identità del laico si manifesta su 4

direttrici:

⇒ Il laico è un battezzato: affermare questo vuol dire soprattutto mettere

l’accento su un processo nel quale Dio, volendo salvare tutta l’umanità,

offre all’uomo la possibilità di venire alla fede e di entrare in comunione

con Lui; e in cui la persona umana, da parte sua, si sente coinvolta in

questo processo che lo porterà gradualmente a rendersi conto di ciò che il

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Battesimo ha operato nella sua vita e a fare proprie tutte le qualità del

discepolo di Cristo, prima fra tutte il Comandamento dell’Amore.

⇒ Il laico è incorporato a Cristo: questa affermazione sottolinea che la natura

del battezzato va ricercata nella novità apportata dall’effetto battesimale,

che è anche quella di essere divenuto figlio di Dio nel suo Figlio Gesù.

⇒ Il laico è membro del Popolo di Dio: l’essere parte del nuovo Popolo di Dio

fa di lui un ‘eletto’ da Dio con il fine preciso di ricordare, con la sua

identità, prima ancora che con la sua missione, a tutti gli uomini che Dio si

rende presente nella loro storia per salvarli mediante anche la risposta di

chi accetta di essere parte del suo popolo.

⇒ Il laico si differenzia dai ministri ordinati: il laico è colui che vive la propria

vocazione battesimale edificando il Regno di Dio mediante una vita

protesa verso la perfezione evangelica ed espleta il suo impegno di

evangelizzazione nei confronti del mondo, facendosi carico delle

complesse problematiche della realtà secolare, essendo tra esse quale

segno dall’attenzione misericordiosa e salvatrice di Dio. Il ministero

ordinato, invece è quella realtà voluta dal Maestro perché il nuovo Popolo

di Dio abbia negli Apostoli delle persone illuminate nello Spirito, capaci di

discernere i carismi suscitati da Dio nel Popolo e di promuoverli a favore

della comunità. L’identità del laico è diversa da quella dei religiosi e dei

ministri ordinati, ma non per questo inferiore; semplicemente diversa, sia

nel modo di appartenere al sacerdozio di Cristo per la missione al

l’interno del popolo di Dio e per la sua composizione, che per il suo

impegno nel mondo.

Queste affermazioni sulla identità del fedele laico permettono di introdurci

brevemente in quella che è la dignità del laico (6).

La dignità del fedele laico va ricercata anzitutto nel fatto che egli è persona e

come tale poggia la sua ‘sacralità’ su una duplice singolarità sua propria:

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l’essere immagine e somiglianza del Creatore e costituire l’unica realtà tra tutte

le creature terrene cosciente e libera, centro e vertice di tutto quanto esiste

sulla terra.

Fonte remota, quindi, della dignità del laico è la sua ‘parentela’ tra lui creatura e

il Creatore che lo porterà – una volta conosciuta la Rivelazione – ad accettare il

cammino cristiano e, mediante il Battesimo, divenire membro vivo del Corpo

Mistico di Cristo che è la Chiesa, di cui il fedele laico è parte integrante, per

portare la salvezza operata da Gesù nella storia quotidiana del mondo.

Tutto questo diventa possibile proprio perché, in virtù del Battesimo, il laico è

divenuto ‘figlio nel Figlio’ e quindi fratello di Gesù: essere fratello di Gesù vuol

dire aver ottenuto per sé la comunione con il Padre, di cui Cristo è Figlio, grazie

all’azione dello Spirito Santo.

LA PARTECIPAZIONE ALL'UFFICIO SACERDOTALE,

PROFETICO, REGALE DI GESÙ CRISTO

Sempre grazie al Battesimo, il laico approfondisce questa sua dignità, venendo

così a condividere la ‘diaconia’ di Gesù, Servo del Signore, realizzando e

partecipando, per sua parte, nella realtà contingente, ai tre munera Christi, le

tre ‘funzioni’ di Gesù: sacerdotale, profetica e regale.

∗ Partecipazione all‘ufficio sacerdotale di Cristo: il Concilio afferma che

essendo il laico, con il Battesimo, intimamente unito alla vita e alla

missione di Cristo, ne viene anche a partecipare del suo ufficio

sacerdotale. Come Cristo ha saputo donare se stesso divenendo offerta

gradita al Padre per la rappacificazione tra Dio e l’uomo, così il laico deve

guardare e finalizzare la realtà secolare, instaurando nella sua vita una

profonda comunione con lo Spirito, che gli permetterà di rendere ‘sacro’ –

cioè accetto a Dio – il suo lavoro, la sua gioia, la sua sofferenza, la sua

preghiera. Quindi, l’impegno sacerdotale del laico è quello di trasfondere

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nelle realtà dove egli vive e opera la dimensione dello spirituale, dando

senso e significato a quell’attesa inconscia che l’animo umano sente e

prova nelle diverse situazioni della vita. Il laico partecipa all’ufficio

sacerdotale di Cristo quando compie le sue opere nell’ottica evangelica e

le offre al Padre, quale segno di lode e di amore.

∗ Partecipazione all‘ufficio profetico di Cristo: riflettendo sul dettato

conciliare, il Papa indica anche come questa dignità nel laico diviene fonte

di abilitazione e di operatività: “La partecipazione all’ufficio profetico di

Cristo….abilita e impegna i fedeli laici ad accogliere nella fede il Vangelo e

ad annunciarlo con le parole e con le opere, non esitando a denunciare

coraggiosamente il male. Uniti a Cristo, il ‘grande profeta (Luca 7,16) e

costituiti nello Spirito ‘testimoni’ di Cristo risorto, i fedeli laici sono resi

partecipi sia del senso di fede soprannaturale della Chiesa che non può

sbagliarsi nel credere sia della grazia della parola (Atti 2, 17-18;

Apocalisse 19,10); sono altresì chiamati a far risplendere la novità e la

forza del Vangelo nella loro vita quotidiana, familiare e sociale come pure

ad esprimere, con pazienza e coraggio nelle contraddizioni dell’epoca

presente la loro speranza nella gloria anche attraverso le strutture della

vita secolare” (7). Essere partecipe della dignità profetica di Cristo impone

al laico principalmente di vivere ciò che egli è: testimone del Vangelo.

∗ Partecipazione all‘ufficio regale di Cristo: il Concilio così delinea la

funzione regale di Cristo e la partecipazione dei credenti a tale ufficio:

”Cristo facendosi obbediente fino alla morte e perciò esaltato dal Padre

entrò nella gloria del suo Regno; a Lui sono sottomesse tutte le cose,

finché egli sottometta al Padre se stesso e tutte le creature, affinché Dio

sia tutto in tutti. Questa potestà Egli l’ha comunicata ai discepoli, perché

anch’essi siano costituiti nella libertà regale” (8). Il Papa riprende questo

concetto e afferma: ”Per la loro appartenenza a Cristo Signore e re

dell’universo i fedeli laici partecipano al suo ufficio regale e sono da Lui

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chiamati al servizio del regno di Dio e alla sua diffusione nella storia. Essi

vivono la regalità cristiana, anzitutto mediante il combattimento spirituale

per vincere in se stessi il regno del peccato (Rm 6,12), e poi mediante il

dono di sé per servire, nella carità e nella giustizia, Gesù stesso presente

in tutti i fratelli, soprattutto nei più piccoli (Mt 25,40)” (9).

Il laico può, quindi, incarnare e realizzare la ministerialità regale di Cristo

secondo un triplice modo: vincendo in sé il regno del peccato; portando i fratelli

al Regno di Cristo; instaurando tutte le cose in Cristo.

Il fondamento teologico del laico è dunque il battesimo, con l’incorporazione a

Cristo e la partecipazione ai tria numera Christi.

L'INDOLE SECOLARE

Il laico, allora, vive – ontologicamente – la stessa dignità comune a tutti i

christifideles.

Ma quale è la modalità che lo distingue, senza separarlo dal presbitero, dalla

religiosa (e dal religioso)?

Il Concilio Vaticano II (10) ha indicato la modalità nell'indole secolare.

Affermazione apparentemente semplice, ma non semplicistica e per cogliere la

quale è necessario rammentare la portata teologica dell'indole secolare alla

luce del disegno salvifico di Dio e del mistero della Chiesa.

La Chiesa ha un'autentica dimensione secolare, inerente alla sua intima natura

e missione: vive infatti nel mondo ed è mandata a continuare l'opera redentrice

di Gesù Cristo.

Tutti i suoi membri sono partecipi della dimensione secolare; ma lo sono in

forme diverse.

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Se il fondamento teologico è comune a tutto il popolo di Dio, la condizione

secolare – sebbene comune anch’essa a tutta la Chiesa in quanto è nel mondo

– è per il laico (su un piano diverso da quello ontologico) fondamento di una

peculiarità positiva e distintiva rispetto al clero e ai religiosi.

Il Concilio descrive la condizione secolare dei laici indicandola come il luogo

nel quale viene loro rivolta la chiamata di Dio: "Ivi sono da Dio chiamati".

Il "posto" della loro chiamata non è semplicemente un dato esteriore e

ambientale (quindi un luogo solamente sociologico), ma è una realtà destinata a

trovare in Gesù Cristo la pienezza del suo significato (quindi un luogo

principalmente teologico).

E' il posto "così sublime, che non è lecito abbandonare", come si legge nella A

Diogneto ove il termine per indicare posto è taxis ed è desunto dal linguaggio

militare per indicare il posto del soldato in battaglia.

Lasciare quel posto significherebbe tradire.

Qualora si dovesse offrire una definizione particolareggiata dell'impegno

secolare dovremmo elencare tutti i singoli doveri e le attività del mondo di

cui è intessuta la vita dell'uomo a partire dal lavoro sino a comprendere la

politica, le realtà sociali, dell'economia, delle arti, della cultura, degli

strumenti della comunicazione sociale, ecc.

In sintesi si potrebbe dire che l'impegno secolare è tutto ciò che l'uomo

compie in esecuzione del comando divino: assoggettare la terra.

Ma 'assoggettare la terra' equivale a 'ordinare le cose secondo Dio'.

E ordinare le cose secondo Dio vuol dire: tenuto conto di ciò che le cose

sono in se stesse, valorizzarle secondo la loro natura sino al punto più

alto, cioè, condurre alla pienezza di significato la verità interna alle cose.

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Questo perché la verità interna alle cose (agli esseri) è espressione della

volontà divina (l'Essere supremo).

Entrando nel concreto, esemplificando, ordinare le cose secondo Dio vuol

dire:

◊ vivere e intendere la sessualità nel suo intimo valore e significato:

liberare l'uomo dalla solitudine e renderlo capace di generare la

vita;

◊ vivere e intendere la socievolezza sino al suo punto più alto: la

fraternità, la compagnia;

◊ vivere e intendere il lavoro come perfezionamento di se stessi e

della società tutta;

◊ vivere e intendere lo studio come mezzo per giungere alla verità

delle cose;

◊ vivere e intendere il gioco come momento di autentica

liberazione.

Applichiamo quanto detto agli altri luoghi dell'impegno secolare e allora

vedremo quale grande spazio è aperto alla vita del laico cristiano.

Condotte alla pienezza del loro significato queste realtà mondane si

aprono ‘oltre se stesse' e si relativizzano rispetto alla massima aspirazione

che l'uomo si porta dentro: Dio.

Dunque, in virtù del battesimo i fedeli laici:

"sono chiamati

(a cosa?) a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione

del mondo

(come?) mediante l'esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello

spirito evangelico,

e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri,

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(come?) principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della

fede, della speranza, della carità" (11).

Infatti è nella loro situazione intramondana che Dio manifesta il suo disegno e

comunica la particolare vocazione di cercare il Regno di Dio trattando le cose

temporali e ordinandole secondo Dio.

LA LAICITÀ DALLA PROSPETTIVA COSMOLOGICA

A QUELLA CRISTOLOGICA

Detto questo, facciamo un passettino indietro (riagganciandoci ad un concetto

già espresso) con l'intento di andare avanti approfondendo ulteriormente il

concetto di laicità anche in prospettiva storica.

Il Vaticano II, nei documenti interessati - specie Lumen gentium e Gaudium et

spes - è riuscito ad offrirci della figura del laico una prospettiva non

cosmologica, ma cristologica.

Se si pensa al laico in base ai documenti precedenti il Concilio Vaticano II, si

pensa a quei membri del popolo di Dio che sono nel mondo; che sono inseriti

nelle attività riguardanti l'ordine temporale in vista dell'animazione della società

terrena, della società organizzata.

In questo modo si è portati a pensare ad un contesto di mondo, al cosmo in cui

il laico è inserito: la prospettiva è quindi cosmologica.

Però, l'essere nel mondo non è proprio del laico cristiano ma dell'uomo in

quanto tale. Tutti siamo nel mondo.

E' allora possibile intuire che non è tanto l'essere nel mondo che descrive e

delimita la figura del laico in quanto cristiano, ma che ci deve essere un'ulteriore

connotazione: e cioè il riferimento a Gesù Cristo (non a caso l'Esortazione

apostolica post-sinodale è intitolata CHRISTIfideles laici).

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Il riferimento a Gesù Cristo era in qualche modo presente nella precedente

teologia del laicato, ma era troppo implicito.

Prima del Vaticano II non riusciva ad emergere perché c'erano due motivi

d'impedimento che non permettevano lo sviluppo cristologico della figura del

laico.

Il primo motivo, era una concezione societaria e funzionale dei ministeri nella

chiesa.

La concezione societaria è quella che pensa i ministeri rapportandoli alla chiesa

intesa come società; la chiesa in quanto tale ha problemi interni (il costituirsi di

questa società) e problemi esterni (il rapporto di questa speciale società-chiesa

con le altre società di questo mondo).

Allora, quando si iniziò a prendere coscienza della originalità del laicato, questa

fu espressa secondo quella concezione: il clero ha i compiti interni alla società

cristiana ed ha i pieni poteri, ha la parte attiva nell'edificare il popolo cristiano; il

laicato ha il suo proprio ambito nei rapporti esterni, nell'animare la società

terrena.

A questa concezione si collegava quella di tipo funzionale. Ministero significa

"fare certe cose": i preti fanno certe cose, le cose sacre; i laici ne fanno altre, le

cose profane.

Il secondo motivo di impedimento era dato da un concetto estrinseco della

perfezione cristiana.

In verità era ormai superata l'idea della santità come "stato di perfezione" ed era

maturata l'idea che tutti sono chiamati alla santità cristiana (anche se i distinguo

erano molti!).

Già san Francesco di Sales (1567-1622) nella "Introduzione alla vita devota",

diceva che "la vita devota" o vita di santità è propria non soltanto di chi va in

convento, ma anche di chi è sposato, di chi è principe, di chi è soldato…: ogni

situazione umana può portare alla pienezza della vita cristiana.

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Tuttavia il motivo che giustificava questa apertura della santità a tutti si

esprimeva così: se uno nel suo stato di vita fa la volontà di Dio (sempre dettata

dalla chiesa ad intra) è sulla via della santità.

Il motivo era estrinseco: la volontà di Dio a cui io obbedisco dà valore alla mia

azione, non la mia azione in quanto tale.

Non è il mio essere nel mondo e fare certe cose che mi rende santo (perché il

mondo e le sue cose sono sempre visti con sospetto e separazione) ma è

perché io qui, ora, in concreto esercito la mia obbedienza di fronte alla volontà

del Padre (quasi, nonostante il mondo).

La santità, in questa prospettiva ancora preconciliare, poteva apparire una

specie di consacrazione esterna: la volontà di Dio introdotta come elemento

mediatore sulle cose dava ricchezza alla mia azione, la quale in se stessa non

avrebbe avuto motivi per essere santa.

E in effetti, finché non si riuscì a comprendere che l’essere nel mondo

costituisce un valore cristiano perché è in sé intrinsecamente condiviso da

Cristo (per cui amare il mondo insieme con Cristo diventa cosa gradita a Dio),

era naturale che il discorso sui laici venisse fatto ancora in termini

contrappositivi rispetto al clero:

∗ il clero era attivo nel fare la comunità cristiana,

∗ il laico era attivo nel tessere rapporti tra la comunità cristiana e le altre

realtà o società o comunità di questa terra, secolari, mondane, temporali.

E solo in seconda battuta, il laico poteva diventare santo quasi nonostante il

fatto che egli dovesse toccare le cose di questo mondo, quasi avendo la

nostalgia di scappare in monastero: nel mondo egli diventava santo non perché

era in esso, ma perché faceva la volontà di Dio restando dentro il mondo (inteso

come “concorrente“ o “altro“ rispetto alla vita religiosa).

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Il Vaticano II ha demolito questi due motivi che impedivano alla figura del laico

di esprimersi in tutta la sua pienezza, non tanto come figura cosmologica, ma

come figura cristologica: essere laico è un modo di essere in Cristo prima che di

essere nel mondo; è il rapporto a Cristo che definisce la realtà del laico.

E l’essere nel mondo costituisce un valore cristiano perché esso lo è dal di

dentro in quanto Cristo è nel mondo anche se non del mondo, e per il mondo

anche se in certi momenti contro il mondo.

L’incorporazione a Cristo, infatti, non è e non deve apparire come

un’alienazione dal mondo, ma come elevazione dei valori del mondo.

E il popolo di Dio (tutto) è presente nel mondo, è in comunione con esso e la

vita dei cristiani è legata alla realtà del mondo.

La chiesa infatti non è separata dal mondo e il laico non è la sua mediazione.

Se fosse così dovremmo ancora vedere la chiesa come una gerarchia. Non

viene prima la chiesa, seguita dalle necessità e dai problemi del mondo ai quali

essa risponde, ma prima viene l’uomo e poi viene la redenzione di Cristo,

continuata nel mondo dalla chiesa. (12)

Il capitolo II della Lumen gentium offrendo una nuova concezione dei ministeri, -

non più societaria ma misterica, non più funzionale ma comunionale – ricorda

che la comunione con Cristo rende partecipi del suo servizio al mondo che il

Padre ha amato a tal punto da mandare il suo Figlio unigenito.

LA CHIAMATA ALLA SANTITÀ

Il capitolo V della Lumen gentium descrive l'universale chiamata alla santità,

offrendone una nuova definizione.

Essa non è:

⇒ lo stato di perfezione di chi fugge dal mondo,

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⇒ o lo stato di perfezione di chi è nel mondo nonostante tutto, anche se per

fare la volontà di Dio;

ma è la carità, è l’essere partecipi dell’amore di Cristo.

Essere santi è vivere la carità di Cristo la quale ha anche, come sua

espressione o traduzione concreta, la carità per la storia degli uomini, per la

terra, per le cose di questo mondo che sono create in Cristo, in vista di Cristo e

che soltanto in Lui trovano la loro piena realizzazione.

E – lo ribadiamo ancora – tutti i cristiani (così indistintamente li chiama il

paragrafo a della Gaudium et spes 43) sono “cittadini dell’una e dell’altra città” e

sono esortati a “compiere fedelmente i propri doveri terreni”, superando la

frattura tra vita di fede e vita quotidiana, unificando, sull’esempio di Cristo, tutti i

loro “sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in UNA SOLA

SINTESI VITALE insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione

tutto viene coordinato a gloria di Dio”. (13)

Il laico allora non è ponte tra la chiesa e il mondo.

Secondo Gaudium et spes 43 nessun cristiano può esimersi dall’effettuare in se

stesso, per la gloria di Dio, una sintesi vitale tra l’impegno terreno e i beni

religiosi.

Quindi anche la gerarchia non deve sentirsi esonerata da un rapporto

costruttivo con l’attività umana, demandandolo ad altri.

Non solo. Anche il rispetto della legittima autonomia delle realtà terrene deve

essere affrontato soprattutto a livello di coscienza personale.

In questo quadro emerge la frase: “Ai laici spettano propriamente – etsi non

exclusive – gli impegni e le attività temporali”. (14)

E sono esortati a vivere quello che spetta a loro principalmente, anche se non

esclusivamente, nell’applicazione del richiamato principio della legittima

autonomia delle realtà terrene.

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In concreto vuol dire agire da cittadini, acquistare una vera competenza nei

campi in cui si opera, cooperare con quanti mirano ad identiche finalità, essere

determinati a prendere nuove iniziative e a realizzarle.

Sapendo che “spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di

iscrivere la legge divina nella vita della città terrena”. (15)

Così operando, i laici illuminano e ordinano tutte le cose temporali “in modo che

siano fatte secondo Cristo, e crescano e siano di lode al Creatore e redentore”.

(16)

E danno compimento alla chiamata alla santità che il Padre rivolge loro.

Una volta recuperata la prospettiva cristologica è opportuno fare un secondo

passaggio: si può ulteriormente precisare che la partecipazione all'amore che il

Padre ha per il mondo attraverso Gesù Cristo, può essere vissuto in forma

varia, perché Cristo è infinitamente ricco e noi siamo chiamati in forza dello

Spirito a sviluppare questo o quell'altro aspetto della realtà di Cristo.

Certamente il cristiano sviluppa tutte le grandi dimensioni cristiane:

⇒ è nel mondo (anche la suora di clausura a suo modo vi si riconosce);

⇒ non è del mondo (anche l'uomo che ha le mani immerse nelle più

tormentate vicende economiche non può riconoscersi come esaurito in

esse);

⇒ è per il mondo (ognuno deve condividere il destino del mondo perché il

mondo è amato da Dio, è voluto da Dio);

⇒ è contro il mondo (proprio perché si ama il mondo, bisogna qualche volta

essergli contro, quando il mondo si chiude al disegno di Dio).

Se ogni cristiano è chiamato a realizzare queste quattro dimensioni della laicità

di Gesù Cristo, tuttavia ciascuno può essere chiamato a sottolineare più

fortemente l’uno o l’altro aspetto.

Nascono così le diverse vocazioni cristiane nel vivere la laicità.

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Una prima forma distingue il laico. In questo caso, il laico cristiano è soprattutto

colui che è invitato a "essere nel mondo", pur non essendo del mondo, e a

dimostrare mediante concrete opere di servizio e di impegno in che senso Gesù

Cristo è per il mondo e gli è contro quando si chiude al disegno di Dio.

Viceversa, ci può essere un cristiano che pur vivendo in termini generali questa

laicità, è chiamato soprattutto a proclamare che l'essere cristiano vuol dire "non

essere del mondo", con una forma di distacco, rinuncia, fuga che è solo una

sottolineatura, non il tutto della sua vita.

Una seconda forma di chiamata a vivere la laicità cristiana, distingue i laici tra

loro in varie figure.

Tra gli stessi laici si possono presentare modi diversi di vivere la stessa

vocazione di laicità cristiana, in rapporto alle modalità concrete con cui ciascuno

organizza le sfumature e le sottolineature con le quali attuare le quattro

dimensioni indicate.

L’ESSERE

I CHRISTIFIDELES LAICI E…

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I due grandi punti di riferimento conciliari richiamati in premessa - l’ecclesialità e

la secolarità - lungi dall'essere verniciatura esterna, puro rivestimento esteriore,

incidono nella vita del laico in una pluralità di momenti:

◊ nel momento della sua partecipazione alla vita intraecclesiale per

l'edificazione del Corpo Mistico di Cristo;

◊ nel momento in cui egli contribuisce ad attuare la missione di salvezza e di

liberazione della Chiesa nel mondo;

◊ nel momento della costruzione della propria spiritualità.

LA PARTECIPAZIONE ALLA VITA INTRAECCLESIALE

Le parole del Concilio Vaticano II riecheggiate nella Christifideles laici ci

esimono dall'insistere troppo sull'importanza dei laici nella vita della Chiesa:

"All'interno delle comunità della Chiesa la loro azione è talmente necessaria che

senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più raggiungere la

sua piena efficacia". (17)

Cerchiamo allora di cogliere alcune caratteristiche, comuni e specifiche, di

questa partecipazione.

"Nell'ambito della Chiesa comunione il Fedele Laico è membro di quel popolo

dell'Alleanza, che è chiamato a vivere in unione con Dio per mezzo di Gesù

Cristo nello Spirito Santo. E questo, in comunione con tutti gli altri battezzati".

(18)

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Sentire la comunione sta alla base della coscienza ecclesiale e quindi è una

dimensione propria anche della coscienza del laico.

Comunione che non è mai appiattimento, né uniformità, ma molteplicità

nell'unità e per l'unità.

"Ecclesiologia di comunione" che non è "ecclesiologia di confusione" e che

deve diventare "prassi di comunione" intesa come valorizzazione e

armonizzazione, nella totalità della Chiesa, del carisma di ciascuno.

L'ecclesiologia e la prassi di "comunione" tirano in ballo il rapporto tra fedeli

laici e pastori della Chiesa, la libertà di associazione dei laici e il loro ruolo negli

organismi di partecipazione interni alla comunità ecclesiale.

Rapporto tra fedeli laici e pastori

La necessità di crescere nella consapevolezza dell'importanza del rapporto tra

fedeli laici e fedeli pastori non viene da una opportunità di tipo orizzontale, ma

da un fatto teologale. Questo fatto implica sia per i laici che per i pastori la

responsabilità nei confronti della comune missione affidata da Cristo:

l'edificazione della comunità dei discepoli e l'annuncio della buona novella a

tutte le genti.

Il Concilio vede così questa mutua tensione. "I laici, come tutti i fedeli, hanno

diritto di ricevere abbondantemente dai sacri pastori i beni spirituali della

Chiesa, soprattutto gli aiuti della Parola di Dio; a essi quindi manifestino le loro

necessità e i loro desideri, con quella libertà e fiducia che si addice ai Figli di

Dio e ai fratelli di Gesù Cristo. Secondo la scienza, competenza e prestigio di

cui godono, hanno la facoltà, anzi talora anche il dovere di far conoscere il loro

parere su cose concernenti il bene della Chiesa". (19)

Quindi, la ricerca della comunione che si esplicita nella comune vocazione alla

santità, costituisce il primo scambievole aiuto tra laici e pastori.

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Nei confronti dei pastori, il laico ha il "diritto" di trovare dei "maestri sicuri" che

sappiano scoprire e promuovere i carismi presenti tra il Popolo di Dio e degli

interpreti sapienti di quel dipositum fidei che è patrimonio della Chiesa intera.

Ci sembra poi che dalle parole del Concilio sorga un altro aspetto importante

dei questo rapporto: quello del dialogo e del consiglio. Il concetto di Chiesa-

comunione infatti si basa proprio sull'ascolto e sulla corresponsabilità di tutto il

popolo di Dio nei confronti delle grandi urgenze della società contemporanea

nelle varie parti del mondo.

Quindi, oltre ad avere il diritto di essere ascoltato e consultato e il dovere di

dare il proprio consiglio, il laico dovrà aiutare i pastori affinché le scelte piccole

o grandi a favore della missionarietà corrispondano veramente ai bisogni

dell'uomo in quel determinato contesto socioculturale e il linguaggio

dell'evangelizzazione sia veramente comprensibile per coloro ai quali si vuole

indirizzare l'annuncio stesso.

La libertà di associazione

Il diritto-dovere dei cristiani di associarsi costituisce una prima risposta-

realizzazione alla comunione di identità e operativa del discepolo di Cristo. Se il

Signore Gesù si è fatto uomo per fare "dei due un solo Popolo" (Efesini 2,14) e

per acquistare "mediante il suo sangue" un popolo nuovo (Efesini 2,15), è

fondamentale che i fedeli facciano esperienza di questa realtà, prima di andarla

ad annunciare al mondo, proprio attraverso la possibilità di associarsi, di

mettersi insieme.

Il fatto cioè di porsi a progettare l'evangelizzazione vivendo una realtà già

comunionale, significa essersi convertiti allo stile di Dio nella Rivelazione, che

agisce nella storia mediante un'esperienza di comunione (quella appunto del

Popolo di Dio, la Chiesa) alla quale affida una missione a beneficio di tutta

l'umanità.

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Il laico, perciò, associandosi non fa altro che dare forza di comunione al

mandato di Gesù che del resto è già al plurale "Andate in tutto il mondo e

predicate il mio vangelo ad ogni creatura" (Marco 16,15).

"La comunione ecclesiale, già presente e operante nell'azione della singola

persona, trova una sua specifica espressione nell'operare associato dei fedeli

laici, ossia nell'azione solidale da essi svolta nel partecipare responsabilmente

alla vita e alla missione della Chiesa" (20).

E' necessario ovviamente che tali associazioni non costituiscano nella Chiesa

una "Chiesa parallela" e che facciano propri – inserendoli nel contesto specifico

della chiesa locale e delle singole realtà parrocchiali - i criteri di ecclesialità

indicati anche dalla Christifideles laici: (21)

∗ il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità;

∗ la responsabilità di confessare la fede cattolica;

∗ la testimonianza di una fede salda e convinta;

∗ la conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa;

∗ l'impegno di una presenza nella società umana.

La comunione all'interno della Chiesa è il bene primario che - pur nella dialettica

e nella diversità di metodi che ogni realtà associativa ha il diritto di poter

assumere - tutti, Pastori e Laici, hanno il dovere di custodire e promuovere.

Il primato della comunione è la condizione essenziale della credibilità

dell'evangelizzazione stessa (Giovanni 17,21) che si deve costruire

essenzialmente in Cristo.

Il ruolo dei laici negli organismi di partecipazione della Chiesa

Il diritto-dovere di preoccuparsi del buon andamento e dell'efficacia degli

impegni di evangelizzazione e di solidarietà della Chiesa, indica che il laico non

solo è appartenente ma è anche responsabile della edificazione del popolo di

Dio.

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Vivere in modo maturo questa responsabilità significa, per il laico, corrispondere

all'amore di Dio conformando la sua vita ai precetti evangelici e donando il suo

operato affinché la comunità cristiana, beneficiando del suo impegno e del suo

consiglio, cresca nello slancio missionario, nella comunione ecclesiale e sia di

maggiore incisività nella complessa realtà socioculturale dell'uomo

contemporaneo.

Il laico, quindi, decidendo di offrire il suo contributo nelle strutture pastorali della

comunità ecclesiale, deve volerlo fare anzitutto come persona che ha sentito la

necessità di vivere un’intima tensione verso il primato di Dio, mediante una

vitale unione con Cristo; costruendo un clima di comunione e di amicizia

cristiana che sappia essere vero aiuto nelle necessità (22); offrendo il proprio

consiglio quale servizio al Regno di Dio (23); partecipando alla vita della Chiesa

in forma personale (24) o in forma aggregativa. (25)

Va anche ricordato che la comunione ecclesiale non è un fatto esclusivamente

interno.

Quando la parrocchia, con la viva partecipazione dei fedeli laici, è nel mondo

"luogo" della comunione dei credenti e "segno" e "sacramento" della vocazione

di tutti alla comunione, offre una risposta significativa all'uomo del nostro tempo,

talvolta smarrito e disorientato.

Il senso e la coscienza comunionale radicano un amore alla chiesa, a questa

chiesa concreta.

Il laico la ama nelle situazioni di gioia e in quelle di sofferenza: con questi

presbiteri, con questi religiosi, con queste religiose, con questi laici.

Anche nella concreta esperienza della comunione ecclesiale il laico spende la

propria indole secolare, alla luce della quale, partecipando alla vita della

Chiesa, è chiamato a renderla sempre più esperta in umanità.

Portare nella Chiesa l'esperienza degli ambiti dove il laico vive tipicamente la

propria vita è fare in modo che famiglia, lavoro, cultura, mass-media, malattia,

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educazione, politica, ecc. non siano ambiti ad esperienze avulse dalla vita

ecclesiale.

E così facendo contribuisce ad edificarla aiutandola a trovare nell'uomo la sua

via e ad attuare la pastorale della "tenda" insieme a quella della "strada".

Come?

⇒ Attraverso i momenti di approfondimento comunitario della Parola di Dio

dove si rendono cooperatori dell'inculturazione del messaggio cristiano.

⇒ Attraverso i momenti di confronto e di dialogo, di elaborazione e di

proposta che sono tipici degli organismi collegiali (Consulta per

l'Apostolato dei laici a livello diocesano e Consigli Pastorali a livello

diocesano e parrocchiale).

Naturalmente è importante che il fedele laico venga formato e sia consapevole

di essere membro della Chiesa e pertanto valorizzi la sua unicità e irripetibilità

di persona, a beneficio della famiglia umana ed ecclesiale. Non si tratta, però, di

una pura e semplice catechesi sul "depositum fidei", ma di una profonda

educazione ad essere delle autentiche presenze di Chiesa: cioè una sorta di

iniziazione ad una autentica vita cristiana mediante una tensione ideale verso la

verità e la carità. Solo così potrà essere servo indispensabile di Cristo sia nella

Chiesa che nel mondo.

La Chiesa allora al suo interno deve, probabilmente, operare su un doppio

binario.

Riscoprire la responsabilità di tutti i battezzati

Bisogna fare in modo che sia l'intero Popolo di Dio ad essere presenza di

elaborazione e di missione a favore di ogni persona umana. In tal modo la

laicità sarà vista come concretizzazione, nelle varie fasi della storia, del senso e

degli effetti dell'Incarnazione di Cristo. Questo fatto chiarisce implicitamente e

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sottolinea la responsabilità che i laici hanno nel contribuire al bene di tutta la

Chiesa mediante l'esplicazione dei loro carismi, doni cioè suscitati dallo Spirito

per rispondere, nell'economia della salvezza, ai segni dei tempi.

Ciò permette di superare - come detto - una concezione dell'apostolato dei laici

come pura e semplice collaborazione all'apostolato gerarchico.

Superare il sospetto nei confronti della situazione mondana

Facendo leva sul fatto che ogni realtà della storia e del tempo verrà ricapitolata

in Cristo (Efesini 1,10) perché senza di Lui nulla esiste di ciò che è (Giovanni

1,3), si deduce che nella dimensione della storia non dovrebbero esistere ambiti

antitetici, come sacro e profano, in separazione e in conflittualità, ma che esiste

un'unica realtà complessa che è quella della storia nella quale il cristiano si

deve collocare, rispettando l'autonomia delle realtà temporali e impegnandosi a

incarnare e iniziare la realtà del Regno.

Questa è una delle attenzioni più importanti che la laicità può donare allo stile di

evangelizzazione e di presenza del Popolo di Dio nella storia. Si tratta di

togliere ogni tipo di sospetto e di valorizzare il positivo già esistente nel vissuto

di ogni uomo. Questo permette alla Chiesa di liberarsi di ogni paura e di non

chiudersi in una attività implosiva che le farebbe perdere una delle sue note

essenziali che è la missionarietà.

L'ATTUAZIONE DELLA MISSIONE DI SALVEZZA

E DI LIBERAZIONE DELLA CHIESA NEL MONDO

L'ecclesialità e la secolarità incidono nella vita del fedele laico anche nel

momento in cui contribuisce, con le sue peculiarità, ad attuare la missione di

salvezza e di liberazione della Chiesa nel mondo.

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Per ben comprendere la peculiarità dell'evangelizzazione da parte del fedele

laico in ogni campo dell'attività umana vanno ribaditi alcuni atteggiamenti che,

alla luce della dottrina conciliare, ci sembra debbano guidare la missione della

Chiesa e con essa e in essa quella del fedele laico.

Fedele laico che esplica la missione nei complicati campi delle attività umane,

dove criteri di varia natura, possono facilmente interferire e oscurare quelli tipici

che debbono presiedere alla missione ecclesiale.

La missione evangelica esclude ogni forma di efficientismo che, per sua natura,

induce a subordinare all'attivismo la disponibile libertà della coscienza delle

persone che si incontrano e alle quali si testimonia, esplicitamente o

implicitamente, Cristo salvatore e liberatore. L'efficientismo può arrivare alla

strumentalizzazione delle persone.

Non giova alla missione della Chiesa neppure una dimensione trionfalistica.

I laici sanno bene che, secondo la promessa, Cristo alla fine dei tempi trionferà.

Ma sanno anche che questa Chiesa pellegrina non può presentarsi al mondo

che come Chiesa santa e bisognosa di conversione e che i laici stessi, pur

posseduti dalla verità di Cristo, hanno bisogno di capire e penetrare le realtà

terrene come e con gli altri uomini.

Il Signore morto e risorto chiede di trionfare non attraverso apparati esterni e

umane potenze ma nel profondo di ogni uomo e dell'umanità tutta.

Quello cristiano non è neppure proselitismo, cioè conquista immediata,

entusiasmo travolgente. E' proposta di conversione e di redenzione; è forza

intima che attira e che gradualmente fa sì che la coscienza si apra al mistero di

Dio, di Cristo e della Chiesa. I laici, perciò, nella ordinaria condizione di vita e

nelle quotidiane vicende annunciano e testimoniano questa proposta di

conversione e di salvezza unificando gli sforzi umani – come detto - in una sola

sintesi vitale con i beni religiosi. Perché ciò che conta non è la capacità di

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conquista, ma la credibilità della sintesi vitale, non operata una volta per tutte

ma manifestata nella verità delle contingenze in cui il laico viene a trovarsi.

Pur senza cadere nel pericoloso rischio del sincretismo (conciliazione arbitraria

di dottrine filosofiche diverse) e del falso, compromissorio irenismo (cercare in

tutti i modi punti di contatto al ribasso tra diverse idee o punti di vista,

rinnegando o contraddicendo la loro autenticità), il metodo missionario del

fedele laico non può, invece, prescindere dal dialogo.

Il Vaticano II lo sollecita sotto vari profili: dialogo ecumenico (26) interreligioso

(27) nelle missioni (28) con i non credenti (29). Paolo VI l'ha sapientemente

approfondito nella enciclica Ecclesiam suam e Giovanni Paolo II nella

esortazione apostolica Reconcilatio et Poenitentia.

Il dialogo come incontro umano, come mezzo privilegiato per esporre all'uomo

contemporaneo la verità in cui con convinzione e responsabilità si crede, come

modo concreto di collaborare sul piano dell'azione, è oggi, nel processo di

secolarizzazione e nel mondo del pluralismo etico, culturale, sociale e politico,

la via che bisogna percorrere per la missione ecclesiale.

Il dialogo richiede naturalmente coscienza di verità, educazione alla criticità,

esercizio di discernimento pastorale e spirituale.

Si tratta invece di avanzare una proposta chiara sulla identità cristiana.

Identità che ha bisogno di essere coniugata con l'impasto delle realtà terrene e

tale coniugazione comporta:

∗ per un verso l'approfondimento della fede (Parola di Dio e Magistero della

Chiesa);

∗ per un altro verso l'umana ricerca sul nuovo e sull'opinabile con quella

inquietudine spirituale che è volontà d leggere bene, di acquisire

sapientemente, di esercitare, prudentemente e coraggiosamente, una

coscienza retta.

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A tal riguardo Giovanni Paolo II indica con autorevolezza che “riscoprire e far

riscoprire la dignità inviolabile di ogni persona umana… è il compito centrale e

unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli-cristiani-laici sono

chiamati a rendere alla famiglia degli uomini". (30)

La dignità della persona è ritenuta dal Magistero della Chiesa "il bene più

prezioso che l'uomo possiede", in quanto è proprio la dignità personale che

"costituisce il fondamento dell'uguaglianza di tutti gli uomini tra loro" e anche

"della partecipazione e della solidarietà; infatti il dialogo e la comunione si

radicano in ultima analisi su ciò che gli uomini sono, prima e più ancora che su

quanto essi hanno". (31)

Il Proemio della Gaudium et spes in questo senso è molto chiaro: "Le gioie e le

speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e

di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie, le speranze, le tristezze e le

angosce dei discepoli di Cristo". (32)

Il Concilio, quindi, toglie ogni dubbio: non vi è situazione umana - in quanto,

appunto, umana - che non debba essere doverosamente considerata, valutata

e promossa dai credenti in Cristo quale loro "missione".

Il determinarsi allora dei laici a favore della promozione della dignità dell'uomo è

un'esigenza teologica, cioè connessa intimamente con la loro fede da

accogliere e testimoniare e non solo quindi scelta di solidarietà.

Il laico, quindi, dovrà aiutare l'uomo a riscoprire la propria dignità prima di tutto

come "creatura" (cioè come persona che si apre verso l'Assoluto e che in

questa apertura scopre la sua vera identità) e come "creatura creata ad

immagine e somiglianza di Dio" (cioè come persona che ha nella "coscienza" il

riferimento più importante nella sua ricerca di Dio).

Per quanto riguarda questo secondo aspetto, l'impegno del laico nella

formazione della propria e dell'altrui coscienza, rappresenta forse l'impegno più

importante che può avere nei confronti del mondo, perché attraverso questa

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formazione egli dà un contributo fondamentale a rendere più sicura e più libera

quella persona, dando ad essa la possibilità di potersi costruire in conformità

alla sua dignità di immagine e somiglianza di Dio.

L'uomo così promosso verrà liberato anche da quella insicurezza che gli

impedisce di effettuare con serenità delle scelte coraggiose, in quanto, come

dice il Concilio, egli "scopre nell'intimo della sua coscienza una legge che non è

lui a darsi, ma alla quale deve invece obbedire e la cui voce, chiamandolo

sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre dice alle

orecchie del cuore: fa questo, fuggi quest'altro". (33)

Servendo così la persona, il laico porta l'uomo all’incontro con il Deus

absconditus, ma profondamente operoso ed efficace, ascoltando il quale,

troverà naturale, sentendo i richiami della sua coscienza, amare Dio e il

prossimo.

Nello stesso tempo, il laico, impegnandosi in questo campo, formando le

coscienze con serietà e costanza, sarà lo strumento che aiuta le singole

persone e i gruppi sociali ad allontanarsi sempre più dall'arbitrio e a conformarsi

alle norme oggettive della morale.

LA COSTRUZIONE DI UN ITINERARIO SPIRITUALE APPROPRIATO

Santificarsi e santificare, tra l'ecclesialità e la secolarità, non è dunque cosa

facile.

Per questo il discepolato e la sequela del Signore Gesù richiedono per il laico

una "spiritualità appropriata, l'urgenza di una formazione profonda e

permanente, l'indispensabilità, per lui, come per tutti gli altri, dell'Eucaristia e

della Penitenza". (34)

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Anche per il laico, dunque, quello spirituale è un itinerario che parte dalla

trasformazione della coscienza con gli usuali e comuni mezzi della santità:

◊ la preghiera e la meditazione della Parola;

◊ la Riconciliazione sacramentale e l’Eucaristia;

◊ la ricerca di un accompagnamento spirituale teso non ad annegare la

specificità laicale, ma a responsabilizzarne la genuinità.

Ma non è tutto. La dimensione tipica della secolarità del fedele laico è l'ordinario

e il quotidiano della vita familiare, sociale, professionale ed ecclesiale. Pertanto

una spiritualità per lui appropriata non può non essere intessuta di ordinario e di

quotidiano.

La luce del Vangelo, il rapporto personale con Cristo filtra, per il discepolo laico,

nella vicenda quotidiana. Allora:

◊ il Vangelo viene proclamato nella testimonianza di vita;

◊ la vita si santifica e assume la sua dimensione spirituale nella

"celebrazione" della verità e della giustizia, e la Parola, così annunciata,

diviene fermento, provocazione, speranza…

L’apostolato "del simile verso il simile" nel quale "completano la testimonianza

della vita con la testimonianza della parola" (35) è esso stesso parte

determinante dell'itinerario spirituale del fedele laico.

Per la verità una spiritualità appropriata per il laico è ancora da studiare specie

sotto forma di un'adeguata sussidiazione.

Come già detto, se si vuole aiutare il fedele laico ad essere nella storia della

salvezza essendo dentro la storia degli uomini, nella fedeltà a Dio e all'uomo,

bisogna riscoprire la centralità della coscienza.

La sua dignità, il suo primato, il suo essere il luogo della identità personale, del

discernimento operoso, della elaborazione delle scelte morali, dei conseguenti

comportamenti.

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La luce di Cristo - che la comunità cristiana riceve e diffonde nel mondo - deve

raggiungere la coscienza del laico.

Il Sinodo del 1987 ebbe a richiamare una serie di momenti costitutivi ed

essenziali per un permanente itinerario educativo del fedele laico:

◊ un appropriato approfondimento che lo inserisca sempre più e sempre

meglio nel mistero di Cristo e della Chiesa;

◊ la preparazione catechistico-teologica e l'affinamento culturale;

◊ l'elaborazione di idee e valori in grado di incarnare nella storia

contemporanea i valori e la luce del Vangelo offrendo all'umanità veri e

profondi significati, mete di alta eticità;

◊ comportamenti personali conseguenti e attuativi di una coscienza

plasmata dalla Parola di Dio e percettiva della grandezza-debolezza

dell'uomo.

Essenziali sono pure la cura della dimensione sociale e politica nella coscienza.

Il cristiano - e il laico in particolare - nella linea e nello spirito del mistero

dell'Incarnazione non può non camminare con l'umanità e con l'uomo

contemporaneo.

Il Sinodo del 1987 ebbe a ricordare che è peccato contro Dio abbandonare

l'uomo nella sua vicenda sociale. Certo la Chiesa ha risposte che vanno al di là

del contingente, ma incontra l'uomo nel suo vissuto.

Ed intravide questo vissuto nei luoghi e nelle situazioni di violenza, di carestia,

di fame, di guerre, di odio razziale; nella famiglia, nel lavoro, nell'economia,

nella scuola, nel mondo della cultura e delle comunicazioni sociali, nelle

strutture di partecipazione sociale e nelle istituzioni politiche.

Queste situazioni delle quali è intessuta l'umanità contemporanea e queste

forme attraverso le quali si attua la instaurazione dell'ordine temporale sono

proprio i luoghi nei quali il fedele laico è chiamato fare sintesi tra fede e vita.

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Sostenere il laico in questa "battaglia" richiede una ulteriore formazione

accurata e proporzionata alle responsabilità presenti e future.

Il compito dunque non facile; anzi molto difficile da realizzare.

Tanto arduo che non resta altro che chiedere nella preghiera quel di più che

serve per ordinare le cose secondo Dio, come l’agiografo faceva dire a

Salomone quando, intento nelle opere di governo proprie di un re (quindi di un

laico politico), invocava da Dio la 'sapienza' con questa stupenda preghiera:

"Inviala dai cieli santi, mandala dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi

affianchi nella mia fatica ed io sappia ciò che ti è gradito" (Sap 9,10).

Note

1. U. Sartorio, Linee del dibattito sui laici nelpostconcilio italiano , il “Sinodo ‘87 e la Christifideleslaici” in Credereoggi n. 3, 1994, pag. 482. M.D. Chenu, I laici e la consecratio mundi3. Lumen gentium n. 314. Christifideles laici n. 95. Lumen gentium n. 316. Confrontare con Christifideles laici n. 147. Christifideles laici n. 148. Lumen gentium n. 369. Christifideles laici n. 1410. Lumen gentium n. 3111. Lumen gentium n. 3112. Confrontare con Gaudium et spes n. 4313. Gaudium et spes n. 43, paragrafo a14. Gaudium et spes n. 43, paragrafo b15. Gaudium et spes n. 43, paragrafo b16. Lumen gentium n. 3117. Christifideles laici n. 2718. Giovanni Paolo II, Omelia alla concelebrazioneconclusiva del Sinodo sui laici, 198719. Lumen gentium n. 3720. Christifideles laici n. 2921. Christifideles laici n. 3022. Apostolicam actuositatem n. 423. Christifideles laici n. 2524. Christifideles laici n. 28

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25. Christifideles laici n. 2926. Unitatis redintegratio, n. 427. Nostra aetate28. Ad Gentes29. Gaudium et spes, n. 2130. Christifideles laici n. 3731. Christifideles laici n. 3732. Gaudium et spes n. 133. Gaudium et spes n. 1634. Giovanni Paolo II, Omelia alla concelebrazioneconclusiva dell’assemblea sinodale, 198735. Apostolicam actuositatem n. 13, paragrafo a