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1 L’esame endoscopico della cloaca nei cheloni:tecniche ed applicazioni cliniche. Prof. Filippo Spadola - DVM – PhD Professore Associato (SSD 07/H5 – Cliniche Chirurgica e Ostetrica Veterinaria) Dipartimento di Scienze Veterinarie, Polo didattico S.S. Annunziata, 98168 Messina, Italy. La cloaca rappresenta uno degli organi meno studiati dal punto di vista morfo-funzionale soprattutto per quanto riguarda le numerose specie di cheloni e le relative differenze anatomiche. Inoltre la cloaca può esporsi con una certa frequenza a patologie più o meno gravi come semplici infezioni, infestazioni parassitarie, urolitiasi, neoplasie, corpi estranei, traumatismi, occlusioni, prolassi e lesioni da monta. Prima di trattare l’esame endoscopico è opportuno considerare l’anatomia della cloaca con le varie differenze tra cheloni. I cheloni hanno le gonadi situate nella porzione anteriore dorsale del celoma caudalmente ai reni. Le femmine hanno una coppia di gonadi e di ovidotti. I follicoli ovarici maturi pieni di tuorlo si sviluppano periodicamente, spesso stagionalmente. Dopo l'ovulazione, gli ovuli entrano nell’ovidotto dove vengono fecondati, e l’albume, le membrane guscio e il guscio dell'uovo sono prodotti. Gli ovidotti sboccano nella cloaca dorsolateralmente. Prima della deposizione delle uova, le uova sono conservate negli ovidotti. In media, la maggior parte delle specie conservano le loro uova per 1 o 2 mesi prima della deposizione. La dimensione della covata, la dimensione delle uova, il tipo di uovo, e la frequenza d’annidamento variano tra le specie. Le uova hanno il guscio calcareo e duro, oppure coriaceo e flessibile, secondo la specie. Le tartarughe, rappresentano i ciclotremi, la cui cloaca sbocca all’esterno tramite un’apertura circolare, a differenza dei sauri (Plagiotremi) nei quali tale orifizio si presenta trasversale. La cloaca è suddivisa in tre regioni che, procedendo cranio-caudalmente, prendono il nome di coprodeo, nel quale sfocia l’intestino terminale, urodeo, che è la porzione della cloaca che accoglie lo sbocco dell’uretra, degli ureteri, dei deferenti-ovidutti, e proctodeo, che rappresenta la porzione più caudale che contrae rapporti con gli organi copulatori. Il coprodeo è nettamente separato dall’urodeo da due pieghe che dividono la cloaca in due docce: una superiore, che accoglie il retto, ed una inferiore; formata da due sottili muscoli che convergono medio-dorsalmente, ricevendo gli ureteri, i deferenti-ovidutti e, all’apice del cuneo formato dai suddetti muscoli, lo sbocco della vescica, così da formare, in alcune specie, un vero e proprio abbozzo di seno urogenitale, non completamente separato dal coprodeo. In alcune tartarughe acquatiche, di fronte al seno urogenitale, sono presenti dei sacchi, vescicole accessorie,

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L’esame endoscopico della cloaca nei cheloni:tecniche ed applicazioni cliniche.

Prof. Filippo Spadola - DVM – PhD

Professore Associato (SSD 07/H5 – Cliniche Chirurgica e Ostetrica Veterinaria)

Dipartimento di Scienze Veterinarie, Polo didattico S.S. Annunziata, 98168 Messina, Italy.

La cloaca rappresenta uno degli organi meno studiati dal punto di vista morfo-funzionale soprattutto

per quanto riguarda le numerose specie di cheloni e le relative differenze anatomiche. Inoltre la

cloaca può esporsi con una certa frequenza a patologie più o meno gravi come semplici infezioni,

infestazioni parassitarie, urolitiasi, neoplasie, corpi estranei, traumatismi, occlusioni, prolassi e

lesioni da monta.

Prima di trattare l’esame endoscopico è opportuno considerare l’anatomia della cloaca con le varie

differenze tra cheloni. I cheloni hanno le gonadi situate nella porzione anteriore dorsale del celoma

caudalmente ai reni. Le femmine hanno una coppia di gonadi e di ovidotti. I follicoli ovarici maturi

pieni di tuorlo si sviluppano periodicamente, spesso stagionalmente. Dopo l'ovulazione, gli ovuli

entrano nell’ovidotto dove vengono fecondati, e l’albume, le membrane guscio e il guscio dell'uovo

sono prodotti. Gli ovidotti sboccano nella cloaca dorsolateralmente. Prima della deposizione delle

uova, le uova sono conservate negli ovidotti. In media, la maggior parte delle specie conservano le

loro uova per 1 o 2 mesi prima della deposizione. La dimensione della covata, la dimensione delle

uova, il tipo di uovo, e la frequenza d’annidamento variano tra le specie. Le uova hanno il guscio

calcareo e duro, oppure coriaceo e flessibile, secondo la specie. Le tartarughe, rappresentano i

ciclotremi, la cui cloaca sbocca all’esterno tramite un’apertura circolare, a differenza dei sauri

(Plagiotremi) nei quali tale orifizio si presenta trasversale. La cloaca è suddivisa in tre regioni che,

procedendo cranio-caudalmente, prendono il nome di coprodeo, nel quale sfocia l’intestino

terminale, urodeo, che è la porzione della cloaca che accoglie lo sbocco dell’uretra, degli ureteri, dei

deferenti-ovidutti, e proctodeo, che rappresenta la porzione più caudale che contrae rapporti con gli

organi copulatori. Il coprodeo è nettamente separato dall’urodeo da due pieghe che dividono la

cloaca in due docce: una superiore, che accoglie il retto, ed una inferiore; formata da due sottili

muscoli che convergono medio-dorsalmente, ricevendo gli ureteri, i deferenti-ovidutti e, all’apice

del cuneo formato dai suddetti muscoli, lo sbocco della vescica, così da formare, in alcune specie,

un vero e proprio abbozzo di seno urogenitale, non completamente separato dal coprodeo. In alcune

tartarughe acquatiche, di fronte al seno urogenitale, sono presenti dei sacchi, vescicole accessorie,

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che comunicano con la cloaca attraverso un ampio orifizio e vengono considerate come particolari

formazioni che, riempiendosi di aria o di acqua, fanno aumentare il peso specifico dell’animale ed

inoltre pare partecipino agli scambi gassosi durante la respirazione anaerobica. Il pene si trova

dentro la cloaca in posizione ventrale, ed è possibile osservare l’organo della copula in entrambi i

sessi, poiché nella femmina è rudimentale (clitoride). Il pene, appiattito dorso-ventralmente, è

costituito da un cercine impari della mucosa ventrale della cloaca, che porta sulla sua superficie un

solco mediano, detto seminale poiché permette il passaggio del liquido omonimo. Il solco, nel suo

percorso, tramite due pieghe della mucosa cloacale, può chiudersi così da formare, durante il coito,

un canale. In questi animali l’organo presenta una terminazione libera, che in alcune specie si può

chiaramente distinguere dalla porzione adesa alla parete della cloaca. Tale terminazione, nel genere

Trionyx, è formata da cinque punte, ciascuna delle quali riceve un ramo del dotto seminale. In altre

testuggini è possibile riscontrare un vero e proprio glande, diviso dal resto dell’organo da alcuni

cercini semilunari. La cloaca non riveste soltanto la funzione di deposito dell’urina, delle feci e dei

gameti, ma partecipa attivamente al mantenimento dell’equilibrio idrico-salino dell’organismo.

L’acido urico, presente negli ureteri sotto forma di liquido chiaro e ricco di muco, arriva

nell’urodeo (e/o vescica) e successivamente nel coprodeo e nella porzione terminale dell’intestino,

dove avrà luogo l’assorbimento dell’acqua e la precipitazione degli urati (poltiglia bianca) che

vengono mescolati con le feci.

Prima di procedere ad un accurato esame dell’organo in discussione, è opportuna l’osservazione

d’insieme dell’animale con l’esame semiologico. L’esame obiettivo particolare deve essere

composto da una accurata ispezione dell’organo interessato, da una palpazione ed eventualmente da

esami strumentali collaterali che favoriscano la formulazione di una diagnosi. In particolare per

quanto concerne l’esame della cloaca bisogna effettuare una ispezione esterna e una interna, con

l’aiuto di un vaginoscopio per gatti o con una pinza che agevoli l’apertura dello sfintere, una

palpazione bidigitale esterna e successivamente esami specifici, quali l’esame radiografico con

mezzo di contrasto e una cloacoscopia preferibilmente con endoscopio rigido. Per l’esame

radiografico è opportuno utilizzare un apparecchio radiologico mobile, con braccio oscillante

capace di orientare l’asse dei raggi fotonici in tutte le posizioni desiderate. L’animale viene

posizionato su un supporto radiotrasparente cilindrico, così da non permettergli movimenti.

L’apparecchio radiologico deve essere posizionato in maniera da orientare i raggi orizzontalmente e

la cassetta radiologica deve essere posizionata verticalmente, posteriormente all’animale. Posizione

questa che si può ottenere con uno stativo che mantenga la cassetta verticalmente. Il mezzo di

contrasto utilizzabile non è il bario, elemento che può provocare delle ostruzioni a livello degli

ureteri. E’ pertanto consigliabile un clisma opaco con un mezzo di contrasto iodato. Le proiezioni

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da utilizzare sono la L-L e la V-D che consentono di visualizzare tutta la cavità cloacale. Nelle

tartarughe di grosse dimensioni è possibile eseguire una ecografia attraverso le finestre acustiche

posteriori. Tale metodica, non invasiva, ci aiuta a visualizzare le strutture annesse alla cloaca come

la vescica e le vesciche accessorie nelle tartarughe d’acqua. L’esame endoscopico e nella fattispecie

la cloacoscopia, è un ottimo metodo poco invasivo per la diagnosi delle principali patologie della

cloaca e delle strutture ad essa annesse. Ad esempio in corso di cloacite, l’endoscopia risulta utile

per valutare l’estensione del processo flogistico. La ritenzione di uova può essere diagnosticata con

la cloacoscopia così come alterazioni degli ovidotti, calcoli cloacali e neoplasie. L’endoscopia

quindi ci può fornire molte informazioni diagnostiche, che non possono altrimenti essere ottenute

nelle tartarughe a causa del carapace. Questa tecnica inoltre può risultare utile per la determinazione

del sesso e per la somministrazione locale di farmaci.

Numerose sono le patologie che è possibile diagnosticare a livello della cloaca e dei suoi organi

annessi. Una delle più frequenti lesioni è la cloacite, processo infiammatorio della cloaca,

caratterizzato principalmente da iperemia della mucosa cloacale, con presenza di essudato più o

meno denso, spesso misto a sangue vivo, che può fuoriuscire dallo sfintere cloacale.

L’infiammazione della cloaca rappresenta il primo sintomo riscontrabile nella maggior parte delle

lesioni di tale apparato. L’eziopatogenesi è legata soprattutto a microlesioni traumatiche delle

mucose, che sono da attribuire alla presenza di corpi estranei, a parassiti cloacali o intestinali, a

ripetuti accoppiamenti, alla presenza di neoformazioni, a prolassi, a ritenzioni di uova, a calcoli ecc.

Queste patologie favoriscono la formazione di lesioni che, per irruzione secondaria di batteri, vanno

incontro ad un processo flogistico. La cloacite può evolvere in una ipertrofia della cloaca o in una

cloacite ulcerativa. Le parassitosi provocano quasi sempre una cloacite, con alterazione dello stato

del sensorio e delle grandi funzioni organiche dell’animale. I parassiti cloacali più frequenti,

secondo i dati della letteratura, sono gli acari. Inoltre parassiti del tratto intestinale si possono

riscontrare nella cloaca e possono dar luogo ad infiammazioni o ad una ostruzione dell’organo. E’

possibile reperire dei corpi estranei all’interno della cloaca, liberi o infissi nella mucosa, oppure a

livello dell’apertura esterna. I corpi estranei sono rappresentati da spighe di graminacee, corpi

acuminati ed altri provenienti dall’intestino, che possono provocare cloaciti con presenza massiva di

essudato, ostruzioni e costipazione con stillicidio di sangue. Con il termine di prolassi cloacali

(paratopie) si intende un gruppo di lesioni che riguarda gli organi annessi alla cloaca (intestino

terminale, vescica urinaria, pene o emipene, utero ed ovidutti): queste si possono verificare nelle

femmine durante o dopo la riproduzione, durante la deposizione o a causa di ritenzione delle uova.

Un fattore predisponente la lesione in questione è un cambio repentino del regime alimentare. Altre

cause di prolasso possono essere la costipazione o la diarrea protratta, l’ingestione di granelli di

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lettiera per gatti, la presenza di calcoli cloacali e i parassiti intestinali. La parafimosi è uno dei più

frequenti tra i prolassi cloacali. Tale patologia è caratterizzata dal mancato invaginamento

dell'organo copulatore nella cloaca. L'eziopatogenesi è legata ad eventi traumatici che possono

verificarsi durante il coito e/o a fenomeni infiammatori a carico del pene e dell'apertura cloacale e/o

ad anomalie congenite. Il pene prolassato si presenta come una massa di tessuto solido, duro-

fibroso, per cui è facilmente distinguibile dagli altri organi. Nelle tartarughe d’acqua, allevate in

terrari affollati, il trauma può essere rappresentato da un morso di un altro esemplare. Il pene si

presenta iperemico, edematoso e di colore rosso scuro: questa condizione favorisce continui

traumatismi, che sono causa di lacerazioni e conseguenti infezioni batteriche, caratterizzate dalla

presenza di essudato sulla superficie, che, a loro volta, possono evolvere in fatti necrotici e

gangrenosi, tali da causare la morte dell'animale. Il prolasso dell’intestino terminale è caratterizzato

dalla presenza di una massa di tessuto consistente, nell'ambito della quale è presente un lume, che

può contenere materiale fecale. Le principali cause risiedono nel tenesmo, dovuto ad enteriti di

diversa natura o a stipsi. Nelle fasi acute, il tessuto si presenta rosso scuro ed edematoso; nelle fasi

croniche, invece, che subentrano rapidamente a causa dei disturbi di circolo ed ai traumatismi che il

tessuto subisce, l’organo si presenta in necrosi, di colore nerastro e di consistenza friabile. Il

prolasso della vescica consegue spesso ad una litiasi. La vescica è facilmente riconoscibile per via

della parete trasparente e per la consistenza fluttuante; la diagnosi di certezza può essere emessa se

l’ago-aspirato consente di raccogliere urina. Le neoplasie sono patologie piuttosto rare: tali lesioni

si possono localizzare sia internamente che a livello dell’apertura cloacale. Sintomi riscontrabili

sono la fuoriuscita di sangue vivo dallo sfintere cloacale e la costipazione; nei casi gravi si può

verificare anche un prolasso. Lesioni vascolari come ematomi, aneurismi, emorragie possono essere

presenti, ma spesso sono associate ad altre patologie più gravi. Alcune fratture del carapace, in

particolare delle piastre caudali possono causare traumatismi all’apertura cloacale, con evoluzione

in processi infiammatori. Calcoli cloacali ed enteroliti causano spesso l’occlusione del tratto

terminale dell’intestino oppure parziali stenosi della cloaca, questi sono di solito di consistenza dura

e sono formati da urati che hanno subito un processo di cristallizzazione.

Per la descrizione dell’esame cloacoscopico prenderemo in esame le due specie di cheloni più

diffuse, una palustre (Trachemys scripta) e l’altra terrestre (Testudo hermanni). Nelle due specie di

cheloni, all’introduzione dell’endoscopio (da 4 mm di diametro) è possibile visualizzare la mucosa

pigmentata del proctodeo e, inclinando l’ottica verso la porzione ventrale, il clitoride o il pene a

seconda del sesso. Procedendo caudo-cranialmente, nelle Trachemys scripta sono facilmente

evidenziabili, nelle porzioni laterali, gli ampi osti delle due vescicole accessorie (spesso di

dimensioni diverse) e, nella porzione centro-ventrale, il solco seminale (presente anche nelle

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femmine), formato da due muscoli che convergendo dorsoventralmente ricoprono il seno

urogenitale. Superiormente ai suddetti muscoli, è visibile una plica muscolare con fibre ad

andamento orizzontale che, nascondendo lo sbocco dell’intestino terminale, separa quest’ultimo

dall’urodeo. Introducendo l’estremità dell’endoscopio all’interno di una vescicola accessoria, la

trasparenza delle pareti permette di osservare alcuni organi. Sostituendo l’ottica da 4 mm. con una

da 1,7 mm, è possibile, seguendo il decorso del solco seminale, pervenire all’interno del seno

urogenitale, nella cui porzione centrale è evidenziabile l’ostio uretrale. Tale ostio può essere

superato, così da consentire l’esame visivo delle pareti vescicali, che si presentano trasparenti e

permettono l’osservazione di alcuni organi celomatici, in particolare l’ovaio. La parete vescicale,

riccamente vascolarizzata, presenta un pilastro centrale che suddivide l’organo in due lobi

simmetrici. Retraendo l’ottica al di fuori dell’uretra e spostandosi con molta delicatezza dorso-

lateralmente, si possono raggiungere gli osti ureterali, celati da una sottilissima plica. Oltrepassando

tale plica, gli ureteri si presentano come dei condotti tubulari di diametro regolare e di colorito

grigiastro. Subito dorsolateralmente alla plica ureterale, si può introdurre l’endoscopio all’interno

del lume dell’ovidutto, che appare come un condotto fortemente slargato, tortuoso e pieghettato.

Questo si presenta molto elastico, in virtù della sua funzione. Lo sbocco dell’ovidutto e degli ureteri

vengono definiti papilla uro-genitale. Retraendo l’ottica dall’urodeo, e dirigendola nel proctodeo,

lateralmente e quindi dorsalmente ad uno dei due muscoli che delimitano l’urodeo, si può

oltrepassare l’ano, fino a raggiungere la porzione terminale dell’intestino, facilmente riconoscibile

per la presenza di boli fecali. In T. hermannii, a differenza di T. scripta, il proctodeo presenta

dimensioni maggiori e mancano le vescicole accessorie. Il coprodeo, in queste specie, non è

facilmente distinguibile, dal momento che l’intestino terminale sfocia nel proctodeo tramite un

cercine anulare più o meno evidente, superato il quale è possibile osservare le restanti porzioni di

intestino terminale. Ventralmente al cercine anulare, si può osservare l’urodeo, delimitato da due

muscoli simili a quelli osservati in T. scripta.

Le patologie della cloaca delle tartarughe sono sempre di più facile riscontro ma di difficile

interpretazione poiché poco conosciute dai professionisti non specializzati. Questa situazione porta,

purtroppo, in parecchie occasioni, alla morte di diversi cheloni. Inoltre è spesso evidenziabile una

grande inesperienza da parte dei proprietari, che, non conoscendo le normali abitudini degli animali

non convenzionali, si accorgono sempre in ritardo della patologia. E' consigliabile a chi si appresta

ad allevare questo tipo di animali, un periodico ed accurato controllo dell'apparato riproduttore,

specie durante il periodo dell'accoppiamento. Quindi è bene rispettare la massima igiene dei luoghi

di ricovero e dei terrari. Con l’esame endoscopico è possibile pervenire ad una diagnosi immediata

di patologie presenti a carico della cloaca. Il lavaggio delle mucose, eseguito contestualmente,

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permette la coltura per esami microbiologici, ed anche di osservare uova od esemplari adulti di

parassiti. Tale metodica inoltre può trovare applicazione nel sessaggio di tutte le specie di

tartarughe sia terrestri che palustri con scarso dimorfismo sessuale.

RINGRAZIAMENTI: si ringrazia il dott. Manuel Morici per la collaborazione.

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Composizione microbiologica cloacale in T. hermanni sane e con cloacite

Dr. Lubian Emanuele

La cloacite rappresenta una patologia di frequente riscontro ambulatoriale nelle Testudo (soprattutto

in Testudo hermanni), ma a tutt’oggi ancora poco studiata, così come relativamente meno studiata è

la normale flora microbica cloacale in questa specie animale.

Viene definita con il termine “cloacite” l’infiammazione o l’infezione della cloaca, patologia

abbastanza frequente in Testudo hermanni e dovuta a varie cause [1, 5].

Finora sono stati condotti diversi studi riguardanti sia i microrganismi normalmente presenti in

cloaca sia i microrganismi potenzialmente dannosi per il genere Testudo; nulla però è riportato sui

microrganismi coinvolti nella cloacite.

Le varie fonti della letteratura non citano un patogeno specifico presente normalmente nella

cloacite, concentrando maggiormente l’attenzione su altri aspetti di tale patologia, soprattutto sulla

patogenesi.

Si tratta sicuramente di una patologia multifattoriale, infatti, qualsiasi danno a livello cloacale

associato ad alterazioni ambientali può indurre l’eccessiva proliferazione batterica che la

caratterizza. Si possono così distinguere tre fattori che interagiscono strettamente tra di loro per

causarla, ovvero: ospite, gestione, agente eziologico.

Per quanto riguarda l’ospite bisogna considerare tutti i problemi che possono influenzare la cloaca e

che possono essere di varia natura come, ad esempio, traumi da morso, infezioni intestinali,

infezioni urinarie, costipazioni, parassiti, diarrea, deficit neurologici dell’apparato retrattore del

pene o dello sfintere cloacale, accumulo di urati, distocie, ritenzione di uova.

In ogni caso tale patologia è con maggiore frequenza conseguente a traumi legati ai continui

tentativi di copula da parte dei maschi, che si manifestano anche con morsi. Le lesioni sono

particolarmente gravi in Testudo hermanni a causa del danno provocato dallo sperone corneo della

coda del maschio.

Da questo si evince che le femmine risultano molto più predisposte rispetto ai maschi a sviluppare

tale patologia.

Il periodo degli accoppiamenti si apre nei primi giorni dopo il letargo che, a seconda della

latitudine, può cadere tra l’inizio e la fine di marzo. Normalmente può continuare per tutta la

stagione estiva fino a ottobre senza interruzioni, se le condizioni climatiche sono favorevoli. Se,

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però, le condizioni climatiche sono più avverse (troppo calore nella stagione estiva) allora il periodo

riproduttivo termina all’inizio di giugno per poi riprendere dalla fine di agosto ai primi di ottobre;

individuiamo così due distinti periodi di accoppiamento.

Il maschio adulto è territoriale e, nella stagione di attività sessuale, si dimostra particolarmente

eccitato e aggressivo; l’aggressività si manifesta nei confronti di altri maschi ma anche durante il

corteggiamento della femmina e, soprattutto, durante la copula.

Per quanto riguarda l’accoppiamento, questo è preceduto da una serie di comportamenti e attività

“pre-nuziali”, spesso precise e quasi ritualizzate. Nelle testuggini terrestri (Testudinidae) i maschi

trascorrono gran parte della fase attiva alla ricerca di una possibile compagna; appena intercettata

una femmina iniziano l’approccio, che è spesso cruento. Le femmine vengono ripetutamente

morsicate sul collo e sulle zampe e, successivamente, colpite su tutti i lati con la corazza dal

maschio (che compie tali movimenti lanciandosi contro la femmina estendendo gli arti posteriori e

retraendo la testa, così che i suoi scuti carapaciali vadano a sbattere contro di essa); questo

atteggiamento continua fino a che esse non sono state immobilizzate. Fatto questo, il maschio sale

sul corpo della femmina appoggiandosi con le zampe sul bordo del carapace e, se la sua posizione

viene accettata, cominciano gli amplessi; se, invece, questo atteggiamento viene rifiutato e la

femmina tende a scappare, ricomincia da capo l’intero rituale di convincimento con i vari attacchi.

Durante l’amplesso il maschio estroflette il pene inserendolo nella cloaca della femmina per

veicolare il liquido seminale; per farlo si aiuta con la lunga coda e, nel caso particolare di Testudo

hermanni, ancorandosi alla femmina sfruttando lo sperone corneo situato sulla sua estremità.

Durante le varie fasi della copula il maschio emette sonori sbuffi, rantoli e sibili, dovuti

all’emissione rapida di aria dai polmoni come conseguenza dei movimenti effettuati [6, 13].

Ovviamente l’azione riproduttiva è fisiologica in natura; in cattività, quindi, la patologia insorge

anche come conseguenza di errori gestionali. Infatti, il rapporto numerico maschi/femmine è spesso

svantaggioso ovvero vi sono troppi maschi rispetto al numero di femmine (tale rapporto dovrebbe

essere di 1/4 - 1/6); inoltre, gli animali vengono allevati in spazi troppo stretti che, oltre a essere

caratterizzati da una densità troppo alta, non consentono la fuga della femmina.

Un altro fattore gestionale predisponente è legato allo stato igienico del suolo; infatti la cloaca

traumatizzata, essendo costantemente a contatto col terreno, può sviluppare più facilmente un

processo infiammatorio se vi è maggiore contaminazione batterica.

Anche deformazioni a livello del piastrone o del carapace nella regione posteriore, legate ad

esempio a errori alimentari, possono predisporre all’insorgenza di cloaciti.

La cloaca traumatizzata consente così una notevole proliferazione dei batteri che normalmente la

colonizzano, proprio per le condizioni favorevoli che si sono create [1, 5].

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Per diagnosticare la cloacite è molto importante l’anamnesi, soprattutto di tipo ambientale, con la

valutazione di dove vive l’animale, quanto è grande lo spazio a sua disposizione, quanti animali

vivono nella colonia e qual è il rapporto maschi/femmine.

E’, inoltre, molto importante capire al meglio il tipo di gestione e le condizioni igieniche in cui vive

la tartaruga.

L’aspetto clinico è di per sé diagnostico; infatti, l’animale è caratterizzato dalla presenza di

infiammazione e lacerazione della cloaca e dei tessuti pericloacali. Talvolta tali lesioni sono molto

profonde e sono caratterizzate da un intensa tumefazione, dalla abbondante presenza di tessuto

necrotico e dalla formazione di tragitti fistolosi. Spesso, in questi casi, la cloacite è accompagnata

da lesioni del carapace causate dalla monta dei maschi, in particolare a livello degli scudi

sopracaudali e degli ultimi pleurali.

Nella stagione calda la cloacite è frequentemente complicata dalla miasi; infatti, le mosche carnarie

depositano su questi tessuti le loro uova e, da qui, le larve possono migrare scavando nei tessuti più

profondi. Questa situazione conferisce alla necrosi un odore molto nauseabondo.

Con un quadro clinico di questo tipo e in seguito agli accertamenti anamnestici, si riconosce che la

lesione è dovuta all’accoppiamento; non bisogna però trascurare il fatto che possa essere

conseguenza di altre cause precedentemente citate che devono essere eventualmente escluse

attraverso esami radiologici, esami delle feci, esami delle urine ed endoscopia della cloaca [1, 5].

La terapia della cloacite traumatica legata all’accoppiamento è prevalentemente di tipo medico ed è

caratterizzata dall’asportazione dei tessuti necrotici, con l’uso di pinze idonee, e da un’ampia

pulizia della parte lesa, attraverso lavaggi con acqua sterile e con soluzioni antisettiche

(iovopovidone e clorexidina). Se sono presenti, è importante asportare completamente le larve di

mosca.

E’ opportuno effettuare successivamente un’adeguata terapia antibiotica locale (attraverso l’uso di

creme, pomate o unguenti) e sistemica (ad esempio, con la somministrazione di enrofloxacina 5

mg/kg, una volta al giorno per 7 giorni); se viene ritenuto necessario, è indicata anche la terapia

analgesica.

L’animale deve essere, quindi, alloggiato in un ambiente pulito e isolato dai maschi. Fondamentale

è anche l’uso di zanzariere per evitare l’ingresso delle mosche che possono deporre sulle lesioni.

La terapia chirurgica consiste nell’eventuale riparazione della rima cloacale quando l’animale è

ormai guarito dall’infezione, oppure nella correzione delle deformazioni carapaciali se queste sono

presenti.

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In caso di cloacite secondaria ad altre patologie occorre eliminare prima la causa per poi curare la

cloaca [1, 5].

Il nostro studio si prefigge, come primo scopo, di individuare quali siano i microrganismi

normalmente presenti nella cloaca di Testudo hermanni sane nelle diverse stagioni, per evidenziare

loro eventuali modificazioni sia da un punto di vista qualitativo sia da un punto di vista quantitativo.

Per farlo sono stati seguiti due diversi gruppi di animali gestiti in maniera differente (giardino e

terrario).

Accanto a queste valutazioni, lo studio ha anche lo scopo di identificare la migliore metodica di

prelievo, confrontando ed evidenziando eventuali differenze tra il prelievo fatto con tamponi

(metodo utilizzato come standard in altre ricerche precedentemente effettuate) rispetto a un prelievo

eseguito con il lavaggio cloacale. Quest’ ultimo metodo, infatti, non è stato mai oggetto di altri studi

pur essendo verosimilmente una metodica meno traumatica rispetto al tampone.

Partendo poi dai dati ottenuti, considerati come “normali”, un altro scopo è quello di individuare

quali siano i batteri implicati nella cloacite, valutando se si tratti di patogeni primari o veri patogeni

oppure se si tratti di batteri normalmente presenti in cloaca che possano agire, in particolari

condizioni, da patogeni opportunisti.

Gli studi finora svolti hanno individuato diversi batteri che costituiscono la normale flora cloacale

dei rettili, anche se poco si sa sui cheloni e in particolare su Testudo hermanni.

Spesso questi batteri possono essere potenziale causa di infezione localizzata o sistemica come, ad

esempio, Salmonella spp. e Pseudomonas aeruginosa [2].

Tali batteri Gram-negativi sono stati identificati anche in Testudo sane durante lo svolgimento di

numerosi studi e ciò farebbe ritenere che non siano dei patogeni primari ma solo degli opportunisti,

cioè che causino patologia solo se vi sono le condizioni favorevoli per farlo [2, 7, 8, 14, 17, 23, 25,

26, 27].

I batteri da noi isolati sono stati: Bacillus spp.; Enterococcus faecalis; Streptococcus spp. e S.

faecalis; Pantoea spp.; E. coli; Pseudomonas aeruginosa, P. stutzeri e P. picketii; Klebsiella spp. e

K. pneumoniae; Proteus mirabilis; Salmonella spp. e S. arizonae; Acinetobacter spp., A. lwoffii e A.

baumanni; Serratia liquefaciens; Pasteurella pneumoniae; Chryseomonas indologenes.

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Alcuni di questi, come per esempio Pantoea spp. e Streptococcus spp., sono stati isolati solo nelle

stagioni in cui il metabolismo delle Testudo è ridotto (autunno, inverno e primavera) senza essere

presenti nei mesi estivi. Altri invece, come per esempio Acinetobacter spp., sono stati isolati solo

nei mesi in cui il metabolismo è più attivo. Bacillus spp. è stato isolato in tutti i soggetti in ogni

prelievo, per cui è possibile affermare che tale microorganismo è normalmente presente nella cloaca

di tartarughe sane, indipendentemente dal momento dell’anno, dal tipo di gestione e dal tipo di

prelievo.

Per quanto riguarda la concentrazione di batteri riscontrata nei rispettivi mesi, è stato osservato un

netto aumento della popolazione batterica nei periodi di maggiore attività con concentrazione pari a

1010UFC/campione; nelle stagioni pre- e post-letargiche, invece, la concentrazione è calata in

maniera più o meno significativa in tutti i soggetti, fino a concentrazioni pari a 104 batteri per

campione.

Il numero di batteri presenti in cloaca sembrerebbe, quindi, direttamente collegato all’attività

metabolica del soggetto.

Per quanto riguarda il secondo obiettivo di questo studio, ovvero il confronto tra l’utilizzo del

tampone o del lavaggio per effettuare il prelievo, i risultati ottenuti con entrambi i metodi sono stati

sovrapponibili; solo in tre prelievi è stata riscontrata una differenza tra tampone e lavaggio

dimostrando così che l’utilizzo di uno o dell’altro metodo non incide significativamente sul

risultato. Per esperienza personale ritengo che il lavaggio sia il metodo migliore in quanto è meno

traumatico per l’animale ed è in grado di fornire informazioni quali-quantitative più accurate.

Infine abbiamo valutato i batteri isolati da Testudo hermanni colpite da cloacite.

E’ stato dimostrato come nei rettili Pseudomonas aeruginosa possa dare patologie di varia natura

come stomatiti, gengiviti, parodontiti, dermatiti, polmoniti, setticemie, distocie e, inoltre, possa

essere agente zoonosico; non agisce come patogeno in condizioni normali ma solo se vi sono fattori

predisponenti che ne facilitano la replicazione [4, 10, 15, 18, 19, 23].

Nel nostro studio i tre soggetti affetti da cloacite hanno mostrato tutti la presenza di Pseudomonas

aeruginosa a livello cloacale. Nei primi due casi l’esame batteriologico ha mostrato una netta

prevalenza di Pseudomonas su tutti gli altri batteri e, quindi, può essere considerata la causa del

processo infiammatorio in atto; nel terzo caso la presenza di Pseudomonas non era nettamente

superiore ad altri batteri, in particolare a Proteus mirabilis,

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Pseudomonas spp. è comunemente isolata da prelievi del cavo orale e del tratto intestinale di

numerosi rettili sani; è stata, infatti, trovata nella cloaca di Gopherus agassizii, Testudo graeca,

Testudo horsfieldii, Malaclemys terrapin centrata, Trachemys scripta elegans, Heloderma

horridum, Lepidochelys olivacea, Gallotia intermedia e Gallotia braovana [2, 8, 9, 16, 20, 21, 22,

24, 28, 29, 30].

Nei rettili, una gestione scadente, come la temperatura troppo bassa e la malnutrizione, può

predisporre all’infezione da Pseudomonas; infatti, tale batterio è spesso associato a lesioni

ulcerative del cavo orale, patologie polmonari, dermatiti ed è stato isolato anche in corso di

setticemia.

Anche nell’uomo e in altri animali esso agisce spesso come patogeno opportunista ed è stato

dimostrato possa causare congiuntiviti, sinusiti, osteomieliti, fibrosi cistica, endocarditi, ascessi

intracranici, cheratiti, polmoniti, otiti [3, 8, 9, 12, 21, 22, 23, 25].

Per differenziare uno stato patologico da uno fisiologico nei cheloni, l’esame colturale deve

evidenziare una elevata concentrazione di Pseudomonas; l’isolamento a livello polmonare, invece, è

sempre da considerare patologico [23, 25].

Proteus spp. coprende batteri Gram-negativi spesso presenti nell’ambiente e nell’intestino

dell’uomo e degli animali. La letteratura riporta l’isolamento nella cloaca dei cheloni di Proteus

mirabilis, Proteus morganii, Proteus rettgeri [3, 25].

Proteus mirabilis, come altri microrganismi precedentemente discussi, è un batterio considerato

patogeno opportunista nei rettili, capace di causare patologie di varia natura, per lo più respiratorie

[21, 23, 25, 30].

Proteus mirabilis nei rettili è stato trovato nella cloaca di Gopherus agassizii (in uno di questi studi

la prevalenza era di tre soggetti su centocinque), nella cloaca di Trachemys scripta elegans, di

Lepidochelys olivacea (con la prevalenza del 2,2%, in cavità orale, invece, del 6,6%) e di

Heloderma horridum (in due soggetti su sedici mentre nella stessa specie Proteus penneri è stato

isolato in quattro animali su sedici) [8, 9, 11, 25, 28].

Proteus mirabilis, così come altre specie di Proteus, è stato isolato anche come patogeno in

patologie del tratto respiratorio di cheloni [21, 30].

Da questi risultati si può affermare che Pseudomonas aeruginosa è un patogeno opportunista che

insorge in caso di cloacite complicando le lesioni di tipo traumatico già in atto; il ruolo di Proteus

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mirabilis resta in ogni caso anch’esso dubbio, ma potrebbe trattarsi di un complicante secondario,

così come si osserva in altre specie animali per altre patologie.

Questa conclusione confermerebbe altri studi che sostengono come Pseudomonas spp. e Proteus

spp. siano potenziali patogeni opportunisti in Testudo spp..

Inoltre, considerata l’anamnesi raccolta sui nostri campioni, è possibile confermare ciò che è già

stato riportato in letteratura sull’eziologia polifattoriale di questa patologia, causata soprattutto

dall’eccessiva veemenza dei maschi nell’accoppiarsi. Inoltre, anche nei nostri casi patologici

abbiamo osservato la concomitante deposizione di larve di dittero che viene riportata in letteratura

come un evento complicante [1, 5].

I risultati degli antibiogrammi da noi effettuati dimostrano invece come vi sia una notevole

resistenza agli antibiotici testati. I batteri isolati risultano infatti sensibili alla Marbofloxacina nel

66% dei casi e a Enrofloxacina, Cefovecina, Ticercillina, Doxiciclina, Kanamicina, Amikacina nel

33% dei casi, resistenti ad altri antibiotici.

Da ciò si evince che il miglior antibiotico sarebbe la Marbofloxacina, contrastando i dati

precedentemente riportati in letteratura; d’altro canto i risultati sono stati ottenuti su troppi pochi

campioni affinché questi siano davvero significativi.

In conclusione si può affermare che la cloacite in Testudo hermanni è una patologia multifattoriale

che si manifesta per lo più nella femmina, legata all’atteggiamento veemente del maschio durante la

riproduzione, che prevale maggiormente in soggetti gestiti in maniera non idonea e che è correlata

probabilmente alla notevole replicazione di Pseudomonas aeruginosa sul tessuto alterato.

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Aggiornamenti sulle disendocrinie del furetto

Dr. Nicola Di Girolamo

L’obiettivo della presentazione è di illustrare le recenti acquisizioni dal punto di vista diagnostico e

terapeutico relative a patologie endocrine frequenti come la malattia surrenalica e gli insulinomi

pancreatici. Inoltre saranno discusse alcune patologie endocrine meno frequenti, ma di rilevanza

clinica, come l’ipercortisolismo, l’iperaldosteronismo, e l’ipotiroidismo. Sarà valutata

l’applicazione clinica, la fattibilità e la tecnica procedurale dei test di stimolazione tiroidea,

recentemente validati (Mayer et al 2013).

Malattiasurrenalica: iperestrogenismo, iperaldosteronismo e ipercortisolismo

La malattia surrenalica è un problema comune in furetti gonadectomizzati. È stato dimostrato che la

gonadectomia è associata all’insorgenza della malattia surrenalica. Infatti in uno studio condotto da

Shoemaker e colleghi (2000), era presente una correlazione lineare significativa tra l’età della

sterilizzazione chirurgica e l’età in cui veniva diagnosticata la malattia surrenalica. Il tempo

mediano tra sterilizzazione e diagnosi di malattia surrenalica era di 3.5 anni. Shoemaker e colleghi

suggeriscono che nei furetti dopo la sterilizzazione chirurgica le corticali del surrene siano

persistentemente stimolate da LH e FSH come risultato della perdita del feedback negativo sul

GnRH ipotalamico, e come questo risulti in iperplasia surrenalica e/o alterazioni neoplastiche

(Shoemaker et al 2000). Difatti i furetti sono tra le poche specie caratterizzate da dei recettori per

l’LH nella corticale del surrene (Schoemaker et al 2002).

In questa presentazione tratteremo patologie meno frequenti dei furetti a carico della corticale delle

surrenali tra cui l’iperaldosteronismo e l’ipercortisolismo. Inoltre valuteremo l’evidenza che

supporta l’utilizzo di un nuovo vaccino prodotto per prevenire la malattia surrenalica in furetti

sterilizzati, il GonaCon, ed i farmaci GnRH agonisti, in particolare la Deslorelina acetato.

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Letteratura consigliata:

Miller LA, Fagerstone KA, Wagner RA, Finkler M. Use of a GnRH vaccine, GonaCon, for

prevention and treatment of adrenocorticaldisease (ACD) in domesticferrets. Vaccine. 2013 Sep

23;31(41):4619-23.

Shoemaker NJ, Schuurmans M, Moorman H, Lumeij JT. Correlationbetweenageatneutering and

ageatonset of hyperadrenocorticism in ferrets. J AmVetMedAssoc. 2000 Jan 15;216(2):195-7.

Schoemaker NJ, Teerdsb KJ, Mol JA, Lumeij JT, Thijssen JHH, Rijnberk A. The role of luteinizing

hormone in the pathogenesis of hyperadrenocorticism in neutered ferrets. Molecular and Cellular

Endocrinology 2002;197: 117–25.

Mayer J, Wagner R, Mitchell MA, Fecteau K. Use of recombinant human thyroid-stimulating

hormone for thyrotropin stimulation testing in euthyroid ferrets.J Am Vet Med Assoc. 2013 Nov

15;243(10):1432-5.

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VISITA OFTALMOLOGICA NEL CONIGLIO: APPROCCIO CLINICO, DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO

Dr. Simonini Chiara

L’ESAME OFTALMOLOGICO

In tutti i pazienti che presentano un problema oculare dovrebbe essere eseguito un esame oftalmologico completo. Per essere eseguito correttamente è necessario avere un approccio standardizzato con tutti i soggetti, insieme a materiale e strumenti adeguati.

Le componenti basilari dell’esame oftalmologico sono:

- raccolta dell’anamnesi - esame neurologico - esame oftalmoscopico

Ulteriori esami comprendono:

- coloranti oftalmici - esame dell’apparato naso-lacrimale - tonometria - esami di laboratorio

L’anamnesi comprende una serie di domande che dobbiamo porre al proprietario per approfondire:

- se il problema oculare ha un’insorgenza improvvisa o graduale; - se il problema oculare è monolaterale o bilaterale; - se l’animale ha dolore oculare; - se sono presenti altri segni di malattia, come malattie sistemiche; - se l’animale è stato sottoposto a terapie locali o sistemiche, con quali farmaci e per quanto

tempo.

Mentre si raccoglie l’anamnesi bisognerebbe osservare il paziente e l’aspetto macroscopico degli occhi e del muso. E’ importante valutare la simmetria degli occhi, la presenza di strabismo, nistagmo, ammiccamento, gonfiore periorbitale, cambiamento di colore a carico di terza palpebra, congiuntiva ed episclera, cornea, camera anteriore. Eventuali eso- od enoftalmi non apprezzabili osservando il soggetto di fronte, possono essere visibili guardando la testa del soggetto posteriormente dall’alto.

Il dolore è un sintomo che gli animali manifestano con blefarospasmo, sollevamento della terza palpebra, lacrimazione, fotofobia.

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Un particolare aspetto da considerare è la presenza di scolo oculare, la sua natura, se è unilaterale o bilaterale e la sua quantità. A questo punto può essere necessario prelevare dei campioni per le analisi di laboratorio.

TEST NEUROLOGICI

La visita prosegue con la valutazione dell’integrità delle vie ottiche mediante la stimolazione di alcuni riflessi.

1.Riflesso palpebrale. Il canto mediale o laterale va gentilmente toccato evocando così l’ammiccamento. Se il nervo trigemino o il facciale non funzionano in maniera adeguata le palpebre non riescono a chiudersi e l’animale se stimolato non ammiccherà affatto o in parte.

2. Riflesso pupillare. Con una penna a luminosità intensa si indirizza la luce su un occhio e la risposta normale si osserva nel momento in cui la pupilla si contrae rapidamente. Questo rappresenta il riflesso diretto. Si esamina l’occhio controlaterale (con la luce che illumina ancora il primo occhio) e si osserva se si è verificata la costrizione della sua pupilla – questo rappresenta il riflesso consensuale o indiretto. La luce viene indirizzata nel secondo occhio, che viene esaminato nello stesso modo. Il nervo afferente coinvolto è il nervo ottico, mentre la costrizione pupillare è mediata dalle fibre parasimpatiche che decorrono nel nervo oculomotore.

3. Swingingflashing test. Con la fonte luminosa evochiamo il riflesso pupillare in entrambi gli occhi mantenendola su ciascuno per qualche secondo prima di stimolare l’occhio controlaterale. Questa procedura va ripetuta più volte per essere sicuri che entrambe le pupille costringano direttamente e indirettamente. Durante l’esecuzione se la pupilla stimolata si dilata invece di restringersi allora il test è definito positivo per l’occhio stimolato. Uno SFLT positivo è patognomonico di lesione prechiasmatica monolaterale a carico del nervo ottico e della retina.

4. Riflesso all’abbagliamento. Per eseguire questo test è necessaria una fonte luminosa intensa diretta alternativamente verso ciascun occhio. Si tratta di un riflesso subcorticale che si esprime attraverso una chiusura parziale bilaterale delle palpebre in risposta ad una luce di adeguata intensità. La via afferente è rappresentata dal nervo ottico mentre la via efferente è costituita dal nervo facciale. Un riflesso positivo suggerisce che la retina e il nervo ottico funzionano.

5. Riflesso corneale. Il riflesso corneale è subcorticale e si manifesta con chiusura delle palpebre in risposta ad uno stimolo tattile doloroso su una cornea non anestetizzata. La via afferente è mediata dal ramo oftalmico del trigemino mentre la via efferente è costituita dal nervo facciale. Un nervo facciale intatto (confermato da un riflesso all’abbagliamento normale) suggerisce un deficit sensitivo se il riflesso corneale è scarso o inesistente.

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OFTALMOSCOPIA

Una volta accertata la funzionalità visiva ed eseguiti i test neurologici segue l’esame sistematico di tutte le strutture oculari. Gli specialisti utilizzano la lampada a fessura che offre ingrandimento e un’ottima illuminazione ma a causa dei costi non è sempre disponibile in tutte le strutture. Un buon compromesso può essere l’utilizzo di occhiali a ingrandimento con illuminazione o oftalmoscopio diretto.

Per esaminare il fondo si sceglie il potere diottrico +0 D. per dilatare la pupilla e accedere visivamente all’esame dei segmenti posteriori si applicano alcune gocce di midriatico (Tropicamide 0,5%).

Nei conigli non si usa l’atropina poiché il 40% dei conigli possiedeatropinesterasi in grado di inattivare il farmaco.

Il fondo oculare del coniglio presenta una vascolarizzazione merangiotica della retina, in quanto solamente una porzione limitata della retina è direttamente vascolarizzata grazie ai vasi retinici superficiali disposti a formare una banda orizzontale ai lati del disco ottico ed accompagnati nel loro percorso da fibre nervose mielinizzate. Il disco ottico posto superiormente e medialmente alla linea mediana orizzontale presenta un infossamento centrale particolarmente pronunciato (da considerare in corso di diagnosi di glaucoma). (FOTO)

Mediante lente d’ingrandimento da +8 a +12 diottrie siamo in grado di esaminare uvea, iride, cristallino e umore acqueo.

La problematica più frequente che possiamo riscontrare dall’esame di questi distretti è l’uveite facoclastica associata a cataratta in corso d’infezione da parte di Encephalitozooncuniculi.

Oltre alle lesioni più comuni quali encefaliti granulomatose, nefriti, epatiti, miocarditi ed enteriti, questo parassita è in grado di provocare patologie oculari in genere monolaterali.

Il parassita penetra nella lente durante il suo sviluppo in utero, quando la capsula è molto sottile o assente, portando successivamente a nascita avvenuta ad una sua rottura spontanea nel punto più sottile. L’uveite si manifesta solo dopo che in seguito alle alterazioni della lente avviene la rottura della capsula anteriore conseguente ad esposizione degli antigeni lenticolari.

Altre cause di uveite sono:

- uveite batterica da Pastorella multiocida, Staphilococcusaureusdi solito associate ad infezione iridea con formazione di un ascesso. Queste infezioni oculari sono solitamente secondarie a batteriemia e setticemia;

- uveite da traumi/corpi estranei;

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- uveite linfomatosa, colpisce generalmente soggetti giovani, con estensione bilaterale.

La cataratta può essere anche congenita, ereditaria, post-traumatica o senile.

Procedendo con l’esame del globo oculare passiamo alla cornea, valutabile ad ingrandimento di +20 D. La cornea è tendenzialmente ovale, con il diametro orizzontale maggiore rispetto a quello verticale. Essa è normalmente avascolare, non pigmentata, non cheratinizzata e trasparente. La presenza di vasi, pigmento ed altre opacizzazioni è quindi sinonimo di patologia.

Nella valutazione dell’integrità della cornea possiamo ricorrere all’utilizzo di un colorante oftalmico, la fluoresceina (utile anche nella valutazione di difetti congiuntivali, deficit del film lacrimale e anche per evidenziare la pervietà dei dotti naso-lacrimali).

Si tratta di una sostanza idrosolubile e lipofobica che converte il 100 per cento della luce assorbita emettendo fluorescenza verde.

La striscia va bagnata con una goccia di soluzione fisiologica sterile e con essa si tocca la congiuntiva bulbare dorsale. Si permette quindi all’animale di ammiccare, facilitando così la distribuzione del colorante nel film lacrimale. Si effettua quindi un lavaggio del globo con soluzione fisiologica sterile per rimuovere il colorante in eccesso.

Poiché l’epitelio corneale integro impedisce l’accesso della fluoresceina allo stroma, in assenza di lesioni corneali il test risulta negativo. In caso di difetti epiteliali corneali il colorante diffonde rapidamente nello stroma ed il test risulta positivo manifestandosi con una colorazione verde in corrispondenza della lesione.

Per la valutazione delle palpebre e della congiuntiva si ricorre inizialmente all’ispezione ad occhio nudo e poi tramite uno strumento ad ingrandimento per evidenziare eventuali lesioni, ferite, pomfi, iperemie e congestioni.

Una patologia tipica solo del coniglio è il cosiddetto pseudopterigio, un’anomalia del tessuto congiuntivale che si sviluppa dal limbo e si estende in maniera circonferenziale sopra la cornea, senza però aderire ad essa coprendola, talvolta anche completamente. (FOTO)

TEST DI SCHIRMER

Un test molto utilizzato in oftalmologia è il Test di Schirmer.

Il film lacrimale è costituito da tre strati con funzione di protezione e nutrimento della cornea. La componente acquosa è prodotta dalle ghiandole lacrimali, la componente più interna, la mucosa, è

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prodotta da cellule caliciformi congiuntivali, infine quella esterna è prodotta dalle ghiandole di meibomio.

Il test di Schirmer ci permette di identificare alterazioni a carico della componente acquosa del film lacrimale: in particolare è una valutazione della produzione acquosa basale, residua e riflessa legata all’irritazione della congiuntiva e della cornea. La quantità di lacrime prodotte dipende dall’integrità del riflesso che coinvolge le terminazioni sensitive del trigemino e dal potenziale secretorio delle ghiandole. L’esecuzione del test consiste nell’impiego di strisce di carta bibula millimetrata, inserite tra il terzo medio e terzo laterale del fornice congiuntivale inferiore dove vengono mantenute per un minuto.

Il valore medio di produzione lacrimale nel coniglio riportato in bibliografia è 5,30 ±2,96mm/min con un range da 0 a 11,22 mm/min. A causa di questa elevata variabilità, si raccomanda quindi, quando è possibile, di comparare sempre la produzione lacrimale dell’occhio malato con quello apparentemente normale.

VIDEO : le strisce sono conservate in confezioni sterili di plastica e dovrebbero essere piegate a livello dell’incisura presente su di esse quando ancora contenute nella confezione di plastica (per evitare che il sudore o l’untuosità sulle mani interferiscano con la lettura). Si apre il pacchetto e si prende la striscia per l’estremità distale. L’estremità più corta viene inserita nel sacco congiuntivale ventrale da metà a due terzi di distanza dal canto mediale. Per evitare che la striscia venga rimossa anticipatamente è opportuno tenere l’occhio del paziente chiuso. Non si devono utilizzare anestetici locali prima della misurazione.

Il film lacrimale nel coniglio è prodotto da 4 ghiandole orbitali:

- ghiandola lacrimale propriamente detta (posta dorso-lateralmente);

- ghiandola lacrimale accessoria, formata da un lobo orbitale, uno retrorbitaleed uno infraorbitale (posto in prossimità degli alveoli dentali contenenti le radici dei denti molari superiori);

- la ghiandola nittitante, sulla terza palpebra (superficiale);

- ghiandola di Harder, sulla terza palpebra (profonda).

Un altro test descritto come accurato per la misurazione della produzione lacrimale in soggetti anche molto piccoli è il test del filo impregnato al rosso fenolo.

Consiste nell’impiego di un filo di 75 mm di lunghezza impregnato di colorante e con un’identazione all’estremità di 3 mm. Questa ripiegata viene posta nel fornice congiuntivale inferiore per 15 secondi. Il rosso fenolo è un indicatore di pH sensibile per cui quando le lacrime alcaline scorrono lungo il filo, il colore cambia da un giallo pallido ad arancio. Non sono stati

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prodotti studi sufficienti per definire una lunghezza media di assorbimento nel coniglio, ma in animali con problemi monolaterali il confronto con l’occhio sano ci permette di interpretare al meglio questo test.

ESAME DELL’APPARATO NASO-LACRIMALE

Nel coniglio è di fondamentale importanza l’esame dell’apparato naso-lacrimale.

Il coniglio ha un solo punto nasolacrimale, situato ventro-medialmente e il dotto nasolacrimale compie un percorso convoluto attraverso le ossa lacrimale e mascellare. Oltre all’andamento tortuoso, il dotto cambia improvvisamente di diametro varie volte e può ostruirsi facilmente lungo i tratti in cui la sezione si restringe. Il dotto passa vicino alle radici di molariformi e incisivi e viene coinvolto di conseguenza nei processi patologici che riguardano le radici dentali.

Per il lavaggio del dotto naso-lacrimale, nella maggior parte dei conigli non è necessaria la sedazione. S’inserisce una cannula nel punto inferiore e si lava delicatamente con una soluzione salina sterile. E’ probabile che inizialmente s’incontri una notevole resistenza se il dotto è ostruito ma dopo alcuni tentativi si osserverà il liquido fuoriuscire dal punto nasale ipsilaterale.

Per valutare un eventuale fenomeno ostruttivo si può eseguire una radiografia con mezzo di contrasto.

TONOMETRIA

La tonometria consiste nella misurazione della pressione intraoculare (IOP). La pressione intraoculare normale nel coniglio è 17,5 ± 3,5 mmHg con una variazione durante il giorno che può portare a valori di 20,6 ± 1,8 mmHg alla sera. Risulta importante misurare la pressione intraoculare sempre con lo stesso strumento e sempre allo stesso orario per evitare variazioni naturali di pressione.

Esistono diversi tipi di tonometri, ma i più utilizzati sono sicuramente il TonoPen (tonometria per applanazione) e il TonoVet (tonometria a rimbalzo magnetico).

ESAMI DI LABORATORIO

I campioni che si possono prelevare a livello cutaneo sono tamponi, raschiati e raccolte di scolo oculare per l’esame citologico, aghi aspirati e campioni bioptici per l’esame istologico. Essi sono utili per la diagnosi di sospette malattie infettive, così come per l’individuazione di processi immunomediati e neoplastici.

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Gestione igienico-sanitaria di un allevamento di uccelli da richiamo

(dr. Diego Cattarossi DVM, PhD; dr. Manuel Maschio DVM)

L’allevamento degli uccelli da richiamo storia e scopi:

Da molti secoli è diffusa in parte d’Europa la pratica della caccia agli uccelli migratori attraverso

l’utilizzo di richiami vivi. Questa pratica è passata dal ruolo di attività di sussistenza che rivestiva

fino a circa cinquant’anni fa al ruolo di pratica hobbystica dei giorni nostri. Negli anni l’utilizzo dei

richiami vivi ha subito numerose modifiche dettate dalle integrazioni legislative che si sono

succedute. Si è passati dall’utilizzo di animali esclusivamente di cattura appartenenti alle più

svariate specie (dai piccoli insettivori come i Silvidi e i Motacillidi ai Turdidi fino agli Strigidi) che

si è protratto fino agli anni settanta, ai giorni d’oggi in cui la legge prevede l’utilizzo di poche

specie di Turdidi, Alaudidi, Anatidi, Caradriformi e Columbiformi quasi esclusivamente provenienti

da allevamenti autorizzati.

Con queste evoluzioni legislative, il mondo degli uccelli da richiamo è profondamente cambiato e la

figura del “cacciatore-catturatore” è stata negli anni sostituita da quella del “cacciatore-allevatore”.

Allo stato attuale sono state introdotte delle novità normative che rendono molto complessa la

cattura di uccelli ai fini di richiamo favorendo indirettamente l’allevamento in cattività. Negli

allevamenti sono però ancora presenti molti animali di cattura, di provenienza legale e non, e questo

va sempre tenuto presente in termini igienico sanitari perché rappresentano un veicolo importante di

patologie provenenti dall’ambiente silvestre di natura infettiva e parassitaria.

L’utilizzo degli uccelli da richiamo non è riconducibile solo al mondo venatorio. Infatti una nutrita

schiera di appassionati detiene tali animali al fine di gareggiare nelle competizioni canore, dove

vengono giudicate le performance di canto dei soggetti esposti. Sia che siano allevati a scopo

venatorio, per il canto o per il semplice piacere di sperimentarne la riproduzione queste specie di

uccelli sono diffuse in numerosi aviari d’Italia e d’Europa e pertanto meritano attenzione veterinaria

da parte nostra come esperti del settore e unici detentori della facoltà di diagnosticare, curare e

intervenire su qualsiasi animale. Molta parte della cura e prevenzione delle malattie degli uccelli da

gabbia è indebitamente occupata da figure non veterinarie, ditte mangimistiche ed ornitologi. Non

demandiamo a nessuno questa facoltà che è nostra e tale dovrà rimanere!

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Specie allevate e gestione degli allevamenti:

Le specie allevate a scopo di richiamo sono numerose, le famiglie di uccelli più rappresentante sono

sicuramente:

- Turdidi: Merlo (Turdus merula), Tordo bottaccio (Turdus philomelos), Tordo sassello

(Turdus iliacus) e Cesena (Turdus pilaris),

- Anatidi: Germano reale (Anas platyrhyncos), Alzavola (Anas crecca), Marzaiola (Anas

querquedula), Codone (Anas acuta), Fischione (Anas penelope), Mestolone (Anas clypeata)

e Canapiglia (Anas strepera),

- Columbiformi: Colombo (Columba livia) e Colombaccio (Columba palumbus)

- Alaudidi: Allodola (Alauda arvensis),

- Caradriformi: Pavoncella (Vanellus vanellus).

In questa trattazione ci soffermeremo principalmente sui Turdidi e sugli Alaudidi, rimandando ad

altre occasioni la trattazione delle altre famiglie.

I Turdidi e gli Alaudidi possono essere allevati in una notevole varietà di condizioni artificiali.

Distingueremo principalmente due tipi di allevamento: quello finalizzato alla riproduzione e quello

finalizzato al solo canto ed esposizione.

Gli allevamenti da riproduzione richiedono una notevole quantità di spazio e spesso l’intero

allevamento si sviluppa in ambiente esterno con grandi voliere alberate scoperte per molta parte

della loro porzione superiore. Per ottenere la riproduzione dei Turdidi e degli Alaudidi sono

necessarie voliere di almeno 2 x 2 x 1 metri con fondo naturale e possibilmente con delle piante

vive all’interno. Il fondo è spesso di terra ricoperto di fogliame per permettere lo sviluppo di

lombrichi ed altri anellidi ed artropodi (pasto per gli uccelli). In questi contesti l’allevatore non

riesce ad avere un controllo individuale preciso dei suoi animali. Questi vengono manipolati solo

due volte all’anno per spostarli da una voliera all’altra. Questo tipo di gestione non prevede alcun

tipo di controllo su temperatura, umidità e altri fattori ambientali che corrispondono a quelli

stagionali della zona zona geografica nella quale è stato ubicato l’allevamento. Negli ultimi anni si

prevede in alcune realtà un controllo sull’illuminazione ambientale allo scopo di adeguare il

fotoperiodo alle esigenze delle varie specie. Il controllo ambientale sulle temperature invece non è

percepito come problematica maggiore dagli allevatori, dato che questi uccelli non hanno particolari

difficoltà con le temperature troppo rigide (ad eccezione dell’Allodola) e che la maggior parte degli

allevamenti è situata in regioni collinari o montuose dove difficilmente si riscontrano temperature

troppo elevate in estate. L’alimentazione viene fornita agli animali in mangiatoie sparse nelle

voliere sia al suolo sia in aree coperte dalle intemperie. L’alimentazione è composta principalmente

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da mangimi pellettati e pastoni per insettivori, da frutta e da prede vive (es: tarme della farina,

camole del miele e i vermi di terra).

Negli ultimi anni alcuni allevatori si stanno abituando ad allevare in spazi chiusi dove ci può essere

un controllo completo dei fattori ambientali ed una gestione più razionale di tutta la routine di

allevamento.

Gli allevamenti nei quali questi animali vengono tenuti solo per il canto possono essere suddivisi in

due tipologie tra loro molto differenti. Possiamo dire che in questo settore è in atto una lotta tra

“scuola tradizionale-rurale” e “nuova scuola” sia per la riproduzione che per il canto. La vecchia

scuola prevede di ricorrere alla chiusa, un sistema tradizionale per la modifica del fotoperiodo che

prevede di tenere gli animali in una stanza dove non possa entrare la luce per almeno 3 mesi

all’anno. In questo modo si fa sperimentare agli uccelli una sorta di inverno fuori stagione con

conseguente primavera al momento in cui si ricomincia a fornire loro la luce. In questa maniera si

può ottenere il canto fuori stagione a fini venatori (canto da ottobre a dicembre) o a fini canori (da

giugno a settembre). In questo vecchio sistema gli uccelli vengono tenuti nelle gabbie da richiamo

(piccole gabbiette in plastica con un solo posatoio) per tutto l’anno (per legge la misura delle gabbie

dovrebbe essere tale a consentire l’apertura delle ali agli animali). Gli animali vengono ospitati di

solito in delle piccole cantine che risultano essere sufficientemente buie, fresche e prive di insetti

ematofagi (che trasmettono pericolosi emoparassiti). La chiusa viene infatti anche chiamata

cantinaggio. L’alimentazione durante la chiusa è molto spartana e l’acqua viene fornita attraverso

degli abbeveratoi cilindrici inseriti nella gabbia, che oltre a ridurre lo spazio a disposizione

dell’animale, sono molto difficili da pulire.

In questo contesto gli animali vengono manipolati in occasione della pulizia delle gabbie, il taglio

delle unghie e per la pratica dell’induzione alla muta. Quest’ultima pratica si ottiene attraverso la

rimozione di alcune remiganti e timoniere. Questa prassi è utilizzata per indurre la muta nel periodo

buoi e stimolare ulteriormente il canto alla fine della stessa (durante la muta gli uccelli non cantano

e appena finice la muta hanno un forte stimolo al canto). Questi animali subiscono due mute (una

totale ed una solitamente parziale) e successivo estro amoroso nell’arco dell’anno con notevole

sforzo metabolico. Fortunatamente la vecchia scuola sta lasciando il passo alla nuova, sicuramente

più etica ed anche più efficace dal punto di vista dei risultati canori. La nuova scuola prevede

l’utilizzo scientifico del controllo del fotoperiodo. Con questa nuova tecnica la chiusa non viene più

utilizzata ed il canto fuori stagione si ottiene modificando il fotoperiodo di tutto l’anno con dei

programmatori luce alba-tramonto, che sfasano semplicemente le stagioni non lasciando mai gli

animali al buio totale. Delle lampade solitamente a led vengono spente ed accese gestite da un

computer programmabile con l’ora di accensione (alba) e di spegnimento (tramonto). Il programma

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può essere impostato per aumentare ad esempio il tempo di illuminazione di cinque minuti al giorno

fino al numero di ore di luce desiderato.

La tecnica del controllo del fotoperiodo consente di tenere gli animali in voliera durante tutto il

periodo di muta e riposo, riducendo l’uso delle gabbiette al solo periodo dell’estro durante il quale i

richiami vengono impiegati per l’attività venatoria o per le manifestazioni canore. Il confinamento

in gabbietta dei richiami durante l’estro ha anche lo scopo di prevenire pericolose liti che

insorgerebbero tra i soggetti maschi in amore. In questo modello di allevamento, per la parte

dell’anno in cui stanno in voliera i soggetti vengono gestiti al pari dei riproduttori. Quando passano

in gabbietta vengono gestiti più o meno come i soggetti chiusati. Un altro aspetto positivo di questa

tecnica è che essendoci una modifica del fotoperiodo graduale e coerente con quello che sarebbe il

fotoperiodo naturale non esistono il problema del doppio estro e della doppia muta eliminando

anche il problema dello strappo delle penne. Semplicemente si sfasano le stagioni invertendo

l’inverno con l’estate e facendo coincidere il momento di maggior fotoperiodo con la caccia o con

le esibizioni canore.

Negli allevamento da canto in genere sono presenti soprattutto soggetti di cattura, i migliori per

sviluppare un canto attraente verso i consimili. Negli allevamenti da riproduzione si tengono i

maschi di cattura mentre per le femmine viene privilegiata la docilità del soggetto nato in cattività.

Fasi dell’allevamento:

Capiamo come si svolge la routine gestionale che caratterizza i tre tipi di allevamento già descritti,

routine molto diversa a seconda dello scopo dell’allevamento.

Routine gestionale nell’allevamento da riproduzione:

Nel periodo tardo estivo-autunnale l’allevamento di Turdidi con fotoperiodo “classico” (che

necessitano cioè di 13-14 ore luce per entrare in estro) come il Tordo bottaccio e il Merlo vive il

periodo di riposo, in cui gli animali ormai a muta ultimata sono stabulati in grandi voliere,

alimentati con frutta e verdura in aggiunta a pellettati e pastoni ed in alcuni casi con bacche raccolte

direttamente in natura. In questo periodo gli allevatori sono soliti procedere alla pulizia delle

voliere, che consiste in una vera disinfezione nel caso di voliere interne, ed in una mera potatura e

movimentazione della terra nelle voliere esterne. Questo è il periodo opportuno per intervenire con

disinfestazioni ed eventuali trattamenti terapeutici. In questa fase dell’allevamento si assiste

all’ingresso dei nuovi acquisti che sono costituiti da soggetti nati in cattività e da esemplari catturati

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durante il passo autunnale, questi animali vengono portati in allevamento quando hanno già subito il

sessaggio-“taglio” e qui sono soggetti all’appastellamento.

La pratica del “taglio” praticata appunto dai “tagliatori” è una tecnica tradizionale di sessaggio

eseguita su animale vivo e cosciente, al quale viene praticato un piccolo taglio nella stesso zona

usata per il sessaggio dal quale tramite divaricazione dei margini il “supposto esperto” può

visualizzare le gonadi e stabilire se si tratta di maschio o femmina. Naturalmente è una pratica

illegale, un esercizio abusivo della professione medica e maltrattamento animale con la messa in

atto dei reati relativi. È ancora pratica diffusa anche se negli ultimi anni perseguita dalla legge con

sentenze esemplari. Il sessaggio endoscopico in anestesia dovrà nei prossimi anni diventare nostra

esclusiva competenza medico veterinaria.

L’appastellamento è la pratica di far conoscere ad un soggetto di cattura l’alimento che gli verrà

fornito in cattività. Mentre nei granivori quest’operazione risulta molto semplice (praticamente tutti

i granivori trovano in natura anche semi secchi identici a quelli che si forniscono in cattività) negli

insettivori è davvero molto laboriosa, perché non è semplice abituare un animale che si nutriva di

bacche e insetti ai mangimi in pellets. Questa fase di abitazione all’alimento rappresenta la prima

causa di mortalità entro la prima settimana dalla cattura. Gli allevatori sono soliti mescolare al

pellettato della frutta grattugiata (soprattutto mela) delle bacche di sorbo degli uccellatori o di

fitolacca americana (attenzione che se usata in quantità eccessiva è un potente lassativo) e degli

insetti sminuzzati, tali da far abituare gradualmente il volatile alla nuova alimentazione (processo

che di solito richiede 5-7 giorni).

Spesso i soggetti di recente ingresso in allevamento non subiscono la quarantena, ne alcun tipo di

trattamento volto a ridurre la carica parassitaria frequentemente riscontrata nel tratto gastro-

intestinale di tali animali.

Trascorso il periodo di riposo attorno al mese di febbraio si comincia la preparazione dei

riproduttori, volendo cimentarsi nella riproduzione dei Turdidi è necessario disporre di voliere

ampie e spaziose (minimo 2m x 2m x 1m) possibilmente con fondo naturale e vegetazione interna.

Ogni voliera ospiterà una sola coppia e le voliere adiacenti saranno schermate di modo che le

coppie in esse ospitate non possano vedersi, cosa che scatenerebbe fenomeni di aggressività vista la

territorialità di tali animali nel periodo riproduttivo.

Questi uccelli possono essere alimentati con un mangime pellettato per Turdidi come base ma è

fondamentale l’integrazione di frutta, bacche (sambuco, sorbo degli uccellatori, edera, ecc.) e di

prede vive (lombrichi, tarme della farina, camole del miele, grilli, chiocciole, ecc.). Il pellettato sarà

fornito ai Turdidi tutto l’anno mentre frutta, bacche e prede vive si avvicenderanno come accade in

natura, dove tali uccelli si alimentano prevalentemente di invertebrati durante la stagione

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riproduttiva mentre durante l’inverno (nei mesi freddi non ci sono insetti) prediligono frutta e

bacche.

Nei Turdidi le coppie di riproduttori possono essere mantenute assieme per tutto l’anno ma spesso

gli allevatori le dividono per ricostituirle al momento della riproduzione avendo la cura di introdurre

in voliera prima il maschio che delimiterà il territorio col suo canto, e poi la femmina mimando

quanto accade in natura di ritorno dalla migrazione pre-nuziale. In questa seconda ipotesi il maschio

viene inserito nelle voliere già preparate per la riproduzione. Le voliere saranno munite di almeno

2-3 nidi a coppa del diametro di 15-18 cm disposti a varie altezze ed infrascati con vegetazione

naturale o finta (vista la predilezione di alcune specie come la Cesena per i nidi spogli è opportuno

che uno dei nidi non sia infrascato).

Avvicinandosi la stagione riproduttiva sarà opportuno aumentare notevolmente la fornitura di prede

vive che risulteranno molto gradite e favoriranno l’entrata in estro di riproduttori. Alle coppie

verranno messi a disposizione, paglia, fieno, fibra di cocco come materiale da nido e, cosa

fondamentale, una vaschetta d’acqua per il bagno ed un po’ di terriccio (in voliere prive di fondo

naturale). Le femmine ispezioneranno i nidi ed una volta scelto il luogo definitivo riempiranno la

coppa con paglia, fieno e fibra di cocco per poi rifinire il nido con un rivestimento interno di argilla

che le femmine preparano bagnandosi e poi strofinandosi sul terreno per raccogliere il terriccio per

poi spalmarlo all’interno del nido come una sorta di malta.

Nel nido così ultimato la femmina deporrà in media 4/6 uova (azzurre con più o meno picchiettature

bruno rossicce a seconda della specie) che verranno covate per 13/14 giorni. Durante il periodo

della cova potrebbe rendersi necessario l’allontanamento del maschio della coppia per fenomeni di

aggressività, in tale caso è opportuno riporlo in una gabbietta del tipo “da richiamo” che verrà

appesa all’interno della voliera in modo che la femmina possa sempre essere in contatto con il suo

maschio.

Alla nascita dei piccoli è necessario aumentare la fornitura di prede vive in quanto la femmina

tenderà ad imbeccare solo con queste.

Per l’allevamento dei nidiacei vi sono due strade generalmente seguite dagli allevatori,

l’allevamento naturale (dove la madre porta i nidiacei allo svezzamento) e l’allevamento “allo

stecco” (dove attorno al settimo giorno di vita i pulcini vengono prelevati dal nido ed alimentati a

mano dall’allevatore). Per l’allevamento naturale sarà sufficiente fornire ingenti quantità di prede

vive alla coppia fino allo svezzamento dei nidiacei mentre per l’allevamento “allo stecco” sarà

l’allevatore a provvedere allo svezzamento dei nidiacei imbeccandoli con preparati commerciali o

con omogeneizzati di carne. L’allevamento allo stecco è una pratica che richiede molto tempo (i

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nidiacei di 7 giorni andrebbero imbeccati ogni 15/20 minuti) ma viene utilizzata per aumentare la

produzione di novelli e per ottenere soggetti più docili.

Quando si tolgono i piccoli la coppia si prepara subito per fare una nuova nidiata e quindi si

producono più piccoli nell’arco della stagione riproduttiva.

Dal quinto all’ottavo giorno i piccoli vengono inanellati con anello metallico inamovibile fornito

dall’associazione ornitologica o dalla provincia di residenza.

L’anello inamovibile riporta: sigla dell’associazione o provincia, anno di nascita del soggetto,

diametro dell’anello, numero progressivo annuo riferito al singolo soggetto da riportarsi sul registro

di allevamento.

In commercio esistono delle preparazioni pronte all’uso per l’imbecco dei nidiacei che al pari del

latte in polvere vanno solo ricostituite con acqua calda prima dell’utilizzo. In realtà molti allevatori

di Turdidi preferiscono utilizzare una alimentazione casalinga data da insetti morbidi con poca

chitina nel guscio (camole del miele crude, larve di mosca carnaria cotte e tarme appena mutate

ancora bianche) insieme ad un omogeneizzato di cuore di bue, ortiche ed integratori alimentari.

Una volta svezzati (30/40 giorni) i novelli possono essere alloggiati in gabbiette singole o in voliere

di gruppo (ad eccezione del Merlo le altre specie hanno abitudini gregarie al di fuori della stagione

riproduttiva) e devono essere alimentati con mangimi pellettati, prede vive e frutta e bacche

naturali.

Quanto sopra descritto vale in linea generale per le specie di Turdidi maggiormente allevate ma

nell’allevamento dei questi uccelli vanno conosciute alcune peculiarità caratteristiche delle specie.

La differenza più importante tra le specie di Turdidi allevate è legata al fotoperiodo.

Il Merlo ed il Tordo bottaccio riproducono fisiologicamente alle nostre latitudini mentre il Tordo

sassello e la Cesena riproducono in aree limitrofe al circolo polare artico in cui è presente un

fotoperiodo caratterizzato dalla presenza di un numero molto elevato di ore luce nel periodo

primaverile in cui tali specie riproducono.

Vista la distinzione sopracitata da questo momento in poi parleremo della riproduzione di questi

uccelli dividendoli in due gruppi, uno con fotoperiodo “mediterraneo” dove tratteremo la

riproduzione del Tordo bottaccio e del Merlo ed uno con fotoperiodo “nordico” dove parleremo

della riproduzione del Tordo sassello e della Cesena.

Le specie di turdidi con fotoperiodo mediterraneo entrano in estro con una media di 12/14 ore di

luce giornaliere come accade per gli altri passeriformi europei e pertanto possono essere riprodotti

con luce naturale. In questo modo entrano in estro tra marzo e maggio (il Merlo è la specie più

precoce). Spesso gli allevatori utilizzano un fotoperiodo artificiale per anticipare leggermente la

riproduzione come accade anche per i Canarini e gli altri Passeriformi allevati. Per aumentare le ore

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di luce si utilizzano dei neon lunghi messi in voliera e gestiti da un timer o da programmatori del

tipo “alba tramonto”.

Le specie di Turdidi con fotoperiodo “nordico” necessitano di almeno 18 ore di luce giornaliere per

una corretta entrata in estro e pertanto alle nostre latitudini l’allevamento di tali specie con luce

naturale è impraticabile. Gli allevatori utilizzano esclusivamente il fotoperiodo artificiale per la

riproduzione di Sasselli e Cesene ricorrendo spesso ad uno slittamento della stagione riproduttiva

dalla primavera all’inverno (vista la resistenza di questi uccelli ai climi rigidi) per un utilizzo più

razionale e conveniente delle strutture di allevamento (le stesse voliere dove riproducono Bottacci e

Merli in primavera vengono usate in inverno per Cesene e Sasselli).

Per quanto riguarda gli Alaudidi, vale più o meno quanto detto per i Turdidi a fotoperiodo

mediterraneo, ad eccezione del posizionamento dei nidi, dato che le Allodole riproducono a terra,

sarà opportuno utilizzare solo voliere in fondo naturale dove siano state seminate delle essenza

prative. L’Allodola differisce dai tordi anche perché durante il periodo autunno-invernale non si

alimenta di bacche o frutti ma soprattutto di granaglie che trova nei terreni, sostituite in allevamento

da misti per diamantini esotici con miglio panico e colza.

La maggior parte dei Turdidi non presenta dimorfismo sessuale quindi il sessaggio precoce è

possibile tramite sessaggio molecolare da penna o sangue o tramite sessaggio endoscopico.

Giunti a Giugno- Luglio si entra nel pieno del periodo della muta in cui gli animali giovani e meno

giovani vengono liberati in grandi voliere, con ampi spazi per il bagno e con una fornitura

quotidiana di insetti e frutta fresca fondamentali per sostenere gli uccelli durante la difficile fase

della muta del piumaggio.

La routine sopra descritta è uguale negli allevamenti di specie a fotoperiodo nordico, con alcune

variabili. Spesso gli allevatori di Tordi Sasselli e Cesene suddividono i riproduttori in due gruppi,

uno che riproduce da ottobre a gennaio ed uno da febbraio a maggio, al fine di raddoppiare il

numero delle coppie mantenendo stabile il numero di voliere (ogni voliera viene occupata da 2

coppie consecutivamente, risultando occupata da ottobre a marzo). Questa doppia riproduzione è

consentita dalla straordinaria resistenza della Cesena e del Tordo Sassello alle basse temperature,

che consente di allevare piccoli perfettamente sani anche nei rigidi mesi invernali semplicemente

aumentando il tenore proteico e lipidico della dieta con pastoni ed insetti a volontà.

Per il resto la routine di allevamento procede come in un allevamento a fotoperiodo mediterraneo

con due gruppi separati che si avvicendano per muta-riposo e riproduzione nelle stesse strutture.

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Routine in un allevamento da canto per caccia (richiamo) e mostre canore:

L’allevamento da canto per manifestazioni canore e per l’attività venatoria seguono

fondamentalmente la medesima routine, differendo solo nel periodo in cui gli animali vengono

portati all’esterno a cantare: periodo primaverile-estivo per le manifestazioni canore e periodo

autunno-invernale per l’attività venatoria.

Vi sono differenze marcate tra gli allevatori che usano la chiusa tradizionale e quelli che usano il

fotoperiodo.

Negli allevamenti da canto per l’attività venatoria che usano il sistema della chiusa tradizionale il

periodo autunno-invernale rappresenta il fulcro di tutta la stagione in cui i richiami vengono portati

al massimo della forma amorosa grazie ad un arricchimento della dieta (aumenta la dose giornaliera

di insetti) e all’apertura di porte e finestre dell’allevamento che comportano un repentino aumento

delle ore luce giornaliere (da 0 a circa 12 verso la fine di settembre). Questo repentino aumento

della durata del giorno fa percepire agli uccelli l’arrivo della primavera inducendo l’estro. Tale estro

artificiale è spesso poco duraturo, in quanto il naturale fotoperiodo calante dei mesi invernali induce

una rapida regressione dello stato di estro degli animali, che quindi dura al massimo 30/40 giorni,

contro un estro normale di circa 90 giorni di durata media.

Negli allevamenti che usano il sistema del fotoperiodo gli animali arrivano a settembre già in

fotoperiodo crescente e grazie ad opportuni aggiustamenti dietetici entrano in estro in modo

graduale riuscendo a mantenere il canto per oltre tre mesi. La muta post-nuziale è un argomento

interessante parlando di richiami, in quanto come già accennato questo periodo rappresenta una

grossa problematica nei soggetti chiusati con sistema tradizionale. Questa doppia muta causa un

notevole stress metabolico. Alla fine della seconda muta (indotta) ci sarà un brevissimo periodo di

riposo (circa un mese) che precederà la nuova stagione invernale e quindi l’estro forzato. Con la

tecnica del fotoperiodo la muta di gennaio rimane l’unica muta annuale che si espleta senza il

minimo intervento dell’allevatore, eliminando del tutto la muta indotta nei mesi estivi. Nel sistema

del fotoperiodo, la muta si svolge in ampie voliere dove gli uccelli possono muoversi, farsi il bagno

e soddisfare al meglio le loro necessità nutrizionali. La prima muta viene seguita da una fase di

pausa, il riposo fisiologico, dove gli animali hanno i soli fabbisogni di mantenimento e che si svolge

ancora una volta in voliera, fino alla tarda estate quando gli animali sentendo il fotoperiodo

crescente cominceranno a dare segni di nervosismo legati all’estro e dovranno essere separati in

gabbie singole.

Una problematica comune è come inserire soggetti nuovi in un gruppo già integrato in un sistema di

fotoperiodo indotto e modificato. Con la chiusa solitamente il problema non si pone dato che da

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settembre a giugno il fotoperiodo è naturale i nuovi arrivi possono essere introdotti nell’effettivo in

uno qualsiasi di questi mesi. Nel sistema del fotoperiodo modificato non esiste un momento in cui

la durata del giorno e della notte sia uguale a quella dell’ambiente esterno e quindi un minimo di

stress per i nuovi soggetti ci sarà sempre, anche se la scelta ottimale è quella di introdurre gli

animali in questo regime foto periodico da gennaio a febbraio, quando il monte ore luce decrescente

li farà permanere in una fase di riposo prolungata. In questo modo si sposterà l’estro verso

l’autunno evitando quindi inutili stress metabolici.

Unico rischio così facendo è quello di indurre una muta precoce.

Rischi sanitari:

Gli uccelli da richiamo sono soggetti alle stesse malattie di tutti gli altri uccelli, ma hanno delle

prerogative fisiologiche e gestionali che ci permettono di rilevare con maggiore frequenza la

presenza di alcune patologie rispetto al altre.

La dieta insettivora con l’utilizzo di insetti vivi porta con se dei fattori di rischio microbiologici

aggiuntivi rispetto ad una dieta esclusivamente granivora.

La tecnica “della chiusa” in ambienti poco luminosi e spesso poco ventilati predispone i soggetti ad

affezioni respiratorie e sviluppo di aspergillosi.

L’abitudine di inserire in allevamento ogni anno soggetti catturati in natura crea una via

preferenziale di ingresso di parassiti in allevamento così come di pericolosi virus.

L’allevamento di soggetti nordici che originano da climi molto diversi dai nostri impone uno stato

di stress cronico all’organismo e un contatto con malattie trasmesse da vettori non presenti

nell’areale di origine della specie (es.: emoparassiti).

Tra le malattie descritte negli uccelli da richiamo possiamo ricordare tra le più frequenti e originali

nei richiami:

- Vaiolo sostenuto da Poxvirus. L’infezione riguarda tutte le specie e con minor gravità gli

ibridi. E’ infezione specie-specifica anche se abbiamo osservato il passaggio tra uccelli delle

stesso genere o filogeneticamente affini. Maggior incidenza in fine estate-autunno, richiede

soluzioni di continuo della cute o insetti ematofagi che fungano da vettori. Si manifesta in

forma polmonare, difteroide o cutanea. Si può tentare (specie-specificità rendo dubbia la

validità) di vaccinare con vaccino per galline ovaiole e broilers non essendo presente un

vaccino studiato per nessuna delle specie allevate,

- Adenovirus gruppo 1. Particolarmente colpiti Tordo Sassello e Cesena. Diagnosticato anche

nel Tordo Bottaccio. Sintomi respiratori con dispnea grave e respirazione rumorosa. Meno

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frequentemente soggetti asintomatici con calo delle prestazioni canore o riproduttive e

spesso in animali con immunità passiva. L’Adenovirus infetta anche: pollo (malattia

respiratoria e epatite a corpi inclusi), tacchino (enterite emorragica), piccione, anatra,

faraona (pancreatite), fagiani (milza marmorizzata), pappagallino ondulato, quaglia della

Virginia (bronchite) ed altri Colini. Si può tentare di vaccinare con vaccino per ovaiole e

broilers non essendo presente un vaccino studiato per nessuna delle specie allevate,

- Pseudopeste aviare sostenuta da Paramixovirus. Sintomi digerenti, respiratori e neurologici.

Si può vaccinare con vaccino per colombi o galline non trattandosi di un vaccino specie

specifico. Presenti flaconi multi dose per iniezione al singolo soggetto oppure da sciogliere

nell’acqua o fornire con istillazione oculo-congiuntivale,

- Arbovirus flaviviridae del tipo “West Nile”. Descritti in soggetti di recente ingresso in

allevamento originari dalle zone di cattura e animali che vivono vicino a zone di

macellazione. Rischio antropozoonosi. Colpisce moltissimi animali e non solo uccelli. Le

prime infezioni aviari descritte furono la “Meningoencefalite israeliana del tacchino”

(colpisce tacchino e quaglia giapponese). Da allora anche se rimane malattia rara è stata

osservata una infettività verso moltissime specie aviari e non,

- Papillomavirosi delle zampe dei Fringillidi da richiamo con particolare sensibilità di specie

per il Fringuello (Fringilla coelebs). E’ un infezione virale cutanea spesso autolimitante

sostenuta da Papillomavirus che crea delle escrescenze carnose spesso confuse con rogna

delle zampe (sostenuta invece da Knemidocoptes),

- Tubercolosi aviare, Stenotrophomonas maltophila, Pseudomonas, Salmonella, ecc. Tutte

malattie batteriche maggiormente presenti in animali che consumano insetti vivi buona parte

dell’anno,

- Malattie respiratorie di origine batterica (Micoplasmosi, Clamidiosi, Pasteurellosi, ecc.)

sono più frequenti nella “chiusa” quando la scarsa igiene dell’aria irrita le vie respiratorie e

predispone a infezioni,

- Malattie micotiche respiratorie (Aspergillosi) e digerenti (Candidosi) sono frequenti nella

“chiusa” per i motivi sopraesposti di scarsa igiene,

- Aflatossicosi ovvero la presenza si Micotossine nel mangime è una causa di morbilità e

mortalità da tenere sempre presente. Si rileva con alta frequenza sia come tossinfezioni

all’origine (il sacco ancora chiuso contiene già le aflatossine) sia a seguito di cattiva

gestione delle scorte alimentari,

- Presenza di Ectoparassiti ed Endoparassiti sull’animale (rogna, acari deplumanti mallofagi,

acari delle vie respiratorie, zecche, ecc.),

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- “Malaria dei Tordi” ovvero la presenza di emoparassiti del tipo Plasmodium o

Leucocytozoon rilevabili dall’osservazione dello striscio ematico, responsabili di mortalità

improvvise e massive nei Tordi Sasselli e Cesene allevati all’aperto durante i mesi estivi. La

prevenzione si esegue in due modi: stabulando gli animali in ambienti interni forniti di

protezioni zanzariere durante i mesi estivi e/o somministrando agli animali con il cibo a

cadenze regolari farmaci antimalarici (es. pirimetamina) a titolo preventivo.

- Cataratta anche giovanile e altri problemi di visione probabilmente riconducibili alla pratica

della “chiusa tradizionale”,

- Problemi ischemici, di ipercheratosi, traumatici agli arti e alle ali da permanenza prolungata

nelle gabbie da richiamo,

- Problemi metabolici da carenza di vitamine del gruppo B e D3.

Legislazione:

Dal punto di vista legislativo gli uccelli da richiamo seguono delle norme detentive diverse e più

restrittive rispetto agli uccelli ornamentali.

Gli uccelli da richiamo sono patrimonio indisponibile dello stato, ma appartengono a specie

soggette a prelievo venatorio per cui secondo la legge 157/92 è consentita la cattura di piccole

quantità di questi uccelli dalla natura per distribuirli ai cacciatori che ne facciano richiesta alla

provincia di residenza.

Per detenere questi uccelli è sufficiente che siano contrassegnati con anelli inamovibili (se nati in

allevamento) o fascette inamovibili (se di cattura) e che siano accompagnatiti da un documento che

ne testimonia la legittima provenienza. Per allevare questi animali si devono seguire normative

diverse di regione in regione, ma in genere è necessaria una autorizzazione della provincia di

residenza e la compilazione di un registro di carico e scarico dei soggetti dell’allevamento.

Per la detenzione dei richiami le provincie stabiliscono degli standard da seguire, indicando: la

misura minima delle gabbie, il tipo di accessori delle gabbie e la necessità di tenere gli animali in

condizioni igienico sanitarie decorose.

Le norme dettate dalle provincie sono molto minuziose nella descrizione delle caratteristiche delle

gabbiette mentre non sono quasi mai chiare nei requisiti dei locali che ospiteranno le gabbie e sulla

densità per metro quadro.

Poca attenzione viene posta dal legislatore nel garantire la salute e le cure a questi animali. Citiamo

letteralmente un estratto della legislazione: “Tutti gli animali accecati, mutilati o ammalati

dovranno essere sequestrati dalle autorità e condotti al più vicino centro di recupero”. Questo passo

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di legge equipara l’animale malato a quello mutilato (alcune persone ritengono erroneamente e

fraudolentemente che accecando i propri tordi questi cantino meglio) e intima il sequestro alle

autorità preposte.

Questo atteggiamento induce l’allevatore a non portare in visita i propri soggetti per paura che gli

vengano sottratti dal Veterinario compiacente con le autorità di controllo.

Il nostro compito resta invece quello dei garanti e tutori della salvaguardia della salute e benessere

degli animali che abbiamo in cura.

Questa pratica professionale si esercita sicuramente anche attraverso la sensibilizzazione dei nostri

clienti, la loro formazione e indirizzo verso pratiche di allevamento etiche e moderne. Non può pero

esserci affibbiato il compito ed il ruolo dei controllori. Questo comporterebbe l’allontanamento

delle persone che in noi devono vedere una figura professionale impermeabile a qualsiasi

connivenza con pratiche poco etiche o illegali, ma nel contempo vicina agli animali qualunque sia il

loro status legale con il solo scopo di mettere in atto tutte le pratiche mediche che consentano un

pronto recupero del loro migliore stato di salute e benessere.

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PODODERMATITE GRAVE SU FALCO SACRO TRATTATA CON LASER TERAPIA E

TERAPIA MEDICA

Dott. Gianluca Tiroli Medico Veterinario Jesi ( Ancona )

INTRODUZIONE

La Pododermatite è una patologia che colpisce il piede e si manifesta quasi esclusivamente nei

soggetti detenuti in cattività; fu segnalata come patologia di estremo interesse già in epoca

Medievale quando la Falconeria ( Arte di cacciare con gli uccelli ) ebbe in Europa la sua massima

diffusione.

Si tratta di una patologia molto frustrante per il proprietario e per il veterinario che ha in cura il

paziente, difficile da trattare con successo. Anche se la malattia riconosce una causa scatenante, ha

una eziologia multifattoriale e si manifesta con abrasioni degli strati superficiali, gonfiore,

ulcerazione dell’epitelio dei cuscinetti plantari con conseguente cellulite e formazione di ascessi.

CAUSE

Come detto in precedenza la pododermatite, nota nei rapaci anche con il nome di Bumblefoot, é una

malattia multifattoriale alla cui manifestazione concorrono diverse cause scatenanti che possono

agire da sole o in associazione:

1.Eccessiva lunghezza degli artigli che provocano auto traumatismi;

2.Stati di denutrizione o eccessivo e repentino aumento di peso;

3.Posatoi inadeguati, rivestiti di materiale non idoneo che possono provocare ferite e abrasioni del

piede;

4.Prolungati periodi di inattività (muta al blocco): tale inattività induce un aumento repentino del

peso dei rapaci che, in associazione all’aumento del volume ematico circolante (tipico degli atleti)

può indurre la formazione di edemi distali (come per altro nei cavalli atleti) con conseguenti

fenomeni ischemici per compressione prolungata in aree circoscritte del piede.

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SEGNI CLINICI E CLASSIFICAZIONE

SEGNI CLINICI

I segni clinici iniziali dell’insorgenza della pododermatite sono un l’assottigliamento e/o

l’infiammazione dell’epitelio della porzione plantare delle dita; le lesioni di localizzano con

maggiore frequenza a livello del cuscinetto metatarsale (principale), dei cuscinetti mediali delle

articolazioni interfalangee che interessano le dita II, III, IV e nei polpastrelli distali delle dita I e II.

Le lesioni possono variare nella presentazione clinica, per grado e localizzazione. Vari fattori

possono determinare la comparsa e il grado delle lesioni:

• Differenza di specie per Localizzazione Geografica;

• Dieta;

• Condizioni meteorologiche preponderanti ( Umidità );

• Materiali e metodiche di addestramento utilizzate dai Falconieri;

CLASSIFICAZIONE

Grado

Descrizione

I Lesione caratterizzata da sottile epitelio appiattito con proliferazione e

formazione di un callo .Si può riscontrare iperemia della pelle, ma nessuna

infezione dei tessuti sottostanti.

II Caratterizzato da infezione sub cutanea ma che non interessa tutto il piede. Può

essere causata da infezioni localizzate sviluppate da necrosi ischemica

localizzata causata dalla penetrazione degli artigli o dalla epidermide “

consumata “da sfregamento.

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III Caratterizzato da gonfiore , dolore del piede senza apparente danneggiamento

dell’epidermide; il gonfiore può essere caratterizzato da materiale sieroso (

solitamente seguito da infiammazione acuta ), fibrotico ( con la creazione di

incapsulamenti di reazioni croniche ) o caseoso ( necrosi infiammatoria cronica

).

IV Caratterizzato da un infezione profonda dei tessuti con conseguente

tenosinovite, artrite e osteomielite ma con le mantenute funzioni del piede. Può

essere fibrotico o caseoso.

V Stadio finale della malattia con la perdita delle funzioni del piede.

TERAPIA MEDICA E CHIRURGICA DEL “ BUMBLEFOOT “

In Medicina dei Rapaci sono state tentate diverse terapie, senza però ottenere dei risultati

soddisfacenti e ripetibili. Nei casi in cui la terapia ha dato buoni risultati gli obiettivi erano:

1.La riduzione della infiammazione e del gonfiore;

2.L’eliminazione dei patogeni presenti e la protezione delle ferite da ulteriori infezioni;

3.Favorire la granulazione dei tessuti e la loro guarigione attraverso medicazioni e bendaggi;

4.L’asportazione chirurgica dei tessuti necrotici (curettage della ferita) e drenaggio del materiale

purulento;

Animali con infezioni e gonfiore ma senza formazione di escare: questi animali rispondono bene

a una terapia antibiotica e analgesica. Lincomicyna, Marbofloxacina o Amossicillina Acido

Clavulanico per un periodo di 7 – 10 giorni. Applicazione topica di una mistura di

Dimetilsulfossido gel e Sodio Fusidato Unguento.

Animali con epitelio danneggiato e presenza di escare: Questi animali richiedono indagini

chirurgiche, bendaggi, utilizzo di analgesici, terapia antibiotica e modificazione dei sistemi di

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gestione; la chirurgia prevede la rimozione di materiale necrotico, la pulizia delle lesioni,

l’applicazione di bendaggi procedendo poi a controlli periodici.

CASO CLINICO

DESCRIZIONE

Ingrid, una femmina di Falco Sacro (Falco cherrug) di nove anni di età acquistata in Settembre 2013

per essere utilizzata come riproduttrice dopo alcuni anni di volo al Logoro; dal momento del suo

arrivo evidenziava la presenza di numerose escare a livello dei cuscinetti plantari delle zampe e la

difficoltà obiettiva a mantenere una corretta e prolungata stazione, costringendola per buona parte

della giornata a un decubito sternale.

Alla visita clinica il paziente si mostrava evidentemente denutrito con gravi lesioni podali

(assottigliamento dell’epidermide, escare, gonfiore) il che lasciava ipotizzare una forzata

permanenza al blocco, probabilmente non ricoperto da materiale idoneo alla prevenzione della

pododermatite.

TERAPIA MEDICA E CHIRURGICA

La impossibilità di mantenere una stazione corretta e la difficoltà di alimentarsi per la comprensibile

algia presente e l’incapacità di prensione degli alimenti, hanno reso necessarie da subito una terapia

medica con la somministrazione di Marbofloxacina (Marbocyl compresse NOME

COMMERCIALE) per os al dosaggio di 15 mg/kg/DIE per

un periodo di due settimane e l’applicazione di bendaggi utilizzando del cotone e della benda

elastica (Vetrap); nel cuscinetto plantare è stata applicata una pomata disinfettante (Betadine crema)

conaggiunta di zucchero e/o miele. I bendaggi sono stati rimossi quotidianamente, ripetendo la

medicazione per un periodo di 3 settimane; in questo periodo il falco è stato sostenuto con una

alimentazione assistita in quanto non era in grado di alimentarsi completamente da solo. Trascorse

le tre settimane durante le quali il falco è stato bendato e medicato quotidianamente e visto il

miglioramento delle lesioni e della sua condizione fisica, si è deciso di continuare il trattamento con

l’applicazione di pomata disinfettante ( Betadine ) senza aggiunta di miele o zucchero applicando le

fasciature a giorni alterni allo scopo di far recuperare la capacità prensile delle zampe il più presto

possibile; in tutto il periodo di medicazioni il falco è stato libero di muoversi in voliera.

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Purtroppo, trascorse altre due settimane si é avuta una recidiva con gonfiore delle zampe e difficoltà

di movimento. Sono ricomparse la sintomatologia algica, le tumefazioni e l’ impossibilità di

mantenere la stazione eretta. Si é quindi resa necessaria una pulizia chirurgica degli ascessi con

rimozione del materiale necrotico; nonostante i trattamenti la pododermatite aveva raggiunto il IV –

V grado con interessamento dei tessuti profondi, dei tendini e legamenti con evidenti segni di

osteomielite.

Terminata la chirurgia senza apporre punti di sutura sono state applicate delle fasciature

cospargendo le lesioni con Betadine crema e sostituendole quotidianamente associando terapia

antibiotica per via sistemica con Marbofloxacina per un periodo di 2 settimane.

Un mese e mezzo di fasciature e applicazioni topiche di pomata non hanno migliorato la condizione

in maniera definitiva e durante le ispezioni quotidiane spesso si rinvenivano tumefazioni plantari e

la produzione di pus era costante con delle piccole variazioni ma

mai in netta risoluzione, il falco alternava giornate di buon temperamento a momenti di inattività e

disoressia.

TERAPIA MEDICA INTERGRATA E “ LASER TERAPIA “

Il fallimento delle terapie mediche e chirurgiche, il peggioramento delle condizioni fisiche del

soggetto, la sua impossibilità a mantenere la stazione eretta per gran parte della giornata non

lasciavano speranze di guarigione e iniziava a prospettarsi l’ipotesi di effettuare l’eutanasia; si é

optato quindi di proseguire il trattamento associando la laser terapia alle già note terapie mediche

(fasciature morbide con cotone e applicazione di betadine crema). Gli antibiotici per via sistemica

non sono stati più somministrati.

LASER TERAPIA

PRINCIPI: Il laser stimola la biodisponibilità dell’ ATP cellulare aumentando il metabolismo

delle cellule, velocizza la riparazione dei tessuti a livello epiteliale e connettivale. Non agisce sul

DNA ma solo sui mitocondri e sull ‘ ATP, ha inoltre un’ azione antiedemigena perché aumenta la

peristalsi linfatica. In ultimo svolge un’azione antiflogistica aumentando la velocità di rinnovo

tessutale e diminuisce la quantità di liquido interstiziale.

I trattamenti generalmente vengono effettuati ogni 48 ore per un totale di 6 – 7 trattamenti fino a 10;

la bio stimolazione su una piaga o su un ascesso va fatta applicando il Raggio Laser alla periferia

della lesione e non al centro dove è presente la necrosi.

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TERAPIA INTEGRATA

Seguendo le indicazioni per una corretta Laser terapia nel soggetto in questione è stata utilizzata

una potenza di 0,5 Watt per un tempo di 30 secondi ad applicazione e svolgendo 3 – 4 applicazioni

per ogni zampa per un numero complessivo di 6 – 8 ogni seduta; la Fonte del raggio è stata

mantenuta a una distanza dal piede di 2 cm e applicata con dei movimenti circolari ai margini

dell’area di necrosi; le sedute complessive sono state 10 svolte con un tempo di intervallo di 48

ore per le prime 6 e di 72 ore per le rimanenti 4; nei periodi di intervallo il falco è rimasto con le

zampe bendate come descritto in precedenza e con l’ applicazione di Betadine crema; i risultati

positivi si sono appalesati già alla terza seduta quando il soggetto riusciva a stare in piedi sul

posatoio e le lesioni iniziavano a granuleggiare abbondantemente.

CONCLUSIONI

La pododermatite ( Bumblefoot ) nei rapaci è una delle patologie più gravi e insidiose che si

possano manifestare, la sua lenta progressione, le altalenanti fasi di ripresa e le continue recidive

mettono a dura prova anche Medici veterinari con notevole esperienza in patologia degli uccelli da

preda; fondamentale è la cura degli artigli e dei posatoi dove i rapaci passano gran parte della

giornata oltre ad una corretta alimentazione e una attività fisica costante mantenendo dei buoni pesi

di volo; la laser terapia si è rivelata nel caso descritto di fondamentale aiuto per scongiurare l’ipotesi

della eutanasia, alla luce del fallimento delle sole terapie mediche e chirurgiche; resta comunque

importantissima una precoce diagnosi e un trattamento medico tempestivo nelle prime fasi di

pododermatite affiancato da una sostanziale modificazione dei sistemi gestionali all’ interno delle

falconiere; il soggetto in questione ( Falco sacro ) dopo un anno dall ‘inizio dei vari tentativi atti a

risolvere il suo gravissimo problema di Bumblefoot ha riacquistato la capacità di rimanere in

stazione eretta per la quasi totalità della giornata, riuscendo ad avere una completa autosufficienza

nonostante le lesioni le abbiano lasciato la funzionalità di due sole dita nella zampa destra.

La sua completa impossibilità di utilizzo nell’ attività venatoria e le obiettive difficoltà di volo

lasciano comunque aperta la strada della riproduzione con tecniche di fecondazione artificiale;

l’integrazione della Laser terapia alle tecniche mediche normalmente utilizzate nella cura del

Bumblefoot dei rapaci potrebbe ( mantenendo in vita soggetti che normalmente non avrebbero

alcuna possibilità ) rivelarsi di estrema utilità nel mantenere riproduttivi soggetti appartenenti a

specie particolarmente pregiate o in pericolo di estinzione.

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Gestione clinica delle patologie del becco degli uccelli

Dr. Tommaso Collarile

Il becco degli uccelli, soprattutto quello degli psittaciformi, è sede comune di patologie di varia origine: infestiva, traumatica, infettiva in primis.

Nel corso della presentazione verranno esposte le patologie che più frequentemente possono colpire la regione del becco, e saranno esposti diversi casi clinici e altrettanti approcci terapeutici.

La funzione primaria del becco è quella dell’assunzione di cibo e della preparazione dell’alimento all’ingestione ed alla digestione. Attraverso il becco i pappagalli sono in grado di rompere noci, sbucciare semi sminuzzare frutta. Oltre alle attività legate all’apparato digerente, il becco può avere funzione di difesa e protezione, funzioni legate alla vita sociale, alla tolettatura oltre che di deambulazione.

Per conoscere ed interpretare al meglio le patologie e le rispettive terapie è necessario avere una chiara idea dell’anatomia della specie in questione, e soprattutto è fondamentale considerare il becco dei volatili un organo corneo in continua evoluzione. Infatti al di sopra del periostio più profondo, il rostro è costituito da uno strato germintivo. A tale livello l’epidermide e il derma si interdigitano attraverso le loro papille ben irrorate da capillari. Lo strato corneo origina dagli strati germinativi crescendo in modo continuo e formando degli strati sottili che si sovrappongono. La posrzione superiore, ranfoteca, cresce in direzione cranio-ventrale mentre quella inferiore, gnatoteca, cresce in direzione cranio-dorsale.

Ranfoteca e gnatoteca (becco superiore ed inferiore) con il continuo movimento di sfregamento durante l’alimentazione e durante le operazioni di tolettatura vanno in contro al consumo continuo indispensabile per il mantenimento della forma fisiologica. Il mancato contatto tra le due superfici di consumo, dovuto a

cause diverse, determina una crescita anomala del becco (becco a forbice, ecc...). Al contrario, qualunque causa che determini alterazione nel tessuto di germinazione, provocherà il mancato sviluppo di una sezione del rostro.

La conoscenza della situazione patologica e del coinvolgimento dei tessuti profondi è indispensabile per predire la prognosi.

La velocità di crescita e sviluppo del tessuto corneo è variabile in base all’età e alla specie del volatile. La valutazione di tale crescita è imp ortante in previsione dell’eventuale rigetto di protesi e correzioni.

Alterazioni dell’anatomia del becco possono essere causate da malattie parassitarie (Cnemidocoptes spp.), micotiche (Candida spp., Aspergillus spp.), batteriche, virali (Circovirus), genetiche/congenite, neoplastiche oltre che dalle frequenti cause traumatiche.

Ogni quadro patologico deve essere interpretato nello specifico per valutare la migliore possibilità terapeutica e prognostica. Oltre che la gestione del dolore e dell’anatomia, il ripristino funzionale (nutrizione) costituisce il primo obbiettivo.

Per ripristinare l’anatomia e la funzionalità del becco si ricorre ad approcci terapeutici diversi. Nei casi più gravi è possibile eseguire vere e propie sintesi con l’ausilio di cerchiaggi e di chiodi da ortopedia, in altri casi

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può essere sufficiente l’utilizzo di resine come il metacrilato. Quando si risostruisce l’integrità del becco, bisogna sempre valutare l’aspetto medico oltre che quello anatomico. È bene ricordare che il rostro dei pappagalli è un organo altamente irrorato da vasi sanguigni e ben innervato. Inoltre la continuità con l’apparato respiratorio (sacchi aerei si protraggono all’interno e si continuano con i seni infraorbitari) rende le patologie del becco potenziali cause di malattie respiratorie di altri distretti. Questo ed altri aspetti anatomo fisiologici devono essere sempre tenuti in considerazione durante la scelta terapeutica.

Inoltre l’applicazione di protesi ed altri ausili correttivi può essere di fondamentale importanza per la correzione di ranfoteche che tendono a crescere con deviazioni o curvature. Questo fenomeno è a volte associato a pratiche di allevamento allo stecco incorrette. In questi casi l’approccio terapeutico precoce è fondamentale ai fini di una prognosi favorevole. La correzione della direzione di crescita della ranfoteca e più raramente della gnatoteca, non sono importanti solamente ai fini estetici, ma sono fondamentale per prevenire crescite anomale dovute al mancato consumo del tessuto corneo.

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Un caso di melanoforoma in una Pseudemys rubriventris

Mattia Bielli, Med. Vet.

V.le M. Buonarroti, 20/a 28100 Novara

[email protected]

Una femmina adulta di Pseudemys rubriventris viene presentata con una storia di anoressia e

letargia da circa 15 giorni.

All’esame clinico il soggetto appare in pessime condizioni e risulta immediatamente evidente una

tumefazione a carico della base dell’arto anteriore sinistro.

Altre a ciò sono evidenti alcune petecchie emorragiche diffuse sulla cute e lo stato di dimagramento

dell’animale.

Le analisi cliniche mettono in evidenza uno stato anemico, iperuricemia, iperuremia, un aumento

degli enzimi aspartato amino transferasi e lattato deidrogenasi, e una condizione di ipoprotidemia.

Un esame radiografico dell’arto interessato evidenzia un’area radio densa attorno all’articolazione

della spalla a carico dei tessuti molli e fenomeni erosivi a carico dell’estremità prossimale

dell’omero.

Un esame citologico del materiale ottenuto tramite FNA evidenzia una popolazione di cellule

pleomorfe in cui prevalgono elementi fusati e stellati il cui citoplasma contiene granuli di pigmento

bruno-nerastro, compatibile con la diagnosi di melanoforoma.

Successivamente al decesso della testuggine, avvenuto nelle 24 ore successive, si preleva l’arto per

indagine istopatologia.

L’istopatologia conferma la diagnosi citologica definendo la forma neoplastica come melanoforoma

in variante mucinosa.

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Forme tumorali negli uccelli selvatici, da gabbia e da voliera:

la casistica di un decennio di attività diagnostica

Laura Strada, DVM

Libero professionista, Milano

347/9921968 - [email protected]

INTRODUZIONE

Per quanto riguarda le forme neoplastiche degli uccelli, nella letteratura scientifica le maggiormente

segnalate sono indubbiamente quelle ad eziologia virale del pollo, prima fra tutte la Malattia di

Marek causata da un Herpesvirus, per ragioni economiche e di attualità, seguita dalle altrettanto

note infezioni di origine retrovirale Leucosi/Sarcoma aviare e Reticoloendoteliosi, che mostrano

una serie di ospiti più ampia rispetto alla Malattia di Marek, interessando anche tacchino,

galliformi selvatici e palmipedi (Fadly e Payne, 2003; Witter e Fadly, 2003). Sono neoplasie

trasmissibili proprio in virtù della loro eziologia virale e hanno da sempre una grande importanza

nello studio dell’oncogenesi virale.

Esiste tuttavia un’altra ampia categoria che annovera le forme neoplastiche ad eziologia ignota,

forme cioè in cui non è stata riscontrata l’azione patogena di un virus. Si tratta di una categoria

estremamente eterogenea sia per quanto riguarda il comportamento biologico (tumori benigni o

maligni) sia relativamente all’origine tissutale. Queste forme neoplastiche si manifestano non solo

nel pollame domestico ma anche negli uccelli selvatici, da gabbia e da voliera.

Questo studio ha preso in esame i casi di tumore occorsi nel decennio 2002-2012 all’attività

diagnostica aviare della Sezione di Anatomia Patologica Veterinaria e Patologia Aviare della

Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano.

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LE NEOPLASIE DEGLI UCCELLI

Una neoplasia viene definita come una proliferazione cellulare anomala, incontrollata e

progressiva.

I tumori possono essere classificati secondo diversi criteri:

- Origine generale del tessuto (epiteliale o mesenchimale);

- Specifica linea cellulare;

- Comportamento biologico (benigno o maligno).

La letteratura scientifica si è ampiamente occupata delle neoplasie degli uccelli domestici,

soprattutto polli, con particolare attenzione a quelle di eziologia virale. Molto più frammentaria e

meno sistematica è la bibliografia dedicata alle neoplasie degli uccelli selvatici e da voliera, per lo

più costituita da “case reports”. Per queste specie di uccelli si stima che complessivamente le

neoplasie rappresentino il 3,8% della totalità delle patologie diagnosticate (Latimer, 1994). Lawrie

(2005) stima che per i pappagalli nel 3-4% della totalità degli esami istologici richiesti vengano

diagnosticate neoplasie. Sempre secondo questo autore è possibile che vi sia un’origine virale

anche in alcuni tumori che colpiscono i pappagalli, quali i papillomi epiteliali (Papillomavirus), i

papillomi cloacali (Herpesvirus) ed alcuni tumori renali degli ondulati (virus Leucosi/Sarcoma).

Maggiori dati sono disponibili per gli uccelli da compagnia e da voliera, cioè quelli tenuti in

cattività, perché, a differenza degli uccelli a vita libera, secondo Latimer (1994):

- sono maggiormente tenuti sotto osservazione, cosa che rende più facile l’individuazione di

un’eventuale patologia e la sua diagnosi;

- hanno generalmente un’aspettativa di vita maggiore, cosa che quindi aumenta l’incidenza

per l’insorgenza di neoplasie;

- potrebbero essere geneticamente più predisposti a forme tumorali come conseguenza della

selezione dettata dalle logiche di allevamento.

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RISULTATI

CASO

SPECIE

ETA’ e

SESSO

SEDE

ANATOMICA

DIAGNOSI

1

Piccione

5 anni

Cavità celomatica

FIBROSARCOMA/LEIOMIOSAR

COMA

2*

Inseparabile

Adulto

Torace

FIBROSARCOMA/LEIOMIOSAR

COMA

3*

Oca

Adulto

Fegato

COLANGIOCARCINOMA

4*

Piccione

Adulto

Ala

FIBROSARCOMA

5*

Ondulato

1 anno ♂

Ala

EMANGIOMA

6

Ondulato

Adulto

Cavità celomatica

pericloacale

SARCOMA POLIMORFO

7A

Fagiano

Adulto

Cavità orale,

sottocute

cavità celomatica,

retrobulbare

LINFOMA MULTICENTRICO

7B

Fagiano

Adulto

Cavità celomatica

EMANGIOMA/EMANGIOSARC

OMA/

MIXOMA

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8 Piccione 1 anno ♂ Fegato LEUCOSI MIELOIDE

9*

Fagiano

5-6 mesi

Milza, fegato

LINFOMA MULTICENTRICO

10

Fagiano

160

giorni ♀

Fegato

LINFOMA

11*

Fagiano

5-6 mesi

Milza, fegato

LINFOMA MULTICENTRICO

12

Oca

Adulto ♀

Fegato

COLANGIOCARCINOMA

13

Anatra muta

10 mesi

Celoma toracico

TERATOMA

14*

Fagiano

Adulto

Milza, fegato

LINFOMA MULTICENTRICO

15

Inseparabile

Adulto ♂

Celoma toracico

ADENOCARCINOMA

TUBULARE

16*

Inseparabile

1 anno ♀

Fegato

COLANGIOCARCINOMA

17*

Anatra muta

1 anno ♀

Non precisata

TERATOMA

18*

Avvoltoio

reale indiano

15 anni ♀

Fegato

MIELOLIPOMA

19

Lori rosso

3 anni ♀

Cavità celomatica

LINFOMA

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20

Merlo

indiano

16 anni ♂

Cavità celomatica

LINFOMA

21*

Amazona

fronte gialla

10 anni ♂

Ala (gomito)

SARCOMA ISTIOCITARIO

22

Calopsitta

2 anni ♀

Base del cuore

CHEMODECTOMA

23*

Merlo

indiano

14 anni ♀

Cute dell’arto

inferiore

TUMORE A CELLULE FUSATE

24

Canarino

Adulto ♀

Milza, fegato, rene,

midollo osseo,

proventricolo,

muscolo striato

LINFOMA MULTICENTRICO

25

Canarino

Novello

Fegato

LEUCOSI MIELOIDE

26

Diamante di

Gould

Nidiaceo

Polmone

TUMORE A CELLULE FUSATE

27

Ondulato

Milza

SARCOMA INDIFFERENZIATO

28

Ondulato

25 giorni

Rene, fegato

LEUCOSI MIELOIDE

29

Ondulato (2)

Nidiaceo

Rene

LEUCOSI MIELOIDE

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30*

Diamante

mandarino

1 anno ♀

Stomaco ghiandolare

NEOPLASIA NON PRECISATA

(tbc +)

31

Pettirosso

Adulto ♂

Muscoli pettorali

RABDOMIOSARCOMA

32

Ondulato

Adulto ♂

Testicolo

SEMINOMA

33

Ondulato

3 anni ♂

Fegato

LEUCOSI MIELOIDE

34

Ondulato

11 anni ♀

Rene

ADENOCARCINOMA

35*

Rosella

Becco

ADENOCARCINOMA

MUCINOSO

36*

Ondulato

7 anni

Cute alla base della

coda

FOLLICULOMA DELLE PENNE

37*

Merlo

indiano

6 anni

Cute del dorso

FIBROSARCOMA

38*

Inseparabile

4 anni

Cute del dorso

CARCINOMA SQUAMOSO

39*

Inseparabile

4 anni

Cute alla base della

coda

PAPILLOMA CLOACALE

40

Canarino

Miocardio

LINFOMA

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41 Parrocchetto

testa

prugnata

4-5 anni

Milza, fegato NEOPLASIA DEL TESSUTO

EMOPOIETICO

42*

Starne (vari

soggetti)

Milza, fegato

LINFOMA

43

Calopsitta

1 anno e

mezzo ♀

Celoma toracico

ADENOMA DI ORIGINE

BRONCHIALE

44

Capovaccaio

15 anni ♀

Ovaio

TUMORE DELLE CELLULE

DELLA GRANULOSA

45

Ondulato

3 anni ♂

Ala

SARCOMA

INDIFFERENZIATO/LEIOMIOSA

RCOMA

46

Ciuffolotto

Adulto ♂

Fegato, milza

LINFOMA

47

Ondulato

3 anni ♀

Base del cuore

NEOPLASIA NON PRECISATA

48*

Piccione

Ala

CARCINOMA SQUAMOSO

49*

Quaglia

2 anni ♀

Arto inferiore

OSTEOSARCOMA

50*

Ondulato

7-8 anni

Cute del dorso

CHERATOACANTOMA

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I 50 casi selezionati riguardano uccelli appartenenti a 21 specie e nel dettaglio:

- 23 PSITTACIFORMI, di cui

- 21 Psittacidae:

� 12 Melopsittacus undulatus;

� 5 Agapornis spp.;

� 1 Eos bornea;

� 1 Amazona ochrocephala;

� 1 Platycercus sp.;

� 1 Psittacula cyanocephala

- 2 Cacatuidae:

� 2 Nymphicus hollandicus;

- 10 PASSERIFORMI, di cui

- 4 Fringillidae:

� 3 Serinus canaria;

� 1 Pyrrhula pyrrhula;

- 3 Sturnidae:

� Gracula religiosa;

- 2 Estrildidae:

� 1 Erythrura gouldiae;

� 1 Taeniopygia guttata;

- 1 Muscicapidae:

� Erithacus rubecula;

- 7 FASIANIDAE, di cui

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� 5 Phasianus colchicus;

� 1 Coturnix coturnix;

� 1 Perdix perdix;

- 4 ANATIDAE, di cui

� 2 Anser anser;

� 2 Cairina moschata;

- 4 COLUMBIDAE

� Columba livia;

- 2 ACCIPITRIDAE, di cui

� 1 Sarcoramphus papa;

� 1 Neophron percnopterus.

Gli Psittaciformi rappresentano il gruppo più numeroso (23 casi), quasi del tutto costituito da psittacidi

(21 casi), mentre solo 2 casi riguardano calopsitte che appartengono alla famiglia delle Cacatuidae.

L’insieme dei casi riguardanti ondulati ed inseparabili, che sono le specie più rappresentate, ricopre circa

il 74% di tutti i tumori dei pappagalli. La frequenza delle neoplasie negli ondulati è un dato ben noto in

letteratura (Petrak e Gilmore, 1969; Latimer, 1994; Lawrie 2005) ma è anche vero che si tratta dei più

comuni pappagalli tenuti in cattività.

Il secondo gruppo per consistenza numerica è rappresentato dagli uccelli dell’ordine dei Passeriformi,

in cui si nota una prevalenza dei canarini. Anche in questo caso, come in quello precedentemente citato

degli ondulati, questo dato si spiega non tanto per una predisposizione della specie allo sviluppo di

neoplasie, quanto invece per il fatto che i canarini sono senza dubbio i passeriformi da voliera più

comuni. In questo stesso ordine ritroviamo inoltre 3 gracule religiose, specie in diminuzione in

condizione di cattività, da quando incluse nell’Appendice II del CITES. Questa regolamentazione per le

specie protette limita il commercio di individui di cattura, permettendo quello dei soggetti nati in

cattività; le difficoltà nella riproduzione di queste specie in cattività ha di fatto diminuito la loro

disponibilità sul mercato.

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Le neoplasie presenti nella casistica mostrano una notevole varietà, essendo rappresentate da forme di

derivazione epiteliale, mesenchimale o mista a partire da organi ed apparati diversi. Questa varietà

risulta ovviamente già dai testi consultati che si occupano di oncologia in campo aviare (Petrak e

Gilmore, 1969; Latimer, 1994; Schmidt et al., 2003; Lawrie, 2005).

Spesso la natura della neoplasia non è emersa dall’esame istologico (casi n°30 e 47) oppure ammette 2 o

3 possibilità ( casi n°1, 2, 7B, e 45) o è formulata in modo generico (casi n°23, 26 e 41). In tutti questi

casi non sono stati effettuati approfondimenti con tecniche di immunoistochimica per definire il tipo di

cellula neoplastica.

Il 34% del totale è rappresentato dalle neoplasie del sistema emolinfopoietico (17 casi) che riguardano

psittacidi, passeriformi, fasianidi e piccioni. Tra queste si evidenzia la presenza di

- 5 fagiani (casi n°7A, 9, 10, 11, 14)

- 3 canarini (casi n°24, 25, 40)

- 3 ondulati (casi n°28, 29, 33)

- Un piccione (casi n°8)

- Un lori rosso (caso n°19)

- Un merlo indiano (casi n°20)

- Un parrocchetto testa prugnata (caso n°41)

- Starne (caso n°42)

- Un ciuffolotto (caso n°46)

Negli uccelli e soprattutto nel pollo e nel tacchino è nota la relazione causale tra infezioni da Retrovirus

e diversi tipi di neoplasie, tra le quali ben rappresentate sono quelle del sistema emolinfopoietico (Fadly

e Payne, 2003; Witter e Fadly, 2003). Il sospetto che anche negli uccelli da gabbia si possa trattare di

forme ad eziologia virale è stato avanzato già da tempo, sulla base di precisi dati anamnestici (Loupal,

1984). Tra i tanti metodi possibili per dimostrare la presenza di Retrovirus (immunoistochimica,

ibridazione in situ, ultramicroscopia, tecniche biomolecolari, isolamento virale), è stato utilizzato anche

in 2 casi di questo studio un anticorpo contro la p27, proteina del capside esterno dei Retrovirus della

Leucosi Aviare (ALV), secondo un protocollo di immunoistochimica già messo a punto in Sezione in

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polli con mielocitomatosi da ALV-J (Sironi et al., 1996). La marcatura per la p27 ha dato però esito

negativo sia nel caso n°25 di un canarino sia nel caso n°31 del pettirosso.

Si noti come lo stesso tipo di tumore (teratoma) sia stato diagnostico nelle uniche 2 anatre mute

presenti in casistica (casi n°13 e 17), per di più nello stesso anno. I soggetti non risultano provenire dallo

stesso allevamento anche se siamo sempre nell’ambito della provincia di Milano. Curiosamente nel caso

n°17 viene segnalata in anamnesi che l’anatra conviveva con un altro soggetto deceduto anch’esso con

una voluminosa massa neoformata in sede celomatica.

Anche le uniche 2 oche della casistica (casi n°3 e 12) presentavano lo stesso tipo di tumore: un

colangiocarcinoma. Essendo nota la sensibilità dei palmipedi in generale all’azione carcinogenetica

delle aflatossine sul fegato (Quezada et al., 2000; Hoerr, 2003), non è inverosimile che l’uso di un

mangime contenente micotossine possa aver causato queste neoplasie.

Tra i tumori compresi in questo studio e ritenuti relativamente rari si segnala il mielolipoma epatico di

un avvoltoio reale indiano (caso n°18), di cui l’unica altra segnalazione riguarda un’oca (Suzuki et al.,

2010) e il chemodectoma in una calopsitta (caso n°22), di cui esiste un’unica altra segnalazione in un

ondulato (Schmidt et al., 2003).

Raro anche in letteratura il cheratoacantoma, segnalato in un ondulato (caso n°50), neoplasia epiteliale

a carattere benigno che in alcuni uccelli regredisce spontaneamente e, almeno nell’uomo, è associata ad

aree particolarmente esposte alla luce solare. Si presenta come una lesione esofitica ortocheratosica

formata da isole ben delimitate di cellule epiteliali squamose e perle cornee. Altri casi di

cheratoacantoma sono stati segnalati sempre in ondulati, in particolare uno riguardava la stessa sede

anatomica, cioè l’uropigio (Owen et al., 2007).

Un caso raramente riportato in letteratura e molto interessante in quanto riguarda un selvatico a vita

libera, è rappresentato dal caso n°31. Si tratta di un rabdomiosarcoma del muscolo pettorale in un

pettirosso (Manarolla et al., 2008). Il soggetto è stato consegnato vivo ma in condizione cachettica e con

il muscolo pettorale sinistro completamente sostituito da una massa prominente e giallastra (2,5 x 2 cm)

che invadeva lo sterno e più di metà del muscolo pettorale destro. Il tumore istologicamente presentava

caratteristiche sarcomatose indifferenziate ma la positività immunoistochimica per i componenti

miogenetici della mioglobina e per la desmina ha portato alla diagnosi di rabdomiosarcoma. Erano

presenti metastasi in sede polmonare e miocardica.

Si segnala infine che in un caso non è stato possibile ritrovare il vetrino (caso n°16).

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DISCUSSIONE

La casistica è purtroppo inficiata dal fatto che in parecchi casi la diagnosi del tumore non è

precisa. La scarsa precisione della diagnosi istopatologica e il mancato ricorso a tecniche di

immunoistochimica per precisare la natura e l’origine delle cellule neoplastiche è dovuto a diversi

fattori. In primo luogo non tutti i casi raccolti rientravano nella diagnostica “conto terzi”, cioè

richiesta da veterinari liberi professionisti o direttamente da allevatori e proprietari degli animali e

che prevede un referto scritto finale. Infatti dove l’indicazione diagnostica è imprecisa o incompleta

si tratta di campioni conferiti da studenti, specializzandi, borsisti e dottorandi che eseguivano la

necroscopia e si occupavano personalmente dell’allestimento dei preparati istologici e della loro

lettura. A ciò si aggiunge che l’attività diagnostica aviare non dispone di persone specificamente

formate e unicamente dedicate all’istopatologia degli uccelli e che per la valutazione dei campioni

istologici normalmente si ricorre a un patologo della Sezione (prof. Sironi). Va comunque precisato

che il numero dei campioni conferiti non giustifica attualmente la presenza di un istopatologo

aviare.

Un’ultima considerazione merita il fatto che la diagnosi di neoplasia riguarda in tutti i casi, tranne

che nel n° 50, uccelli già deceduti, perciò manca l’interesse per una diagnosi che consenta una

valutazione prognostica di un animale in vita da sottoporre a trattamento chirurgico o chemio- e/o

radioterapico.

Se la imprecisione o incompletezza nella diagnosi della neoplasia non consente di trarre conclusioni

sulla frequenza delle varie forme tumorali, la casistica appare significativa per quanto riguarda la

distribuzione dei tumori tra le varie specie di uccelli da gabbia; infatti, come già segnalato in

letteratura (Petrak e Gilmore, 1969; Latimer, 1994; Lawrie 2005), prevalgono nettamente i

pappagalli e, tra questi, gli ondulati.

Un ulteriore dato di interesse emerso dai dati riguarda tutte le forme in cui è stato diagnosticato o

sospettato un tumore del sistema emolinfopoietico. La nota eziologia virale di tali forme negli

uccelli domestici (pollo e tacchino) e le scarse e non recenti segnalazioni di forme retrovirali

anche nei selvatici (Fadly e Payne, 2003; Witter e Fadly, 2003) suggeriscono di rivalutare ed

approfondire alla ricerca di Retrovirus il materiale dei casi riguardanti fagiani e starne (n° 7, 9, 10,

11, 14 e 42). Anche il fatto che tutti i casi dei fagiani si collochino in un ristretto lasso di tempo

suggerisce la possibile circolazione di infezioni virali negli allevamenti di fagiani, tutti molto vicini

geograficamente e che probabilmente si rifornivano dalle stesse fonti. Lo stesso si può dire anche

per quanto riguarda gli ondulati (casi n° 28, 29, 33), che appartenevano allo stesso allevamento e

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per i quali esistono già citazioni in letteratura che alimentano il sospetto di implicazioni virali in

queste forme tumorali ( Cavill, 1969; Loupal, 1984).

I selvatici a vita libera sono poco rappresentati nella mia casistica, come era da attendersi. Sono

rappresentati dal pettirosso (caso n° 31) in cui è stato diagnosticato un rabdomiosarcoma, tumore

relativamente poco comune (Manarolla et al., 2008) e da 3 piccioni (casi n° 1, 4 e 8) che possono

rientrare tra i selvatici in quanto si trattava di piccioni di città o “feral” e non di piccioni domestici

di allevamento. Non proprio a vita libera, ma tenuti in un parco faunistico, erano inoltre l’avvoltoio

reale indiano e il capovaccaio (casi n° 18 e 44). In entrambi sono stati diagnosticati l’unico

mielolipoma e l’unico tumore delle cellule della granulosa della casistica.

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Diagnostica per… immaginazione

dott. Gianluca Deli, DMV

L’impiego della diagnostica per immagine

diagnostico aggiuntivo a quelli che

problema, potremo indirizzarci verso

paziente. La radiologia (Rx, RM, TAC),

sue peculiarità e specificità, di approfondire

diagnostico.

Esistono comunque notevoli difficoltà

frequenza respiratoria, manipolazione

anatomiche specie-specifiche. Nessuno

sufficiente un adattamento delle tecniche

Radiologia:

Esame rapido, maneggevole, adattabile

elezione nella pratica clinica: innanzitutto

o digitale) all’interno della propria struttura,

del nostro sospetto diagnostico. Non

rinvenire reperti occasionali, non associati

visita clinica, quali ad esempio calcoli

Per mezzo della radiologia sono molti

traumi, individuazione e visualizzazione

l’andamento della guarigione, blocco

uccelli e rettili e di feti nei piccoli

questo ovviamente dobbiamo possedere

specie.

dott. Gianluca Deli

immaginazione

immagine negli animali non convenzionali

che sono i normali e consueti esami collaterali.

verso l'esame che riterremo essere quello più adatto

TAC), l’endoscopia e l’ecografia, ci permettono,

approfondire e fornire elementi aggiuntivi al

difficoltà tecniche dovute essenzialmente a: taglia

manipolazione e contenzione non sempre agevoli, eventuali

Nessuno di questi fattori è però insormontabile: sarà

tecniche e dei principi di interpretazione usati per cani

adattabile alle differenti specie, rappresenta molto

innanzitutto perché tutti oramai possiedono un radiologico

struttura, ma soprattutto perché ci può dare immediata

Non di rado, con l’esecuzione di una radiografia,

associati a sintomatologia conclamata, non rilevati

calcoli urinari.

molti gli aspetti che possiamo andare ad indagare.

visualizzazione di fratture con successivo follow up

blocco intestinale, presenza di corpi estranei, ritenzione

mammiferi, masse, patologie ossee, patologie

possedere una conoscenza appropriata dell’anatomia

offre un mezzo

collaterali. A seconda del

adatto al problema e al

permettono, ognuno con le

nostro percorso

taglia ridotta, elevata

eventuali particolarità

sarà molto spesso

cani e gatti.

spesso quello di

radiologico (“classico”

immediata conferma

radiografia, possiamo

rilevati durante la

indagare. Tra questi:

per monitorarne

ritenzione di uova in

dentali. Per fare

dell’anatomia delle differenti

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75

Nell’ambito della stessa Classe animale,

risultano essere abissali confrontando

dimensioni del paziente, la forma

cuore, la disposizione degli organi interni,

carapace, sono solo alcuni degli elementi

successiva lettura del radiogramma.

“iatrogeni”, che possono influenzarne

possiamo comprendere l’obesità, caratteristica

eccessivi depositi adiposi, andandosi

celomatici) possono determinare una

delimitazione; se abbondanti, possono

posizione. Tra i fattori “iatrogeni”

pellicola o cassetta radiografica, esperienza

manipolazione e posizionamento del

A seconda della procedura, delle condizioni

“sarà tutto un po’ diverso”), l’utilizzo

vantaggi, soprattutto in quei pazienti

contenzione e al posizionamento

ottenere un radiogramma diagnostico.

Sebbene queste permettano un corretto

errori di interpretazione della lastra

un’aumentata opacità radiografica del

broncovascolare e un aumento falsato

torace); tutte queste sono comunque

difficilmente evidenziabili. Ricordiamoci

proprietario dei possibili effetti collaterali

Date le ridotte dimensioni della maggior

di questi animali, sarà consigliato

lastre ad alta definizione (mammografiche

odontoiatriche) se non si dispone

un'apparecchiatura radiologica

quest’ultima presenta diversi vantaggi

animale, ci possono essere differenze anatomiche considerevoli,

confrontando esemplari appartenenti a Classi diverse.

del torace, il rapporto cardiotoracico ed il posizionamento

interni, la presenza di polmoni parenchimatosi

elementi che influiscono fisiologicamente sulla

radiogramma. Poi vi sono tutta una serie di altri fattori,

influenzarne ed alterarne l’interpretazione. Tra i primi

caratteristica abbastanza frequente nei pet detenuti

andandosi ad interporre ai differenti organi (toracici,

una riduzione per quanto riguarda la loro visualizzazione

possono anche più banalmente determinarne un

“iatrogeni” possiamo menzionare: tipo di apparecchiatura,

esperienza dell’operatore (impostazione dei tempi

del paziente).

condizioni del paziente e del tempo a disposizione

l’utilizzo dell’anestesia generale o della sedazione offrono

pazienti poco collaborativi, permettendo di ridurne lo stress

sul tavolo radiografico, aumentando inoltre

diagnostico.

corretto posizionamento dell’animale, possono altresì

come ad esempio la riduzione del volume tidalico

del polmone, con conseguente diminuita distinzione

falsato del rapporto cardiotoracico (lunghezza

comunque alterazioni che nei non convenzionali sono

Ricordiamoci si fare sempre presente (con estrema

collaterali legati all’anestesia.

maggior parte

l'utilizzo di

(mammografiche o

dispone di

digitale;

vantaggi come poter modificare successivamente le

considerevoli, che

diverse. La forma e le

posizionamento del

e sacchi aerei, il

sulla realizzazione e

fattori, “patologici” e

primi ad esempio

detenuti in cattività: gli

(toracici, addominali o

visualizzazione e

cambiamento di

apparecchiatura, qualità della

tempi adatti, corretta

disposizione (in emergenza

offrono indiscutibili

stress dovuto alla

le possibilità di

altresì causare degli

tidalico che determina

distinzione della trama

cuore/lunghezza

sono già di per loro

estrema chiarezza) al

le immagini e di

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visualizzare

presenta le

di esposizione

del paziente,

Essenziale

l’allontanamento

torace e dall’addome

modo la loro

(D/S o R/L)

lettura ed interpretazion

Le proiezioni

o Dorso-Ventrale),

relazione al motivo della lastra e alle

La cosa più importante è che il radiogramma

Quanto detto può trovare una certa “libertà

in cui serve avere un’idea preliminare

ovviamente necessario, si potranno poi

In queste situazioni, come ogni volta

al paziente ma ricordarci anche di noi

ed occhiali piombati) dovrebbe essere

dott. Gianluca Deli, DMV

Medicina e chirurgia degli animali non

Clinica Veterinaria Zoospedale Flaminio,

Ambulatorio Veterinario Santa Lucia,

www.veterinarioesotici.it - [email protected]

buoni dettagli per le ossa e tessuti molli allo stesso

stesse limitazioni associate con l'induzione di artefatt

esposizione andrà minimizzato per contenere gli effetti

paziente, inclusa la respirazione.

sarà il corretto posizionamento del

l’allontanamento degli arti sia anteriori che posteriori rispettivamen

dall’addome (o celoma in rettili ed uccelli) riducendo

loro sovrapposizione agli organi interni. L’utilizzo

R/L) sarà fondamentale per il posizionamento della

interpretazione.

proiezioni da effettuare sono minimo 2 (Latero-Laterale e

Ventrale), con eventuali proiezioni accessorie (ad

alle strutture che si vogliono indagare.

radiogramma risulti essere diagnostico.

“libertà clinica” nei pazienti che giungono in condizioni

preliminare per impostare la terapia di emergenza: successivamente,

poi effettuare le radiografie come da protocollo.

volta che andiamo ad effettuare una radiografia, dobbiamo

noi stessi: indossare le dovute protezioni (camice,

essere un obbligo imprescindibile.

non convenzionali

Flaminio, Roma

Lucia, Perugia

[email protected]

stesso tempo, ma

artefatti. Il tempo

effetti del movimento

paziente, con

rispettivamente dal

riducendo in questo

L’utilizzo dei marcatori

della radiografia alla

e Ventro-Dorsale

(ad es. obliqua) in

condizioni critiche

successivamente, se

protocollo.

dobbiamo pensare

ce, collare, guanti

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77

Nefropatie nelle specie aviarie

Marco Luparello, DVM

Marco Di Giuseppe Med. Vet., PhD, GPCertExAP

Laura Faraci, DVM.

Anatomia

Negli uccelli i reni sono simmetrici ed allocati nelle fosse renali, a livello del sinsacro. Sono

ricoperti da un sottile strato di sierosa peritoneale e, ognuno di essi, costituisce dall’1 al 2,6% del

peso corporeo (nei mammiferi costituisce circa lo 0,5% del peso corporeo).

Cranialmente si estendono fino ai polmoni, caudalmente fino alla fine del sinsacro.

Sono divisi in tre lobi, craniali, medi e caudali; ogni lobo è costituito da 13-17 lobuli, separati fra

loro da vene interlobulari. In molti passeriformi i lobi medi e caudali sono fusi con i controlaterali.

In aironi, pinguini e pulcinelle di mare lo sono solo i lobi caudali.

I dotti collettori drenano i lobuli renali; più dotti collettori convergono e si uniscono a formare i

dotti collettori midollari, i quali, a loro volta, si combinano con gli altri dotti collettori midollari

dello stesso lobo formando un singolo dotto collettore coniforme. Questi grandi dotti collettori si

uniscono a formare l’uretere.

L’uretere sbocca in cloaca, a livello dell’urodeo, in posizione dorso-laterale. Non esiste una vescica,

anche se negli struzzi il coprodeo ne svolge la funzione ed inoltre modifica la composizione

elettrolitica dell’urina (ciò a causa del notevole sviluppo dello sfintere fra retto e coprodeo; in

quest’ultimo non c’è ristagno di feci, ma di urine: gli struzzi quindi eliminano separatamente i due

tipi di escrementi).

Dall’urodeo inoltre, in alcune specie, l’urina viene spinta, grazie a movimenti antiperistaltici, verso

il retto e i ciechi (dove presenti), dove può avere luogo riassorbimento di acqua.

Gli uccelli hanno due tipi di nefroni: i nefroni corticali, che rappresentano il 70-90% della totalità

dei nefroni, caratterizzati dalla mancanza dell’ansa di Henle, ed i nefroni midollari, più simili a

quelli dei mammiferi in quanto caratterizzati dalla presenza dell’ansa di Henle. La presenza di

quest’ultimo tipo di nefroni dà agli uccelli la possibilità di produrre urina ipertonica.

Le arterie renali craniali, medie e caudali apportano il sangue alle rispettive porzioni dei reni,

suddividendosi prima in arterie lobulari e quindi in arteriole. Il sangue passa quindi alle arteriole

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efferenti, quindi ai plessi capillari peritubulari, alle vene intralobulari, alle vene renali efferenti ed

infine alle vene renali craniali e caudali.

Le vene renali portali craniale e caudale formano un complesso sistema circolare che coinvolge

entrambi i reni e che che mette in comunicazione le vene iliaca esterna e la renale caudale: il sangue

venoso affluisce alle vene portali dal seno venoso vertebrale interno, dalla vena mesenterica

caudale, dalle vene iliache esterne, dalle vene ischiatiche e dalle iliache interne. Le branche renali

afferenti lasciano le vene portali per approfondirsi nel parenchima renale diventare vene

interlobulari, drenare nei plessi capillari peritubulari (in cui il sangue del circolo portale si mischia a

quello delle arteriole glomerulari efferenti bypassando i glomeruli), vene intralobulari, vene renali

efferenti, e quindi vene renali craniali e caudali che si aprono nella vena iliaca comune e quindi

nella vena cava.

Il sistema venoso portale è caratterizzato dalla presenza delle valvole portali, localizzate nelle vene

iliache comuni. Quando la valvola è aperta (stimolo simpatico), il sangue bypassa il circolo portale

ed affluisce direttamente alla vena cava caudale. Quando è chiusa (stimolo parasimpatico), il sangue

fluisce attraverso i reni.

Cenni di fisiologia renale

Negli uccelli, così come nei rettili, l’escrezione dell’ammoniaca avviene previa conversione in

amminoacidi (glutamina, glicina, aspartato); tale processo metabolico, indubbiamente più

dispendioso dal punto di vista energetico, ha il vantaggio di eliminare i prodotti di scarto azotati

sotto forma di acido urico relativamente insolubile, non riassorbibile dalla cloaca nell’adulto o

dall’allantoide nell’embrione, e di consentire un ricircolo dell’acqua di trasporto nell’organismo e

un riassorbimento degli elettroliti.

L’urea d’altra parte è molto più solubile dell’acido urico; se rappresentasse il principale prodotto di

scarto degli embrioni di uccelli e rettili, sarebbe facilmente riassorbita dall’organismo raggiungendo

livelli ematici potenzialmente tossici.

Ammine e purine sono trasformate in acido urico prevalentemente nel fegato, ed a valori di pH

fisiologici formano sali solubili legandosi agli ioni NH4+, Na+ o K+. L’acido urico viene attivamente

escreto a livello tubulare, prevalentemente in forma di sale diidrato, in una sospensione acquosa

colloidale; tale sospensione è particolarmente ricca in proteine, che la rendono più stabile. Sia a

causa dell’importante quota proteica che per la possibilità di essere spinta verso il colon per

aumentare il riassorbimento d’acqua in caso di disidratazione, il peso specifico dell’urina non è un

attendibile indice di concentrazione urinaria.

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Solo una piccola parte (circa il 20%) degli scarti azotati viene eliminata sotto forma di ammonio o

urea tramite filtrazione glomerulare.

Gli uccelli sono comunque in grado di favorire l’escrezione di urea qualora sia prioritario un

risparmio energetico, come nel caso di ecosistemi molto freddi, o qualora ci sia disponibilità

d’acqua pressocchè illimitata (colibrì). D’altra parte le specie marine e quelle che vivono in

ambienti desertici hanno una maggiore quantità di nefroni midollari (fino al 40%) rispetto a quelle

che hanno libero accesso all’acqua dolce, e possono quindi produrre urine più concentrate. Molti

uccelli marini hanno inoltre una ghiandola nasale finalizzata all’escrezione del sodio e possono

sopravvivere bevedo acqua di mare, talvolta addirittura rifiutando l’acqua dolce.

Il tasso di filtrazione glomerulare e il riassorbimento tubulare sono regolati dall’ arginina vasotocina

(AVT), prodotta dalla neuroipofisi. La secrezione dell’ AVT è stimolata dall’aumento

dell’osmolarità dei fluidi extracellulari e, in minor misura, dalla diminuzione del volume degli

stessi. A basse dosi l’AVT agisce a livello tubulare, riducendo l’eliminazione d’acqua. Ad alte dosi

riduce il tasso di filtrazione glomerulare (GFR).

Nel nefrone aviario è presente il complesso juxtaglomerulare il quale, tramite il sistema renina-

angiotensina, promuove il riassorbimento di Na+, l’escrezione di K+, la diminuzione del GFR e la

diminuzione del flusso urinario come risposta alla diminuzione di volume ed elettroliti ematici. A

differenza dei mammiferi, il rilascio di aldosterone da parte delle ghiandole surrenali non è

stimolato dall’aumento di K+ ematico.

Gli uccelli producono anche l’ormone natriuretico atriale che promuove l’escrezione di Na+.

In risposta a shock, ipovolemia o stimolo simpatico, la valvola portale si apre e il flusso ematico

viene convogliato direttamente verso la vena cava. L’ipovolemia ed il conseguente aumento

dell’osmolarità stimolano il rilascio di AVT; ne consegue vasocostrizione delle arteriole

glomerulari afferenti dei nefroni corticali (quindi diminuzione del GFR nei nefroni in cui manca

l’ansa di Henle). Il sangue viene deviato verso il circolo peritubulare (che assicura escrezione di

acido urico nonostante la diminuzione del GFR) e verso i nefroni midollari (capaci di un maggiore

riassorbimento di acqua vista la presenza dell’ansa).

La disidratazione quindi non determina aumento del valore dell’acido urico ematico fin quando il

GFR non diminuisca al punto da rendere il flusso ematico impossibile attraverso il nefrone.

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Patologie renali

Le patologie renali negli uccelli sono relativamente frequenti e vanno dalle dalle patologie

congenite a quelle acquisite, spaziando dalle intossicazioni alle neoplasie, dalle infezioni ai processi

infiammatori.

Sebbene la diagnosi sia basata su anamnesi, visita clinica ed esami di laboratorio, spesso è

necessario ricorrere all’esame istopatologico per una diagnosi di certezza.

-Patologie congenite

Spesso non riportate ma occasionalmente riscontrate negli uccelli. Ipoplasia o aplasia renale sono

sporadiche e spesso rappresentano reperti autoptici occasionali. L’aplasia divisionale è frequente in

alcune razze di polli; la divisione craniale in genere è assente. In questi casi è di comune riscontro

l’ipertrofia del rene controlaterale. Cisti renali, singole o multiple, possono essere riscontrate e, nei

casi più gravi, possono dare insufficienza renale. Presso la nostra struttura abbiamo diagnosticato

una cisti renale del diametro di circa 2 cm in una cocorita (Melopsittacus undulatus); nonostante

una grave dispnea (di cui era responsabile anche versamento celomatico secondario ad un

osteocondrosarcoma, il livello di acido urico ematico del soggetto era nella norma e l’esame

istologico non ha rilevato alcuna alterazione del parenchima renale.

- Infezioni batteriche

Gli agenti infettivi possono raggiungere i reni per via discendente (prevalentemente ematogena ma

anche per contiguità) o ascendente (dagli ureteri). In entrambi i casi il rene può essere aumentato di

volume e presentare variabile grado di necrosi. In caso di nefriti batteriche i tubuli renali sono in

genere dilatati e pieni di cellule infiammatorie. Infezioni ascendenti acute sono caratterizzate da

abbondanti batteri nei tubuli e talvolta nell’interstizio. Evolvendo a nefrite cronica diventano

evidenti necrosi tubulare, formazione di cisti, fibrosi interstiziale ed infiltrazione di cellule

mononuclete. Le lesioni di origine ematogena invece interessano prevalentemente (inizialmente) i

glomeruli. In caso di gravi lesioni può comunque essere difficile capire se si tratta di infezioni

ascendenti o discendenti.

Fra i batteri potenzialmente responsabili di infezione renale i più rappresentati sono Stafilococchi e

Streptococchi. Fra gli altri, Enterobatteri, Listeria spp., Erysipelothrix rhusiopathiae, Pasteurella

spp. Micobatteri e Chlamidophila psittaci determinano in genere infezioni sistemiche. Raramenta

danno lesioni renali. Quelle da Micobatteri sono simili alle lesioni che interessano gli altri organi.

Le lesioni renali da C. psittaci sono caratterizzate da infiltrazione interstiziale di istiociti (spesso

con corpi intracellulari), plasmacellule e linfociti.

- Infezioni micotiche

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In genere i miceti invadono i reni per contiguità, come conseguenza di aerosacculiti. In qualche

caso emboli settici possono dare trombosi vasale. In questi casi il riscontro di ife fungine nelle

lesioni è diagnostico (Fig. 3).

- Infezioni virali

Infezioni da Adenovirus sono state segnalate in diverse specie di uccelli e possono determinare

nefromegalia; le lesioni microscopiche sono minime e vanno da infiltrazione interstiziale di cellule

mononucleate a vacuolizzazione e necrosi delle cellule epiteliali tubulari.

Le infezioni da Polyomavirus possono essere acute e causare moderata nefromegalia; è possibile

ritrovare il virus nei reni. A livello istopatologico le lesioni sono simili a quelle causate da

Adenovirus, ma è possibile distinguerle fra di loro grazie a differenti affinità tintoriali dei corpi

inclusi intranucleari. In pappagalli (esclusi i pappagallini ondulati) con poliomavirosi, è possibile

riscontrare lesioni renali primarie o secondarie. Circa il 70% di questi soggetti sviluppa una

glomerulopatia da immunocomplessi. Passeriformi con infezione da Polyomavirus possono

presentare sia lesioni tubulari che mesangiali.

Paramixivirus-1 nei piccioni può causare nefrite linfoplasmocitica interstiziale e necrosi tubulare.

Il West Nile virus (famiglia Flaviviridae), nel quadro di infezione generalizzata, può causare nefrite

interstiziale linfocitica.

Paramixovirus e Reovirus possono causare flogosi interstiziale.

Anche Coronavirus e virus dell’influenza A possono dare nefropatia.

- Malattie parassitarie

Isospora spp. Ed Eimeria spp. sono stati ritrovati nei reni di quasi tutte le specie di anatre e oche

selvatiche e in molte altre specie aviarie. Sono localizzati prevalentemente nelle cellule epiteliali dei

dotti collettori perilobulari, nei collettori midollari e nel lume tubulare. Le manifestazioni della

coccidiosi renale vanno da moderate alterazioni istologiche reperite casualmente, ad insufficienza

renale acuta e morte, come in giovani esemplari di edredone comune (Somateriae mollissima) e oca

domestica (Anser anser domestica).

In questi casi la mortalità dei gruppi sembra raggiungere l’80%.

Infezione da Criptosporidi (reni pallidi e megalici, proliferazione epiteliale tubulare) possono dare

quadri vari, da morte improvvisa, a dimagrimento, debolezza delle zampe e dispnea.

Encephalitozoon hellem è un protozoo potenzialmente responsabile di nefropatia. É stato riscontrato

in Agapornis spp., Melopsittacus undulatus, Amazona ochrocephala, Eclectus roratus e Serinus

canaria. Si localizza nel lume tubulare dando necrosi tubulare. Può causare insufficienza renale fino

a morte improvvisa.

Sarcosporidiosi sistemica può indurre nefrite interstiziale.

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Infestazioni da trematodi sono reperti occasionali o possono causare nefropatie in molti acquatici.

- Patologie infiammatorie ad eziologia sconosciuta

Sono state riportate rare glomerulopatie da immunocomplessi caratterizzate da proliferazione di

tessuto connettivo fibroso e sclerosi renale.

- Cause non infettive

Le patologie renali riconoscono numerose cause non infettive.

La disidratazione determina minore flusso urinario ed accumulo di acido urico nei tubuli. I

reni divengono radiograficamente più evidenti e macroscopicamente è possibile notare multiple

lesioni focali bianco-giallastre (Figura 2).

Disordini del metabolismo proteico possono portare ad aumenti della produzione di acido

urico, anche se non è chiaro se in questi casi si abbiano depositi.

Carenza di vitamina A porta a metaplasia squamosa dell’epitelio di ureteri e dotti collettori

e, in casi molto gravi, determina la trasformazione dell’epitelio ureterale in epitelio cheratinizzato.

Mineralizzazioni metastatiche dei reni possono essere conseguenza di errori alimentari

(soprattutto nei nidiacei), mentre lipidosi renale si riscontra in soggetti alimentati con diete troppo

grasse o in caso di patologie epatiche croniche.

Diete ricche in colesterolo sono associate a glomerulopatia proliferativa, fibrosi

periglomerulare, nefrite interstiziale multifocale e accumulo di grasso nelle cellule glomerulari nei

piccioni.

Amiloidosi renale, generalmente associata a depositi di amiloide in altri distretti, è di

frequente riscontro in passeriformi e specie acquatiche. I reni si presentano megalici, pallidi e

friabili. L’amiloide si deposita sulle pareti di arterie e arteriole e nelle membrane basali di glomeruli

e tubuli.

L’emocromatosi, oltre che colpire prevalentemente il fegato, puù dare accumulo di ferro

nelle cellule tubulari, senza comunque causare alterazioni infiammatorie o degenative.

Mioglobinuria e, più raramente, emoglobinuria possono causare nefrosi. In entrambi i casi i

reni diventano di colore bruno intenso. Si osserva degenerazione tubulare ed accumulo di materiale

eosinofilico amorfo che ricorda la mioglobina nei tubuli contorti prossimali e materiale eosinofilico

nei tubuli collettori.

- Nefropatie da intossicazione

In questo tipo di nefropatie l’anamnesi riveste un ruolo cruciale, poichè molte sostanze

nefrotossiche causano alterazioni macroscopiche e microscopiche simili.

L’eccesso di vitamina D3 causa eccessivo assorbimento di calcio alimentare e calcificazione

dei tessuti molli, reni compresi. Anche l’eccessiva quantita di calcio nella dieta si è dimostrata

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nefrotossica in quanto capace di determinare mineralizzazione renale (nele cocorite – Melopsittacus

undulatus – sembra essere addirittura più dannoso dell’ipervitaminosi D.

Gentamicina e, in minor misura, amikacina causano nefromegalia ed altre alterazioni

comuni ad altre cause di insufficienza renale.

Il piombo causa necrosi tubulare acuta, nefrosi, gotta viscerale ed, in alcuni casi, presenza

di corpi inclusi intranucleari. Anche zinco e, più raramente, cadmio, mercurio ed arsenico sono

responsabili di nefropatie.

Le micotossine, in particolare l’ocratossina A, prodotta da diverse specie di Aspergillus e

Penicillium, causano ingrandimento ed ipertrofia dei tubuli contorti prossimali (oltre che

degenerazione e vacuolizzazione degli epatociti). Tali intossicazioni possono colpire una grande

varietà di specie che si alimenti con granaglie o comunque alimenti ammuffiti. La manifestazione

clinica è caratterizzata da crescita stentata, disidratazione, nefromegalia, iperuricemia (la secrezione

di acido urico è gravemente compromessa) e conseguente gotta articolare.

Anche l’ingestione di quantità eccessive di sale da cucina può indurre problemi renali ed

indurre deposizione di urati e lesioni anatomopatologiche.

- Neoplasie

Piuttosto frequenti negli uccelli, ne sono particolarmente predisposte le cocorite.

Le neoplasie renali di più frequente riscontro nella classe aves sono, primo fra tutti carcinoma,

seguito da adenoma, nefroblasoma, cistadenoma, fibrosarcoma, linfosarcoma ed altri.

Il segno clinico più frequentemente assiciato a neoplasia renale è zoppia (o paralisi) mono o

bilaterale. Tali manifestazioni sono secondarie a compressione dei plessi nervosi lombari o sacrali,

che passano rispettivamente attraverso e dorsalmente al parenchima renale.

Il nefroblastoma è frequente nei polli, ma è stato riportato anche in pappagalli e passeriformi.

Generalmente monolaterale, può comunque essere bilaterale.

Il linfosarcoma di norma associato a processi neoplastici generalizzati.

Anche il melanoma maligno è fra le neoplasie che possono colpire i reni, ed in genere si manifesta

come proliferazione neoplastica multicentrica.

Occasionalmente si riportano metastasi.

- Urolitiasi

In medicina aviaria per urolitiasi si intende la presenza di conglomerati di urati negli ureteri.

Prevalentemente riscontrate in pollastre e galline ovaiole (e segnalata raramente in altre specie), può

determinare calo di deposizione ed evolvere fino alla morte. All’urolitiasi consegue

ipotrofia/atrofia del parenchima renale ipsilaterale ed ipertrofia compensatoria (non sempre) del

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rene controlaterale. Le corrispondenti lesioni istologiche sono glomerulonefrite, nefrosi tubulare,

ureterite.

Gli ureteroliti sono costituiti da acido urico, calcio, ammonio e urati.

Fra i fattori predisponenti si riconoscono disidratazione, eccesso alimentare di calcio, squilibri

elettrolitici e nefrite associate ad infezione da Coronavirus (Bronchite Infettiva).

Sebbene rara, anche fra i pappagalli è stata segnalata l’urolitiasi (Amazona ochrocephala).

Potenziali conseguenze delle nefropatie

Poichè i reni sono organi dinami, direttamente o indirettamente associati ad altri sistemi corporei, le

patologie renali possono indurre ad altri processi patologici.

- Ipercoagulabilità: attivazione ed aggregazione piastrinica conseguono all’interazione

antigene-anticorpo attivata dal complemento e a danni dell’endotelio vasale renale. Le

piastrine attivate possono a loro volta rilasciare fattori infiammatori e vasoattivi, fattori che

stimolano la crescita cellulare e che attivano la coagulazione. La conseguenza di ciò è

rappresentata da ispessimento (fino a ialinizzazione e sclerosi) della membrana basale

glomerulare e formazione di trombi (anche se piuttosto raramente rispetto alle nefropatie dei

mammiferi).

- Gotta: consiste nella deposizione di sali di acido urico (prevalentemente sali sodici) come

conseguenza di una diminuita eliminazione dello stesso (a causa di disidratazione,

nefropatie, ostruzione degli ureteri). La deposizione avviene a livello di visceri (pericardio,

fegato, milza, lamina propria di proventriglio, ventriglio e intestino, reni, ma potenzialmente

riscontrabile in tutti gli organi) e articolazioni (capsule sinoviali e guaine tendinee). Le

articolazioni più colpite sono la metatarso-falangea e le interdigitali. La gotta articolare si

presenta sottoforma di masse biancastre, cedevoli e molto dolenti (Figura 2).

Nello stesso soggetto possono aversi depositi viscerali ed articolari.

E’ stata segnalata gotta articolare sponanea in animali che non avevano alcuna patologia

renale concomitante; tale forma di gotta sembra essere di natura ereditaria, almeno nei polli.

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Figura 1: Amazona amazonica deceduta per grave disidratazione

Figura 2: Melopsittacus undulatus con gotta articolare

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Figura 3: Trichoglossus haematodus, nefropatia da micotossine

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Improvvisa paralisi delle zampe di un astore (Accipiter gentilis)

Marco Luparello, DVM

Mikel Sabater Gonzalez, LV,MRCVS Resident, European College of Zoological Medicine (Avian)

Caso clinico

Una femmina di astore (Accipiter gentilis) di 13 anni non imprintata veniva visitata in emergenza perchè improvvisamente incapace di mantenere la stazione. L’animale aveva finito la muta da poco; tre giorni prima il proprietario aveva iniziato l’allenamento e cambiato la dieta per ridurre il peso per la stagione di volo. La dieta era costituita da quaglie intere e pulcini di un giorno. Il proprietario riferiva che l’ingestione di corpi estranei metallici era improbabile e che non sapeva se l’astore aveva urinato e/o defecato normalmente negli ultimi giorni.

Visita clinica

All’esame clinico l’animale aveva una BCS di 2/5 ed il peso era di 930 grammi; l’astore era vigile ma giaceva in decubito sternale, con la coda deviata sulla sinistra. Sulla palpebra sinistra si rilevava una piccola ferita. All’ispezione della cloaca era evidente la fuoriuscita di una moderata quantità di fluido brunastro limpido. Diagnosi differenziali Fra le cause potenzialmente responsabili di paresi/paralisi delle zampe negli uccelli si annoverano infezioni virali (Paramixovirus, Polyoma virus, Reovirus, PDS), batteriche (Chlamidophila

psittaci), e fungine (Aspergillus spp.), intossicazioni (metalli pesanti – piombo e zinco in particolare -, organofosfati), patologie metaboliche/nutrizionali (ipocalcemia, ipoglicemia, carenze di vitamina B1/E, encefalopatia epatica, aterosclerosi, crampi, vasculopatie del SNC), lesioni al midollo spinale (neoplasie, infarti, granulomi, lussazioni/fratture vertebrali).

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Figura 4

Approccio diagnostico/terapeutico Il soggetto veniva anestetizzato con isofluorano al 5%, intubato con tracheotubo non cuffiato da 3,5 mm e mantenuto con isofluorano all’1,5-3%. Veniva prelevato un campione ematico, un campione di fluido dalla cloaca, inserito un catetere endovenoso nella vena ulnare destra e fissato con due punti di sutura, somministrati fluidi (un bolo da 10 ml/kg di soluzione fisiologica supplementata con Duphalite infusa nell’arco di 10 minuti) e fatte due radiografie nelle proiezioni ventro-dorsale e latero-laterale. (Vedi tabelle e figure 2 e 3 allegate). Veniva inoltre effettuato un esame copromicroscopico.

Figura 5

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Figura 6

Parametro Unità di misura

Valore campione

Minimo Max

HCT % 42 43 53

WBC *109/L 8,45 4 11

Eterofili *109/L 6,27 3,5 7

Linfociti *109/L 0,67 1,38 1,9

Monociti *109/L 0,76 0 0,1

Eosinofili *109/L 0,67 0 0,7

Basofili *109/L 0,08 0 0,4

Piastrine *109/L 452

Parametro Unità

di misura

Valore campione

Minimo Max

Albumine g/dL 0,9 0,88 1,24

Globuline g/dL 1,6 1,8 2,92

PT g/dL 2,5 2,63 4,2

Glucosio mg/dL 418 207 286

CK UI/L 150 218 775

LDH UI/L 4221 120 906

AST UI/L 5 176 409

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Ac. Urico mg/dL 17,6 8,59 14,4

Fosforo mg/dL 5,54 2,74 6,09

Calcio mg/dL 8,4 8,6 10,8

Colesterolo mg/dL 158,3 154,4 444

Zinco Umol/L 4 0 32

Discussione esito esami di laboratorio La moderata anemia potrebbe essere attribuita a malnutrizione o patologia cronica. L’aumento dell’LDH è generalmente attribuibile a recente danno epatico o muscolare; un aumento persistente dell’LDH, soprattutto se non associato ad aumento dell’ CK, è indicativo di epatopatia. In questo caso la diminuzione dell’AST potrebbe essere secondaria a perdita di massa muscolare. L’iperglicemia è attribuibile allo stress, l’aumento di acido urico a disidratazione spinta o, più in generale a nefropatia. L’esame del fluido prelevato dalla cloaca rivela possibile mioglobinuria (dipstick positivo per emoglobina, siero non emolitico). Nessuna forma parassitaria rilevata all’esame copromicroscopico. L’esame radiografico evidenzia bilaterale aumento di volume e radiopacità dei poli craniali dei reni (stato infiammatorio, disidratazione con conseguente accumulo di acido urico). L’ombra cardiaca è di dimensioni normali. L’aumento di radiopacità dei grossi vasi alla base del cuore suggerisce moderata aterosclerosi. Si notano chiaramente alterazioni osteoartritiche-osteoartrosiche vertebrali a livello toracico. Il ventriglio presenta contenuto alimentare e due piccole particelle molto radiodense. La cloaca è distesa e si presenta più radiodensa della norma (urati). Sospetti diagnostici Le più probabili diagnosi differenziali tenute in considerazione in questo caso clinico sono state: - Compressione del nervo sciatico per organo megalia (reni); - Lesioni della colonna vertebrale (osteoartrite, osteoartrosi); - Malattie metaboliche (rabdomiolisi, carenze vitaminiche); - Crampi - Paralisi da zecche - “Goshawk Paralysis” Evoluzione clinica L’astore veniva ricoverato in incubatrice. Manifestava estrema debolezza per circa 30 minuti dopo la manipolazione e somministrazione del bolo di fluidi.

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La terapia iniziale consisteva in: - Fluidoterapia (soluzione di Hartmann con Duphalite dosato per somministrare 30 mg/kg di Tiamina in 3 giorni)(1). - Acidi grassi essenziali Omega3-Omega6 (0,25 ml/kg q24h) - Allopurinolo 15 mg/kg PO SID (1) - Marbofloxacina 10 mg/kg BID (IM la prima somministrazione, PO successivamente) (1) - Emeraid Critical Care Formula for Carnivores (tube feeding; dosi secondo istruzioni della casa); La stessa sera l’animale si presentava vigile, ma manteneva il decubito sternale. La mattina dopo iniziava a defecare ed urinare ma non era ancora in grado di stare in stazione; il peso era di 880 grammi. Continuava a non alimentarsi autonomamente. Si modifcava la terapia aggiungendo Ossitetraciclina (50 mg/kg PO BID per 7 giorni) (1) per l’eventuale paralisi da zecche (la lesione palpebrale alimentava il sospetto), Itraconazolo (10 mg/kg PO SID) (1) come prevenzione contro l’aspergillosi poichè l’astore è fra le specie maggiormente predisposte a svilupparla in seguito ad eventi stressanti quali trasporto, patologie primarie, immunodepressione da farmaci. Il terzo giorno l’astore cominciava a mantenere la stazione, anche se ancora instabile. La coda era ancora deviata lateralmente. Veniva somministrata l’ultima dose di Duphalite. La stessa sera iniziava ad alimentarsi (una quaglia e un pulcino senza testa nè zampe). Il quarto giorno non solo manteneva la stazione, ma era perfettamente in grado di stare sulla pertica; la coda si manteneva comunque deviata. Il peso era di 930 grammi. Si interrompeva l’alimentazione forzata e ri ripeteva il profilo biochimico: il valore di LDH era sensibilmente diminuito, quello dell’acido urico aumentato (possibilmente a causa della nefrotossicità da mioglobina o dei pasti recenti – vista la situazione, si riteneva infatti controproducente un digiuno di 24 ore prima di effettuare un altro prelievo ematico). Il soggetto veniva dimesso, programmando un ulteriore controllo dei parametri renali dopo una settimana (salvo inattesi peggioramenti). Si consigliava al proprietario di tenere l’animale in una voliera spaziosa, di migliorare la dieta e soprattutto di evitare di sottoporre l’astore ad allenamenti troppo intensi una volta guarito.

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Figura 7

Discussione La “Goshawk paralisys” è stata descritta (6 e 7) come una sindrome che colpisce prevalentemente astori allevati in cattive condizioni generali e che ricominciano a volare dopo un periodo di inattività. Questi soggetti inizialmente manifestano improvvisa zoppia o stiffness monolaterale, nonostante mantengano comunque un buon tono muscolare nella zampa. La zoppia si estende all’altra zampa nell’arco di 24 ore; la sensibilità sembra comunque mantenuta, sebbene ridotta. Gli animali stanno sui tarsi, continuano a nutrirsi per diversi giorni prima che si debilitino ulteriormente fino al decesso. In alcuni casi i soggetti non riescono ad urinare e defecare. Sembra che l’origine del problema stia in un’improvvisa ed esagerata sollecitazione della colonna vertebrale. Dopo un periodo di inattività infatti, la muscolatura che supporta l’articolazione fra l’ultima vertebra toracica ed il sinsacro è ipotrofica; quando inizia l’allenamento, il momento in cui l’astore si posa su un ramo - soprattutto se in spazi non adeguati - rappresenta uno stress eccessivo per la colonna, che spesso esita in una sublussazione della suddetta articolazione. Lo stato infiammatorio che ne consegue determinerebbe la manifestazione clinica(7). Il caso clinico esaminato, sebbene abbastanza tipico come “Goshawk paralisys”, imponeva comunque approfondimenti diagnostici visto che le lesioni riscontrate suggerivano altre possibili patologie responsabili (paralisi da zecche, lesioni vertebrali, ipovitaminosi B, rabdomiolisi, intossicazione da metalli pesanti). Esami autoptici effettuati su animali deceduti con tale quadro paralitico possono presentare petecchie emorragiche del midollo spinale a livello del sinsacro, ma possono anche non presentare alcuna lesione specifica (7). Il trattamento suggerito prevede fluidoterapia, alimentazione forzata, integrazione di vitamina B1 e antinfiammatori steroidei. Poichè l’efficacia di vitamina B1 e di corticosteroidi nel trattamento di tale patologia risulta discutibile, e tenuto conto della predisposizione dell’astore a sviluppare

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aspergillosi, nel caso clinico in esame si è optato per la somministrazione di FANS (evitando l’effetto immunosoppressivo dei corticosteroidi). La terapia somministrata ha incluso anche ossitetraciclina (contro parassiti ematici), itraconazolo (come prevenzione dello sviluppo di aspergillosi), acidi grassi essenziali ed allopurinolo (per trattare la nefropatia) Nel nostro caso clinico anamnesi, sintomi e risposta alla terapia sono fortemente indicativi di “Goshawk paralisys”. Data la mancanza di alcuni approfondimenti diagnostici (RM, TC, livelli ematici di piombo e test specifici per la mioglobinuria) non si può comunque escludere che più agenti eziologici fossero contemporaneamente implicati nel determinare il quadro clinico. Bibliografia

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L’IMPIEGO DELLA ECOGRAFIA NELL’ALLEVAMENTO DEGLI OFIDI

P. Silvestre

Da anni ormai l’allevamento degli ofidi è diventato comune, e ciò ha portato alla nascita di

molteplici realtà, dai piccoli neofiti che detengono pochi esemplari come animali pet, fino ai grandi

progetti anche per la reintroduzione in natura per la quale vengono investiti ingenti capitali.

I serpenti appartengono all’ordine degli squamati, l’ordine comprende 3200 specie raggruppate in 3

infraordini.

Nell’infraordine Aletinophridia e Caenophida troviamo le famiglie che ospitano le specie di

maggiore allevamento e cioè: Boa Constrictor,per la famiglia dei boinae, il pitone reale per le

famiglie dei pythoninae e l’ElapheGuttata per le famiglie dei colubridi.

Esistono due tipi di allevamento: amatoriale in cui gli animali vengono ospitati in genere in teche di

grosse dimensioni ,arredate simulando le condizioni naturali, soprattutto per passione e quindi come

animali pet o per esposizione nei giardini zoologici e quello intensivo che rappresenta un vero e

proprio lavoro in cui gli animali vengono stabulati secondo il metodo racksystem.

Una regola fondamentale nella stabulazione di un serpente è quella di rispettare, per lo meno, la

seguente formula e cioè:

lato lungo del terrario+ lato corto = lunghezza del serpente

Tuttavia per una riproduzione di successo bisogna comprendere in modo accurato la fisiologia

generale della riproduzione e tutte le criticità delle tecniche di allevamento. Tutto ciò è essenziale

per l’esatta diagnosi e conseguente trattamento di patologie e tecnopatie inerenti queste categorie di

animali. Queste nozioni e competenze infondo fiducia negli utenti che confidano nelle capacità del

veterinario esperto in medicina degli animali esotici e non convenzionali.

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Come si può facilmente immaginare l’anatomia e la fisiologia di queste specie presenta notevoli

differenze con quella comunemente studiata nei mammiferi.

La struttura generale degli ofidi è caratterizzata dalla mancanza degli arti e da un corpo

estremamente allungato, conformazione a cui si sono perfettamente adattati gli organi interni tutti

accolti nell’unica cavità presente quella celomatica.

LE GONADI

Le gonadi dei rettili ,testicoli e ovaie, sono organi pari e sono generali dalla cresta germinale. Sono

posti nella parte addominale della cavità celomatica e in molte specie si trovano in prossimità dei

poli craniali dei reni (Cheloni, Coccodrilli e molte lucertole) nei serpenti invece le gonadi sono

caudali alla cistifellea.

I testicoli della maggior parte dei serpenti sono lisci e di forma ovoidale, in generale, le dimensioni

variano stagionalmente con un aumento che corrisponde alla spermatogenesi. Nei serpenti che

passano l’inverno in letargo i testicoli possono avere la massima dimensione nel periodo di inizio

primavera mentre negli altri a inizio estate. In genere il testicolo destro è più craniale di quello di

sinistra ed entrambi sono adiacenti al piccolo intestino.

Nella femmina sono presenti una coppia di ovaie e un paio di ovidotti, la posizione delle ovaie è

varia ma in genere sono vicine alla cistifellea. Le ovaie dei serpenti sono allungate, possono

contenere una gerarchia di follicoli in differenti stati di sviluppo e atresia. I follicoli in stato

vitellogenico regrediscono se non riescono ad entrare negli ovidotti e a sviluppare un guscio. Lo

sviluppo follicolare è influenzato dalle stagioni.

La vitellogenesi si riferisce all’accumulo di tuorlo intorno all’ovocita sviluppato, seguito dalla

sintesi del tuorlo da parte del fegato. I follicoli pre-vitellogenici sono sprovvisti di tuorlo.

L’inizio della maturità sessuale nella maggior parte dei rettili è principalmente determinata dalla

taglia, mentre l’età gioca un ruolo meno significativo. La dieta può variare notevolmente in cattività

e come risultato la maturazione sessuale di molti rettili può avvenire a delle età notevolmente

differenti. Per esempio, i Boa Constrictor , possono essere spinti rapidamente nella crescita a quasi

2 metri a 18 mesi d’età e fatti riprodurre a23 mesi, contrariamente alcuni esperti considerano

riproduttivamente maturi Boa di 10 anni sani e lunghi meno di 1 metro. Quindi la variazione

interspecifica nella maturazione della taglia è più importante di quella della velocità di crescita.

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Nonostante ciò è possibile garantire per la maggior parte dei serpenti nati in cattività la maturità

sessuale in 2 o 3 anni.

L’inizio della stagione riproduttiva è molto spesso seguito da uno o più stimoli ambientali. Lo

stimolo più comune per la riproduzione è il cambiamento di temperatura ma anche la pressione

atmosferica gioca un ruolo importante sia negli accoppiamenti che nei parti. Infatti molte specie di

serpenti basano il proprio ciclo riproduttivo sulle piogge e sul tasso di umidità ambientale piuttosto

che sulla temperatura. La riproduzione può essere però inibita da tanti fattori in primis

l’insufficienza di riserve di energia infatti, i serpenti sono principalmente allevati in modo che le

quantità di energia necessarie alla riproduzione derivino dalle riserve di grasso piuttosto che dal

cibo ingerito. Infatti se le femmine non hanno riserve sufficienti esse non procreano durante quella

stagione. Tale modalità fa in modo che la femmina possa completare lo sforzo riproduttivo senza

consumare alcun pasto e ciò ha un’importanza fondamentale quando la disponibilità di cibo è

incerta.

La fecondazione dei rettili è interna e l’ovulazione è indotta dal coito. La copulazione avviene con

uno o entrambi emipeni inseriti nella cloaca della femmina, essa può durare da pochi minuti ai un

massimo di giorni, ad esempio il Pitone reale può effettuare copule continue anche di 24 ore

consecutive , alternando gli ingressi degli emipeni. L’accoppiamento è preceduto dal

corteggiamento, il maschio utilizza il suo corpo e specialmente la coda per stimolare tattilmente la

femmina.

Nel Pitone Reale allevato in cattività occorrono da un minimo ad un massimo di 12-15 copule

affinché la femmina raggiunga l’ovulazione. Essa in molte specie è visualizzabile esternamente

come un rigonfiamento omogeneo della parte caudale del terzo medio dell’animale riconducibile

proprio alla posizione anatomica delle ovaie, esso può durare anche 24 ore. Dopo la copulazione lo

sperma è trattenuto dalla femmina.

In alcuni serpenti come del genere Elaphe o Lampropeltis può avvenire una seconda covata, senza

alcun amplesso.

Il PithonRegius ovula circa 10-30 giorni dopo l’accoppiamento, a circa 20 giorni dall’ovulazione

effettua una muta pre-deposizione e circa 30 giorni dopo la muta depone. Quindi la gestazione è di

circa 50-55 giorni.

La maggior parte dei serpenti allevati in cattività, prima degli accoppiamenti, vengono sottoposti ad

un periodo chiamato brumazione o latenza che in genere prevede un graduale abbassamento delle

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temperature e una completo digiuno. La lunghezza di questo periodo varia anche in base alle specie

allevate così come le temperature. Tutto questo contribuisce in modo inequivocabile alla

maturazione delle gonadi.

PERCHÉ USARE L’ECOGRAFIA IN ALLEVAMENTO?

Perché è una tecnica diagnostica di assoluta non invasività che ci consente soprattutto di migliorare

quello che è il management riproduttivo.

L’ecografica infatti, è una tecnica di diagnostica per immagini basata sugli echi prodotti da un

fascio di ultrasuoni che attraversano un organo o un tessuto.

La sua diffusione è stata favorita soprattutto dalla sensibilità diagnostica su organi costituiti da

tessuti molli. Il suo limite è rappresentato dal fatto che è operatore dipendente. Un ecografo è

costituito da una sonda che trasmette e riceve il segnale e un sistema elettronico che tratta il segnale

ricevuto convertendolo in segnale digitale.

In genere per migliorare la risoluzione dell’immagine vengono utilizzate sonde con frequenza molto

elevata inserpenti di piccole dimensioni, dove occorre un moderato potere di penetrazione e

viceversa nei serpenti di grosse dimensioni.

Il soggetto può essere posizionato in decubito ventro-dorsale o dorso-ventrale, quest’ultima è una

posizione più naturale per l’animale che di conseguenza tenderà ad agitarsi meno durante l’esame.

L’esame ecografico può durare diverse decine di minuti e come sappiamo i rettili sono animali

eterotermi, per tanto è necessario scaldare il gel per evitare abbassamenti di temperatura pericolosi

per la salute degli animali. Per ottimizzare la visione delle immagini il gel dev’essere applicato in

più momenti in modo da riempire gli spazi tra le squame e limitare gli ostacoli. Un’ottima soluzione

è quella di eseguire l’esame immergendo il soggetto in acqua tiepida. In questo modo l’aria

intrappolata viene espulsa completamente consentendo una migliore visione. Avendo la sonda

immersa in acqua, qualora l’animale dovesse allontanarsi da essa l’acqua consente di poter

proseguire l’esame rendendolo più continuo e quindi più efficace.

MATERIALI E METODI

Scopo del presente lavoro è quello di migliorare il management riproduttivo di specie non

convenzionali come il PythonRegius ed effettuare diagnosi di gravidanza in maniera sempre più

avanzata.

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Presso l’allevamento amatoriale La Fattoria2004 sono stai presi in esame 10 esemplari femmina di

P. Regius compresi tra i 3 e i 7 anni, con un peso variabile tra 1,5 e 2,4 Kg.

Dopo la brumazione è stata intensificata l’alimentazione, la presenza del maschio era costante e il

momento dell’accoppiamento veniva registrato dall’allevatore. L’esame ultrasonografico è stato

eseguito impiegando un ecografo MyLab 30 Gold Esaote munito di 2 sonde una microconvex da 5-

8Mhz e una lineare da 10-18 Mhz. L’ovaio è stato individuato usando come punto di repere la

colecisti, esso infatti si trova 1-2 cm posteriormente, medialmente o lateralmente ad esso, quindi

anche nel P.Regius, come in tutti i serpenti, la gonade è craniale al rene, mentre nei mammiferi

sappiamo che è sempre caudale ai reni.

Sono state impiegate solo scansioni longitudinali viste le ridotte dimensione dell’asse trasversale

delle gonadi. I follicoli evidenziati vengono divisi in fase pre e post vitellogenica, non solo in base

alle dimensioni ma anche in base alla ecogenicità che è indirettamente proporzionale al liquido che

contengono di conseguenza, i follicoli più immaturi contengono maggior liquido e quindi appaiono

meno ecogeni.

Siamo inoltre riusciti a mostrare e monitorare con l’ausilio del Power-Doppler, un anello vascolare

che circonda tutti i follicoli destinati a svilupparsi e che quindi può rappresentare un valido metodo

per scartare quelli che andranno di sicuro incontro ad atrofia.

Dopo il periodo di brumazione i follicoli hanno una dimensione di circa 0,1-0,2cm (misurazione di

più diametri), si accrescono fino a 0,8-0,9 cm già con il ripristino della temperatura e

dell’alimentazione.

Si è osservato che la presenza del maschio, senza effettuare copule, determina una crescita che va

fino a 1,5 cm. Sono poi le numerose copule che determinano l’ovulazione con una crescita

follicolare fino o oltre a 4,5 cm. È stato importante, durante i vari step, monitorare la vitalità degli

embrioni o dei feti osservando una precocissima attività cardiaca, sempre con l’ausilio del Doppler,

che è risultata essere già presente negli ovipari poco prima della deposizione e durante la

formazione del guscio.

Parallelamente sono state eseguite delle ecografie anche in animali ovovivipari come il Boa

Constrictor e si è osservato come sia ancora più facile in alcuni momenti della gravidanza

monitorare la vitalità di feti, osservando, ovviamente, il completo sviluppo scheletrico e

l’indipendenza del piccolo dalle strutture di connessione materna.

RISULTATI

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L’esame ecografico per la sua non invasività e per la sua versatilità è considerato una tecnica adatta

alla valutazione della cavità celomatica dei rettili. Clinicamente, quindi, l’ecografia può essere

utilizzate per distinguere gli stadi dello sviluppo follicolare, inclusa l’inattività delle gonadi, la

vitellogenesi, l’ovulazione e anche lo sviluppo del guscio o del feto. Soprattutto l’esame

ultrasonografico nell’allevamento degli ofidi interviene nel determinare il momento di massima

fertilità per ottenere l’accoppiamento con il maschio più idoneo, pratica già in uso tra gli allevatori

che intendono portare avanti combinazioni genetiche aventi lo scopo di selezionare colorazioni

piuttosto costose, evitando anche eccessivo stress dei maschi.

La nascita, inoltre, può ragionevolmente essere predetta monitorando la perdita del tuorlo che in

genere avviene una settimana dopo che il tuorlo non è più rilevabile.

Per quanto concerne gli sviluppi futuri, contemporaneamente al monitoraggio ecografico, sono stati

prelevati campioni di feci e di muta che verranno processati per la ricerca di estrogeni e

progestinici. S’intende comparare i dati con le nostre immagini ecografiche allo scopo di riuscire ad

associare la crescita dei follicoli e lo sviluppo delle camere gestazionali con precisi livelli ormonali.

Inoltre, vista sempre la scarsità di informazioni presenti in letteratura, intendiamo intraprendere un

maggior approfondimento riguardo le varie strutture pseudo placentari che sono state osservate

durante i vari step ecografici. In particolare si vorrà comparare la più completa vascolarizzazione in

direzione materno-fetale dei serpenti ovovivipari con quella meno evoluta degli ovipari, al fine di

chiarire il concetto di placentazione in queste specie.

Durante il nostro lavoro abbiamo potuto osservare in animali ovovivipari poderosi flussi ematici

provenienti dall’arteria ombelicale del feto che si congiungono ad una struttura sovrastante

sicuramente di tipo placentare.

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Pasquale Silvestre DVM

Lo Zoo di Napoli s.r.l. , Napoli

[email protected]

[email protected]