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L’esame endoscopico della cloaca nei cheloni:tecniche ed applicazioni cliniche.
Prof. Filippo Spadola - DVM – PhD
Professore Associato (SSD 07/H5 – Cliniche Chirurgica e Ostetrica Veterinaria)
Dipartimento di Scienze Veterinarie, Polo didattico S.S. Annunziata, 98168 Messina, Italy.
La cloaca rappresenta uno degli organi meno studiati dal punto di vista morfo-funzionale soprattutto
per quanto riguarda le numerose specie di cheloni e le relative differenze anatomiche. Inoltre la
cloaca può esporsi con una certa frequenza a patologie più o meno gravi come semplici infezioni,
infestazioni parassitarie, urolitiasi, neoplasie, corpi estranei, traumatismi, occlusioni, prolassi e
lesioni da monta.
Prima di trattare l’esame endoscopico è opportuno considerare l’anatomia della cloaca con le varie
differenze tra cheloni. I cheloni hanno le gonadi situate nella porzione anteriore dorsale del celoma
caudalmente ai reni. Le femmine hanno una coppia di gonadi e di ovidotti. I follicoli ovarici maturi
pieni di tuorlo si sviluppano periodicamente, spesso stagionalmente. Dopo l'ovulazione, gli ovuli
entrano nell’ovidotto dove vengono fecondati, e l’albume, le membrane guscio e il guscio dell'uovo
sono prodotti. Gli ovidotti sboccano nella cloaca dorsolateralmente. Prima della deposizione delle
uova, le uova sono conservate negli ovidotti. In media, la maggior parte delle specie conservano le
loro uova per 1 o 2 mesi prima della deposizione. La dimensione della covata, la dimensione delle
uova, il tipo di uovo, e la frequenza d’annidamento variano tra le specie. Le uova hanno il guscio
calcareo e duro, oppure coriaceo e flessibile, secondo la specie. Le tartarughe, rappresentano i
ciclotremi, la cui cloaca sbocca all’esterno tramite un’apertura circolare, a differenza dei sauri
(Plagiotremi) nei quali tale orifizio si presenta trasversale. La cloaca è suddivisa in tre regioni che,
procedendo cranio-caudalmente, prendono il nome di coprodeo, nel quale sfocia l’intestino
terminale, urodeo, che è la porzione della cloaca che accoglie lo sbocco dell’uretra, degli ureteri, dei
deferenti-ovidutti, e proctodeo, che rappresenta la porzione più caudale che contrae rapporti con gli
organi copulatori. Il coprodeo è nettamente separato dall’urodeo da due pieghe che dividono la
cloaca in due docce: una superiore, che accoglie il retto, ed una inferiore; formata da due sottili
muscoli che convergono medio-dorsalmente, ricevendo gli ureteri, i deferenti-ovidutti e, all’apice
del cuneo formato dai suddetti muscoli, lo sbocco della vescica, così da formare, in alcune specie,
un vero e proprio abbozzo di seno urogenitale, non completamente separato dal coprodeo. In alcune
tartarughe acquatiche, di fronte al seno urogenitale, sono presenti dei sacchi, vescicole accessorie,
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che comunicano con la cloaca attraverso un ampio orifizio e vengono considerate come particolari
formazioni che, riempiendosi di aria o di acqua, fanno aumentare il peso specifico dell’animale ed
inoltre pare partecipino agli scambi gassosi durante la respirazione anaerobica. Il pene si trova
dentro la cloaca in posizione ventrale, ed è possibile osservare l’organo della copula in entrambi i
sessi, poiché nella femmina è rudimentale (clitoride). Il pene, appiattito dorso-ventralmente, è
costituito da un cercine impari della mucosa ventrale della cloaca, che porta sulla sua superficie un
solco mediano, detto seminale poiché permette il passaggio del liquido omonimo. Il solco, nel suo
percorso, tramite due pieghe della mucosa cloacale, può chiudersi così da formare, durante il coito,
un canale. In questi animali l’organo presenta una terminazione libera, che in alcune specie si può
chiaramente distinguere dalla porzione adesa alla parete della cloaca. Tale terminazione, nel genere
Trionyx, è formata da cinque punte, ciascuna delle quali riceve un ramo del dotto seminale. In altre
testuggini è possibile riscontrare un vero e proprio glande, diviso dal resto dell’organo da alcuni
cercini semilunari. La cloaca non riveste soltanto la funzione di deposito dell’urina, delle feci e dei
gameti, ma partecipa attivamente al mantenimento dell’equilibrio idrico-salino dell’organismo.
L’acido urico, presente negli ureteri sotto forma di liquido chiaro e ricco di muco, arriva
nell’urodeo (e/o vescica) e successivamente nel coprodeo e nella porzione terminale dell’intestino,
dove avrà luogo l’assorbimento dell’acqua e la precipitazione degli urati (poltiglia bianca) che
vengono mescolati con le feci.
Prima di procedere ad un accurato esame dell’organo in discussione, è opportuna l’osservazione
d’insieme dell’animale con l’esame semiologico. L’esame obiettivo particolare deve essere
composto da una accurata ispezione dell’organo interessato, da una palpazione ed eventualmente da
esami strumentali collaterali che favoriscano la formulazione di una diagnosi. In particolare per
quanto concerne l’esame della cloaca bisogna effettuare una ispezione esterna e una interna, con
l’aiuto di un vaginoscopio per gatti o con una pinza che agevoli l’apertura dello sfintere, una
palpazione bidigitale esterna e successivamente esami specifici, quali l’esame radiografico con
mezzo di contrasto e una cloacoscopia preferibilmente con endoscopio rigido. Per l’esame
radiografico è opportuno utilizzare un apparecchio radiologico mobile, con braccio oscillante
capace di orientare l’asse dei raggi fotonici in tutte le posizioni desiderate. L’animale viene
posizionato su un supporto radiotrasparente cilindrico, così da non permettergli movimenti.
L’apparecchio radiologico deve essere posizionato in maniera da orientare i raggi orizzontalmente e
la cassetta radiologica deve essere posizionata verticalmente, posteriormente all’animale. Posizione
questa che si può ottenere con uno stativo che mantenga la cassetta verticalmente. Il mezzo di
contrasto utilizzabile non è il bario, elemento che può provocare delle ostruzioni a livello degli
ureteri. E’ pertanto consigliabile un clisma opaco con un mezzo di contrasto iodato. Le proiezioni
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da utilizzare sono la L-L e la V-D che consentono di visualizzare tutta la cavità cloacale. Nelle
tartarughe di grosse dimensioni è possibile eseguire una ecografia attraverso le finestre acustiche
posteriori. Tale metodica, non invasiva, ci aiuta a visualizzare le strutture annesse alla cloaca come
la vescica e le vesciche accessorie nelle tartarughe d’acqua. L’esame endoscopico e nella fattispecie
la cloacoscopia, è un ottimo metodo poco invasivo per la diagnosi delle principali patologie della
cloaca e delle strutture ad essa annesse. Ad esempio in corso di cloacite, l’endoscopia risulta utile
per valutare l’estensione del processo flogistico. La ritenzione di uova può essere diagnosticata con
la cloacoscopia così come alterazioni degli ovidotti, calcoli cloacali e neoplasie. L’endoscopia
quindi ci può fornire molte informazioni diagnostiche, che non possono altrimenti essere ottenute
nelle tartarughe a causa del carapace. Questa tecnica inoltre può risultare utile per la determinazione
del sesso e per la somministrazione locale di farmaci.
Numerose sono le patologie che è possibile diagnosticare a livello della cloaca e dei suoi organi
annessi. Una delle più frequenti lesioni è la cloacite, processo infiammatorio della cloaca,
caratterizzato principalmente da iperemia della mucosa cloacale, con presenza di essudato più o
meno denso, spesso misto a sangue vivo, che può fuoriuscire dallo sfintere cloacale.
L’infiammazione della cloaca rappresenta il primo sintomo riscontrabile nella maggior parte delle
lesioni di tale apparato. L’eziopatogenesi è legata soprattutto a microlesioni traumatiche delle
mucose, che sono da attribuire alla presenza di corpi estranei, a parassiti cloacali o intestinali, a
ripetuti accoppiamenti, alla presenza di neoformazioni, a prolassi, a ritenzioni di uova, a calcoli ecc.
Queste patologie favoriscono la formazione di lesioni che, per irruzione secondaria di batteri, vanno
incontro ad un processo flogistico. La cloacite può evolvere in una ipertrofia della cloaca o in una
cloacite ulcerativa. Le parassitosi provocano quasi sempre una cloacite, con alterazione dello stato
del sensorio e delle grandi funzioni organiche dell’animale. I parassiti cloacali più frequenti,
secondo i dati della letteratura, sono gli acari. Inoltre parassiti del tratto intestinale si possono
riscontrare nella cloaca e possono dar luogo ad infiammazioni o ad una ostruzione dell’organo. E’
possibile reperire dei corpi estranei all’interno della cloaca, liberi o infissi nella mucosa, oppure a
livello dell’apertura esterna. I corpi estranei sono rappresentati da spighe di graminacee, corpi
acuminati ed altri provenienti dall’intestino, che possono provocare cloaciti con presenza massiva di
essudato, ostruzioni e costipazione con stillicidio di sangue. Con il termine di prolassi cloacali
(paratopie) si intende un gruppo di lesioni che riguarda gli organi annessi alla cloaca (intestino
terminale, vescica urinaria, pene o emipene, utero ed ovidutti): queste si possono verificare nelle
femmine durante o dopo la riproduzione, durante la deposizione o a causa di ritenzione delle uova.
Un fattore predisponente la lesione in questione è un cambio repentino del regime alimentare. Altre
cause di prolasso possono essere la costipazione o la diarrea protratta, l’ingestione di granelli di
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lettiera per gatti, la presenza di calcoli cloacali e i parassiti intestinali. La parafimosi è uno dei più
frequenti tra i prolassi cloacali. Tale patologia è caratterizzata dal mancato invaginamento
dell'organo copulatore nella cloaca. L'eziopatogenesi è legata ad eventi traumatici che possono
verificarsi durante il coito e/o a fenomeni infiammatori a carico del pene e dell'apertura cloacale e/o
ad anomalie congenite. Il pene prolassato si presenta come una massa di tessuto solido, duro-
fibroso, per cui è facilmente distinguibile dagli altri organi. Nelle tartarughe d’acqua, allevate in
terrari affollati, il trauma può essere rappresentato da un morso di un altro esemplare. Il pene si
presenta iperemico, edematoso e di colore rosso scuro: questa condizione favorisce continui
traumatismi, che sono causa di lacerazioni e conseguenti infezioni batteriche, caratterizzate dalla
presenza di essudato sulla superficie, che, a loro volta, possono evolvere in fatti necrotici e
gangrenosi, tali da causare la morte dell'animale. Il prolasso dell’intestino terminale è caratterizzato
dalla presenza di una massa di tessuto consistente, nell'ambito della quale è presente un lume, che
può contenere materiale fecale. Le principali cause risiedono nel tenesmo, dovuto ad enteriti di
diversa natura o a stipsi. Nelle fasi acute, il tessuto si presenta rosso scuro ed edematoso; nelle fasi
croniche, invece, che subentrano rapidamente a causa dei disturbi di circolo ed ai traumatismi che il
tessuto subisce, l’organo si presenta in necrosi, di colore nerastro e di consistenza friabile. Il
prolasso della vescica consegue spesso ad una litiasi. La vescica è facilmente riconoscibile per via
della parete trasparente e per la consistenza fluttuante; la diagnosi di certezza può essere emessa se
l’ago-aspirato consente di raccogliere urina. Le neoplasie sono patologie piuttosto rare: tali lesioni
si possono localizzare sia internamente che a livello dell’apertura cloacale. Sintomi riscontrabili
sono la fuoriuscita di sangue vivo dallo sfintere cloacale e la costipazione; nei casi gravi si può
verificare anche un prolasso. Lesioni vascolari come ematomi, aneurismi, emorragie possono essere
presenti, ma spesso sono associate ad altre patologie più gravi. Alcune fratture del carapace, in
particolare delle piastre caudali possono causare traumatismi all’apertura cloacale, con evoluzione
in processi infiammatori. Calcoli cloacali ed enteroliti causano spesso l’occlusione del tratto
terminale dell’intestino oppure parziali stenosi della cloaca, questi sono di solito di consistenza dura
e sono formati da urati che hanno subito un processo di cristallizzazione.
Per la descrizione dell’esame cloacoscopico prenderemo in esame le due specie di cheloni più
diffuse, una palustre (Trachemys scripta) e l’altra terrestre (Testudo hermanni). Nelle due specie di
cheloni, all’introduzione dell’endoscopio (da 4 mm di diametro) è possibile visualizzare la mucosa
pigmentata del proctodeo e, inclinando l’ottica verso la porzione ventrale, il clitoride o il pene a
seconda del sesso. Procedendo caudo-cranialmente, nelle Trachemys scripta sono facilmente
evidenziabili, nelle porzioni laterali, gli ampi osti delle due vescicole accessorie (spesso di
dimensioni diverse) e, nella porzione centro-ventrale, il solco seminale (presente anche nelle
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femmine), formato da due muscoli che convergendo dorsoventralmente ricoprono il seno
urogenitale. Superiormente ai suddetti muscoli, è visibile una plica muscolare con fibre ad
andamento orizzontale che, nascondendo lo sbocco dell’intestino terminale, separa quest’ultimo
dall’urodeo. Introducendo l’estremità dell’endoscopio all’interno di una vescicola accessoria, la
trasparenza delle pareti permette di osservare alcuni organi. Sostituendo l’ottica da 4 mm. con una
da 1,7 mm, è possibile, seguendo il decorso del solco seminale, pervenire all’interno del seno
urogenitale, nella cui porzione centrale è evidenziabile l’ostio uretrale. Tale ostio può essere
superato, così da consentire l’esame visivo delle pareti vescicali, che si presentano trasparenti e
permettono l’osservazione di alcuni organi celomatici, in particolare l’ovaio. La parete vescicale,
riccamente vascolarizzata, presenta un pilastro centrale che suddivide l’organo in due lobi
simmetrici. Retraendo l’ottica al di fuori dell’uretra e spostandosi con molta delicatezza dorso-
lateralmente, si possono raggiungere gli osti ureterali, celati da una sottilissima plica. Oltrepassando
tale plica, gli ureteri si presentano come dei condotti tubulari di diametro regolare e di colorito
grigiastro. Subito dorsolateralmente alla plica ureterale, si può introdurre l’endoscopio all’interno
del lume dell’ovidutto, che appare come un condotto fortemente slargato, tortuoso e pieghettato.
Questo si presenta molto elastico, in virtù della sua funzione. Lo sbocco dell’ovidutto e degli ureteri
vengono definiti papilla uro-genitale. Retraendo l’ottica dall’urodeo, e dirigendola nel proctodeo,
lateralmente e quindi dorsalmente ad uno dei due muscoli che delimitano l’urodeo, si può
oltrepassare l’ano, fino a raggiungere la porzione terminale dell’intestino, facilmente riconoscibile
per la presenza di boli fecali. In T. hermannii, a differenza di T. scripta, il proctodeo presenta
dimensioni maggiori e mancano le vescicole accessorie. Il coprodeo, in queste specie, non è
facilmente distinguibile, dal momento che l’intestino terminale sfocia nel proctodeo tramite un
cercine anulare più o meno evidente, superato il quale è possibile osservare le restanti porzioni di
intestino terminale. Ventralmente al cercine anulare, si può osservare l’urodeo, delimitato da due
muscoli simili a quelli osservati in T. scripta.
Le patologie della cloaca delle tartarughe sono sempre di più facile riscontro ma di difficile
interpretazione poiché poco conosciute dai professionisti non specializzati. Questa situazione porta,
purtroppo, in parecchie occasioni, alla morte di diversi cheloni. Inoltre è spesso evidenziabile una
grande inesperienza da parte dei proprietari, che, non conoscendo le normali abitudini degli animali
non convenzionali, si accorgono sempre in ritardo della patologia. E' consigliabile a chi si appresta
ad allevare questo tipo di animali, un periodico ed accurato controllo dell'apparato riproduttore,
specie durante il periodo dell'accoppiamento. Quindi è bene rispettare la massima igiene dei luoghi
di ricovero e dei terrari. Con l’esame endoscopico è possibile pervenire ad una diagnosi immediata
di patologie presenti a carico della cloaca. Il lavaggio delle mucose, eseguito contestualmente,
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permette la coltura per esami microbiologici, ed anche di osservare uova od esemplari adulti di
parassiti. Tale metodica inoltre può trovare applicazione nel sessaggio di tutte le specie di
tartarughe sia terrestri che palustri con scarso dimorfismo sessuale.
RINGRAZIAMENTI: si ringrazia il dott. Manuel Morici per la collaborazione.
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Composizione microbiologica cloacale in T. hermanni sane e con cloacite
Dr. Lubian Emanuele
La cloacite rappresenta una patologia di frequente riscontro ambulatoriale nelle Testudo (soprattutto
in Testudo hermanni), ma a tutt’oggi ancora poco studiata, così come relativamente meno studiata è
la normale flora microbica cloacale in questa specie animale.
Viene definita con il termine “cloacite” l’infiammazione o l’infezione della cloaca, patologia
abbastanza frequente in Testudo hermanni e dovuta a varie cause [1, 5].
Finora sono stati condotti diversi studi riguardanti sia i microrganismi normalmente presenti in
cloaca sia i microrganismi potenzialmente dannosi per il genere Testudo; nulla però è riportato sui
microrganismi coinvolti nella cloacite.
Le varie fonti della letteratura non citano un patogeno specifico presente normalmente nella
cloacite, concentrando maggiormente l’attenzione su altri aspetti di tale patologia, soprattutto sulla
patogenesi.
Si tratta sicuramente di una patologia multifattoriale, infatti, qualsiasi danno a livello cloacale
associato ad alterazioni ambientali può indurre l’eccessiva proliferazione batterica che la
caratterizza. Si possono così distinguere tre fattori che interagiscono strettamente tra di loro per
causarla, ovvero: ospite, gestione, agente eziologico.
Per quanto riguarda l’ospite bisogna considerare tutti i problemi che possono influenzare la cloaca e
che possono essere di varia natura come, ad esempio, traumi da morso, infezioni intestinali,
infezioni urinarie, costipazioni, parassiti, diarrea, deficit neurologici dell’apparato retrattore del
pene o dello sfintere cloacale, accumulo di urati, distocie, ritenzione di uova.
In ogni caso tale patologia è con maggiore frequenza conseguente a traumi legati ai continui
tentativi di copula da parte dei maschi, che si manifestano anche con morsi. Le lesioni sono
particolarmente gravi in Testudo hermanni a causa del danno provocato dallo sperone corneo della
coda del maschio.
Da questo si evince che le femmine risultano molto più predisposte rispetto ai maschi a sviluppare
tale patologia.
Il periodo degli accoppiamenti si apre nei primi giorni dopo il letargo che, a seconda della
latitudine, può cadere tra l’inizio e la fine di marzo. Normalmente può continuare per tutta la
stagione estiva fino a ottobre senza interruzioni, se le condizioni climatiche sono favorevoli. Se,
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però, le condizioni climatiche sono più avverse (troppo calore nella stagione estiva) allora il periodo
riproduttivo termina all’inizio di giugno per poi riprendere dalla fine di agosto ai primi di ottobre;
individuiamo così due distinti periodi di accoppiamento.
Il maschio adulto è territoriale e, nella stagione di attività sessuale, si dimostra particolarmente
eccitato e aggressivo; l’aggressività si manifesta nei confronti di altri maschi ma anche durante il
corteggiamento della femmina e, soprattutto, durante la copula.
Per quanto riguarda l’accoppiamento, questo è preceduto da una serie di comportamenti e attività
“pre-nuziali”, spesso precise e quasi ritualizzate. Nelle testuggini terrestri (Testudinidae) i maschi
trascorrono gran parte della fase attiva alla ricerca di una possibile compagna; appena intercettata
una femmina iniziano l’approccio, che è spesso cruento. Le femmine vengono ripetutamente
morsicate sul collo e sulle zampe e, successivamente, colpite su tutti i lati con la corazza dal
maschio (che compie tali movimenti lanciandosi contro la femmina estendendo gli arti posteriori e
retraendo la testa, così che i suoi scuti carapaciali vadano a sbattere contro di essa); questo
atteggiamento continua fino a che esse non sono state immobilizzate. Fatto questo, il maschio sale
sul corpo della femmina appoggiandosi con le zampe sul bordo del carapace e, se la sua posizione
viene accettata, cominciano gli amplessi; se, invece, questo atteggiamento viene rifiutato e la
femmina tende a scappare, ricomincia da capo l’intero rituale di convincimento con i vari attacchi.
Durante l’amplesso il maschio estroflette il pene inserendolo nella cloaca della femmina per
veicolare il liquido seminale; per farlo si aiuta con la lunga coda e, nel caso particolare di Testudo
hermanni, ancorandosi alla femmina sfruttando lo sperone corneo situato sulla sua estremità.
Durante le varie fasi della copula il maschio emette sonori sbuffi, rantoli e sibili, dovuti
all’emissione rapida di aria dai polmoni come conseguenza dei movimenti effettuati [6, 13].
Ovviamente l’azione riproduttiva è fisiologica in natura; in cattività, quindi, la patologia insorge
anche come conseguenza di errori gestionali. Infatti, il rapporto numerico maschi/femmine è spesso
svantaggioso ovvero vi sono troppi maschi rispetto al numero di femmine (tale rapporto dovrebbe
essere di 1/4 - 1/6); inoltre, gli animali vengono allevati in spazi troppo stretti che, oltre a essere
caratterizzati da una densità troppo alta, non consentono la fuga della femmina.
Un altro fattore gestionale predisponente è legato allo stato igienico del suolo; infatti la cloaca
traumatizzata, essendo costantemente a contatto col terreno, può sviluppare più facilmente un
processo infiammatorio se vi è maggiore contaminazione batterica.
Anche deformazioni a livello del piastrone o del carapace nella regione posteriore, legate ad
esempio a errori alimentari, possono predisporre all’insorgenza di cloaciti.
La cloaca traumatizzata consente così una notevole proliferazione dei batteri che normalmente la
colonizzano, proprio per le condizioni favorevoli che si sono create [1, 5].
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Per diagnosticare la cloacite è molto importante l’anamnesi, soprattutto di tipo ambientale, con la
valutazione di dove vive l’animale, quanto è grande lo spazio a sua disposizione, quanti animali
vivono nella colonia e qual è il rapporto maschi/femmine.
E’, inoltre, molto importante capire al meglio il tipo di gestione e le condizioni igieniche in cui vive
la tartaruga.
L’aspetto clinico è di per sé diagnostico; infatti, l’animale è caratterizzato dalla presenza di
infiammazione e lacerazione della cloaca e dei tessuti pericloacali. Talvolta tali lesioni sono molto
profonde e sono caratterizzate da un intensa tumefazione, dalla abbondante presenza di tessuto
necrotico e dalla formazione di tragitti fistolosi. Spesso, in questi casi, la cloacite è accompagnata
da lesioni del carapace causate dalla monta dei maschi, in particolare a livello degli scudi
sopracaudali e degli ultimi pleurali.
Nella stagione calda la cloacite è frequentemente complicata dalla miasi; infatti, le mosche carnarie
depositano su questi tessuti le loro uova e, da qui, le larve possono migrare scavando nei tessuti più
profondi. Questa situazione conferisce alla necrosi un odore molto nauseabondo.
Con un quadro clinico di questo tipo e in seguito agli accertamenti anamnestici, si riconosce che la
lesione è dovuta all’accoppiamento; non bisogna però trascurare il fatto che possa essere
conseguenza di altre cause precedentemente citate che devono essere eventualmente escluse
attraverso esami radiologici, esami delle feci, esami delle urine ed endoscopia della cloaca [1, 5].
La terapia della cloacite traumatica legata all’accoppiamento è prevalentemente di tipo medico ed è
caratterizzata dall’asportazione dei tessuti necrotici, con l’uso di pinze idonee, e da un’ampia
pulizia della parte lesa, attraverso lavaggi con acqua sterile e con soluzioni antisettiche
(iovopovidone e clorexidina). Se sono presenti, è importante asportare completamente le larve di
mosca.
E’ opportuno effettuare successivamente un’adeguata terapia antibiotica locale (attraverso l’uso di
creme, pomate o unguenti) e sistemica (ad esempio, con la somministrazione di enrofloxacina 5
mg/kg, una volta al giorno per 7 giorni); se viene ritenuto necessario, è indicata anche la terapia
analgesica.
L’animale deve essere, quindi, alloggiato in un ambiente pulito e isolato dai maschi. Fondamentale
è anche l’uso di zanzariere per evitare l’ingresso delle mosche che possono deporre sulle lesioni.
La terapia chirurgica consiste nell’eventuale riparazione della rima cloacale quando l’animale è
ormai guarito dall’infezione, oppure nella correzione delle deformazioni carapaciali se queste sono
presenti.
12
In caso di cloacite secondaria ad altre patologie occorre eliminare prima la causa per poi curare la
cloaca [1, 5].
Il nostro studio si prefigge, come primo scopo, di individuare quali siano i microrganismi
normalmente presenti nella cloaca di Testudo hermanni sane nelle diverse stagioni, per evidenziare
loro eventuali modificazioni sia da un punto di vista qualitativo sia da un punto di vista quantitativo.
Per farlo sono stati seguiti due diversi gruppi di animali gestiti in maniera differente (giardino e
terrario).
Accanto a queste valutazioni, lo studio ha anche lo scopo di identificare la migliore metodica di
prelievo, confrontando ed evidenziando eventuali differenze tra il prelievo fatto con tamponi
(metodo utilizzato come standard in altre ricerche precedentemente effettuate) rispetto a un prelievo
eseguito con il lavaggio cloacale. Quest’ ultimo metodo, infatti, non è stato mai oggetto di altri studi
pur essendo verosimilmente una metodica meno traumatica rispetto al tampone.
Partendo poi dai dati ottenuti, considerati come “normali”, un altro scopo è quello di individuare
quali siano i batteri implicati nella cloacite, valutando se si tratti di patogeni primari o veri patogeni
oppure se si tratti di batteri normalmente presenti in cloaca che possano agire, in particolari
condizioni, da patogeni opportunisti.
Gli studi finora svolti hanno individuato diversi batteri che costituiscono la normale flora cloacale
dei rettili, anche se poco si sa sui cheloni e in particolare su Testudo hermanni.
Spesso questi batteri possono essere potenziale causa di infezione localizzata o sistemica come, ad
esempio, Salmonella spp. e Pseudomonas aeruginosa [2].
Tali batteri Gram-negativi sono stati identificati anche in Testudo sane durante lo svolgimento di
numerosi studi e ciò farebbe ritenere che non siano dei patogeni primari ma solo degli opportunisti,
cioè che causino patologia solo se vi sono le condizioni favorevoli per farlo [2, 7, 8, 14, 17, 23, 25,
26, 27].
I batteri da noi isolati sono stati: Bacillus spp.; Enterococcus faecalis; Streptococcus spp. e S.
faecalis; Pantoea spp.; E. coli; Pseudomonas aeruginosa, P. stutzeri e P. picketii; Klebsiella spp. e
K. pneumoniae; Proteus mirabilis; Salmonella spp. e S. arizonae; Acinetobacter spp., A. lwoffii e A.
baumanni; Serratia liquefaciens; Pasteurella pneumoniae; Chryseomonas indologenes.
13
Alcuni di questi, come per esempio Pantoea spp. e Streptococcus spp., sono stati isolati solo nelle
stagioni in cui il metabolismo delle Testudo è ridotto (autunno, inverno e primavera) senza essere
presenti nei mesi estivi. Altri invece, come per esempio Acinetobacter spp., sono stati isolati solo
nei mesi in cui il metabolismo è più attivo. Bacillus spp. è stato isolato in tutti i soggetti in ogni
prelievo, per cui è possibile affermare che tale microorganismo è normalmente presente nella cloaca
di tartarughe sane, indipendentemente dal momento dell’anno, dal tipo di gestione e dal tipo di
prelievo.
Per quanto riguarda la concentrazione di batteri riscontrata nei rispettivi mesi, è stato osservato un
netto aumento della popolazione batterica nei periodi di maggiore attività con concentrazione pari a
1010UFC/campione; nelle stagioni pre- e post-letargiche, invece, la concentrazione è calata in
maniera più o meno significativa in tutti i soggetti, fino a concentrazioni pari a 104 batteri per
campione.
Il numero di batteri presenti in cloaca sembrerebbe, quindi, direttamente collegato all’attività
metabolica del soggetto.
Per quanto riguarda il secondo obiettivo di questo studio, ovvero il confronto tra l’utilizzo del
tampone o del lavaggio per effettuare il prelievo, i risultati ottenuti con entrambi i metodi sono stati
sovrapponibili; solo in tre prelievi è stata riscontrata una differenza tra tampone e lavaggio
dimostrando così che l’utilizzo di uno o dell’altro metodo non incide significativamente sul
risultato. Per esperienza personale ritengo che il lavaggio sia il metodo migliore in quanto è meno
traumatico per l’animale ed è in grado di fornire informazioni quali-quantitative più accurate.
Infine abbiamo valutato i batteri isolati da Testudo hermanni colpite da cloacite.
E’ stato dimostrato come nei rettili Pseudomonas aeruginosa possa dare patologie di varia natura
come stomatiti, gengiviti, parodontiti, dermatiti, polmoniti, setticemie, distocie e, inoltre, possa
essere agente zoonosico; non agisce come patogeno in condizioni normali ma solo se vi sono fattori
predisponenti che ne facilitano la replicazione [4, 10, 15, 18, 19, 23].
Nel nostro studio i tre soggetti affetti da cloacite hanno mostrato tutti la presenza di Pseudomonas
aeruginosa a livello cloacale. Nei primi due casi l’esame batteriologico ha mostrato una netta
prevalenza di Pseudomonas su tutti gli altri batteri e, quindi, può essere considerata la causa del
processo infiammatorio in atto; nel terzo caso la presenza di Pseudomonas non era nettamente
superiore ad altri batteri, in particolare a Proteus mirabilis,
14
Pseudomonas spp. è comunemente isolata da prelievi del cavo orale e del tratto intestinale di
numerosi rettili sani; è stata, infatti, trovata nella cloaca di Gopherus agassizii, Testudo graeca,
Testudo horsfieldii, Malaclemys terrapin centrata, Trachemys scripta elegans, Heloderma
horridum, Lepidochelys olivacea, Gallotia intermedia e Gallotia braovana [2, 8, 9, 16, 20, 21, 22,
24, 28, 29, 30].
Nei rettili, una gestione scadente, come la temperatura troppo bassa e la malnutrizione, può
predisporre all’infezione da Pseudomonas; infatti, tale batterio è spesso associato a lesioni
ulcerative del cavo orale, patologie polmonari, dermatiti ed è stato isolato anche in corso di
setticemia.
Anche nell’uomo e in altri animali esso agisce spesso come patogeno opportunista ed è stato
dimostrato possa causare congiuntiviti, sinusiti, osteomieliti, fibrosi cistica, endocarditi, ascessi
intracranici, cheratiti, polmoniti, otiti [3, 8, 9, 12, 21, 22, 23, 25].
Per differenziare uno stato patologico da uno fisiologico nei cheloni, l’esame colturale deve
evidenziare una elevata concentrazione di Pseudomonas; l’isolamento a livello polmonare, invece, è
sempre da considerare patologico [23, 25].
Proteus spp. coprende batteri Gram-negativi spesso presenti nell’ambiente e nell’intestino
dell’uomo e degli animali. La letteratura riporta l’isolamento nella cloaca dei cheloni di Proteus
mirabilis, Proteus morganii, Proteus rettgeri [3, 25].
Proteus mirabilis, come altri microrganismi precedentemente discussi, è un batterio considerato
patogeno opportunista nei rettili, capace di causare patologie di varia natura, per lo più respiratorie
[21, 23, 25, 30].
Proteus mirabilis nei rettili è stato trovato nella cloaca di Gopherus agassizii (in uno di questi studi
la prevalenza era di tre soggetti su centocinque), nella cloaca di Trachemys scripta elegans, di
Lepidochelys olivacea (con la prevalenza del 2,2%, in cavità orale, invece, del 6,6%) e di
Heloderma horridum (in due soggetti su sedici mentre nella stessa specie Proteus penneri è stato
isolato in quattro animali su sedici) [8, 9, 11, 25, 28].
Proteus mirabilis, così come altre specie di Proteus, è stato isolato anche come patogeno in
patologie del tratto respiratorio di cheloni [21, 30].
Da questi risultati si può affermare che Pseudomonas aeruginosa è un patogeno opportunista che
insorge in caso di cloacite complicando le lesioni di tipo traumatico già in atto; il ruolo di Proteus
15
mirabilis resta in ogni caso anch’esso dubbio, ma potrebbe trattarsi di un complicante secondario,
così come si osserva in altre specie animali per altre patologie.
Questa conclusione confermerebbe altri studi che sostengono come Pseudomonas spp. e Proteus
spp. siano potenziali patogeni opportunisti in Testudo spp..
Inoltre, considerata l’anamnesi raccolta sui nostri campioni, è possibile confermare ciò che è già
stato riportato in letteratura sull’eziologia polifattoriale di questa patologia, causata soprattutto
dall’eccessiva veemenza dei maschi nell’accoppiarsi. Inoltre, anche nei nostri casi patologici
abbiamo osservato la concomitante deposizione di larve di dittero che viene riportata in letteratura
come un evento complicante [1, 5].
I risultati degli antibiogrammi da noi effettuati dimostrano invece come vi sia una notevole
resistenza agli antibiotici testati. I batteri isolati risultano infatti sensibili alla Marbofloxacina nel
66% dei casi e a Enrofloxacina, Cefovecina, Ticercillina, Doxiciclina, Kanamicina, Amikacina nel
33% dei casi, resistenti ad altri antibiotici.
Da ciò si evince che il miglior antibiotico sarebbe la Marbofloxacina, contrastando i dati
precedentemente riportati in letteratura; d’altro canto i risultati sono stati ottenuti su troppi pochi
campioni affinché questi siano davvero significativi.
In conclusione si può affermare che la cloacite in Testudo hermanni è una patologia multifattoriale
che si manifesta per lo più nella femmina, legata all’atteggiamento veemente del maschio durante la
riproduzione, che prevale maggiormente in soggetti gestiti in maniera non idonea e che è correlata
probabilmente alla notevole replicazione di Pseudomonas aeruginosa sul tessuto alterato.
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18
Aggiornamenti sulle disendocrinie del furetto
Dr. Nicola Di Girolamo
L’obiettivo della presentazione è di illustrare le recenti acquisizioni dal punto di vista diagnostico e
terapeutico relative a patologie endocrine frequenti come la malattia surrenalica e gli insulinomi
pancreatici. Inoltre saranno discusse alcune patologie endocrine meno frequenti, ma di rilevanza
clinica, come l’ipercortisolismo, l’iperaldosteronismo, e l’ipotiroidismo. Sarà valutata
l’applicazione clinica, la fattibilità e la tecnica procedurale dei test di stimolazione tiroidea,
recentemente validati (Mayer et al 2013).
Malattiasurrenalica: iperestrogenismo, iperaldosteronismo e ipercortisolismo
La malattia surrenalica è un problema comune in furetti gonadectomizzati. È stato dimostrato che la
gonadectomia è associata all’insorgenza della malattia surrenalica. Infatti in uno studio condotto da
Shoemaker e colleghi (2000), era presente una correlazione lineare significativa tra l’età della
sterilizzazione chirurgica e l’età in cui veniva diagnosticata la malattia surrenalica. Il tempo
mediano tra sterilizzazione e diagnosi di malattia surrenalica era di 3.5 anni. Shoemaker e colleghi
suggeriscono che nei furetti dopo la sterilizzazione chirurgica le corticali del surrene siano
persistentemente stimolate da LH e FSH come risultato della perdita del feedback negativo sul
GnRH ipotalamico, e come questo risulti in iperplasia surrenalica e/o alterazioni neoplastiche
(Shoemaker et al 2000). Difatti i furetti sono tra le poche specie caratterizzate da dei recettori per
l’LH nella corticale del surrene (Schoemaker et al 2002).
In questa presentazione tratteremo patologie meno frequenti dei furetti a carico della corticale delle
surrenali tra cui l’iperaldosteronismo e l’ipercortisolismo. Inoltre valuteremo l’evidenza che
supporta l’utilizzo di un nuovo vaccino prodotto per prevenire la malattia surrenalica in furetti
sterilizzati, il GonaCon, ed i farmaci GnRH agonisti, in particolare la Deslorelina acetato.
19
Letteratura consigliata:
Miller LA, Fagerstone KA, Wagner RA, Finkler M. Use of a GnRH vaccine, GonaCon, for
prevention and treatment of adrenocorticaldisease (ACD) in domesticferrets. Vaccine. 2013 Sep
23;31(41):4619-23.
Shoemaker NJ, Schuurmans M, Moorman H, Lumeij JT. Correlationbetweenageatneutering and
ageatonset of hyperadrenocorticism in ferrets. J AmVetMedAssoc. 2000 Jan 15;216(2):195-7.
Schoemaker NJ, Teerdsb KJ, Mol JA, Lumeij JT, Thijssen JHH, Rijnberk A. The role of luteinizing
hormone in the pathogenesis of hyperadrenocorticism in neutered ferrets. Molecular and Cellular
Endocrinology 2002;197: 117–25.
Mayer J, Wagner R, Mitchell MA, Fecteau K. Use of recombinant human thyroid-stimulating
hormone for thyrotropin stimulation testing in euthyroid ferrets.J Am Vet Med Assoc. 2013 Nov
15;243(10):1432-5.
20
VISITA OFTALMOLOGICA NEL CONIGLIO: APPROCCIO CLINICO, DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO
Dr. Simonini Chiara
L’ESAME OFTALMOLOGICO
In tutti i pazienti che presentano un problema oculare dovrebbe essere eseguito un esame oftalmologico completo. Per essere eseguito correttamente è necessario avere un approccio standardizzato con tutti i soggetti, insieme a materiale e strumenti adeguati.
Le componenti basilari dell’esame oftalmologico sono:
- raccolta dell’anamnesi - esame neurologico - esame oftalmoscopico
Ulteriori esami comprendono:
- coloranti oftalmici - esame dell’apparato naso-lacrimale - tonometria - esami di laboratorio
L’anamnesi comprende una serie di domande che dobbiamo porre al proprietario per approfondire:
- se il problema oculare ha un’insorgenza improvvisa o graduale; - se il problema oculare è monolaterale o bilaterale; - se l’animale ha dolore oculare; - se sono presenti altri segni di malattia, come malattie sistemiche; - se l’animale è stato sottoposto a terapie locali o sistemiche, con quali farmaci e per quanto
tempo.
Mentre si raccoglie l’anamnesi bisognerebbe osservare il paziente e l’aspetto macroscopico degli occhi e del muso. E’ importante valutare la simmetria degli occhi, la presenza di strabismo, nistagmo, ammiccamento, gonfiore periorbitale, cambiamento di colore a carico di terza palpebra, congiuntiva ed episclera, cornea, camera anteriore. Eventuali eso- od enoftalmi non apprezzabili osservando il soggetto di fronte, possono essere visibili guardando la testa del soggetto posteriormente dall’alto.
Il dolore è un sintomo che gli animali manifestano con blefarospasmo, sollevamento della terza palpebra, lacrimazione, fotofobia.
21
Un particolare aspetto da considerare è la presenza di scolo oculare, la sua natura, se è unilaterale o bilaterale e la sua quantità. A questo punto può essere necessario prelevare dei campioni per le analisi di laboratorio.
TEST NEUROLOGICI
La visita prosegue con la valutazione dell’integrità delle vie ottiche mediante la stimolazione di alcuni riflessi.
1.Riflesso palpebrale. Il canto mediale o laterale va gentilmente toccato evocando così l’ammiccamento. Se il nervo trigemino o il facciale non funzionano in maniera adeguata le palpebre non riescono a chiudersi e l’animale se stimolato non ammiccherà affatto o in parte.
2. Riflesso pupillare. Con una penna a luminosità intensa si indirizza la luce su un occhio e la risposta normale si osserva nel momento in cui la pupilla si contrae rapidamente. Questo rappresenta il riflesso diretto. Si esamina l’occhio controlaterale (con la luce che illumina ancora il primo occhio) e si osserva se si è verificata la costrizione della sua pupilla – questo rappresenta il riflesso consensuale o indiretto. La luce viene indirizzata nel secondo occhio, che viene esaminato nello stesso modo. Il nervo afferente coinvolto è il nervo ottico, mentre la costrizione pupillare è mediata dalle fibre parasimpatiche che decorrono nel nervo oculomotore.
3. Swingingflashing test. Con la fonte luminosa evochiamo il riflesso pupillare in entrambi gli occhi mantenendola su ciascuno per qualche secondo prima di stimolare l’occhio controlaterale. Questa procedura va ripetuta più volte per essere sicuri che entrambe le pupille costringano direttamente e indirettamente. Durante l’esecuzione se la pupilla stimolata si dilata invece di restringersi allora il test è definito positivo per l’occhio stimolato. Uno SFLT positivo è patognomonico di lesione prechiasmatica monolaterale a carico del nervo ottico e della retina.
4. Riflesso all’abbagliamento. Per eseguire questo test è necessaria una fonte luminosa intensa diretta alternativamente verso ciascun occhio. Si tratta di un riflesso subcorticale che si esprime attraverso una chiusura parziale bilaterale delle palpebre in risposta ad una luce di adeguata intensità. La via afferente è rappresentata dal nervo ottico mentre la via efferente è costituita dal nervo facciale. Un riflesso positivo suggerisce che la retina e il nervo ottico funzionano.
5. Riflesso corneale. Il riflesso corneale è subcorticale e si manifesta con chiusura delle palpebre in risposta ad uno stimolo tattile doloroso su una cornea non anestetizzata. La via afferente è mediata dal ramo oftalmico del trigemino mentre la via efferente è costituita dal nervo facciale. Un nervo facciale intatto (confermato da un riflesso all’abbagliamento normale) suggerisce un deficit sensitivo se il riflesso corneale è scarso o inesistente.
22
OFTALMOSCOPIA
Una volta accertata la funzionalità visiva ed eseguiti i test neurologici segue l’esame sistematico di tutte le strutture oculari. Gli specialisti utilizzano la lampada a fessura che offre ingrandimento e un’ottima illuminazione ma a causa dei costi non è sempre disponibile in tutte le strutture. Un buon compromesso può essere l’utilizzo di occhiali a ingrandimento con illuminazione o oftalmoscopio diretto.
Per esaminare il fondo si sceglie il potere diottrico +0 D. per dilatare la pupilla e accedere visivamente all’esame dei segmenti posteriori si applicano alcune gocce di midriatico (Tropicamide 0,5%).
Nei conigli non si usa l’atropina poiché il 40% dei conigli possiedeatropinesterasi in grado di inattivare il farmaco.
Il fondo oculare del coniglio presenta una vascolarizzazione merangiotica della retina, in quanto solamente una porzione limitata della retina è direttamente vascolarizzata grazie ai vasi retinici superficiali disposti a formare una banda orizzontale ai lati del disco ottico ed accompagnati nel loro percorso da fibre nervose mielinizzate. Il disco ottico posto superiormente e medialmente alla linea mediana orizzontale presenta un infossamento centrale particolarmente pronunciato (da considerare in corso di diagnosi di glaucoma). (FOTO)
Mediante lente d’ingrandimento da +8 a +12 diottrie siamo in grado di esaminare uvea, iride, cristallino e umore acqueo.
La problematica più frequente che possiamo riscontrare dall’esame di questi distretti è l’uveite facoclastica associata a cataratta in corso d’infezione da parte di Encephalitozooncuniculi.
Oltre alle lesioni più comuni quali encefaliti granulomatose, nefriti, epatiti, miocarditi ed enteriti, questo parassita è in grado di provocare patologie oculari in genere monolaterali.
Il parassita penetra nella lente durante il suo sviluppo in utero, quando la capsula è molto sottile o assente, portando successivamente a nascita avvenuta ad una sua rottura spontanea nel punto più sottile. L’uveite si manifesta solo dopo che in seguito alle alterazioni della lente avviene la rottura della capsula anteriore conseguente ad esposizione degli antigeni lenticolari.
Altre cause di uveite sono:
- uveite batterica da Pastorella multiocida, Staphilococcusaureusdi solito associate ad infezione iridea con formazione di un ascesso. Queste infezioni oculari sono solitamente secondarie a batteriemia e setticemia;
- uveite da traumi/corpi estranei;
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- uveite linfomatosa, colpisce generalmente soggetti giovani, con estensione bilaterale.
La cataratta può essere anche congenita, ereditaria, post-traumatica o senile.
Procedendo con l’esame del globo oculare passiamo alla cornea, valutabile ad ingrandimento di +20 D. La cornea è tendenzialmente ovale, con il diametro orizzontale maggiore rispetto a quello verticale. Essa è normalmente avascolare, non pigmentata, non cheratinizzata e trasparente. La presenza di vasi, pigmento ed altre opacizzazioni è quindi sinonimo di patologia.
Nella valutazione dell’integrità della cornea possiamo ricorrere all’utilizzo di un colorante oftalmico, la fluoresceina (utile anche nella valutazione di difetti congiuntivali, deficit del film lacrimale e anche per evidenziare la pervietà dei dotti naso-lacrimali).
Si tratta di una sostanza idrosolubile e lipofobica che converte il 100 per cento della luce assorbita emettendo fluorescenza verde.
La striscia va bagnata con una goccia di soluzione fisiologica sterile e con essa si tocca la congiuntiva bulbare dorsale. Si permette quindi all’animale di ammiccare, facilitando così la distribuzione del colorante nel film lacrimale. Si effettua quindi un lavaggio del globo con soluzione fisiologica sterile per rimuovere il colorante in eccesso.
Poiché l’epitelio corneale integro impedisce l’accesso della fluoresceina allo stroma, in assenza di lesioni corneali il test risulta negativo. In caso di difetti epiteliali corneali il colorante diffonde rapidamente nello stroma ed il test risulta positivo manifestandosi con una colorazione verde in corrispondenza della lesione.
Per la valutazione delle palpebre e della congiuntiva si ricorre inizialmente all’ispezione ad occhio nudo e poi tramite uno strumento ad ingrandimento per evidenziare eventuali lesioni, ferite, pomfi, iperemie e congestioni.
Una patologia tipica solo del coniglio è il cosiddetto pseudopterigio, un’anomalia del tessuto congiuntivale che si sviluppa dal limbo e si estende in maniera circonferenziale sopra la cornea, senza però aderire ad essa coprendola, talvolta anche completamente. (FOTO)
TEST DI SCHIRMER
Un test molto utilizzato in oftalmologia è il Test di Schirmer.
Il film lacrimale è costituito da tre strati con funzione di protezione e nutrimento della cornea. La componente acquosa è prodotta dalle ghiandole lacrimali, la componente più interna, la mucosa, è
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prodotta da cellule caliciformi congiuntivali, infine quella esterna è prodotta dalle ghiandole di meibomio.
Il test di Schirmer ci permette di identificare alterazioni a carico della componente acquosa del film lacrimale: in particolare è una valutazione della produzione acquosa basale, residua e riflessa legata all’irritazione della congiuntiva e della cornea. La quantità di lacrime prodotte dipende dall’integrità del riflesso che coinvolge le terminazioni sensitive del trigemino e dal potenziale secretorio delle ghiandole. L’esecuzione del test consiste nell’impiego di strisce di carta bibula millimetrata, inserite tra il terzo medio e terzo laterale del fornice congiuntivale inferiore dove vengono mantenute per un minuto.
Il valore medio di produzione lacrimale nel coniglio riportato in bibliografia è 5,30 ±2,96mm/min con un range da 0 a 11,22 mm/min. A causa di questa elevata variabilità, si raccomanda quindi, quando è possibile, di comparare sempre la produzione lacrimale dell’occhio malato con quello apparentemente normale.
VIDEO : le strisce sono conservate in confezioni sterili di plastica e dovrebbero essere piegate a livello dell’incisura presente su di esse quando ancora contenute nella confezione di plastica (per evitare che il sudore o l’untuosità sulle mani interferiscano con la lettura). Si apre il pacchetto e si prende la striscia per l’estremità distale. L’estremità più corta viene inserita nel sacco congiuntivale ventrale da metà a due terzi di distanza dal canto mediale. Per evitare che la striscia venga rimossa anticipatamente è opportuno tenere l’occhio del paziente chiuso. Non si devono utilizzare anestetici locali prima della misurazione.
Il film lacrimale nel coniglio è prodotto da 4 ghiandole orbitali:
- ghiandola lacrimale propriamente detta (posta dorso-lateralmente);
- ghiandola lacrimale accessoria, formata da un lobo orbitale, uno retrorbitaleed uno infraorbitale (posto in prossimità degli alveoli dentali contenenti le radici dei denti molari superiori);
- la ghiandola nittitante, sulla terza palpebra (superficiale);
- ghiandola di Harder, sulla terza palpebra (profonda).
Un altro test descritto come accurato per la misurazione della produzione lacrimale in soggetti anche molto piccoli è il test del filo impregnato al rosso fenolo.
Consiste nell’impiego di un filo di 75 mm di lunghezza impregnato di colorante e con un’identazione all’estremità di 3 mm. Questa ripiegata viene posta nel fornice congiuntivale inferiore per 15 secondi. Il rosso fenolo è un indicatore di pH sensibile per cui quando le lacrime alcaline scorrono lungo il filo, il colore cambia da un giallo pallido ad arancio. Non sono stati
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prodotti studi sufficienti per definire una lunghezza media di assorbimento nel coniglio, ma in animali con problemi monolaterali il confronto con l’occhio sano ci permette di interpretare al meglio questo test.
ESAME DELL’APPARATO NASO-LACRIMALE
Nel coniglio è di fondamentale importanza l’esame dell’apparato naso-lacrimale.
Il coniglio ha un solo punto nasolacrimale, situato ventro-medialmente e il dotto nasolacrimale compie un percorso convoluto attraverso le ossa lacrimale e mascellare. Oltre all’andamento tortuoso, il dotto cambia improvvisamente di diametro varie volte e può ostruirsi facilmente lungo i tratti in cui la sezione si restringe. Il dotto passa vicino alle radici di molariformi e incisivi e viene coinvolto di conseguenza nei processi patologici che riguardano le radici dentali.
Per il lavaggio del dotto naso-lacrimale, nella maggior parte dei conigli non è necessaria la sedazione. S’inserisce una cannula nel punto inferiore e si lava delicatamente con una soluzione salina sterile. E’ probabile che inizialmente s’incontri una notevole resistenza se il dotto è ostruito ma dopo alcuni tentativi si osserverà il liquido fuoriuscire dal punto nasale ipsilaterale.
Per valutare un eventuale fenomeno ostruttivo si può eseguire una radiografia con mezzo di contrasto.
TONOMETRIA
La tonometria consiste nella misurazione della pressione intraoculare (IOP). La pressione intraoculare normale nel coniglio è 17,5 ± 3,5 mmHg con una variazione durante il giorno che può portare a valori di 20,6 ± 1,8 mmHg alla sera. Risulta importante misurare la pressione intraoculare sempre con lo stesso strumento e sempre allo stesso orario per evitare variazioni naturali di pressione.
Esistono diversi tipi di tonometri, ma i più utilizzati sono sicuramente il TonoPen (tonometria per applanazione) e il TonoVet (tonometria a rimbalzo magnetico).
ESAMI DI LABORATORIO
I campioni che si possono prelevare a livello cutaneo sono tamponi, raschiati e raccolte di scolo oculare per l’esame citologico, aghi aspirati e campioni bioptici per l’esame istologico. Essi sono utili per la diagnosi di sospette malattie infettive, così come per l’individuazione di processi immunomediati e neoplastici.
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Gestione igienico-sanitaria di un allevamento di uccelli da richiamo
(dr. Diego Cattarossi DVM, PhD; dr. Manuel Maschio DVM)
L’allevamento degli uccelli da richiamo storia e scopi:
Da molti secoli è diffusa in parte d’Europa la pratica della caccia agli uccelli migratori attraverso
l’utilizzo di richiami vivi. Questa pratica è passata dal ruolo di attività di sussistenza che rivestiva
fino a circa cinquant’anni fa al ruolo di pratica hobbystica dei giorni nostri. Negli anni l’utilizzo dei
richiami vivi ha subito numerose modifiche dettate dalle integrazioni legislative che si sono
succedute. Si è passati dall’utilizzo di animali esclusivamente di cattura appartenenti alle più
svariate specie (dai piccoli insettivori come i Silvidi e i Motacillidi ai Turdidi fino agli Strigidi) che
si è protratto fino agli anni settanta, ai giorni d’oggi in cui la legge prevede l’utilizzo di poche
specie di Turdidi, Alaudidi, Anatidi, Caradriformi e Columbiformi quasi esclusivamente provenienti
da allevamenti autorizzati.
Con queste evoluzioni legislative, il mondo degli uccelli da richiamo è profondamente cambiato e la
figura del “cacciatore-catturatore” è stata negli anni sostituita da quella del “cacciatore-allevatore”.
Allo stato attuale sono state introdotte delle novità normative che rendono molto complessa la
cattura di uccelli ai fini di richiamo favorendo indirettamente l’allevamento in cattività. Negli
allevamenti sono però ancora presenti molti animali di cattura, di provenienza legale e non, e questo
va sempre tenuto presente in termini igienico sanitari perché rappresentano un veicolo importante di
patologie provenenti dall’ambiente silvestre di natura infettiva e parassitaria.
L’utilizzo degli uccelli da richiamo non è riconducibile solo al mondo venatorio. Infatti una nutrita
schiera di appassionati detiene tali animali al fine di gareggiare nelle competizioni canore, dove
vengono giudicate le performance di canto dei soggetti esposti. Sia che siano allevati a scopo
venatorio, per il canto o per il semplice piacere di sperimentarne la riproduzione queste specie di
uccelli sono diffuse in numerosi aviari d’Italia e d’Europa e pertanto meritano attenzione veterinaria
da parte nostra come esperti del settore e unici detentori della facoltà di diagnosticare, curare e
intervenire su qualsiasi animale. Molta parte della cura e prevenzione delle malattie degli uccelli da
gabbia è indebitamente occupata da figure non veterinarie, ditte mangimistiche ed ornitologi. Non
demandiamo a nessuno questa facoltà che è nostra e tale dovrà rimanere!
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Specie allevate e gestione degli allevamenti:
Le specie allevate a scopo di richiamo sono numerose, le famiglie di uccelli più rappresentante sono
sicuramente:
- Turdidi: Merlo (Turdus merula), Tordo bottaccio (Turdus philomelos), Tordo sassello
(Turdus iliacus) e Cesena (Turdus pilaris),
- Anatidi: Germano reale (Anas platyrhyncos), Alzavola (Anas crecca), Marzaiola (Anas
querquedula), Codone (Anas acuta), Fischione (Anas penelope), Mestolone (Anas clypeata)
e Canapiglia (Anas strepera),
- Columbiformi: Colombo (Columba livia) e Colombaccio (Columba palumbus)
- Alaudidi: Allodola (Alauda arvensis),
- Caradriformi: Pavoncella (Vanellus vanellus).
In questa trattazione ci soffermeremo principalmente sui Turdidi e sugli Alaudidi, rimandando ad
altre occasioni la trattazione delle altre famiglie.
I Turdidi e gli Alaudidi possono essere allevati in una notevole varietà di condizioni artificiali.
Distingueremo principalmente due tipi di allevamento: quello finalizzato alla riproduzione e quello
finalizzato al solo canto ed esposizione.
Gli allevamenti da riproduzione richiedono una notevole quantità di spazio e spesso l’intero
allevamento si sviluppa in ambiente esterno con grandi voliere alberate scoperte per molta parte
della loro porzione superiore. Per ottenere la riproduzione dei Turdidi e degli Alaudidi sono
necessarie voliere di almeno 2 x 2 x 1 metri con fondo naturale e possibilmente con delle piante
vive all’interno. Il fondo è spesso di terra ricoperto di fogliame per permettere lo sviluppo di
lombrichi ed altri anellidi ed artropodi (pasto per gli uccelli). In questi contesti l’allevatore non
riesce ad avere un controllo individuale preciso dei suoi animali. Questi vengono manipolati solo
due volte all’anno per spostarli da una voliera all’altra. Questo tipo di gestione non prevede alcun
tipo di controllo su temperatura, umidità e altri fattori ambientali che corrispondono a quelli
stagionali della zona zona geografica nella quale è stato ubicato l’allevamento. Negli ultimi anni si
prevede in alcune realtà un controllo sull’illuminazione ambientale allo scopo di adeguare il
fotoperiodo alle esigenze delle varie specie. Il controllo ambientale sulle temperature invece non è
percepito come problematica maggiore dagli allevatori, dato che questi uccelli non hanno particolari
difficoltà con le temperature troppo rigide (ad eccezione dell’Allodola) e che la maggior parte degli
allevamenti è situata in regioni collinari o montuose dove difficilmente si riscontrano temperature
troppo elevate in estate. L’alimentazione viene fornita agli animali in mangiatoie sparse nelle
voliere sia al suolo sia in aree coperte dalle intemperie. L’alimentazione è composta principalmente
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da mangimi pellettati e pastoni per insettivori, da frutta e da prede vive (es: tarme della farina,
camole del miele e i vermi di terra).
Negli ultimi anni alcuni allevatori si stanno abituando ad allevare in spazi chiusi dove ci può essere
un controllo completo dei fattori ambientali ed una gestione più razionale di tutta la routine di
allevamento.
Gli allevamenti nei quali questi animali vengono tenuti solo per il canto possono essere suddivisi in
due tipologie tra loro molto differenti. Possiamo dire che in questo settore è in atto una lotta tra
“scuola tradizionale-rurale” e “nuova scuola” sia per la riproduzione che per il canto. La vecchia
scuola prevede di ricorrere alla chiusa, un sistema tradizionale per la modifica del fotoperiodo che
prevede di tenere gli animali in una stanza dove non possa entrare la luce per almeno 3 mesi
all’anno. In questo modo si fa sperimentare agli uccelli una sorta di inverno fuori stagione con
conseguente primavera al momento in cui si ricomincia a fornire loro la luce. In questa maniera si
può ottenere il canto fuori stagione a fini venatori (canto da ottobre a dicembre) o a fini canori (da
giugno a settembre). In questo vecchio sistema gli uccelli vengono tenuti nelle gabbie da richiamo
(piccole gabbiette in plastica con un solo posatoio) per tutto l’anno (per legge la misura delle gabbie
dovrebbe essere tale a consentire l’apertura delle ali agli animali). Gli animali vengono ospitati di
solito in delle piccole cantine che risultano essere sufficientemente buie, fresche e prive di insetti
ematofagi (che trasmettono pericolosi emoparassiti). La chiusa viene infatti anche chiamata
cantinaggio. L’alimentazione durante la chiusa è molto spartana e l’acqua viene fornita attraverso
degli abbeveratoi cilindrici inseriti nella gabbia, che oltre a ridurre lo spazio a disposizione
dell’animale, sono molto difficili da pulire.
In questo contesto gli animali vengono manipolati in occasione della pulizia delle gabbie, il taglio
delle unghie e per la pratica dell’induzione alla muta. Quest’ultima pratica si ottiene attraverso la
rimozione di alcune remiganti e timoniere. Questa prassi è utilizzata per indurre la muta nel periodo
buoi e stimolare ulteriormente il canto alla fine della stessa (durante la muta gli uccelli non cantano
e appena finice la muta hanno un forte stimolo al canto). Questi animali subiscono due mute (una
totale ed una solitamente parziale) e successivo estro amoroso nell’arco dell’anno con notevole
sforzo metabolico. Fortunatamente la vecchia scuola sta lasciando il passo alla nuova, sicuramente
più etica ed anche più efficace dal punto di vista dei risultati canori. La nuova scuola prevede
l’utilizzo scientifico del controllo del fotoperiodo. Con questa nuova tecnica la chiusa non viene più
utilizzata ed il canto fuori stagione si ottiene modificando il fotoperiodo di tutto l’anno con dei
programmatori luce alba-tramonto, che sfasano semplicemente le stagioni non lasciando mai gli
animali al buio totale. Delle lampade solitamente a led vengono spente ed accese gestite da un
computer programmabile con l’ora di accensione (alba) e di spegnimento (tramonto). Il programma
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può essere impostato per aumentare ad esempio il tempo di illuminazione di cinque minuti al giorno
fino al numero di ore di luce desiderato.
La tecnica del controllo del fotoperiodo consente di tenere gli animali in voliera durante tutto il
periodo di muta e riposo, riducendo l’uso delle gabbiette al solo periodo dell’estro durante il quale i
richiami vengono impiegati per l’attività venatoria o per le manifestazioni canore. Il confinamento
in gabbietta dei richiami durante l’estro ha anche lo scopo di prevenire pericolose liti che
insorgerebbero tra i soggetti maschi in amore. In questo modello di allevamento, per la parte
dell’anno in cui stanno in voliera i soggetti vengono gestiti al pari dei riproduttori. Quando passano
in gabbietta vengono gestiti più o meno come i soggetti chiusati. Un altro aspetto positivo di questa
tecnica è che essendoci una modifica del fotoperiodo graduale e coerente con quello che sarebbe il
fotoperiodo naturale non esistono il problema del doppio estro e della doppia muta eliminando
anche il problema dello strappo delle penne. Semplicemente si sfasano le stagioni invertendo
l’inverno con l’estate e facendo coincidere il momento di maggior fotoperiodo con la caccia o con
le esibizioni canore.
Negli allevamento da canto in genere sono presenti soprattutto soggetti di cattura, i migliori per
sviluppare un canto attraente verso i consimili. Negli allevamenti da riproduzione si tengono i
maschi di cattura mentre per le femmine viene privilegiata la docilità del soggetto nato in cattività.
Fasi dell’allevamento:
Capiamo come si svolge la routine gestionale che caratterizza i tre tipi di allevamento già descritti,
routine molto diversa a seconda dello scopo dell’allevamento.
Routine gestionale nell’allevamento da riproduzione:
Nel periodo tardo estivo-autunnale l’allevamento di Turdidi con fotoperiodo “classico” (che
necessitano cioè di 13-14 ore luce per entrare in estro) come il Tordo bottaccio e il Merlo vive il
periodo di riposo, in cui gli animali ormai a muta ultimata sono stabulati in grandi voliere,
alimentati con frutta e verdura in aggiunta a pellettati e pastoni ed in alcuni casi con bacche raccolte
direttamente in natura. In questo periodo gli allevatori sono soliti procedere alla pulizia delle
voliere, che consiste in una vera disinfezione nel caso di voliere interne, ed in una mera potatura e
movimentazione della terra nelle voliere esterne. Questo è il periodo opportuno per intervenire con
disinfestazioni ed eventuali trattamenti terapeutici. In questa fase dell’allevamento si assiste
all’ingresso dei nuovi acquisti che sono costituiti da soggetti nati in cattività e da esemplari catturati
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durante il passo autunnale, questi animali vengono portati in allevamento quando hanno già subito il
sessaggio-“taglio” e qui sono soggetti all’appastellamento.
La pratica del “taglio” praticata appunto dai “tagliatori” è una tecnica tradizionale di sessaggio
eseguita su animale vivo e cosciente, al quale viene praticato un piccolo taglio nella stesso zona
usata per il sessaggio dal quale tramite divaricazione dei margini il “supposto esperto” può
visualizzare le gonadi e stabilire se si tratta di maschio o femmina. Naturalmente è una pratica
illegale, un esercizio abusivo della professione medica e maltrattamento animale con la messa in
atto dei reati relativi. È ancora pratica diffusa anche se negli ultimi anni perseguita dalla legge con
sentenze esemplari. Il sessaggio endoscopico in anestesia dovrà nei prossimi anni diventare nostra
esclusiva competenza medico veterinaria.
L’appastellamento è la pratica di far conoscere ad un soggetto di cattura l’alimento che gli verrà
fornito in cattività. Mentre nei granivori quest’operazione risulta molto semplice (praticamente tutti
i granivori trovano in natura anche semi secchi identici a quelli che si forniscono in cattività) negli
insettivori è davvero molto laboriosa, perché non è semplice abituare un animale che si nutriva di
bacche e insetti ai mangimi in pellets. Questa fase di abitazione all’alimento rappresenta la prima
causa di mortalità entro la prima settimana dalla cattura. Gli allevatori sono soliti mescolare al
pellettato della frutta grattugiata (soprattutto mela) delle bacche di sorbo degli uccellatori o di
fitolacca americana (attenzione che se usata in quantità eccessiva è un potente lassativo) e degli
insetti sminuzzati, tali da far abituare gradualmente il volatile alla nuova alimentazione (processo
che di solito richiede 5-7 giorni).
Spesso i soggetti di recente ingresso in allevamento non subiscono la quarantena, ne alcun tipo di
trattamento volto a ridurre la carica parassitaria frequentemente riscontrata nel tratto gastro-
intestinale di tali animali.
Trascorso il periodo di riposo attorno al mese di febbraio si comincia la preparazione dei
riproduttori, volendo cimentarsi nella riproduzione dei Turdidi è necessario disporre di voliere
ampie e spaziose (minimo 2m x 2m x 1m) possibilmente con fondo naturale e vegetazione interna.
Ogni voliera ospiterà una sola coppia e le voliere adiacenti saranno schermate di modo che le
coppie in esse ospitate non possano vedersi, cosa che scatenerebbe fenomeni di aggressività vista la
territorialità di tali animali nel periodo riproduttivo.
Questi uccelli possono essere alimentati con un mangime pellettato per Turdidi come base ma è
fondamentale l’integrazione di frutta, bacche (sambuco, sorbo degli uccellatori, edera, ecc.) e di
prede vive (lombrichi, tarme della farina, camole del miele, grilli, chiocciole, ecc.). Il pellettato sarà
fornito ai Turdidi tutto l’anno mentre frutta, bacche e prede vive si avvicenderanno come accade in
natura, dove tali uccelli si alimentano prevalentemente di invertebrati durante la stagione
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riproduttiva mentre durante l’inverno (nei mesi freddi non ci sono insetti) prediligono frutta e
bacche.
Nei Turdidi le coppie di riproduttori possono essere mantenute assieme per tutto l’anno ma spesso
gli allevatori le dividono per ricostituirle al momento della riproduzione avendo la cura di introdurre
in voliera prima il maschio che delimiterà il territorio col suo canto, e poi la femmina mimando
quanto accade in natura di ritorno dalla migrazione pre-nuziale. In questa seconda ipotesi il maschio
viene inserito nelle voliere già preparate per la riproduzione. Le voliere saranno munite di almeno
2-3 nidi a coppa del diametro di 15-18 cm disposti a varie altezze ed infrascati con vegetazione
naturale o finta (vista la predilezione di alcune specie come la Cesena per i nidi spogli è opportuno
che uno dei nidi non sia infrascato).
Avvicinandosi la stagione riproduttiva sarà opportuno aumentare notevolmente la fornitura di prede
vive che risulteranno molto gradite e favoriranno l’entrata in estro di riproduttori. Alle coppie
verranno messi a disposizione, paglia, fieno, fibra di cocco come materiale da nido e, cosa
fondamentale, una vaschetta d’acqua per il bagno ed un po’ di terriccio (in voliere prive di fondo
naturale). Le femmine ispezioneranno i nidi ed una volta scelto il luogo definitivo riempiranno la
coppa con paglia, fieno e fibra di cocco per poi rifinire il nido con un rivestimento interno di argilla
che le femmine preparano bagnandosi e poi strofinandosi sul terreno per raccogliere il terriccio per
poi spalmarlo all’interno del nido come una sorta di malta.
Nel nido così ultimato la femmina deporrà in media 4/6 uova (azzurre con più o meno picchiettature
bruno rossicce a seconda della specie) che verranno covate per 13/14 giorni. Durante il periodo
della cova potrebbe rendersi necessario l’allontanamento del maschio della coppia per fenomeni di
aggressività, in tale caso è opportuno riporlo in una gabbietta del tipo “da richiamo” che verrà
appesa all’interno della voliera in modo che la femmina possa sempre essere in contatto con il suo
maschio.
Alla nascita dei piccoli è necessario aumentare la fornitura di prede vive in quanto la femmina
tenderà ad imbeccare solo con queste.
Per l’allevamento dei nidiacei vi sono due strade generalmente seguite dagli allevatori,
l’allevamento naturale (dove la madre porta i nidiacei allo svezzamento) e l’allevamento “allo
stecco” (dove attorno al settimo giorno di vita i pulcini vengono prelevati dal nido ed alimentati a
mano dall’allevatore). Per l’allevamento naturale sarà sufficiente fornire ingenti quantità di prede
vive alla coppia fino allo svezzamento dei nidiacei mentre per l’allevamento “allo stecco” sarà
l’allevatore a provvedere allo svezzamento dei nidiacei imbeccandoli con preparati commerciali o
con omogeneizzati di carne. L’allevamento allo stecco è una pratica che richiede molto tempo (i
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nidiacei di 7 giorni andrebbero imbeccati ogni 15/20 minuti) ma viene utilizzata per aumentare la
produzione di novelli e per ottenere soggetti più docili.
Quando si tolgono i piccoli la coppia si prepara subito per fare una nuova nidiata e quindi si
producono più piccoli nell’arco della stagione riproduttiva.
Dal quinto all’ottavo giorno i piccoli vengono inanellati con anello metallico inamovibile fornito
dall’associazione ornitologica o dalla provincia di residenza.
L’anello inamovibile riporta: sigla dell’associazione o provincia, anno di nascita del soggetto,
diametro dell’anello, numero progressivo annuo riferito al singolo soggetto da riportarsi sul registro
di allevamento.
In commercio esistono delle preparazioni pronte all’uso per l’imbecco dei nidiacei che al pari del
latte in polvere vanno solo ricostituite con acqua calda prima dell’utilizzo. In realtà molti allevatori
di Turdidi preferiscono utilizzare una alimentazione casalinga data da insetti morbidi con poca
chitina nel guscio (camole del miele crude, larve di mosca carnaria cotte e tarme appena mutate
ancora bianche) insieme ad un omogeneizzato di cuore di bue, ortiche ed integratori alimentari.
Una volta svezzati (30/40 giorni) i novelli possono essere alloggiati in gabbiette singole o in voliere
di gruppo (ad eccezione del Merlo le altre specie hanno abitudini gregarie al di fuori della stagione
riproduttiva) e devono essere alimentati con mangimi pellettati, prede vive e frutta e bacche
naturali.
Quanto sopra descritto vale in linea generale per le specie di Turdidi maggiormente allevate ma
nell’allevamento dei questi uccelli vanno conosciute alcune peculiarità caratteristiche delle specie.
La differenza più importante tra le specie di Turdidi allevate è legata al fotoperiodo.
Il Merlo ed il Tordo bottaccio riproducono fisiologicamente alle nostre latitudini mentre il Tordo
sassello e la Cesena riproducono in aree limitrofe al circolo polare artico in cui è presente un
fotoperiodo caratterizzato dalla presenza di un numero molto elevato di ore luce nel periodo
primaverile in cui tali specie riproducono.
Vista la distinzione sopracitata da questo momento in poi parleremo della riproduzione di questi
uccelli dividendoli in due gruppi, uno con fotoperiodo “mediterraneo” dove tratteremo la
riproduzione del Tordo bottaccio e del Merlo ed uno con fotoperiodo “nordico” dove parleremo
della riproduzione del Tordo sassello e della Cesena.
Le specie di turdidi con fotoperiodo mediterraneo entrano in estro con una media di 12/14 ore di
luce giornaliere come accade per gli altri passeriformi europei e pertanto possono essere riprodotti
con luce naturale. In questo modo entrano in estro tra marzo e maggio (il Merlo è la specie più
precoce). Spesso gli allevatori utilizzano un fotoperiodo artificiale per anticipare leggermente la
riproduzione come accade anche per i Canarini e gli altri Passeriformi allevati. Per aumentare le ore
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di luce si utilizzano dei neon lunghi messi in voliera e gestiti da un timer o da programmatori del
tipo “alba tramonto”.
Le specie di Turdidi con fotoperiodo “nordico” necessitano di almeno 18 ore di luce giornaliere per
una corretta entrata in estro e pertanto alle nostre latitudini l’allevamento di tali specie con luce
naturale è impraticabile. Gli allevatori utilizzano esclusivamente il fotoperiodo artificiale per la
riproduzione di Sasselli e Cesene ricorrendo spesso ad uno slittamento della stagione riproduttiva
dalla primavera all’inverno (vista la resistenza di questi uccelli ai climi rigidi) per un utilizzo più
razionale e conveniente delle strutture di allevamento (le stesse voliere dove riproducono Bottacci e
Merli in primavera vengono usate in inverno per Cesene e Sasselli).
Per quanto riguarda gli Alaudidi, vale più o meno quanto detto per i Turdidi a fotoperiodo
mediterraneo, ad eccezione del posizionamento dei nidi, dato che le Allodole riproducono a terra,
sarà opportuno utilizzare solo voliere in fondo naturale dove siano state seminate delle essenza
prative. L’Allodola differisce dai tordi anche perché durante il periodo autunno-invernale non si
alimenta di bacche o frutti ma soprattutto di granaglie che trova nei terreni, sostituite in allevamento
da misti per diamantini esotici con miglio panico e colza.
La maggior parte dei Turdidi non presenta dimorfismo sessuale quindi il sessaggio precoce è
possibile tramite sessaggio molecolare da penna o sangue o tramite sessaggio endoscopico.
Giunti a Giugno- Luglio si entra nel pieno del periodo della muta in cui gli animali giovani e meno
giovani vengono liberati in grandi voliere, con ampi spazi per il bagno e con una fornitura
quotidiana di insetti e frutta fresca fondamentali per sostenere gli uccelli durante la difficile fase
della muta del piumaggio.
La routine sopra descritta è uguale negli allevamenti di specie a fotoperiodo nordico, con alcune
variabili. Spesso gli allevatori di Tordi Sasselli e Cesene suddividono i riproduttori in due gruppi,
uno che riproduce da ottobre a gennaio ed uno da febbraio a maggio, al fine di raddoppiare il
numero delle coppie mantenendo stabile il numero di voliere (ogni voliera viene occupata da 2
coppie consecutivamente, risultando occupata da ottobre a marzo). Questa doppia riproduzione è
consentita dalla straordinaria resistenza della Cesena e del Tordo Sassello alle basse temperature,
che consente di allevare piccoli perfettamente sani anche nei rigidi mesi invernali semplicemente
aumentando il tenore proteico e lipidico della dieta con pastoni ed insetti a volontà.
Per il resto la routine di allevamento procede come in un allevamento a fotoperiodo mediterraneo
con due gruppi separati che si avvicendano per muta-riposo e riproduzione nelle stesse strutture.
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Routine in un allevamento da canto per caccia (richiamo) e mostre canore:
L’allevamento da canto per manifestazioni canore e per l’attività venatoria seguono
fondamentalmente la medesima routine, differendo solo nel periodo in cui gli animali vengono
portati all’esterno a cantare: periodo primaverile-estivo per le manifestazioni canore e periodo
autunno-invernale per l’attività venatoria.
Vi sono differenze marcate tra gli allevatori che usano la chiusa tradizionale e quelli che usano il
fotoperiodo.
Negli allevamenti da canto per l’attività venatoria che usano il sistema della chiusa tradizionale il
periodo autunno-invernale rappresenta il fulcro di tutta la stagione in cui i richiami vengono portati
al massimo della forma amorosa grazie ad un arricchimento della dieta (aumenta la dose giornaliera
di insetti) e all’apertura di porte e finestre dell’allevamento che comportano un repentino aumento
delle ore luce giornaliere (da 0 a circa 12 verso la fine di settembre). Questo repentino aumento
della durata del giorno fa percepire agli uccelli l’arrivo della primavera inducendo l’estro. Tale estro
artificiale è spesso poco duraturo, in quanto il naturale fotoperiodo calante dei mesi invernali induce
una rapida regressione dello stato di estro degli animali, che quindi dura al massimo 30/40 giorni,
contro un estro normale di circa 90 giorni di durata media.
Negli allevamenti che usano il sistema del fotoperiodo gli animali arrivano a settembre già in
fotoperiodo crescente e grazie ad opportuni aggiustamenti dietetici entrano in estro in modo
graduale riuscendo a mantenere il canto per oltre tre mesi. La muta post-nuziale è un argomento
interessante parlando di richiami, in quanto come già accennato questo periodo rappresenta una
grossa problematica nei soggetti chiusati con sistema tradizionale. Questa doppia muta causa un
notevole stress metabolico. Alla fine della seconda muta (indotta) ci sarà un brevissimo periodo di
riposo (circa un mese) che precederà la nuova stagione invernale e quindi l’estro forzato. Con la
tecnica del fotoperiodo la muta di gennaio rimane l’unica muta annuale che si espleta senza il
minimo intervento dell’allevatore, eliminando del tutto la muta indotta nei mesi estivi. Nel sistema
del fotoperiodo, la muta si svolge in ampie voliere dove gli uccelli possono muoversi, farsi il bagno
e soddisfare al meglio le loro necessità nutrizionali. La prima muta viene seguita da una fase di
pausa, il riposo fisiologico, dove gli animali hanno i soli fabbisogni di mantenimento e che si svolge
ancora una volta in voliera, fino alla tarda estate quando gli animali sentendo il fotoperiodo
crescente cominceranno a dare segni di nervosismo legati all’estro e dovranno essere separati in
gabbie singole.
Una problematica comune è come inserire soggetti nuovi in un gruppo già integrato in un sistema di
fotoperiodo indotto e modificato. Con la chiusa solitamente il problema non si pone dato che da
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settembre a giugno il fotoperiodo è naturale i nuovi arrivi possono essere introdotti nell’effettivo in
uno qualsiasi di questi mesi. Nel sistema del fotoperiodo modificato non esiste un momento in cui
la durata del giorno e della notte sia uguale a quella dell’ambiente esterno e quindi un minimo di
stress per i nuovi soggetti ci sarà sempre, anche se la scelta ottimale è quella di introdurre gli
animali in questo regime foto periodico da gennaio a febbraio, quando il monte ore luce decrescente
li farà permanere in una fase di riposo prolungata. In questo modo si sposterà l’estro verso
l’autunno evitando quindi inutili stress metabolici.
Unico rischio così facendo è quello di indurre una muta precoce.
Rischi sanitari:
Gli uccelli da richiamo sono soggetti alle stesse malattie di tutti gli altri uccelli, ma hanno delle
prerogative fisiologiche e gestionali che ci permettono di rilevare con maggiore frequenza la
presenza di alcune patologie rispetto al altre.
La dieta insettivora con l’utilizzo di insetti vivi porta con se dei fattori di rischio microbiologici
aggiuntivi rispetto ad una dieta esclusivamente granivora.
La tecnica “della chiusa” in ambienti poco luminosi e spesso poco ventilati predispone i soggetti ad
affezioni respiratorie e sviluppo di aspergillosi.
L’abitudine di inserire in allevamento ogni anno soggetti catturati in natura crea una via
preferenziale di ingresso di parassiti in allevamento così come di pericolosi virus.
L’allevamento di soggetti nordici che originano da climi molto diversi dai nostri impone uno stato
di stress cronico all’organismo e un contatto con malattie trasmesse da vettori non presenti
nell’areale di origine della specie (es.: emoparassiti).
Tra le malattie descritte negli uccelli da richiamo possiamo ricordare tra le più frequenti e originali
nei richiami:
- Vaiolo sostenuto da Poxvirus. L’infezione riguarda tutte le specie e con minor gravità gli
ibridi. E’ infezione specie-specifica anche se abbiamo osservato il passaggio tra uccelli delle
stesso genere o filogeneticamente affini. Maggior incidenza in fine estate-autunno, richiede
soluzioni di continuo della cute o insetti ematofagi che fungano da vettori. Si manifesta in
forma polmonare, difteroide o cutanea. Si può tentare (specie-specificità rendo dubbia la
validità) di vaccinare con vaccino per galline ovaiole e broilers non essendo presente un
vaccino studiato per nessuna delle specie allevate,
- Adenovirus gruppo 1. Particolarmente colpiti Tordo Sassello e Cesena. Diagnosticato anche
nel Tordo Bottaccio. Sintomi respiratori con dispnea grave e respirazione rumorosa. Meno
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frequentemente soggetti asintomatici con calo delle prestazioni canore o riproduttive e
spesso in animali con immunità passiva. L’Adenovirus infetta anche: pollo (malattia
respiratoria e epatite a corpi inclusi), tacchino (enterite emorragica), piccione, anatra,
faraona (pancreatite), fagiani (milza marmorizzata), pappagallino ondulato, quaglia della
Virginia (bronchite) ed altri Colini. Si può tentare di vaccinare con vaccino per ovaiole e
broilers non essendo presente un vaccino studiato per nessuna delle specie allevate,
- Pseudopeste aviare sostenuta da Paramixovirus. Sintomi digerenti, respiratori e neurologici.
Si può vaccinare con vaccino per colombi o galline non trattandosi di un vaccino specie
specifico. Presenti flaconi multi dose per iniezione al singolo soggetto oppure da sciogliere
nell’acqua o fornire con istillazione oculo-congiuntivale,
- Arbovirus flaviviridae del tipo “West Nile”. Descritti in soggetti di recente ingresso in
allevamento originari dalle zone di cattura e animali che vivono vicino a zone di
macellazione. Rischio antropozoonosi. Colpisce moltissimi animali e non solo uccelli. Le
prime infezioni aviari descritte furono la “Meningoencefalite israeliana del tacchino”
(colpisce tacchino e quaglia giapponese). Da allora anche se rimane malattia rara è stata
osservata una infettività verso moltissime specie aviari e non,
- Papillomavirosi delle zampe dei Fringillidi da richiamo con particolare sensibilità di specie
per il Fringuello (Fringilla coelebs). E’ un infezione virale cutanea spesso autolimitante
sostenuta da Papillomavirus che crea delle escrescenze carnose spesso confuse con rogna
delle zampe (sostenuta invece da Knemidocoptes),
- Tubercolosi aviare, Stenotrophomonas maltophila, Pseudomonas, Salmonella, ecc. Tutte
malattie batteriche maggiormente presenti in animali che consumano insetti vivi buona parte
dell’anno,
- Malattie respiratorie di origine batterica (Micoplasmosi, Clamidiosi, Pasteurellosi, ecc.)
sono più frequenti nella “chiusa” quando la scarsa igiene dell’aria irrita le vie respiratorie e
predispone a infezioni,
- Malattie micotiche respiratorie (Aspergillosi) e digerenti (Candidosi) sono frequenti nella
“chiusa” per i motivi sopraesposti di scarsa igiene,
- Aflatossicosi ovvero la presenza si Micotossine nel mangime è una causa di morbilità e
mortalità da tenere sempre presente. Si rileva con alta frequenza sia come tossinfezioni
all’origine (il sacco ancora chiuso contiene già le aflatossine) sia a seguito di cattiva
gestione delle scorte alimentari,
- Presenza di Ectoparassiti ed Endoparassiti sull’animale (rogna, acari deplumanti mallofagi,
acari delle vie respiratorie, zecche, ecc.),
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- “Malaria dei Tordi” ovvero la presenza di emoparassiti del tipo Plasmodium o
Leucocytozoon rilevabili dall’osservazione dello striscio ematico, responsabili di mortalità
improvvise e massive nei Tordi Sasselli e Cesene allevati all’aperto durante i mesi estivi. La
prevenzione si esegue in due modi: stabulando gli animali in ambienti interni forniti di
protezioni zanzariere durante i mesi estivi e/o somministrando agli animali con il cibo a
cadenze regolari farmaci antimalarici (es. pirimetamina) a titolo preventivo.
- Cataratta anche giovanile e altri problemi di visione probabilmente riconducibili alla pratica
della “chiusa tradizionale”,
- Problemi ischemici, di ipercheratosi, traumatici agli arti e alle ali da permanenza prolungata
nelle gabbie da richiamo,
- Problemi metabolici da carenza di vitamine del gruppo B e D3.
Legislazione:
Dal punto di vista legislativo gli uccelli da richiamo seguono delle norme detentive diverse e più
restrittive rispetto agli uccelli ornamentali.
Gli uccelli da richiamo sono patrimonio indisponibile dello stato, ma appartengono a specie
soggette a prelievo venatorio per cui secondo la legge 157/92 è consentita la cattura di piccole
quantità di questi uccelli dalla natura per distribuirli ai cacciatori che ne facciano richiesta alla
provincia di residenza.
Per detenere questi uccelli è sufficiente che siano contrassegnati con anelli inamovibili (se nati in
allevamento) o fascette inamovibili (se di cattura) e che siano accompagnatiti da un documento che
ne testimonia la legittima provenienza. Per allevare questi animali si devono seguire normative
diverse di regione in regione, ma in genere è necessaria una autorizzazione della provincia di
residenza e la compilazione di un registro di carico e scarico dei soggetti dell’allevamento.
Per la detenzione dei richiami le provincie stabiliscono degli standard da seguire, indicando: la
misura minima delle gabbie, il tipo di accessori delle gabbie e la necessità di tenere gli animali in
condizioni igienico sanitarie decorose.
Le norme dettate dalle provincie sono molto minuziose nella descrizione delle caratteristiche delle
gabbiette mentre non sono quasi mai chiare nei requisiti dei locali che ospiteranno le gabbie e sulla
densità per metro quadro.
Poca attenzione viene posta dal legislatore nel garantire la salute e le cure a questi animali. Citiamo
letteralmente un estratto della legislazione: “Tutti gli animali accecati, mutilati o ammalati
dovranno essere sequestrati dalle autorità e condotti al più vicino centro di recupero”. Questo passo
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di legge equipara l’animale malato a quello mutilato (alcune persone ritengono erroneamente e
fraudolentemente che accecando i propri tordi questi cantino meglio) e intima il sequestro alle
autorità preposte.
Questo atteggiamento induce l’allevatore a non portare in visita i propri soggetti per paura che gli
vengano sottratti dal Veterinario compiacente con le autorità di controllo.
Il nostro compito resta invece quello dei garanti e tutori della salvaguardia della salute e benessere
degli animali che abbiamo in cura.
Questa pratica professionale si esercita sicuramente anche attraverso la sensibilizzazione dei nostri
clienti, la loro formazione e indirizzo verso pratiche di allevamento etiche e moderne. Non può pero
esserci affibbiato il compito ed il ruolo dei controllori. Questo comporterebbe l’allontanamento
delle persone che in noi devono vedere una figura professionale impermeabile a qualsiasi
connivenza con pratiche poco etiche o illegali, ma nel contempo vicina agli animali qualunque sia il
loro status legale con il solo scopo di mettere in atto tutte le pratiche mediche che consentano un
pronto recupero del loro migliore stato di salute e benessere.
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PODODERMATITE GRAVE SU FALCO SACRO TRATTATA CON LASER TERAPIA E
TERAPIA MEDICA
Dott. Gianluca Tiroli Medico Veterinario Jesi ( Ancona )
INTRODUZIONE
La Pododermatite è una patologia che colpisce il piede e si manifesta quasi esclusivamente nei
soggetti detenuti in cattività; fu segnalata come patologia di estremo interesse già in epoca
Medievale quando la Falconeria ( Arte di cacciare con gli uccelli ) ebbe in Europa la sua massima
diffusione.
Si tratta di una patologia molto frustrante per il proprietario e per il veterinario che ha in cura il
paziente, difficile da trattare con successo. Anche se la malattia riconosce una causa scatenante, ha
una eziologia multifattoriale e si manifesta con abrasioni degli strati superficiali, gonfiore,
ulcerazione dell’epitelio dei cuscinetti plantari con conseguente cellulite e formazione di ascessi.
CAUSE
Come detto in precedenza la pododermatite, nota nei rapaci anche con il nome di Bumblefoot, é una
malattia multifattoriale alla cui manifestazione concorrono diverse cause scatenanti che possono
agire da sole o in associazione:
1.Eccessiva lunghezza degli artigli che provocano auto traumatismi;
2.Stati di denutrizione o eccessivo e repentino aumento di peso;
3.Posatoi inadeguati, rivestiti di materiale non idoneo che possono provocare ferite e abrasioni del
piede;
4.Prolungati periodi di inattività (muta al blocco): tale inattività induce un aumento repentino del
peso dei rapaci che, in associazione all’aumento del volume ematico circolante (tipico degli atleti)
può indurre la formazione di edemi distali (come per altro nei cavalli atleti) con conseguenti
fenomeni ischemici per compressione prolungata in aree circoscritte del piede.
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SEGNI CLINICI E CLASSIFICAZIONE
SEGNI CLINICI
I segni clinici iniziali dell’insorgenza della pododermatite sono un l’assottigliamento e/o
l’infiammazione dell’epitelio della porzione plantare delle dita; le lesioni di localizzano con
maggiore frequenza a livello del cuscinetto metatarsale (principale), dei cuscinetti mediali delle
articolazioni interfalangee che interessano le dita II, III, IV e nei polpastrelli distali delle dita I e II.
Le lesioni possono variare nella presentazione clinica, per grado e localizzazione. Vari fattori
possono determinare la comparsa e il grado delle lesioni:
• Differenza di specie per Localizzazione Geografica;
• Dieta;
• Condizioni meteorologiche preponderanti ( Umidità );
• Materiali e metodiche di addestramento utilizzate dai Falconieri;
CLASSIFICAZIONE
Grado
Descrizione
I Lesione caratterizzata da sottile epitelio appiattito con proliferazione e
formazione di un callo .Si può riscontrare iperemia della pelle, ma nessuna
infezione dei tessuti sottostanti.
II Caratterizzato da infezione sub cutanea ma che non interessa tutto il piede. Può
essere causata da infezioni localizzate sviluppate da necrosi ischemica
localizzata causata dalla penetrazione degli artigli o dalla epidermide “
consumata “da sfregamento.
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III Caratterizzato da gonfiore , dolore del piede senza apparente danneggiamento
dell’epidermide; il gonfiore può essere caratterizzato da materiale sieroso (
solitamente seguito da infiammazione acuta ), fibrotico ( con la creazione di
incapsulamenti di reazioni croniche ) o caseoso ( necrosi infiammatoria cronica
).
IV Caratterizzato da un infezione profonda dei tessuti con conseguente
tenosinovite, artrite e osteomielite ma con le mantenute funzioni del piede. Può
essere fibrotico o caseoso.
V Stadio finale della malattia con la perdita delle funzioni del piede.
TERAPIA MEDICA E CHIRURGICA DEL “ BUMBLEFOOT “
In Medicina dei Rapaci sono state tentate diverse terapie, senza però ottenere dei risultati
soddisfacenti e ripetibili. Nei casi in cui la terapia ha dato buoni risultati gli obiettivi erano:
1.La riduzione della infiammazione e del gonfiore;
2.L’eliminazione dei patogeni presenti e la protezione delle ferite da ulteriori infezioni;
3.Favorire la granulazione dei tessuti e la loro guarigione attraverso medicazioni e bendaggi;
4.L’asportazione chirurgica dei tessuti necrotici (curettage della ferita) e drenaggio del materiale
purulento;
Animali con infezioni e gonfiore ma senza formazione di escare: questi animali rispondono bene
a una terapia antibiotica e analgesica. Lincomicyna, Marbofloxacina o Amossicillina Acido
Clavulanico per un periodo di 7 – 10 giorni. Applicazione topica di una mistura di
Dimetilsulfossido gel e Sodio Fusidato Unguento.
Animali con epitelio danneggiato e presenza di escare: Questi animali richiedono indagini
chirurgiche, bendaggi, utilizzo di analgesici, terapia antibiotica e modificazione dei sistemi di
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gestione; la chirurgia prevede la rimozione di materiale necrotico, la pulizia delle lesioni,
l’applicazione di bendaggi procedendo poi a controlli periodici.
CASO CLINICO
DESCRIZIONE
Ingrid, una femmina di Falco Sacro (Falco cherrug) di nove anni di età acquistata in Settembre 2013
per essere utilizzata come riproduttrice dopo alcuni anni di volo al Logoro; dal momento del suo
arrivo evidenziava la presenza di numerose escare a livello dei cuscinetti plantari delle zampe e la
difficoltà obiettiva a mantenere una corretta e prolungata stazione, costringendola per buona parte
della giornata a un decubito sternale.
Alla visita clinica il paziente si mostrava evidentemente denutrito con gravi lesioni podali
(assottigliamento dell’epidermide, escare, gonfiore) il che lasciava ipotizzare una forzata
permanenza al blocco, probabilmente non ricoperto da materiale idoneo alla prevenzione della
pododermatite.
TERAPIA MEDICA E CHIRURGICA
La impossibilità di mantenere una stazione corretta e la difficoltà di alimentarsi per la comprensibile
algia presente e l’incapacità di prensione degli alimenti, hanno reso necessarie da subito una terapia
medica con la somministrazione di Marbofloxacina (Marbocyl compresse NOME
COMMERCIALE) per os al dosaggio di 15 mg/kg/DIE per
un periodo di due settimane e l’applicazione di bendaggi utilizzando del cotone e della benda
elastica (Vetrap); nel cuscinetto plantare è stata applicata una pomata disinfettante (Betadine crema)
conaggiunta di zucchero e/o miele. I bendaggi sono stati rimossi quotidianamente, ripetendo la
medicazione per un periodo di 3 settimane; in questo periodo il falco è stato sostenuto con una
alimentazione assistita in quanto non era in grado di alimentarsi completamente da solo. Trascorse
le tre settimane durante le quali il falco è stato bendato e medicato quotidianamente e visto il
miglioramento delle lesioni e della sua condizione fisica, si è deciso di continuare il trattamento con
l’applicazione di pomata disinfettante ( Betadine ) senza aggiunta di miele o zucchero applicando le
fasciature a giorni alterni allo scopo di far recuperare la capacità prensile delle zampe il più presto
possibile; in tutto il periodo di medicazioni il falco è stato libero di muoversi in voliera.
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Purtroppo, trascorse altre due settimane si é avuta una recidiva con gonfiore delle zampe e difficoltà
di movimento. Sono ricomparse la sintomatologia algica, le tumefazioni e l’ impossibilità di
mantenere la stazione eretta. Si é quindi resa necessaria una pulizia chirurgica degli ascessi con
rimozione del materiale necrotico; nonostante i trattamenti la pododermatite aveva raggiunto il IV –
V grado con interessamento dei tessuti profondi, dei tendini e legamenti con evidenti segni di
osteomielite.
Terminata la chirurgia senza apporre punti di sutura sono state applicate delle fasciature
cospargendo le lesioni con Betadine crema e sostituendole quotidianamente associando terapia
antibiotica per via sistemica con Marbofloxacina per un periodo di 2 settimane.
Un mese e mezzo di fasciature e applicazioni topiche di pomata non hanno migliorato la condizione
in maniera definitiva e durante le ispezioni quotidiane spesso si rinvenivano tumefazioni plantari e
la produzione di pus era costante con delle piccole variazioni ma
mai in netta risoluzione, il falco alternava giornate di buon temperamento a momenti di inattività e
disoressia.
TERAPIA MEDICA INTERGRATA E “ LASER TERAPIA “
Il fallimento delle terapie mediche e chirurgiche, il peggioramento delle condizioni fisiche del
soggetto, la sua impossibilità a mantenere la stazione eretta per gran parte della giornata non
lasciavano speranze di guarigione e iniziava a prospettarsi l’ipotesi di effettuare l’eutanasia; si é
optato quindi di proseguire il trattamento associando la laser terapia alle già note terapie mediche
(fasciature morbide con cotone e applicazione di betadine crema). Gli antibiotici per via sistemica
non sono stati più somministrati.
LASER TERAPIA
PRINCIPI: Il laser stimola la biodisponibilità dell’ ATP cellulare aumentando il metabolismo
delle cellule, velocizza la riparazione dei tessuti a livello epiteliale e connettivale. Non agisce sul
DNA ma solo sui mitocondri e sull ‘ ATP, ha inoltre un’ azione antiedemigena perché aumenta la
peristalsi linfatica. In ultimo svolge un’azione antiflogistica aumentando la velocità di rinnovo
tessutale e diminuisce la quantità di liquido interstiziale.
I trattamenti generalmente vengono effettuati ogni 48 ore per un totale di 6 – 7 trattamenti fino a 10;
la bio stimolazione su una piaga o su un ascesso va fatta applicando il Raggio Laser alla periferia
della lesione e non al centro dove è presente la necrosi.
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TERAPIA INTEGRATA
Seguendo le indicazioni per una corretta Laser terapia nel soggetto in questione è stata utilizzata
una potenza di 0,5 Watt per un tempo di 30 secondi ad applicazione e svolgendo 3 – 4 applicazioni
per ogni zampa per un numero complessivo di 6 – 8 ogni seduta; la Fonte del raggio è stata
mantenuta a una distanza dal piede di 2 cm e applicata con dei movimenti circolari ai margini
dell’area di necrosi; le sedute complessive sono state 10 svolte con un tempo di intervallo di 48
ore per le prime 6 e di 72 ore per le rimanenti 4; nei periodi di intervallo il falco è rimasto con le
zampe bendate come descritto in precedenza e con l’ applicazione di Betadine crema; i risultati
positivi si sono appalesati già alla terza seduta quando il soggetto riusciva a stare in piedi sul
posatoio e le lesioni iniziavano a granuleggiare abbondantemente.
CONCLUSIONI
La pododermatite ( Bumblefoot ) nei rapaci è una delle patologie più gravi e insidiose che si
possano manifestare, la sua lenta progressione, le altalenanti fasi di ripresa e le continue recidive
mettono a dura prova anche Medici veterinari con notevole esperienza in patologia degli uccelli da
preda; fondamentale è la cura degli artigli e dei posatoi dove i rapaci passano gran parte della
giornata oltre ad una corretta alimentazione e una attività fisica costante mantenendo dei buoni pesi
di volo; la laser terapia si è rivelata nel caso descritto di fondamentale aiuto per scongiurare l’ipotesi
della eutanasia, alla luce del fallimento delle sole terapie mediche e chirurgiche; resta comunque
importantissima una precoce diagnosi e un trattamento medico tempestivo nelle prime fasi di
pododermatite affiancato da una sostanziale modificazione dei sistemi gestionali all’ interno delle
falconiere; il soggetto in questione ( Falco sacro ) dopo un anno dall ‘inizio dei vari tentativi atti a
risolvere il suo gravissimo problema di Bumblefoot ha riacquistato la capacità di rimanere in
stazione eretta per la quasi totalità della giornata, riuscendo ad avere una completa autosufficienza
nonostante le lesioni le abbiano lasciato la funzionalità di due sole dita nella zampa destra.
La sua completa impossibilità di utilizzo nell’ attività venatoria e le obiettive difficoltà di volo
lasciano comunque aperta la strada della riproduzione con tecniche di fecondazione artificiale;
l’integrazione della Laser terapia alle tecniche mediche normalmente utilizzate nella cura del
Bumblefoot dei rapaci potrebbe ( mantenendo in vita soggetti che normalmente non avrebbero
alcuna possibilità ) rivelarsi di estrema utilità nel mantenere riproduttivi soggetti appartenenti a
specie particolarmente pregiate o in pericolo di estinzione.
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Gestione clinica delle patologie del becco degli uccelli
Dr. Tommaso Collarile
Il becco degli uccelli, soprattutto quello degli psittaciformi, è sede comune di patologie di varia origine: infestiva, traumatica, infettiva in primis.
Nel corso della presentazione verranno esposte le patologie che più frequentemente possono colpire la regione del becco, e saranno esposti diversi casi clinici e altrettanti approcci terapeutici.
La funzione primaria del becco è quella dell’assunzione di cibo e della preparazione dell’alimento all’ingestione ed alla digestione. Attraverso il becco i pappagalli sono in grado di rompere noci, sbucciare semi sminuzzare frutta. Oltre alle attività legate all’apparato digerente, il becco può avere funzione di difesa e protezione, funzioni legate alla vita sociale, alla tolettatura oltre che di deambulazione.
Per conoscere ed interpretare al meglio le patologie e le rispettive terapie è necessario avere una chiara idea dell’anatomia della specie in questione, e soprattutto è fondamentale considerare il becco dei volatili un organo corneo in continua evoluzione. Infatti al di sopra del periostio più profondo, il rostro è costituito da uno strato germintivo. A tale livello l’epidermide e il derma si interdigitano attraverso le loro papille ben irrorate da capillari. Lo strato corneo origina dagli strati germinativi crescendo in modo continuo e formando degli strati sottili che si sovrappongono. La posrzione superiore, ranfoteca, cresce in direzione cranio-ventrale mentre quella inferiore, gnatoteca, cresce in direzione cranio-dorsale.
Ranfoteca e gnatoteca (becco superiore ed inferiore) con il continuo movimento di sfregamento durante l’alimentazione e durante le operazioni di tolettatura vanno in contro al consumo continuo indispensabile per il mantenimento della forma fisiologica. Il mancato contatto tra le due superfici di consumo, dovuto a
cause diverse, determina una crescita anomala del becco (becco a forbice, ecc...). Al contrario, qualunque causa che determini alterazione nel tessuto di germinazione, provocherà il mancato sviluppo di una sezione del rostro.
La conoscenza della situazione patologica e del coinvolgimento dei tessuti profondi è indispensabile per predire la prognosi.
La velocità di crescita e sviluppo del tessuto corneo è variabile in base all’età e alla specie del volatile. La valutazione di tale crescita è imp ortante in previsione dell’eventuale rigetto di protesi e correzioni.
Alterazioni dell’anatomia del becco possono essere causate da malattie parassitarie (Cnemidocoptes spp.), micotiche (Candida spp., Aspergillus spp.), batteriche, virali (Circovirus), genetiche/congenite, neoplastiche oltre che dalle frequenti cause traumatiche.
Ogni quadro patologico deve essere interpretato nello specifico per valutare la migliore possibilità terapeutica e prognostica. Oltre che la gestione del dolore e dell’anatomia, il ripristino funzionale (nutrizione) costituisce il primo obbiettivo.
Per ripristinare l’anatomia e la funzionalità del becco si ricorre ad approcci terapeutici diversi. Nei casi più gravi è possibile eseguire vere e propie sintesi con l’ausilio di cerchiaggi e di chiodi da ortopedia, in altri casi
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può essere sufficiente l’utilizzo di resine come il metacrilato. Quando si risostruisce l’integrità del becco, bisogna sempre valutare l’aspetto medico oltre che quello anatomico. È bene ricordare che il rostro dei pappagalli è un organo altamente irrorato da vasi sanguigni e ben innervato. Inoltre la continuità con l’apparato respiratorio (sacchi aerei si protraggono all’interno e si continuano con i seni infraorbitari) rende le patologie del becco potenziali cause di malattie respiratorie di altri distretti. Questo ed altri aspetti anatomo fisiologici devono essere sempre tenuti in considerazione durante la scelta terapeutica.
Inoltre l’applicazione di protesi ed altri ausili correttivi può essere di fondamentale importanza per la correzione di ranfoteche che tendono a crescere con deviazioni o curvature. Questo fenomeno è a volte associato a pratiche di allevamento allo stecco incorrette. In questi casi l’approccio terapeutico precoce è fondamentale ai fini di una prognosi favorevole. La correzione della direzione di crescita della ranfoteca e più raramente della gnatoteca, non sono importanti solamente ai fini estetici, ma sono fondamentale per prevenire crescite anomale dovute al mancato consumo del tessuto corneo.
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Un caso di melanoforoma in una Pseudemys rubriventris
Mattia Bielli, Med. Vet.
V.le M. Buonarroti, 20/a 28100 Novara
Una femmina adulta di Pseudemys rubriventris viene presentata con una storia di anoressia e
letargia da circa 15 giorni.
All’esame clinico il soggetto appare in pessime condizioni e risulta immediatamente evidente una
tumefazione a carico della base dell’arto anteriore sinistro.
Altre a ciò sono evidenti alcune petecchie emorragiche diffuse sulla cute e lo stato di dimagramento
dell’animale.
Le analisi cliniche mettono in evidenza uno stato anemico, iperuricemia, iperuremia, un aumento
degli enzimi aspartato amino transferasi e lattato deidrogenasi, e una condizione di ipoprotidemia.
Un esame radiografico dell’arto interessato evidenzia un’area radio densa attorno all’articolazione
della spalla a carico dei tessuti molli e fenomeni erosivi a carico dell’estremità prossimale
dell’omero.
Un esame citologico del materiale ottenuto tramite FNA evidenzia una popolazione di cellule
pleomorfe in cui prevalgono elementi fusati e stellati il cui citoplasma contiene granuli di pigmento
bruno-nerastro, compatibile con la diagnosi di melanoforoma.
Successivamente al decesso della testuggine, avvenuto nelle 24 ore successive, si preleva l’arto per
indagine istopatologia.
L’istopatologia conferma la diagnosi citologica definendo la forma neoplastica come melanoforoma
in variante mucinosa.
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52
Forme tumorali negli uccelli selvatici, da gabbia e da voliera:
la casistica di un decennio di attività diagnostica
Laura Strada, DVM
Libero professionista, Milano
347/9921968 - [email protected]
INTRODUZIONE
Per quanto riguarda le forme neoplastiche degli uccelli, nella letteratura scientifica le maggiormente
segnalate sono indubbiamente quelle ad eziologia virale del pollo, prima fra tutte la Malattia di
Marek causata da un Herpesvirus, per ragioni economiche e di attualità, seguita dalle altrettanto
note infezioni di origine retrovirale Leucosi/Sarcoma aviare e Reticoloendoteliosi, che mostrano
una serie di ospiti più ampia rispetto alla Malattia di Marek, interessando anche tacchino,
galliformi selvatici e palmipedi (Fadly e Payne, 2003; Witter e Fadly, 2003). Sono neoplasie
trasmissibili proprio in virtù della loro eziologia virale e hanno da sempre una grande importanza
nello studio dell’oncogenesi virale.
Esiste tuttavia un’altra ampia categoria che annovera le forme neoplastiche ad eziologia ignota,
forme cioè in cui non è stata riscontrata l’azione patogena di un virus. Si tratta di una categoria
estremamente eterogenea sia per quanto riguarda il comportamento biologico (tumori benigni o
maligni) sia relativamente all’origine tissutale. Queste forme neoplastiche si manifestano non solo
nel pollame domestico ma anche negli uccelli selvatici, da gabbia e da voliera.
Questo studio ha preso in esame i casi di tumore occorsi nel decennio 2002-2012 all’attività
diagnostica aviare della Sezione di Anatomia Patologica Veterinaria e Patologia Aviare della
Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano.
53
LE NEOPLASIE DEGLI UCCELLI
Una neoplasia viene definita come una proliferazione cellulare anomala, incontrollata e
progressiva.
I tumori possono essere classificati secondo diversi criteri:
- Origine generale del tessuto (epiteliale o mesenchimale);
- Specifica linea cellulare;
- Comportamento biologico (benigno o maligno).
La letteratura scientifica si è ampiamente occupata delle neoplasie degli uccelli domestici,
soprattutto polli, con particolare attenzione a quelle di eziologia virale. Molto più frammentaria e
meno sistematica è la bibliografia dedicata alle neoplasie degli uccelli selvatici e da voliera, per lo
più costituita da “case reports”. Per queste specie di uccelli si stima che complessivamente le
neoplasie rappresentino il 3,8% della totalità delle patologie diagnosticate (Latimer, 1994). Lawrie
(2005) stima che per i pappagalli nel 3-4% della totalità degli esami istologici richiesti vengano
diagnosticate neoplasie. Sempre secondo questo autore è possibile che vi sia un’origine virale
anche in alcuni tumori che colpiscono i pappagalli, quali i papillomi epiteliali (Papillomavirus), i
papillomi cloacali (Herpesvirus) ed alcuni tumori renali degli ondulati (virus Leucosi/Sarcoma).
Maggiori dati sono disponibili per gli uccelli da compagnia e da voliera, cioè quelli tenuti in
cattività, perché, a differenza degli uccelli a vita libera, secondo Latimer (1994):
- sono maggiormente tenuti sotto osservazione, cosa che rende più facile l’individuazione di
un’eventuale patologia e la sua diagnosi;
- hanno generalmente un’aspettativa di vita maggiore, cosa che quindi aumenta l’incidenza
per l’insorgenza di neoplasie;
- potrebbero essere geneticamente più predisposti a forme tumorali come conseguenza della
selezione dettata dalle logiche di allevamento.
54
RISULTATI
CASO
SPECIE
ETA’ e
SESSO
SEDE
ANATOMICA
DIAGNOSI
1
Piccione
5 anni
Cavità celomatica
FIBROSARCOMA/LEIOMIOSAR
COMA
2*
Inseparabile
Adulto
Torace
FIBROSARCOMA/LEIOMIOSAR
COMA
3*
Oca
Adulto
Fegato
COLANGIOCARCINOMA
4*
Piccione
Adulto
Ala
FIBROSARCOMA
5*
Ondulato
1 anno ♂
Ala
EMANGIOMA
6
Ondulato
Adulto
Cavità celomatica
pericloacale
SARCOMA POLIMORFO
7A
Fagiano
Adulto
Cavità orale,
sottocute
cavità celomatica,
retrobulbare
LINFOMA MULTICENTRICO
7B
Fagiano
Adulto
Cavità celomatica
EMANGIOMA/EMANGIOSARC
OMA/
MIXOMA
55
8 Piccione 1 anno ♂ Fegato LEUCOSI MIELOIDE
9*
Fagiano
5-6 mesi
Milza, fegato
LINFOMA MULTICENTRICO
10
Fagiano
160
giorni ♀
Fegato
LINFOMA
11*
Fagiano
5-6 mesi
♂
Milza, fegato
LINFOMA MULTICENTRICO
12
Oca
Adulto ♀
Fegato
COLANGIOCARCINOMA
13
Anatra muta
10 mesi
♀
Celoma toracico
TERATOMA
14*
Fagiano
Adulto
Milza, fegato
LINFOMA MULTICENTRICO
15
Inseparabile
Adulto ♂
Celoma toracico
ADENOCARCINOMA
TUBULARE
16*
Inseparabile
1 anno ♀
Fegato
COLANGIOCARCINOMA
17*
Anatra muta
1 anno ♀
Non precisata
TERATOMA
18*
Avvoltoio
reale indiano
15 anni ♀
Fegato
MIELOLIPOMA
19
Lori rosso
3 anni ♀
Cavità celomatica
LINFOMA
56
20
Merlo
indiano
16 anni ♂
Cavità celomatica
LINFOMA
21*
Amazona
fronte gialla
10 anni ♂
Ala (gomito)
SARCOMA ISTIOCITARIO
22
Calopsitta
2 anni ♀
Base del cuore
CHEMODECTOMA
23*
Merlo
indiano
14 anni ♀
Cute dell’arto
inferiore
TUMORE A CELLULE FUSATE
24
Canarino
Adulto ♀
Milza, fegato, rene,
midollo osseo,
proventricolo,
muscolo striato
LINFOMA MULTICENTRICO
25
Canarino
Novello
♀
Fegato
LEUCOSI MIELOIDE
26
Diamante di
Gould
Nidiaceo
Polmone
TUMORE A CELLULE FUSATE
27
Ondulato
♂
Milza
SARCOMA INDIFFERENZIATO
28
Ondulato
25 giorni
Rene, fegato
LEUCOSI MIELOIDE
29
Ondulato (2)
Nidiaceo
Rene
LEUCOSI MIELOIDE
57
30*
Diamante
mandarino
1 anno ♀
Stomaco ghiandolare
NEOPLASIA NON PRECISATA
(tbc +)
31
Pettirosso
Adulto ♂
Muscoli pettorali
RABDOMIOSARCOMA
32
Ondulato
Adulto ♂
Testicolo
SEMINOMA
33
Ondulato
3 anni ♂
Fegato
LEUCOSI MIELOIDE
34
Ondulato
11 anni ♀
Rene
ADENOCARCINOMA
35*
Rosella
Becco
ADENOCARCINOMA
MUCINOSO
36*
Ondulato
7 anni
Cute alla base della
coda
FOLLICULOMA DELLE PENNE
37*
Merlo
indiano
6 anni
Cute del dorso
FIBROSARCOMA
38*
Inseparabile
4 anni
Cute del dorso
CARCINOMA SQUAMOSO
39*
Inseparabile
4 anni
Cute alla base della
coda
PAPILLOMA CLOACALE
40
Canarino
Miocardio
LINFOMA
58
41 Parrocchetto
testa
prugnata
4-5 anni
♂
Milza, fegato NEOPLASIA DEL TESSUTO
EMOPOIETICO
42*
Starne (vari
soggetti)
Milza, fegato
LINFOMA
43
Calopsitta
1 anno e
mezzo ♀
Celoma toracico
ADENOMA DI ORIGINE
BRONCHIALE
44
Capovaccaio
15 anni ♀
Ovaio
TUMORE DELLE CELLULE
DELLA GRANULOSA
45
Ondulato
3 anni ♂
Ala
SARCOMA
INDIFFERENZIATO/LEIOMIOSA
RCOMA
46
Ciuffolotto
Adulto ♂
Fegato, milza
LINFOMA
47
Ondulato
3 anni ♀
Base del cuore
NEOPLASIA NON PRECISATA
48*
Piccione
Ala
CARCINOMA SQUAMOSO
49*
Quaglia
2 anni ♀
Arto inferiore
OSTEOSARCOMA
50*
Ondulato
7-8 anni
♀
Cute del dorso
CHERATOACANTOMA
59
I 50 casi selezionati riguardano uccelli appartenenti a 21 specie e nel dettaglio:
- 23 PSITTACIFORMI, di cui
- 21 Psittacidae:
� 12 Melopsittacus undulatus;
� 5 Agapornis spp.;
� 1 Eos bornea;
� 1 Amazona ochrocephala;
� 1 Platycercus sp.;
� 1 Psittacula cyanocephala
- 2 Cacatuidae:
� 2 Nymphicus hollandicus;
- 10 PASSERIFORMI, di cui
- 4 Fringillidae:
� 3 Serinus canaria;
� 1 Pyrrhula pyrrhula;
- 3 Sturnidae:
� Gracula religiosa;
- 2 Estrildidae:
� 1 Erythrura gouldiae;
� 1 Taeniopygia guttata;
- 1 Muscicapidae:
� Erithacus rubecula;
- 7 FASIANIDAE, di cui
60
� 5 Phasianus colchicus;
� 1 Coturnix coturnix;
� 1 Perdix perdix;
- 4 ANATIDAE, di cui
� 2 Anser anser;
� 2 Cairina moschata;
- 4 COLUMBIDAE
� Columba livia;
- 2 ACCIPITRIDAE, di cui
� 1 Sarcoramphus papa;
� 1 Neophron percnopterus.
Gli Psittaciformi rappresentano il gruppo più numeroso (23 casi), quasi del tutto costituito da psittacidi
(21 casi), mentre solo 2 casi riguardano calopsitte che appartengono alla famiglia delle Cacatuidae.
L’insieme dei casi riguardanti ondulati ed inseparabili, che sono le specie più rappresentate, ricopre circa
il 74% di tutti i tumori dei pappagalli. La frequenza delle neoplasie negli ondulati è un dato ben noto in
letteratura (Petrak e Gilmore, 1969; Latimer, 1994; Lawrie 2005) ma è anche vero che si tratta dei più
comuni pappagalli tenuti in cattività.
Il secondo gruppo per consistenza numerica è rappresentato dagli uccelli dell’ordine dei Passeriformi,
in cui si nota una prevalenza dei canarini. Anche in questo caso, come in quello precedentemente citato
degli ondulati, questo dato si spiega non tanto per una predisposizione della specie allo sviluppo di
neoplasie, quanto invece per il fatto che i canarini sono senza dubbio i passeriformi da voliera più
comuni. In questo stesso ordine ritroviamo inoltre 3 gracule religiose, specie in diminuzione in
condizione di cattività, da quando incluse nell’Appendice II del CITES. Questa regolamentazione per le
specie protette limita il commercio di individui di cattura, permettendo quello dei soggetti nati in
cattività; le difficoltà nella riproduzione di queste specie in cattività ha di fatto diminuito la loro
disponibilità sul mercato.
61
Le neoplasie presenti nella casistica mostrano una notevole varietà, essendo rappresentate da forme di
derivazione epiteliale, mesenchimale o mista a partire da organi ed apparati diversi. Questa varietà
risulta ovviamente già dai testi consultati che si occupano di oncologia in campo aviare (Petrak e
Gilmore, 1969; Latimer, 1994; Schmidt et al., 2003; Lawrie, 2005).
Spesso la natura della neoplasia non è emersa dall’esame istologico (casi n°30 e 47) oppure ammette 2 o
3 possibilità ( casi n°1, 2, 7B, e 45) o è formulata in modo generico (casi n°23, 26 e 41). In tutti questi
casi non sono stati effettuati approfondimenti con tecniche di immunoistochimica per definire il tipo di
cellula neoplastica.
Il 34% del totale è rappresentato dalle neoplasie del sistema emolinfopoietico (17 casi) che riguardano
psittacidi, passeriformi, fasianidi e piccioni. Tra queste si evidenzia la presenza di
- 5 fagiani (casi n°7A, 9, 10, 11, 14)
- 3 canarini (casi n°24, 25, 40)
- 3 ondulati (casi n°28, 29, 33)
- Un piccione (casi n°8)
- Un lori rosso (caso n°19)
- Un merlo indiano (casi n°20)
- Un parrocchetto testa prugnata (caso n°41)
- Starne (caso n°42)
- Un ciuffolotto (caso n°46)
Negli uccelli e soprattutto nel pollo e nel tacchino è nota la relazione causale tra infezioni da Retrovirus
e diversi tipi di neoplasie, tra le quali ben rappresentate sono quelle del sistema emolinfopoietico (Fadly
e Payne, 2003; Witter e Fadly, 2003). Il sospetto che anche negli uccelli da gabbia si possa trattare di
forme ad eziologia virale è stato avanzato già da tempo, sulla base di precisi dati anamnestici (Loupal,
1984). Tra i tanti metodi possibili per dimostrare la presenza di Retrovirus (immunoistochimica,
ibridazione in situ, ultramicroscopia, tecniche biomolecolari, isolamento virale), è stato utilizzato anche
in 2 casi di questo studio un anticorpo contro la p27, proteina del capside esterno dei Retrovirus della
Leucosi Aviare (ALV), secondo un protocollo di immunoistochimica già messo a punto in Sezione in
62
polli con mielocitomatosi da ALV-J (Sironi et al., 1996). La marcatura per la p27 ha dato però esito
negativo sia nel caso n°25 di un canarino sia nel caso n°31 del pettirosso.
Si noti come lo stesso tipo di tumore (teratoma) sia stato diagnostico nelle uniche 2 anatre mute
presenti in casistica (casi n°13 e 17), per di più nello stesso anno. I soggetti non risultano provenire dallo
stesso allevamento anche se siamo sempre nell’ambito della provincia di Milano. Curiosamente nel caso
n°17 viene segnalata in anamnesi che l’anatra conviveva con un altro soggetto deceduto anch’esso con
una voluminosa massa neoformata in sede celomatica.
Anche le uniche 2 oche della casistica (casi n°3 e 12) presentavano lo stesso tipo di tumore: un
colangiocarcinoma. Essendo nota la sensibilità dei palmipedi in generale all’azione carcinogenetica
delle aflatossine sul fegato (Quezada et al., 2000; Hoerr, 2003), non è inverosimile che l’uso di un
mangime contenente micotossine possa aver causato queste neoplasie.
Tra i tumori compresi in questo studio e ritenuti relativamente rari si segnala il mielolipoma epatico di
un avvoltoio reale indiano (caso n°18), di cui l’unica altra segnalazione riguarda un’oca (Suzuki et al.,
2010) e il chemodectoma in una calopsitta (caso n°22), di cui esiste un’unica altra segnalazione in un
ondulato (Schmidt et al., 2003).
Raro anche in letteratura il cheratoacantoma, segnalato in un ondulato (caso n°50), neoplasia epiteliale
a carattere benigno che in alcuni uccelli regredisce spontaneamente e, almeno nell’uomo, è associata ad
aree particolarmente esposte alla luce solare. Si presenta come una lesione esofitica ortocheratosica
formata da isole ben delimitate di cellule epiteliali squamose e perle cornee. Altri casi di
cheratoacantoma sono stati segnalati sempre in ondulati, in particolare uno riguardava la stessa sede
anatomica, cioè l’uropigio (Owen et al., 2007).
Un caso raramente riportato in letteratura e molto interessante in quanto riguarda un selvatico a vita
libera, è rappresentato dal caso n°31. Si tratta di un rabdomiosarcoma del muscolo pettorale in un
pettirosso (Manarolla et al., 2008). Il soggetto è stato consegnato vivo ma in condizione cachettica e con
il muscolo pettorale sinistro completamente sostituito da una massa prominente e giallastra (2,5 x 2 cm)
che invadeva lo sterno e più di metà del muscolo pettorale destro. Il tumore istologicamente presentava
caratteristiche sarcomatose indifferenziate ma la positività immunoistochimica per i componenti
miogenetici della mioglobina e per la desmina ha portato alla diagnosi di rabdomiosarcoma. Erano
presenti metastasi in sede polmonare e miocardica.
Si segnala infine che in un caso non è stato possibile ritrovare il vetrino (caso n°16).
63
DISCUSSIONE
La casistica è purtroppo inficiata dal fatto che in parecchi casi la diagnosi del tumore non è
precisa. La scarsa precisione della diagnosi istopatologica e il mancato ricorso a tecniche di
immunoistochimica per precisare la natura e l’origine delle cellule neoplastiche è dovuto a diversi
fattori. In primo luogo non tutti i casi raccolti rientravano nella diagnostica “conto terzi”, cioè
richiesta da veterinari liberi professionisti o direttamente da allevatori e proprietari degli animali e
che prevede un referto scritto finale. Infatti dove l’indicazione diagnostica è imprecisa o incompleta
si tratta di campioni conferiti da studenti, specializzandi, borsisti e dottorandi che eseguivano la
necroscopia e si occupavano personalmente dell’allestimento dei preparati istologici e della loro
lettura. A ciò si aggiunge che l’attività diagnostica aviare non dispone di persone specificamente
formate e unicamente dedicate all’istopatologia degli uccelli e che per la valutazione dei campioni
istologici normalmente si ricorre a un patologo della Sezione (prof. Sironi). Va comunque precisato
che il numero dei campioni conferiti non giustifica attualmente la presenza di un istopatologo
aviare.
Un’ultima considerazione merita il fatto che la diagnosi di neoplasia riguarda in tutti i casi, tranne
che nel n° 50, uccelli già deceduti, perciò manca l’interesse per una diagnosi che consenta una
valutazione prognostica di un animale in vita da sottoporre a trattamento chirurgico o chemio- e/o
radioterapico.
Se la imprecisione o incompletezza nella diagnosi della neoplasia non consente di trarre conclusioni
sulla frequenza delle varie forme tumorali, la casistica appare significativa per quanto riguarda la
distribuzione dei tumori tra le varie specie di uccelli da gabbia; infatti, come già segnalato in
letteratura (Petrak e Gilmore, 1969; Latimer, 1994; Lawrie 2005), prevalgono nettamente i
pappagalli e, tra questi, gli ondulati.
Un ulteriore dato di interesse emerso dai dati riguarda tutte le forme in cui è stato diagnosticato o
sospettato un tumore del sistema emolinfopoietico. La nota eziologia virale di tali forme negli
uccelli domestici (pollo e tacchino) e le scarse e non recenti segnalazioni di forme retrovirali
anche nei selvatici (Fadly e Payne, 2003; Witter e Fadly, 2003) suggeriscono di rivalutare ed
approfondire alla ricerca di Retrovirus il materiale dei casi riguardanti fagiani e starne (n° 7, 9, 10,
11, 14 e 42). Anche il fatto che tutti i casi dei fagiani si collochino in un ristretto lasso di tempo
suggerisce la possibile circolazione di infezioni virali negli allevamenti di fagiani, tutti molto vicini
geograficamente e che probabilmente si rifornivano dalle stesse fonti. Lo stesso si può dire anche
per quanto riguarda gli ondulati (casi n° 28, 29, 33), che appartenevano allo stesso allevamento e
64
per i quali esistono già citazioni in letteratura che alimentano il sospetto di implicazioni virali in
queste forme tumorali ( Cavill, 1969; Loupal, 1984).
I selvatici a vita libera sono poco rappresentati nella mia casistica, come era da attendersi. Sono
rappresentati dal pettirosso (caso n° 31) in cui è stato diagnosticato un rabdomiosarcoma, tumore
relativamente poco comune (Manarolla et al., 2008) e da 3 piccioni (casi n° 1, 4 e 8) che possono
rientrare tra i selvatici in quanto si trattava di piccioni di città o “feral” e non di piccioni domestici
di allevamento. Non proprio a vita libera, ma tenuti in un parco faunistico, erano inoltre l’avvoltoio
reale indiano e il capovaccaio (casi n° 18 e 44). In entrambi sono stati diagnosticati l’unico
mielolipoma e l’unico tumore delle cellule della granulosa della casistica.
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74
Diagnostica per… immaginazione
dott. Gianluca Deli, DMV
L’impiego della diagnostica per immagine
diagnostico aggiuntivo a quelli che
problema, potremo indirizzarci verso
paziente. La radiologia (Rx, RM, TAC),
sue peculiarità e specificità, di approfondire
diagnostico.
Esistono comunque notevoli difficoltà
frequenza respiratoria, manipolazione
anatomiche specie-specifiche. Nessuno
sufficiente un adattamento delle tecniche
Radiologia:
Esame rapido, maneggevole, adattabile
elezione nella pratica clinica: innanzitutto
o digitale) all’interno della propria struttura,
del nostro sospetto diagnostico. Non
rinvenire reperti occasionali, non associati
visita clinica, quali ad esempio calcoli
Per mezzo della radiologia sono molti
traumi, individuazione e visualizzazione
l’andamento della guarigione, blocco
uccelli e rettili e di feti nei piccoli
questo ovviamente dobbiamo possedere
specie.
dott. Gianluca Deli
immaginazione
immagine negli animali non convenzionali
che sono i normali e consueti esami collaterali.
verso l'esame che riterremo essere quello più adatto
TAC), l’endoscopia e l’ecografia, ci permettono,
approfondire e fornire elementi aggiuntivi al
difficoltà tecniche dovute essenzialmente a: taglia
manipolazione e contenzione non sempre agevoli, eventuali
Nessuno di questi fattori è però insormontabile: sarà
tecniche e dei principi di interpretazione usati per cani
adattabile alle differenti specie, rappresenta molto
innanzitutto perché tutti oramai possiedono un radiologico
struttura, ma soprattutto perché ci può dare immediata
Non di rado, con l’esecuzione di una radiografia,
associati a sintomatologia conclamata, non rilevati
calcoli urinari.
molti gli aspetti che possiamo andare ad indagare.
visualizzazione di fratture con successivo follow up
blocco intestinale, presenza di corpi estranei, ritenzione
mammiferi, masse, patologie ossee, patologie
possedere una conoscenza appropriata dell’anatomia
offre un mezzo
collaterali. A seconda del
adatto al problema e al
permettono, ognuno con le
nostro percorso
taglia ridotta, elevata
eventuali particolarità
sarà molto spesso
cani e gatti.
spesso quello di
radiologico (“classico”
immediata conferma
radiografia, possiamo
rilevati durante la
indagare. Tra questi:
per monitorarne
ritenzione di uova in
dentali. Per fare
dell’anatomia delle differenti
75
Nell’ambito della stessa Classe animale,
risultano essere abissali confrontando
dimensioni del paziente, la forma
cuore, la disposizione degli organi interni,
carapace, sono solo alcuni degli elementi
successiva lettura del radiogramma.
“iatrogeni”, che possono influenzarne
possiamo comprendere l’obesità, caratteristica
eccessivi depositi adiposi, andandosi
celomatici) possono determinare una
delimitazione; se abbondanti, possono
posizione. Tra i fattori “iatrogeni”
pellicola o cassetta radiografica, esperienza
manipolazione e posizionamento del
A seconda della procedura, delle condizioni
“sarà tutto un po’ diverso”), l’utilizzo
vantaggi, soprattutto in quei pazienti
contenzione e al posizionamento
ottenere un radiogramma diagnostico.
Sebbene queste permettano un corretto
errori di interpretazione della lastra
un’aumentata opacità radiografica del
broncovascolare e un aumento falsato
torace); tutte queste sono comunque
difficilmente evidenziabili. Ricordiamoci
proprietario dei possibili effetti collaterali
Date le ridotte dimensioni della maggior
di questi animali, sarà consigliato
lastre ad alta definizione (mammografiche
odontoiatriche) se non si dispone
un'apparecchiatura radiologica
quest’ultima presenta diversi vantaggi
animale, ci possono essere differenze anatomiche considerevoli,
confrontando esemplari appartenenti a Classi diverse.
del torace, il rapporto cardiotoracico ed il posizionamento
interni, la presenza di polmoni parenchimatosi
elementi che influiscono fisiologicamente sulla
radiogramma. Poi vi sono tutta una serie di altri fattori,
influenzarne ed alterarne l’interpretazione. Tra i primi
caratteristica abbastanza frequente nei pet detenuti
andandosi ad interporre ai differenti organi (toracici,
una riduzione per quanto riguarda la loro visualizzazione
possono anche più banalmente determinarne un
“iatrogeni” possiamo menzionare: tipo di apparecchiatura,
esperienza dell’operatore (impostazione dei tempi
del paziente).
condizioni del paziente e del tempo a disposizione
l’utilizzo dell’anestesia generale o della sedazione offrono
pazienti poco collaborativi, permettendo di ridurne lo stress
sul tavolo radiografico, aumentando inoltre
diagnostico.
corretto posizionamento dell’animale, possono altresì
come ad esempio la riduzione del volume tidalico
del polmone, con conseguente diminuita distinzione
falsato del rapporto cardiotoracico (lunghezza
comunque alterazioni che nei non convenzionali sono
Ricordiamoci si fare sempre presente (con estrema
collaterali legati all’anestesia.
maggior parte
l'utilizzo di
(mammografiche o
dispone di
digitale;
vantaggi come poter modificare successivamente le
considerevoli, che
diverse. La forma e le
posizionamento del
e sacchi aerei, il
sulla realizzazione e
fattori, “patologici” e
primi ad esempio
detenuti in cattività: gli
(toracici, addominali o
visualizzazione e
cambiamento di
apparecchiatura, qualità della
tempi adatti, corretta
disposizione (in emergenza
offrono indiscutibili
stress dovuto alla
le possibilità di
altresì causare degli
tidalico che determina
distinzione della trama
cuore/lunghezza
sono già di per loro
estrema chiarezza) al
le immagini e di
76
visualizzare
presenta le
di esposizione
del paziente,
Essenziale
l’allontanamento
torace e dall’addome
modo la loro
(D/S o R/L)
lettura ed interpretazion
Le proiezioni
o Dorso-Ventrale),
relazione al motivo della lastra e alle
La cosa più importante è che il radiogramma
Quanto detto può trovare una certa “libertà
in cui serve avere un’idea preliminare
ovviamente necessario, si potranno poi
In queste situazioni, come ogni volta
al paziente ma ricordarci anche di noi
ed occhiali piombati) dovrebbe essere
dott. Gianluca Deli, DMV
Medicina e chirurgia degli animali non
Clinica Veterinaria Zoospedale Flaminio,
Ambulatorio Veterinario Santa Lucia,
www.veterinarioesotici.it - [email protected]
buoni dettagli per le ossa e tessuti molli allo stesso
stesse limitazioni associate con l'induzione di artefatt
esposizione andrà minimizzato per contenere gli effetti
paziente, inclusa la respirazione.
sarà il corretto posizionamento del
l’allontanamento degli arti sia anteriori che posteriori rispettivamen
dall’addome (o celoma in rettili ed uccelli) riducendo
loro sovrapposizione agli organi interni. L’utilizzo
R/L) sarà fondamentale per il posizionamento della
interpretazione.
proiezioni da effettuare sono minimo 2 (Latero-Laterale e
Ventrale), con eventuali proiezioni accessorie (ad
alle strutture che si vogliono indagare.
radiogramma risulti essere diagnostico.
“libertà clinica” nei pazienti che giungono in condizioni
preliminare per impostare la terapia di emergenza: successivamente,
poi effettuare le radiografie come da protocollo.
volta che andiamo ad effettuare una radiografia, dobbiamo
noi stessi: indossare le dovute protezioni (camice,
essere un obbligo imprescindibile.
non convenzionali
Flaminio, Roma
Lucia, Perugia
stesso tempo, ma
artefatti. Il tempo
effetti del movimento
paziente, con
rispettivamente dal
riducendo in questo
L’utilizzo dei marcatori
della radiografia alla
e Ventro-Dorsale
(ad es. obliqua) in
condizioni critiche
successivamente, se
protocollo.
dobbiamo pensare
ce, collare, guanti
77
Nefropatie nelle specie aviarie
Marco Luparello, DVM
Marco Di Giuseppe Med. Vet., PhD, GPCertExAP
Laura Faraci, DVM.
Anatomia
Negli uccelli i reni sono simmetrici ed allocati nelle fosse renali, a livello del sinsacro. Sono
ricoperti da un sottile strato di sierosa peritoneale e, ognuno di essi, costituisce dall’1 al 2,6% del
peso corporeo (nei mammiferi costituisce circa lo 0,5% del peso corporeo).
Cranialmente si estendono fino ai polmoni, caudalmente fino alla fine del sinsacro.
Sono divisi in tre lobi, craniali, medi e caudali; ogni lobo è costituito da 13-17 lobuli, separati fra
loro da vene interlobulari. In molti passeriformi i lobi medi e caudali sono fusi con i controlaterali.
In aironi, pinguini e pulcinelle di mare lo sono solo i lobi caudali.
I dotti collettori drenano i lobuli renali; più dotti collettori convergono e si uniscono a formare i
dotti collettori midollari, i quali, a loro volta, si combinano con gli altri dotti collettori midollari
dello stesso lobo formando un singolo dotto collettore coniforme. Questi grandi dotti collettori si
uniscono a formare l’uretere.
L’uretere sbocca in cloaca, a livello dell’urodeo, in posizione dorso-laterale. Non esiste una vescica,
anche se negli struzzi il coprodeo ne svolge la funzione ed inoltre modifica la composizione
elettrolitica dell’urina (ciò a causa del notevole sviluppo dello sfintere fra retto e coprodeo; in
quest’ultimo non c’è ristagno di feci, ma di urine: gli struzzi quindi eliminano separatamente i due
tipi di escrementi).
Dall’urodeo inoltre, in alcune specie, l’urina viene spinta, grazie a movimenti antiperistaltici, verso
il retto e i ciechi (dove presenti), dove può avere luogo riassorbimento di acqua.
Gli uccelli hanno due tipi di nefroni: i nefroni corticali, che rappresentano il 70-90% della totalità
dei nefroni, caratterizzati dalla mancanza dell’ansa di Henle, ed i nefroni midollari, più simili a
quelli dei mammiferi in quanto caratterizzati dalla presenza dell’ansa di Henle. La presenza di
quest’ultimo tipo di nefroni dà agli uccelli la possibilità di produrre urina ipertonica.
Le arterie renali craniali, medie e caudali apportano il sangue alle rispettive porzioni dei reni,
suddividendosi prima in arterie lobulari e quindi in arteriole. Il sangue passa quindi alle arteriole
78
efferenti, quindi ai plessi capillari peritubulari, alle vene intralobulari, alle vene renali efferenti ed
infine alle vene renali craniali e caudali.
Le vene renali portali craniale e caudale formano un complesso sistema circolare che coinvolge
entrambi i reni e che che mette in comunicazione le vene iliaca esterna e la renale caudale: il sangue
venoso affluisce alle vene portali dal seno venoso vertebrale interno, dalla vena mesenterica
caudale, dalle vene iliache esterne, dalle vene ischiatiche e dalle iliache interne. Le branche renali
afferenti lasciano le vene portali per approfondirsi nel parenchima renale diventare vene
interlobulari, drenare nei plessi capillari peritubulari (in cui il sangue del circolo portale si mischia a
quello delle arteriole glomerulari efferenti bypassando i glomeruli), vene intralobulari, vene renali
efferenti, e quindi vene renali craniali e caudali che si aprono nella vena iliaca comune e quindi
nella vena cava.
Il sistema venoso portale è caratterizzato dalla presenza delle valvole portali, localizzate nelle vene
iliache comuni. Quando la valvola è aperta (stimolo simpatico), il sangue bypassa il circolo portale
ed affluisce direttamente alla vena cava caudale. Quando è chiusa (stimolo parasimpatico), il sangue
fluisce attraverso i reni.
Cenni di fisiologia renale
Negli uccelli, così come nei rettili, l’escrezione dell’ammoniaca avviene previa conversione in
amminoacidi (glutamina, glicina, aspartato); tale processo metabolico, indubbiamente più
dispendioso dal punto di vista energetico, ha il vantaggio di eliminare i prodotti di scarto azotati
sotto forma di acido urico relativamente insolubile, non riassorbibile dalla cloaca nell’adulto o
dall’allantoide nell’embrione, e di consentire un ricircolo dell’acqua di trasporto nell’organismo e
un riassorbimento degli elettroliti.
L’urea d’altra parte è molto più solubile dell’acido urico; se rappresentasse il principale prodotto di
scarto degli embrioni di uccelli e rettili, sarebbe facilmente riassorbita dall’organismo raggiungendo
livelli ematici potenzialmente tossici.
Ammine e purine sono trasformate in acido urico prevalentemente nel fegato, ed a valori di pH
fisiologici formano sali solubili legandosi agli ioni NH4+, Na+ o K+. L’acido urico viene attivamente
escreto a livello tubulare, prevalentemente in forma di sale diidrato, in una sospensione acquosa
colloidale; tale sospensione è particolarmente ricca in proteine, che la rendono più stabile. Sia a
causa dell’importante quota proteica che per la possibilità di essere spinta verso il colon per
aumentare il riassorbimento d’acqua in caso di disidratazione, il peso specifico dell’urina non è un
attendibile indice di concentrazione urinaria.
79
Solo una piccola parte (circa il 20%) degli scarti azotati viene eliminata sotto forma di ammonio o
urea tramite filtrazione glomerulare.
Gli uccelli sono comunque in grado di favorire l’escrezione di urea qualora sia prioritario un
risparmio energetico, come nel caso di ecosistemi molto freddi, o qualora ci sia disponibilità
d’acqua pressocchè illimitata (colibrì). D’altra parte le specie marine e quelle che vivono in
ambienti desertici hanno una maggiore quantità di nefroni midollari (fino al 40%) rispetto a quelle
che hanno libero accesso all’acqua dolce, e possono quindi produrre urine più concentrate. Molti
uccelli marini hanno inoltre una ghiandola nasale finalizzata all’escrezione del sodio e possono
sopravvivere bevedo acqua di mare, talvolta addirittura rifiutando l’acqua dolce.
Il tasso di filtrazione glomerulare e il riassorbimento tubulare sono regolati dall’ arginina vasotocina
(AVT), prodotta dalla neuroipofisi. La secrezione dell’ AVT è stimolata dall’aumento
dell’osmolarità dei fluidi extracellulari e, in minor misura, dalla diminuzione del volume degli
stessi. A basse dosi l’AVT agisce a livello tubulare, riducendo l’eliminazione d’acqua. Ad alte dosi
riduce il tasso di filtrazione glomerulare (GFR).
Nel nefrone aviario è presente il complesso juxtaglomerulare il quale, tramite il sistema renina-
angiotensina, promuove il riassorbimento di Na+, l’escrezione di K+, la diminuzione del GFR e la
diminuzione del flusso urinario come risposta alla diminuzione di volume ed elettroliti ematici. A
differenza dei mammiferi, il rilascio di aldosterone da parte delle ghiandole surrenali non è
stimolato dall’aumento di K+ ematico.
Gli uccelli producono anche l’ormone natriuretico atriale che promuove l’escrezione di Na+.
In risposta a shock, ipovolemia o stimolo simpatico, la valvola portale si apre e il flusso ematico
viene convogliato direttamente verso la vena cava. L’ipovolemia ed il conseguente aumento
dell’osmolarità stimolano il rilascio di AVT; ne consegue vasocostrizione delle arteriole
glomerulari afferenti dei nefroni corticali (quindi diminuzione del GFR nei nefroni in cui manca
l’ansa di Henle). Il sangue viene deviato verso il circolo peritubulare (che assicura escrezione di
acido urico nonostante la diminuzione del GFR) e verso i nefroni midollari (capaci di un maggiore
riassorbimento di acqua vista la presenza dell’ansa).
La disidratazione quindi non determina aumento del valore dell’acido urico ematico fin quando il
GFR non diminuisca al punto da rendere il flusso ematico impossibile attraverso il nefrone.
80
Patologie renali
Le patologie renali negli uccelli sono relativamente frequenti e vanno dalle dalle patologie
congenite a quelle acquisite, spaziando dalle intossicazioni alle neoplasie, dalle infezioni ai processi
infiammatori.
Sebbene la diagnosi sia basata su anamnesi, visita clinica ed esami di laboratorio, spesso è
necessario ricorrere all’esame istopatologico per una diagnosi di certezza.
-Patologie congenite
Spesso non riportate ma occasionalmente riscontrate negli uccelli. Ipoplasia o aplasia renale sono
sporadiche e spesso rappresentano reperti autoptici occasionali. L’aplasia divisionale è frequente in
alcune razze di polli; la divisione craniale in genere è assente. In questi casi è di comune riscontro
l’ipertrofia del rene controlaterale. Cisti renali, singole o multiple, possono essere riscontrate e, nei
casi più gravi, possono dare insufficienza renale. Presso la nostra struttura abbiamo diagnosticato
una cisti renale del diametro di circa 2 cm in una cocorita (Melopsittacus undulatus); nonostante
una grave dispnea (di cui era responsabile anche versamento celomatico secondario ad un
osteocondrosarcoma, il livello di acido urico ematico del soggetto era nella norma e l’esame
istologico non ha rilevato alcuna alterazione del parenchima renale.
- Infezioni batteriche
Gli agenti infettivi possono raggiungere i reni per via discendente (prevalentemente ematogena ma
anche per contiguità) o ascendente (dagli ureteri). In entrambi i casi il rene può essere aumentato di
volume e presentare variabile grado di necrosi. In caso di nefriti batteriche i tubuli renali sono in
genere dilatati e pieni di cellule infiammatorie. Infezioni ascendenti acute sono caratterizzate da
abbondanti batteri nei tubuli e talvolta nell’interstizio. Evolvendo a nefrite cronica diventano
evidenti necrosi tubulare, formazione di cisti, fibrosi interstiziale ed infiltrazione di cellule
mononuclete. Le lesioni di origine ematogena invece interessano prevalentemente (inizialmente) i
glomeruli. In caso di gravi lesioni può comunque essere difficile capire se si tratta di infezioni
ascendenti o discendenti.
Fra i batteri potenzialmente responsabili di infezione renale i più rappresentati sono Stafilococchi e
Streptococchi. Fra gli altri, Enterobatteri, Listeria spp., Erysipelothrix rhusiopathiae, Pasteurella
spp. Micobatteri e Chlamidophila psittaci determinano in genere infezioni sistemiche. Raramenta
danno lesioni renali. Quelle da Micobatteri sono simili alle lesioni che interessano gli altri organi.
Le lesioni renali da C. psittaci sono caratterizzate da infiltrazione interstiziale di istiociti (spesso
con corpi intracellulari), plasmacellule e linfociti.
- Infezioni micotiche
81
In genere i miceti invadono i reni per contiguità, come conseguenza di aerosacculiti. In qualche
caso emboli settici possono dare trombosi vasale. In questi casi il riscontro di ife fungine nelle
lesioni è diagnostico (Fig. 3).
- Infezioni virali
Infezioni da Adenovirus sono state segnalate in diverse specie di uccelli e possono determinare
nefromegalia; le lesioni microscopiche sono minime e vanno da infiltrazione interstiziale di cellule
mononucleate a vacuolizzazione e necrosi delle cellule epiteliali tubulari.
Le infezioni da Polyomavirus possono essere acute e causare moderata nefromegalia; è possibile
ritrovare il virus nei reni. A livello istopatologico le lesioni sono simili a quelle causate da
Adenovirus, ma è possibile distinguerle fra di loro grazie a differenti affinità tintoriali dei corpi
inclusi intranucleari. In pappagalli (esclusi i pappagallini ondulati) con poliomavirosi, è possibile
riscontrare lesioni renali primarie o secondarie. Circa il 70% di questi soggetti sviluppa una
glomerulopatia da immunocomplessi. Passeriformi con infezione da Polyomavirus possono
presentare sia lesioni tubulari che mesangiali.
Paramixivirus-1 nei piccioni può causare nefrite linfoplasmocitica interstiziale e necrosi tubulare.
Il West Nile virus (famiglia Flaviviridae), nel quadro di infezione generalizzata, può causare nefrite
interstiziale linfocitica.
Paramixovirus e Reovirus possono causare flogosi interstiziale.
Anche Coronavirus e virus dell’influenza A possono dare nefropatia.
- Malattie parassitarie
Isospora spp. Ed Eimeria spp. sono stati ritrovati nei reni di quasi tutte le specie di anatre e oche
selvatiche e in molte altre specie aviarie. Sono localizzati prevalentemente nelle cellule epiteliali dei
dotti collettori perilobulari, nei collettori midollari e nel lume tubulare. Le manifestazioni della
coccidiosi renale vanno da moderate alterazioni istologiche reperite casualmente, ad insufficienza
renale acuta e morte, come in giovani esemplari di edredone comune (Somateriae mollissima) e oca
domestica (Anser anser domestica).
In questi casi la mortalità dei gruppi sembra raggiungere l’80%.
Infezione da Criptosporidi (reni pallidi e megalici, proliferazione epiteliale tubulare) possono dare
quadri vari, da morte improvvisa, a dimagrimento, debolezza delle zampe e dispnea.
Encephalitozoon hellem è un protozoo potenzialmente responsabile di nefropatia. É stato riscontrato
in Agapornis spp., Melopsittacus undulatus, Amazona ochrocephala, Eclectus roratus e Serinus
canaria. Si localizza nel lume tubulare dando necrosi tubulare. Può causare insufficienza renale fino
a morte improvvisa.
Sarcosporidiosi sistemica può indurre nefrite interstiziale.
82
Infestazioni da trematodi sono reperti occasionali o possono causare nefropatie in molti acquatici.
- Patologie infiammatorie ad eziologia sconosciuta
Sono state riportate rare glomerulopatie da immunocomplessi caratterizzate da proliferazione di
tessuto connettivo fibroso e sclerosi renale.
- Cause non infettive
Le patologie renali riconoscono numerose cause non infettive.
La disidratazione determina minore flusso urinario ed accumulo di acido urico nei tubuli. I
reni divengono radiograficamente più evidenti e macroscopicamente è possibile notare multiple
lesioni focali bianco-giallastre (Figura 2).
Disordini del metabolismo proteico possono portare ad aumenti della produzione di acido
urico, anche se non è chiaro se in questi casi si abbiano depositi.
Carenza di vitamina A porta a metaplasia squamosa dell’epitelio di ureteri e dotti collettori
e, in casi molto gravi, determina la trasformazione dell’epitelio ureterale in epitelio cheratinizzato.
Mineralizzazioni metastatiche dei reni possono essere conseguenza di errori alimentari
(soprattutto nei nidiacei), mentre lipidosi renale si riscontra in soggetti alimentati con diete troppo
grasse o in caso di patologie epatiche croniche.
Diete ricche in colesterolo sono associate a glomerulopatia proliferativa, fibrosi
periglomerulare, nefrite interstiziale multifocale e accumulo di grasso nelle cellule glomerulari nei
piccioni.
Amiloidosi renale, generalmente associata a depositi di amiloide in altri distretti, è di
frequente riscontro in passeriformi e specie acquatiche. I reni si presentano megalici, pallidi e
friabili. L’amiloide si deposita sulle pareti di arterie e arteriole e nelle membrane basali di glomeruli
e tubuli.
L’emocromatosi, oltre che colpire prevalentemente il fegato, puù dare accumulo di ferro
nelle cellule tubulari, senza comunque causare alterazioni infiammatorie o degenative.
Mioglobinuria e, più raramente, emoglobinuria possono causare nefrosi. In entrambi i casi i
reni diventano di colore bruno intenso. Si osserva degenerazione tubulare ed accumulo di materiale
eosinofilico amorfo che ricorda la mioglobina nei tubuli contorti prossimali e materiale eosinofilico
nei tubuli collettori.
- Nefropatie da intossicazione
In questo tipo di nefropatie l’anamnesi riveste un ruolo cruciale, poichè molte sostanze
nefrotossiche causano alterazioni macroscopiche e microscopiche simili.
L’eccesso di vitamina D3 causa eccessivo assorbimento di calcio alimentare e calcificazione
dei tessuti molli, reni compresi. Anche l’eccessiva quantita di calcio nella dieta si è dimostrata
83
nefrotossica in quanto capace di determinare mineralizzazione renale (nele cocorite – Melopsittacus
undulatus – sembra essere addirittura più dannoso dell’ipervitaminosi D.
Gentamicina e, in minor misura, amikacina causano nefromegalia ed altre alterazioni
comuni ad altre cause di insufficienza renale.
Il piombo causa necrosi tubulare acuta, nefrosi, gotta viscerale ed, in alcuni casi, presenza
di corpi inclusi intranucleari. Anche zinco e, più raramente, cadmio, mercurio ed arsenico sono
responsabili di nefropatie.
Le micotossine, in particolare l’ocratossina A, prodotta da diverse specie di Aspergillus e
Penicillium, causano ingrandimento ed ipertrofia dei tubuli contorti prossimali (oltre che
degenerazione e vacuolizzazione degli epatociti). Tali intossicazioni possono colpire una grande
varietà di specie che si alimenti con granaglie o comunque alimenti ammuffiti. La manifestazione
clinica è caratterizzata da crescita stentata, disidratazione, nefromegalia, iperuricemia (la secrezione
di acido urico è gravemente compromessa) e conseguente gotta articolare.
Anche l’ingestione di quantità eccessive di sale da cucina può indurre problemi renali ed
indurre deposizione di urati e lesioni anatomopatologiche.
- Neoplasie
Piuttosto frequenti negli uccelli, ne sono particolarmente predisposte le cocorite.
Le neoplasie renali di più frequente riscontro nella classe aves sono, primo fra tutti carcinoma,
seguito da adenoma, nefroblasoma, cistadenoma, fibrosarcoma, linfosarcoma ed altri.
Il segno clinico più frequentemente assiciato a neoplasia renale è zoppia (o paralisi) mono o
bilaterale. Tali manifestazioni sono secondarie a compressione dei plessi nervosi lombari o sacrali,
che passano rispettivamente attraverso e dorsalmente al parenchima renale.
Il nefroblastoma è frequente nei polli, ma è stato riportato anche in pappagalli e passeriformi.
Generalmente monolaterale, può comunque essere bilaterale.
Il linfosarcoma di norma associato a processi neoplastici generalizzati.
Anche il melanoma maligno è fra le neoplasie che possono colpire i reni, ed in genere si manifesta
come proliferazione neoplastica multicentrica.
Occasionalmente si riportano metastasi.
- Urolitiasi
In medicina aviaria per urolitiasi si intende la presenza di conglomerati di urati negli ureteri.
Prevalentemente riscontrate in pollastre e galline ovaiole (e segnalata raramente in altre specie), può
determinare calo di deposizione ed evolvere fino alla morte. All’urolitiasi consegue
ipotrofia/atrofia del parenchima renale ipsilaterale ed ipertrofia compensatoria (non sempre) del
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rene controlaterale. Le corrispondenti lesioni istologiche sono glomerulonefrite, nefrosi tubulare,
ureterite.
Gli ureteroliti sono costituiti da acido urico, calcio, ammonio e urati.
Fra i fattori predisponenti si riconoscono disidratazione, eccesso alimentare di calcio, squilibri
elettrolitici e nefrite associate ad infezione da Coronavirus (Bronchite Infettiva).
Sebbene rara, anche fra i pappagalli è stata segnalata l’urolitiasi (Amazona ochrocephala).
Potenziali conseguenze delle nefropatie
Poichè i reni sono organi dinami, direttamente o indirettamente associati ad altri sistemi corporei, le
patologie renali possono indurre ad altri processi patologici.
- Ipercoagulabilità: attivazione ed aggregazione piastrinica conseguono all’interazione
antigene-anticorpo attivata dal complemento e a danni dell’endotelio vasale renale. Le
piastrine attivate possono a loro volta rilasciare fattori infiammatori e vasoattivi, fattori che
stimolano la crescita cellulare e che attivano la coagulazione. La conseguenza di ciò è
rappresentata da ispessimento (fino a ialinizzazione e sclerosi) della membrana basale
glomerulare e formazione di trombi (anche se piuttosto raramente rispetto alle nefropatie dei
mammiferi).
- Gotta: consiste nella deposizione di sali di acido urico (prevalentemente sali sodici) come
conseguenza di una diminuita eliminazione dello stesso (a causa di disidratazione,
nefropatie, ostruzione degli ureteri). La deposizione avviene a livello di visceri (pericardio,
fegato, milza, lamina propria di proventriglio, ventriglio e intestino, reni, ma potenzialmente
riscontrabile in tutti gli organi) e articolazioni (capsule sinoviali e guaine tendinee). Le
articolazioni più colpite sono la metatarso-falangea e le interdigitali. La gotta articolare si
presenta sottoforma di masse biancastre, cedevoli e molto dolenti (Figura 2).
Nello stesso soggetto possono aversi depositi viscerali ed articolari.
E’ stata segnalata gotta articolare sponanea in animali che non avevano alcuna patologia
renale concomitante; tale forma di gotta sembra essere di natura ereditaria, almeno nei polli.
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Figura 1: Amazona amazonica deceduta per grave disidratazione
Figura 2: Melopsittacus undulatus con gotta articolare
86
Figura 3: Trichoglossus haematodus, nefropatia da micotossine
Bibliografia
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5. Greg J. Harrison. Avian Medicine
87
Improvvisa paralisi delle zampe di un astore (Accipiter gentilis)
Marco Luparello, DVM
Mikel Sabater Gonzalez, LV,MRCVS Resident, European College of Zoological Medicine (Avian)
Caso clinico
Una femmina di astore (Accipiter gentilis) di 13 anni non imprintata veniva visitata in emergenza perchè improvvisamente incapace di mantenere la stazione. L’animale aveva finito la muta da poco; tre giorni prima il proprietario aveva iniziato l’allenamento e cambiato la dieta per ridurre il peso per la stagione di volo. La dieta era costituita da quaglie intere e pulcini di un giorno. Il proprietario riferiva che l’ingestione di corpi estranei metallici era improbabile e che non sapeva se l’astore aveva urinato e/o defecato normalmente negli ultimi giorni.
Visita clinica
All’esame clinico l’animale aveva una BCS di 2/5 ed il peso era di 930 grammi; l’astore era vigile ma giaceva in decubito sternale, con la coda deviata sulla sinistra. Sulla palpebra sinistra si rilevava una piccola ferita. All’ispezione della cloaca era evidente la fuoriuscita di una moderata quantità di fluido brunastro limpido. Diagnosi differenziali Fra le cause potenzialmente responsabili di paresi/paralisi delle zampe negli uccelli si annoverano infezioni virali (Paramixovirus, Polyoma virus, Reovirus, PDS), batteriche (Chlamidophila
psittaci), e fungine (Aspergillus spp.), intossicazioni (metalli pesanti – piombo e zinco in particolare -, organofosfati), patologie metaboliche/nutrizionali (ipocalcemia, ipoglicemia, carenze di vitamina B1/E, encefalopatia epatica, aterosclerosi, crampi, vasculopatie del SNC), lesioni al midollo spinale (neoplasie, infarti, granulomi, lussazioni/fratture vertebrali).
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Figura 4
Approccio diagnostico/terapeutico Il soggetto veniva anestetizzato con isofluorano al 5%, intubato con tracheotubo non cuffiato da 3,5 mm e mantenuto con isofluorano all’1,5-3%. Veniva prelevato un campione ematico, un campione di fluido dalla cloaca, inserito un catetere endovenoso nella vena ulnare destra e fissato con due punti di sutura, somministrati fluidi (un bolo da 10 ml/kg di soluzione fisiologica supplementata con Duphalite infusa nell’arco di 10 minuti) e fatte due radiografie nelle proiezioni ventro-dorsale e latero-laterale. (Vedi tabelle e figure 2 e 3 allegate). Veniva inoltre effettuato un esame copromicroscopico.
Figura 5
89
Figura 6
Parametro Unità di misura
Valore campione
Minimo Max
HCT % 42 43 53
WBC *109/L 8,45 4 11
Eterofili *109/L 6,27 3,5 7
Linfociti *109/L 0,67 1,38 1,9
Monociti *109/L 0,76 0 0,1
Eosinofili *109/L 0,67 0 0,7
Basofili *109/L 0,08 0 0,4
Piastrine *109/L 452
Parametro Unità
di misura
Valore campione
Minimo Max
Albumine g/dL 0,9 0,88 1,24
Globuline g/dL 1,6 1,8 2,92
PT g/dL 2,5 2,63 4,2
Glucosio mg/dL 418 207 286
CK UI/L 150 218 775
LDH UI/L 4221 120 906
AST UI/L 5 176 409
90
Ac. Urico mg/dL 17,6 8,59 14,4
Fosforo mg/dL 5,54 2,74 6,09
Calcio mg/dL 8,4 8,6 10,8
Colesterolo mg/dL 158,3 154,4 444
Zinco Umol/L 4 0 32
Discussione esito esami di laboratorio La moderata anemia potrebbe essere attribuita a malnutrizione o patologia cronica. L’aumento dell’LDH è generalmente attribuibile a recente danno epatico o muscolare; un aumento persistente dell’LDH, soprattutto se non associato ad aumento dell’ CK, è indicativo di epatopatia. In questo caso la diminuzione dell’AST potrebbe essere secondaria a perdita di massa muscolare. L’iperglicemia è attribuibile allo stress, l’aumento di acido urico a disidratazione spinta o, più in generale a nefropatia. L’esame del fluido prelevato dalla cloaca rivela possibile mioglobinuria (dipstick positivo per emoglobina, siero non emolitico). Nessuna forma parassitaria rilevata all’esame copromicroscopico. L’esame radiografico evidenzia bilaterale aumento di volume e radiopacità dei poli craniali dei reni (stato infiammatorio, disidratazione con conseguente accumulo di acido urico). L’ombra cardiaca è di dimensioni normali. L’aumento di radiopacità dei grossi vasi alla base del cuore suggerisce moderata aterosclerosi. Si notano chiaramente alterazioni osteoartritiche-osteoartrosiche vertebrali a livello toracico. Il ventriglio presenta contenuto alimentare e due piccole particelle molto radiodense. La cloaca è distesa e si presenta più radiodensa della norma (urati). Sospetti diagnostici Le più probabili diagnosi differenziali tenute in considerazione in questo caso clinico sono state: - Compressione del nervo sciatico per organo megalia (reni); - Lesioni della colonna vertebrale (osteoartrite, osteoartrosi); - Malattie metaboliche (rabdomiolisi, carenze vitaminiche); - Crampi - Paralisi da zecche - “Goshawk Paralysis” Evoluzione clinica L’astore veniva ricoverato in incubatrice. Manifestava estrema debolezza per circa 30 minuti dopo la manipolazione e somministrazione del bolo di fluidi.
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La terapia iniziale consisteva in: - Fluidoterapia (soluzione di Hartmann con Duphalite dosato per somministrare 30 mg/kg di Tiamina in 3 giorni)(1). - Acidi grassi essenziali Omega3-Omega6 (0,25 ml/kg q24h) - Allopurinolo 15 mg/kg PO SID (1) - Marbofloxacina 10 mg/kg BID (IM la prima somministrazione, PO successivamente) (1) - Emeraid Critical Care Formula for Carnivores (tube feeding; dosi secondo istruzioni della casa); La stessa sera l’animale si presentava vigile, ma manteneva il decubito sternale. La mattina dopo iniziava a defecare ed urinare ma non era ancora in grado di stare in stazione; il peso era di 880 grammi. Continuava a non alimentarsi autonomamente. Si modifcava la terapia aggiungendo Ossitetraciclina (50 mg/kg PO BID per 7 giorni) (1) per l’eventuale paralisi da zecche (la lesione palpebrale alimentava il sospetto), Itraconazolo (10 mg/kg PO SID) (1) come prevenzione contro l’aspergillosi poichè l’astore è fra le specie maggiormente predisposte a svilupparla in seguito ad eventi stressanti quali trasporto, patologie primarie, immunodepressione da farmaci. Il terzo giorno l’astore cominciava a mantenere la stazione, anche se ancora instabile. La coda era ancora deviata lateralmente. Veniva somministrata l’ultima dose di Duphalite. La stessa sera iniziava ad alimentarsi (una quaglia e un pulcino senza testa nè zampe). Il quarto giorno non solo manteneva la stazione, ma era perfettamente in grado di stare sulla pertica; la coda si manteneva comunque deviata. Il peso era di 930 grammi. Si interrompeva l’alimentazione forzata e ri ripeteva il profilo biochimico: il valore di LDH era sensibilmente diminuito, quello dell’acido urico aumentato (possibilmente a causa della nefrotossicità da mioglobina o dei pasti recenti – vista la situazione, si riteneva infatti controproducente un digiuno di 24 ore prima di effettuare un altro prelievo ematico). Il soggetto veniva dimesso, programmando un ulteriore controllo dei parametri renali dopo una settimana (salvo inattesi peggioramenti). Si consigliava al proprietario di tenere l’animale in una voliera spaziosa, di migliorare la dieta e soprattutto di evitare di sottoporre l’astore ad allenamenti troppo intensi una volta guarito.
92
Figura 7
Discussione La “Goshawk paralisys” è stata descritta (6 e 7) come una sindrome che colpisce prevalentemente astori allevati in cattive condizioni generali e che ricominciano a volare dopo un periodo di inattività. Questi soggetti inizialmente manifestano improvvisa zoppia o stiffness monolaterale, nonostante mantengano comunque un buon tono muscolare nella zampa. La zoppia si estende all’altra zampa nell’arco di 24 ore; la sensibilità sembra comunque mantenuta, sebbene ridotta. Gli animali stanno sui tarsi, continuano a nutrirsi per diversi giorni prima che si debilitino ulteriormente fino al decesso. In alcuni casi i soggetti non riescono ad urinare e defecare. Sembra che l’origine del problema stia in un’improvvisa ed esagerata sollecitazione della colonna vertebrale. Dopo un periodo di inattività infatti, la muscolatura che supporta l’articolazione fra l’ultima vertebra toracica ed il sinsacro è ipotrofica; quando inizia l’allenamento, il momento in cui l’astore si posa su un ramo - soprattutto se in spazi non adeguati - rappresenta uno stress eccessivo per la colonna, che spesso esita in una sublussazione della suddetta articolazione. Lo stato infiammatorio che ne consegue determinerebbe la manifestazione clinica(7). Il caso clinico esaminato, sebbene abbastanza tipico come “Goshawk paralisys”, imponeva comunque approfondimenti diagnostici visto che le lesioni riscontrate suggerivano altre possibili patologie responsabili (paralisi da zecche, lesioni vertebrali, ipovitaminosi B, rabdomiolisi, intossicazione da metalli pesanti). Esami autoptici effettuati su animali deceduti con tale quadro paralitico possono presentare petecchie emorragiche del midollo spinale a livello del sinsacro, ma possono anche non presentare alcuna lesione specifica (7). Il trattamento suggerito prevede fluidoterapia, alimentazione forzata, integrazione di vitamina B1 e antinfiammatori steroidei. Poichè l’efficacia di vitamina B1 e di corticosteroidi nel trattamento di tale patologia risulta discutibile, e tenuto conto della predisposizione dell’astore a sviluppare
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aspergillosi, nel caso clinico in esame si è optato per la somministrazione di FANS (evitando l’effetto immunosoppressivo dei corticosteroidi). La terapia somministrata ha incluso anche ossitetraciclina (contro parassiti ematici), itraconazolo (come prevenzione dello sviluppo di aspergillosi), acidi grassi essenziali ed allopurinolo (per trattare la nefropatia) Nel nostro caso clinico anamnesi, sintomi e risposta alla terapia sono fortemente indicativi di “Goshawk paralisys”. Data la mancanza di alcuni approfondimenti diagnostici (RM, TC, livelli ematici di piombo e test specifici per la mioglobinuria) non si può comunque escludere che più agenti eziologici fossero contemporaneamente implicati nel determinare il quadro clinico. Bibliografia
1. Carpenter JW. Birds. In: Carpenter JW. Exotic Animal Formulary. Elsevier-Saunders. 3rd edition. 2005. Pages 133-344.
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Oglesbee BL. Differential diagnosis. In: Hidenreich M. Birds of Prey Medicine and Management.
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94
L’IMPIEGO DELLA ECOGRAFIA NELL’ALLEVAMENTO DEGLI OFIDI
P. Silvestre
Da anni ormai l’allevamento degli ofidi è diventato comune, e ciò ha portato alla nascita di
molteplici realtà, dai piccoli neofiti che detengono pochi esemplari come animali pet, fino ai grandi
progetti anche per la reintroduzione in natura per la quale vengono investiti ingenti capitali.
I serpenti appartengono all’ordine degli squamati, l’ordine comprende 3200 specie raggruppate in 3
infraordini.
Nell’infraordine Aletinophridia e Caenophida troviamo le famiglie che ospitano le specie di
maggiore allevamento e cioè: Boa Constrictor,per la famiglia dei boinae, il pitone reale per le
famiglie dei pythoninae e l’ElapheGuttata per le famiglie dei colubridi.
Esistono due tipi di allevamento: amatoriale in cui gli animali vengono ospitati in genere in teche di
grosse dimensioni ,arredate simulando le condizioni naturali, soprattutto per passione e quindi come
animali pet o per esposizione nei giardini zoologici e quello intensivo che rappresenta un vero e
proprio lavoro in cui gli animali vengono stabulati secondo il metodo racksystem.
Una regola fondamentale nella stabulazione di un serpente è quella di rispettare, per lo meno, la
seguente formula e cioè:
lato lungo del terrario+ lato corto = lunghezza del serpente
Tuttavia per una riproduzione di successo bisogna comprendere in modo accurato la fisiologia
generale della riproduzione e tutte le criticità delle tecniche di allevamento. Tutto ciò è essenziale
per l’esatta diagnosi e conseguente trattamento di patologie e tecnopatie inerenti queste categorie di
animali. Queste nozioni e competenze infondo fiducia negli utenti che confidano nelle capacità del
veterinario esperto in medicina degli animali esotici e non convenzionali.
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Come si può facilmente immaginare l’anatomia e la fisiologia di queste specie presenta notevoli
differenze con quella comunemente studiata nei mammiferi.
La struttura generale degli ofidi è caratterizzata dalla mancanza degli arti e da un corpo
estremamente allungato, conformazione a cui si sono perfettamente adattati gli organi interni tutti
accolti nell’unica cavità presente quella celomatica.
LE GONADI
Le gonadi dei rettili ,testicoli e ovaie, sono organi pari e sono generali dalla cresta germinale. Sono
posti nella parte addominale della cavità celomatica e in molte specie si trovano in prossimità dei
poli craniali dei reni (Cheloni, Coccodrilli e molte lucertole) nei serpenti invece le gonadi sono
caudali alla cistifellea.
I testicoli della maggior parte dei serpenti sono lisci e di forma ovoidale, in generale, le dimensioni
variano stagionalmente con un aumento che corrisponde alla spermatogenesi. Nei serpenti che
passano l’inverno in letargo i testicoli possono avere la massima dimensione nel periodo di inizio
primavera mentre negli altri a inizio estate. In genere il testicolo destro è più craniale di quello di
sinistra ed entrambi sono adiacenti al piccolo intestino.
Nella femmina sono presenti una coppia di ovaie e un paio di ovidotti, la posizione delle ovaie è
varia ma in genere sono vicine alla cistifellea. Le ovaie dei serpenti sono allungate, possono
contenere una gerarchia di follicoli in differenti stati di sviluppo e atresia. I follicoli in stato
vitellogenico regrediscono se non riescono ad entrare negli ovidotti e a sviluppare un guscio. Lo
sviluppo follicolare è influenzato dalle stagioni.
La vitellogenesi si riferisce all’accumulo di tuorlo intorno all’ovocita sviluppato, seguito dalla
sintesi del tuorlo da parte del fegato. I follicoli pre-vitellogenici sono sprovvisti di tuorlo.
L’inizio della maturità sessuale nella maggior parte dei rettili è principalmente determinata dalla
taglia, mentre l’età gioca un ruolo meno significativo. La dieta può variare notevolmente in cattività
e come risultato la maturazione sessuale di molti rettili può avvenire a delle età notevolmente
differenti. Per esempio, i Boa Constrictor , possono essere spinti rapidamente nella crescita a quasi
2 metri a 18 mesi d’età e fatti riprodurre a23 mesi, contrariamente alcuni esperti considerano
riproduttivamente maturi Boa di 10 anni sani e lunghi meno di 1 metro. Quindi la variazione
interspecifica nella maturazione della taglia è più importante di quella della velocità di crescita.
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Nonostante ciò è possibile garantire per la maggior parte dei serpenti nati in cattività la maturità
sessuale in 2 o 3 anni.
L’inizio della stagione riproduttiva è molto spesso seguito da uno o più stimoli ambientali. Lo
stimolo più comune per la riproduzione è il cambiamento di temperatura ma anche la pressione
atmosferica gioca un ruolo importante sia negli accoppiamenti che nei parti. Infatti molte specie di
serpenti basano il proprio ciclo riproduttivo sulle piogge e sul tasso di umidità ambientale piuttosto
che sulla temperatura. La riproduzione può essere però inibita da tanti fattori in primis
l’insufficienza di riserve di energia infatti, i serpenti sono principalmente allevati in modo che le
quantità di energia necessarie alla riproduzione derivino dalle riserve di grasso piuttosto che dal
cibo ingerito. Infatti se le femmine non hanno riserve sufficienti esse non procreano durante quella
stagione. Tale modalità fa in modo che la femmina possa completare lo sforzo riproduttivo senza
consumare alcun pasto e ciò ha un’importanza fondamentale quando la disponibilità di cibo è
incerta.
La fecondazione dei rettili è interna e l’ovulazione è indotta dal coito. La copulazione avviene con
uno o entrambi emipeni inseriti nella cloaca della femmina, essa può durare da pochi minuti ai un
massimo di giorni, ad esempio il Pitone reale può effettuare copule continue anche di 24 ore
consecutive , alternando gli ingressi degli emipeni. L’accoppiamento è preceduto dal
corteggiamento, il maschio utilizza il suo corpo e specialmente la coda per stimolare tattilmente la
femmina.
Nel Pitone Reale allevato in cattività occorrono da un minimo ad un massimo di 12-15 copule
affinché la femmina raggiunga l’ovulazione. Essa in molte specie è visualizzabile esternamente
come un rigonfiamento omogeneo della parte caudale del terzo medio dell’animale riconducibile
proprio alla posizione anatomica delle ovaie, esso può durare anche 24 ore. Dopo la copulazione lo
sperma è trattenuto dalla femmina.
In alcuni serpenti come del genere Elaphe o Lampropeltis può avvenire una seconda covata, senza
alcun amplesso.
Il PithonRegius ovula circa 10-30 giorni dopo l’accoppiamento, a circa 20 giorni dall’ovulazione
effettua una muta pre-deposizione e circa 30 giorni dopo la muta depone. Quindi la gestazione è di
circa 50-55 giorni.
La maggior parte dei serpenti allevati in cattività, prima degli accoppiamenti, vengono sottoposti ad
un periodo chiamato brumazione o latenza che in genere prevede un graduale abbassamento delle
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temperature e una completo digiuno. La lunghezza di questo periodo varia anche in base alle specie
allevate così come le temperature. Tutto questo contribuisce in modo inequivocabile alla
maturazione delle gonadi.
PERCHÉ USARE L’ECOGRAFIA IN ALLEVAMENTO?
Perché è una tecnica diagnostica di assoluta non invasività che ci consente soprattutto di migliorare
quello che è il management riproduttivo.
L’ecografica infatti, è una tecnica di diagnostica per immagini basata sugli echi prodotti da un
fascio di ultrasuoni che attraversano un organo o un tessuto.
La sua diffusione è stata favorita soprattutto dalla sensibilità diagnostica su organi costituiti da
tessuti molli. Il suo limite è rappresentato dal fatto che è operatore dipendente. Un ecografo è
costituito da una sonda che trasmette e riceve il segnale e un sistema elettronico che tratta il segnale
ricevuto convertendolo in segnale digitale.
In genere per migliorare la risoluzione dell’immagine vengono utilizzate sonde con frequenza molto
elevata inserpenti di piccole dimensioni, dove occorre un moderato potere di penetrazione e
viceversa nei serpenti di grosse dimensioni.
Il soggetto può essere posizionato in decubito ventro-dorsale o dorso-ventrale, quest’ultima è una
posizione più naturale per l’animale che di conseguenza tenderà ad agitarsi meno durante l’esame.
L’esame ecografico può durare diverse decine di minuti e come sappiamo i rettili sono animali
eterotermi, per tanto è necessario scaldare il gel per evitare abbassamenti di temperatura pericolosi
per la salute degli animali. Per ottimizzare la visione delle immagini il gel dev’essere applicato in
più momenti in modo da riempire gli spazi tra le squame e limitare gli ostacoli. Un’ottima soluzione
è quella di eseguire l’esame immergendo il soggetto in acqua tiepida. In questo modo l’aria
intrappolata viene espulsa completamente consentendo una migliore visione. Avendo la sonda
immersa in acqua, qualora l’animale dovesse allontanarsi da essa l’acqua consente di poter
proseguire l’esame rendendolo più continuo e quindi più efficace.
MATERIALI E METODI
Scopo del presente lavoro è quello di migliorare il management riproduttivo di specie non
convenzionali come il PythonRegius ed effettuare diagnosi di gravidanza in maniera sempre più
avanzata.
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Presso l’allevamento amatoriale La Fattoria2004 sono stai presi in esame 10 esemplari femmina di
P. Regius compresi tra i 3 e i 7 anni, con un peso variabile tra 1,5 e 2,4 Kg.
Dopo la brumazione è stata intensificata l’alimentazione, la presenza del maschio era costante e il
momento dell’accoppiamento veniva registrato dall’allevatore. L’esame ultrasonografico è stato
eseguito impiegando un ecografo MyLab 30 Gold Esaote munito di 2 sonde una microconvex da 5-
8Mhz e una lineare da 10-18 Mhz. L’ovaio è stato individuato usando come punto di repere la
colecisti, esso infatti si trova 1-2 cm posteriormente, medialmente o lateralmente ad esso, quindi
anche nel P.Regius, come in tutti i serpenti, la gonade è craniale al rene, mentre nei mammiferi
sappiamo che è sempre caudale ai reni.
Sono state impiegate solo scansioni longitudinali viste le ridotte dimensione dell’asse trasversale
delle gonadi. I follicoli evidenziati vengono divisi in fase pre e post vitellogenica, non solo in base
alle dimensioni ma anche in base alla ecogenicità che è indirettamente proporzionale al liquido che
contengono di conseguenza, i follicoli più immaturi contengono maggior liquido e quindi appaiono
meno ecogeni.
Siamo inoltre riusciti a mostrare e monitorare con l’ausilio del Power-Doppler, un anello vascolare
che circonda tutti i follicoli destinati a svilupparsi e che quindi può rappresentare un valido metodo
per scartare quelli che andranno di sicuro incontro ad atrofia.
Dopo il periodo di brumazione i follicoli hanno una dimensione di circa 0,1-0,2cm (misurazione di
più diametri), si accrescono fino a 0,8-0,9 cm già con il ripristino della temperatura e
dell’alimentazione.
Si è osservato che la presenza del maschio, senza effettuare copule, determina una crescita che va
fino a 1,5 cm. Sono poi le numerose copule che determinano l’ovulazione con una crescita
follicolare fino o oltre a 4,5 cm. È stato importante, durante i vari step, monitorare la vitalità degli
embrioni o dei feti osservando una precocissima attività cardiaca, sempre con l’ausilio del Doppler,
che è risultata essere già presente negli ovipari poco prima della deposizione e durante la
formazione del guscio.
Parallelamente sono state eseguite delle ecografie anche in animali ovovivipari come il Boa
Constrictor e si è osservato come sia ancora più facile in alcuni momenti della gravidanza
monitorare la vitalità di feti, osservando, ovviamente, il completo sviluppo scheletrico e
l’indipendenza del piccolo dalle strutture di connessione materna.
RISULTATI
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L’esame ecografico per la sua non invasività e per la sua versatilità è considerato una tecnica adatta
alla valutazione della cavità celomatica dei rettili. Clinicamente, quindi, l’ecografia può essere
utilizzate per distinguere gli stadi dello sviluppo follicolare, inclusa l’inattività delle gonadi, la
vitellogenesi, l’ovulazione e anche lo sviluppo del guscio o del feto. Soprattutto l’esame
ultrasonografico nell’allevamento degli ofidi interviene nel determinare il momento di massima
fertilità per ottenere l’accoppiamento con il maschio più idoneo, pratica già in uso tra gli allevatori
che intendono portare avanti combinazioni genetiche aventi lo scopo di selezionare colorazioni
piuttosto costose, evitando anche eccessivo stress dei maschi.
La nascita, inoltre, può ragionevolmente essere predetta monitorando la perdita del tuorlo che in
genere avviene una settimana dopo che il tuorlo non è più rilevabile.
Per quanto concerne gli sviluppi futuri, contemporaneamente al monitoraggio ecografico, sono stati
prelevati campioni di feci e di muta che verranno processati per la ricerca di estrogeni e
progestinici. S’intende comparare i dati con le nostre immagini ecografiche allo scopo di riuscire ad
associare la crescita dei follicoli e lo sviluppo delle camere gestazionali con precisi livelli ormonali.
Inoltre, vista sempre la scarsità di informazioni presenti in letteratura, intendiamo intraprendere un
maggior approfondimento riguardo le varie strutture pseudo placentari che sono state osservate
durante i vari step ecografici. In particolare si vorrà comparare la più completa vascolarizzazione in
direzione materno-fetale dei serpenti ovovivipari con quella meno evoluta degli ovipari, al fine di
chiarire il concetto di placentazione in queste specie.
Durante il nostro lavoro abbiamo potuto osservare in animali ovovivipari poderosi flussi ematici
provenienti dall’arteria ombelicale del feto che si congiungono ad una struttura sovrastante
sicuramente di tipo placentare.
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Pasquale Silvestre DVM
Lo Zoo di Napoli s.r.l. , Napoli