Ladri di Biblioteche - esolibri.it 2/RELIGIONE/CRISTIANESIMO... · Chiesa era quella di conciliare...

1378

Transcript of Ladri di Biblioteche - esolibri.it 2/RELIGIONE/CRISTIANESIMO... · Chiesa era quella di conciliare...

  • Ladri di Biblioteche

  • LA QUARTA PROSA

    ANGELI

    Ebraismo Cristianesimo IslamA CURA DI GIORGIO AGAMBEN

    E EMANUELE COCCIANeri Pozza Editore

    Avviso di Copyright ©

    Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo eBook può essere riprodotta o trasmessa in alcuna forma tramite alcun mezzo senza il preventivo permesso scrittodell’editore.Il file è siglato digitalmente, risulta quindi rintracciabile per ogni utilizzo illegittimo.

    Norme tecniche di utilizzo

    Il file acquistato può essere visualizzato su tutti i lettori eBook, oppure stampato su carta.

    I edizione eBook 2011-01Collana LA QUARTA PROSAISBN 978-88-545-0506-3

    © 2009 Neri Pozza Editore, Vicenzawww.neripozza.itCopia dell’opera è stata depositata per la tutela del diritto d’autore, a norma delle leggi vigenti.

    Il seguente E-BOOK è stato realizzato con T-Page

    http://www.t-page.it

  • Introduzione

    di Giorgio Agamben

    1. Forse su nessun altro argomento si è scritto nella modernità così tanto e con cosìpoca perspicacia come sugli angeli. La loro immagine insieme splendida ed estenuata,pensierosa ed efficace è penetrata così profondamente, oltre che nelle preghiere e nelleliturgie quotidiane dell’Occidente, nella filosofia, nella letteratura, nella pittura, nellascultura, ma anche nei sogni a occhi aperti, nelle sottoculture e nel Kitsch, che unacomprensione anche semplicemente coerente dell’argomento sembra esclusa. E quando,nel Novecento, l’angelo riappare con forza nelle Elegie di Rilke o nella pittura di Klee,nelle Tesi di Benjamin o nella gnosi di Corbin, il suo gesto non ci appare oggi menoenigmatico di quello dei serafini che, nella etoimasia tou thronou delle basilichepaleocristiane e bizantine, sembrano custodire in silenzio il trono vuoto della gloria.

    Del tutto diversa è la situazione se si aprono i trattati patristici e scolastici sugli angeli,dallo pseudo-Dionigi ad Alano di Lilla, da Bonaventura a Tommaso, da Dietrich diFriburgo a Eiximens. L’angelologia ha qui il suo luogo proprio nell’economia del governodivino del mondo, di cui gli angeli sono i ministri. Non soltanto la trattazione più ampiache Tommaso dedica all’angelologia è parte integrante della sezione della Summatheologica dedicata al governo del mondo, ma gli stessi nomi delle gerarchie angelichecoincidono fin dall’inizio in buona parte con la terminologia del potere: «Dominazioni,principati, potestà, troni»; non solo il trattato dello pseudo-Dionigi sugli angeli s’intitolaDel sacro potere (tale è il senso originario della parola «gerarchia») celeste, ma le stessegerarchie del potere terreno, tanto ecclesiastico che profano, si presentano puntualmentecome un’imitazione di quelle angeliche. La stessa terminologia della pubblicaamministrazione moderna trova nell’angelologia la sua prima formulazione a propositodegli «uffici», dei «ministeri» e delle «missioni» dei funzionari celesti: non solo il concettodi gerarchia è un’invenzione dello pseudo-Dionigi, ma anche il termine «ministero»assume per la prima volta il significato moderno di «insieme degli uffici e dei funzionari»in una lettera di san Girolamo, in cui egli chiede: «Quando Dio ha posto in essere i troni,le dominazioni, le potestà, gli angeli e tutto il ministero celeste (totumque ministeriumcoeleste)?» (Ep., 1, 18, 7, PL 22, 365).

    2. Angeli e burocrati tendono, in questa prospettiva, a confondersi: non soltanto i

  • messaggeri celesti si dispongono in uffici e ministeri, ma anche i funzionari terreniacquistano a loro volta fattezze angeliche e, come gli angeli, diventano capaci di curare,illuminare, perfezionare. E, secondo un’ambiguità che segna profondamente la storia delrapporto fra il potere spirituale e quello secolare, la relazione paradigmatica fraangelologia e burocrazia corre ora in un senso ora nell’altro: a volte, come in Tertullianoe Atenagora, l’amministrazione della monarchia terrena è il modello dei ministeri angelici,altre volte, come in Clemente di Alessandria e in Tommaso, è la burocrazia celeste afornire l’archetipo di quella terrena.

    È vero che la tradizione teologica distingue negli angeli due aspetti o due funzioni:quella propriamente «governamentale» o amministrativa e quella «assistenziale», in cuiessi contemplano e glorificano Dio (nelle parole di Dante, la «beatitudine contemplativa»e la «beatitudine del governare» – Conv., 2, 4, 10-12). Ma uno dei risultati essenzialidelle nostre ricerche sulla genealogia del governo è che queste due funzioni sono le duefacce di un’unica macchina governamentale, che possiamo chiamare rispettivamentel’«economia» e la «gloria», il «governo» e il «regno». Ogni angelo è, in questo senso,doppio: i cori estatici che cantano nei cieli la gloria eterna di Dio non sono che lacontroparte cerimoniale e liturgica dei solerti funzionari alati che eseguono sulla terra idecreti «storici» della provvidenza. Ed è questa consustanzialità fra angeli e burocraziache il più grande teologo del ventesimo secolo, Franz Kafka, ha percepito con visionariaprecisione, presentando i suoi funzionari, messaggeri e aiutanti come angeli travestiti.

    3. La difficoltà con cui i Padri dovettero misurarsi nei primi secoli della storia della

    Chiesa era quella di conciliare il dio straniero al mondo di Marcione e della gnosi con ildemiurgo creatore e signore del mondo, il deus otiosus che non si cura della sorte dellecreature e il deus actuosus che provvede attraverso la storia alla loro eterna salvezza. Piùin generale, l’implacabile domanda che la gnosi lasciava in eredità alle tre grandi religionicosiddette monoteiste era: il Divino, il Più Alto, è estraneo al mondo o, invece, logoverna? Il dilemma teologico gnostico non concerne, cioè, tanto l’opposizione fra un diobuono e un dio malvagio, quanto quella fra un dio estraneo al mondo e un dio che logoverna.

    È in questa prospettiva che si deve intendere il carattere decisivo della funzione degliangeli non solo nel cristianesimo, ma anche nel giudaismo e nell’Islam. Pur nelledifferenze che questa funzione assume nelle tre religioni, l’angelologia è, in ogni caso,inseparabile dalla risposta data a quella domanda e risulta pienamente intellegibile soloin relazione a essa. L’angelologia è, in questo senso, la più antica, articolata e minuziosariflessione su quella particolare forma del potere o dell’azione divina, che potremmodefinire il «governo del mondo». Ognuna delle tre religioni risponde a suo modo aldilemma gnostico e alle diversità e alle somiglianze fra le risposte corrispondonoanomalie e analogie nell’articolazione delle rispettive angelologie.

    4. La migliore testimonianza della presenza eminente degli angeli nel giudaismo alla

    fine dell’antichità è nell’ostinato, costante tentativo della letteratura rabbinica coeva perridurre o limitare la loro importanza. «Se una sventura colpisce l’uomo», si legge nel

  • Talmud di Gerusalemme (Ber., 9. 12), «egli non invochi Michele o Gabriele, ma chiami mee subito io gli risponderò». L’accanimento con cui i rabbini insistono sul carattere effimeroe inconsistente degli angeli, sulla dipendenza della liturgia angelica da quella degliisraeliti, che cantano le lodi di Dio ogni ora mentre gli angeli lo fanno una sola volta algiorno (o persino, secondo alcuni, una volta l’anno) costituisce una prova eloquente delruolo privilegiato degli angeli nella liturgia e nella vita delle comunità, che ci èabbondantemente testimoniato dalle fonti liturgiche e dalla letteratura apocalittica. Unaprova ulteriore è nelle ammonizioni del fariseo Paolo contro il «culto degli angeli»(threskeia ton angelon, Col., 2, 18) e nell’esaltazione di Cristo «al disopra di ogniprincipato e potestà, virtù e dominazione» (Ef., 1, 21).

    È noto che il giudaismo rabbinico è andato riscoprendo e rivalutando il significatodell’angelologia. Questa riscoperta avviene sotto il segno della funzione che gli angelisvolgono nel governo del mondo. Che essi siano rappresentati come un esercitosterminato, con i suoi «generali», i suoi «carri» e i suoi «accampamenti» corrispondentialle sette sfere celesti, come nel Sefer ha-razim, o come «custodi della porta», come«ministri» che intercedono fra Dio e gli uomini e come cantori tremendi e instancabilidella Gloria, come nelle letteratura degli Hekalot, in ogni caso il registro metaforico èquello di una corte sontuosa e immensa, che circonda il trono di YHWH.

    A poco a poco questa vocazione governamentale degli angeli si precisa e razionalizza,perdendo in parte il suo carattere visionario. Nella letteratura dei caraiti, gli angeli sidispongono così in quattro classi, gerarchicamente ordinate secondo la loro funzione: iservitori o ministri, le armate, le potenze e i messaggeri. L’antico motivo talmudicosecondo cui gli angeli vengono creati ogni giorno e, dopo aver cantato il loro inno di lode,sono annichilati nel fiume di fuoco da cui provengono, viene ora svolto nel senso chequesti angeli istantanei coincidono con l’atto di governo, sono creati appositamente daDio per compiere un determinato atto. Ogni angelo è un atto di governo, e ogni atto digoverno è un angelo.

    L’equazione fra angelologia e governo del mondo si consolida nell’incontro conl’aristotelismo. Secondo Ibn Da’ud, Dio esercita la sua azione sulle sfere celesti e sulmondo sublunare attraverso la mediazione degli angeli, che emanano da lui e coincidonocon le intelligenze separate della tradizione arabo-aristotelica. Anche Maimonide accettail principio aristotelico secondo cui Dio governa il mondo attraverso gli intelletti separatiche muovono le sfere; tuttavia, egli precisa, «Aristotele parla di intelletti separati, noiparliamo di angeli». Il governo divino coincide a tal punto con la mediazione angelica, cheMaimonide può scrivere che «Tu non trovi mai che Dio compia un’azione se non per manodi un angelo; e tu sai già che il senso di “angelo” è quello di inviato, sicché chiunqueesegua un ordine è un angelo». E l’identità fra angeli e governo divino del mondo è, per ilmedico Maimonide, così assoluta, che essi possono risolversi senza residui nelle stessevirtù e facoltà che formano e governano il corpo vivente: «Dio ha posto nel seme unafacoltà formatrice che dà una figura e una specificazione alle membra, ossia l’angelo […]ognuna delle facoltà del corpo è un angelo e tanto più lo sono le potenze disseminate nelmondo…». Nella prospettiva del governo divino del mondo, la fisiologia è un’angelologia.

    Se, nel razionalismo dei filosofi, gli angeli, identificandosi con l’azione divina, sembrano

  • perdere ogni autonoma consistenza, il giudaismo rabbinico non ha mai smarrito laconsapevolezza di una sostanziale estraneità fra gli angeli e Dio. Da nessuna partequesta estraneità appare con tanta forza come nel libro di Enoc, che, secondo Scholem,sarebbe nato nel contesto dello gnosticismo rabbinico. Il patriarca Enoc viene quitrasformato nell’arcangelo Metatron, il Principe della Faccia, una sorta di personificazionedella potenza angelica. Identificato, secondo il Talmud, con l’«angelo di YHWH» di Es.,23, 21, e «chiamato con lo stesso nome del suo signore», Metatron è il solo degli angeliche siede su un trono al cospetto di YHWH. Egli riunisce in sé una tal somma di poteri edi funzioni che la sua vista avrebbe ispirato l’apostasia di Elisha‘ ben Abuyah (l’Acher delcelebre episodio del Talmud sui quattro rabbi che entrarono nel Paradiso), che andrebbeinterpretata in questo contesto come un caduta nel diteismo gnostico. «Quando Acher»narra Metatron «venne per contemplare la visione del carro, e pose i suoi occhi su di me,fu preso dal timore e tremò al mio cospetto. […] Quando mi vide seduto su un tronocome un re, con gli angeli officianti al mio fianco come servi e i principi dei reami angeliciincoronati intorno a me, allora egli aprì la bocca e disse: “Sì, ci sono due poteri nei cieli”»(Ch. Mopsik, Le Livre hébreu d’Hénoch ou Livre des palais, Paris, Verdier, 1989, p. 110).

    È singolare che il potere angelico-demiurgico di governo sia qui opposto a Dio come unaltro potere (se non come un altro Dio). Il fatto che subito dopo Metatron venga fustigato«con sessanta sferze di fuoco» (come l’analogo episodio della fustigazione dell’angeloGabriele nel Talmud – Yom., 77a) è un indizio ulteriore dell’estraneità e quasi dellarivalità virtuale fra l’angelo e YHWH nel giudaismo. L’angelo è qui la forma in cui ildemiurgo gnostico viene asservito al governo divino del mondo.

    5. Di una figura arcaica dell’angelo, come potere demiurgico legato costitutivamente al

    cosmo, è testimonianza il motivo degli angeli chiamati elementi (stoicheia). Questo tema,già presente nel paganesimo negli stoicheiokratores theoi, gli dei che governano glielementi, che Simplicio menziona nel suo commento al De coelo, stabilisce unaconnessione così stretta fra gli elementi del cosmo e gli angeli, che questi vengonosemplicemente definiti stoicheia. Una prima, decisiva occorrenza è in Paolo (Gal., 4, 3 e9). «Anche noi, quando eravamo minorenni, eravamo schiavi degli elementi del mondo[…] ora, invece, avendo conosciuto Dio e, meglio, essendo stati da lui conosciuti, comepotete di nuovo rivolgervi ai deboli e miseri elementi, mettendovi di nuovo al loroservizio». Una tradizione esegetica, già presente in Mario Vittorino e in Girolamo,identifica questi elementi del mondo con gli angeli: «Alcuni ritengono che quelli [glielementi] siano angeli, che presiedono ai quattro elementi del mondo, ed è necessarioche, prima di credere in Cristo, ciascuno sia governato dal loro arbitrio» (PL 26, 371a-b).Angeli-elementi appaiono in Clemente di Alessandria («gli elementi e gli astri, cioè lepotenze che li governano») e in Origene, secondo il quale gli elementi designano in realtàgli angeli che sono a essi preposti. È lecito ipotizzare, in questa prospettiva, che gli angelisiano in origine le potenze cosmiche, che il Dio celeste deve sottomettersi per potergovernare il mondo.

    6. Nel cristianesimo, il dualismo fra un dio estraneo al mondo e un demiurgo signore

  • del mondo viene conciliato trasferendolo all’interno della divinità. La trinità è il dispositivoattraverso il quale un Dio trascendente assume su di sé non soltanto la creazione, maanche, attraverso Cristo e la sua incarnazione, la redenzione e il governo delle creature.Ciò significa che il cristianesimo introietta in Dio stesso il potere angelico, fa del governodel mondo una figura divina. Non stupisce, allora, che la prima elaborazione delparadigma trinitario fra il secondo e il terzo secolo (segnatamente in Ireneo, Ippolito eTertulliano) abbia la forma di una oikonomia, cioè di un’attività di gestione e di governoche il Padre affida al Figlio. Clemente di Alessandria esprime con chiarezza questaessenziale solidarietà fra trinità ed economia della redenzione scrivendo che «se si togliela provvidenza (pronoia), l’economia del salvatore appare come un mito e una favola(mythos phainetai)»; cioè: la trinità non è una mitologia, un romanzo familiare comequello degli dei pagani: è immediatamente un’economia, cura e governo del mondo.

    Di qui la tenace solidarietà fra cristologia e angelologia. Non soltanto gli angeli sono glistrumenti dell’economia della salvezza, ma Cristo stesso si presenta all’inizio come unangelo, anzi, nella testimonianza di Epifane, «come uno degli arcangeli, ma superiore aessi». Ancora nella teologia provvidenziale di Malebranche, Cristo, come capo dellachiesa, appare come il capo dell’esecutivo di una machina mundi di cui Dio è il supremolegislatore e, in questa funzione, egli è paragonato agli angeli e definito senza mezzitermini, anche se si tratta qui ormai soltanto di una metafora, come «l’angelo della nuovalegge». È significativo che questo tema del Christos-angelos, su cui, sulle tracce dellamonografia di Werner, Corbin ha richiamato l’attenzione degli studiosi, sia oggetto di unaferoce polemica da parte dei Padri. Se Cristo è un angelo e non un Dio, il dispositivotrinitario, che si fondava sull’introiezione dell’angelo all’interno della vita divina, non solonon può funzionare, ma minaccia la stessa unità divina. Malgrado la decisa eliminazionedi questa natura angelica del Figlio attraverso la dottrina della homousia, l’origineangelologica della cristologia continuerà ad agire nella storia del cristianesimo come unaderiva ateologica, che tende a sostituire al primato dell’essere eterno l’economia storicadella salvezza, alla trinità immanente, definita dall’unità di sostanza, la trinità economica,che è essenzialmente prassi e governo.

    Di qui l’ambiguità dell’angelologia nel cristianesimo e la necessità di trasformarlaintegralmente in una struttura burocratico-esecutiva della provvidenza divina,inquadrando saldamente le schiere angeliche nella macchina governamentale. Questatrasformazione si compie senza residui nella scolastica, in cui i trattati De gubernationemundi coincidono in fatto o in diritto con quelli sugli angeli. Di qui, forse, anche laparticolare consistenza ecclesiale e governamentale che definisce il cristianesimo rispettoall’Islam e al giudaismo. È all’interno della riflessione sulle gerarchie angeliche comemodello di quelle ecclesiastiche che, già a partire dallo pseudo-Dionigi (la cui opera nonva letta, secondo l’equivoco che ha dominato la sua ricezione nell’Occidente, in chiavemistica, ma come un tentativo di fondare nella trinità e nelle gerarchie angeliche lasacertà del potere e delle gerarchie ecclesiastiche), prende forma la prima legittimazionedella Chiesa come struttura «mondana» del governo delle anime. Il fatto che, sulla basedel celebre passo paolino (Col., 1, 18-2, 10) sul carattere «cefalico» del Cristo (Cristocapo degli angeli e «del corpo, cioè della Chiesa»), il potere della Chiesa (e, al limite,

  • ogni potere) fosse fondato in Cristo e il papa definito come suo «vicario» mostraeloquentemente il significato essenzialmente governamentale della cristologia.

    Nella prospettiva del governo del mondo, cristologia e angelologia, messia e angelisono inseparabili e restano tali fino al Giudizio universale, quando la storia della salvezzagiunge a compimento ed essi non hanno letteralmente più nulla da fare. Nella teologiacristiana, il paradigma del governo del mondo è, infatti, essenzialmente finito. Dopo ilGiudizio universale, quando tutti gli eletti saranno stati condotti in cielo e tutti i dannatiprecipitati nell’inferno, cessa ogni attività di governo e le gerarchie angeliche sonodestituite di tutte le loro funzioni. Di tutte, tranne una: la Gloria, che essi continueranno acantare a Dio instancabilmente nei secoli dei secoli. La Gloria è la forma in cui la funzioneangelico-governamentale sopravvive al suo esercizio.

    7. Nell’Islam, il tawhid, l’affermazione dell’assoluta unicità di Dio, e la conseguente

    polemica contro la trinità e la stessa possibilità di un’unione ipostatica fra la naturaumana e quella divina in Cristo determinano il quadro in cui l’angelologia può svolgere ilsuo ruolo. La tesi ash‘arita, che finì col prevalere nel kalam sunnita, dell’operazioneincessante di Dio in ogni evento come unico autore di ogni azione – buona o cattiva –dell’uomo, la cui libertà si riduce all’«acquisizione» di ciò che non può in nessun casoprodurre, condiziona ulteriormente la possibilità stessa di qualcosa come un governoangelico del mondo. Ciò non significa che la funzione degli angeli come messaggeri eassistenti di Dio non sia presente nell’Islam; tuttavia, l’accento cade qui sulla funzionedella gloria, in cui gli angeli appaiono come i «precursori di ogni atto di culto», che«magnificano» e «adorano» Dio in ogni istante senza stancarsi.

    «Il cielo scricchiola», recita un detto del Profeta, «ed è giusto che sia così, perché nonc’è in esso lo spazio di un piede che non sia occupato da un angelo prostrato oinchinato». Un sermone di ‘Ali, il «principe dei credenti», citato da Razi nel suo trattatoangelologico, distingue gli angeli in prostrati, che mai si inchinano, in chinati, che maidrizzano la schiena, in schierati, che non rompono mai le file, in inneggianti, che non sistancano mai di glorificare. La stessa obbedienza e il timore («nel timore di lui stannotrepidanti»), che fanno sì che essi assolvano scrupolosamente i compiti di inviati fra gliuomini, sono parte integrante della loro adorazione («tutti gli angeli ascoltano eubbidiscono, sempre intenti ad adorarlo»).

    Resta, tuttavia, anche qui, a testimoniare dell’irriducibile estraneità degli angeli aldivino, il racconto coranico sull’insoddisfazione degli angeli davanti alla creazione diAdamo e sul rifiuto di Iblis, il più potente di essi, di adorarlo. Se Iblis, come attestanoalcune fonti, corrisponde secondo questo aspetto a Enoc-Metatron, nella tradizioneislamica il problema sull’origine e sulla natura degli angeli emerge soprattutto nellediscussioni sulla superiorità degli uomini (e, quindi, dei profeti) sugli angeli (come neitrattati di Razi e di Tabari). L’opposizione fra gli angeli, che appaiono comerappresentanti del potere della creazione, e i profeti, che rappresentano il poteredell’Imperativo (o della salvezza), corrisponde ancora una volta all’opposizione gnosticafra un dio creatore e un dio salvatore. Anche nella più rigorosamente monoteista dellereligioni sussistono tracce del dualismo gnostico.

  • 8. Se il governo del mondo è ancor oggi (anche se non sappiamo ancora per quanto

    tempo) nelle mani dell’Occidente cristiano, ciò non è certo senza rapporto con il fatto cheil cristianesimo, unica fra le tre religioni monoteiste, abbia fatto del governo del mondoun’articolazione interna della divinità e abbia, in questo modo, divinizzato il potereangelico. Qualcosa come un «governo degli uomini» non è possibile nel giudaismo, in cuila funzione angelica, anche se gli è asservita, resta in qualche modo estranea a Dio, nénell’Islam, in cui Dio interviene direttamente in ogni istante e in ogni particolare nel corsodegli eventi. Alla diversità fra le rispettive angelologie, secondo la più o meno marcatainflessione governamentale e il diverso modo di realizzarla, corrisponde l’eterogeneità deimodelli politici e la resistenza (particolarmente evidente nei paesi islamici) ad accettareparadigmi estranei. Perché qualcosa come un governo diventi possibile, è necessaria,infatti, l’articolazione e la coordinazione in una macchina bipolare di un potere angelicoimmanente, che opera nei particolari come esecutivo, e di un potere divino trascendente,che agisce come legislatore universale. Questa macchina è la provvidenza, che, nellateologia cristiana, identificandosi con l’economia della salvezza, congiunge inun’articolazione insieme meticolosa e imponente il piano luminoso e immutabile dellamente divina (ordinatio o providentia generalis; Malebranche, seguito da Rousseau,parlerà di «volontà generale») con l’intervento infaticabile, dettagliato e losco degliemissari angelici (executio o providentia specialis; Rousseau, seguendo Malebranche,parlerà di «volontà particolare» e di «economia pubblica» o «governo»). In questo senso,anche se ciò non mancherà di sorprendere i benpensanti, la provvidenza, con i suoiangeli-burocrati, è il paradigma non del potere assoluto, ma di quello democratico.

    9. L’angelologia è, in questo senso, la più antica e minuziosa riflessione su quella

    particolare forma del potere che, nella nostra cultura, ha preso il nome di «governo» eche Michel Foucault, a partire dalla metà degli anni ’70, ha cercato di definire nei suoicorsi al Collège de France. Ogni tentativo di separare gli angeli dalla loro vocazionegovernamentale è, in questo senso, condannato al fallimento. Di questi tentativi ve nesono stati, nel Novecento, almeno due, non senza rapporto fra loro: quello poetico diRilke e quello filosofico-gnostico di Corbin. Si tratta, in entrambi i casi, di separarel’angelologia dalla storia, la funzione gloriosa della rivelazione da quella oscura eambigua del governo del mondo. È questo che Rilke intende quando scrive a Hulewiczche «l’angelo delle Elegie non ha nulla a che vedere con l’angelo del cielo cristiano(semmai con le figure angeliche dell’Islam)». E quando, nella stessa lettera, egli affermache «l’angelo è quella creatura in cui la metamorfosi del visibile nell’invisibile che noioperiamo è già compiuta […] quell’essere che è garante del fatto di riconoscerenell’invisibile un superiore rango della realtà», la tesi implicita in questa affermazione èche l’angelologia – non la storia – è il luogo in cui si compie la rivelazione e la redenzionedel mondo. Per questo le Elegie sono, in verità, inni travestiti, canti di lode rivolti agliangeli (El., 9, v. 53: «Preise dem Engel die Welt…»); per questo, nei Sonetti a Orfeo, checontengono una sorta di esegesi esoterica delle Elegie, il compito degli angeli e degliuomini si rivela non essere alla fine altro che quello cerimoniale della celebrazione:

  • «Rühmen, das ists!» (Son., 7, v. 1), «Nur im Raum der Rühmung darf die Klage / gehn»(ibid., 8, vv. 1-2). Ma la gloria, con il suo apparato di liturgie e di acclamazioni, non è –l’abbiamo mostrato – che l’altra faccia del potere, la forma in cui il governo sopravvive alsuo esercizio. E la mistica tanto giudaica che cristiana è – almeno in uno dei suoi aspetti– letteralmente soltanto «contemplazione del trono», cioè del potere. La diagnosi diBenjamin a proposito di Hoffmansthal, secondo cui era stato Kafka e non il suo autore araccogliere l’eredità della Lettera di Lord Chandos, vale, in questo senso, anche per Rilke:il tentativo di separare angelologia e storia per far passare la lingua della poesia nelregistro della gloria si chiude con un non liquet: il lamento che si trasforma incelebrazione è soltanto l’ambiguo protocollo della realtà.

    Considerazioni analoghe possono farsi per il saggio di Corbin sulla Necessitàdell’angelologia, che si chiude non a caso con una citazione di Rilke. Contro Hegel econtro la teologia dell’incarnazione, si tratta di mobilitare il tema gnostico del Christos-angelos e quello islamico dell’imam shi’ita per spezzare la connessione fra angelologia efilosofia della storia. La redenzione è un processo gnostico che, anche se può toccarlo inalcuni punti eminenti, non coincide mai con il piano degli eventi storici, per esempio conuna rivoluzione. Ma, ancora una volta, la macchina teologica del governo non èveramente neutralizzata: il dio nascosto e ineffabile, che gli angeli hanno il compito dirivelare senza offrirgli altra carne che quella di un’immagine, non è che il fondamentomistico del potere di governo, un re che, secondo il motto che Carl Schmitt amava citare,«regna ma non governa».

    È possibile, dunque, che, congiungendo, nell’Angelus novus di Klee, la figuradell’angelo con quella della storia, Benjamin abbia apprestato per la nostra meditazioneun’emblema di cui non è facile sbarazzarsi. Qualcosa del genere doveva avere in menteKafka, quando presenta i funzionari del potere come angeli (uno di questi è il «guardianodella porta» nella parabola Davanti alla legge) e sembra raccomandare, nell’incessanteconfronto degli uomini con la legge, un «lungo studio del guardiano (jahrelange Studiumdes Türhüters)». Angelologia e filosofia della storia sono, nella nostra cultura,inestricabili, e solo per chi avrà saputo comprendere la loro connessione si aprirà,eventualmente, la possibilità di interromperla o spezzarla. Non in direzione di un al di làmetastorico, ma, al contrario, verso il cuore stesso del presente.

  • Ebraismo

    a cura di Mauro Zonta

  • L’angelologia nell’ebraismo antico e medievale

    di Mauro Zonta

    Angeli e angelologia nell’ebraismo antico (fino al 200 d.C.) Gli angeli (in ebraico, mal’akim, ossia, alla lettera, «messaggeri») sono presenti nella

    tradizione biblica e nella letteratura ebraica dei cosiddetti «apocrifi» – gli scritti dicarattere religioso non inseriti nel canone della Bibbia ebraica –; essi avevano acquistatoparticolare visibilità nel periodo che va dal quarto secolo a.C. al 200 d.C., e che è statodesignato da una parte della storiografia più recente come «giudaismo medio». Eranoconsiderati esseri superiori all’uomo sia nella loro sapienza e conoscenza, sia nella loropotenza, anche fisica; subordinati a Dio, e da lui creati, essi fungerebbero da suoi aiutanti– ossia, verrebbero da lui inviati nel mondo per svolgere una serie di compiti loroattribuiti, e per riferire messaggi di Dio agli uomini.

    Non si può tuttavia parlare di una vera e propria «angelologia» per quanto riguarda itesti che fanno oggi parte della Bibbia ebraica. In diversi di tali testi, appaiono figure cheparecchie volte non vengono nemmeno definite come «angeli»: si parla di esse, infatti,anche come di «dei» (in ebraico, elohim) o di «figli di dei» (benè elohim), di «santi»(qedoshim) e infine, semplicemente, come di «uomini», anche se la tradizione ebraica piùtarda ha voluto senz’altro identificare tutte le figure così descritte, e qualificate da unasuperiorità rispetto all’uomo e da una sostanziale servitù a Dio, con gli angeli. In realtà,solo in casi specifici compaiono effettivi ed espliciti riferimenti a questi ultimi, dove essivengono qualificati con il termine ebraico mal’akim (che, come detto, aveva in origine ilsignificato di «messaggeri»), che li designerà definitivamente nella lingua ebraicapostbiblica. Questo, comunque, non significa che la Bibbia ebraica, nella forma in cui ègiunta sino a noi, contenga dettagliate trattazioni espressamente dedicate agli angeli, siaper quanto riguarda i loro nomi e qualifiche personali, sia per quanto riguarda la loronatura come creature di Dio, sia per quanto riguarda la loro funzione nell’economia delcreato.

    Naturalmente, figure di angeli sono menzionate, benché sempre nei modi generici oradescritti, in diverse parti della Bibbia ebraica: nel Pentateuco, con particolare riguardo perl a Genesi; nei libri storici, dove vi sono loro comparse occasionali in circostanzespecifiche, per esempio con l’apparizione di un angelo sterminatore in occasione di un

  • assedio assiro di Gerusalemme che sarebbe avvenuto nel 701 a.C. (2Re, 19, 35); infine,essi sono più frequentemente ricordati in alcuni dei libri profetici, in particolare inEzechiele, in Zaccaria e in Daniele (ma non in altri, dove sono quasi completamenteignorati).

    Nel capitolo 10 di Ezechiele appare, nella descrizione della gloria di Dio, il quadro diuna serie di esseri viventi che lo circondano; tuttavia, anche qui non si parlapropriamente di «angeli», ma di «cherubini» (in ebraico, qeruvim). Si tratta di realtà chela tradizione ebraica posteriore ha senz’altro assimilato agli angeli, considerandoli anziuno dei gruppi più importanti di questi ultimi, ma che sono qui dotati di caratteristicheparticolari, che certamente non verrebbero attribuite agli angeli della tradizionesuccessiva: «Ogni cherubino aveva quattro sembianze: la prima, di cherubino; la seconda,di uomo; la terza, di leone; la quarta, di aquila» (Ez., 10, 14). In Zaccaria, invece, figurepiù chiaramente definite come «angeli» compaiono nei capitoli 1-6 dell’opera: in essi,infatti, si parla prima di un «angelo del Signore», che chiede personalmente a Dio pietàper Gerusalemme, distrutta dai Babilonesi nel 587 a.C., auspicandone la ricostruzione(cap. 1); poi, di un «angelo geometra», destinato a quest’opera di ricostruzione (cap. 2);a questo punto, l’angelo del Signore conferisce al sommo sacerdote ebraico funzioni digoverno (cap. 3), e infine spiega una visione del profeta interpretandola alla luce dellafutura storia di Israele (capp. 4-6). Infine, in Daniele, che risale con ogni probabilità al164 a.C., compaiono, per la prima volta, stando alla tradizione biblica ebraica «ufficiale»,i nomi di due angeli, che costituiranno più tardi due dei più importanti «angeli guida»nell’ebraismo e nel cristianesimo: Gabriele (menzionato nei capitoli 8-9 del testo, edestinato a spiegare al profeta la visione della futura storia di Israele da lui avuta) eMichele. Quest’ultimo, in particolare, è qui menzionato come «uno dei primi principi»(Dan., 10, 13), anzi, come «il gran principe, che vigila sui figli del suo popolo», Israele(ibid., 12, 1). In realtà, sembra che non sia questa la prima volta che la figura di unangelo personalizzato, e in particolare di quella dell’angelo Michele, venga menzionatanella letteratura ebraica 1 .

    In effetti, il primo angelo «personalizzato» sembra essere Raffaele, apparso nel librodeuterocanonico di Tobia tra il 500 e il 300 a.C. come personaggio di spicco dell’opera: èlui a essere inviato da Dio a Tobi per guarirlo e a sposare Tobia con Sara ( Tob., 3, 16-17), è lui a guidare Tobia a Sara ( ibid., 5, 4-6, 19), è lui a togliere la cecità a Tobi (cap.11), e solo alla fine di tutte queste azioni si fa riconoscere come angelo (cap. 12). Inrealtà, anche se Tobia non fa parte della Bibbia ebraica, e sopravvive oggi nella suainterezza solo in due versioni greche, è ormai sicuro che l’originale dell’opera, del qualerestano alcuni frammenti, venne scritto in aramaico 2 .

    La figura di Michele deve essere apparsa invece per la prima volta, e non da sola, inun’opera che la critica di oggi designa come il Libro dei vigilanti, e che rappresenta unadelle parti più antiche (probabilmente, la seconda nell’ordine di età 3 ) del Libro di Enoc,un celebre apocrifo dell’Antico Testamento diffuso nell’antichità in varie versioni(aramaico, ebraico, greco, siriaco, copto ed etiopico: l’ultima è anche l’unica che siasopravvissuta nella sua interezza). Qui, si parla non di uno, ma di quattro «arcangeli»,che governano gli altri angeli e, in generale, tutta l’umanità, e provvedono fra l’altro a

  • punire gli «angeli caduti» (ossia quelli che, secondo una tradizione che iniziava già adiffondersi nell’ebraismo, si sarebbero ribellati a Dio al momento della creazione delmondo) 4 . Questi arcangeli sarebbero, secondo la versione aramaica del Libro di Enoc,Michele, Gabriele, Raffaele e Sariele 5 ; a essi la tradizione ebraica successiva risultaaverne aggiunti altri tre, nelle persone di Uriele e Geremiele (incaricati di prendersi curadel mondo dell’oltretomba e delle anime dei morti che vi risiedono) da una parte, diRaguele (incaricato di prendersi cura del mondo della luce) dall’altra 6 . In realtà, giànella tradizione ebraica del Libro di Enoc, che aggiunge, più di un secolo dopo, al Librodei vigilanti il Libro delle parabole 7 , appaiono alcune modifiche alle tracce di angelologiaprima delineate: i quattro arcangeli, per esempio, sono Michele, Raffaele, Gabriele eFanuele (1Enoc, 40, 8-10), e diverso è anche il nome e il numero degli angeli caduti.

    La funzione degli angeli cresce, certamente, nella letteratura religiosa ebraica dellaPalestina, nel periodo del cosiddetto «giudaismo medio» (fra il 300 a.C. e il 200 d.C.), ein particolare fra l’ascesa di Erode (37 a.C.) e la distruzione di Gerusalemme (70 d.C.),uno dei periodi notoriamente più intensi e vivi della storia dell’ebraismo. Gli esempi che sipotrebbero fare al riguardo sono naturalmente assai numerosi 8 ; ne prendiamo ora inconsiderazione tre, a scopo esemplificativo. Si tratta, innanzitutto, dell’opera nota comeTestamento di Levi , che la tradizione ebraica attribuisce falsamente a uno dei dodicipatriarchi figli di Giacobbe, ma che venne composta prima in aramaico e successivamentetradotta (in forma ampliata, e con probabili alterazioni cristiane) in greco, probabilmentetra il 150 e il 100 a.C. 9 ; in essa, ai capitoli 2-3 (testimoniati oggi solo dalla versionegreca), si trova una breve descrizione dei cieli, che include un quadro, sia pure sintetico enon del tutto chiarito, delle diverse figure di angeli esistenti. In secondo luogo, si collocail Libro dei segreti di Enoc, che sarebbe stato composto, forse direttamente in greco daun autore ebreo palestinese, nel corso del primo secolo d.C. (ma sicuramente prima del70 d.C., data di distruzione del tempio di Gerusalemme), anche se di esso ci resta solouna versione paleoslava, realizzata in Macedonia intorno al 1000 10 ; qui si racconta unviaggio di Enoc al cielo, descritto nei particolari e ben diverso da quanto presentato nelLibro di Enoc, nel quale compaiono prima due angeli che lo accompagnano, e poi gliarcangeli, che lo portano alla presenza di Dio. Il terzo testo è, infine, l’unica opera delgiudaismo medio arrivata fino a noi che sia dedicata espressamente all’angelologia edescriva nei particolari le diverse «classi angeliche», nelle funzioni da loro svolte nelmondo celeste. Il testo, prodotto dalla tradizione settaria di Qumran (dove portava iltitolo di Canti dell’olocausto del sabato), ci è rimasto solo in modo frammentario; essoconteneva in origine i canti da recitarsi in tredici sabati consecutivi, probabilmentequattro volte l’anno, in occasione di quel culto e di quella liturgia che, nella setta,sostituivano il tempio terrestre di Gerusalemme con il tempio celeste 11 . Ovviamente,l’opera è anteriore al 68 d.C., data di distruzione della setta di Qumran; i primi frammentimanoscritti dell’opera sinora ritrovati, comunque, sono databili alla metà del primo secoloa.C.

    Angeli e angelologia nell’ebraismo dopo il 200 d.C.

  • La natura e le funzioni degli angeli acquistano una decisa connotazione di carattere

    autonomo nell’ebraismo dei secoli posteriori al 200 d.C., quando, dopo la caduta diGerusalemme, la distruzione del Tempio (che era stato fino ad allora il centro del cultoebraico) e l’inevitabile, benché lenta, diaspora degli ebrei al difuori della Palestina,l’ebraismo assume le caratteristiche della religione attuale, che andrebbe in realtàchiamata «giudaismo» – per distinguerla dall’ebraismo del periodo biblico, precedente al70 d.C. L’ebraismo rabbinico di questo periodo sostituisce, come luogo di culto, le moltesinagoghe all’unico tempio di Gerusalemme; come oggetto di venerazione, i rotoli dellaBibbia, e soprattutto la Legge (in ebraico, Torah) contenuta nel Pentateuco, al Santo deiSanti, che conteneva l’Arca dell’Alleanza; come pratica del culto, l’osservanza di una lungaserie di precetti (seicentotredici, secondo la tradizione) ai sacrifici compiuti dai sacerdotinel tempio; infine, come guida religiosa degli ebrei, sostituisce ai sacerdoti i rabbini, già acapo della setta dei farisei. Com’è ovvio, questa fondamentale riforma religiosa coinvolgeanche l’angelologia. Tradizioni presenti nell’ebraismo del periodo precedente vengonopraticamente messe da parte: in particolare, la dottrina (spiegata fra l’altro nei libri dellatradizione enochica) secondo la quale esisterebbero alcuni angeli che, avendo corrotto gliuomini per invidia e malizia, sarebbero stati cacciati dal cielo e sarebbero quindi caduti,benché ancora presente in una parte dei Midrashim e in altri testi del periodo – peresempio, nei Capitoli di rabbi Eli‘ezer – sarebbe stata presto respinta; il culto degli angeli,che secondo opere della stessa epoca (come il Sefer ha-razim, risalente forse al quartosecolo d.C.) sarebbe finalizzato a ottenere da loro gesti positivi o negativi, attraversopreghiere e pratiche di carattere magico, non viene accettato dall’ebraismo ufficiale.

    Certo, non sembra privo di significato il fatto che la Mishnah (il codice religioso di basedell’ebraismo postbiblico, messo per iscritto tra il 220 e il 500 d.C. sulla base didichiarazioni fatte dai rabbini vissuti in Palestina nei secoli immediatamente precedenti)non faccia alcun riferimento agli angeli in particolare, e all’angelologia ebraica nel suocomplesso. Apparentemente, l’ebraismo rabbinico avrebbe, in questo periodo,razionalizzato la propria tradizione religiosa, completando e, sotto certi aspetti,praticamente sostituendo la legge scritta contenuta nella Bibbia con la cosiddetta «leggeorale» trasmessa dai rabbini, e lasciando ben poco spazio a figure di difficile definizione,quali sono appunto gli angeli. Anche nei testi di questo periodo in cui compaiono, questefigure restano spesso impersonali, con pochi riferimenti ai loro nomi propri –diversamente da quanto accade, per esempio, nel Sefer ha-razim, dove di essi sonoelencati centinaia di nomi. In ogni caso, in buona parte dei due commenti alla Mishnah, ilTalmud babilonese e il Talmud palestinese (messi per iscritto nel corso del sesto secolosulla base di materiali risalenti ai tre secoli precedenti), si parla di angeli e delle funzionida essi svolte, pur senza trattare mai di angelologia in modo sistematico. Gli angeli sonolì definiti come ‘elyonim, termine ebraico che significa «(enti) superiori», per contrapporliagli «(enti) inferiori» rappresentati dagli esseri umani; secondo il Talmud, essi sarebberorealtà incaricate non tanto di svolgere una funzione di intermediari tra Dio e il mondo(anche se questo ruolo di «ministri di Dio» verrà nuovamente loro attribuito proprio dallafilosofia ebraica medievale, influenzata dall’aristotelismo neoplatonizzante), quanto di

  • circondare Dio per glorificarlo, a mo’ di una corte – la quale potrebbe essere stataimmaginata a imitazione delle corti dei re persiani dell’epoca, ben note ai rabbini dellaMesopotamia. Inoltre, va rilevato che i rabbini del Talmud sembrano aver generalmentesuddiviso gli angeli in due categorie: una prima, costituita da pochi angeli perpetui, cheerano posti al servizio permanente di Dio; e una seconda, costituita da un numeroindefinito di angeli, che venivano creati ogni giorno, con il fine specifico di lodare Dio –sia pure senza poter contemplare la sua gloria.

    Gli angeli nel Talmud e nella letteraturadell’ebraismo classico (220-1040 d.C.) L’immagine degli angeli che emerge dalla letteratura religiosa propria dell’ebraismo

    classico (Talmud, racconti presenti nell’ aggadah, Midrash e altro) è ricca, mafondamentalmente disordinata: si tratta infatti di opinioni di singoli rabbini, cui si facenno ed eventualmente discussione, a proposito di questioni estremamente specifiche diangelologia affrontate in diversi punti dei molti testi del genere. Non si può dunqueparlare di un angelologia organica e ufficiale, accettata da tutti.

    In primo luogo, va rilevato che numerose e svariate sono le opinioni lì espresse circal’origine e la natura degli angeli, fondate sull’interpretazione dei diversi eapparentemente contraddittori cenni biblici che li riguardano. Gli angeli sarebbero staticertamente creati dopo la creazione del mondo, secondo il Talmud, che esclude cosìl’esistenza di quegli angeli coeterni a Dio propri di altre religioni del Vicino Orientedell’epoca; ma quando esattamente questo sarebbe avvenuto è oggetto di discussione.Secondo alcuni rabbini, essi vennero creati nel secondo giorno della creazione; secondoaltri, nel quinto giorno; altri ancora esprimono l’opinione che gli angeli sarebbero creati inogni momento, dalla mera parola di Dio; infine, alcuni affermano l’idea che essi siformerebbero e si distruggerebbero immediatamente, dopo aver parlato con Dio. Quantoalla loro natura, pur esistendo l’ipotesi che essi vengano creati e distrutti in continuità, lacredenza generale sarebbe quella che gli angeli siano fondamentalmente immortali – lacui ovvia conseguenza è che essi non dovrebbero avere figli, non avendo il bisogno diperpetuare la loro specie. Questo, peraltro, non escluderebbe il fatto che Dio avessedistrutto alcuni di loro, perché avrebbero osato peccare, opponendosi alla sua volontà –senza che questo significhi che il Talmud accetti in generale la dottrina della caduta degliangeli, praticamente rifiutata dai rabbini.

    Secondo un noto passo del Talmud babilonese ( Chag., 16a), l’angelo sarebbe dotato diintelligenza, starebbe in piedi e parlerebbe in lingua ebraica, la lingua santa dellatradizione (solo angeli come Gabriele, per esempio, conoscerebbero tutte le lingue); egli,inoltre, volerebbe in aria, e sarebbe in grado di predire il futuro – anche se non conosce,per esempio, il giorno dell’arrivo del Messia e quello della fine del mondo. Gli angelisarebbero dotati di un corpo enorme, tanto che, secondo una tradizione rabbinica, unangelo sarebbe addirittura dell’estensione di un terzo del mondo, secondo un’altrasarebbe alto ben diecimila chilometri; essi sarebbero costituiti di fuoco, tanto da impedireagli uomini di avvicinarsi loro e persino di ascoltarli – anche se, secondo alcuni autori, gli

  • angeli sarebbero per metà di acqua, e per metà di fuoco. In ogni caso, a questo lorocorpo, spesso concepito come dotato di ali, viene generalmente attribuita una formaumana: maschile o femminile, da profeta o da pastore; occasionalmente, comunque,l’angelo si rivela in altre forme, di vento o di fuoco. Naturalmente, tale corpo non avrebbealcun bisogno di essere alimentato, ma si nutrirebbe spiritualmente grazie allo splendoredei raggi della presenza e della maestà di Dio – anche se alcuni testi alludono allamanna, a suo tempo cibo di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, come oggetto delnutrimento degli angeli.

    Gli angeli non proverebbero in alcun modo le passioni umane, e pertanto nonpotrebbero essere dominati da una tendenza morale negativa (quella che la tradizioneebraica designa come yetzer ha-ra‘, «inclinazione al male»); pertanto, essendonaturalmente privi di odio, invidia e gelosia, essi non sarebbero neppure sottopostiall’obbligo di rispettare i dieci comandamenti, ma riceverebbero comunque l’epiteto di«santi», che la tradizione ebraica più ortodossa non assegnerebbe normalmente a unuomo. Fisicamente, agli angeli viene attribuita una velocità di volo diversa a seconda delcompito da loro svolto: gli angeli incaricati di portare la salvezza sarebbero velocissimi,mentre il cosiddetto «angelo di morte», inviato da Dio per punire un uomo, siprenderebbe tempo, lasciando a quell’uomo la possibilità di pentirsi.

    Gli angeli sono suddivisi, dai testi rabbinici, nei modi e nelle categorie più disparate. Siparla infatti di angeli di pace, vicini a Dio, e di angeli del male, lontani da lui; di angeli divita, e di angeli di morte; di angeli superiori, e di angeli inferiori. Innanzitutto, il loronumero non sarebbe fisso; comunque, esso viene sempre ritenuto altissimo,praticamente infinito: in un testo, per esempio, si afferma che gli angeli sarebberoquattro miliardi e novecentosessanta milioni, a simboleggiare la sovranità di Dio; in unaltro, si afferma che ogni ebreo sarebbe seguito da un migliaio di angeli, cheveglierebbero su di lui, e circondato da più di diecimila di essi. In effetti, secondo latradizione ebraica Israele sarebbe oggetto di una specifica protezione da parte degliangeli, che aumenterebbe o diminuirebbe a seconda del comportamento più o menobuono di questo popolo. Comunque, anche se alcuni angeli dovrebbero non lasciare maila Palestina, essi nel loro complesso sono distribuiti fra le diverse nazioni del mondo e frai loro sovrani (nei testi si parla dell’Egitto, della Persia, ma anche di Babilonia, Media,Grecia, Siria e Roma – le nazioni menzionate nel libro biblico di Daniele – e persino delmare e del vento come realtà aventi un proprio angelo custode); di ognuna di essefungerebbero da guardiani e difenderebbero la causa davanti a Dio, oppure fungerebberoda punitori in nome di Dio stesso; fondamentalmente, essi si assumerebbero anche leresponsabilità degli atti, positivi o negativi, compiuti dalle nazioni stesse, subendo lepene eventualmente inflitte da Dio a queste ultime, o cercando di evitarle con la loroopera di mediazione.

    I nomi degli angeli, piuttosto scarsi nella tradizione ebraica più antica, si moltiplicanonella letteratura della tarda antichità (gli ebrei, stando al Talmud, li avrebbero conosciutial loro ritorno dall’esilio in Babilonia), e ancor più, come vedremo, nel Medioevo. Ogniangelo avrebbe, secondo il Talmud, un nome collegato alla specifica missione che glisarebbe stata conferita da Dio; ma i nomi e le funzioni riportati dalla letteratura

  • postbiblica (soprattutto da quella enochica) sarebbero qui quasi tutti alterati. I ruoli piùimportanti sono affidati ai quattro arcangeli della tradizione, ritenuti a capo degli altriangeli: Michele, Gabriele, Raffaele e Uriele. A Michele, l’angelo ritenuto più importante edotato di funzioni di guida nel cielo, il Talmud e il Midrash (che lo afferma fatto di neve)attribuiscono il ruolo di «principe dell’acqua», di trasmettitore della Legge a Mosè (unruolo quasi parallelo a quello conferito poi dall’Islam all’angelo Gabriele), di messaggerodivino (spesso, insieme a Gabriele stesso) nei confronti di Abramo e degli altri patriarchi,e di protettore di Israele, incaricato fra l’altro di lottare con Sama’el, l’angelo protettore diEdom (spesso identificata con Roma). A Gabriele, dotato di eccezionale forza fisica, divoce altissima e di un corpo di fuoco, viene attribuito, spesso in collaborazione conMichele, il massimo potere sulla terra (fra l’altro, la protezione del profeta Mosè) e,spesso, il ruolo di agente del castigo divino. A Raffaele viene attribuito un compitomedico, derivato dal suo nome (in ebraico, Rafa’el, «medicina di Dio»); a Uriele, vieneconferito l’incarico di trasmettere agli uomini la conoscenza di Dio. Ad altri angeli minorivengono ascritti ruoli di «prìncipi», ossia di responsabili di determinate funzioni: peresempio, Rahab è posto a capo del mare, Ridia è posto a capo della pioggia, Lailah èmesso a sorvegliare la notte e il concepimento; altri angeli sono incaricati di dirigere lapreghiera, la beneficenza, i sogni, e non mancano angeli ai quali vengono attribuitefunzioni negative e distruttive: per esempio, Dumah è detto «angelo della morte» e«principe del fuoco». Fra gli angeli penetrati più tardi nella tradizione ebraica, haparticolare rilievo Metatron, che Alexander Kohut ha voluto spiegare collegandolo conl’oggetto di uno dei culti più praticati nel Vicino Oriente della tarda antichità, il dio Mitra,e al quale il Midrash di epoca talmudica conferisce soprattutto l’incarico di educatore deigiovani. Metatron (un angelo il cui nome, di origine sconosciuta, è menzionato appena trevolte nel Talmud, e che perderà importanza nella letteratura ebraica medievale) acquistaqui un ruolo primario, quello di «principe del mondo», talora superiore a quello diMichele: esso viene talora legato a una dottrina dualistica, che vedrebbe in lui una sortadi doppione di Dio, oggetto di un culto eretico, una deviazione del monoteismotradizionale, che l’ebraismo ortodosso dovrebbe risolutamente respingere. Comunque, alui vengono collegate due diverse tradizioni, entrambe fondamentalmente eterodosse:una che vorrebbe vedere in lui un angelo creato prima o durante la creazione del mondo,e quindi più importante di chiunque altro; un’altra che lo collega alla figura del patriarcaEnoc, che, dopo la sua morte e ascesa al cielo, sarebbe impersonato appunto daMetatron; a quest’ultimo, peraltro, viene collegato un altro angelo, Sandalfon,considerato spesso suo fratello gemello, identificato con il profeta Elia, e incaricato diraccogliere le preghiere dei giusti e presentarle a Dio. In ogni caso, una tradizione diepoca talmudica, rappresentata soprattutto dal Sefer ha-razim – un’opera contenente ilnome di centinaia di angeli e diverse preghiere e pratiche rivolte loro, composta forse inPalestina non prima del 300 d.C. – lega ai nomi degli angeli, moltiplicati di numero, unaserie di cure mediche, la cui efficacia dipenderebbe dalla precisa conoscenza non solo diquesti nomi, ma anche della sfera celeste di cui essi fanno parte, nonché degli esattipoteri che essi eserciterebbero.

    La gerarchia angelica, stabilita in modi diversi dalla letteratura rabbinica di questo

  • periodo, è perlopiù vaga e contraddittoria: si accetta la prevalenza dei quattro arcangelisopra menzionati, ma non si organizzano eserciti ben precisi, dotati ciascuno di funzionidefinite e di collocazioni celesti – con la sola eccezione del suddetto Sefer ha-razim, il piùantico e forse unico caso di angelologia sistematica, posteriore alla letteratura enochica.

    Molti sono i compiti attribuiti agli angeli. La loro funzione principale sarebbe, certo,quella di cantare inni di lode a Dio, per proclamarne la santità, anche se essi sarebberoincapaci di osservare la gloria divina, e Dio potrebbe comunque vietare loro di praticarequesta funzione: essi sono infatti considerati innanzitutto come servitori di Dio, alle suedirette dipendenze, tanto da essere definiti, in questo senso, come la sua «famiglia». Frale altre funzioni loro attribuite dal Talmud, in relazione alle vicende narrate dallatradizione biblica, si possono annoverare: l’aver agito da testimoni al matrimonio fraAdamo ed Eva; l’aver protetto questi ultimi nel giardino dell’Eden; l’aver guidato glianimali a salire sull’arca di Noè; l’aver vigilato sulle varie vicende di Abramo, Isacco eGiacobbe; l’essere intervenuti nei diversi avvenimenti della vita di Mosè, dalla vicenda delroveto ardente al passaggio di Israele nel mar Rosso, dalla trasmissione delle tavole dellaLegge sul Sinai alla morte del profeta; e così via. Occasionalmente gli angeli, secondo laletteratura contemporanea al Talmud, svolgerebbero anche un incarico di istruttori degliuomini (alcuni angeli sarebbero spesso intervenuti persino nelle discussioni tra i rabbinistessi, a proposito dell’interpretazione di passi difficili della legge ebraica), e avrebbero ilruolo di mediatori tra questi ultimi e Dio: in particolare, porterebbero a Dio le preghiere ele suppliche umane, benché non venga del tutto esclusa la possibilità che, in certi casi, gliangeli abbiano nutrito gelosia o timore nei confronti di un uomo, tanto che Dio avrebbedovuto intercedere a favore di quest’ultimo. Nel complesso, anche se non si parla inquesta tradizione di «angeli custodi» in senso paragonabile a quello cristiano, tuttavia siafferma che l’uomo sarebbe seguito, in modo temporaneo, da un certo numero di angeli,in genere due, uno del bene e uno del male: si tratterebbe di spiriti guardiani, che peresempio proteggerebbero un giusto al momento della sua dipartita, e persinopiangerebbero ai suoi funerali. D’altra parte, gli «angeli della morte» sarebbero incaricatiproprio della funzione di punire gli uomini; altri angeli dovrebbero invece governare loShe’ol, l’inferno ebraico. Certo, la tradizione rabbinica attribuisce talora agli angeli ilcompito di esprimere giudizi sull’uomo, esercitando il ruolo di una sorta di corte digiustizia divina, anche se il loro voto, positivo o negativo che sia, non sarebbe affattovincolante; in fondo, la stessa creazione dell’uomo, secondo il Talmud, non sarebbe certoil frutto della volontà degli angeli.

    D’altronde, dalla tradizione rabbinica non risulta necessariamente che gli angeli sianosuperiori all’uomo. In effetti, secondo alcuni rabbini, i giusti, oppure l’intero popolod’Israele, avrebbero un ruolo pari o addirittura superiore a quello degli angeli, chesecondo altri si conquisterebbero dopo la loro morte o alla fine del mondo. Anzi, secondotalune delle tradizioni trasmesse dai Midrashim, sarebbero gli angeli stessi ad adorare eservire alcuni degli uomini più santi, come Adamo o Aronne, che sarebbero più intelligentidi loro e godrebbero, nell’aldilà, di posizioni più elevate – secondo una tradizioneammessa, nel mondo cristiano, dallo stesso san Paolo (Eb., 1, 13-14).

    Infine, sono degni di menzione gli accenni a un culto angelico che emergono da certi

  • punti di questa letteratura, e che risultano fra l’altro proprio dal Sefer ha-razim. Si trattadi un culto che la letteratura tardoantica, specie quella di area cristiana, afferma essereesistito nel mondo ebraico contemporaneo, anche se forse limitato solo ad alcune sette diquest’ultimo. Il Talmud comunque non solo non riconosce, ma nega risolutamente, piùvolte, la possibilità di tale culto, ritenuto senz’altro idolatrico. D’altra parte, la stessaesistenza, nella liturgia ebraica tardoantica e medievale, di riferimenti espliciti agli angelicome intercessori presso Dio e mediatori delle preghiere umane, benché poi favorita dallamistica e soprattutto dalla Cabbala, verrà attaccata da alcune correnti del diritto religiosoebraico, per i suoi caratteri eterodossi: lo sforzo, comune a queste correnti, sarà proprioquello di razionalizzare l’ebraismo, privandolo di quei caratteri misterici che emergonoancora da diversi passi della letteratura rabbinica del giudaismo classico, fino al 1000, enei quali l’angelologia stessa risulta essere in buona parte inserita.

    Gli angeli nella filosofia ebraica medievale (900-1500 d.C.) Il tema degli angeli compare più volte anche in quella che è nota come «filosofia

    ebraica medievale» – ossia, nelle opere di quegli autori di religione ebraica attivi tra il900 e il 1500 circa nel Vicino Oriente (Mesopotamia ed Egitto) e in Europa (Spagna,Provenza e Italia) che, prima in lingua giudeo-araba e, soprattutto dopo il 1200, inebraico, scrivono su temi che toccano non solo questioni di filosofia e scienza propria(fisica, matematica, metafisica, etica), ma anche elementi che noi collocheremmopiuttosto nella teologia (la natura di Dio, la creazione del mondo, l’immortalitàdell’anima), e che sono talora ispirati alle trattazioni analoghe che si trovano nellateologia islamica dell’epoca (il kalam). Tra questi temi, compare occasionalmente –anche se non molto sistematicamente – anche la questione della natura degli angeli, aiquali viene spesso conferita, dall’aristotelismo neoplatonizzante di al-Farabi, Avicenna eAverroè che influenza fortemente la filosofia ebraica del tardo Medioevo, una funzione diveri e propri ministri di Dio, incaricati di governare direttamente le sfere celesti (ossia, glispazi nei quali, secondo questa filosofia, ruoterebbero intorno alla terra i pianeti, la Lunae il Sole) e indirettamente il mondo di quaggiù, nel quale viviamo. Si tratta diun’interpretazione filosofica e razionalistica degli angeli che manca nella tradizionereligiosa ebraica ortodossa, e che appare semmai affine a quella introdotta nellaScolastica cristiana medievale, da Alberto Magno e Tommaso d’Aquino in poi. Questo,peraltro, non significa che tutte le credenze accettate da quest’ultima, per esempio quellacirca l’esistenza di «angeli caduti», ammessa anche da uno dei primi filosofi di religioneebraica, Filone Alessandrino (primo secolo d.C.), vengano condivise dai filosofi ebreimedievali, che anzi talora (come si vedrà nel caso di Hillel da Verona) giungono acriticarla apertamente.

    Tra i primi autori ebrei medievali, di lingua giudeo-araba, che trattano aspetti diinteresse teologico-filosofico circa la natura degli angeli, compaiono personaggi delcaraismo – ossia, di quell’interpretazione della religione ebraica sorta intorno al 750-800d.C., la quale rifiutava la tradizione rabbinica legata alla Mishnah e al Talmud, edichiarava di voler tornare alla Bibbia, che i rabbini avevano per secoli trascurato e

  • addirittura quasi dimenticato. Presentano a tale riguardo particolare rilievo le trattazionisugli angeli, inserite in sermoni e soprattutto in passi di commento alla Bibbia, di teologicaraiti attivi tra il 900 e il 1000 d.C., come Daniel al-Qumisi, Ya‘qub al-Qirqisani e Yefetben ‘Eli ha-Lewi, nelle quali si riprendono tra l’altro, per la prima volta nel mondo ebraico,elementi presenti nel pensiero di uno dei fondatori della filosofia islamica, al-Kindi (796-873). Alcuni di loro collegano gli angeli alla profezia, vedendoli come mediatori etrasmettitori di messaggi tra Dio e i profeti, suoi inviati; altri rilevano i caratteri angelicidell’intelligenza, della parola e dell’immortalità, nonché la loro natura spesso ignea – cheera già nota alla tradizione ebraica più antica, ma veniva ora collegata al fuoco come unodei quattro elementi costitutivi del mondo, secondo la fisica aristotelica; altri ancora (è ilcaso proprio di Daniel al-Qumisi) negano persino la reale esistenza degli angeli stessi,ritenendo che la parola «angelo», impiegata nella Bibbia, sia perlopiù un terminemetaforico per indicare le diverse forze della natura, come il fuoco, le nubi e i venti,utilizzate da Dio come agenti che compiano le sue decisioni.

    Da parte sua, Sa‘adyah Ga’on (882-942), nato in Egitto e a lungo direttoredell’accademia rabbinica di Sura in Mesopotamia, che è in pratica il fondatore dellateologia ebraica ortodossa, risulterebbe aver respinto l’idea, accettata dai caraiti, che gliangeli fossero stati sempre mediatori della profezia, o che addirittura uno di loro abbiaesercitato la funzione di demiurgo del mondo (come creduto dal caraita Binyamin al-Nahawandi). Infatti, come emerge dal secondo libro (dedicato al tema dell’unità di Dio)del Libro delle credenze e delle convinzioni, la summa theologica di Sa‘adyah composta ingiudeo-arabo nel 933, egli, pur non escludendo che gli angeli (creati da Dio in funzionedella propria gloria e, implicitamente, dell’uomo stesso) abbiano occasionalmente svoltoquesto ruolo di mediatori, collega in generale la profezia ai due concetti, da lui ipotizzati,di «gloria creata» e di «parola creata». Secondo lui, la profezia si manifesterebbe infattimediante la presenza (in ebraico, shekinah) luminosa di Dio, accompagnata dalla suaparola, senza l’intromissione degli angeli, i quali, benché creati da Dio e coperti di luce, sitroverebbero in un grado inferiore rispetto a quello occupato da Dio al momento dellaprofezia. Nel complesso, secondo Sa‘adyah gli angeli sarebbero creature di luce, di naturaeterea, funzionali a specifici fini – e dunque esseri corporei, non diversamente dall’uomo,al quale sarebbero simili sotto molti aspetti: certo, la loro sostanza sarebbe più fine diquella del corpo umano, ma la loro funzione di meri servitori di Dio li renderebbe da uncerto punto di vista inferiori rispetto all’uomo, che, oggetto della creazione qual è, vaposto al centro del mondo.

    Cenni alla natura degli angeli, filosoficamente interpretata, compaiono anche nelcelebre poema di Shelomoh Ibn Gabirol (1021-1058), la Corona reale (in ebraico, Ketermalkut), dove, in ebraico, egli tratta la questione nella strofa 25 (vv. 175-190),descrivendoli come «forme nobili, spiriti superiori», ora visibili e ora no, che «escono dallafonte di luce», e sono organizzati in eserciti sotto la guida di principi, la cui prevalentefunzione è quella di cantare le lodi di Dio; egli affronta la questione anche in altri suoibrevi scritti poetici. Anche nella sua principale opera filosofica, la Fonte di vita, pur nonoffrendo una dettagliata e specifica trattazione sugli angeli, li identifica con le intelligenzedel mondo superiore, che egli ritiene dotate non solo di forma, ma anche di materia (una

  • materia spirituale, da lui ipotizzata, che sarà però respinta dall’aristotelismo ebraico).Un’analoga interpretazione neoplatonica circa gli angeli si trovava già anche negli scrittifilosofici più conosciuti – tutti in giudeo-arabo – di Yitzchaq YiSra’eli (850-950 circa).

    Per contro, gli angeli non sembrano essere neppure menzionati nell’Introduzione aidoveri dei cuori di Bachya Ibn Paqudah, uno degli scritti più rappresentativi della teologiagiudeo-araba spagnola dell’undicesimo secolo. Non molto diversamente, Yehudah ha-Lewi (1085-1141), nel suo Libro del cazaro, che pure è una delle più note apologiedell’ebraismo medievale, tratta il tema degli angeli solo en passant, dedicandovi alcuneosservazioni nel terzo capitolo del quarto libro dell’opera. Egli afferma lì che gli angelisarebbero intelletti puri, in atto, posti vicino a Dio, che non si interesserebbero degliaccidenti delle cose; essi sarebbero secondo lui dotati di materia, ma non della materiaspirituale di Ibn Gabirol, bensì di una materia sottile, eterea, invisibile all’uomo. Anch’egli,seguendo la tendenza generale già presente nel Talmud, divide gli angeli in duecategorie: angeli spirituali, vicini a Dio ed eterni; e angeli creati appositamente percompiere una ben circoscritta funzione, i quali, una volta impiegati, verrebbero distrutti.

    Idee più originali appaiono nei commenti biblici, in lingua ebraica, di Abraham Ibn‘Ezra’ (1089-1164), uno dei primi autori dell’ebraismo medievale a dare della Bibbiaun’interpretazione non priva di allegorismi di carattere filosofico. In un’otticaneoplatonizzante, ben diversa da quella di Sa‘adyah, egli afferma che gli angeli sonomolto al disopra degli uomini, i quali possono essere introdotti nei ranghi dei primi solo acerte condizioni, dopo la morte; secondo lui, il termine ebraico elohim di Gen., 1, 1, disolito tradotto come «Dio», sarebbe da interpretarsi proprio come riferito agli angeli, chesarebbero stati coeterni a Dio, e avrebbero giocato un ruolo importante già nellacreazione del mondo. Egli divide l’universo in tre mondi (quello superiore delle realtàintelligibili, quello medio delle sfere celesti, e quello inferiore, sotto la luna), e ritiene chegli angeli siano sostanze immateriali e semplici, che rappresentano il mondo superiore,pieno di gloria e delle forme superiori (paragonabili alle idee platoniche) delle cosecorporee che si trovano nel mondo inferiore. Questa interpretazione neoplatonica degliangeli è certo il risultato dell’influenza esercitata su Abraham Ibn ‘Ezra’ dalla filosofiaislamica contemporanea, che appare con evidenza in uno dei suoi scritti, il Vivente figliodel Vigilante (in ebraico, Chayy ben Meqis), un rifacimento di un noto scritto avicennianoche porta lo stesso nome, nel quale gli angeli vengono identificati senz’altro con leintelligenze separate che governano le sfere celesti dell’astronomia aristotelica –un’identificazione che Yehudah ha-Lewi aveva esplicitamente rifiutato.

    Trattazioni più dettagliate e sistematiche degli angeli compaiono nell’aristotelismoebraico medievale. Esso considera senz’altro la loro natura come quella di forme pure esostanze semplici, del tutto immateriali (diversamente da alcuni degli autori finoraaccennati), ma riflette due diverse tesi sul compito degli angeli: una prima è appuntoquella di Avicenna, secondo la quale gli angeli della tradizione religiosa ebraica siidentificano sia, appunto, con le intelligenze celesti (si tratterebbe degli angelicontemplativi, i cherubini), sia con le anime dei cieli, che muovono questi ultimi (sitratterebbe degli angeli che svolgono le funzioni di ministri di Dio); una seconda è quellaproposta da Averroè, secondo cui le anime celesti sarebbero invece da identificare con le

  • nature dei cieli, e gli angeli corrisponderebbero semplicemente agli intelletti separati. Ladottrina averroistica è stata fatta propria da pochi autori della filosofia ebraica medievale:il più conosciuto è Yitzchaq Albalag, attivo in Catalogna e forse in Provenza intorno al1290, che nel suo commento alle Intenzioni dei filosofi, l’enciclopedia filosofica di al-Ghazali, nega addirittura che le sfere celesti debbano avere un principio interno dimovimento, rappresentato dagli angeli, e considera questi ultimi come mere potenzeintelligibili e naturali, organizzati secondo due gerarchie. Invece, la dottrina avicennianasugli angeli, che è il frutto della tendenza di questo pensatore a far concordare senzadubbio la tradizione religiosa islamica e la filosofia aristotelica, viene adottata e applicataalla tradizione ebraica già dalla filosofia del dodicesimo secolo, prima da Abraham IbnDa’ud, poi da Mosè Maimonide.

    Abraham Ibn Da’ud (1110-1180 circa), che lavorò a Toledo e fu probabilmente incontatto con traduttori e filosofi latini cristiani attivi nella stessa area geografica nellaseconda metà del dodicesimo secolo (come Domenico Gundisalvi), espone in modosistematico l’interpretazione avicenniana circa la natura degli angeli in diversi capitolidell’unico scritto filosofico-teologico di lui rimasto, la Fede esaltata, sopravvissuto nonnell’originale giudeo-arabo, ma in due traduzioni ebraiche medievali. Certo, egli non sisofferma tanto sugli angeli in quanto realtà singole, dotate di propri nomi tradizionali e diproprie personalità, quanto sul loro ruolo come intelligenze celesti, le quali, benchécreate, sarebbero eterne, spirituali e dotate di ruoli generali che concernono soprattuttola fisica e l’astronomia; l’angelo più elevato è per lui l’intelletto agente della decima sfera.Non emerge dunque, dalla sua trattazione circa l’angelologia, un’interpretazione nuova eoriginale dei testi biblici e talmudici, ma solo una trattazione astratta circa la natura e ilgoverno dei cieli, di carattere filosofico-scientifico.

    Più originale, e ricco di tentativi di spiegare in termini filosofici i numerosi accenni agliangeli contenuti nella letteratura dell’ebraismo classico, è invece quanto emerge aproposito dell’angelologia dagli scritti di Maimonide (1138-1204). Autore nato a Cordova,ma – diversamente da Ibn Da’ud – attivo nei paesi dell’Africa islamica, dal Maroccoall’Egitto (dove, al Cairo, passò la parte più importante della sua vita), Maimonide arrivaalla conclusione – da lui affermata con chiarezza nella sua ultima opera più importante, laGuida dei perplessi – che, tranne che nel nome, non c’è fondamentalmente alcunadifferenza tra l’idea di angeli propria della tradizione religiosa ebraica, e l’idea diintelligenze separate propria dell’aristotelismo. Gli angeli sono dunque, per lui, esecutoridella volontà divina in questo mondo, incaricati di governare le sfere celesti; sono dotatidi una libera volontà – più di quanto non lo siano nell’ottica di Sa‘adyah Ga’on – ma,diversamente dagli esseri umani, ai quali sono superiori, sono sempre in attività e nonpossono fare il male. Sono esseri creati, sì, ma non in vista dell’uomo, e sono certamenteincorporei, tanto che gli attributi fisici loro conferiti dalla Bibbia (il volo, la parola, ecc.)vanno intesi in senso figurato. Comunque, secondo la sua analisi filologica di alcuni passibiblici (analisi che rappresenta uno degli aspetti più caratteristici della Guida), il termine«angelo» è impiegato, in ebraico, per designare in generale tutte le potenze naturali epsichiche, siano esse generali o individuali – dalla potenza formativa dell’embrioneumano agli elementi, dagli animali alle sfere celesti. In questo senso, secondo lui, va

  • intesa l’idea, presente già nella letteratura rabbinica di epoca talmudica, secondo la qualeDio creerebbe e distruggerebbe ogni giorno un’intera legione di angeli: non sitratterebbe, nella sua interpretazione, di persone, bensì, appunto, di potenze. Peraltro,già nella sua principale elaborazione del diritto religioso ebraico, la Mishneh Torah, scrittacirca dieci anni prima, egli aveva dedicato un breve capitolo all’angelologia, elencandodieci gradi nella gerarchia angelica, che corrispondono in buona parte – benché in ordinediverso – ai dieci gradi della tradizione cabbalistica. Inoltre, cenni alle sue idee circa ilruolo degli angeli e la loro funzione nell’ebraismo si trovano anche in sue opere ancoraprecedenti: per esempio, nel suo commento alla Mishnah (San., cap. 10) egli avevaassolutamente negato la possibilità di pregare gli angeli, ossia di servirsene comestrumenti magico-teurgici – come invece appariva da opere come il Sefer ha-razim.

    Dopo Maimonide, la sua angelologia aristotelizzante sarà naturalmente accettata esviluppata dai suoi seguaci e sostenitori, presenti nella filosofia ebraica spagnola,provenzale e italiana dei secoli tredicesimo-quindicesimo, ma verrà inevitabilmenterespinta dai suoi oppositori, insieme a tutto quanto il suo pensiero. Contro di essa, peresempio, si schiererà esplicitamente l’aragonese Chasda’y Crescas (1340-1411 ca.), chepropugnerà una filosofia antimaimonidea, in accordo con la tradizione religiosa ebraica.Infine, le diverse opinioni espresse dalla filosofia e in generale dal pensiero ebraicomedievale (non escluso quello di orientamento cabbalistico) sulla questione della naturadegli angeli saranno fatte oggetto di una sorta di rassegna complessiva da parte diYitzchaq Abravan’el (1437-1508), un noto filosofo ebreo portoghese autore, fra l’altro, diun commento a tutta la Bibbia in chiave filosofico-allegorica, alla luce del suo platonismorinascimentale, non privo di elementi prossimi all’astrologia. Nel capitolo terzo del suocommento al primo Libro dei Re, Abravan’el dedica infatti un paio di pagine della suatrattazione della natura della conoscenza perfetta al ruolo svolto da quest’ultima nelmondo spirituale superiore – vale a dire, tra le intelligenze separate, identificate con gliangeli. Nella sua ottica, gli angeli non presenterebbero più alcun carattere personale; nonsarebbero altro che potenze naturali che, come i demoni, non farebbero altro cheeseguire meccanicamente la volontà di Dio. Non avrebbe avuto quindi neppure alcunsenso il fatto di rivolgere a essi preghiere e suppliche, come accadeva invece, tra l’altro,nella tradizione cristiana, non ignota ad Abravanel.

    Gli angeli nella mistica ebraica fino al 1500 La mistica ebraica si sviluppa in diverse fasi fin dal periodo tardoantico (letteratura

    degli hekalot o «palazzi», letteratura del ma‘aseh merkavah o «opera del carro», scrittidei Chasidè Ashkenaz o «pietisti di Germania» ecc.) e, a partire dal 1300 circa, assumepressoché totalmente i caratteri della Cabbala, la quale, intrisa di gnosticismo e dineoplatonismo non dichiarato, viene elevata, dopo il 1500, al rango di un pensieroreligioso ebraico ufficioso. Essa tratta spesso il tema degli angeli, talora anche in modosistematico e in apposite opere. Se, nel Talmud, gli angeli erano intesi come cortigiani diDio, e più di rado come strumenti nelle sue mani, nella mistica ebraica essi sono intesianche come strumenti nelle mani dell’uomo, che ne può fare ministri della propria volontà

  • chiamandoli per nome o usando pratiche magico-teurgiche – presenti soprattutto nellacosiddetta «Cabbala pratica».

    Nella Cabbala, il numero degli angeli, apparentemente ridotto nella tradizionerabbinica e nella filosofia, cresce a dismisura, e anche i loro nomi si moltiplicano nelmodo più bizzarro e senza alcuna etimologia razionale, secondo un uso iniziato proprionella tarda antichità (si pensi al già menzionato Sefer ha-razim). Questo è anche il fruttodelle proprietà attribuite dalla mistica ebraica, prima ancora della Cabbala, alle piùsvariate combinazioni di lettere e numeri (la gematriyah). Questi nomi fittizi (alcuni deiquali sono evidentemente di origine greca, e non ebraica o aramaica) erano tra glielementi più sacri della mistica ebraica, che li riteneva spesso oggetti principali delle sueesigenze di segretezza, tanto che solo una parte di essi veniva messa per iscritto e fattaconoscere al pubblico, e molti di essi sono tuttora sconosciuti. Ciò non significa che tuttigli autori ebrei medievali approvassero questa moltiplicazione degli angeli e dei loronomi, che diversi di essi ritenevano essere il frutto di irragionevoli invenzioni. Per il vero,fu soprattutto una parte della tradizione mistica ebraica medievale, in particolare i«pietisti di Germania», a riempire il mondo, in ogni suo luogo e sotto ogni suo aspetto, diangeli e di demoni, attribuendo a ogni uomo una sorta di angelo custode (come appare,per esempio, nel libro Segreti dei segreti di El‘azar di Worms) – e quest’ultimo punto èforse ispirato proprio dal cristianesimo tardomedievale, presente in Germania con la«mistica renana».

    Certo, anche sulla questione degli angeli le due correnti della Cabbala assumono dueatteggiamenti diversi. La Cabbala speculativa, influenzata dal neoplatonismo, lasciaall’uomo il rango di oggetto principale della creazione divina, e pertanto pone gli angeli inun rango pressoché inferiore a lui, rappresentato dal mondo della «formazione» (inebraico, yetzirah), dove essi risiedono come esseri intellettuali e spirituali. La Cabbalapratica, invece, conferisce agli angeli un ruolo primario, affidando loro il compito dipotenze superiori, incaricate di dominare la vita umana, le quali possono essere tenutesotto controllo solo attraverso una serie di incantesimi.

    In generale, la mistica ebraica, pur considerando nel complesso gli angeli potenzespirituali di natura eterea, distingue diverse categorie di essi, non sempre coerenti eidentiche nei vari rami della letteratura che rientrano in questo filone di pensiero. Vi siparla, infatti, di angeli con funzioni di ministri di Dio, destinati a svolgere un’azione attivae positiva in suo nome, e angeli con funzioni distruttive e negative; di angeli chetrasmettono all’uomo la misericordia divina, e angeli che esercitano la funzione di giudiciseveri in nome dell’Onnipotente. Vi sarebbero angeli maschi e angeli femmine; angelicreati da Dio fin dal primo giorno della creazione, e quindi dotati di vita eterna, e angelicreati il secondo giorno, alcuni dei quali si sarebbero poi ribellati a Dio (e rientrerebberoquindi nella categoria degli «angeli caduti»). Infine, quando gli angeli esercitano le lorofunzioni sulla terra, essi assumerebbero forme diverse, talora umane, e talora spirituali.

    Secondo la tradizione mistico-cabbalistica, quale emerge nello Zohar e in altri scrittitardomedievali, gli angeli sarebbero costituiti o di fuoco e acqua, o di quattro elementicelesti (misericordia, potenza, bellezza e dominazione), che corrisponderebbero aiquattro elementi terrestri (fuoco, aria, acqua e terra); e la loro potenza deriverebbe dalla

  • luce divina che si rivelerebbe in loro. Certo, nella mistica la loro funzione principale, giàpresente nella letteratura rabbinica, resta quella di cantare le lodi di Dio, ma questafunzione viene ulteriormente allargata. Essi, risiedendo nei sette palazzi celesti (glihekalot), eserciterebbero diversi compiti: alcuni piangerebbero la distruzione del tempiodi Gerusalemme, altri accompagnerebbero i canti di lode dei pii ebrei; uno di loroporterebbe le preghiere ebraiche dalle sinagoghe sino a Dio.

    La Cabbala sarebbe più chiaramente arrivata, nel corso del suo sviluppotardomedievale, a stabilire una serie di gerarchie angeliche, collegando ciascun gruppo diangeli a un loro principe e, eventualmente, a una delle sfere celesti (secondo uno schemanon ignoto alla filosofia ebraica). In realtà, circolano nella letteratura mistica ecabbalistica diverse classificazioni degli angeli: mentre la letteratura dei «palazzi» lisuddivideva semplicemente in quattro gruppi, guidato ciascuno da uno degli arcangeli(Raffaele, Michele, Gabriele e Uriele) e posto ai quattro lati del trono divino, la Cabbalatende a dividerli in genere in dieci o dodici gradi. Secondo l’autore del libro dell’Esododello Zohar, questi dieci gradi sarebbero, dal superiore all’inferiore: «araldi», «uomini»,«figli di Dio», «angeli», «elettri», «gente di Tarsis», «gente del Sinai», «cherubini»,«ruote», «serafini», con nomi che appaiono, seppure con alcune alterazioni, nella MishnehTorah di Maimonide; secondo l’autore del trattato di Atzilut, i dieci gradi sarebbero dacollegare alle diverse parti del cielo (primo mobile, cielo delle stelle fisse, cieli di Saturno,Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Terra), nonché a quello che viene detto essere il«caos sublunare».

    Tra i molti angeli dei quali la Cabbala fa il nome, assumono un particolare rilievo due,già molto importanti nel Talmud: Michele e Gabriele. Comunque, è soprattutto il primo arivestire un ruolo fondamentale, mai smentito: anche se i nomi dei quattro arcangelicambiano qui da un testo all’altro, Michele è sempre presente nella loro lista, così comerisulta dalla letteratura dei «palazzi» e dell’«opera del carro»; più tardi, a lui è attribuito ilcompito di angelo portatore della grazia divina, di accompagnatore delle anime dei giustiin cielo, nonché, come nel Talmud, di custode del popolo d’Israele. Gershom Scholem, ilpiù celebre studioso della mistica ebraica, ha anzi suggerito che Michele sia quisostanzialmente da identificare con l’angelo Metatron, che, come abbiamo visto, è unodei personaggi principali dell’angelologia di epoca post-biblica e talmudica. Tra gli altriangeli, mantengono un ruolo abbastanza preciso Raffaele, considerato protettore dallemalattie, e Uriele, ritenuto portatore di calore e di luce; a essi va accostato Sandalfon,considerato fratello di Metatron e protettore delle anime dei morti.

    Il rapporto fra gli angeli e gli uomini è chiarito dallo Zohar, uno dei testi base dellaCabbala, in diversi termini: vi si afferma che il primo incontro fra i primi e i secondisarebbe avvenuto quando Dio avrebbe inviato ad Adamo il libro della creazione, e che gliangeli conoscerebbero il futuro di ogni uomo; d’altra parte, essi si dividerebbero in angelibuoni e cattivi, e avrebbero il ruolo di vigilare alcuni sul corpo, e altri sull’anima umana;essi seguirebbero l’uomo anche dopo la morte, e lo guiderebbero a ricevere il suo premioo la sua punizione. Certo, la presenza, in questa tradizione, di angeli negativi, detti«angeli di distruzione», paragonabili ai demoni, non sarebbe necessariamente motivatadall’accettazione della dottrina degli «angeli caduti»: questi angeli sembrerebbero

  • sottoporre l’uomo a tentazioni, solo per verificarne l’effettiva bontà, e dare così a Diomotivo di esprimere il suo giudizio.

    La storia dell’angelologia, nella mistica ebraica, ha inizio nella letteraturaaltomedievale dei «palazzi» e dell’«opera del carro», che aveva ripreso elementi giàpresenti nella letteratura enochica a essa precedente. In essa non si trova un unicosistema fisso relativo agli angeli, bensì diversi schemi completi, che riguardano non solol’angelologia speculativa, ma anche quella pratica (incantesimi, preghiere ecc.). Alla basedi questi schemi, comunque, c’è sempre l’idea che vi siano quattro o sette arcangeli aguida degli altri. A essi viene spesso aggiunto il concetto dell’angelo Metatron, designatoqui in ebraico come sar ha-panim, «il principe del volto (divino)», il quale, secondo alcunitesti, in forma di torcia umana, non sarebbe altro che Enoc stesso dopo la morte, e alquale un celebre midrash della mistica ebraica mesopotamica dei secoli settimo-ottavo,La misura della statura (in ebraico, Shi‘ur qomah, uno scritto dedicato al tema dellastatura di Dio), attribuisce un importante ruolo come servitore del «carro divino». In altri,compare la figura dell’angelo Yaho’el, che sarebbe secondo alcuni un altro nome dellostesso Metatron, e che viene designato addirittura in certe fonti (ritenute poievidentemente eterodosse da parte dell’ebraismo ufficiale) come lo «Yahweh minore»!D’altra parte, i nomi di questi angeli, non molto diversi da quelli che compaiono nel Seferha-razim, vengono spesso connessi, nella letteratura dell’«opera del carro», con i nomisegreti di Dio, ciascuno dei quali è legato a un particolare aspetto della rivelazione,dell’azione o della gloria di Dio stesso, al punto che non è sempre chiaro se undeterminato nome designi Dio o un suo angelo. Certo, dietro alcune di queste figure diangeli si intravedono le tracce dell’influenza dello gnosticismo su alcune tendenze propriedell’ebraismo tardoantico: non a caso, in questa letteratura occorrono numerose formulee termini di origine greca, che potrebbero essere state tratte dalla gnosi non ebraicadell’epoca.

    Un’angelologia più complessa viene rivelata dalla ricca letteratura mistica del periodod e i ge’onim, i direttori delle accademie rabbiniche, sviluppatasi soprattutto inMesopotamia tra il 600 e il 1000 d.C. Qui non si parla solo di «opera del carro», ma anchee soprattutto di mistica pratica, ossia di preghiere rivolte, soprattutto nel giorno piùimportante dell’anno religioso ebraico (lo Yom Kippur), ad angeli definiti come «prìncipidella sapienza» e «prìncipi della legge religiosa» (la Torah). Una delle opere principali diquesta mistica è un libro intitolato Il grande mistero (in aramaico, la lingua letterariatipica di questo ambiente: Raza’ rabba’), che riporterebbe un immaginario dialogo di duenoti rabbini della Mishnah, rabbi ‘Aqiva’ e rabbi Yishma‘e’l, e sarebbe giunto fino a noi informa frammentaria. Certo, più che di mistica si tratta qui di magia, simile a quella chestava comparendo tra i «pietisti di Germania», ma con tendenze apparentementeeterodosse, che sarebbero state facile oggetto, in quei secoli e in quell’ambiente, delleviolente critiche dei caraiti, che intendevano in certo modo «razionalizzare» l’ebraismo.

    Nello stesso periodo, e fino all’inizio del tredicesimo secolo, si stava peraltrosviluppando in Germania la letteratura dei Chasidè Ashkenaz, nella quale si trovanoracconti e midrashim con tendenze angelologiche ed esoteriche. Tra i testi più rilevanti diquesta letteratura, per quanto riguarda il tema degli angeli, vi sono il Midrash Avkir, del

  • quale sono rimaste solo alcune parti, e il Midrash Konen, che compare per la prima voltain Germania nel dodicesimo secolo e contiene varie versioni di schemi generali diangelologia; la versione originale di quest’ultimo, però, sarebbe stata composta non inGermania, ma nel Vicino Oriente o in Italia meridionale, in epoca altomedievale. NelMidrash Konen in particolare, che comunque non è uno specifico trattato di angelologia,la creazione di alcuni gruppi di angeli (araldi, angeli messaggeri, ruote, serafini, elettri) ècollocata nel secondo giorno della creazione; si afferma che intere schiere di angeli sisarebbero opposte, nel sesto giorno, alla creazione dell’uomo, venendo distrutte da Diostesso; si attribuisce a vari angeli il compito di governare le sette parti della geenna,l’inferno ebraico; infine, i quattro arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele e Uriele sono legatiai quattro punti cardinali. In ogni caso, l’autore di questa letteratura che si èmaggiormente interessato all’angelologia è stato El‘azar di Worms. Nato a Magonza evissuto in Germania e nella Francia del nord (specialmente a Worms) tra il 1165 e il 1230circa, egli concentrò buona parte delle sue dottrine di carattere teologico – incluse quellerelative alla natura degli angeli – nell’opera che porta il titolo complessivo di Segreti deisegreti (in ebraico, Sodè razayya’), e della quale non tutto è stato ancora pubblicato. Laparte dell’opera che contiene più materiale circa la sua angelologia è la seconda, dettaSegreto del carro (in ebraico, Sod ha-merkavah), nella quale egli, riprendendo dottrine diSa‘adyah Ga’on e della letteratura dei «palazzi», connette gli angeli a tutti i diversiconcetti già presenti nella letteratura mistica a lui precedente: il trono divino, il carro, lavoce di Dio che parla con i profeti, la gloria divina, la rivelazione e la profezia.

    Tra i «pietisti di Germania» ricompaiono, nello stesso periodo (dodicesimo secolo),dottrine angelologiche che erano apparse nel primo caraismo, e che sembravano esserestate poi dimenticate: per esempio, la dottrina gnosticheggiante secondo la quale ilmondo sarebbe stato creato attraverso la mediazione di un angelo riemerge in uno scrittopietistico ebraico di quell’epoca, la barayta’ immaginariamente attribuita a Yosef benUzzi’el, dove si parla di un cherubino dotato di specifiche funzioni in questo senso, esarebbe stata così adottata da diverse autorità del pensiero mistico ebraico francese(Avigdor ha-Tzarfati, l’anonimo autore di un commento al Libro della formazionefalsamente attribuito a Sa‘adyah) e inglese (Elchanan ben Yaqar di Londra), intorno al1200, ricomparendo infine nella Cabbala spagnola del tardo Medioevo.

    Certo, va rilevato che l’interesse suscitato dagli angeli, benché presente nelle operedel dodicesimo secolo che fondarono la Cabbala in area spagnola, come lo Zohar – cuiabbiamo già fatto più volte riferimento – sembrerebbe essere stato presto lasciatoabbastanza ai margini dai cabbalisti, almeno dopo il 1500. Tuttavia, fino a quel momentovennero sicuramente redatti testi cabbalistici nei quali si affrontavano, seppure nonsistematica